Dopo la Dunkerque degli esuli di Twitter approdati su Mastodon, potrebbe esserci una migrazione da Reddit verso Lemmy. E la nostra feddit ha avuto in una sola mattinata le iscrizioni di una settimana!
Lo sviluppatore dell'app Apollo, utilizzata da tantissimi degli iscritti a Reddit, ha espresso su twitter tutte le proprie perplessità a fronte delle novità relative alle politiche di Reddit sulle API di terze parti.
Chiaramente questo è un ulteriore segnale del fatto che le grandi piattaforme centralizzate, Twitter per prima, non trovando più soldi facili dai grandi investitori tecnologici, stanno iniziando non più solo a mungere i dati personali dei propri utenti, ma hanno iniziato a tosarli e a taglieggiare chiunque graviti intorno al loro business.
Per fortuna però gli utenti stanno iniziando a comprendere che l'atmosfera si sta facendo sempre più asfittica.
Oggi, per esempio, l'istanza italiana feddit.it basata su Lemmy, un'alternativa a Reddit interoperabile con il Fediverso, ha avuto in una sola mattinata più iscrizioni rispetto a quelle avute in un'intera settimana!
La stessa cosa sta avvenendo all'istanza lemmy.ml, la più grande del Fediverso: uno dei suoi fondatori (nonché sviluppatore dello stesso Lemmy) ha dichiarato che:
"lemmy.ml in precedenza aveva un nuovo utente al giorno, ora sono alcune decine al giorno."
In effetti la libertà che consente una piattaforma come Lemmy. è impensabile con qualsiasi piattaforma centralizzata!
E questo vale per altri "link aggregator" federat, tutti interoperabili, come KBin o Lotide, oltre che per la stessa #Friendica, l'alternativa del Fediverso a Facebook, da cui sto scrivendo questo post, leggibile non solo su Lemmy ma da tutti gli utenti Mastodon.
Nei prossimi giorni, vi terremo aggiornati su tutte le eventuali novità...
macrumors.com/2023/05/31/reddi…
Popular Reddit App Apollo Would Need to Pay $20 Million Per Year Under New API Pricing
Popular Reddit app Apollo might not be able to operate as is in the future due to planned API pricing that Reddit is implementing. Apollo developer...Juli Clover (MacRumors.com)
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Chi è Giovanni Soccodato, nuovo managing director di Mbda Italia
Cambi ai vertici di Mbda. Da questo mese, sarà Giovanni Soccodato ad assumere il ruolo di Executive group director sales & business development e managing director di MBDA Italia, succedendo così a Lorenzo Mariani. A diretto riporto del ceo di Mbda, Eric Béranger, Soccodato entra così a far parte del Comitato esecutivo di Mbda. “Sono certo che Giovanni, grazie alle sue doti personali e professionali, alla sua lunga carriera in numerose posizioni apicali in Leonardo e alla sua grande competenza nel settore della Difesa e delle strategie, darà un contributo decisivo allo sviluppo del nostro posizionamento globale come industria leader della difesa integrata in Europa e al mantenimento del successo di Mbda in Italia e nel mondo”, ha commentato la nuova nomina il ceo Béranger.
Il passaggio di testimone
Soccodato succede dunque a Mariani, recentemente nominato dal Consiglio di Leonardo condirettore generale della società di piazza Monte Grappa. Grazie al nuovo ruolo, Mariani è diventato inoltre capo della neo costituita Direzione generale business & operations di Leonardo, e assumerà in ultimo l’incarico di consigliere nel board di Mbda Gruppo, come rappresentante di Leonardo, nonché di presidente del cda di Mbda Italia. Nell’accogliere il passaggio di consegne, Béranger, ha anche parlato del contributo di Mariani: “Volevo ringraziare Lorenzo Mariani per il fondamentale supporto e contributo nell’aver spinto Mbda a livelli di posizionamento commerciale mai raggiunti prima, che consolidano l’azienda come leader di mercato nel settore dei sistemi di armamento complessi”.
Nuovo ruolo
Nel suo nuovo incarico, Soccodato guiderà un team integrato multinazionale, che si occuperà di generare ordini per sostenere una performance di lungo termine di Mbda, in modo da comprendere le esigenze operative dei clienti e di sviluppare così le soluzioni più efficaci per rispondere agli attuali e futuri requisiti operativi richiesti. Inoltre, in qualità di managing director di Mbda Italia, Soccodato sarà il rappresentante legale dell’azienda nel nostro Paese. In tale veste si occuperà di guidare le relazioni con il cliente italiano e la comunità industriale nazionale. In ultimo, come responsabile dell’operatività dell’azienda in Italia, garantirà anche la continuità del business, nonché la competitività e la coerenza delle politiche aziendali da una prospettiva nazionale.
Il profilo
Laureato in Informatica presso l’università di Pisa, Soccodato è approdato in Mbda dopo aver trascorso diversi anni della sua carriera in Leonardo (ex Finmeccanica). Dove ha ricoperto dal 2019 il ruolo di chief strategic equity officer e ha seguito le attività di joint venture strategiche, tra cui la stessa Mbda. In precedenza, dal 2005 al 2019, è stato invece executive vice president strategy and mergers & acquisitions e ha gestito anche alcuni incarichi in ambito improvement & processes, innovazione e corporate sales. Nella sua carriera Soccodato vanta inoltre diverse posizioni strategiche all’interno di Alenia Marconi Systems, joint venture tra Finmeccanica e Marconi Electronic Systems (poi BAE Systems) tra cui: business integration, business improvement, it & quality e sales. Dal 2004 al 2005, inoltre, è stato nominato vicepresidente e direttore generale di AMS, e più recentemente è stato deputy chairman nel board di MBDA Gruppo in rappresentanza di Leonardo.
Come funziona una guerra simulata. L’esercitazione Joint Stars vista da vicino
Con Joint Stars le Forze armate italiane sono tornate ad addestrarsi sul campo, coordinate dal Comando operativo di vertice interforze (Covi). Dopo oltre tre anni di assenza legati alla pandemia, ritorna dunque la più grande esercitazione della Difesa che ha visto nell’edizione di quest’anno numeri impressionanti, con circa 5mila uomini e donne impegnati e oltre 900 mezzi utilizzati. Rispetto alla precedente edizione, come ha evidenziato il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante del Covi, quella di quest’anno ha visto una maggiore ampiezza, sia in termini di giorni esercitativi sia in termini di piattaforme, oltre a vedere il ritorno delle attività a fuoco. Il perdurare della guerra in Ucraina ha reso ormai evidente a tutti come anche la forma del conflitto tradizionale non sia da riservare soltanto ai libri di storia. “Le Forze armate sono una risorsa del Paese e per avere delle Forze armate pronte bisogna addestrarle. Per addestrarci dobbiamo farlo con scenari realistici, sul terreno, in mare e nel cielo”, ha proseguito Figliuolo. Per garantire pertanto l’efficacia e l’efficienza dello strumento militare, così come una costante prontezza operativa nei molteplici possibili scenari di impiego, è necessario sviluppare e condurre attività esercitative interforze e inter-agenzia come Joint Stars, così da testare procedure e aumentare il livello di professionalità e interoperabilità. “Questa esercitazione è un test importante per provare tutte le procedure di comando e controllo in un ambiente integrato e interforze”, ha spiegato ancora Figliuolo. A fornire il contesto delle operazioni, uno scenario verosimile e realistico che ha animato gli oltre 20 giorni di esercitazione che si sono da poco conclusi in Sardegna.
Joint Stars
Quella che si è tenuta le scorse settimane è la più importante esercitazione nel panorama della Difesa italiana. Pianificata e diretta interamente dal Covi, ha una forte connotazione interforze, inter-agenzia e ha carattere multinazionale. È un’esercitazione di Crisis response planning (Crp), con pianificazione di livello operativo che segue gli standard Nato di una Small joint operation Art. 5 del trattato del Nord-Atlantico (difesa collettiva). Uno degli obiettivi perseguiti dal Covi nelle tre settimane di esercitazioni era di aumentare la prontezza delle Forze armate con assetti Nato e Agenzie nazionali così da condurre attività operative sempre più efficienti in vista di possibili scenari emergenziali complessi. A dirigere le operazioni, vi era l’ammiraglio Fabio Agostini.
Operazioni viste da vicino
Airpress ha avuto l’opportunità di seguire da vicino, per una giornata intera, alcune delle numerose esercitazioni condotte nel corso di Joint Stars. A bordo di un elicottero SH90 della Marina militare siamo atterrati direttamente sulla nave anfibia San Giusto, in navigazione al largo delle coste cagliaritane, e inserita in un dispositivo navale che vedeva tra le altre anche la presenza della nave Garibaldi e della fregata Alpino. A bordo del San Giusto, dopo aver visto in mostra alcuni degli equipaggiamenti e armi a disposizione dei militari che hanno partecipato a Joint Stars, abbiamo assistito a un’esercitazione interforze che ha coinvolto velivoli dell’Aeronautica – che hanno anche mostrato come avviene il rifornimento in volo – il sommergibile Gazzana e altre navi della Marina, nonché forze della Guardia Costiera, impegnate nel mostrare come avviene il fermo di un’imbarcazione illegale. Al poligono di Capo Teulada, abbiamo invece potuto assistere all’esercitazione di un attacco terrestre coordinato dalla Brigata Bersaglieri Garibaldi, e guidato dal generale Mario Ciorra, condotto con la collaborazione dei velivoli dell’Aeronautica militare. A una prima ricognizione effettuata da due caccia F-35, sono seguite le manovre sul terreno e i colpi di sei carri armati dell’Esercito diretti verso l’obiettivo, una piccola altura su cui – da scenario – erano presenti le forze nemiche. Infine, a bordo dell’elicottero CH47 dell’Esercito, abbiamo raggiunto Decimomannu dove abbiamo potuto assistere alla dimostrazione di un’attività inter-agenzia che ha visto in azione i corpi dei Carabinieri, unitamente a nuclei sanitari del Corpo militare della Croce Rossa e squadre dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, impegnati nella prima accoglienza di profughi.
Uno scenario più che realistico
Joint Stars si sviluppa intorno a uno scenario fittizio chiamato “Arcipelago Esmeralda” formato da tre isole maggiori che si affacciano sul Mar Tirreno. Secondo tale scenario, al termine della Seconda guerra mondiale i cittadini sardi decisero con un referendum di dividere l’isola in due Stati diversi: Nuragicum e Carbonium. Nuragicum è un Paese che non è né membro della Nato né dell’Ue, il cui 45% della popolazione è di etnia Trinacrium in Sardinia (Temis). Si tratta di una democrazia fragile, che sta piano piano rompendo i vincoli di dipendenza da Trinacrium; anch’esso un Paese non appartenente né alla Nato né all’Ue, che considera l’espansione dell’Alleanza Atlantica come una minaccia e vede il 98% della popolazione di etnia indigena. A Nuragicum, infatti, dal 2012 crescono i disordini interni e l’instabilità politica, così come l’aspirazione di una parte della popolazione di riunire tutti i territori con la presenza storica di Temis. In tale cornice è stata inoltre creata un’organizzazione insurrezionale chiamata Temis liberationa army (Tla), che ha condotto diversi attacchi terroristici nel Paese e i cui militanti vengono addestrati non ufficialmente da militari di Trinacrium che finanzia e arma questa milizia. Scopo del Tla è quello di rovesciare il governo di Nuracicum e di Carbonium, così da riunificare i territori della Sardegna con presenza etnica Temis. Carbonium, dal canto suo è invece una Repubblica parlamentare membro sia della Nato sia dell’Ue, che conta il 21% di popolazione di etnia Temis.
L’escalation
Ma l’escalation risale soltanto al 2022, quando il Tla ha avviato attacchi terroristici nell’enclave Temis di Carbonium. A novembre la principale centrale idroelettrica di Carbonium è stata vittima di un attacco cyber, e da allora sono stati numerosi gli attacchi cyber ai danni di Carbonium. Infine, a dicembre 2022, il Tla si è reso responsabile di numerosi incendi a Carbonium. Il Paese attaccato ha così chiesto supporto ai Paesi Ue e alleati, firmando anche un accordo di collaborazione con l’Italia (che in quest’esercitazione gioca il ruolo di se stessa). In risposta, Trinacrium ha aumentato la portata delle proprie esercitazioni militari offensive intorno alla Sardegna e sono aumentati gli scontri tra le forze di Carbonium e le milizie del Tla. A inizio gennaio 2023 delle forze di Trinacrium hanno iniziato un’esercitazione aeronavale di fronte alla costa di Nuragicum, prendendo il controllo dell’aeroporto e del porto di Olbia. In risposta, l’Italia ha lanciato un’operazione di evacuazione dei propri connazionali sul territorio di Nuragicum (operazione Lampo). Con l’avanzata di Trinacrium nel territorio di Nuragicum sono cadute diverse città, e l’avanzata è stata bloccata solo in corrispondenza della capitale Nuoro. Ecco che a fine gennaio il Consiglio del Nord atlantico ha dato allora il mandato di pianificare il dispiegamento a Carbonium della Nato Response Force ai sensi dell’Art.4 del Trattato Nord-Atlantico, per rispondere a una potenziale aggressione militare da parte di Trinacrium. Viene così costituita Joint task force (Jtf) della Nato, guidata dal vicecomandante del Covi, il generale Nicola Lanza de Cristoforis e con l’Italia come nazione capofila dell’operazione “Esmeralda defender”, che ha lo scopo di supportare la popolazione di Carbonium e garantire la sicurezza.
Casus belli
Alla base del conflitto simulato vi è l’aspirazione del presidente di Trinacrium, Alberto Mapo, che appoggia Tla, di riunificare la Sardinia sotto l’etnia Temis. Da diverse settimane aleggiava infatti lo spettro del conflitto sull’arcipelago di Esmeralda: un attrito in escalation. Le tensioni hanno raggiunto l’apice quando a inizio febbraio 2023 Trinacrium ha ordinato il lancio di un missile balistico che ha causato vittime, oltre che gravi danni sul territorio e alle infrastrutture. In risposta, la Nato ha predisposto il dispiegamento di una Nato response force in Carbonium per difendere il Paese e ripristinare l’integrità territoriale in caso di aggressione militare. Così le Forze armate di Trinacrium hanno iniziato il loro movimento per schierarsi lungo il confine con Carbonium, in risposta anche l’Italia e gli alleati hanno dispiegato assetti specializzati pronti a rispondere agli attacchi e a difendere Carbonium. L’assalto delle Forze armate di Trinacrium è stato preceduto da un’escalation di attacchi cyber e terroristici da parte del Tla, il che ne sottolinea la forte componente multidominio. La risposta di Saceur al missile balistico non si è fatta attendere e, oltre ad aver dato il mandato all’Italia per costituire la Jtf della Nato, ha fornito le indicazioni per avviare una Crisis response operation (Cro), ai sensi dell’articolo 5 della Nato.
Una spiccata natura inter-agenzia e multidominio
Joint Stars non ha visto solo l’impiego di corpi dell’Aeronautica, dell’Esercito e della Marina, ma ha visto impiegare anche corpi dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Guardia costiera. Insieme a loro, sul campo presenti anche la Croce Rossa italiana, la Protezione civile, i Vigili del Fuoco, così come altri corpi non armati dello Stato. Anche l’Agenzia spaziale italiana (Asi) è intervenuta, stimando la possibile traiettoria di rientro del missile e il potenziale rischio chimico. Come ha ricordato il capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, in visita in Sardegna durante l’esercitazione: “Come ci insegna la storia recente è fondamentale esercitarsi tutti non solo nei domini tradizionali, terra, mare e cielo, ma anche nelle attività cyber e nella gestione dello spazio”. Non solo, per la prima volta in un’esercitazione di questo tipo, è stato coinvolto anche un gruppo selezionato di studenti universitari che hanno affiancato i militari nelle funzioni di advisor in diverse aree, legale, questioni di genere e questioni culturali.
Esercitazioni numerose
Joint stars si è svolta in diverse località della Sardegna e all’esercitazione hanno partecipato anche assetti Nato, in particolare un battaglione meccanizzato norvegese, rimasto nell’area in seguito all’esercitazione alleata Noble Jump 23. La prima fase, dall’8 al 12 maggio, ha visto la gestione di eventi afferenti a ordine e sicurezza pubblica, antiterrorismo, contrasto dei traffici illeciti, soccorso di profughi e risposta a diverse tipologie di emergenze. In tale fase si è svolta inoltre la già citata esercitazione Lampo, integrata nella Joint Stars, che ha visto il personale della Italian joint force esercitarsi nell’evacuazione di personale da un’area di crisi e ha coinvolto reparti dell’Aeronautica, dell’Esercito e della Marina. In tale fase si sono svolti 28 eventi esercitativi inter-agenzia. Mentre la seconda fase, iniziata il 15 maggio, ha visto impegnate componenti di livello tattico delle varie Forze armate, sotto la guida del comandante della Jtf. In questa seconda fase sono stati ben 68 gli eventi interforze condotti, ai quali vanno aggiunti gli eventi sviluppati da ogni singola componente di Forza armata. Ma non è finita, nel mese di maggio vi sono state anche altre esercitazioni nazionali nella cornice della Joint Stars. Tra queste si ricordano la “Notte scura” condotta dalle Forze speciali, la “Complex aviation exercise (Caex)” del comando Aviazione dell’Esercito, la campagna di tiri Samp-t 2023 a cura del 4°Reggimento contraerei missili di Mantova e del 17°Reggimento contraerei Sabaudia.
Operazioni all’insegna della sostenibilità
L’organizzazione delle manovre, militari e non, ha tenuto conto fin dall’inizio dell’impatto ambientale, coinvolgendo anche esperti del settore per cercare di minimizzare gli effetti negativi delle operazioni sull’ambiente. Si sono infatti bonificate le aree da ordigni inesplosi e si è garantita la pulizia e il ripristino ambientale delle aree interessate, grazie a squadre di specialisti. Quest’anno vede inoltre, come sottolineato dal generale Figliuolo, “una bella novità intrapresa con i Carabinieri, e in particolare con i corpi forestali. Al termine delle attività è previsto il calcolo dell’anidride carbonica immessa a seguito dell’esercitazione e ci sarà una contropartita in piantumazione di alberi”.
LIBRI. Dear Palestine, fotogrammi di conoscenza di un popolo
della redazione
Pagine Esteri, 1 giugno 2023 – “‘Dear Palestine’ è nato in principio dalla curiosità di conoscere, attraverso i miei occhi, la “Terra Santa” ed è proseguito con la crescente passione nei confronti del popolo palestinese, che della propria terra ha fatto la prima ragione di vita”. Così scrive Roberta Micagli* nella prefazione del suo libro fotografico pubblicato dalla casa editrice Graffiti. Quello che inizialmente è stato per lei un viaggio di conoscenza nei luoghi santi delle tre religioni monoteistiche, si è poi trasformato in una opportunità per approfondire la conoscenza di una terra e del suo popolo, nei suoi aspetti anche politici e sociali. Un percorso che, prova a spiegare attraverso le sue fotografie, dovrebbero compiere sempre più persone. Il ricavato della vendita di copie di “Dear Palestine” sarà devoluto ad associazione sanitarie ed umanitarie palestinesi. Pagine Esteri ha incontrato l’autrice nei giorni scorsi a Gerusalemme.
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*Nasce a Latina nel 1971. Appassionata di viaggi, scopre il suo interesse per la fotografia grazie ai suoi primi spostamenti in Guatemala, Panama, Nicaragua e Hunduras. Tornata in Italia conosce Graffiti- Scuola di fotografia dove perfeziona il linguaggio del reportage, del bianco e nero, del ritratto e dove acquisisce le tecniche di sviluppo e stampa. Passata alla fotografia digitale, effettua viaggi in tutto il mondo. In Sud Africa ha documentato il funerale di Nelson Mandela. Negli ultimi dieci anni si appassiona alle tematiche mediorientali. E trascorre lunghi periodi in Libano, Israele e Territori palestinesi occupati. Come fotografa ha ottenuto ricoscimenti e premi nazionali e internazionali.
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L’Italia è un ponte mediterraneo. Cavo Dragone sulle missioni internazionali
Non solo assetti militari o addestramento, le missioni internazionali possono offrire un significativo aiuto per la stabilità e la sicurezza, irrinunciabili per lo sviluppo economico e sociale. A dirlo è stato il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in audizione davanti alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. “Le missioni possono essere il battistrada di un sistema-Paese capace di proporre anche modelli organizzativi moderni”, ha detto l’ammiraglio, aggiungendo come le operazioni italiane posso offrire la “ricostruzione delle istituzioni, moderni sistemi produttivi” dal momento che “la stabilità e sicurezza sono irrinunciabili per lo sviluppo economico e sociale”.
La Wagner nel Mare nostrum
Nel suo intervento, l’ammiraglio Cavo Dragone si è concentrato in particolare alle necessità del Mediterraneo allargato, la principale area di riferimento strategico per il nostro Paese. A destare preoccupazione è, in particolare, l’influenza che il gruppo mercenario russo Wagner sta esercitando nei Paesi della regione, dalla Libia, alla Repubblica centrafricana, al Burkina Faso “ovunque le nazioni occidentali se ne vanno, colmano un vuoto” ha lanciato l’allarme Cavo Dragone, aggiungendo come “probabilmente sono anche in Sudan”. Per l’ammiraglio, l’influenza del gruppo “è significativa un po’ ovunque” e il problema principale è che “più passano i giorni, più si pone come una forza politica, oltre che militare”. Si tratta di una compagine “ben armata, ben pagata, l’esercito convenzionale russo non regge il paragone”, ha segnalato l’ammiraglio, evidenziando che “sono mercenari fortemente connotati, sono quasi tutti russi, un mercenarismo anomalo”.
La situazione in Libia
Tra gli scenari che più impattano sul nostro Paese c’è sicuramente la Libia dove, secondo Cavo Dragone, premessa fondamentale per un miglioramento della situazione dei diritti umani è necessaria una pacificazione e la riunificazione istituzionale dello Stato libico. “In Libia dialoghiamo con entrambe le parti”, ha detto l’ammiraglio, aggiungendo come per la riunificazione serva “un maggior apporto della comunità internazionale”. Per il capo di Stato maggiore se la Libia venisse “pacificata e disarmata nelle sue milizie, gli elementi che hanno partecipato alla rivoluzione del 2011 e che hanno rimosso il regime di Gheddafi e sono rimaste connotate da capacità operative spinte, se disinneschiamo tutto questo, la situazione dei diritti umani non può che migliorare”.
Cooperazione e sviluppo
Intervenire nel Mediterraneo, tuttavia, significa andare oltre la semplice presenza militare: “Prima dell’assistenza militare, i vertici militari dei Paesi chiedono cooperazione e sviluppo” ha riferito Cavo Dragone, aggiungendo come negli incontri con i propri omologhi i concetti e le priorità emerse sono diverse dalla sola cooperazione di Difesa. I punti centrali sono invece la gestione di “fenomeni migratori quasi ingestibili” e la “grave crisi economica innescata dalla pandemia e aggravata dalla guerra in Ucraina”. Quello che chiedono, dunque, “non è assistenza, ma cooperazione e sviluppo”. “Ho colto un sentimento di frustrazione”, ha affermato l’ammiraglio, a cui gli omologhi hanno comunicato di non essere semplicemente “le frontiere meridionali dell’Europa”.
Italia, ponte mediterraneo
In questo, l’Italia può avere un ruolo prezioso, dal momento che la politica militare nazionale “on ha mai avuto l’ambizione di esportare modelli culturali o di giudicare l’universo in cui opera”. Secondo quanto riferito da Cavo Dragone, “c’è la percezione da parte dei Paesi del Mediterraneo allargato che i canali militari sono preziosi” e “il punto di partenza della nostra politica militare resta la comprensione”. Per l’ammiraglio, “l’Italia è percepita come un ponte di dialogo, una porta d’accesso per l’Europa. Questo approccio è la chiave di volta di una nostra stabile posizione strategica nel Mediterraneo. Seguiamo dovunque una strategia di dialogo a tutto campo”.
In Kosovo, siamo i maestri della negoziazione
Questo ruolo italiano si è visto di recente anche in Kosovo, dove la presenza delle nostre Forze armate “allontana lo spettro della guerra alle porte di casa nostra”. Come registrato dall’ammiraglio “Per tanto tempo ho sentito mettere in discussione il valore della nostra presenza in Kosovo. Abbiamo compreso nelle ultime settimane quanto fosse importante restare. La nostra presenza garantisce il costante riallineamento di equilibri fluidi e ha offerto a tante generazioni l’opportunità di vivere in pace e prosperare”, aggiungendo come “i nostri militari stanno facendo il loro mestiere come al solito, sono maestri nella negoziazione”. Nella regione del nord del Paese la situazione resta tesa, ma non più ai livelli di scontro della settimana scorsa, ha riportato Cavo Dragone, rassicurando anche sullo stato di salute dei militari italiani rimasti feriti: “I ragazzi stanno tutti bene, tre erano quelli che destavano maggiori preoccupazioni, sono stati ricoverati all’ospedale di Pristina con due fratture alla tibia e una al polso, che verranno curate in maniera opportuna dalla struttura sanitaria, che dà tutte le garanzie”.
Filippine. Ucciso un altro giornalista, il terzo in un anno
della redazione
Pagine Esteri, 1 giugno 2023 – Con l’assassinio di Cresenciano Aldovino Bunduquin, freddato da killer nei giorni scorsi, sale a tre il numero dei giornalisti uccisi da quando il 30 giugno 2022 è diventato presidente Ferdinand Marcos Jr. L’omicidio di Bunduquin, giornalista della emittente Dwxr Kalahi Radio, noto per le sue inchieste sulla corruzione nell’amministrazione pubblica, è avvenuto a Calapan City, sull’isola di Mindoro. Due uomini lo hanno aspettato fuori da un negozio e gli hanno scaricato contro il caricatore di un’arma automatica. Il figlio del giornalista ha inseguito in auto i due sicari, in sella a una moto, e li ha investiti uccidendone uno.
Le Filippine si confermano uno Paesi dove è più rischioso fare il giornalista. Un netto peggioramento si è registrato a partire dal 2016, con l’inizio della presidenza dell’ex presidente Rodrigo Duterte. Il Paese è 132esimo su 180 nella classifica degli Stati dove si rispetta la libertà d’informazione. In particolare la radio è un media fondamentale attraverso il quale di frequente sono denunciati casi di corruzione di politici, di violazioni di diritti umani e civili. Quelli radiofonici sono la maggioranza dei giornalisti uccisi (101 su 198) dalla fine della dittatura di Ferdinand Marcos Sr, padre dell’attuale presidente. Pagine Esteri
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L’inganno
Ingannare gli altri non è commendevole, ingannare sé stessi è autodistruttivo. Al Partito democratico non è mancato il tempo per far metabolizzare la svolta, mancano le idee che possano far credere abbia una qualche sostanza.
Se si prendono le parole della destra, datate di appena due o tre anni, si trovano posizioni che sono all’opposto di quel che stanno facendo: il rifiuto dell’Unione europea, qualche picco con il proposito di uscire dall’euro, la convinzione che serva un blocco navale per fermare gli emigranti, l’opposizione netta alla (s)vendita di Ita, la contrarietà alle sanzioni verso la Russia. Ci trovate di tutto. Fiaccato lo slancio di Forza Italia, sono stati la Lega e Fratelli d’Italia a contendersi la guida della baracca, sparandola sempre più grossa. Poi Meloni ha visto il traguardo, ha capito di star correndo troppo velocemente perché qualcuno potesse fermarla e ha cominciato a tirare il freno. I non moderati di Forza Italia e gli scalmanati della Lega reclamavano lo sfondamento di bilancio, mentre la futura vincitrice si sentiva già (giustamente) responsabile del dopo e diceva: «No». La sinistra ha in mente di fare la stessa cosa? S’accomodi. Che serva a vincere sono affari loro, mentre la sicurezza che non serva all’Italia è affare di tutti.
La gara demagogica fra Pd e Cinque stelle non avrà un vincitore interno a una coalizione vincente, ma due sconfitti associati nel perdere. La destra ha ingannato i propri tifosi con la demagogia, ma i 5S – su quel terreno – sono campioni ineguagliabili. Se il Pd pensa di concedersi la propria stagione delle balle non inganna gli altri: inganna sé stesso, perché ne morirebbe.
Nelle nostre democrazie il tema della vita politica è reso evidente votazione dopo votazione: se va a votare la metà degli aventi diritto ciò non mette in dubbio la legittimità degli eletti, ma la loro solidità. Enrico Berlinguer predicava essere pericoloso proporsi di governare con il 50% + 1 dei voti, perché il Paese si sarebbe spaccato. Da molti anni si governa con assai meno. Prendere il 50% dei voti quando vota il 50% degli elettori significa avere il consenso del 25% dei cittadini. Risultato legittimo, ma assai poco solido e che il prossimo demagogo ribalterà.
Non si può continuare all’infinito a raccontare la povertà in ricchezza. Il nostro è un mondo ricco, con un welfare generoso, destinato alla bancarotta per denatalità. O si mettono in campo idee diverse sullo Stato sociale o si ha il coraggio di spiegare non ai ricchi (facile) ma ai poveri che servono più immigrati (quindi più legge e ordine) oppure si parla a vuoto. Con la denatalità e la globalizzazione la leva per il successo è l’istruzione qualificata, che la sinistra dovrebbe reclamare quale strumento di giustizia sociale. Sono lì a piagnucolare su presunti precari e troppo dura meritocrazia. Ma dove la vedono? Reclamare “i diritti” non significa un accidenti. I bambini nati e altrove registrati non possono che essere registrati anche da noi, allo stesso modo. Sfidare la destra sul terreno del rispetto delle tutele per i minori è cosa saggia. Accompagnarla con una gnagnera elencante tutte le possibili policromie delle preferenze sessuali serve soltanto a perdere credibilità, mentre dimenticare di ricordare la condanna per quella forma di schiavitù riproduttiva che è la surrogata serve a far escludere il consenso di chi s’informa e ragiona. Più che politicamente corretto è politicamente inetto e segnala una precisa scelta classista: sono dalla parte dei privilegiati che possono occuparsi del quasi niente e poi non votano, mentre i voti “popolari e degli operai” vanno alla destra.
Alle europee la destra potrebbe essere determinante in Ue. A quel punto che fanno a sinistra? Prendono i manifesti leghisti e li copiano o ragionano sull’errore d’avere perso l’aggancio occidentale nel momento decisivo della sfida della dittatura russa alle liberal-democrazie?
Per ingannare si deve essere lesti. Per ingannarsi è bastevole essersi spersi.
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In Cina e Asia – La Cina protagonista del codice di condotta Ue-Usa sull’IA
I titoli di oggi: La Cina protagonista del codice di condotta Ue-Usa sull’intelligenza artificiale La Cina deve modernizzare l’apparato della sicurezza nazionale L’Onu si dice preoccupata per la mancanza di donne ai vertici del governo cinese Caccia cinese sfiora aereo militare Usa Kim Jong Un soffre di insonnia e pesa 140 kg L’Unione europea e gli Stati Uniti lanceranno un ...
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In Africa e Medio Oriente i livelli di disoccupazione più elevati
della redazione
(foto ZMS/ILO)
Pagine Esteri, 1 giugno 2023 – Un rapporto pubblicato dall’Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) avverte che i paesi più poveri in Africa e Medio Oriente non riusciranno a tornare ai livelli di disoccupazione pre-pandemia. Gran parte della ripresa economica e della creazione di posti di lavoro sta avvenendo e avverrà nei Paesi ad alto reddito che si sono dimostrati resistenti, oltre le previsioni, agli shock economici, mentre quelli a basso reddito registrano tassi di disoccupazione costantemente elevati.
La disoccupazione in Nord Africa e negli Stati arabi, secondo gli studi dell’ILO, sarà rispettivamente dell’11,2% e del 9,3% nel 2023, al di sopra dei livelli pre-pandemia. L’America Latina, i Caraibi, l’Europa e l’Asia centrale e occidentale invece hanno visto calare la disoccupazione ai livelli precedenti alla crisi economica causata dalla diffusione globale del coronavirus.
Il crescente divario occupazionale si manifesta mentre l’economia mondiale crescerà solo del 2,8% nel 2023, in calo dal 3,4% nel 2022.
I dati già molto preoccupanti peraltro non dipingono un quadro completo della disoccupazione nei paesi a basso reddito.
L’ILO sottolinea che il divario occupazionale è ancora più grave se si tiene conto della percentuale di persone in età lavorativa che non riuscirà a trovare una occupazione. L’agenzia del lavoro stima che il divario occupazionale globale nel 2023 sarà dell’11,7% – che rappresenta circa 453 milioni di persone – con i paesi a basso reddito al 21,5%, rispetto all’8,2% di quelli ad alto reddito. Questa differenza è esacerbata da crisi che si rafforzano a vicenda, ossia gli effetti persistenti della pandemia e le guerre in corso, che hanno portato a un’inflazione galoppante, tassi di interesse elevati e al deprezzamento delle valute. I tassi di interesse sono al di sopra del 10% in 37 paesi con riflessi ampi sui prestiti e rendendo più difficile ripagare i debiti con gli istituti di credito.
Il direttore generale dell’ILO, Gilbert F. Houngbo, sottolinea che queste sfide impongono lo sviluppo di reti di sicurezza sociale in grado di resistere agli shock macroeconomici. “I risultati del nostro rapporto sono un duro promemoria delle crescenti disuguaglianze globali”, afferma Houngbo. “Investire nelle persone attraverso il lavoro e la protezione sociale contribuirà a ridurre il divario tra nazioni e persone ricche e povere”. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
#33 / Umani vs smart cities, robot e burocrati
La smart city che non ti aspetti
Iniziamo con una notizia dello scorso anno che però era passata in sordina: TIM e Google hanno unito le forze per dotare il piccolo comune di Cairo Montenotte (Savona) di una scintillante piattaforma intelligente per iniziare un percorso di trasformazione della città in una smart city e “migliorare la viabilità e la sicurezza della città”.
Il progetto si chiama Tim Urban Genius e si compone di tre aspetti principali: una serie di sensori e telecamere di videosorveglianza diffusi in tutta la città, un sistema d’intelligenza artificiale per l’analisi dei dati e una stanza dei bottoni (“Control Room”) da cui prendere decisioni operative.
Ogni settimana, il mondo che nessuno ti racconta: quello della sorveglianza di massa.
Secondo le dichiarazioni di TIM il sistema “effettua un monitoraggio dei mezzi in entrata e in uscita dal centro storico, un monitoraggio dei parcheggi, la gestione della videosorveglianza del cittadino e anche operazioni di lettura targhe auto.” Non è interessante che abbiano scritto “videosorveglianza del cittadino”? È la prima volta che lo vedo scritto, ma sicuramente rende bene l’idea.
I lettori più affezionati forse ricorderanno anche un altro progetto di smart city molto simile a questo, di cui abbiamo già parlato: la “Smart Control Room” di Venezia. In effetti, la piattaforma è proprio la stessa! L’anno scorso infatti TIM ha acquisito la società MindICity con cui già collaborava nella città di Venezia, rinominando poi la piattaforma in “Urban Genius”.
Come già fatto per il caso di Venezia, vale la pena ripeterlo: questi progetti trasformano l’amministrazione pubblica in una cabina di regia e i burocrati in ingegneri sociali. Così rischiamo di diventare ingranaggi in balia di un sistema complesso chiamato “smart city” senza più alcun controllo sulla nostra vita e sul contesto sociale che ci circonda.
Non si capisce bene quali necessità abbia un piccolo comune come Cairo Montenotte, ma nel frattempo l’intelligence statunitense ringrazia molto il sindaco per i preziosi dati. Recentemente Facebook è stato sanzionato per 1 miliardo di euro proprio per aver fatto la stessa cosa, ma immagino che se a farlo è la pubblica amministrazione possiamo tutti chiudere un occhio.
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Umano o robot? Fatti scansionare dall’Orbo.
E continuiamo a parlare di occhi con una notizia stavolta molto più recente. In questi giorni c’è tantissimo hype su un progettino su blockchain chiamato World Coin. Circa 1.700.000 persone hanno già aderito alla beta e il team di sviluppo ha raccolto diverse centinaia di milioni di dollari di finanziamenti. Ma perché parlarne? Almeno per due motivi. Il primo è che è un progetto di Sam Altman, quello di OpenAI.
Pare che Sam sia ossessionato dal bisogno impellente di distinguere robot ed esseri umani. Così, tra un’intelligenza artificiale e l’altra, ha deciso di impegnarsi in questo particolare progetto che promette di identificare e dimostrare l’umanità di ogni persona a livello globale e al tempo stesso garantire un incentivo economico grazie all’emissione di un token. In effetti, distinguere tra bot e umani online potrebbe presto diventare abbastanza complesso, date le sempre più crescenti capacità linguistiche di strumenti come chatGPT.
Questo ci porta al secondo motivo per cui vale la pena parlarne: l’identità fisica — o per meglio dire, la sua umanità viene confermata grazie all’acquisizione di dati biometrici dell’iride. World Coin usa infatti un protocollo chiamato “Proof of Personhood” legato all’emissione di un World ID creato a partire dai dati biometrici univoci di ognuno di noi.
Per farlo, hanno inventato un complesso (e anche abbastanza inquietante) dispositivo hardware e software chiamato The Orb.
L’occhio di Sauron
L’Orb promette di essere uno strumento sofisticatissimo per carpire appieno l’enorme ricchezza di dati biometrici contenuti nell’iride umana, scelta appositamente per la sua unicità e complessità. Attraverso l’iride infatti secondo il team di sviluppo è possibile creare ID univoci in grado di resistere ad attacchi Sybil1 e differenziare con precisione tra miliardi di umani diversi tra loro.
Le ultime versioni dell’Orb sono già in corso di produzione in Germania e anche il network di “Worldcoin Operators” per registrare i propri dati biometrici e ottenere un World ID, è in corso di diffusione in tutto il mondo.
Una volta scansionato l’occhio, all’utente viene rilasciato un World ID sul dispositivo personale, che permetterà a livello globale di autenticarsi online e dimostrare di essere un umano senza dover rilasciare informazioni personali. Una specie di Self Sovereign Identity che al posto della crittografia e matematica usa l’analisi biometrica per creare un ID univoco per autenticare le persone online. Quelli di World Coin promettono comunque che i dati biometrici saranno distrutti una volta emesso il World ID…
Binance sospende il trading di “privacy coin” in alcuni paesi europei
Ebbene, alla fine ci siamo arrivati.
Binance ha deciso di sospendere l’acquisto e la vendita dei cosiddetti “privacy coin” come Monero in alcuni paesi europei: Italia, Francia, Spagna e Polonia.
Come riportato anche da Criptovaluta.it il motivo è che i “privacy coin” offuscano le transazioni e quindi non permettono agli operatori di rispettare le normative sul tracciamento delle transazioni recentemente approvate in UE (MiCa, AML-CTF). Una mossa che non dovrebbe stupire chi mi legge regolarmente, ma che neanche io mi aspettavo così presto, dato che le leggi non sono ancora in vigore.
Il risultato, purtroppo per noi, è che milioni di persone in UE avranno presto molta più difficoltà a usare degli strumenti molto utili per proteggere la propria privacy. Quali interessi sta proteggendo il legislatore europeo nel vietare (di fatto) questi privacy coin, e perché la privacy viene così tanto criminalizzata?
La risposta è dentro di voi. Ma anche perché oggi gli Stati-nazione sono in crisi. Per preservare i loro equilibri estremamente precari è necessario sempre più controllo. La sorveglianza, anche finanziaria, diventa uno strumento fondamentale per permettere a ingegneri sociali e algoritmi di plasmare le azioni e pensieri delle masse. La privacy è un ostacolo da abbattere.
Meme del giorno
Citazione del giorno
My gift of self is rapedgenius.com/1954609/Alice-in-ch…My privacy is raked
And yet I find, and yet I findgenius.com/28293979/Alice-in-c…Repeating in my head
If I can't be my owngenius.com/24568466/Alice-in-c…I'd feel better dead
Alice in Chains
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Un attacco Sybil è un attacco che si verifica quando un singolo utente è in grado di creare molte identità false in una rete. Queste possono poi essere usate per influenzare il funzionamento della rete a vantaggio dell’attaccante o in modi che ne alterano l'integrità o la funzionalità.
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Dopo gli Emirati, l’Arabia Saudita. Stop alle limitazioni sull’export di armi
In linea con la scelta fatta nell’aprile scorso nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, il Consiglio dei ministri “ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione” stabiliti dalla legge, “essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia”. Le motivazioni per le precedenti limitazioni, decretate tra il 2019 e il 2020, sono “venute meno”.
“Il contesto regionale in Yemen è cambiato, a cominciare dagli sviluppi sul terreno”, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi. “Da aprile 2022, anche grazie alla tregua convenuta tra le parti, le attività militari sono fortemente rallentate e circoscritte. La significativa riduzione delle operazioni belliche comporta un’attenuazione altrettanto significativa del rischio di uso improprio di bombe d’aereo e missili, in particolare contro obiettivi civili. Riad ha portato avanti una intensa attività diplomatica a sostegno della mediazione delle Nazioni Unite e al contempo ha agito anche sul fronte economico e dell’assistenza umanitaria in maniera determinante”.
La paura di governare
Un vero bilancio sarà possibile solo quando si sarà conclusa la sua parabola. Ma forse l’esperienza del governo Meloni ci consentirà già prima di allora di comprendere quali siano i vincoli, i limiti e le possibilità di azione di un governo dell’Italia democratica nelle condizioni di oggi. Sulla carta, questo esecutivo gode di vantaggi superiori a quelli di molti che lo hanno preceduto: una forte maggioranza parlamentare, una opposizione debole, radicalizzata e divisa, l’aspettativa di una lunga durata.
È un insieme di condizioni che rende possibile tentare di rispondere a una domanda: ha ragione o torto chi pensa che i partiti (non importa il colore politico) se vincono le elezioni, siano sempre dotati di una personalità scissa? È vero o no che tali partiti siano, da un lato, spesso, ottime macchine elettorali, efficienti strumenti per la raccolta del consenso e, dall’altro, se si guarda alle loro performance come forze di governo, semplici gestori dello status quo (salvo qualche correzione al margine)? Intendiamoci su ciò che significa in questo caso status quo: significa che chi va al governo ne fa una occasione per sostituire personale nei posti-chiave di nomina governativa e che, per il resto identifica il «governare» nel modo in cui lo si è sempre inteso in Italia: spendere risorse per acquisire consenso.
Gli interventi a margine sono quelli ad alto contenuto simbolico (es. abolizione del reddito di cittadinanza, o interventi normativi in tema di immigrazione). Gestione dello status quo significa che le strozzature, gli ostacoli, le disfunzioni, i lacci che da sempre opprimono il Paese non vengono presi di petto: una cosa che si potrebbe fare solo con un vasto piano di riforme le quali, identificate con la massima precisione possibile le cause delle strozzature, siano finalizzate a rimuoverle. Con effetti positivi che, inevitabilmente, si manifesterebbero non nel breve ma nel medio-lungo termine. L’assenza di quelle riforme è nascosta da un diluvio di annunci di provvedimenti che i ministri fanno e che, anche quando vengono attuati (la maggior parte degli annunci però si perde normalmente per strada) non intaccano, o intaccano solo in minima parte, le suddette strozzature e disfunzioni.
Traggo due esempi da altrettanti editoriali apparsi sul Corriere nell’ultima settimana. Sabino Cassese (Corriere del 27 maggio) ha documentato come il recente decreto ufficialmente volto a rafforzare la capacità amministrativa dello Stato abbia la sola funzione di assumere nuovi dipendenti e di stabilizzare quelli assunti a tempo indeterminato. Osserva che il decreto non affronta alcuno dei problemi che determinano l’inefficienza dell’amministrazione. «Non è un aumento del numero di dipendenti pubblici — conclude Cassese — l’obiettivo a cui puntare ma piuttosto il miglioramento del servizio alla collettività e un miglior trattamento stipendiale per quelle categorie pubbliche che non hanno prospettive di carriera o per quelle qualifiche che trovano sul mercato condizioni migliori…». In sintesi: assunzioni al posto di interventi sulle disfunzioni dell’amministrazione. Come si è sempre fatto.
Ferruccio de Bortoli ( Corriere del 28 maggio) osserva che uno dei più gravi problemi dell’Italia riguarda il capitale umano: mancano le competenze di cui tanto le aziende quanto l’amministrazione hanno bisogno. Di sicuro, nessun governo, in pochi mesi, può risolvere un problema di questa portata né rimuovere le sue cause. Però gli esecutivi che si sono succeduti se ne sono sempre disinteressati. Se ne disinteresserà anche l’attuale? Le ragioni per le quali lo status quo, anno dopo anno, e quali che siano i partiti al governo, viene preservato, sono piuttosto chiare. Spendere per assumere personale è facile, affrontare le strozzature non lo è. Per tre ragioni. La prima è che riformare significa coinvolgere una rete di persone, gruppi e istituzioni toccati dal provvedimento e con cui è inevitabile negoziare. La seconda è che seri interventi riformatori (in qualunque ambito) suscitano opposizione, mobilitano una grande quantità di interessi, grandi e piccoli, che si sentono minacciati. Riformare significa colpire rendite diposizione. E suscitare conflitto. Mentre le ricadute in termini di consensi di provvedimenti di assunzione sono sempre positive, le ricadute di seri interventi riformatori possono essere invece negative. Chi ha voglia, ad esempio, di scontrarsi con i sindacati del pubblico impiego o con l’alta dirigenza? La terza ragione è che intervenire su disfunzioni e strozzature non porta al politico alcun beneficio nel breve termine. I vantaggi per la collettività, se ci saranno, si manifesteranno in tempi differiti. In ogni caso, troppo lunghi perché chi governa possa ricavarne maggiori consensi.
Tuttavia, come si è detto, il governo Meloni gode di condizioni eccezionalmente favorevoli. Ha, almeno sulla carta, la possibilità di giocarsela bene. Ha la possibilità di dimostrare che la tesi sopra citata sulla personalità scissa dei partiti è sbagliata. Prendiamo il problema più grave che c’è (da sempre) in Italia, e che, come osserva Cassese, riguarda la «storica incapacità» dell’amministrazione. Una storica incapacità, detto per inciso, che pesa e peserà moltissimo, e negativamente, sulla gestione dei fondi Pnrr. Il governo potrebbe, e dovrebbe, presentare al pubblico un piano articolato per affrontare almeno alcune fra le principali cause della inefficienza amministrativa. Dovrebbe, in modo trasparente, indicare problemi e soluzioni scelte. Una seria riforma dell’amministrazione non avrebbe la valenza identitaria e forse nemmeno la forza simbolica di un cambiamento della forma di governo (presidenzialismo o altro). Ma un esecutivo che sul serio vi si impegnasse lascerebbe davvero il segno.
L'articolo La paura di governare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Dall’underwater al cruise. Il futuro di Fincantieri spiegato da Folgiero
Fincantieri è pronta a puntare sempre più sul segmento dei sottomarini. Il gigante cantieristico realizzerà infatti, dopo l’approvazione del Parlamento, il terzo sottomarino Nfs di nuova generazione della Marina militare italiana nella cornice del programma U212NFS (Near future submarine). Investire nell’underwater e nei sottomarini è un’esigenza sottolineata anche dall’amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, appena sentito in audizione presso la Commissione difesa della Camera dei Deputati, chiamato per parlare proprio delle tematiche relative alla produzione di beni e servizi di interesse per la dotazione di mezzi del settore della Difesa. Con un fatturato di circa 7,5 miliardi di euro di fatturato e la presenza in 18 Paesi, Fincantieri conta otto cantieri in Italia che creano un indotto notevole e rappresentano importanti siti di produzione volti all’esportazione.
Fincantieri per la Marina
“Il programma Nfs ci vede ricoprire sia il ruolo di design authority che quello di prime contractor e il suo prosieguo rappresenta un’importante conferma delle leadership tecnologiche e gestionali di Fincantieri, in piena continuità con quanto delineato dai capisaldi del nostro piano industriale”, ha spiegato Folgiero. Il programma, che comprende già due battelli contrattualizzati nel 2021, prevede inoltre il relativo in service support e la realizzazione del Training center, ed è gestito dall’organizzazione internazionale di cooperazione per gli armamenti (Occar). La consegna dei primi due battelli è prevista rispettivamente per il 2027 e il 2029. Gli innovativi sottomarini U212NFS prevedono significative modifiche progettuali tutte sviluppate autonomamente da parte di Fincantieri, in accordo con i requisiti requisiti stabiliti dalla Marina militare. Tale programma risponde alla necessità di garantire adeguate capacità di sorveglianza e di controllo degli spazi subacquei.
Dominio underwater…
Nel corso dell’audizione a Montecitorio non si poteva dunque non fare riferimento alla dimensione underwater, che ormai dallo scorso settembre e dal sabotaggio ai danni del Nord Stream è al centro dei ragionamenti del mondo militare, fino a diventare un vero e proprio nuovo dominio operativo: quello sottomarino. “La sfida del dominio sottomarino richiederà una importante sinergia nel nostro comparto industriale della Difesa, sinergia che sarà certamente stimolata dalla creazione del Polo nazionale della subacquea che sorgerà a La Spezia”, ha sottolineato infatti il presidente della Commissione difesa a Montecitorio, Nino Minardo, nel corso dell’audizione.
… e sottomarini
“Sul mondo dei sottomarini c’è molto da fare ed è un dominio su cui Fincantieri intende cimentarsi, perché quello sottomarino rappresenta un’esigenza operativa diffusa”, ha evidenziato Folgiero. Il dominio sottomarino diventa operativamente sempre più rilevante e si tratta di un mercato ad oggi diviso in due, da una parte i sommergibili nucleari e dall’altra i sottomarini tradizionali, di cui Fincantieri, come ribadito dal suo ad, è uno dei principali produttori al mondo. In tale quadro, è stata studiata la sovranità tecnologica di Fincantieri sui sottomarini tramite il sottomarino Nfs. Mediamente, il gigante cantieristico esercita un controllo tecnologico di circa il 30%. Le due grosse mancanze riguardano la parte di acciaio in senso stretto, i cui produttori sono tedeschi, e il sistema di lancio e di propulsione, per i quali si è ancora dipendenti dalla Germania. L’obiettivo è di portare quel quasi 30% al 57%. In ultimo, non si deve dimenticare la subacquea civile, che richiede sempre più sicurezza sia per i rifornimenti energetici sottomarini sia per le telecomunicazioni, per cui Fincantieri si propone di diventare un aggregatore e un acceleratore di una visione di occupazione del dominio subacqueo in grado di dialogare con tutti gli attori coinvolti, militari e civili.
La partnership con Leonardo
È ormai chiaro il grande aumento di domanda di spesa militare navale a livello globale. Per far fronte alle nuove esigenze che rispecchiano tale trend di crescita, e considerando il concetto di capacità di integrazione tra carico della nave e scafo-piattaforma, Fincantieri collaborerà sempre più con Leonardo per coprire tutta la linea. “Fincantieri per essere prime contractor dell’export ha bisogno di accedere alle competenze di Leonardo su tutta la parte che si mette sopra la piattaforma. Questo significa che Orizzone sistemi navali, la joint venture tra Fincantieri e Leonardo, nel nuovo ciclo industriale diventa molto importante”, ha spiegato Folgiero. “Il progetto di rafforzamento della partnership con Leonardo passa per un rafforzamento della joint venture dove andremo a concentrare le competenze di integrazione al sistema nave”, ha poi concluso l’ad.
I prossimi passi di Fincantieri
“La vocazione di Fincantieri è uscire dal ruolo di piattaformista per essere vicini ai clienti, fornendo servizi durante la vita della nave fino alla gestione della base a terra. E continuare a integrare sempre più sistemi a bordo ed essere leader nella installazione a bordo della nave di tutti i sistemi anche digitali”. Questa è stata la roadmap descritta dall’ad di Fincantieri per il futuro della società. Il piano di Fincantieri per il prossimo futuro, secondo quanto descritto da Folgiero, si basa su cinque macro-azioni: focalizzazione verticale sul business della cantieristica, concentrandosi sul rafforzamento degli otto cantieri italiani, con la modernizzazione; essere più vicini ai clienti fornendo servizi durante il ciclo vitale della nave; continuare a integrare sempre più sistemi a bordo, e confermare la leadership nell’installazione di sistemi anche digitali; maggiore attenzione alla disciplina finanziaria per contenere l’indebitamento; e infine interpretare la domanda di sostenibilità in termini industriali. In merito a questo ultimo aspetto, per Folgiero bisogna puntare su navi sempre più sostenibili: “Essere pionieri della nave digitale nella nave a basse emissioni per passare da una nave che oggi riduce le emissioni del 30% a una nave che a fine percorso di trasformazione del settore arriverà prima al 55% e poi a 0”.
Dalla ripartenza del cruise al mercato militare
“Il mercato della crocieristica ha sofferto moltissimo con il Covid, piano piano i grandi armatori stanno tornando a riempire le navi, rigenerando cassa e riequilibrando i bilanci pesantemente impattati dal fermo navi legato alla pandemia. Nel settore del cruise il mercato armatori è in ripartenza e in procinto di riavviare gli investimenti”, ha raccontato ancora Folgiero, evidenziando in ultimo ancora come nel mercato militare post Ucraina stia crescendo la spesa navale per la Difesa.
In Pizzo
Escluderei che la presidente del Consiglio possa anche solo immaginare di paragonare lo Stato alla mafia, l’onore della Repubblica alla disonorata società. Vero che i comizi sono comizi, ma vero anche che le parole sono parole e hanno un significato. Queste sono state le sue: «L’evasione (fiscale, ndr.) devi combatterla dove sta: big company, banche, non sul piccolo commerciante a cui chiedi il pizzo di Stato solo perché devi fare la caccia al reddito più che all’evasione fiscale». Non soltanto non va bene, ma segnala una vicinanza, anzi una coincidenza fra le posizioni della destra e quelle della più estrema sinistra.
Il fisco – se funziona, e farlo funzionare tocca a chi governa – non dà “la caccia” al reddito e neanche al patrimonio, ma cerca di scovare i redditi e i patrimoni non dichiarati o mascherati, con illecita sottrazione di gettito fiscale. Quella sottrazione comporta due conseguenze: a. gli evasori si fanno pagare strade, scuole, ospedali, pensioni e tutto il resto dai contribuenti onesti; b. le imprese, piccole o grandi che siano, quando evadono fanno concorrenza sleale alle imprese oneste. Lo Stato che non persegue l’evasione, quindi, è loro complice ed è nemico delle persone e delle imprese per bene.
Nei giorni scorsi un tassista ha segnalato di avere e dichiarare un reddito decoroso, utilizzando carte di credito e bancomat per farsi pagare, ma ha anche aggiunto che molti (moltissimi, troppi) suoi colleghi si regolano diversamente, dichiarando redditi da fame che, in realtà, sono il risultato di evasione fiscale. Posto che gli hanno anche tagliato le ruote, comunicargli che i “piccoli” non devono essere costretti a pagare il dovuto è come dirgli che è un fesso. Definizione che si deve a Prezzolini, che la destra dice di avere caro. Una doppia offesa: all’onestà fiscale e al suo essere vittima di vandalismo intimidatorio. Legge e ordine dovrebbero essere (giustamente) cari alla destra.
In quella distinzione fra “piccoli” e “grandi” si annida un altro equivoco, fattuale e culturale. Nella realtà è evidente che un singolo evasore, se è grande, sottrae di più all’erario rispetto all’avere un giro d’affari limitato, ma è anche vero che il montante complessivo dell’evasione è dato dal sommarsi di tante evasioni. E in quella miriade di scontrini non battuti, di ricevute non rilasciate e di fatture non emesse gli evasori non sono soltanto quanti incassano, ma anche quanti pagano. Così l’Italia ha il triste primato della più alta quota europea di Iva evasa. Si tratta della ricorrente domanda, dall’idraulico al ristoratore: «Con o senza Iva?». Un Paese in cui viene formulata qualche migliaio di volte al giorno non sarà mai un Paese onesto. E manco una Nazione rispettabile.
Poi c’è il lato culturale, che vede l’evasione come un male legato alla ricchezza, con ciò stesso indirizzandole un giudizio moralmente negativo. In questo destra e sinistra ideologiche si somigliano come due gocce d’acqua. Come se la miseria fosse moralmente ammirevole. Tanto è forte questo pregiudizio da avere generato il concetto di “evasione per necessità”, che sarebbe poi la confessione di avere governato o star governando un fisco ingiusto per esosità. Che è pure vera, quest’ultima cosa, ma non la si affronta dando a me del pagatore di pizzi, offendendomi, ma costringendo tutti a pagare, diminuendo le spese e così il bisogno di portar via soldi alle libere scelte dei privati.
Accertare l’evasione è compito dello Stato, senza criminalizzare cittadini e imprese e senza giustificare la disonestà. Ha gli strumenti per accertamenti sui grossi e deve spingere per la tracciabilità dei piccoli. Due cose possibilissime usando i dati. Lavorino su quello, ricordando d’essere partiti male, sfottendo gli onesti che usano il Pos, come il nostro benemerito tassista.
Quelle parole sono un errore, che giustifica un comportamento asociale. Escludo fosse nelle intenzioni, ma quello significano. Averle pronunciate per prendere voti è di suo inquietante.
L'articolo In Pizzo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Serve un servizio militare volontario nazionale? Risponde Farina
Periodicamente si torna a parlare dell’opportunità di prevedere un servizio militare su base volontaria. L’argomento è stato rilanciato ai massimi livelli dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a Udine in occasione dell’Adunata nazionale degli Alpini il 14 maggio scorso. Sul tema si era espresso più volte anche il presidente del Senato, Ignazio La Russa, prefigurando una proposta di legge per istituire una “Mininaja” della durata di 40 giorni per i giovani che volontariamente desiderassero fare questa esperienza. Queste proposte, benché enunciate in modo sintetico, sono tutt’altro che campate in aria e meritano una giusta considerazione.
Le reazioni
Tuttavia, come spesso accaduto anche in passato, tali idee tendono a generare reazioni di vario tipo. La prima, da parte di coloro che vorrebbero il ripristino del servizio di leva obbligatorio (sospeso dal 2006) finalizzato non solo alla formazione del cittadino soldato per la difesa della Patria, ma anche funzionale per garantire una esperienza di vita fondata sulla disciplina e sui doveri che – a loro dire – contribuirebbe ad accrescere il senso civico e la maturazione dei giovani che sempre più rifuggono dai concetti di autorità, senso di responsabilità e spirito di gruppo. Il secondo moto d’opinione contesta decisamente qualsiasi idea di un ritorno al servizio di leva, sia pur volontario e di breve durata, considerando assai validi altri percorsi per migliorare il senso di cittadinanza e il contributo alla collettività, quali ad esempio i servizi nel terzo settore, nel sociale e nelle iniziative di volontariato in generale. Entrambe le posizioni, pur rispettabili, non colgono l’essenza della questione.
L’organico delle Forze armate è sufficiente?
La domanda cui si dovrebbe dare risposta è la seguente: l’organico attuale delle nostre Forze Armate è sufficiente per far fronte ai mutati scenari di sicurezza e alle molteplici emergenze che sempre più frequentemente affliggono il nostro Paese? La risposta è no. Difatti l’organico di Esercito, Marina e Aeronautica, ridotto da 190mila a 150mila unità complessive con la legge 244 del 2012, è stato ritenuto insufficiente ad affrontare le nuove sfide che vedono il ritorno della guerra nel continente europeo e un quadro di crisi e instabilità che si estende su un ampio arco a est e a sud del Mediterraneo, con il nostro Paese proprio al centro delle aree di instabilità.
Riserva ausiliaria
E proprio sulla base del mutato scenario di sicurezza il nostro Parlamento, con la legge 119 del 5 agosto del 2022, ha già delegato il Governo a definire la costituzione di una Riserva ausiliaria dello Stato pari a diecimila unità. Tale riserva verrebbe ripartita su base regionale alle dipendenze delle Forze armate, con compiti di impiego in caso di conflitti, grave crisi internazionale o per emergenze e calamità nazionali, nonché con funzioni in campo logistico e di cooperazione civile-militare. Siamo quindi di fronte a valutazioni solide e a un quadro condiviso in cui all’evidente esigenza si associa la volontà politica e la presenza di un impianto legislativo idoneo per procedere in tal senso. Un servizio militare volontario e limitato nel tempo costituirebbe un’importante fonte di alimentazione di detta Riserva ausiliaria dello Stato. A fronte di una chiara esigenza perché quindi non consentire a un giovane cittadino italiano, che decide di non intraprendere la carriera professionale nelle Forze armate, di avere l’opportunità, se lo desidera, di essere addestrato in campo militare per un periodo limitato per contribuire alla difesa e alla sicurezza dei suoi connazionali? Perché privarsi di una capacità importante ottenibile senza limitare alcuna libertà personale? Ci sono pertanto tutte le premesse per procedere in tal senso.
Prossimi passi
Si tratta ora di prefigurare il percorso addestrativo e il successivo eventuale impiego, improntati a ottimizzare il rapporto costi-benefici. Ad esempio, si potrebbe stabilire una fase di addestramento basico della durata variabile, compresa tra le 8 e le 12 settimane, in funzione degli incarichi da assegnare. Due o tre mesi di intenso addestramento, da svolgere nei mesi estivi, sarebbero poi facilmente compatibili con gli iter formativi scolastici-universitari dei giovani cittadini militari volontari. Terminata la formazione iniziale, i volontari del Servizio nazionale verrebbero inquadrati in unità già esistenti, dislocate nelle regioni di provenienza su tutto il territorio nazionale. Questo personale conserverebbe il proprio posto di lavoro civile, avrebbe uno “status militare” e potrebbe essere disponibile ad un richiamo addestrativo annuale della durata di 15-20 giorni.
I costi
Per ciò che concerne i costi, si evidenzia che la citata legge 119 ha previsto lo stanziamento di circa 50 milioni annui, defalcati dai risparmi della legge 244/2012, per i soli oneri di richiamo del personale; oltre ai quali dovranno essere previsti gli oneri di selezione, vestizione, equipaggiamento, mezzi e materiali, istruttori, e infrastrutture. Si potrebbe procedere con gradualità, prevedendo una fase sperimentale nei primi due anni con un reclutamento tra 1500 e 2000 volontari all’anno, per poi passare a regime su un reclutamento annuale di 3000 Volontari, sufficienti per alimentare un bacino di 30mila unità in dieci anni. Ciò consentirebbe, con ampia flessibilità, il richiamo fino al massimo di diecimila unità previste per l’eventuale impiego della Riserva ausiliaria dello Stato nei casi di massime emergenze.
Un supporto alle emergenze
In quanto all’utilità di un siffatto bacino di forze Volontarie, basti pensare alle calamità che purtroppo hanno interessato il nostro Paese negli ultimi decenni (terremoti, Covid-19, frane, inondazioni, ecc.) e che proprio in questi giorni affliggono una vasta parte del nostro Paese. La disponibilità di un battaglione aggiuntivo di riservisti volontari su base regionale o areale (con dotazioni di mezzi e materiali) consentirebbe immediato intervento in supporto alla Protezione civile e agli altri organi dello Stato con tempestività ed aderenza. C’è già un modello in tal senso: il battaglione Alpini “Vicenza” costituito in seno al 9° reggimento Alpini a L’Aquila, alimentato da personale in servizio permanente. Replicare tale schema con i volontari della Riserva ausiliaria sarebbe agevole e assai meno dispendioso del reclutamento di analoga aliquota in servizio permanente. Le differenti specificità delle tre Forze armate indicheranno poi anche compiti in campo logistico e di supporto che sono altrettanto importanti per sostituire temporaneamente il personale professionista inviato in missioni di difesa, sicurezza e gestione delle crisi internazionali.
Basi solide
Ecco in definitiva che gli intendimenti dei nostri governanti sull’istituzione di un servizio militare volontario e temporaneo poggiano su basi solide. Si tratta di un’iniziativa nobile che accrescerebbe ancor più il legame tra le nostre Forze armate, il territorio e i nostri concittadini. È giunto il momento di mettere da parte la retorica e le critiche argomentate con titoli semplificativi. Il Governo ha tempo fino a fine agosto per esercitare la delega conferitagli dal Parlamento e definire in concreto i parametri della Riserva ausiliaria dello Stato.
La Guerra tiepida. La sfida dell’Occidente per Casini e Manciulli
Gli strumenti della deterrenza e dell’equilibrio non bastano più. Lo scenario internazionale è caratterizzato contemporaneamente dalla competizione globale “fredda” tra potenze e da conflitti “caldi”. È la guerra tiepida, teorizzata nel nuovo libro chiamato appunto “La guerra tiepida. Il conflitto ucraino e il futuro dei rapporti tra Russia e Occidente”, di Enrico Casini e Andrea Manciulli (edito dalla Luiss University Press), presentato ieri alla sede dell’ateneo con la moderazione di Flavia Giacobbe, direttore delle riviste Airpress e Formiche. Questo nuovo tipo di confronto “intermedio tra lo scontro militare e l’equilibrio della tensione”, come lo ha definito il direttore generale dell’Università Luiss Guido Carli, Giovanni Lo Storto, richiede “l’analisi di specialisti che possano ipotizzare come sarà il monto dei prossimi anni, con una Europa nel vortice della Storia”. Per la vice presidente della Luiss, Paola Severino, il libro “analizza le premesse e il contesto di questa guerra tiepida” attraverso una “metodologia seria con diversi studiosi che analizzano i fenomeni”.
La Guerra tiepida
Alla base del libro, per Enrico Casini c’è “la volontà di fare chiarezza nel caos in cui siamo stati immersi, dove si confondevano invasi e invasori e non si distinguevano le origini del conflitto”. Per questo scopo il volume è diviso in due parti, una dedicata alle radici storiche, dal rapporto tra Mosca e Kiev dopo la dissoluzione dell’Urss, alla svolta impressa alla politica russa da Putin. La seconda parte è invece dedicata a una riflessione sulle possibili conseguenze. Sul titolo “Guerra tiepida” è intervenuto anche Andrea Manciulli, che ha spiegato come si tratti di un “termine per il futuro”. “Non stiamo assistendo solo alla guerra in Ucraina, ma siamo in una fase della storia di discrimine geopolitico”. Dopo la fine della guerra fredda, per l’autore, ci si è illusi che la democrazia avesse vinto; invece, “è stata coltivata con attenzione scientifica la disgregazione dei valori dell’Occidente”. Le sfide del resto sono tante, oltre quella ucraina a est, c’è l’Artico, ormai navigabile, e le fragilità dell’Africa. “L’Europa è circondata” ha detto Manciulli e si trova “in una nuova fase della storia in cui non c’è più solo l’equilibrio del freddo, ma ci sono tanti conflitti, importanti sia per la geopolitica che per la nostra vita quotidiana.
Lo scontro tra democrazia e autocrazia
Per la Difesa italiana è evidente che questa guerra abbia superato i confini europei, e si sia spostata in tutto il mondo e, più vicino a noi, nel Mediterraneo. A dirlo è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Quello che serve, dunque, è che la politica “assuma uno sguardo più che decennale”. Il problema, ha sottolineato il ministro, è che “l’Europa per troppo tempo ha assunto un approccio burocratico, ma manca una volontà politica complessiva, cosa che hanno invece singolarmente i Paesi del Vecchio continente”. La domanda che si è posto il ministro, infatti, è “come si comporterebbe l’Unione se gli Usa ritirassero il proprio sostegno all’Ucraina?”. La complessa risposta è che se per alcuni non cambierebbe nulla, per altri invece sì. “È un momento in cui si scontrano due modelli, le democrazie e le autocrazie; il problema è che le democrazie sono più lente nelle decisioni, che possono sempre cambiare, e hanno catene di comando più lente”. Inoltre, il modello democratico, ha sottolineato Crosetto, prevale nella parte agiata del mondo, “incapace di avere la stessa voglia di combattere di chi vive nella parte povera”. Ci troviamo nella condizione di dover difendere “il modello di società dove si sta meglio, ma che sconta delle debolezze quando si scontra con le autocrazie”.
Un cambio culturale
Uno scontro che si combatte anche sul piano della comunicazione. “La Russia ha dimostrato di avere una StratCom più avanzata di noi; noi parliamo di pace o guerra, mentre dovremmo parlare di resa o resistenza, repressione o libertà. Noi stessi siamo stati contaminati”. “Come ho detto al Copasir – ha raccontato ancora Crosetto – la guerra finirà quando chi sta bombardando smetterà di farlo”. Per il ministro “la guerra è una cosa brutta, ma purtroppo l’unico modo per allontanarla è combattere chi vuole la guerra”. Quello che serve, dunque, è uno sforzo dell’intera classe dirigente per cercare di capire cosa potrà succedere tra vent’anni, “individuando i passi da fare per cambiare la cultura del nostro Paese ed europea, togliendo la sedimentazione di decenni per cui ci faceva schifo quello di cui avevamo bisogno”. Per Crosetto, “riscoprire questo percorso è l’unico per assicurare un futuro incarnato dalle democrazie”.
Destabilizzazione globale
Per il presidente della Fondazione MedOr, Marco Minniti, “non solo è una guerra tiepida, ma sarà anche una guerra lunga”. Il punto è che non può esserci pace “fondata sulla pace di un popolo, e chi lo chiede non sa di cosa parla”. Per Minniti, la guerra si combatte su due fronti, il primo materiale, sui campi di battaglia ucraini, “poi c’è una guerra asimmetrica, fatta di molte cose, dall’energia, al cyber”. L’obiettivo, spiega ancora il presidente di MedOr, è la destabilizzazione del mondo “che ha un epicentro: il Mediterraneo”. Per Minniti, infatti, l’obiettivo delle autocrazie è creare “tali e tante tensioni che sfaldano i legami e colpiscono lo schieramento occidentale” e l’elemento oggi più preoccupante è la conduzione di questa guerra asimmetrica in Africa. “Non c’è una grande regia strategica dietro, ma ci sono eventi e fatti che fanno comodo a Mosca e Pechino”.
Serve un’analisi approfondita
Come ha registrato il direttore generale dell’Agenzia industrie difesa, Nicola Latorre, “c’è stata superficialità nel valutare la strategia di Putin alla conferenza di Monaco nel 2007, in Georgia nel 2008, e poi in Crimea nel 2014”. Una superficialità dettata dal prevalere degli interessi economici invece che geopolitici. “La storia non si fa con i se – ha continuato il direttore generale – ma bisogna fare tesoro delle esperienze”, e non è la prima volta che succede all’Europa di sbagliare valutazioni, come successo con le Primavere arabe. L’obiettivo dell’analisi, allora, deve essere sviluppare un “margine di prevedibilità nella complessità di una partita enorme come quella che si sta giocando per ridefinire gli equilibri mondiali”.
Lo scontro sull’informazione
Il tentativo di destabilizzazione non si limita agli scenari esteri, ma accade anche nelle nostre società. “Nel nostro Paese il fenomeno della disinformazione ha due facce” ha spiegato la giornalista Monica Maggioni, “da una parte c’è chi decide di usare le informazioni per portare avanti un proprio credo ideologico, dall’altro c’è invece un deficit di consapevolezza”. Il punto, è che la guerra si combatte a Kiev e dentro le case di ognuno di noi: “si scontrano due visioni del mondo, progetti diversi sugli equilibri del globo”. Il problema è che negli Stati totalitari, in cui l’informazione è controllatissima, e i media tradizionali sono sotto scrutinio estremo da parte dello Stato, si è costruito un sistema di disinformazione sistematica a uso del nemico tra i più avanzati al mondo”.
Ministero dell'Istruzione
#PNSD, fino al prossimo 15 giugno si svolgerà la consultazione pubblica lanciata dalla Direzione generale per i fondi strutturali per l’istruzione, l’edilizia scolastica e la scuola digitale del Ministero, con l’obiettivo di raccogliere pareri e cont…Telegram
Fronte popolare-comando generale: raid Israele ha ucciso 5 nostri militanti
della redazione
Pagine Esteri, 31 maggio 2023 – Cinque membri del Fronte popolare per la liberazione della Palestina comando generale (Fplp-cg), sono stati uccisi oggi da una potente esplosione avvenuta nella cittadina di Qousaya, nel Libano meridionale, a ridosso del confine con la Siria e a circa 70 chilometri da quello con Israele. L’organizzazione palestinese ha accusato lo Stato ebraico di aver colpito la sua base. Forse con un drone o un missile sganciato da alta quota da un cacciabombardiere, affermano alcune fonti. Nell’attacco sarebbero rimaste ferite altre dieci persone, due delle quali in modo grave ha detto Anwar Raja, portavoce del Fplp-cg.
Da parte sua Israele nega di aver effettuato un attacco aereo sul confine libanese-siriano.
Un dirigente del Fplp-cg, Abu Wael Issam, ha detto all’Associated Press che il suo gruppo si vendicherà “al momento opportuno”. Ha aggiunto che l’attacco non dissuaderà i combattenti palestinesi “dalla lotta contro il nemico israeliano”.
Fonti della sicurezza libanese, citate da media locali, invece sostengono che “i cinque membri del Fplp-cg sono stati uccisi dall’esplosione accidentale di un loro missile e non in un attacco aereo israeliano”.
Il Fplp-cg, Fondato da Ahmed Jibril (morto nel 2021) e nato da una scissione dal più noto Fronte popolare per la liberazione della Palestina, è sostenuto da Damasco e ha basi lungo il confine tra Libano e Siria e una presenza militare in entrambi i paesi. Pagine Esteri
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In Spagna è boom delle destre. Il ruolo delle chiese evangeliche
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 31 maggio 2023 – I sondaggi davano i due principali partiti appaiati, uno scenario tollerabile per i socialisti al potere. Ma i risultati delle elezioni regionali e municipali di domenica in Spagna hanno consegnato una netta vittoria al Partito Popolare, provocando un vero e proprio terremoto politico.
Il premier manda la Spagna al voto anticipato e spera nel miracoloLunedì, a sorpresa, il primo ministro Pedro Sánchez ha infatti annunciato lo scioglimento delle camere e l’indizione di elezioni anticipate per il 23 luglio.
«Molti presidenti dalla gestione impeccabile hanno smesso di esserlo. Tutto ciò rende opportuno che gli spagnoli facciano chiarezza sulle forze politiche che dovrebbero guidare questa fase. La cosa migliore è che gli spagnoli possano dire la loro nel definire la direzione politica del Paese», ha spiegato il premier.
Il leader socialista spera, anticipando il voto da dicembre a luglio, di costringere alla mobilitazione almeno parte dell’elettorato progressista che domenica si è astenuto o ha “disperso” il voto, obbligandolo ad una scelta di campo netta per evitare di consegnare il paese ad uno schieramento di destra che non comprende solo i postfranchisti del Partito Popolare, ma anche gli estremisti di Vox. Tra qualche settimana sapremo se l’azzardo di Sánchezsi sarà rivelato vincente, o se invece la trasformazione delle legislative in un referendum pro o contro l’attuale maggioranza di governo consegnerà una vittoria ancora più netta alle forze reazionarie.
Netta vittoria del PP
La destra di Feijóo ha intanto ottenuto il 31,5% e 7.055.000 voti; un balzo in avanti, rispetto alla precedente tornata, di ben 1 milione e 800 mila consensi, nonostante il leggero calo nell’affluenza generale che domenica è stata del 63,9% (l’1,3 in meno rispetto al 2019).
Il Partito Popolare è riuscito a espugnare 15 dei 22 capoluoghi in ballo, compresi molti tradizionali feudi socialisti. La destra ha ottenuto la maggioranza assoluta sia a Madrid che nella regione della capitale e si è piazzata in testa a Malaga, Almeria, Cadice, Cordoba, Granada, Murcia, Oviedo, Santander, Teruel, Logrono, Badajoz, Salamanca, Valencia, Siviglia, Valladolid, Castellòn e Palma. In Andalusia, il Pp ha vinto in tutti i capoluoghi tranne che a Jaen. In Castiglia La Mancia, dove il Psoe governava i cinque capoluoghi, il Pp può ora assumere il controllo a Toledo, Ciudad Real, Guadalajara e Albacete. Feijóo ha ottenuto buoni risultati anche nelle città catalane, terreno da sempre difficile per la destra spagnola.
Isabel Díaz Ayuso (PP), presidente della Comunità di Madrid
I socialisti arretrano, le sinistre si leccano le ferite
Il Psoe si è fermato invece al 28,1% e a 6.292.000 voti, perdendo centinaia di città e sei comunità autonome. È andata anche peggio alle forze politiche a sinistra dei socialisti, con Podemos (alleato quasi ovunque con Izquierda Unida, i verdi e liste progressiste locali) che ottiene il peggior risultato della sua storia. Le alleanze di sinistra escono da molti consigli comunali e regionali non riuscendo spesso a superare la soglia di sbarramento del 5% ad esempio né a Madrid né a Valencia. Anche la lista della sindaca uscente di Barcellona, Ada Colau, si è piazzata solo terza.
Il netto ridimensionamento di Podemos e l’anticipo delle elezioni a fine luglio obbligherà probabilmente il partito fondato da Pablo Iglesias ad accettare obtorto collo la confluenza nella piattaforma Sumar promossa dalla Ministra del Lavoro Yolanda Diaz, alla quale hanno già aderito la maggior parte delle forze di sinistra, ecologiste e di centrosinistra del paese.
L’eccezione basca a galiziana
L’unico risultato in controtendenza per le sinistre – ma stavolta quelle indipendentiste – si è registrato nei Paesi Baschi/Navarra e in Galizia. Nel primo caso EH Bildu ha aumentato in maniera consistente i consensi, scavalcando in alcuni casi il centrodestra del Partito Nazionalista Basco e riuscendo ad espugnare un certo numero di città (per la prima volta Vitoria-Gasteiz) e la provincia di Donostia e crescendo in Navarra. La sinistra indipendentista basca ha ottenuto il buon risultato nonostante la polemica suscitata, durante la campagna elettorale, dalla decisione di candidare una manciata di membri in passato condannati per appartenenza all’ETA, che a pochi giorni dal voto hanno però annunciato che non avrebbero accettato l’incarico nell’eventualità che fossero stati eletti. Inoltre con Bildu si sono schierati anche alcuni noti esponenti politici provenienti da altre forze politiche di sinistra e di centrosinistra non indipendentista, tra i quali l’ex leader di Izquierda Unida Javier Madrazo e l’ex dirigente socialista Gemma Zabaleta.
Il Blocco Nazionalista Galiziano aumenta i suoi voti del 50% e in molti casi supera i socialisti, piazzandosi in vari capoluoghi e località della regione atlantica.
Il leader di Vox, Santiago Abascal
Vox si prepara a governare la Spagna, Ciudadanos sparisce
Nonostante il forte exploit del PP – formazione che non può certo essere considerata moderata – anche l’estrema destra spagnola esce notevolmente rafforzata dalle amministrative.
Alle municipali Vox passa da 813 mila a 1 milione e 608 mila voti, cioè dal 3,56 al 7,18%, raddoppiando consensi e percentuale. In termini di consiglieri è un vero boom, da 530 a 1695.
Il bacino di voti che negli ultimi anni era andato a Ciudadanos lo ha assorbito quasi del tutto il partito di Feijóo, ma i neofranchistisono riusciti comunque a captarne una parte, pescando anche altrove. Ad esempio Vox è riuscita ad attirare completamente il voto, seppur marginale, che tradizionalmente andava ai partitini apertamente neofascisti e neonazisti.
Il partito fondato da Albert Rivera in Catalogna nel 2006 e poi rapidamente cresciuto grazie alla crisi dei due partiti maggiori negli anni dell’austerity, è stato espulso da tutti i parlamenti regionali e dalla quasi totalità dei consigli municipali. Ciudadanos, a lungo rappresentatosi come un partito liberale, moderno e moderato è stato fagocitato dalle destre radicali ed estreme e si avvia alla dissoluzione dopo la decisione di non presentarsi alle imminenti elezioni legislative.
Al contrario, Vox canta vittoria non solo per la vistosa crescita, ma soprattutto perché i suoi eletti diventano fondamentali per permettere al PP di raggiungere la maggioranza assoluta e governare in ben sei comunità – Aragona, Baleari, Cantabria, Estremadura, Murcia e Valencia – oltre che in molte città.
Domenica Vox è riuscito ad irrompere in molti consigli regionali e comunali dalla Castilla La Mancha all’Estremadura; nella Murcia passa dal 9,5 al 17,7%, e da 4 a 9 seggi, nonostante il boom del Pp che dal 32 sale al 43%. Nella Comunitat Valenciana il capolista Carlos Flores – condannato per “violenza psicologica” ai danni dell’ex moglie – porta i neofranchisti da 10 a 13 seggi.
«Celebriamo il consolidamento di Vox come partito assolutamente necessario per costruire l’alternativa al socialismo, al comunismo e ai loro soci separatisti e terroristi» ha commentato a caldo Santiago Abascal, riferendosi agli indipendentisti baschi di Bildu.
Trionfante, il leader dell’estrema destre nazionalista, xenofoba e omofoba ha avvisato lo stato maggiore del Pp di «non aspettarsi regali» e che nelle trattative per la formazione dei governi locali «non accetterà ricatti». Abascal ora assapora la concreta possibilità che le prossime elezioni consegnino la vittoria al Pp e permettano a Vox di accedere al governo statale come necessario puntello di Feijóo.
Il duello tra PP e Vox per il voto degli evangelici
La competizione tra i due partiti della destra, già forte nelle scorse settimane si appresta a diventare ancora più feroce nelle prossime.
I due partiti, tra le altre cose, si contendono i fedeli delle chiese evangeliche con i quali, negli ultimi anni, hanno stretto forti legami fino a trasformarne alcune in bacini elettorali stabili e organizzati.
In Spagna il cristianesimo evangelico è la religione che è aumentata di più e più in fretta negli ultimi due decenni, trainata dagli immigrati latinoamericani che conquistano gradualmente la cittadinanza e con la loro aggressiva attività di proselitismo pescano sempre più anche tra gli autoctoni.
Attraverso le loro reti di sostegno sul territorio alle famiglie di immigrati che hanno bisogno di aiuto per trovare lavoro, risolvere questioni burocratiche o affrontare drammi familiari legati alla droga, alla prostituzione o all’ingresso dei giovani nelle gang, le organizzazioni religiose aumentano rapidamente il numero di adepti, sottoposti a sedute motivazionali e una serrata “formazione ideologica”.
Secondo i dati dell’Osservatorio sul Pluralismo Religioso, il 2% della popolazione spagnola (48 milioni di persone) è di confessione protestante, e di questa percentuale i due terzi sono rappresentati da evangelici. I potenziali elettori da contendersi, quindi, ammontano a quasi 600 mila. Secondo l’Osservatorio, ben il 70,6% dei praticanti evangelici sono donne, e la fascia d’età più numerosa è quella che va dai 18 ai 44 anni. La maggioranza dei fedeli sono immigrati, e tra i nati in Spagna primeggiano le seconde generazioni o molti membri delle comunità gitane.
Le Chiese Evangeliche hanno messo solide radici nel paese, dove possono contare già su 4322 luoghi di culto, contro le 1750 moschee e i 634 templi dei Testimoni di Geova esistenti nel Regno. Tra le comunità autonome, a guidare la classifica c’è la Catalogna, seguita dalla regione di Madrid, dall’Andalusia e da Valencia.
Rito neopentecostale
In generale, gli aderenti alle chiese evangeliche spagnole tendono a non schierarsi pubblicamente a favore di questo o quel partito. Secondo l’ultima inchiesta dell’Osservatorio (2018) solo il 3% dei sondati si dichiara di destra, contro il 41% che si definisce di centro e il 17,6% che si colloca a sinistra (il 38% però si rifiuta di rispondere).
Ma la verità è che generalmente i valori su cui si basano le varie chiese evangeliche, soprattutto neo-pentecostali, sono decisamente affini all’identità politica e alla propaganda della destra. Mentre i fedeli di vecchia data, per lo più autoctoni, sono generalmente più vicini al centrosinistra (in opposizione al dogma nazional-cattolicista del regime franchista che fino al 1967 perseguitò i membri delle confessioni riformate) la più recente ondata di immigrazione latinoamericana ha portato alla crescita della componente tradizionalista e fondamentalista. Anche il grosso della comunità gitana spagnola, aderente alla Chiesa di Filadelfia, è su posizioni politicamente molto conservatrici. Le prediche dei pastori e dei predicatori si incentrano spesso sugli strali pronunciati contro i “costumi corrotti e perversi” di coloro che difendono l’aborto o i diritti della comunità Lgbt, quando non la parità dei sessi. Non è raro che i leader religiosi si dedichino a “curare” l’omosessualità dei neofiti, a perorare la causa di una società ordinata, gerarchica e corporativa e a inveire contro la “dottrina diabolica del marxismo”.
I forti legami delle propaggini spagnole con le case madri latinoamericane, spesso fortemente attive nel sostegno alle correnti più reazionarie dello scenario politico – fondamentale quello tributato in Brasile a Jair Bolsonaro – avvicinano molte di esse ai partiti di destra ed estrema destra. E questo nonostante le violente campagne dei gruppi falangisti – alcuni dei quali legati o interni a Vox – contro le “bande latine”, termine che spesso identifica non solo le gang composte da immigrati ma anche le intere comunità nazionali di appartenenza.
Non stupisce quindi che la competizione tra Popolari e Vox per aggiudicarsi il voto dei fedeli evangelici sia diventata negli ultimi tempi sempre più accesa, producendo numerosi scambi polemici. In particolare a Madrid, alla fine di marzo, la partecipazione della pastora neo-pentecostale Yadira Maestre (della “Chiesa Cristo Viene”) ad una convention del Partito Popolare, durante la quale ha platealmente benedetto la presidente della regione Isabel Díaz Ayuso, il sindaco José Luis Martínez-Almeida e il presidente nazionale della formazione Alberto Núñez Feijóo, hanno scatenato le ire dei dirigenti di Vox, che hanno accusato i competitori di “strumentalizzazione”. Le parole di Maestre, che aveva chiesto al “Padre Celestiale” di proteggere il Pp e in particolare i tre dirigenti presenti alla convention, non erano andate giù all’estrema destra, che ha rivendicato la sua vicinanza discreta alle chiese evangeliche e ai loro valori 365 giorni l’anno, e non solo a ridosso delle elezioni.
Ed in effetti, negli ultimi anni non è stato raro vedere la leader di Vox a Madrid Rocío Monasterio e il marito Iván Espinosa – portavoce dei neofranchisti al Congresso dei Deputati – partecipare alle funzioni religiose in diversi luoghi di culto neo-pentecostali della capitale. «Ad Ayuso interessano solo i latinos ricchi», hanno tuonato i leader di Vox rivendicando di avere a cuore gli «ispanici della porta accanto».
Ma è stato il PP il partito che per primo ha dedicato funzionari e dirigenti alla captazione dei consensi delle chiese evangeliche, in cambio di favori e facilitazioni che la propria natura di forza di governo gli permette di elargire a pastori e predicatori collaborativi. E per definire gli immigrati latinoamericani Ayuso usa furbescamente il termine “nuovi spagnoli”, che li promuove a immigrati di serie A in opposizione a quelli di altra provenienza, da considerarsi invece estranei e pericolosi. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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perché lo stato spagnolo fa da freno alla migrazione africana che va in Europa.
L'Europa razzista ha bisogno di questa frontiera negli Stretti, molto più efficace dei Pirenei e del controllo della sponda settentrionale della Mexiterrania.
Suppongo che l'UE voglia anche una certa influenza in America Latina. E non vorrà nemmeno lasciare isolato il Portogallo.
Si si i tant, el diners també tenen molt a veure.
Europa ha abocat molts calers a Espanya, expulsar-la seria disparar-se al propi peu.
PAROLE O_STILI 2023
Grazie a Parole O_stili per avermi ospitato a parlare di intelligenza artificiale, neurodiritti e libertà. Temi sempre stimolanti ed attuali. Spero alla prossima edizione! Al link il video che riassume questa edizione youtube.com/watch?v=jVWXYAWxRu…
La lunga marcia cinese nello Spazio, intervista a Andrea Santangelo
La Cina ha lanciato con successo la nuova missione Shenzhou-16. Programma spaziale cinese, progressi in questo ambito e legami con la strategia militare abbiamo parlato: intervista ad Andrea Santangelo, professore ordinario di Astrofisica Sperimentale delle Alte Energie all’Università di Tubinga e Visiting Full Professor presso l’Institute of Hight Energy Physics
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In Cina e Asia – Corea del Nord, fallito il lancio del satellite spia
I titoli di oggi:
-Corea del Nord, fallito il lancio del satellite spia
-Cina e India, espulsioni incrociate di giornalisti
-Nuove sanzioni americane contro gli spacciatori di fentanyl
-Malesia, arrestato equipaggio cinese per furto di relitti
-Yunnan, proteste della minoranza musulmana per la demolizione di una moschea
-Per sfidare gli Usa sulla tecnologia la Cina deve puntare sulla formazione
-Sentenza storica in Giappone: il divieto dei matrimoni omosessuali è incostituzionale
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Un comitato per le patologie militari. La proposta del gen. Tricarico
Quando avevo formale titolo a farlo, proposi al ministro della Difesa di allora di istituire uno speciale Comitato di esperti che lo potesse assistere per ogni questione riguardante l’eventuale insorgenza di patologie a danno dei militari, a causa della loro esposizione a possibili agenti patogeni durante l’espletamento del servizio.
Il motivo era quello di prevenire gli effetti negativi legati a peculiari ambienti di lavoro quali l’esposizione a onde elettromagnetiche, ad agenti chimici nocivi, a materiali di amianto, a uranio impoverito; una casistica questa non scelta a caso, ma relativa a dossier già aperti e che ogni tanto rispuntano.
L’iniziativa non andò a buon fine perché affondata dalla burocrazia interna e dall’inesorabile meccanismo dell’avvicendamento dei vertici dell’amministrazione che spesso incide negativamente sulla continuità di governo.
Un motivo non secondario per la messa a punto di uno strumento scientifico/conoscitivo di alto livello a beneficio del ministro e della amministrazione era quello di poter assistere i vari comandanti che, numerosi, erano chiamati a rispondere in tribunale per l’insorgenza di malattie a danno dei dipendenti o di altri cittadini, i quali accusavano la Difesa e i loro responsabili locali o centrali per le infermità contratte.
Tra l’altro, si è da poco concluso il processo a carico di cinque generali dell’Aeronautica che si erano avvicendati al comando del Poligono interforze di Salto di Quirra, iniziato nel 2011 e la cui sentenza non è stata ancora depositata, una sentenza assolutoria per tutti in quanto “non vi è idonea prova della sussistenza del fatto”, ma che ha comportato che gli imputati (per l’inquinamento del territorio sardo con agenti dannosi – tra cui torio e uranio impoverito – smaltiti nell’ambiente) si siano dovuti difendere senza poter contare su una documentazione scientifica di alto livello e difficilmente contestabile, quale quella appunto che un comitato di scienziati avrebbe messo a disposizione della giustizia e di imputati innocenti.
Tra l’altro, è fin troppo facile prevedere che la mai sopita vivacità del ricco campionario di movimenti e associazioni sardi non tarderà a risvegliarsi, anche in considerazione dei nuovi insediamenti internazionali sulla base di Decimomannu.
Un caso, quello della Sardegna, che richiama la questione dell’uranio impoverito e del fatto che una mole gigantesca di istanze di indennizzo è ancora oggi in attesa di decisione da parte della giustizia o dell’amministrazione, con conseguenze imprevedibili, perché basate sull’ assunto – ben lungi dall’essere stato definitivamente acclarato sul piano scientifico – che l’esposizione all’uranio impoverito causi l’insorgenza di patologie tumorali.
Tutto questo nel nostro bizzarro paese accade nonostante una cospicua letteratura scientifica, (che la Fondazione Icsa ha voluto mettere insieme – vedi link), sia concorde sulla insussistenza/inverosimiglianza di un nesso causa effetto per i militari malati di tumore, cui in ogni caso va tutta la nostra umana e partecipe vicinanza e solidarietà.
Signor Ministro Crosetto, l’attualità e le prospettive di una Difesa in stato di accusa da parte di migliaia di militari che la chiamano in giudizio per danni subiti a causa del servizio prestato, così come il verosimile replicarsi di scenari dello stesso tipo, anche a causa della partecipazione a missioni multinazionali nei più disparati ambiti geografici, rendono la proposta di nominare un Comitato di esperti più attuale e necessaria oggi di ieri.
Tra l’altro, va tenuto in considerazione che i giudici, in quelle circa cinquanta sentenze favorevoli agli istanti ad oggi registrate, hanno considerato un precedente significativo l’accoglimento delle istanze di indennizzo da parte dell’amministrazione. Decisioni certamente tecniche, ma date le dimensioni del fenomeno – tutto e solo italiano – un monitoraggio della politica pare inevitabile.
PRIVACYDAILY
Pronto il settimo pacchetto armi per l’Ucraina. Crosetto al Copasir
È in partenza un nuovo pacchetto di armi per l’Ucraina. Martedì, di fronte al Copasir – presieduto dal Dem Lorenzo Guerini – il ministro della Difesa Guido Crosetto ne ha illustrato i contenuti, che come da consuetudine rimarranno secretati. Il passaggio è necessario per dare il via libera alla spedizione del nuovo lotto di equipaggiamenti che aiuteranno la resistenza ucraina contro l’invasione russa.
Si tratta del settimo pacchetto in termini assoluti e il secondo approvato dal governo di Giorgia Meloni, che agisce sulla base della copertura legale fornita dal decreto legge Ucraina, varato definitivamente a gennaio, che proroga fino al 31 dicembre 2023 la cessione di materiali militari all’Ucraina. Poche settimane dopo l’esecutivo ha dato il via libera al sesto pacchetto, che prevedeva, tra le altre cose, l’invio del sistema di difesa antiaerea Samp/T.
Secondo Repubblica il settimo pacchetto “ rinnova le dotazioni di armi, munizioni e sistemi di difesa antiaeree già inviate con i precedenti provvedimenti”. Materiale che risponde alle esigenze espresse dalla Difesa ucraina, a cui gli alleati occidentali stanno via via rispondendo: gli Stati Uniti con l’autorizzazione all’invio di caccia F-16, il Regno Unito con missili a lungo raggio Storm Shadow e droni, la Germania con tank e radar e così via. Il tutto in funzione della difesa dai missili di Vladimir Putin, ma anche della controffensiva ucraina ormai imminente.
La decisione del governo italiano arriva sulla scia del summit G7 a Hiroshima, dove i leader occidentali (inclusa la stessa Meloni, ai margini dei colloqui) hanno incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e ribadito il sostegno finanziario, militare e umanitario a Kyiv. Questi e altri incontri – tra cui la recente visita a Roma – hanno permesso al leader ucraino di sottolineare l’urgenza dell’invio di nuovo materiale. A cui l’Italia, in linea con gli altri partner occidentali, sta reagendo.
Incontro di spie sul Lago Maggiore. Affonda la barca: uno dei morti era del Mossad
Pagine esseri, 30 maggio 2023 – Nella serata di domenica 28 maggio, una barca con a bordo 24 persone è affondata nel Lago Maggiore in seguito, probabilmente, al peggioramento delle condizioni atmosferiche.
A parte i membri dell’equipaggio, i passeggeri erano appartenenti ai servizi segreti italiani e a quelli israeliani del Mossad. Il comunicato ufficiale diramato dalle istituzioni italiane parla di una festa a bordo: erano riuniti sulla barca, si dice, per celebrare un compleanno. Oltre al capitano e a sua moglie, le altre 22 persone erano tutte di nazionalità italiana o israeliana.
Hanno perso la vita due membri dei servizi di intelligence italiani: Claudio Alonzi di 62 anni e Tiziana Barnobi di 53 anni. Sono stati, inoltre, ritrovati in mare i corpi senza vita di un agente del Mossad in pensione, Shimoni Erez, 50 anni e della moglie del capitano, Anya Bozhkova, di nazionalità russa.
10 agenti del Mossad sono stati immediatamente riportati in Israele con l’utilizzo di un aereo militare. Si mantiene il riserbo sulla loro identità così come su quella dei 10 membri dei servizi segreti italiani sopravvissuti al naufragio.
La barca, chiamata Goduria o Good… uria, di proprietà del 53enne Carlo Carminati, si è inabissata subito dopo l’incidente, quando le forti raffiche di vento ne avrebbero causato il capovolgimento. La Procura di Busto Arsizio ha aperto un’indagine per stabilire se tutte le condizioni di sicurezza fossero state rispettate (secondo alcuni media la barca trasportava più persone di quante fossero ammesse) e se, soprattutto, non siano altre, oltre al maltempo, le reali cause del naufragio. La barca verrà recuperata dal fondo del Lago Maggiore per procedere alle perizie del caso.
Nonostante la comunicazione ufficiale rilasciata dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, l’idea che venti 007 italiani e israeliani si ritrovino su di una barca al centro del Lago di Como per festeggiare un compleanno, pare grottesca e surreale. Impossibile non immaginare che tra gli obiettivi dell’incontro esistesse, invece, qualche attività sulla quale le fonti ufficiali non possono che tacere.
L'articolo Incontro di spie sul Lago Maggiore. Affonda la barca: uno dei morti era del Mossad proviene da Pagine Esteri.
Mosca minaccia il Mediterraneo anche sott’acqua. Parola di Cavo Dragone
La guerra in Ucraina i relativi effetti “hanno accentuato le responsabilità della Difesa e dell’Italia per la stabilità del Mediterraneo”, che “si estendono ai correlati fondali, percorsi da reti e infrastrutture strategiche, potenzialmente ricchi di risorse naturali e per questo, spesso obiettivo della cosiddetta ‘territorializzazione’ del mare”. Lo ha spiegato l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa, intervenuto all’evento “L’Italia, il Mediterraneo allargato e il dominio subacqueo” dell’Istituto Affari Internazionali. Un occasione anche per fare il punto sull’ambiente subacqueo, che sta diventando un dominio operativo di rilievo per la Marina Militare italiana, e una frontiera tecnologica per l’industria del settore e più in generale per il sistema Paese che sta dando vita ad un Polo nazionale per la dimensione subacquea. L’apertura dei lavori è stata affidata all’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai. Dopo di lui, un saluto inviato da Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile e per le Politiche del mare.
IL DOMINIO SUBACQUEO
“Come per lo Spazio e per la Terra”, ha continuato il capo di stato maggiore della Difesa, “l’elevazione del mondo sommerso allo status di ‘dominio’” implica “una piena presa di coscienza anche delle accresciute responsabilità nella sua gestione, che sarà anch’essa un banco di prova della capacità del genere umano di approcciare, con equilibrio, tatto e rispetto, una realtà fondamentale per la preservazione degli equilibri biologici del nostro pianeta”. La rilevanza strategica delle infrastrutture subacquee, come gasdotti o dorsali di connettività digitale, “impone alla Difesa la protezione delle stesse, dedicando allo scopo risorse e investimenti paritetici a quanto garantito ad altre infrastrutture critiche del Paese, soggette a una minaccia sempre più ibrida”, ha continuato spiegando che la Difesa intende proseguire con un approccio “multi-disciplinare, inter-dicasteriale e inter-agenzia valorizzando il dialogo con le eccellenze nazionali, per consolidare una visione coerente, condivisa ed efficace”.
LA MINACCIA RUSSA
Oggi il Mediterraneo “è un punto di polarizzazione delle tensioni internazionali, così come il Nord Africa e la regione Saheliana sono aree dove attori terzi, statali e non statali, agiscono in maniera assertiva alimentandone la destabilizzazione a livello politico, sociale ed economico”, ha spiegato l’ammiraglio Cavo Dragone. In particolare, la Russia “non nasconde di voler estendere il proprio raggio d’azione in tutta questa importante fascia territoriale, nonché a tutto li Mediterraneo, anche attraverso le sue spiccate capacità nel settore underwater (manned e unmanned), ampliando le minacce a cui possono essere esposte le infrastrutture critiche e le dorsali marittime di nostro interesse strategico”.
LA RICERCA
Nella versione preliminare dello ricerca “The Underwater Domain and Europe’s Defence and Security” presentata dagli analisti Elio Calcagno e Alessandro Marrone, vengono analizzati gli scenari riguardanti le attività nel dominio sottomarino di sette Paesi: la Russia, che ha investito in droni subacquei sia per attacchi sia per deterrenza nucleare; la Cina, che punta a 76 sottomarini in cinque anni per anticipare nel mosse degli Stati Uniti e dei loro alleati nell’Indo-Pacifico; il Giappone, con cui l’Italia ha recentemente rafforzato la relazione a partenariato strategico, dispone di una flotta ampia e moderna (22 sottomarini, che è più di Italia e Francia sommate, il più vecchio è del 2000) e all’ammodernamento preferisce la sostituzione a ritmo di un sottomarino all’anno; la Germania, leader mondiale in sviluppo e produzione, che è stata colta di sorpresa dal sabotaggio del Nord Stream 2 tanto che chiede, assieme alla Norvegia, una struttura di protezione delle infrastrutture critiche della Nato; il Regno Unito, che guarda all’Indo-Pacifico con l’accordo Aukus con Stati Uniti e Australia; la Francia, con 12 sottomarini nucleari di cui 4 con lanciamissili balistici e la Zee più grande al mondo.
IL RUOLO DELL’ITALIA
In generale, si nota un “aumento della rilevanza di sottomarini e droni subacquei, un aumento della domanda ma anche volontà di alimentare offerta tramite investimenti, innovazione e competizione”, ha spiegato Marrone. Aspetti che l’Italia e il sistema Paese non possono che tenere in considerazione.
IL DIBATTITO
Al dibattito successivo, moderato da Karolina Muti, responsabile di ricerca programmi sicurezza e difesa dello Iai, sono intervenuti Giuseppe Cossiga, presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, l’ammiraglio Enrico Credendino, capo di stato maggiore della Marina, Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Fincantieri, Gabriele Pieralli, direttore della divisione elettronica di Leonardo, Luciano Violante, presidente della Fondazione Leonardo e Catherine Warner, direttrice del Nato Center for Maritime Research and Experimentation.
LE CONCLUSIONI
Le conclusioni sono state affidate a Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario alla Difesa. “Ancora si deve lavorare sull’opinione pubblica per far comprendere” la portata della dimensione marittima, ha spiegato il sottosegretario. A decidere il futuro del dominio per l’Italia “sarà la nostra capacità di fare sistema Paese e sfruttare il vantaggio competitivo”, ha aggiunto sottolineando l’impegno del governo a dare rapida attuazione al Polo nazionale della subacquea.
Via della seta, Meloni cambia strada
La decisione è ormai presa, l’unico dubbio è quando e come comunicarla per evitare di compromettere a cascata gli interessi di alcune grandi aziende italiane e di conseguenza l’interesse nazionale. Ma che Giorgia Meloni finirà per non rinnovare il memorandum sulla Via della seta siglato da Giuseppe Conte con la Cina nel 2019 viene dato per certo.
Pesa, naturalmente, il pressing americano. Pesa, ma non basta. Raccontano, infatti, che la presidente del Consiglio abbia affrontato la questione con spirito laico. Ha soppesato gli interessi economici, li ha intrecciati con gli interessi geopolitici ed è giunta alla conclusione che all’Italia convenga affrancarsi da un accordo che in termini commerciali conviene a Pechino più che a noi e che in termini politico-diplomatici è motivo di grande imbarazzo, tant’è che nessuno dei Paesi fondatori dell’Europa o membri del G7 l’ha siglato.
Anche di questo Giorgia Meloni parlerà col presidente statunitense Joe Biden in occasione della sua prima visita di Stato a Washington. Visita che dovrebbe tenersi, ma non è ancora ufficiale, la terza settimana di giugno.
Una delle tante anomalie italiane sembra dunque destinata a venir meno. Un’anomalia nel merito, ma anche nel metodo. Parlando con chi occupava posizioni di rilievo durante il primo governo Conte ci si rende infatti conto di quanto l’importanza di quell’accordo fosse stata trascurata. Non ci fu alcuna discussione né a livello politico né a livello governativo. Il dossier, caro a Beppe Grillo che ancora oggi lo difende, fu istruito dai vertici della Farnesina ispirati dall’ambasciatore italiano a Pechino Ettore Francesco Sequi con Luigi Di Maio ministro e dal sottosegretario leghista filo cinese allo Sviluppo economico Michele Geraci nell’indifferenza dei leader politici e degli altri ministri. Del resto, la segretezza era parte caratterizzante il memorandum. L’intesa sul futuro dei porti di Genova e Trieste, ad esempio, si concludeva con una raccomandazione che suonava grossomodo così: “L’accordo è segreto in tutte le sue parti compresa l’esistenza stessa dell’accordo”. Metodo cinese, appunto.
Il primo ad accorgersi dell’esistenza e soprattutto delle implicazioni del trattato fu l’allora sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, leghista di orientamento atlantista. Mancava poco più di un mese all’arrivo di Xi Jinping a Roma per la firma del memorandum quando Picchi, con un tweet e diverse telefonate, diede l’allarme. Si mosse l’ambasciata statunitense, si informò il Quirinale, si mobilitò il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Da una cinquantina che erano, gli accordi bilaterali furono ridotti a 29 e ciascuno dei 29 accordi, di cui 10 commerciali e 19 istituzionali, fu annacquato il più possibile.
Tuttavia, il 23 marzo del 2019 il presidente cinese Xi Jinping e il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte firmarono in pompa magna il memorandum sulla Via della seta a Villa Madama. Sarà ora Giorgia Meloni a cancellare quella firma riportando di conseguenza l’Italia dall’orbita cinese dove la avevano collocata gli interessi grillini e la negligenza dei loro alleati all’orbita occidentale e atlantista che, per ragioni storiche, politiche ed economiche, ci caratterizza da sempre.
L'articolo Via della seta, Meloni cambia strada proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Etiopia: come un fortunato villaggio del Tigray è sopravvissuto alla devastante guerra
La guerra condotta dal governo federale etiopico e dall’Eritrea contro il governo regionale del Tigray, durata dal novembre 2020 al novembre 2022, ha causato enormi devastazioni. Sono stati denunciati molteplici crimini di guerra e ci sono state denunce di intenti genocidi . Una campagna di fame ha portato alla morte di almeno 300.000 vittime civili.
Uno dei luoghi che riuscì a scampare alla distruzione fu il villaggio di Dabba Selama. Situato nel distretto di Dogu’a Tembien, nel Tigray, il villaggio è composto da quattro insediamenti, che ospitano circa 5.000 persone. Questi insediamenti sono sparsi in uno dei monasteri più antichi dell’Etiopia. Situata su un crinale isolato, elevato e pianeggiante, la comunità è fortemente dipendente dall’agricoltura.
Abbiamo pubblicato un libro sul distretto di Dogu’a Tembien, basato su 25 anni di ricerche geografiche nel distretto. Nel gennaio 2023, a guerra finita, siamo tornati nel quartiere per continuare la ricerca sulla società e l’ambiente. Ci siamo concentrati su 10 villaggi a Dogu’a Tembien, uno dei quali è Dabba Selama .
Gli abitanti di Dabba Selama si considerano fortunati. Altri villaggi sono diventati obiettivi di attacchi militari. In quattro dei 10 villaggi si sono verificati massacri di civili . Donne e ragazze sono state vittime di violenze sessuali perpetrate dalle forze militari. Case, scuole e prodotti agricoli sono stati deliberatamente distrutti.
Anche se il fronte di guerra ha superato più volte Dabba Selama, la comunità ha sofferto meno degli altri villaggi studiati, grazie al loro isolamento geografico, ai forti legami comunitari e al paesaggio agricolo produttivo.
Isolato
Durante le nostre interviste abbiamo capito che non c’era nessuna guerra nel villaggio stesso e nessuna vittima civile diretta. A differenza degli altri nove villaggi che abbiamo visitato, gli intervistati a Dabba Selama non hanno menzionato bambini o anziani che muoiono di fame.
Poiché il villaggio e il monastero si trovano su un terreno accidentato, a circa 20 km dalla strada più vicina, gli eserciti etiope ed eritreo hanno marciato attraverso gli insediamenti solo una volta e non si sono fermati. I depositi di grano e altri beni della comunità non sono stati saccheggiati, bruciati o volutamente rovinati dall’alluvione o dalla mescolanza di terra, come in altre comunità. I contadini avevano cibo anche durante il periodo critico. Molti di loro potrebbero permettersi di acquistare cibo o farmaci aggiuntivi (costosi).
È anche una fortuna che l’unica volta che i soldati hanno attraversato il villaggio, non si siano accorti del monastero al di là di una rupe a strapiombo e nessuno li abbia informati della sua esistenza. Altrimenti, avrebbero potuto invaderlo. Gli eserciti credevano che la leadership del Tigray si nascondesse nelle caverne e in altri luoghi inospitali. Hanno anche deciso di distruggere i siti storici del Tigray .
Forti legami sociali
Gli intervistati hanno affermato che, nonostante la sofferenza, le persone si sono aiutate a vicenda. Ciò contrasta con altri villaggi che abbiamo visitato dove la grande lamentela era che i legami sociali erano diventati molto più deboli.Interviste ai membri della comunità negli altopiani intorno a Dabba Selama.
A Dabba Selama, i legami comunitari erano forti anche prima della guerra, come nella maggior parte dei villaggi remoti. Le persone in genere si aiutavano a vicenda con cereali o denaro, e questo è continuato. La comunità, compresi i capi villaggio, ha condiviso ciò che aveva, così le persone sono sopravvissute. In altri villaggi, i leader a volte hanno dirottato aiuti o rifornimenti ai propri familiari.
Scorte alimentari
Quando scoppiò la guerra, il villaggio aveva scorte di viveri. I terreni agricoli di Dabba Selama, specialmente quelli dell’altopiano, sono relativamente produttivi e gli agricoltori avevano cereali nei loro granai.
Poco distante dal paese, ai piedi di ripidi pendii, si trovano delle sorgenti. Gli agricoltori li usano per l’irrigazione su piccola scala. Con il suo terreno accidentato, le buone precipitazioni e le temperature calde, la zona è adatta anche per l’allevamento del bestiame.
Molti contadini del villaggio commerciavano frutta, vendendola nei mercati vicini quando non c’erano combattimenti attivi.
Capacità di nascondersi
Alla fine del 2020, quando il fronte di guerra si è avvicinato a Dabba Selama, le famiglie contadine hanno abbandonato le loro fattorie. Fuggirono nelle gole e sulle montagne con il loro bestiame, la focaccia e le scorte di cibo, tra cui farina, spezie, caffè e sale.
Prima di partire, i contadini scavavano delle fosse nel terreno e nascondevano i sacchi di grano che avevano nelle loro case. Gli anziani, tradizionalmente percepiti come meno esposti alle brutalità dei militari, si assumevano la responsabilità di sorvegliare le case del villaggio. Fortunatamente i combattimenti non si sono avvicinati. Nei villaggi vicini, questa strategia è andata male e si dice che gli anziani siano stati massacrati , ma non così a Dabba Selama.
Tempi duri
Questo non vuol dire che i residenti di Dabba Selama non abbiano sopportato le difficoltà. La comunità ha lottato per produrre cibo. Molti terreni agricoli a Dabba Selama non sono stati coltivati in tempo nel 2021 e nel 2022 a causa della guerra. Era difficile ottenere semi e fertilizzanti.
Gli agricoltori seminavano principalmente erba di teff ( Eragrostis tef ) in assenza di altri semi. Rispetto ad altre colture, il teff offre rese inferiori per superficie coltivata.
La carenza di semi era in parte dovuta alla carestia. Molte famiglie dovevano mangiare i semi di grano che avevano conservato dai raccolti precedenti.
I raccolti sono stati gestiti male a causa della guerra e la resa del 2022 è stata peggiore di qualsiasi anno in tempo di pace, data la totale assenza di input agricoli.
Inoltre, le aree di rimboschimento e le foreste naturali sono state interessate dalla raccolta del legno e dalla preparazione del carbone resa necessaria dalla povertà. Nei 30 anni prima della guerra, era stato fatto un grande sforzo per rinverdire il Tigray come parte di una gestione sostenibile del territorio .
Infine, a causa del blocco della regione, le merci erano costose per gli abitanti del villaggio. Nel peggiore dei casi, il prezzo di vendita di un bue comprerebbe a malapena 50 kg di grano. Solo i residenti più abbienti potevano permettersi i prezzi di mercato.
Capitale naturale e capitale sociale
Alla fine, però, Dabba Selama ha sofferto meno della fame provocata dall’uomo rispetto ad altri villaggi del Tigray a causa del suo isolamento e della sua posizione. Il paese godeva di una buona situazione economica, che permetteva ai contadini di mantenere il proprio capitale sociale e i legami sociali.
FONTE: theconversation.com/ethiopia-h…
Data Retention: Red Line Against Storage of Citizens’ IP Addresses
CJEU case: Patrick Breyer MEP draws a red line against storage of citizens’ IP addresses
On 15 and 16 May the judges of the Court of Justice of the European Union heard the French government, several French NGOs, the European Data Protection Supervisor and the European Union Agency for Cybersecurity in a case whose outcome will significantly strengthen or weaken, respectively the privacy of more than 447 million EU citizen’s activities on the Internet. (See case C‑470/21)
The French NGOLaQuadraturedu Net (LQDN) and three other complainants challenge France’s use of citizens’ Internet identity to enforce copyright. The NGOs argue that using indiscriminately retained IP addresses to prosecute filesharing is disproportionate since it does not concern serious crimes and also there is no independent control prior to the access. In consequence, the competent authority Arcom (formerly Hadopi), maintains a surveillance file containing large amounts of IP addresses and civil identity data of citizens in order to warn and eventually punish Internet users who share copyrighted works without authorisation.
In his non-binding opinion, Advocate General (AG) Szpunar of the Court of Justice of the European Union proposes a “readjustment of the case-law of the Court on the interpretation of Article 15(1) of Directive 2002/58 as regards measures for the Luxembourg assigned to the source of a connection” in the form of jurisdiction “providing for the general and indiscriminate retention of IP addresses (…) for the purposes of [fighting] online criminal offences for which the IP address is the only means of investigation.”
Dr. Patrick Breyer MEP (Pirate Party / Greens/EFA) warns against indiscriminate retention of citizen’s IP addresses and drwas a red line.
Red Line: EU citizens have a right to confidential internet communication
A general and indiscriminate retention of IP addresses assigned to the source of a connection has unacceptable consequences.
IP addresses are access to identity
The IP records of citizens in combination with standard logfiles kept by content providers must be compared with a compulsory routing slip that keeps track of the activities of each citizen. In the analogue world, such activity retention would be unacceptable: It would be retained which newspaper articles citizens read in the morning, which doctor is contacted during the lunch break and who meets whom in the evening. Such a recording of activities would be unimaginable in analogue form in a democracy. In digital form, all this data is available, distributed across networked databases and devices. The IP addresses of citizens are the link that makes them accessible and traceable, IP addresses are access to identity.
The end of anonymity on the Internet
General and indiscriminate retention of IP addresses would constitute the end of the possibility for citizens to anonymously and confidentially request information on the internet, to seek medical advice or to contact journalists anonymously. Particularly affected would be people who seek advice and help in an emergency situation (e.g. victims and perpetrators of violent or sexual offences), citizens who want to express their opinion despite public pressure or citizens who want to expose abuses and who want to contact journalists or file a criminal complaint anonymously.
Retention of IP addresses affects e-mail correspondence
The IP address of the sender is included in most e-mails, so that e-mail accounts registered under a pseudonym could also be assigned in the future. Confidential e-mail communication must be better protected because it is one of the most widespread communication channels through which people exchange information, seek psychological or other medical advice, or contact the police, media or lawyers.
General suspicion against millions of citizens
General and indiscriminate retention of IP addresses violates the presumption of innocence. Already the storage of the data is an intrusion into the privacy of the internet users. Obligations to retain IP addresses are disproportionate because they overwhelmingly affect law-abiding citizens.
Personality and movement profiles
General and undifferentiated retention of citizens’ identity on the internet would enable the creation of meaningful personality and movement profiles of virtually every citizen to an even greater extent than telephone connection data because online activities cover the entire life of citizens. From the sum of the information of what citizens read and write on the Internet, a profile can be created, which can reveal, for example, political opinion, religion, illnesses or sex life. In addition to this, the IP address can also be used to determine the approximate location of the user. Due to the data accumulated and stored by many devices even in “stand-by mode”, extensive movement profiles, behavior patterns and user behavior can be created.
IPv6 addresses can be unique and persistent tracking identifiers
The new standard for IP addresses IPv6 makes it possible to assign an individual identification, a permanently identical IP address, to almost any number of everyday objects in our lives. Watches, refrigerators, toys, cars, work tools, smart home devices, simple telephones as well as smartphones, MP3 players and almost every other small technical device can be connected with the internet in the future. This the so-called “Internet of things” would be covered by general and undifferentiated retention in its entirety. According to a recent study, 19% of households can already be tracked permanently using the end-user ID in their IPv6 address.
Amplification of infringement of fundamental rights through combination of data
IP records must be considered in combination with other information (“log files”) stored by providers such as Google, Amazon, Meta or Microsoft. A general storage of IP addresses would make the entire internet use traceable. Potentially that includes every Internet user’s inputs, clicks, internet pages read, search terms, downloads and every posts on the Internet. Once a pseudonym (e.g. user account, cookie) has been identified via the user’s IP address, usage data from the provider often enables the tracking of every click and entry made by the owner over days, weeks or months.
Discrimination against internet users
General and undifferentiated retention of our identity on the internet would be an unjustifiable and anti-technology discrimination against internet users compared to people who can continue to communicate and obtain information anonymously by telephone (e.g. flat rate), post or directly. The fact that the IP address can be the only clue to solving a crime does not distinguish it from other connection data. It is not comprehensible why the identifiability of a subscriber on the basis of an IP address should be established under lower conditions than its identifiability with the help of other traffic data (e.g. IMEI identifier, time of a telephone connection).
EU jurisdiction is not respected
For more than 15 years, EU member state governments are reluctant to comply with the Court’s jurisdiction when it comes to data retention. Repeatably governments have ignored safeguards and requirements imposed by the Court. Recently governments of Belgium, Denmark and Ireland take every opportunity to enforce the maximum possible surveillance instead of investing in police work and social work as experts explain. Any weakening of fundamental digital rights will be further overstretched by governments. Which in sum leads to unnecessary and disproportionate surveillance of EU citizens and adds to the crisis of the Rule of Law in the EU.
Citizens’ IP addresses should be better protected
When it comes to citizens’ internet activities, the sensitivity of IP data records must be considered comprehensively and in the long term. What is crucial is the usability of the accumulated collected data and the possibilities of using citizens’ IP data. Therefore, IP data should be better protected and retained only in cases where there is a concrete reason to do so. For example in cases of suspicion, the identity of the user of an IP address may only be disclosed with a court order, only for the prosecution of serious crimes or for the prevention of serious dangers. Legally, the presumption of innocence must be upheld. Politically, only fundamental-rights-friendly alternatives to any kind of general and indiscriminate data retention will respect the values of the EU.
ARTIFICIAL INTELLIGENCE DAY – LA RIVOLUZIONE DE- GENERATIVA – CLASS CNBC
Sono intervenuto questa mattina all’ARTIFICIAL INTELLIGENCE DAY – LA RIVOLUZIONE DE- GENERATIVA organizzato da Milano Finanza e Class CNBC per parlare di regole, intelligenza artificiale, opportunità e rischi all’orizzonte. Qui il link alla mia intervista completa video.milanofinanza.it/video/a…
Gatta Cikova
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super_user_do
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TiredInsomniac
in reply to super_user_do • • •Sei riuscito ad accedere con feddit? Io ogni volta che provo mi da "Incorrect login", nonostante accedo con password manager e sia certo della correttezza delle credenziali.
EDIT: ho provato anche Lemmur, anch'essa scaricata da F-Droid, ed in questo caso quando cerco di inserire "feddit.it" come istanza non la trova proprio, rendendo impossibile anche solo tentare il login.
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in reply to TiredInsomniac • •@TiredInsomniac @super_user_do
Non capisco quale possa essere il problema. Ora come ti sei loggato? Tu @skariko che dici?
Lemmur non è più sviluppato; dovresti usare Jerboa
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TiredInsomniac
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Come dicevo in un altro commento, Lemmur lo avevo scaricato solo per fare una doppia prova, ma anch'essa senza successo.
skariko
in reply to TiredInsomniac • • •Parli di Jerboa? Perché Jerboa su Android funziona bene con Feddit, l'ho provata io giusto l'altro giorno. Che versione hai provato? L'ultima è la 0.0.30.
Per quanto riguarda Lemmur invece il progetto purtroppo non è più mantenuto: github.com/LemmurOrg/lemmur
TiredInsomniac
in reply to skariko • • •skariko
in reply to TiredInsomniac • • •Quando provi a fare il login hai controllato che sia effettivamente feddit.it? Te lo chiedo perché esiste anche feddit.de e magari sovrappensiero non ci si fa caso.
Io ho appena riprovato e mi ha funzionato
TiredInsomniac
in reply to skariko • • •Suoko ✅
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TiredInsomniac
in reply to Suoko ✅ • • •Farò altri tentativi nel corso della giornata, in caso non avessi successo aprirò un'issue su GitHub.
skariko
in reply to TiredInsomniac • • •No ti confermo che i servizi di Google non c'entrano: utilizzo GrapheneOS senza i servizi di Google e funziona bene.
Ultimo dubbio: di recente avevo sentito di qualcuno che aveva avuto problemi per l'autenticazione perché l'username veniva richiesto case sensitive: in pratica sembra che riconosca le maiuscole e le minuscole. Puoi provare scrivendo: TiredInsomniac mettendo le minuscole e maiuscole uguali?
Nel caso fosse cosi andrebbe senz'altro aperta un'issue su GitHub 😀
TiredInsomniac
in reply to skariko • • •Quando torno da lavoro creo un profilo su GitHub, che non ho, e vediamo che ne esce fuori. Grazie davvero!
Suoko ✅
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Ielleb
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cabbasisolo
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Pissio
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Iscritto giusto stamattina da utilizzatore di Apollo ( rip )
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Alex 🐭
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •GG ragazzə 🤩
Comunque, il mito della crescita infinita è la più grande bugia del capitalismo. Non può esistere nulla di infinito in un mondo finito.
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Moonrise2473
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