Salta al contenuto principale



Ted Kaczynski, le élites globaliste, e te


Tecnologia, trasparenza totale e perdita di ogni connotazione etnica, culturale e sessuale del concetto di identità: la rivoluzione industriale, le sue conseguenze e l'agenda globalista.

Il 10 giugno 2023 è morto in carcere Theodore Kaczynski1, all’età di 81 anni. Nonostante i suoi crimini violenti, Ted fu probabilmente uno dei pochi a comprendere davvero il mondo contemporaneo ed ebbe la capacità di descriverlo chiaramente nel suo manifesto: “The Industrial Society and its future2”.

Ted ce l’aveva a morte con la “la rivoluzione industriale e le sue conseguenze”, sosteneva che gli avanzamenti tecnologici hanno aumentato le aspettative di vita ma allo stesso tempo hanno “destabilizzato la società e reso le nostre vite vuote, insoddisfacenti e indignitose”.

Secondo Ted, una delle manifestazioni più evidenti del dilagante disagio moderno è ciò che lui, già nel 1992, definiva “leftism”. Con questo termine non voleva in realtà indicare una specifica corrente politica di sinistra, ma qualcosa di più ampio e frammentato, che però fa riferimento a tutte le nuove ideologie collettiviste, anti-individualiste e politically correct.

In effetti, se una volta il marxismo e la sinistra erano sinonimi di rivoluzione per lo scardinamento delle istituzioni borghesi, oggi la “sinistra” è un insieme di correnti e ideologie diverse che proliferano grazie all’attivismo politico woke, LGBTQI+, ambientalista e così via — finanziato dalle stesse élite che una volta si prefiggevano di combattere.

Potremmo dire, usando le parole di Ayn Rand, che i “lefitsts” sono portatori di un “pensiero tribale” tipicamente collettivista che li spinge ad agire e pensare all’unisono, anche senza alcuna pianificazione centrale.

Fateci caso, il fenomeno è sempre più evidente: non appena si manifesta un evento catalizzatore, masse di persone si conformano automaticamente a questo o quel pensiero unico. Ad esempio, quante persone conoscete che da un momento all’altro hanno deciso di indicare i loro pronomi sui social network — come se fossero in cerca di una identità perduta?

Non perderti. Iscriviti a Privacy Chronicles!

L’identità perduta


Credo che il tema dell’identità sia in effetti centrale nei fenomeni collettivisti descritti da Ted e di cui siamo circondati. Un aiuto per comprenderlo meglio potrebbe arrivare da due opere molto diverse tra loro ma che condividono il tema dell’identità: il romanzo “Catcher in the Rye” di J.D. Salinger e l’anime giapponese “Ghost in the Shell: Stand Alone Complex”.

I thought what I'd do was, I'd pretend I was one of those deaf-mutes.3

Holden è un adolescente alienato e disincantato. Preferisce distanziarsi dagli altri e da un mondo che percepisce come falso. Ogni tanto pensa che sarebbe meglio essere un sordomuto, per isolarsi totalmente dalla società, evitare interazioni con il prossimo e smettere di sforzarsi di comprendere il mondo intorno a lui.

Read more



#laFLEalMassimo – Episodio 96 – Draghi, Ucraina e futuro dell’UE


Se nello scorso episodio mi sono compiaciuto per i riferimenti all’ingiusta invasine dell’Ucraina nelle considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, vorrei aprire questo evidenziando come anche il recente discorso tenuto da Mario Draghi al

Se nello scorso episodio mi sono compiaciuto per i riferimenti all’ingiusta invasine dell’Ucraina nelle considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, vorrei aprire questo evidenziando come anche il recente discorso tenuto da Mario Draghi al MIT di Boston ha visto questa tematica come elemento centrale e punto di partenza per tutte le considerazioni sul futuro degli equilibri internazionali e dell’unione Euroea.

Dunque non è una mia fissazione, ma anche illustri banchieri centrali e illuminati osservatori indipendenti da qualsisi interesse politico e di parte concordano sulla centralità della questione Ucraina come determinante fondamentale per il futuro di tutte le società aperte.

Con la usuale chiarezza e lucidità Draghi ci ha ricordato che l’Ucraina deve vincere e deve entrare a far parte della Nato e dell’Unione Europea. Questo insieme di stati che di fronte all’aggressione russa è riuscita a trovare una rara unità di intenti, ma che ha ancora molta strada da fare in tema di difesa comune, necessaria per supportare e integrare l’operato della NATO e per bilanciare gli equilibri internazionali messi in discussione dal folle espansionismo russo.

Ci attende un futuro complicato, fatto di tassi di interesse e di inflazione probabilmente più elevati della media degli ultimi decenni, margini di manovra più ridotti per la politica fiscale e la necessità di affrontare enormi sfide di carattere sociale, politico ed economico dal cambiamento climatico all’intelligenza artificiale. La strada che ci porta in quel futuro parte dal sostegno che saremo in grado di dare oggi all’Ucraina in una battaglia dove la posta in gioco, per chi non l’avesse ancora capito è la nostra libertà e il nostro futuro.

youtu.be/f8DXSw5VF-I

L'articolo #laFLEalMassimo – Episodio 96 – Draghi, Ucraina e futuro dell’UE proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Italia-Germania, tutte le occasioni di cooperazione nella Difesa. Paper Iai


Mentre scriviamo, in Europa si sta consumando una guerra su larga scala che vede una potenza nucleare nel ruolo di aggressore. Crimini di guerra contro i civili vengono commessi su vasta scala e, a fine giugno 2023, più di otto milioni di profughi hanno a

Mentre scriviamo, in Europa si sta consumando una guerra su larga scala che vede una potenza nucleare nel ruolo di aggressore. Crimini di guerra contro i civili vengono commessi su vasta scala e, a fine giugno 2023, più di otto milioni di profughi hanno attraversato i confini comunitari per cercare rifugio nell’Ue Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, l’invasione immotivata dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta probabilmente la più grande sfida ai diritti umani mai lanciata dopo la Seconda guerra mondiale. La guerra ha deteriorato la sicurezza globale e l’ambiente macroeconomico globale, mentre l’inflazione, l’emergenza alimentare e l’aggravarsi della crisi climatica si rafforzano a vicenda.

Alla luce di tutto ciò, gli attuali assetti di difesa dell’Ue sono al momento insufficienti per rafforzare un pilastro europeo nella Nato, per non parlare di lasciare la porta aperta a una vera autonomia strategica. Gli obiettivi pratici fissati dalla Bussola Strategica nel 2022 (come la creazione di un contingente rapidamente schierabile di 5.000 unità) sono evidentemente inadatti ad affrontare le principali sfide militari convenzionali provenienti dalla Russia, ma anche da un potenziale conflitto a Taiwan o nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa.

Consapevole di questa situazione, nel 2022 la Commissione Ue ha lanciato l’European Defence Industry Reinforcement through Common Procurement Act (Edirpa), uno strumento che dovrebbe veicolare progetti di acquisizione comuni di armi, mezzi e munizioni fornendo agli Stati membri disposti a cooperare sia incentivi finanziari che una piattaforma di approvvigionamento comune.

L’effetto di questa nuova strategia per stimolare l’industria della Difesa europea rimane ancora tutto da vedere e dipenderà in larga misura dalla sua attuazione; l’impatto di istituzioni come il Fondo europeo per la Difesa e Edirpa saranno comunque limitati se gli stanziamenti saranno destinati a un’ulteriore frammentazione degli assetti militari e a ulteriori duplicazioni capacitive nei vari domini.

L’Italia e la Germania sembrano essere sul punto di firmare un “Piano d’azione italo-tedesco” per l’espansione della cooperazione bilaterale, che si prevede comprenderà una serie di questioni che spaziano dalle questioni industriali alla politica estera. Tra i settori di cooperazione previsti, la difesa è uno dei più importanti. Le due nazioni sono infatti pilastri della base industriale e tecnologica della difesa europea e ospitano rinomati “prime contractor” come Leonardo, Rheinmetall, ThyssenKrupp AG e Fincantieri. Gli investimenti di queste due nazioni in acquisizioni, ricerca e sviluppo rappresentano una parte significativa delle spese militari totali europee. Questa posizione privilegiata nel panorama dell’Ue rende ancora più significativo l’impegno di Roma e Berlino ad aumentare le spese militari come reazione all’aggressione russa.

Esistono tuttavia differenze nelle priorità strategiche dei due Paesi. I crescenti investimenti italiani nella difesa nell’ultimo decennio si sono concentrati principalmente sul miglioramento della capacità delle forze armate di proiettare potenza nel “Mediterraneo allargato”, creando ad esempio il gruppo d’assalto di portaerei Cavour e un gruppo da sbarco anfibio. La Germania, invece, sta enfatizzando il ritorno alla difesa del territorio: ha recentemente (ri)istituito strutture come un quartier generale territoriale (Territorialen Führungskommando) per le operazioni interne e il supporto logistico alle operazioni alleate in Europa, mettendo il fianco orientale in primo piano nella sua visione strategica.

La guerra in Ucraina sta comunque offrendo alle due nazioni l’opportunità di sfruttare la loro complementarietà in diversi settori, a partire da importanti investimenti per colmare basilari lacune capacitive nella difesa aerea terrestre, da una maggiore attenzione alle tecnologie a duplice uso e dalla promozione di un processo di approvvigionamento più integrato che dia priorità alle munizioni e allo sviluppo di fattori abilitanti strategici come le capacità cibernetiche e spaziali.

I due Paesi dovrebbero inoltre impegnarsi in acquisizioni congiunte, in quanto unico modo per preservare e potenziare la base industriale e tecnologica di difesa europea in seguito a un’impennata senza precedenti della domanda di beni militari. Lo scalpore suscitato in Francia e in Italia dall’iniziativa tedesca European Sky Shield, che sembra favorire i sistemi di difesa missilistica terrestre di produzione statunitense e israeliana a scapito dei loro omologhi europei, è indicativo: in caso di emergenza, oggi ci sono pochi possibili partner commerciali che potrebbero essere coinvolti in acquisti comuni senza compromettere esistenti piani di sviluppo a medio e lungo termine. Pertanto, una cooperazione rafforzata nel campo delle acquisizioni consentirebbe una comunicazione più trasparente con i partner internazionali, promuovendo l’eccellenza delle due industrie nazionali senza alimentare spinte protezionistiche che sprecherebbero risorse (o efficienza) in progetti poco lungimiranti.

L’Italia e la Germania ospitano un gran numero di piccole e medie imprese (PMI) nel settore della difesa, che spesso detengono le chiavi del vantaggio competitivo delle due nazioni in settori quali la sensoristica e la guerra elettronica e cibernetica. Entrambe le nazioni hanno interesse a influenzare i programmi europei, come l’Edf, per stimolare più efficacemente l’innovazione all’interno dei rispettivi ecosistemi della difesa.

Allo stesso modo, i due Paesi dovrebbero creare sinergie all’interno delle iniziative finanziate dall’Edf. L’Italia e la Germania stanno già lavorando insieme al programma MALE RPAS (European medium-altitude, long endurance, remotely piloted aircraft system), un progetto Pesco cofinanziato dall’Edf e gestito dall’Occar che ha l’obiettivo di dotare l’Europa di un sistema di intelligence, sorveglianza e ricognizione (ISR) moderno e competitivo. È interessante notare che entrambi i Paesi condividono sensibilità simili quando si tratta di impiegare droni armati, nonostante l’Italia abbia deciso di armare i propri droni senza il decennale dibattito parlamentare e pubblico che ha caratterizzato la decisione della Germania di dotare i propri droni Heron TP di armi. Inoltre, sia Roma che Berlino sono estremamente caute quando si tratta di automazione, e gli interlocutori militari di entrambi i Paesi sottolineano l’importanza di mantenere un controllo umano.

Lo spazio è un’altra area di potenziale cooperazione. La protezione degli asset italiani (difesa da attacchi cinetici e minacce informatiche) è un tema centrale della Strategia nazionale di sicurezza spaziale che Roma ha elaborato nel 2019. La cooperazione con Berlino potrebbe rafforzare le complementarietà nei settori con una forte componente elettronica. Le due nazioni stanno lavorando congiuntamente su fattori abilitanti strategici attraverso il Defence of Space Assets (DoSA), un’iniziativa Pesco il cui obiettivo è fornire addestramento per operazioni militari spaziali, resilienza spaziale oltre che accesso e svolgimento di operazioni nello spazio. Entrambi questi progetti – ovviamente avviati prima dello scoppio della guerra in Ucraina – sono evidentemente legati alle prossime sfide di difesa che l’Europa, e quindi i due Paesi, si troveranno ad affrontare in un prossimo futuro.

La cooperazione è realizzabile anche nel campo dell’elettronica, che comporta capacità intersettoriali con benefici dual-use per il settore civile. A questo proposito, l’acquisizione della tedesca Hensoldt da parte di Leonardo è incoraggiante, perché potrebbe facilitare la creazione di economie di scala nel settore e aprire la strada a nuove collaborazioni in altri settori. In particolare, si potrebbe ipotizzare un sostegno reciproco nei settori dell’avionica, del teaming manned-unmanned e delle tecnologie combat cloud. Data la decisione della Germania di acquistare i jet multiruolo F-35 per sostituire la sua obsoleta flotta di Tornado, Berlino potrebbe trarre grande vantaggio dalle relazioni speciali di Roma con le industrie aerospaziali statunitensi e britanniche, nonché dalla sua esperienza nel programma F-35 attraverso lo stabilimento di produzione di Cameri.

Un altro settore in cui la cooperazione dovrebbe essere rafforzata è quello delle tecnologie subacquee. In questo campo, le aziende italiane e tedesche stanno già collaborando e la realizzazione del sottomarino U212 NFS è un buon esempio dei brillanti risultati che si possono ottenere insieme. La collaborazione tra Fincantieri e ThyssenKrupp potrebbe essere approfondita anche in considerazione del crescente interesse per l’ambiente sottomarino e per la ricerca sui veicoli subacquei senza pilota (Uuv). La necessità di proteggere le infrastrutture critiche dei fondali marini nel bacino del Mediterraneo rende l’Italia un partner interessante per la Germania, che è particolarmente allarmata per il possibile riproporsi di un sabotaggio simile a quello del Nord Stream. L’istituzione della Cellula di protezione delle infrastrutture critiche sottomarine della Nato, guidata dalla Germania, potrebbe offrire ulteriori possibilità di cooperazione bilaterale e multilaterale in questo senso.

La Germania e l’Italia dovrebbero collaborare di più anche per quanto riguarda i sistemi terrestri, in particolare carri armati e veicoli meccanizzati. La Germania ha una forte leadership europea in questo settore, mentre l’Italia ha alcune esperienze positive con il Centauro e una nicchia non trascurabile di produzione di torrette. La sfida sarà quella di facilitare la partecipazione italiana al progetto Main Ground Combat System (Mgcs), gestito dal consorzio franco-tedesco Knds. Dal punto di vista tedesco, l’Mgcs dovrebbe favorire un consolidamento a livello europeo delle tecnologie e della produzione di sistemi terrestri. Un contributo italiano, con l’adesione al consorzio e la sua trasformazione in una vera e propria iniziativa europea, sarebbe particolarmente opportuno vista l’urgente necessità dell’Italia di modernizzare la propria flotta corazzata, ma anche di aumentare le capacità produttive complessive dell’Europa e di soddisfare la crescente domanda continentale di carri armati. Inoltre, l’Italia sta attualmente esaminando le opzioni per la creazione di un nuovo polo per i sistemi terrestri, al fine di razionalizzare l’attuale catena di fornitura industriale e acquistare un successore del veicolo da combattimento di fanteria (IFV) Dardo. L’offerta di Rheinmetall di produrre il suo nuovo IFV Lynx in partnership con aziende italiane all’interno dei confini nazionali dovrebbe essere considerata con attenzione, al fine di promuovere le necessarie economie di scala in questo settore.

Un’altra allettante area di cooperazione bilaterale per Berlino potrebbe essere una partnership volta a sostenere la decisione di rendere la Bundeswehr più ecologica. La Germania ha già dimostrato una crescente consapevolezza dell’impatto ambientale delle sue attività militari. Questa correlazione è riconosciuta sia dalla Nato che dall’Ue e si ritiene che sia particolarmente significativa in tre campi (elencati in ordine decrescente di importanza): l’inquinamento statico prodotto dalle caserme e da altri edifici della difesa; l’inquinamento generato dai sistemi stessi e dalla mobilità militare; la dispersione di munizioni o altri rifiuti, in particolare in mare. L’Italia, da parte sua, ha già elaborato una strategia per affrontare il dilemma tra difesa e transizione ecologica. La parte più importante di questa strategia consiste in un piano per controllare l’approvvigionamento energetico di tutte le installazioni militari sul territorio italiano, rinnovare le infrastrutture vitali per la difesa e aumentare la sostenibilità della mobilità militare. La ricerca di fonti energetiche alternative per le forze armate, come i pannelli solari, potrebbe ridurre la dipendenza delle basi operative avanzate dalle forniture di petrolio, che sono particolarmente suscettibili agli attacchi della guerriglia quando sono dislocate in territori contesi.

La cosiddetta Zeitenwende si sta rivelando tutt’altro che facile da rispettare per la Germania, mentre l’Italia deve ancora dimostrare di percepire l’urgenza di un cambio di passo nella spesa per la difesa. In questa situazione, la cooperazione tra i due Stati può contribuire ad alleggerire il peso imposto dai cambiamenti radicali che entrambi i Paesi dovranno attuare nelle loro politiche di difesa. I bilanci della difesa di entrambi i Paesi sono attualmente in fase di aumento, ma se da un lato ciò si è reso necessario dopo un lungo periodo di sottofinanziamento delle rispettive forze armate, dall’altro comporta alcuni rischi. Il pericolo principale è che sia Berlino che Roma utilizzino il concetto di autonomia strategica europea per placare i propri campioni industriali nazionali, anziché attuare effettivamente i piani di rafforzamento delle iniziative di difesa dell’Ue. Nonostante alcuni segnali positivi, non si sa quanto del fondo speciale tedesco da 100 miliardi di euro sarà investito in progetti multinazionali di armamento strategico. Rischi analoghi sono presenti in Italia, che ha un forte bisogno di ricostituire le proprie scorte dopo le ultime spedizioni in Ucraina.

L’autentico impegno europeo delle due nazioni dovrebbe inevitabilmente tradursi in sforzi congiunti, a partire dal progresso tecnologico e industriale. Italia e Germania si sono dichiarate disponibili ad aumentare le spese per la difesa al 2% del Pil, come concordato al vertice Nato del 2014 in Galles. Questa vecchia soglia, che dopo il 24 febbraio 2022 è diventata un punto di partenza piuttosto che un traguardo per molti all’interno dell’Alleanza, non migliorerà necessariamente il profilo di difesa dell’Ue. Al contrario, aumenti nazionali delle spese di difesa, se non coordinati, possono paradossalmente essere dannosi per l’autonomia strategica dell’Ue. A seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la necessità impellente di molti Paesi dell’Ue di acquistare o aggiornare le armi ha un impatto negativo sulla base industriale europea. In futuro, i Paesi inclini alla cooperazione, come Germania e Italia, dovrebbero massimizzare il potenziale delle sinergie strategiche, industriali e culturali nel settore della difesa. Questa cooperazione dovrebbe iniziare come uno sforzo bilaterale nel quadro del prossimo Piano d’azione italo-tedesco e, quando possibile, tradursi in iniziative bilaterali nell’industria della difesa. Avviare progetti pragmatici e generare realtà industriali e politiche è il metodo più efficace per far progredire l’integrazione europea. Questo obiettivo può essere raggiunto più facilmente partendo da una prospettiva bilaterale, pur rimanendo aperti all’eventuale partecipazione di altre nazioni dell’Ue.

Link alla ricerca originale (in inglese)


formiche.net/2023/06/italia-ge…



Fulvio Vassallo Paleologo* 1.Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono stat


Finita l’era Djukanovic il Montenegro va alle elezioni anticipate


Dopo la sconfitta di Milo Djukanovic, ex presidente e padre padrone per 30 anni della scena politica locale, il Montenegro va al voto anticipato L'articolo Finita l’era Djukanovic il Montenegro va alle elezioni anticipate proviene da Pagine Esteri. http

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

di Redazione

Pagine Esteri, 10 giugno 2023 – Si svolgono domani 11 giugno le elezioni parlamentari straordinarie in Montenegro, che vedono in lizza 15 tra partiti politici – alcuni dei quali in rappresentanza delle minoranze bosniache, croate e albanesi – e coalizioni che si contenderanno gli 81 seggi dell’assemblea legislativa. Al voto sono chiamati i circa 540 mila aventi diritto della piccola repubblica adriatica.

La decisione di indire le elezioni anticipate è stata presa dall’ex presidente del Montenegro, Milo Djukanovic, il 17 marzo scorso, due giorni prima del primo turno delle elezioni presidenziali che il padre padrone della repubblica ex jugoslava ha poi perso, al ballottaggio del 2 aprile, in favore del principale sfidante Jakov Milatovic.
L’appuntamento elettorale di domani è il terzo in appena nove mesi, e dovrebbe suggellare la fine del dominio incontrastato di Djukanovic che durava da oltre trent’anni.

La campagna elettorale si è infiammata negli ultimi giorni a causa di alcuni allarmi bomba, rivelatisi poi infondati, registrati in diverse scuole, tribunali e nella sede del Parlamento, ma soprattutto in seguito alla lettera che il cittadino sudcoreano “ex re delle criptovalute” Do Kwon ha spedito ai funzionari montenegrini in cui descrive il suo presunto rapporto d’affari con il leader del movimento “Pes” Milojko Spajic, che secondo le previsioni potrebbe essere il futuro primo ministro del Montenegro. Nel febbraio scorso Do Kwon è stato accusato negli Usa di frode finanziaria per via della bancarotta da 40 miliardi di dollari delle sue criptovalute TerraUSD e Luna risalente al 2021.

Tra i temi di scontro nella campagna elettorale ha primeggiato anche il consistente indebitamento della repubblica balcanica con la Cina; un rapporto del 2021 del Centro per il giornalismo investigativo (Cin) di Podgorica sosteneva che ogni cittadino deve mediamente più di mille euro a Pechino. Il debito riguarda in particolare il credito fornito da “Export-Import Bank of China” – circa 130 milioni di euro – per costruire l’autostrada che dal porto di Bar conduce a Boljare, al confine con la Serbia.

Come detto, dopo il successo delle precedenti elezioni amministrative e presidenziali, i sondaggi prevedono che il Pes (Europa Adesso), che spinge per l’adesione del Montenegro all’Unione europea e da cui proviene il neopresidente Jakov Milatovic, possa conquistare il maggior numero di voti alle elezioni parlamentari ed avere quindi un ruolo chiave nella formazione del governo.
Il Pes i suoi alleati hanno incentrato la propria propaganda su alcune misure economiche, come l’aumento dei salari, la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento della pensione minima a 450 euro e consistenti investimenti economici in alcuni settori dell’industria.

Dietro ad Europa Adesso che dovrebbe conquistare circa il 30% dei consensi, dovrebbe piazzarsi il Partito democratico dei socialisti che stavolta non è guidato da Milo Djukanovic, dimessosi dopo la sconfitta alle presidenziali, e che dovrebbe conquistare circa il 20% con la coalizione Zajedno [Insieme] formata con i Socialdemocratici, il Partito liberale e l’Unione democratica degli albanesi.

L’attuale primo ministro Dritan Abazovic e il suo movimento civico Ura che sono in un’alleanza centrista con i Democratici (Ds) dovrebbero ottenere invece tra il 10 e il 15%.

Alla vigilia delle elezioni, il Fronte democratico, il principale blocco filo-serbo, ha cessato di esistere come coalizione perché il “Movimento per il cambiamento” (Pzp) di Nebojsa Medojevic ha abbandonato la coalizione. Gli altri membri, che sostengono il ritiro del Paese dalla Nato e la revoca delle sanzioni contro la Russia, si presentano insieme e dovrebbero ottenere tra il 10 e il 15%. – Pagine Esteri

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

L'articolo Finita l’era Djukanovic il Montenegro va alle elezioni anticipate proviene da Pagine Esteri.



Leggo i lamenti stucchevoli del presidente della Regione Lazio Rocca che si dichiara da sempre sostenitore dei diritti lgbtqi+. Davvero un rovesciamento della


Serve la giustizia


https://youtu.be/HRLYWLQUw3k L'articolo Serve la giustizia proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/serve-la-giustizia/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


A Difesa dell’industria. Cosa insegna il caso del cargo turco


La polizia giudiziaria – Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria e Roan della Guardia di finanza e Squadra Mobile di Napoli – hanno denunciato a piede libero tre dei 15 immigrati che erano a bordo della nave turca per porto d’armi. I due coltelli

La polizia giudiziaria – Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria e Roan della Guardia di finanza e Squadra Mobile di Napoli – hanno denunciato a piede libero tre dei 15 immigrati che erano a bordo della nave turca per porto d’armi. I due coltelli e il taglierino trovati sono stati sequestrati. I 13 uomini saranno accompagnati in un centro di accoglienza; le due donne, una incinta, sono invece in ospedale per accertamenti. La parola passa ora alla Procura: rimane in piedi l’ipotesi dirottamento che nei prossimi giorni sarà valutata dal sostituto procuratore Enrica Parascandolo.

LE INDAGINI

Polizia e Gdf hanno ascoltato nella notte, in Questura, il comandante della nave e i 15 immigrati. Il comandante ha riferito agli inquirenti di aver visto due di loro armati di coltello che si aggiravano nella zona macchine della nave dove però non sono riusciti a entrare. A questo punto i due si sono ricongiunti con gli altri. Per questo motivo ha lanciato l’allarme: non è chiaro l’uso che volessero fare dei coltelli.

LA NAVE RIMANE A NAPOLI

La nave Galata Seaway, che era diretta in Francia, resterà per il momento a Napoli, dove è stata scortata ieri sera dopo l’intervento dei marò del San Marco. Nei confronti dei 15 immigrati – che hanno detto di essere siriani, iracheni e afghani – verranno applicate le procedure ordinarie previste per i migranti, in attesa delle valutazioni che la Procura di Napoli farà nei prossimi giorni.

IL COMMENTO DI TORLIZZI

Il tentato dirottamento della nave cargo turca sancisce “un cambio di paradigma che evidenzia quanto fondamentale sarà il ruolo che la Difesa giocherà a protezione dell’Industria”, ha scritto su LinkedIn Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, membro del comitato scientifico del Policy Observatory della Luiss e consigliere del ministro della Difesa. “Dobbiamo oramai fare i conti con un contesto totalmente diverso rispetto al passato in cui non si potranno più applicare gli schemi classici della Difesa e dell’Industria, privilegiando invece modelli di natura ibrida. La difesa 4.0 non è solo carri armati, aerei e navi, ma è anche uno strumento a protezione (e agevolatore di sviluppo) del sistema Paese”, ha aggiunto.


formiche.net/2023/06/nave-carg…



I think tank finanziati da appaltatori della difesa dominano il dibattito sull'Ucraina

@Giornalismo e disordine informativo

I think tank negli Stati Uniti sono una risorsa di riferimento per i media che cercano pareri di esperti su questioni urgenti di politica pubblica. Ma i think tank hanno spesso posizioni trincerate; un numero crescente di ricerche ha dimostrato che i loro finanziatori possono influenzare la loro analisi e commento. Questa influenza può includere la censura - sia l'autocensura che una censura più diretta del lavoro sfavorevole a un finanziatore - e accordi di ricerca con i finanziatori. Il risultato è un ambiente in cui gli interessi dei finanziatori più generosi possono dominare i dibattiti politici dei think tank.

Uno di questi dibattiti riguarda il livello adeguato di coinvolgimento militare degli Stati Uniti nell'invasione russa dell'Ucraina. Dalla decisione illegale e disastrosa di Vladimir Putin di lanciare un'invasione su vasta scala dell'Ucraina, gli Stati Uniti hanno approvato circa 48,7 miliardi di dollari di spese militari. 1 Nonostante il rischio molto reale che le escalation possano portare a un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti nella guerra, pochi gruppi di esperti hanno esaminato criticamente questa quantità record di assistenza militare statunitense.

Nel contesto del dibattito pubblico sul coinvolgimento militare degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina, questo rapporto indaga sul finanziamento di think tank da parte del Dipartimento della Difesa (DoD) e degli appaltatori del DoD, quelle organizzazioni che sostengono gli sforzi per politiche a beneficio di quei finanziatori e la dipendenza predominante dei media su think tank finanziati dal settore della difesa. L'analisi rileva che la stragrande maggioranza delle menzioni dei media sui think tank negli articoli sulle armi statunitensi e sulla guerra in Ucraina provengono da think tank i cui finanziatori traggono profitto dalle spese militari statunitensi, dalla vendita di armi e, in molti casi, direttamente dal coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina . Questi think tank offrono anche regolarmente supporto per soluzioni di politica pubblica che andrebbero a vantaggio finanziario dei loro finanziatori senza rivelare questi apparenti conflitti di interesse. Sebbene questo brief non abbia cercato di stabilire una causalità diretta tra le raccomandazioni politiche dei think tank e il finanziamento dell'industria degli armamenti nel caso della guerra in Ucraina, troviamo una chiara correlazione tra i due. Abbiamo anche scoperto che i media si affidano in modo sproporzionato ai commenti dei think tank finanziati dal settore della difesa.

La stragrande maggioranza delle menzioni dei media sui think tank negli articoli sulle armi statunitensi e sulla guerra in Ucraina provengono da think tank i cui finanziatori traggono profitto dalle spese militari statunitensi, dalla vendita di armi e, in molti casi, direttamente dal coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Ucraina.

Di Ben Freeman per il Quincy Institute

dan80 doesn't like this.



Taiwan Files – Tra Shangri-La, navi ed elezioni


Taiwan Files – Tra Shangri-La, navi ed elezioni 7636826
La posizione esatta della sfiorata collisione di sabato 3 giugno non sarebbe esattamente lo Stretto di Taiwan, ma sulla sua soglia. Lo sostiene una fonte informata dei fatti con cui ho parlato nei giorni scorsi. Resta senz’altro la valenza di quanto accaduto, che pare chiaro provenire da un’indicazione politica di gestire il transito di navi degli Stati Uniti in una ...

L'articolo Taiwan Files – Tra Shangri-La, navi ed elezioni proviene da China Files.



Per le studentesse e gli studenti che dovranno affrontare la #Maturità2023, qui il messaggio di incoraggiamento del Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di Calcio, Roberto Mancini.

▶️ https://youtube.



PRIVACYDAILY


N. 137/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno raggiunto un impegno di principio per istituire l’estensione britannica del Data Privacy Framework, che prevede la creazione di un nuovo “ponte di dati” tra i due Paesi. Le aziende statunitensi che saranno autorizzate ad aderire al quadro di riferimento potranno... Continue reading →


Aiuta gli ultimi in Iran nella associazione degli avvocati di Kerman: Maryam Arvin viene uccisa dal regime


Difendeva i manifestanti, la giovane avvocata Maryam Arvin, ed è stata per questo motivo ammazzata. Aveva 29 anni, si era appena sposata ed era molto attiva nella difesa dei diritti degli ultimi nell’Associazione degli avvocati di Kerman. La dottoressa Ar

Difendeva i manifestanti, la giovane avvocata Maryam Arvin, ed è stata per questo motivo ammazzata.

Aveva 29 anni, si era appena sposata ed era molto attiva nella difesa dei diritti degli ultimi nell’Associazione degli avvocati di Kerman.

La dottoressa Arvin seguiva, “pro bono”, i casi di donne indigenti, di minori abusati e di bambini lavoratori.

Era stata arrestata in un tribunale di Sirjan il 26 novembre 2022 mentre assisteva giovani manifestanti per la libertà dell’Iran detenuti nel carcere di Sirjan.

Il 13 dicembre 2022, Maryam Arvin era stata rilasciata su cauzione e nei giorni successivi il tribunale avrebbe dovuto emettere un verdetto contro di lei, ma il 7 febbraio 2023 l’associazione degli avvocati di Kerman annunciò che Arvin era deceduta due mesi dopo la sua scarcerazione. La causa della sua morte non è stata specificata in alcuna dichiarazione ufficiale delle autorità sanitarie.

Negli ultimi mesi della prima metà del 2023, con l’affievolirsi delle manifestazioni nelle strade dei grandi centri urbani dell’Iran, diversi giovani, donne e uomini, arrestati durante le proteste per Mahsa Amini, sono morti in circostanze sospette solo poche settimane dopo la loro scarcerazione, spesso avvenuta su cauzione. In tutti questi numerosi casi è stato indicato il “suicidio” come causa della loro morte.

Si tratta di centinaia di casi come quelli recenti di Yalda Aghafazli, Arshia Imamgholi e Mohsen Jafarirad: tutte ragazze decedute subito dopo essere state scarcerate. Tali casi, accuratamente documentati dalle organizzazioni per i diritti umani, hanno suscitato molte denunce sul trattamento riservato dalle autorità iraniane ai manifestanti prigionieri.

Secondo la magistratura iraniana l’avvocato Maryam Arvin si sarebbe tolta la vita iniettandosi droga.

Tayyebeh Nazari, insegnante di Letteratura nelle scuole superiori di Sirjan, madre dell’avvocata attivista deceduta, sostiene invece che la morte di sua figlia è stata provocata dalle conseguenze di un avvelenamento avvenuto in carcere.

Il 29 maggio 2023, la signora Nazari ha scritto sul suo account Instagram che sua figlia, Maryam Arvin, arrestata per aver difeso i suoi clienti, è stata uccisa dalle autorità carcerarie a seguito di iniezioni di quantità eccessive di tranquillanti e sedativi.

I sanitari del carcere di Sirjan parlano, in anonimato, di ferite atroci inflitte sul corpo della giovane avvocata.

Tayyebeh Nazari ha anche rivelato che una settimana dopo la morte di sua figlia, lei stessa era stata condannata in contumacia, dalla sezione 103 del tribunale penale di Kerman, a una pena detentiva di 15 mesi, una multa di un milione di toman e a 40 frustate, solo per aver denunciato la reale causa della morte di sua figlia.

La mamma di Arvin racconta delle atroci violenze fisiche subite da sua figlia. Racconta che pochi giorni prima della sua morte, un ufficiale donna delle basij, di nome Zahra Alizadeh, meglio nota come “Mobina”, insieme a un suo collega dell’intelligence della Forza di sicurezza dello Stato, di nome Hamid Zeydabadi, durante una udienza avevano ammanettato Maryam Arvin nel corridoio del tribunale che poi le tolsero il velo e che la trascinarono a terra tirandola per i capelli per poi picchiarla e torturarla in una cella di isolamento.

In verità i manifestanti arrestati non hanno diritto ad un avvocato di fiducia, indipendente, né a contattare e a ricevere visite di familiari. Gli avvocati che “difendono” gli oppositori della teocrazia sono nominati dal regime, mentre quelli indipendenti non sono autorizzati a occuparsi dei casi dei loro clienti, forniscono solo consulenza legale alle famiglie e trasmettono informazioni ai detenuti, ma spesso anche gli avvocati indipendenti vengono arrestati, come è accaduto a Maryam Arvin. Per questo le autorità giudiziarie iraniane possono nel silenzio e nell’indifferenza totali costringere i giovani a confessioni forzate. La procedura utilizzata è la seguente: i prigionieri vengono sistematicamente torturati e tenuti in celle di isolamento al buio, senza cibo e acqua; spesso sia le donne che gli uomini vengono stuprati; non hanno diritto ad un avvocato difensore né a contattare o a ricevere visite di legali o di attivisti per i diritti umani.

Si stima che dall’inizio della rivolta giovanile, dal 16 settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, almeno 130 avvocati di tutte le province del Paese, tra cui dozzine di donne, siano stati convocati o arrestati dalla magistratura. Le accuse vanno dall’abuso dell’esercizio della loro professione alle opinioni espresse sui social media, considerate espressioni di “inimicizia e odio contro Dio”.

Il trend è in aumento. Nel solo maggio 2023 sono stati settanta gli avvocati convocati e arrestati. I procedimenti sono per lo più condotti dal tribunale di sicurezza che ha sede nella famigerata prigione di Evin a Tehran. Contro di essi non sono state formulate pubblicamente accuse specifiche.

Gli avvocati vengono costretti durante le udienze a firmare una “lettera di impegno” in cui si obbligano a rispettare le disposizioni della magistratura come condizione per il loro rilascio su cauzione. Nella lettera viene espresso “rammarico” per le proteste insorte a livello nazionale e l’impegno a non contattare “reti di legali o organizzazioni per i diritti umani fuori dal paese, perché considerati elementi controrivoluzionari”. Una tale pratica è considerata una minaccia alla sicurezza del paese e può essere perseguita anche con l’ergastolo o con la condanna a morte.

È questa una tattica che mira a incutere timore e ad esercitare pressione sugli avvocati, affinché non sostengano le proteste e i manifestanti.

Il 14 maggio 2023, la sezione 29 del tribunale rivoluzionario di Tehran ha condannato la signora Marzieh Nikara, un insigne avvocato per i diritti umani, a un anno di reclusione. Un altro avvocato per i diritti umani, Farzaneh Zilabi, è stata condannata a un anno e mezzo di reclusione dal tribunale rivoluzionario di Ahvaz.

Nazanin Salari, Forough Sheikhol, Eslami Vatani, Tutia Partovi Amoli, Mitra Izadifar, Marjan Esfahanian, Samin Cheraghi e Sara Hamzezadeh sono state le ultime avvocate a comparire davanti al tribunale di Tehran.

Il numero crescente di avvocati convocati presso il tribunale di sicurezza di Tehran sta sollevando allarme presso le organizzazioni per i diritti umani, soprattutto per l’aumento del rischio che vengano giustiziati i manifestanti senza accesso a una difesa indipendente ed equa come prescrivono tutte le convenzioni internazionali.

Il regime clericale ha finora giustiziato almeno quindici manifestanti, di cui tre il 19 maggio 2023 e nel solo mese di maggio sono stati giustiziati per impiccagione almeno 142 prigionieri.

La rivoluzione dei giovani e delle minoranze per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica sta attraversando una fase di stallo, ma il regime repressivo e il boia sono all’opera, in una intensa attività, sotto gli occhi indifferenti del mondo libero e delle sue istituzioni internazionali, come quella della Corte penale internazionale.

L'articolo Aiuta gli ultimi in Iran nella associazione degli avvocati di Kerman: Maryam Arvin viene uccisa dal regime proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Rifondazione Comunista parteciperà domani al Pride come abbiamo sempre fatto. Quest'anno ci sono ragioni ancor più forti per esserci visto che per la prima vo


Se la Sanità italiana non rispetta la privacy: i problemi da risolvere

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

Cosa ci insegnano gli ultimi provvedimenti del Garante privacy. Bisogna adottare misure tecniche idonee a evitare gli incidenti con violazioni dei dati. Ma occorre anche sensibilizzare il personale e prevedere adeguate misure organizzative al fine di garantire la sicurezza del trattamento

Il post di Paola Liguori e Livia Petrucci è su Agenda Digitale

in reply to Informa Pirata

Un’altra cosa che trovo sinceramente assurda è quanti medici di famiglia richiedano l’invio di risultati di esami via email e hanno un indirizzo @gmail.com…


GPT-4, per alleggerire il lavoro dei medici: meno burocrazia, più cura

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

L’applicazione Dragon Ambient eXperience, o DAX, incorporerà presto GPT-4 grazie alla partnership tra Microsoft e OpenAI. I medici “cederanno il controllo” a “macchine imperfette” per utilizzare parte del loro tempo diversamente? Vediamo i vantaggi e le criticità

Il post di Luigi Mischitelli è su Agenda Digitale

reshared this



Mobilità del futuro: ecco le sfide per le smart road

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

Oggi è possibile realizzare smart road grazie ad infrastrutture che comunicano con gli utenti per offrire in tempo reale informazioni su traffico, incidenti lungo il percorso o condizioni meteorologiche. Vantaggi, piattaforme e casi d’attuazione

Il post di Maurizio Ristori

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

reshared this



eArchiving: l’Eidas 2 di cui nessuno parla - Le bozze eIDAS2 contengono novità importanti: una di queste riguarda l’evoluzione dell’e-archiving

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

Italia all’avanguardia: un’opportunità da cogliere

L’attenzione su eIDAS2, il nuovo Regolamento europeo su electronic IDentification Authentication and Signature (che aggiornerà il precedente Regolamento UE n° 910/2014) è molto catalizzata sul tema del digital identity wallet e sulle evoluzioni in genere legate ai servizi fiduciari.

Tuttavia, le bozze di eIDAS 2, che al momento sono nella fase di negoziato interistituzionale tra Commissione, Parlamento e Consiglio Europeo (il Trilogue), contengono molte altre novità importanti, tra cui una che avrà grande impatto sul mercato italiano ed europeo: l’evoluzione dell’e-archiving.

Il post di Danilo Cattaneo, Marta Gaia Castellan e Igor Marcolongo

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

reshared this

in reply to Informa Pirata

video.resolutions.it/w/5Wa3Wex…


I NUOVI SCENARI DELL'IDENTITÀ DIGITALE: FUNZIONALITÀ E CRITICITÀ


Webinar curato dalla Fondazione Ampioraggio: fondazioneampioraggio.it
Quali sono i nuovi scenari dell’identità digitale?
SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), eIDAS (regolamento europeo per l'identificazione elettronica) e il mercato dei wallet: come cambieranno le modalità di relazione tra cittadino, imprese e pubblica amministrazione nel prossimo futuro




La manifestazione di domani a Cosenza contro il progetto di autonomia differenziata di Calderoli e del governo Meloni è un segnale importante per tutto il sud.


Intelligenza Artificiale: Giove, il nuovo sistema di polizia predittiva italiano di cui si sa pochissimo | Infoaut

"Uno scenario che richiama la fantascienza e che solleva dubbi e perplessità tra gli addetti ai lavori, soprattutto per l'incapacità attuale di questi sistemi di trovare corrispondenze con la realtà e per la loro tendenza a discriminare le persone in base all’etnia e alla provenienza geografica. Ad aumentare la preoccupazione è il fatto che nulla sia ancora stato detto circa alcuni aspetti fondamentali, come quali banche dati e dati verranno usati per addestrare l’algoritmo, chi sarà il responsabile del trattamento dei dati e se l’uso del sistema comporterà o meno arresti preventivi."

infoaut.org/divise-e-potere/in…



Regolamenti militari a immagine di Xi. Tra reclutamento e renitenza


Pechino aggiorna le sue regole per la coscrizione. La motivazione ufficiale è quella di aggiornare i regolamenti militari in modo da attuare il “Pensiero di Xi Jinping” sul rafforzamento delle Forze armate e migliorare la qualità dei soldati di leva dell’

Pechino aggiorna le sue regole per la coscrizione. La motivazione ufficiale è quella di aggiornare i regolamenti militari in modo da attuare il “Pensiero di Xi Jinping” sul rafforzamento delle Forze armate e migliorare la qualità dei soldati di leva dell’Esercito popolare di liberazione (Pla). Tuttavia, l’analisi delle misure contenute delle decisioni prese dalla Commissione militare centrale (Cmc) rivelano le lacune che preoccupano gli strateghi della Repubblica popolare riguardo alle capacità del proprio personale in uniforme. Da nuove misure per il reclutamento, a nuove previsioni per le punizioni da infliggere di fronte a un diverso tipo di reati relativi alla renitenza alla leva, fino a misure per attirare (e trattenere in uniforme) personale qualificato.

Un nuovo capitolo sulla coscrizione di guerra

La principale riforma vede l’aggiunta di un intero nuovo capitolo al regolamento relativo alla coscrizione in tempo di guerra. Le nuove norme consentono ora al Cmc di modificare a piacimento i requisiti per la leva a seguito di un ordine di mobilitazione nazionale per la Difesa del Paese. Tra le misure, anche la possibilità di richiamare in servizio, in caso di guerra, gli ex-soldati come supplemento delle unità in servizio attivo. Questa misura, oltre a rivelare il fatto che gli strateghi cinesi stanno effettivamente riflettendo sulla possibilità di un conflitto, scopre anche un vulnus all’interno delle stesse Forze armate di Pechino: la fidelizzazione del personale. I soldati, specialmente i più istruiti, tendono infatti a lasciare la vita militare al termine dei due anni di ferma, scoraggiati dalle dure condizioni e attirate dalle migliori condizioni economiche e lavorative del settore privato. Già ne 2021 la leadership cinese revisionò la politica di smobilitare il personale di leva che non avesse raggiunto il grado di sottufficiale, permettendo anche ai soldati di truppa un “secondo arruolamento”. L’ulteriore rafforzamento di queste misure tradirebbe un mancato raggiungimento degli obbiettivi sperati con la prima riforma.

Misure ancora più rigide per chi si sottrae dalla leva

Nei nuovi regolamenti sono state anche rafforzate le punizioni sui reati in caso di renitenza alla leva, il rifiuto di prestare il servizio una volta reclutati, il sostegno a chi cerca di evitare il reclutamento (definito ufficialmente “ostacolare i cittadini all’adempimento dei loro obblighi militari”). Oltre a multe salate (oltre i seimila dollari), le nuove pene prevedono l’impossibilità di iscriversi all’università, andare all’estero, ottenere sussidi statali, essere impiegati nel servizio civile o nelle imprese statali, o persino ricevere una licenza commerciale. L’inasprimento delle regole fa trapelare come il problema di chi cerca di evitare il servizio militare sia più grave di quanto ufficialmente riconosciuto.

Il Dragone punta a soldati più performanti

A questo si aggiunge un problema legato al bacino stesso di reclutamento. Il nuovo regolamento prevede controlli ulteriori sugli esami fisici. In particolare, nuove ispezioni saranno attivate qualora in un gruppo di reclute un numero eccessivo di candidati non dovesse superare l’esame fisico. Queste misure affrontano il problema della scarsa forma fisica delle Pla, un problema riconosciuto fin dal 2013 e causato dallo stile di vita sedentario di molti cittadini cinesi, con elevati casi di sovrappeso e miopia. Un problema che ha visto crescere anche il numero di infortuni tra le reclute in addestramento. Questi problemi, tra l’altro, sembrano affliggere anche il personale già reclutato nel corso del proprio periodo di ferma, diminuendo la qualità delle prestazioni nel corso dei periodici momenti di esercitazione.

Il ruolo dell’istruzione

Una ulteriore misura enfatizza la richiesta per personale militare con istruzione universitaria, o in generale di militari con competenze specifiche tecnico-specialistiche. Lo stesso Xi ha definito la qualità del personale la chiave per un esercito di livello mondiale. Tra le misure adottate c’è quella di concentrare maggiormente l’attenzione nel reclutamento di cittadini con un background familiare urbano, un elemento fortemente correlato con il livello di istruzione. Altro incentivo viene dalla ristrutturazione del reclutamento per attirare i neo-laureati offrendo condizioni professionali di qualità, spendibili eventualmente anche dopo il periodo di ferma. Il focus, in questo senso, si rivolge soprattutto alle facoltà Stem, identificando i laureati in materie tecniche avanzate e con competenze specifiche come necessarie per una forza armata moderna e pronta a scenari di combattimento ad alto valore tecnologico.


formiche.net/2023/06/cina-aggi…



In Colombia si prepara il golpe: a migliaia in piazza a difesa di Petro


Decine di migliaia di cittadini sono scesi in piazza insieme alle principali confederazioni sindacali del Paese per denunciare il tentativo di colpo di Stato e sostenere il primo presidente di sinistra della storia della Colombia L'articolo In Colombia s

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 9 giugno 2023. Decine di migliaia di persone hanno occupato le strade della Colombia per manifestare il proprio sostegno al presidente Gustavo Petro e denunciare il tentativo di golpe che i gruppi di potere e il vecchio establishment politico stanno preparando. È un golpe senza eserciti, almeno per il momento, sul modello di quello portato avanti in Perù lo scorso dicembre, quando il Presidente Castillo è stato arrestato.

In realtà i morti sono comunque arrivati, in Perù, quando la nuova presidente Dina Boluarte ha scelto di utilizzare il pugno di ferro contro i manifestanti che per mesi sono scesi in strada chiedendo la liberazione di Castillo e nuove elezioni. L’esercito ha sparato sui dimostranti uccidendone a decine.

L’offensiva contro Gustavo Petro è cominciata, a quanto pare, già durante la sua campagna elettorale, quando lui e i suoi collaboratori sono stati messi sotto continua intercettazione telefonica e ambientale. “Per mesi e mesi di intercettazioni – ha dichiarato il presidente – non sono riusciti a trovare nemmeno 10 secondi in cui il candidato Petro parlasse di qualche irregolarità, pronunciasse una sola parola maleducata o facesse capire che la sua campagna era condotta in modo disonesto”. Le destre e con loro i poteri giudiziari stanno costruendo un castello di accuse per arrivare alla destituzione del presidente. Attraverso inchieste sui fondi destinati alla sua campagna elettorale si punta all’impeachmentattraverso l’accusa di essere stato finanziato dai trafficanti di droga. Petro, primo presidente di sinistra nella storia della Colombia, ha vinto le elezioni con un ampio margine sul magnate delle costruzioni, Rodolfo Hernandez, e con un programma rivoluzionario per il suo Paese: istruzione universitaria gratuita, riforma pensionistica, assistenza sanitaria universale, riforma agraria, lotta alle disuguaglianze, stop ai nuovi progetti petroliferi. Tutto ciò ha messo in allarme gli investitori locali e stranieri.

7626119
Manifestazioni in difesa del presidente Petro

Petro è sceso in piazza insieme al popolo che lo ha votato e che lo sostiene, seguito e supportato dalle più grandi federazioni sindacali colombiane e durante una delle manifestazioni ha paragonato ciò che sta accadendo nel suo Paese a quanto è successo solo pochi mesi fa in Perù. Tra gli obiettivi più importanti della politica di Petro, quello della “pace totale”. È un programma di trattative con le formazioni armate e paramilitari che vivono nell’illegalità e che rappresentano per la Colombia uno dei più gravi e annosi problemi. I gruppi armati sfidano il governo e la polizia con attentati e ritorsioni oppure, a fasi alterne, vengono foraggiati e finanziati dalla politica che li sfrutta come armi utili a liberarsi dei propri nemici politici. In alcuni casi il potere e la violenza con cui queste formazioni si sono scagliate contro lo stesso popolo colombiano, hanno fatto parlare di “guerra civile”. Una guerra che va avanti da decenni e a cui Petro sta tentando di porre fine.

È di questi giorni l’annuncio di un viaggio del presidente a Cuba, dove è stato organizzato un incontro di mediazione con l’Ejército de Liberación Nacional (Eln), il gruppo armato forse più propenso ad un accordo, portatore da sempre di istanze politiche e sociali. L’idea di Petro è di far entrare questi gruppi nella legalità, concedendo loro qualcosa in termini economici e di riconoscimento, ottenendo la fine dei traffici illegali e delle azioni delittuose.

Un processo cominciato che si interromperebbe, come tutti gli altri, solamente con la destituzione del presidente Petro che non rimane, però, isolato a livello internazionale: diversi leader mondiali di sinistra hanno firmato una lettera che denuncia i tentativi di golpe in Colombia, accusando le destre all’opposizione di provare a rimuovere illegalmente il presidente e i suoi principali alleati. Tra i sottoscrittori figurano il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, l’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa, l’ex presidente colombiano Ernesto Samper, l’ex presidente spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, Jeremy Corbyn del Regno Unito e Jean-Luc Mélenchon, ex candidato alla presidenza francese.

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

L'articolo In Colombia si prepara il golpe: a migliaia in piazza a difesa di Petro proviene da Pagine Esteri.



Dobbiamo garantire la vittoria all’Ucraina, non c’è alternativa per l’Unione europea


Signore e signori, È meraviglioso tornare al Mit tra tanti amici. Ed è un grande onore ricevere il Premio Miriam Pozen. Nel 2020, il Premio Miriam Pozen inaugurale è stato assegnato a Stan Fischer. Stan è stato un vero gigante della politica, grazie al su

Signore e signori,
È meraviglioso tornare al Mit tra tanti amici. Ed è un grande onore ricevere il Premio Miriam Pozen. Nel 2020, il Premio Miriam Pozen inaugurale è stato assegnato a Stan Fischer. Stan è stato un vero gigante della politica, grazie al suo equilibrio, alla sua acutezza e alla sua esperienza. Per me è stato anche un amico, un mentore, un modello. Mi sento immensamente privilegiato a seguire le sue orme.

La mia conferenza di oggi attingerà dalle mie esperienze come banchiere centrale e primo ministro italiano. Vorrei soffermarmi sui due eventi che, insieme alle crescenti tensioni con la Cina, hanno dominato le relazioni internazionali e l’economia globale nell’ultimo anno e mezzo: la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione. Questi eventi hanno colto di sorpresa i responsabili politici.

Pensavamo che le istituzioni che avevamo costruito, insieme ai legami economici e commerciali, sarebbero state sufficienti a prevenire una nuova guerra di aggressione in Europa. E credevamo che le banche centrali indipendenti avessero acquisito la capacità di contenere le aspettative di inflazione, al punto da temere una stagnazione secolare. Con il senno di poi, sosterrò che questi due eventi epocali non sono nati dal nulla e non sono scollegati tra loro. Sono piuttosto entrambi la conseguenza di un cambio di paradigma che negli ultimi venticinque anni ha silenziosamente spostato la geopolitica globale dalla competizione al conflitto.

Questo cambio di paradigma potrebbe portare a tassi di crescita potenziale più bassi e richiederebbe politiche che portino a deficit di bilancio e tassi di interesse più elevati. Negli anni Novanta, molti credevano che il processo di globalizzazione fosse inarrestabile e che avrebbe diffuso i valori liberali e democratici in tutto il mondo. Lo sviluppo del settore privato, il buon funzionamento dei mercati, la straordinaria crescita degli investimenti esteri diretti e l’espansione del commercio mondiale erano obiettivi visti come favorevoli non solo alla prosperità per tutti, ma anche alla democrazia per tutti.

L’opinione dominante era che i valori globali sarebbero stati convergenti e che questa convergenza avrebbe rimodellato le relazioni internazionali per i decenni a venire. E si presumeva che le istituzioni internazionali sarebbero state sufficienti a correggere le distorsioni derivanti dalla globalizzazione – ad esempio in materia di clima, concorrenza e diritti di proprietà – e che le istituzioni nazionali avrebbero corretto le disuguaglianze. Due esempi hanno rivelato le carenze di questa visione consensuale della globalizzazione.

Il primo, forse il più simbolico e consequenziale, è stato l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), nonostante non fosse (e non sia) un’economia di mercato, nell’ipotesi che lo sarebbe diventata. Sebbene questa decisione abbia portato a una storica riduzione della povertà globale e abbia avvantaggiato i consumatori e le imprese occidentali, ha avuto un forte impatto sociale, politico e ambientale. La Wto si è dimostrata incapace di contenerlo.

In secondo luogo, la pretesa che la diffusione del libero mercato avrebbe diffuso anche i valori della democrazia liberale è stata infranta dall’esempio della Russia. L’occidente ha visto l’ascesa di Vladimir Putin come un segno dell’inevitabile modernizzazione della Russia, e ha accolto Mosca nelle sedi multilaterali, a partire dal G7 e dal G20. Abbiamo ipotizzato che i legami economici e commerciali che abbiamo creato con la Russia sarebbero stati una garanzia di prosperità, un motore di democratizzazione, un preludio a una pace duratura. Tuttavia, Putin non ha mai accettato i cambiamenti politici e territoriali dopo la fine dell’Unione sovietica.

Dalla Georgia alla Crimea, il governo russo ha violato ripetutamente la sacralità dei confini internazionali, perseguendo un piano premeditato per ripristinare il suo passato imperiale. I contratti che avevamo firmato con la Russia, in particolare per la fornitura di gas naturale, sarebbero diventati uno strumento di ricatto. Mentre noi eravamo impegnati a celebrare la fine della storia, la storia stava preparando il suo ritorno. Anche le nostre istituzioni nazionali si sono dimostrate sorprese da questa sfida. La rivolta contro l’ordine liberale multilaterale ha preso forza, a causa della sua percepita iniquità e della mancanza di garanzie.

Nel 2016, l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e il referendum sulla Brexit in Europa hanno mostrato una diffusa insoddisfazione nei confronti del modello economico e politico esistente. Gli elettori chiedevano una maggiore protezione e un maggiore controllo. Volevano un ruolo più centrale per lo stato, che è tornato in primo piano. La pandemia di Covid-19 ha accelerato la tendenza ad allontanarsi dal primato dei mercati.

In Europa ci siamo subito resi conto che troppe catene di approvvigionamento erano fuori dal nostro controllo interno in un momento critico. L’esempio più chiaro e pericoloso è stata la catena di fornitura di beni medici essenziali – dai dispositivi di protezione ai vaccini – dove i governi hanno dovuto assumere una posizione più assertiva. Anche il settore pubblico ha assunto un ruolo centrale nel sostenere l’economia durante le chiusure e nell’avviare la ripresa alla riapertura. I bilanci statali hanno protetto i posti di lavoro, i salari e le imprese, una mossa che si è rivelata saggia per limitare i danni dello choc pandemico.

Ma proprio quando pensavamo di aver vinto la guerra contro il Covid-19, un nuovo conflitto è arrivato a minacciare la nostra prosperità e sicurezza collettiva: la brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Non si è trattato di un atto di follia imprevedibile. E’ stato il premeditato passo successivo dell’agenda del presidente Putin e un duro colpo per l’Ue. I valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica. Sono i valori emersi dopo il bagno di sangue della Seconda guerra mondiale. Ed è per questo motivo che per gli Stati Uniti, l’Europa e i suoi alleati non c’è alternativa a garantire che l’Ucraina vinca questa guerra.

Accettare una vittoria russa o un pareggio confuso indebolirebbe fatalmente altri stati confinanti e invierebbe agli autocrati il messaggio che l’Ue è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta, su ciò che è. Segnalerebbe inoltre ai nostri partner orientali che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza – un pilastro della nostra politica estera – non è poi così incrollabile. In breve, infliggerebbe un colpo esistenziale all’Ue. Vincere questa guerra per l’Europa significa avere una pace stabile, e oggi questa prospettiva appare difficile.

L’invasione dell’Ucraina fa parte di una strategia a lungo termine e delirante di Putin: recuperare l’influenza passata dell’Unione sovietica, e l’esistenza del suo governo è ormai intimamente legata al suo successo. Ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perché la Russia abbandoni i suoi obiettivi, ma non c’è alcun segno che tale cambiamento si verifichi. Le conseguenze geopolitiche di un conflitto prolungato al confine orientale dell’Europa sono molto significative. Quanto prima ce ne renderemo conto, tanto meglio saremo preparati.

In primo luogo, l’Ue deve essere disposta a rafforzare le proprie capacità di difesa. Questo è essenziale per aiutare l’Ucraina per tutto il tempo necessario e per fornire una deterrenza significativa contro la Russia.

In secondo luogo, dobbiamo essere pronti a iniziare un percorso con l’Ucraina che porti alla sua adesione alla Nato. L’alternativa è inviare sempre più armi e costruire un accordo tra l’Ucraina e tutti i suoi alleati in questa guerra con elementi di difesa reciproca che ricordino il trattato che lega gli Stati Uniti alla Corea del sud. Ma un tale accordo sarebbe difficile da raggiungere e da attuare. Non avrebbe pari potere rispetto alla Russia e, come ha osservato Henry Kissinger, non legherebbe la strategia nazionale dell’Ucraina a quella globale. Inoltre, credo che il contesto storico e politico sia diverso da quello coreano. Se questo si dovesse rivelare il corso degli eventi più probabile, l’incertezza e l’instabilità che ne deriverebbero potrebbero essere notevoli.

In terzo luogo, dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia globale si comporterà in modo molto diverso dal recente passato. Ed è qui che si intersecano i cambiamenti geopolitici e le dinamiche inflazionistiche. La guerra in Ucraina ha contribuito all’aumento delle pressioni inflazionistiche a breve termine, ma è anche probabile che inneschi cambiamenti duraturi che preannunciano un aumento dell’inflazione in futuro.

Nel breve periodo, l’impennata dei prezzi dell’energia, l’aggravarsi delle strozzature dal lato dell’offerta a causa dell’interruzione delle catene del valore e le perturbazioni nei mercati dei cereali e di altri prodotti alimentari hanno spinto l’inflazione a livelli che non si vedevano da decenni.

Questi fattori dal lato dell’offerta sono stati inizialmente la principale fonte di inflazione in Europa, in quanto le imprese hanno dovuto aumentare i prezzi in risposta all’aumento dei costi energetici e di altro tipo. Negli Stati Uniti, le successive ondate di stimoli fiscali hanno reso l’inflazione un fenomeno prevalentemente dal lato della domanda. In entrambi i casi, però, le banche centrali sono dovute intervenire per riportare il tasso d’inflazione verso i loro obiettivi, un’azione che avevano quasi dimenticato dopo un decennio di bassa inflazione.

Con il senno di poi, è probabile che le autorità monetarie avrebbero dovuto diagnosticare in anticipo il ritorno di un’inflazione persistente. Ma soprattutto in Europa, data la natura di choc guidato dall’offerta, non è chiaro se agire più rapidamente avrebbe arginato di molto l’accelerazione dei prezzi. L’incapacità dei governi di accordarsi tempestivamente su un tetto di prezzo per il gas naturale ha reso il lavoro della Banca centrale europea molto più difficile. In ogni caso, quando le banche centrali sono intervenute, hanno dimostrato un forte impegno a tenere sotto controllo l’inflazione e hanno in gran parte recuperato il tempo perduto. L’aumento dei tassi si sta ora diffondendo nell’economia e ci sono segnali di rallentamento nel settore manifatturiero. Tuttavia, i servizi e soprattutto il turismo rimangono forti e i mercati del lavoro rimangono generalmente rigidi rispetto agli standard storici.

L’inflazione si sta dimostrando più resiliente di quanto le banche centrali avessero inizialmente ipotizzato. La lotta contro l’inflazione non è finita e probabilmente richiederà una cauta prosecuzione della stretta monetaria, sia attraverso tassi di interesse ancora più elevati, sia allungando i tempi per invertire la rotta. Tuttavia, le diverse fonti dello choc inflazionistico nelle varie giurisdizioni hanno implicazioni per il compito che attende le banche centrali.

Negli Stati Uniti, l’inflazione è stata in gran parte trainata da un’impennata del reddito disponibile delle famiglie durante la pandemia e da un conseguente aumento del risparmio, che da allora è stato progressivamente ridotto. Un fattore chiave sono stati i trasferimenti fiscali durante e dopo la pandemia, che hanno più che compensato la crescita del reddito disponibile superiore al trend nel 2020 e 2021. Tuttavia, il reddito disponibile è ora in gran parte tornato al trend e la politica fiscale è tornata a un orientamento meno espansivo. Ciò suggerisce che l’attuale impulso ai consumi – e la pressione sui prezzi che ha prodotto – svanirà una volta esaurito il risparmio in eccesso. Inoltre, anche se la creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti rimane forte, vi sono dubbi sul fatto che i salari assumeranno il ruolo di motore delle pressioni inflazionistiche una volta che la spesa si sarà normalizzata.

I salari nominali sono fortemente aumentati, ma manca l’evidenza che la crescita dei salari abbia guidato la crescita dei prezzi. Piuttosto, i salari sembrano aver risposto allo stesso fattore comune di eccesso di domanda e dovrebbero quindi diminuire man mano che la domanda diminuisce. Nell’area dell’euro le sfide sono diverse.

Finora l’inflazione non è stata trainata da un eccesso di domanda. A differenza degli Stati Uniti, i consumi reali totali nell’area dell’euro sono ancora al di sotto del livello pre-pandemico e ben al di sotto del trend pre-pandemico. Questo netto contrasto riflette il fatto che l’area dell’euro ha subìto un enorme choc delle ragioni di scambio a causa della crisi energetica, che ha allo stesso tempo aumentato i costi e trasferito le entrate al resto del mondo. Le imprese hanno reagito finora modificando il loro comportamento in materia di prezzi: anziché assorbire i costi più elevati nei margini, come avevano fatto per la maggior parte del decennio precedente, hanno trasferito tali costi sui consumatori, mantenendo o addirittura aumentando i loro profitti.

I lavoratori, invece, non sono riusciti a evitare una perdita di reddito reale. Alla fine dello scorso anno i salari reali erano ancora inferiori di circa il 4 per cento rispetto ai livelli pre-pandemia. E, data la natura inerziale della maggior parte delle contrattazioni salariali in Europa, questo processo si protrarrà nel tempo fino al recupero delle perdite salariali reali.

Un periodo più lungo di aumento dei salari comporta naturalmente rischi più elevati che l’inflazione diventi persistente, soprattutto se le imprese continueranno a mantenere il comportamento dei prezzi che abbiamo osservato finora. Per eliminare questi rischi, quindi, la domanda deve essere sufficientemente contenuta da ridurre il potere di determinazione dei prezzi e impedire alle imprese di trasferire ai consumatori i futuri aumenti salariali. D’altra parte, con la diminuzione della domanda, le imprese potrebbero assorbire parte degli aumenti salariali impliciti nei contratti di lavoro per i prossimi 1-2 anni. Al netto di altri fattori, il grado di stretta monetaria futura dipende dall’interazione tra imprese e manodopera e dalla profondità degli effetti delle decisioni monetarie passate.

In generale, non mi aspetto che problemi di stabilità finanziaria ostacolino il processo. Le attuali difficoltà bancarie non sono in alcun modo paragonabili alla crisi finanziaria, e andrebbero affrontate con misure ad hoc, come è stato fatto finora. Date le dimensioni limitate di queste crisi, i governi dovrebbero finanziare, quando necessario, ogni intervento necessario, evitando di creare un conflitto per le banche centrali tra il perseguimento degli obiettivi di politica monetaria e quelli di stabilità finanziaria. L’esperienza degli anni Settanta è ancora ben chiara a tutti noi e oggi né i governi né le banche centrali vogliono assistere a un de-ancoraggio delle aspettative di inflazione.

Alla fine, le banche centrali riusciranno a riportare il tasso di inflazione ai loro obiettivi. Ma quando le conseguenze a lungo termine della guerra diventeranno visibili, l’economia avrà un aspetto molto diverso da quello a cui siamo abituati. Una guerra prolungata tra Russia e Ucraina e le continue tensioni geopolitiche con la Cina continueranno a pesare sul tasso di crescita potenziale dell’economia globale.

Inoltre, il desiderio di garantire che le catene di approvvigionamento siano resistenti agli choc geopolitici significa che i paesi saranno più disposti ad acquistare beni da fornitori affidabili e affini, anche se non sono i più economici, e a investire nel reshoring della produzione critica in patria. Questo porterà a un aumento della capacità produttiva nelle economie occidentali, ma non necessariamente della portata e dell’efficienza necessarie a garantire che l’inflazione rimanga bassa come in passato. Allo stesso tempo, mi aspetto che i governi gestiscano deficit di bilancio sempre più elevati.

Le sfide che dobbiamo affrontare – dalla crisi climatica, alla necessità di rafforzare le nostre catene di approvvigionamento critiche, alla difesa, soprattutto nell’Ue – richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono essere finanziati solo attraverso aumenti delle tasse. Questi livelli più elevati di spesa pubblica eserciteranno un’ulteriore pressione sull’inflazione, in aggiunta ad altri possibili choc dal lato dell’offerta di energia e altri beni.

Nel lungo periodo, è probabile che i tassi di interesse rimangano più alti di quanto non siano stati nell’ultimo decennio. Allo stesso tempo, la bassa crescita potenziale, i tassi più alti e gli elevati livelli di debito post-pandemia sono un cocktail volatile – e le banche centrali che tollerano l’inflazione non saranno la soluzione.

Le banche centrali devono certamente essere molto attente al loro impatto sulla crescita, in modo da evitare inutili sofferenze. Ma il compito di ridisegnare le politiche fiscali in questo nuovo contesto spetterà principalmente ai governi. Dovranno imparare di nuovo a vivere in un mondo in cui lo spazio fiscale non è infinito, come sembrava essere il caso quando i tassi di crescita superavano sostanzialmente i costi di finanziamento.

E, se alcune delle lezioni degli ultimi trent’anni sono state comprese, sarà necessario prestare molta più attenzione alla composizione della politica fiscale.

Questa dovrebbe essere concepita per aumentare la crescita potenziale, proteggendo e includendo allo stesso tempo coloro che hanno più bisogno di aiuto. Naturalmente questo quadro potrebbe cambiare radicalmente se un’ondata di potenti innovazioni, come l’intelligenza artificiale, dovessero scuotere il mondo e aumentare la crescita globale. Sebbene sia difficile prevedere tutte le implicazioni di un simile evento, una cosa è chiara: i governi, gli stati e le istituzioni devono rispondere in modo proattivo per garantire l’inclusione e la protezione di tutti coloro che sarebbero influenzati negativamente da questi sviluppi.

In tutto questo, l’Ue dovrà affrontare sfide sovranazionali senza precedenti. L’Ue è stata per molti versi al centro dell’esperimento di globalizzazione, ma considerare la creazione del mercato unico e dell’euro solo come un’estensione di questo processo sarebbe una lettura parziale. Il progetto è sempre stato più ambizioso. L’Ue è stata eccezionale in due importanti dimensioni.

Il modello sociale europeo ha garantito una rete di sicurezza più solida per coloro che sono rimasti indietro rispetto al resto del mondo. Inoltre, l’Ue disponeva di regole e istituzioni collettive forti che, per quanto imperfette, garantivano una maggiore protezione contro gli effetti collaterali del libero mercato. Ma l’Ue non è stata concepita per trasformare il peso economico in potere militare e diplomatico. Ecco perché la risposta europea alla Russia rappresenta una svolta.

Ora, la guerra in Ucraina, come mai prima d’ora, ha dimostrato l’unità dell’Ue nel difendere i suoi valori fondanti, andando oltre le priorità nazionali dei singoli paesi. Questa unità sarà cruciale negli anni a venire. Sarà fondamentale per ridisegnare l’Unione in modo da accogliere al suo interno l’Ucraina, i paesi balcanici e quelli dell’Europa orientale; per organizzare un sistema di difesa europeo che sia complementare e accrescitivo rispetto alla Nato; e per superare tutte le altre sfide sovranazionali che dobbiamo affrontare collettivamente: in primis la transizione climatica e la sicurezza energetica, per adattare le nostre istituzioni, e soprattutto il processo decisionale, al nuovo contesto. E tutto questo senza indebolire la protezione sociale che rende l’Ue unica.

Insisto sull’unità perché è l’unica strada percorribile: i singoli paesi europei, per quanto forti, sono troppo piccoli per affrontare queste sfide da soli. E più queste sfide sono grandi, più il cammino verso un’unica entità politica, economica e sociale, per quanto lungo e difficile, diventa inevitabile. Il nostro viaggio, iniziato molti anni fa e accelerato con la creazione dell’euro, continua.

Oggi ho parlato dei nostri tempi difficili. Ma i tempi non sono mai stati facili. Sono arrivato qui nell’agosto del 1972. Mentre ero studente, c’è stata la guerra dello Yom Kippur, diversi choc dei prezzi del petrolio, il crollo del sistema monetario internazionale, il terrorismo imperversava in tutto il mondo e l’inflazione era fuori controllo, solo per citare alcuni eventi di quel tempo, e naturalmente eravamo in piena Guerra fredda. Siamo stati in grado di superare queste sfide, e sono certo che lo saremo anche in futuro, grazie a donne e uomini preparati e ispirati.

Voglio rendere un tributo di gratitudine al Mit e più in generale a tutte le istituzioni scientifiche ed educative per il loro immenso contributo nel preparare e ispirare generazioni di donne e uomini simili nel loro servizio al mondo.

Grazie.

L'articolo Dobbiamo garantire la vittoria all’Ucraina, non c’è alternativa per l’Unione europea proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Scontri e tensione sul confine tra Libano e Israele


I libanesi residenti nella zona sostengono che le forze armate israeliane starebbero svolgendo lavori all’interno del territorio del Paese dei cedri, danneggiando i contadini e i proprietari dei terreni a ridosso del confine. L'articolo Scontri e tension

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

della redazione

Pagine Esteri, 9 giugno 2023 – Resta alta la tensione al confine tra Libano e Israele. Oggi nel villaggio libanese di Kfar Chouba un gruppo di giovani e contadini ha provato a rimuovere le barriere di filo spinato erette nei giorni scorsi dai militari israeliani e hanno chiuso una galleria sotterranea aperta nell’area dall’Esercito dello Stato ebraico. Successivamente sono cominciati lanci di pietre ai quali i militari israeliani hanno risposto sparando candelotti lacrimogeni, uno dei quali ha colpito e ferito un dimostrante libanese. Sul posto, a sostegno dei manifestanti, è giunto anche Kassem Hachem, un parlamentare del partito sciita Amal alleato del movimento Amal.

I libanesi residenti nella zona sostengono che le forze armate israeliane starebbero svolgendo lavori all’interno del territorio del Paese dei cedri, danneggiando i contadini e i proprietari dei terreni a ridosso del confine.

L’agenzia di stampa Nna di Beirut ha riferito che un reparto dell’esercito libanese si è dispiegato nella zona a protezione del confine e dei dimostranti. Sull’altro versante si sono schierate le forze armate israeliane, con l’appoggio di un carro armato Merkava.

Sono intervenute anche le forze dell’Unifil (Onu). Il loro comandante, Aroldo Lazaro, ha avviato colloqui con ufficiali libanesi e israeliani per ridurre la tensione, invitando le due parti a rispettare la “Linea Blu” di demarcazione per circa 120 chilometri tra Libano e Israele, tracciata dalle Nazioni Unite alla fine dell’occupazione israeliana del territorio meridionale del Libano nel maggio del 2000. Pagine Esteri

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

L'articolo Scontri e tensione sul confine tra Libano e Israele proviene da Pagine Esteri.



Oggi il Ministro Giuseppe Valditara ha presentato l’Agenda Sud: un progetto del MIM rivolto alle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.


“I principi nel diritto della concorrenza dell’unione Europe nazionale”


Ho avuto il piacere di partecipare al VII Convegno Biennale “I principi nel diritto della concorrenza dell’unione Europe nazionale” organizzato a Firenze dall’Associazione Antitrust Italiana per discutere di Antitrust, PCS e tutela della privacy


guidoscorza.it/i-principi-nel-…



Dopo il PD di Veltroni anche Azione di Carlo Calenda tenta appropriazione indebita di Carlo Rosselli intitolando la sua "scuola" col nome del rivoluzionario ant


Il Mediterraneo è un crocevia da difendere. La lezione alla Festa della Marina


La naturale proiezione dell’Italia è nel Mediterraneo, e la sua sicurezza è essenziale per il Paese, per tutti gli Stati che vi si affacciano e per l’intera area euro-africana. Questo il cuore del messaggio mandato dal presidente della Repubblica, Sergio

La naturale proiezione dell’Italia è nel Mediterraneo, e la sua sicurezza è essenziale per il Paese, per tutti gli Stati che vi si affacciano e per l’intera area euro-africana. Questo il cuore del messaggio mandato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della giornata dedicata alla festa della Marina militare, celebrata a La Spezia. Le celebrazioni, che cadono nell’anniversario dell’impresa di Premuda del 1918, quando i Mas guidati dal guardiamarina Luigi Rizzo, affondarono la corazzata austriaca Santo Stefano alla fonda, hanno visto i reparti schierati lungo la Passeggiata Morin, con alcune delle principali unità della Marina alla fonda nel golfo spezzino: la portaelicotteri Garibaldi, le fregate Alpino e Marceglia, il pattugliatore Thaon di Revel, il sottomarino Scirè e la nave scuola Vespucci. I festeggiamenti hanno visto anche la consegna della bandiera di combattimento alla nuova unità logistica, nave Vulcano, e di diverse decorazioni, tra cui quella per Gustavo Bellazzini, 102 anni, ultimo superstite della corazzata Roma affondata il 9 settembre del 1943.

Uno schieramento senza precedenti

Oggi la Marina militare è impegnata in “uno sforzo che non ha precedenti”, neanche nel periodo della Guerra fredda. Lo ha ricordato il capo di Stato maggiore della Marina ammiraglio Enrico Credendino. Una necessità resa indispensabile dall’accresciuta richiesta di sicurezza sui mari “a causa anche del delicato e complesso contesto geopolitico”. In particolare, a preoccupare, è la “presenza di navi e sommergibili della Federazione russa nei nostri bacini di interesse” che sebbene non presentino una minaccia diretta, devono essere sorvegliati e monitorati. Un compito complicato ulteriormente dall’ingresso, in questi giorni, di un gruppo navale cinese nel Mediterraneo “composto da tre navi modernissime”. Attualmente, ha ricordato Credendino, “ben undici navi stanno operando al di fuori del Mediterraneo” e complessivamente sono in mare quotidianamente una media di venticinque unità, tra navi e sommergibili, accompagnati da una dozzina di aeromobili. A queste si unirà a breve anche il Vespucci, in partenza per il giro del mondo. Un simbolo del “sistema Paese in movimento”, ha aggiunto Credendino.

La centralità della proiezione navale

“La Marina militare ci rende più forti, più sicuri, più liberi”. A dirlo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha sottolineato come la Forza armata sia “presente ovunque vi siano interessi italiani, europei, del mondo libero”. A fare la differenza, per il ministro, è qualità del suo operato, che “contribuisce a fare del nostro Paese una Nazione centrale nella lotta per la libertà, la sicurezza collettiva, il rispetto del diritto e dei diritti”. Come ricordato da Crosetto, “senza efficienza organizzativa, senza capacità di comando e di visione, senza una preparazione di altissimo livello, non potreste garantire la sicurezza della navigazione, come invece fate, nel Mediterraneo e in tanti altri mari del mondo”.

L’importanza dell’underwater

Dello stesso avviso anche il sottosegretario alla Difesa, con delega alla Marina, Matteo Perego di Cremnago, che ha ricordato “la centralità della dimensione marittima che oggi vede accrescere la propria strategicità geopolitica, ora in un clima teso e complesso”. Per il sottosegretario, l’Italia è infatti una penisola “proiettata al centro di un crocevia marittimo cruciale e abilitante” qual è quello mediterraneo, in grado di superare la propria carenza di materie prime e fonti energetiche “grazie a un’economia di trasformazione con un estro ideativo unico al mondo”. Tuttavia, ha avvertito il sottosegretario, proprio la dipendenza dalle risorse impongono al Paese un’attenzione particolare alla sicurezza della dimensione marittima.

La crisi ucraina

La Marina, tra l’altro, è impegnata così come le altre Forze armate nello schieramento di sicurezza messo in campo dal nostro Paese e rafforzato in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Un impegno, come ha ricordato il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, “che spazia dal Baltico al Golfo Arabico, dal Golfo di Guinea al Nord America”. Il contrasto all’insicurezza causata da Mosca ha visto il “significativo incremento dell’impegno operativo della forza armata”. Per l’ammiraglio, gli effetti della guerra ucraina “hanno accentuato le correlate responsabilità della Marina che si estendono anche ai fondali” sempre più strategici per la presenza di infrastrutture critiche come oleodotti, gasdotti e reti informatiche. “L’apertura di nuove vie di comunicazione – ha aggiunto Cavo Dragone – oltre allo sfruttamento del sottosuolo, saranno settori di impiego per la Marina e la dimensione subacquea è diventato un sistema a sé stante”, accanto ai domini fisici tradizionali terrestre, marittimo, aereo e spaziale, e strettamente collegato a quello cyber. Sotto la superficie del mare, infatti, passa il 98% dei dati a livello globale.


formiche.net/2023/06/giornata-…



Mbda guarda al Golfo. Ecco il nuovo centro di ingegneria missilistica


Operativo un nuovo Centro di ingegneria missilistica nel Golfo. È stato ufficialmente inaugurato negli Emirati Arabi Uniti, alla presenza del segretario generale del Tawazun council, Tareq Al Hosani, dell’ambasciatore francese nel Paese, Nicolas Niemtchin

Operativo un nuovo Centro di ingegneria missilistica nel Golfo. È stato ufficialmente inaugurato negli Emirati Arabi Uniti, alla presenza del segretario generale del Tawazun council, Tareq Al Hosani, dell’ambasciatore francese nel Paese, Nicolas Niemtchinow e il ceo di Mbda, Eric Béranger, il Missile engineering center. Il centro segna una rilevante tappa nella partnership stretta tra Mbda e il Tawazun council, un ente governativo indipendente che lavora a stretto contatto con il ministero della Difesa, la Polizia di Abu Dhabi e le agenzie di sicurezza del Paese emiratino; e ha il chiaro scopo di stabilire una base solida per lo sviluppo congiunto di sistemi missilistici.

Un centro per le smart weapons

L’inaugurazione, a detta di Béranger, “è un momento fondamentale e la dimostrazione dell’importanza della nostra presenza locale e della cooperazione con il nostro partner Tawazun council”. Mbda insieme ai suoi team è già al lavoro sullo sviluppo delle Smart weapons di prossima generazione. Le armi intelligenti, quali missili o bombe direzionabili dotati di un sistema di guida ad esempio laser o satellitare, rappresentano infatti una delle frontiere d’innovazione del mondo militare. Tale cooperazione mira a “rendere la nostra collaborazione vantaggiosa per tutti ed è una chiara evidenza del nostro coinvolgimento nella regione”, ha poi concluso Béranger. “Questo centro rappresenta il nostro impegno per rendere efficace l’industria della difesa degli Emirati Arabi Uniti. Il Missile engineering center è una testimonianza della proficua collaborazione tra Tawazun Council e MBDA e simboleggia la nostra visione condivisa per la cooperazione a lungo termine e la crescita reciproca nella regione”, ha invece sottolineato Al Hosani.

Un unicum extra europeo

Il Centro di ingegneria missilistica, pienamente operativo, è il primo nel suo genere al di fuori dei confini europei per Mbda e vede operare un team congiunto di ingegneri provenienti sia dalle file di MBDA sia del Tawazun technology innovation. La cooperazione tra le due entità ha il chiaro obiettivo di offrire sistemi missilistici al giusto livello di prestazioni, cercando di far leva e rafforzare le capacità sovrane dell’industria della Difesa degli Emirati Arabi Uniti, grazie a un significativo contributo locale.

Un rapporto consolidato e la proiezione nel Golfo

Nei risultati dello scorso anno di Mbda, l’export ha visto totalizzare circa sei dei nove miliardi di ordini acquisiti, rispetto alla tradizionale ripartizione 50 e 50 tra mercato estero e domestico. Rivestendo dunque un ruolo sempre più importante. In tale quadro anche i contratti per i Rafale degli Emirati Arabi Uniti hanno giocato un ruolo centrale, affiancando di fatto il Qatar quale primo cliente in backlog, e con la Grecia, dove Mbda è presente soprattutto “col volto francese” grazie ai Rafale e le fregate Fdi equipaggiate con gli Aster. Il gruppo è presente anche in Arabia Saudita dove operano i Tornado e dove è in atto il contratto per l’aggiornamento di mezza vita degli Storm Shadow.


formiche.net/2023/06/operativo…



Dai social ai videogiochi. Cosa possiamo (e dobbiamo) fare per tutelare la privacy dei bimbi


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni. E se volete saperne di più potete leggere qui le news quotidiane di Privacy Daily o iscrivervi alla newsletter di #cosedagarante. Grazie a StartupItalia per l’ospitalità!


guidoscorza.it/dai-social-ai-v…



La #Maturità2023 si avvicina! Per accompagnare studentesse e studenti nella preparazione dell’Esame abbiamo realizzato un serie di video dedicati agli #EsamiDiStato2023.

Com’è strutturato l’Esame? Facciamo un ripasso assieme alla Dott.



👉 WÜNDERKAMMER #3: BODY NANTEINANCE, CHROMACOLOR, GRAVITSAPA, SAROOS, MD PALLAVI & ANDI OTTO.


🎧 #RECENSIONI:

👉 WÜNDERKAMMER #3: BODY NANTEINANCE, CHROMACOLOR, GRAVITSAPA, SAROOS, MD PALLAVI & ANDI OTTO.

Bentornati a tutti nella mia personale stanza, uno spazio dedicato a curiosità, stranezze e bizzarrie varie in cui tutto è sottosopra, l’alto è in basso e viceversa, gli opposti sono uniti, la contraddizione domina incontrastata.
@mu
iyezine.com/wunderkammer-3-bod…




“Si può fare” – Radio 24


Domenica 11 a partire dalle 9.00 sarò ospite di Laura Bettini nella trasmissione radiofonica “Si può fare” di Radio24 Sole 24 Ore per parlare di oncologia, diritto alla privacy e all’oblioQui potete ascoltare la puntata in direttahttps://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi


guidoscorza.it/si-puo-fare-rad…



Usa-Iran, accordo sul nucleare più vicino?


Il quotidiano Haaretz scrive che Washington e Teheran potrebbero firmare un accordo parziale sul programma atomico iraniano nelle prossime settimane L'articolo Usa-Iran, accordo sul nucleare più vicino? proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 9 giugno 2023 – Era stato descritto come un viaggio di «basso profilo», quello che ai primi di maggio ha fatto in Oman Brett McGurk, consigliere senior per il Medio Oriente del presidente Joe Biden. E invece i colloqui avuti da McGurk a Muscat, volti a ristabilire i contatti con Teheran dopo mesi di forte tensione tra i due paesi – acuita dal sostegno militare dell’Iran alla Russia nella guerra in Ucraina – hanno contribuito a far avanzare rapidamente, oltre ogni aspettativa, il negoziato per il rilancio del Jcpoa, l’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano. Lo si è capito grazie ad un altro viaggio, quello effettuato nei giorni scorsi dal ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, e il consigliere per la sicurezza del premier Netanyahu, Tzachi Hanegbi, che si sono precipitati negli Stati uniti a ribadire che Israele non vuole il rilancio del Jcpoa, e invoca nuove misure punitive «per contrastare le minacce provenienti dall’Iran e dai suoi alleati».

L’Amministrazione Biden – che nelle ultime ore ha negato che ci siano progressi – l’accordo sul nucleare con Teheran lo vuole perché spera che aiuti a creare le condizioni per contenere lo sviluppo della collaborazione militare, e non solo, tra il Cremlino e l’Iran e la penetrazione russa in Medio oriente. E perché, a differenza di Israele, teme gli effetti destabilizzanti che una guerra con l’Iran avrebbe sulle petromonarchie del Golfo e gli altri alleati di Washington nella regione. Il quotidiano Haaretz confermava nei giorni scorsi che i contatti indiretti tra Stati uniti e Iran fanno importanti passi avanti.. Funzionari della difesa israeliana affermano che le due parti potrebbero raggiungere un accordo parziale entro poche settimane. Saranno fatte concessioni all’Iran in cambio di uno stop al processo di arricchimento dell’uranio. Teheran appare pronta a raggiungere il compromesso ma si attende una riduzione concreta delle sanzioni economiche. Haaretz aggiunge che in una prima fase verrebbero scongelati 20 miliardi di dollari iraniani bloccati in Corea del Sud, Iraq e presso il Fondo monetario internazionale.

Nell’ultimo anno lo sblocco dei fondi è stato indicato più volte dalla stampa iraniana come un possibile passo in avanti nel contesto di un accordo con gli Stati uniti sulla questione nucleare e per uno scambio di prigionieri. Per Israele – che è l’unica potenza nucleare nella regione, non dichiarata – un accordo provvisorio e limitato non sarebbe sufficiente a garantire la supervisione internazionale delle attività dell’Iran. Da qui il nervosismo israeliano. Tel Aviv si è anche scagliata contro la chiusura di un’indagine dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) relativa alle tracce di uranio arricchito trovate nel sito di Marivan, 525 chilometri a sud-est di Teheran. Nel 2019 Netanyahu sostenne il collegamento di Marivan al presunto programma nucleare militare dell’Iran e accusò la Repubblica islamica di aver condotto lì test atomici. L’Iran non ha commentato le proteste israeliane contro l’Aiea. Ha però annunciato di aver accettato di reinstallare un certo numero di telecamere nell’impianto nucleare a Isfahan rimosse un anno fa dopo che l’agenzia atomica aveva approvato una risoluzione molto critica l’Iran.

L’interrogativo resta lo stesso: Teheran intende davvero dotarsi della bomba atomica come denuncia Israele? I segnali sono stati ambigui dopo il 2018 quando Trump, uscendo dal Jcpoa, diede il via a una crisi pericolosa che, almeno in un paio di occasioni, ha rischiato di sfociare in una guerra. Di sicuro la mancata fine del regime di sanzioni economiche internazionali, otto anni dopo la firma del Jcpoa, ha dato più forza all’ala dura dell’establishment politico-militare iraniano che spinge per passare il Rubicone e mettere di fronte al fatto compiuto Israele e Usa. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato l’8 giugno dal quotidiano Il Manifesto

https://ilmanifesto.it/usa-iran-accordo-sul-nucleare-piu-vicino

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

L'articolo Usa-Iran, accordo sul nucleare più vicino? proviene da Pagine Esteri.



STORIA. Il Femminismo panarabo e l’identità palestinese (prima parte)


Le donne palestinesi vollero subito affermare il proprio patriottismo, e comunicarlo tramite la stampa, lottando contemporaneamente contro il patriarcato, il mandato britannico e la crescente colonizzazione sionista. L'articolo STORIA. Il Femminismo pana

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

(Foto: Gerusalemme, alcune delle oltre 200 delegate palestinesi del primo Congresso delle Donne Arabe (1929) che organizzano una spettacolare manifestazione a bordo di una serie di automobili per farsi portare in giro per la città a consegnare le loro risoluzioni sulla causa nazionale a vari consolati stranieri, ovvero per chiedere l’indipendenza della Palestina).

di Patrizia Zanelli*

Pagine Esteri, 9 giugno 2023. In The Nation and Its “New” Women [1], Ellen Fleischmann nota che i discorsi femministi, legati al triplice concetto di “modernità, nazione e autodeterminazione nazionale”, formulati in Egitto nella seconda metà dell’Ottocento, nell’ambito del movimento arabo di modernizzazione culturale [2], di solito definito Nahḍa (Rinascita), giunsero presto in Palestina, dove si intrecciarono con gli importanti cambiamenti sociali che stavano già avvenendo allora nel paese. A cavallo tra il XIX e il XX secolo, infatti, si manifestò nella società palestinese una tendenza a liberarsi dalle tradizioni oscurantiste, dovuta all’influenza delle idee di riformatori musulmani modernisti egiziani, come Rifa‘a al-Tahtawi (1801-1873), Muhammad Abduh (1849-1905) e il controverso Qasim Amin (1863-1908), autore di “La liberazione della donna” (1898) e di “La nuova donna” (1900), giudicato o come un rivoluzionario, o come un paternalista emulatore degli stereotipi sulle società islamiche, inventati dal colonizzatore europeo.

Fleischmann confuta questi preconcetti occidentali, ispirandosi alla critica dell’orientalismo formulata da Edward Said (1935-2003) nel famoso saggio del 1978, divenuto un testo fondamentale per gli studi culturali postcoloniali [3]. L’accademica esamina l’evoluzione del movimento femminile palestinese nella Palestina mandataria (1920-1948), spiegando l’inestricabile legame tra femminismo e nazionalismo emerso nel paese, dapprima sotto dominazione ottomana, invaso dall’Inghilterra durante la I Guerra Mondiale a partire da Gaza e poi interamente occupato dalle truppe inglesi con la presa di Gerusalemme l’11 dicembre 1917, e dove le rivendicazioni femministe apparentemente rimasero in secondo piano rispetto alla causa nazionale.

Consapevoli che il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione era una necessità urgente per la loro nazione, le donne palestinesi dell’alta borghesia e del ceto medio dei centri urbani vollero subito affermare il proprio patriottismo, e comunicarlo tramite la stampa, lottando contemporaneamente contro il patriarcato, il mandato britannico e la crescente colonizzazione sionista, iniziata nel 1882 e favorita esplicitamente da Londra nella Dichiarazione Balfour (2 novembre 1917). Dicendo e dimostrando con i fatti di essere patriote, riuscirono a partecipare alla vita politica da cui inizialmente gli uomini delle loro famiglie le volevano escludere. Alcune palestinesi avevano in realtà denunciato pubblicamente l’ingiustizia e la pericolosità della Dichiarazione Balfour, appena era stata rilasciata, avendo capito che l’ambiguità terminologica del testo inglese era chiaramente volta a occultare/negare l’esistenza del loro popolo, fungendo da supporto alle narrazioni mistificanti inventate dai padri del sionismo per avanzare l’idea di trasformare la Palestina in uno stato esclusivamente ebraico. Le contadine del villaggio di Affula, vicino a Nazareth, stavano addirittura partecipando insieme agli uomini alla resistenza contro la colonizzazione sionista della loro terra sin dal 1884.

7618695
Periferia di Gerusalemme, 1860 ca.

I nazionalisti modernisti palestinesi chiedevano alle donne di essere moderne e realizzare una Nahḍa femminile per il bene collettivo della nazione, ma di rimandare le rivendicazioni femministe riguardanti la sfera personale a dopo l’ottenimento dell’indipendenza della Palestina, onde evitare problemi con i conservatori loro connazionali in un momento così cruciale per il futuro della loro patria. Questa richiesta era ispirata alle controverse teorie di Qasim Amin, secondo il quale “la nuova donna” egiziana serviva a dimostrare alla comunità internazionale che la sua era una nazione progredita a cui andava perciò riconosciuto il diritto all’autodeterminazione. In seguito all’insurrezione antibritannica del 1919, inoltre, i nazionalisti modernisti egiziani del Partito Wafd stavano ugualmente chiedendo alle attiviste del Comitato delle Donne Wafdiste, formato nel 1920 e presieduto da Hoda Shaarawi (1879-1947), di rimandare le rivendicazioni femministe riguardanti la sfera personale, come l’abbandono del velo, a dopo l’indipendenza dell’Egitto (poi formalmente ottenuta in base a una dichiarazione unilaterale rilasciata da Londra nel 1922).

Le élite politiche e intellettuali palestinesi stavano dispiegando tutti gli sforzi possibili per liberare subito la propria patria dal giogo britannico, sapendo che l’Inghilterra aveva stretto un’alleanza con il sionismo internazionale, movimento nazionalista secolare fondato nell’Europa centrale, il cui scopo non era di costituire “un focolare domestico nazionale per il popolo ebraico” (cit. Balfour), in Palestina, bensì di trasformarla interamente appunto in uno Stato-nazione ebraico, tramite una sostituzione etnica volta a cancellare l’esistenza del loro stesso popolo palestinese dalla propria terra e dalla memoria storica dell’umanità.

Durante una visita effettuata in Palestina nel 1917, il magnate e arabista americano Charles Crane (1858-1939) aveva personalmente constatato la situazione pericolosa provocata nel paese dal lancio del progetto sionista nel 1897. Descrisse quella realtà allarmante a più persone, tra cui l’amico palestinese George Antonius (1891-1942), autore del saggio The Arab Awakening, del 1919 [4], e poi nel 1925 proprio a Hoda Shaarawi, divenuta presidente dell’Unione Femminista Egiziana (UFE) e famosa a livello panarabo e internazionale per essersi liberata del velo, nel 1923. Crane la incontrò a New York, e ci tenne ad avvisarla della pericolosità del progetto sionista che lei non aveva ancora colto; le spiegò che i palestinesi rischiavano concretamente di essere espulsi dalla loro stessa terra. Le parlò anche della relazione che lui e il teologo e filosofo americano Henry Churchill King (1858-1934) avevano scritto, mettendo in dubbio l’opportunità di istituire uno stato ebraico in Palestina, anzi raccomandando vivamente alla Lega delle Nazioni di respingere tale ipotesi pericolosa per gli assetti geopolitici del Levante. Shaarawi rimase turbata da quel piano inquietante e dai rischi che avrebbe comportato per il popolo palestinese, ma non riusciva a capacitarsene. Sapeva che la coesistenza con gli ebrei era sempre stata pacifica nel mondo arabo-islamico; quell’ipotesi era inconcepibile per lei. Pensò che la Palestina fosse soltanto uno dei tanti paesi dell’emisfero orientale colonizzati dalle potenze occidentali e che si sarebbero presto liberati. Tornata al Cairo, infatti, continuò a concentrarsi sui problemi dell’Egitto, sotto occupazione britannica, a partecipare al movimento pacifista internazionale e a contrastare il colonialismo in generale. Soltanto dopo qualche anno Shaarawi si renderà conto della tragica realtà palestinese e sarà un trauma per lei [5].

7618697
Corteo nuziale per portare la sposa: villaggio palestinese, 1900 ca.

Intanto, i dirigenti palestinesi di certo sapevano che, nel 1922, la Lega delle Nazioni aveva negato loro il diritto all’autodeterminazione nazionale e assegnato all’Inghilterra i mandati su Palestina, Transgiordania e Iraq, e alla Francia quelli su Libano e Siria, formalmente in base alle raccomandazioni contenute proprio nella relazione redatta dalla commissione King-Crane (1919) per il governo degli Stati Uniti, ma di fatto applicando l’accordo Sykes-Picot (1915-1916), siglato segretamente dalle stesse due potenze coloniali europee per spartirsi i territori dell’Impero Ottomano alla fine della I Guerra Mondiale. Oppositori del piano franco-britannico erano il Presidente americano Thomas Woodrow Wilson (1856-1924) e Re Faysal I (1885-1933) dell’allora Regno Arabo della Grande Siria.

È, però, chiaro che la consapevolezza anticolonialista accomunava e univa tutte le classi sociali della società palestinese ben prima della Dichiarazione Balfour, una conferma e ingiustizia aggravante della situazione realmente critica in Palestina. Le donne sapevano tanto quanto gli uomini che la lotta per la liberazione nazionale era d’importanza vitale nel vero senso del termine, perché serviva alla loro stessa sopravvivenza come popolo, minacciata concretamente dal sionismo e dall’insidiosa ambiguità politica di Londra.

In Palestina era nato così un femminismo patriottico abbracciato tuttora dalle figlie e nipoti delle palestinesi sopravvissute alla Nakba oppure uccise durante quell’evento catastrofico o da paramilitari sionisti nei sei mesi precedenti la fondazione dello Stato d’Israele, il 14 maggio 1948, o da militari dell’esercito israeliano nella lunga fase successiva della tragedia.

D’altro canto, Fleischmann analizza necessariamente anche la Nahḍa palestinese il cui inizio, come in tutti gli altri casi, precede l’incontro traumatico con l’Europa colonialista, avvenuto nel mondo arabo nell’Ottocento; i germogli della rinascita risalgono di fatto al Settecento.

In Palestine Across Millennia [6], Nur Masalha rileva, infatti, l’inclinazione modernizzante e indipendentista di Zahir al-Umar al-Zaydani (1689-1775) che, nel 1748, trasformò la Palestina settentrionale in un’entità politica semi-indipendente dell’Impero Ottomano. Da lì a poco lo stesso governatore o viceré, che godeva del sostegno popolare, riuscì a prendere il potere nell’intero paese, rendendolo un proto-stato, e dove adottò una politica della tolleranza e dell’inclusione; consolidò la propria autorità, garantendo la collaborazione tra contadini, beduini e mercanti, e mantenendo la convivenza pacifica tra la maggioranza musulmana della popolazione e le minoranze cristiane ed ebraiche. Creò così le condizioni propizie per lanciare la crescita economica della Palestina, aumentando in particolare la produzione di cotone e olio d’oliva da esportare in Europa; e per collegarsi all’economia di mercato europea e specialmente al capitalismo industriale inglese, fece ricostruire le antiche città portuali lungo la costa palestinese del Mediterraneo.

Masalha spiega che al-Umar aveva le capacità di uno statista e fu il padre delle modernità palestinesi; avviò lo sviluppo moderno di Acri – la sua capitale -, di Giaffa e Haifa, e, quindi, la nascita di varie nuove strutture e attività nei centri urbani, tra cui Nazareth. Benché fosse meno indipendente dalla Sublime Porta, il suo successore Ahmad al-Jazzar Pascià (1720-1804) continuò la modernizzazione e l’urbanizzazione della Palestina, dove si svilupparono ovunque sia le città che i villaggi. Novità importanti nel campo dell’istruzione avvennero soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, quando Gerusalemme che, con il declino di Acri aveva già riacquisito il suo status tradizionale di capitale del paese, fu ampliata e rinnovata, divenendo il centro principale della Nahḍa palestinese. Dunque, sottolinea Masalha, la modernità culturale della Palestina, oltre a essere la continuazione di una storia millenaria ricca di rivoluzioni educative, si deve anzitutto alle spinte innovatrici e alle esperienze di autogoverno locali, e non tanto a influenze europee.

7618699
Scuola missionaria inglese per bambine palestinesi: Nablus, 1910 ca.

Fleischmann esamina la Nahḍa palestinese in una prospettiva femminista, confutando il pregiudizio imperialista occidentale sulla “passività” delle società arabo-islamiche, contrapposta all’immagine di un Occidente intrinsecamente dinamico portatore di una civiltà superiore in un Oriente arretrato, da conquistare e civilizzare per “salvare” le donne orientali dalla prigionia dell’harem e del velo, due elementi tipici della vita delle famiglie appartenenti ai ceti medio-alti e alle tre fedi monoteiste. Questo femminismo orientalistico di fatto opprime le donne arabe sul piano fisico, psicologico e culturale; è etnicista e aggressivo; è suprematismo bianco sessista. Le contadine, che non portavano il velo, perché incompatibile con il lavoro nei campi, e le nomadi dedite alla pastorizia, che lo indossavano per condurre al pascolo il gregge in mezzo al deserto, erano le principali vittime del sessismo, della lussuria e della violenza degli uomini occidentali presenti nell’Oriente misterioso. I sedicenti civilizzatori cercavano, inoltre, di umiliare gli arabi “tiranni”, accusandoli di essere colpevoli dell’arretratezza della condizione femminile nei loro paesi arretrati che, perciò, andavano colonizzati, secondo le mistificanti narrazioni eurocentriche del colonialismo.

La Palestina era un paese normale, con tanto di contraddizioni interne, incluse le discriminazioni di genere; la società palestinese era pacifica ma divisa da forti sperequazioni socio-economiche. Le relazioni tra le persone di entrambi i sessi erano infatti comunque segnate da divisioni classiste e claniste, cioè tra le grandi famiglie di notabili tra cui coloro che vantavano una discendenza dal Profeta Muhammad, definiti “nobili” (ashrāf), e costituivano l’aristocrazia urbana del mondo arabo. Come spiega Ilan Pappé [7], il casato aristocratico degli al-Husayni di Gerusalemme svolse un ruolo determinante nell’ambito della vita politica, economica e delle istituzioni musulmane della Palestina, dal ‘700 fino al 1948. Il filantropismo, tipico della Nahḍa femminile, è comunque insito alle tre fedi monoteiste che, d’altro canto, come quasi tutte le altre religioni, fungono da supporto al sistema sociale patriarcale interamente attraversato dalle discriminazioni di genere.

In Palestina, la modernizzazione dell’istruzione, la cui acquisizione è per le donne il passo fondamentale verso l’emancipazione, avvenne però con dinamiche particolari rispetto al resto del mondo arabo, legate all’importanza religiosa del paese, specialmente in quanto culla del cristianesimo. Le famiglie palestinesi dell’alta borghesia e del ceto medio, e d’orientamento modernista, volevano permettere alle proprie figlie di istruirsi in istituti scolastici moderni, e non in quelli tradizionali già esistenti. Ebbero la possibilità di farlo nella seconda metà dell’Ottocento, quando innumerevoli nuove scuole missionarie europee di ogni rito cristiano, soprattutto anglicane e protestanti inglesi, e cattoliche francesi, furono gradualmente istituite in Palestina; erano frequentate da alunne e alunni anche di fede musulmana, ma furono create più che altro nelle città.

Molte figure note della Nahḍa palestinese si formarono nelle scuole ortodosse russe, impiantate in Terra Santa a partire dal 1853 e considerate le migliori per la modernità della loro metodologia didattica. In un istituto fondato dalla Società Ortodossa Russa furono inoltre lanciati i pionieristici studi linguistici sui dialetti palestinesi. I missionari russi, nota Masalha, contribuirono a diffondere una cultura moderna davvero umanista nel paese: furono gli unici a creare diverse scuole nei villaggi della Galilea per aiutare i bambini e le bambine delle numerose famiglie bisognose delle aree rurali. Fondarono anche due istituti superiori di formazione pedagogica per aspiranti docenti palestinesi; uno maschile a Nazareth, e l’altro femminile a Beit Jala, vicino a Betlemme; il curriculum modernista adottato serviva a fornire l’istruzione alle fasce economicamente più svantaggiate ed emarginate della popolazione.

Nel frattempo, le riforme ottomane del 1839-1876 (Tanẓīmāt) stavano generando altri importanti cambiamenti sociali in Palestina, abbinate sul piano politico all’ottomanismo, ideologia imperiale promossa dal Sultano Abdulhamid II (1842-1918) ma destinata ad avere soltanto un successo iniziale. La riforma dell’istruzione avviò, invece, la scolarizzazione di massa e la secolarizzazione del sistema scolastico; nacquero numerose scuole pubbliche primarie per bambine e bambini sia nei centri urbani che nei villaggi più abitati del paese. Altra novità rilevante risultata dal riformismo ottomano fu l’introduzione in Palestina della stampa moderna che, però, fiorì soprattutto dopo la Rivoluzione dei Giovani Turchi (1908) e il conseguente allentamento della censura.

A quel punto le palestinesi poterono sviluppare la loro Nahḍa femminile, agendo nella società, e perfino comunicare le loro idee tramite le nuove testate giornalistiche locali: nel 1908, nacquero a Haifa al-Karmil (Il Carmelo), e a Gerusalemme al-Quds, nome arabo della città santa per le tre fedi monoteiste e capitale politica, tenuta sotto stretto controllo dalla Turchia. Meno controllata era Giaffa, dove nel biennio 1910-1911, comparvero quattro giornali, tra cui al-Hurriya (La libertà) e Falastīn (Palestina), destinato a essere il più espressivo sia del contrasto alla colonizzazione sionista sia dell’affermazione dell’identità nazionale palestinese. I fondatori erano i cugini ‘Issa al-‘Issa (1878-1950) e Yusif al-‘Issa (1870-1948), intellettuali modernisti di fede cristiana greco-ortodossa, autori di articoli volti a diffondere il patriottismo. Il nome della testata riflette la pronuncia dialettale palestinese dello stesso toponimo in arabo standard: Filastīn. Questa scelta linguistica compiuta dai fondatori del giornale serviva ad attirare l’attenzione delle fasce popolari, per politicizzarle e realizzare nel paese una politicizzazione dal basso.

In effetti, a fine ‘800, erano già emersi nella società urbana palestinese un apprezzabile cosmopolitismo, un proto-femminismo e un altrettanto nascente nazionalismo territoriale, che non fu mai isolazionista nei confronti dei territori arabi circostanti. Entrambi i movimenti, stimolati anzitutto dall’imperialismo ottomano e occidentale, ebbero caratteristiche distinte locali, dovute al ruolo storico-religioso particolare della Palestina e alla correlata specificità della rivoluzione educativa lì avvenuta sin dagli anni 1850.

Proprio alla vigilia del XX secolo, notando l’accresciuta presenza nel loro paese di missionari e numerosi altri stranieri provenienti da varie parti del mondo, alcuni intellettuali palestinesi definirono la palestinesità a partire dalla consapevolezza secolare di essere la gente della Terra Santa del monoteismo e dall’analisi della propria cultura autoctona, cioè nata nel loro territorio storicamente unico per la sua sacralità. Inizialmente, spiega Elias Sanbar, assunsero infatti la tradizionale coesione interconfessionale tra le componenti ebraica, cristiana e musulmana della propria società come base principale per sancire la peculiarità dell’identità culturale palestinese [8].

Soltanto con il repentino aumento della colonizzazione sionista accaduto in Palestina ai primi del ‘900, le élite palestinesi percepirono concretamente la pericolosità del sionismo e iniziarono ad abbandonare l’ottomanismo, in risposta all’inasprimento del totalitarismo nazionalista ottomano e all’indifferenza di Istanbul verso questa minaccia concreta alla loro sopravvivenza come popolo nella propria patria. Poi definirono di più la palestinesità per indicare l’identità della loro nazione.

Fu la crisi nazionale, sottolinea Fleischmann, a portare le donne palestinesi musulmane e cristiane, pioniere della Nahḍa femminile, ad agire nella società e a politicizzarsi, senza la mediazione degli uomini, conducendo autonomamente una duplice battaglia femminista e patriottica.

[1] Ellen Fleischmann, The Nation and Its “New” Women. The Palestinian Women’s Movement 1920-1948, University of California Press, 2003.

[2] Definito anche Saḥwa (Risveglio) – spesso reso in inglese con “Arab Awakening” – o Tanwīr (Illuminismo), ma Nahḍa è il termine più usato.

[3] Edward Said, Orientalism, Pantheon Books, 1978 (Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, tr. Stefano Galli, Feltrinelli, 1999).

[4] George Antonius, The Arab Awakening, Lippincott, 1919.

[5] Sania Sharawi Lanfranchi, Casting off the Veil. The Life of Hoda Shaarawi, Egypt’s First Feminist, Tauris, 2012 (A volto scoperto. La vita di Huda Shaarawi, prima femminista d’Egitto, Rowayat, 2018).

[6] Nur Masalha, Palestine Across Millennia. A History of Literacy, Learning and Educational Revolutions, Bloomsbury, 2022.

[7] Ilan Pappé, The Rise and Fall of a Palestinian Dynasty. The Husaynis 1700-1948, Saqi, 2012.

[8] Elias Sanbar, Figures du Palestinien. Identité des origines, identité de devenir, Gallimard, 2004 (ll palestinese. Figure di un’identità: le orgini e il divenire, Jaca Book, 2005).


*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).

Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint

L'articolo STORIA. Il Femminismo panarabo e l’identità palestinese (prima parte) proviene da Pagine Esteri.



“Privacy aziendale: problema o opportunità”


Oggi ho avuto il piacere di intervenire al Convegno organizzato dalla Camera di Commercio di Bolzano e Confesercenti per discutere di come la privacy può passare da costo a risorsa.


Dal blog di Guido Scorza


guidoscorza.it/privacy-azienda…

in reply to Informa Pirata

Il diritto alla Privacy è la riaffermazione dell'ovvio concetto illusorio del diritto alla Proprietà applicato ai dati, secondo l'ideologia patriarcale che deve sempre accertare la paternità e quindi di chi è la proprietà dei beni: mobiliari, immobiliari e intellettuali. Ora si aggiunge quella dei dati. Non vedo opportunità quando ogni forma di proprietà, in realtà, nasconde un esproprio al quale non ho mai dato il mio consenso.
in reply to Piero Bosio

@Piero Bosio il diritto alla privacy è un diritto umano. Non c'entra con i dati personali né con la proprietà, ma con l'autodeterminazione

informapirata ⁂ reshared this.

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Informa Pirata

@Giorgio Donadini :unverified: in realtà è proprio il contrario: il mondo anglosassone è MOLTO più sensibile alla privacy di quando non lo siamo noi europei. Il diritto alla privacy è quello su cui si è basata la famosa sentenza Roe v. Wade che stabiliva il diritto all'aborto come diretta conseguenza del diritto alla privacy (= autodeterminazione della sfera privata). E il ribaltamento di quella sentenza da parte della Corte Suprema del 2022 è stato motivato proprio sulla base del fatto che, a differenza di quanto sostenuto nel 1973, la Costituzione degli Stati Uniti non contemplava il diritto alla privacy come diritto costituzionale.
In Europa i diritti civili e umani non sono mai stati capiti fino in fondo perché abbiamo sempre goduto di diritti sociali che includevano anche i diritti civili e umani. E oggi che in EUropa i diritti sociali sono sotto attacco, ecco che ci manca la cultura diffusa del valore dei diritti civili e sociali

@Piero Bosio



In attesa di leggere il testo definitivo dell'accordo raggiunto al Consiglio Europeo in materia di immigrazione e asilo il comunicato stampa di Bruxelles non la


Oggi, presso la Cittadella della Regione Calabria, a Catanzaro, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara presenterà gli interventi dell’Agenda Sud per il contrasto della dispersione scolastica e il superamento dei divari territoria…


L’Alta Corte Britannica due giorni fa ha respinto l’appello di Julian Assange contro l’ordine di estradizione firmato dall’allora ministro dell’interno inglese Priti Patel.

@Giornalismo e disordine informativo

Una sentenza di tre pagine del giudice #Swift che prosegue la persecuzione contro Julian #Assange.

Da un tweet di Stella Assange apprendiamo che martedì prossimo verrà presentato un nuovo ricorso affinché il caso venga giudicato da altri due giudici.
#FreeAssange
#Dropthecharges
#Journalismisnotacrime

👉link all’articolo di Reporters without borders

👉 link al tweet di Stella Moris Assange