“Privacy e dignità della persona, binomio indissolubile”
Privacy e dignità della persona sono un binomio indissolubile e quando si viola la prima, travolgendo la seconda non c’è giustificazione burocratica o distrazione che tenga | Qui, nella Newsletter di @GPDP_IT la storia raccontata bene e i link ai provvedimenti
TeleSign profila segretamente metà degli utenti di telefonia mobile del mondo. La denuncia di NOYB
TeleSign genera un "punteggio di reputazione" e vende i suoi servizi a vari clienti come TikTok, Microsoft o Salesforce. TeleSign ha ricevuto segretamente i dati del telefono cellulare da BICS, una società belga che fornisce servizi di interconnessione per molte società di telefonia mobile
TeleSign profiles half of the world’s phone users
TeleSign generates a “reputation score” and sells it to various clients. TeleSign secretly received the mobile phone data from BICS, a Belgian company that provides interconnection services.noyb.eu
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PRIVACYDAILY
TeleSign secretly profiles half of the world’s mobile phone users
TeleSign profila segretamente metà degli utenti di telefonia mobile del mondo TeleSign genera un "punteggio di reputazione" e lo vende a vari clienti. TeleSign ha ricevuto segretamente i dati dei telefoni cellulari da BICS, una società belga che fornisce servizi di interconnessione.
+++ Finalmente svelato l'ultimo segreto di Feddit.it: ecco perché non esiste una comunità Lemmy dedicata alla privacy! Quando leggerete il motivo, non crederete ai vostri occhi!!! +++
I due amministratori di Feddit.it sono sicuramente molto sensibili al tema della #privacy.
Il primo infatti è l'autore del progetto @Le Alternative che nasce proprio per presentare in modo semplice le alternative ai prodotti BigTech che siano open source e rispettose della privacy.
Il secondo non è altro che @Informa Pirata, che sulla promozione del tema della privacy in politica spende non poco del proprio tempo.
Entrambi sono stati promotori del #PrivacyPride, il primo (e unico) evento al mondo in cui ci siano state manifestazioni di piazza a favore della privacy.
Allora perché su feddit.it non esiste una comunità dedicata alla privacy?
In effetti i motivi sono due e il primo è forse quello meno importante.
Infatti su feddit ci sono già alcune comunità che si occupano di privacy: Le Alternative, come già detto, ma anche Pirati, gestito da @Pirati.io , in assoluto il primo blog a parlare di #chatcontrol in Italia; ma soprattutto esiste la comunità di @Etica Digitale (qui su Lemmy) che ha lavorato su quel gioiellino di PrivaSì, un percorso on line per costruire senza patemi d'animo una dimensione digitale che tuteli l'utente dalla sorvegianza delle BigTech!
Ma il motivo principale per cui non esiste un'istanza Lemmy dedicata alla privacy è questo:
Esiste già una comunità Lemmy dedicata alla privacy e parla anche un po' italiano
Si tratta dell'istanza dell'avvocato @Nicola Fabiano (su lemmy è @nicfab ) che qualche giorno dopo la nascita di feddit.it ma senza sapere nulla del nostro progetto, ha creato un'estensione Lemmy al proprio blog.
Non ci sembrava quindi necessario creare un'istanza dedicata alla privacy, essendocene già una curata da un esperto di GDPR come l'avv. Fabiano.
Chi volesse seguire quella comunità, può copiare l'indirizzo https://community.nicfab.it/c/privacy
e incollarlo nella casella di ricerca di Lemmy o di qualsiasi altro social del fedicverso!
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“Avvocati contro il cyberbullismo. Tecniche di difesa delle vittime e degli aggressori”
Domani dalle ore 14.00 sarò a Bologna ospite della Fondazione Forense Bolognese per l’evento “Avvocati contro il cyberbullismo. Tecniche di difesa delle vittime e degli aggressori” e per presentare il libro “La privacy degli ultimi”. PER INFORMAZIONI: fondazioneforensebolognese.it/…
La Turchia in crisi si aggrappa agli Emirati
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di redazione
Pagine Esteri, 22 giugno 2023 – Recep Tayyip Erdoğan ha vintoseppur di misura le ultime elezioni presidenziali, ma i problemi economici e finanziari continuano ad attanagliare la Turchia. E così il nuovo esecutivo continua a cercare sostegno tra i partner vecchi e nuovi.
Nel giorno del maxi aumento dei tassi di interessedall’8,5 al 15%, il nuovo ministro del Tesoro e delle Finanze di Ankara, Mehmet Simsek, e il vice del “sultano” Cevdet Yilmaz, si sono recati ad Abu Dhabi per loro prima visita all’estero, per incontrare il presidente e il vicepresidente degli Emirati Arabi Uniti (fino a poco tempo fa rivali regionali e poi diventati alleati sempre più stretti), rispettivamente Mohammed bin Zayed al Nahyan e Mansour bin Zayed al Nahyan.
Proprio oggi però la lira turca si è ulteriormente indebolita rispetto al dollaro e all’euro, toccando nuovi minimi storici, subito dopo che la Banca centrale ha annunciato l’aumento dei tassi che hanno deluso le aspettative del mercato, che si aspettavano un aumento più consistente per contenere l’inflazione.
Eppure, l’aumento di tassi è una mossa in totale controtendenza rispetto alle scelte passate di Erdoğan che – al contrario – ha sempre sostenuto una politica di bassi tassi di interesse. L’inflazione però è aumentata a dismisura a seguito di una forte svalutazione della divisa nazionale, conseguenza di una politica di diminuzione dei tassi a partire dal 19% del 2021. Dall’inizio del 2023 la lira è diminuita del 22,5% rispetto al dollaro statunitense, dopo essere già scesa del 44 nel 2021 e del 30 nel 2022.
L’anno scorso Ankara ha bruciato 27 miliardi di dollari di riserve in valuta estera per cercare di sostenere la lira turca e finanziare il deficit delle partite correnti. Per questo la Turchia necessita urgentemente di investitori stranieri, inclusi i fondi sovrani (o anche speculativi) e di investimenti diretti esteri, per sostenere le sue riserve valutarie che ad oggi risultano addirittura sotto zero (-151,3 milioni di dollari al 19 maggio, secondo gli ultimi dati pubblici disponibili).
Gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a colmare il vuoto lasciato dai creditori occidentali, aumentando i prestiti delle banche del Golfo alle controparti turche, dopo il riavvicinamento tra Ankara e il governo emiratino iniziato nel novembre 2021. In quell’occasione gli Emirati Arabi Uniti si erano impegnati a investire 10 miliardi di dollari nelle industrie turche di energia, petrolchimica, tecnologia, trasporti, infrastrutture, sanità, servizi finanziari, cibo e agricoltura. Nel 2022, la Turchia aveva firmato con gli Emirati un accordo di scambio di valuta del valore di 5 miliardi di dollari per rimpinguare le casse vuote della Banca centrale turca. Il 31 maggio, la Turchia, sesto partner commerciale degli Emirati, ha ratificato un mega accordo commerciale da 40 miliardi di dollari in cinque anni siglato con il Paese arabo a marzo 2023.
I rapporti tra Abu Dhabi e Ankara, per decenni molto distanti a causa di scelte opposte nel sostegno ad alcune correnti politiche in Medio Oriente e in Nord Africa si sono fortemente distesi soprattutto dopo che, lo scorso 28 maggio, prima ancora che fossero ufficializzati i risultati del ballottaggiodelle elezioni presidenziali turche lo sceicco Mohammed bin Zayed si era congratulato con il rieletto presidente turco.
Le relazioni tra la Turchia e gli Emirati Arabi Uniti, insieme ad altri Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), avevano vissuto momenti di tensione tra il 2010 e il 2020, all’inizio della primavera araba e poi all’indomani dell’uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Nel 2016, poi, i media vicini a Erdoğan avevano accusato gli Emirati di aver finanziato, insieme agli Stati Uniti, i promotori del fallito golpe contro il “sultano”. Con l’ascesa di Erdoğan, la Turchia è stata uno dei principali sostenitori dei Fratelli musulmani in Palestina, Tunisia, Egitto e Siria.
Ankara si era anche fortemente schierata con il Qatar durante il boicottaggio economico e diplomatico imposto a Doha da Emirati, Arabia Saudita, Egitto e Bahrein nel 2017. Il gelo diplomatico tra i tre Paesi del Golfo e l’Egitto, da un lato, e il Qatar dall’altro si è concluso nel 2021, quando Abu Dhabi ha istituito il fondo d’investimento da 10 miliardi di dollari in Turchia.
Un altro dei teatri di divergenza fra Turchia ed Emirati è stato per lungo tempo la Libia, con Ankara che ha appoggiato l’esecutivo della Tripolitania, mentre Abu Dhabi le autorità scissioniste della Cirenaica. Oggi, invece, entrambi i Paesi sostengono il Governo di unità nazionale (Gun) del premier Abdulhamid Dabaiba, al potere a Tripoli. – Pagine Esteri
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L'articolo La Turchia in crisi si aggrappa agli Emirati proviene da Pagine Esteri.
“RDP AL CENTRO”
Domani a partire dalle 9.00 sarò a Bologna al teatro Arena del sole per l’evento “RDP al centro”, Un’occasione preziosa di incontro e confronto per proseguire insieme un cammino iniziato cinque anni fa PER INFORMAZIONI: gpdp.it/home/docweb/-/docweb-d…
Taxiiiii
La sola cosa che otterranno è l’allargarsi dell’illegalità e dell’evasione fiscale. L’assurdo blocco del mercato dei taxi – assieme all’insabbiata questione dei balneari – resterà negli annali quale esempio d’impoverimento collettivo e distorcimento del mercato, indotto da piccole corporazioni agguerrite e da forze politiche vili. Plurale senza confini di maggioranza e opposizione visto che, nella scorsa legislatura, a stralciare i taxi dalla legge sulla concorrenza furono la destra e la sinistra, unite contro quanto era stato predisposto dal governo Draghi (di cui pure erano parte).
Il taxi non si può più prenotare e non si trovano vetture libere, non presso villaggi sperduti ma direttamente a Piazza San Babila a Milano e a Piazza di Spagna a Roma. Presso stazioni e aeroporti le file comportano un tempo di percorrenza terrestre di pochi chilometri largamente superiore a quello impiegato per volare da una città all’altra. Il risultato non è che i tassisti guadagnino di più, ma che s’impedisce la concorrenza accrescendo l’offerta con macchine che si muovono in un mercato parallelo, spesso amministrato dai singoli tassisti (al cliente danno il numero di cellulare e quando un taxi non si trova mandano un amico). Tutto in rigorosa assenza di licenze e tassametro, con conseguente evasione fiscale.
Non assegnare nuove licenze porta al commercio illegale delle esistenti. Illegale perché mascherato da cessione – magari a cooperative – e perché non adeguatamente fiscalizzato. Le cifre di cui si parla, nel mercato reale, sono inoltre incompatibili con i redditi dichiarati da un tassista: chi è il matto che paga una licenza quanto l’incasso di dieci anni? Dice il ministro del Turismo che la faccenda riguarda i Comuni. Bisognerebbe chiederle perché mai, allora, era nella legge sulla concorrenza ed è stata stralciata per essere poi abbandonata al nulla. O se crede che siano i Comuni a dovere fare i decreti attuativi relativi alla legge del 2019, mai fatti.
Lo spettro qual è, Uber? A parte il fatto che alcune grosse cooperative di tassisti hanno già fatto un accordo con Uber – sicché non si può dire neanche per scherzo che sia contro i tassisti, semmai invisa ad alcuni – il modello secondo cui il pagamento avviene automaticamente e con carta di credito già registrata dovrebbe comunque essere sostenuto da un governo che volesse contrastare l’evasione fiscale, magari ricordandosi di mostrarsi solidale con i contribuenti onesti, a partire dal tassista di Bologna che ha raccontato come altri evadono e s’è ritrovato con le ruote tagliate. Ove il governo, naturalmente, non si consideri un esattore di pizzo.
La Ragione
L'articolo Taxiiiii proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Sul nostro sito sono state pubblicate le tracce della seconda prova scritta della #Maturità2023.
Potete leggerle qui ▶ miur.gov.it/web/guest/-/-matur…
Ministero dell'Istruzione
Sul nostro sito sono state pubblicate le tracce della seconda prova scritta della #Maturità2023. Potete leggerle qui ▶ https://www.miur.gov.it/web/guest/-/-maturita2023-sul-sito-del-ministero-pubblicate-le-tracce-della-seconda-provaTelegram
Etiopia, aggiornamenti dalla comunità Irob, Tigray
Le condizioni di vita per milioni di persone in Tigray, stato regionale dell’Etiopia settentrionale, sono precarie per le conseguenze post belliche, conflitto dai risvolti etnici e genocidi sull apopolazione regionale. Oggi aggravate dall’ennesimo scandaloso blocco del supporto umanitario da parte del WFP e dell’ USAID.
Come vive oggi la minoranza etnica di Irob
Oggi le condizioni di vita della minoranza etnica della woreda [distretto] di Irob (Erob, in tigrynia: ኢሮብ) posizionato nel Tigray nord orientale, è da considerarsi doppiamente catastrofica. Isolati ed invasi dall’esercito eritreo fin dall’inizio della guerra genocida scoppiata il 3 novembre 2020 e durata 2 anni. In aggiunta da conisderare anche il fattore ambientale di area rurale già normalmente poco accessibile ed in zona di confine con l’Eritrea.
Mercoledì 14 giugno il media Dimtsi Weyane ha condiviso un comunicato segnalando che:
“La diocesi cattolica di Adigrat ha distribuito sementi selezionate e attrezzature agricole a oltre 500 residenti di Irob con l’assistenza finanziaria di EUJoshua Misgna ha detto che il popolo di Irob sta affrontando seri problemi a causa dell’invasione delle forze eritree.”
Un aiuto doveroso di vitale importanza, ma briciole in confronto alle reali esigenze e bisogni della popolazione, di milioni di persone ancora in attesa di supporto e aiuti per la loro stessa sopravvivenza, per la ricostruzione della comunità.
Sabato 17 giugno mi sono arrivati aggiornamenti su Irob da parte della ONG Chain of Love
La ONG lavora da una decina di anni per la sussistenza della popolazione del Tigray.
L’esercito eritereo ha occupato 4 delle 8 unità amministrative (kebeles).
Ma l’effetto negativo è più di questo.
L’esercito eritreo ha invaso il Tigray e nonostante l’accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria il 2 novembre 2022, obblighi il suo ritiro da tutto il territorio, continua ad essere presente in questo distretto in violazione di tale accordo, sta perpetrando ancora abusi sui civili.
- ha disperso il centro amministrativo e i servizi base per la comunità;
- ha distrutto i centri sanitari paralizzando il sistema sanitario e il servizio di ambulanza. I pazienti muoiono per malattie curabili e la comunità è costretta a caricarsi sulle spalle i pazienti per cercare di raggiungere i pochi ospedali operativi;
- ha distrutto la struttura educativa e bloccato, come conseguenza, la riapertura delle scuole. I bambini di Irob rimangono fuori dalla scuola nonostante i distretti limitrofi non occupati erano riusciti a recuperare e riaprire gli edifici scolastici;
- ha interrotto la produzione agricola rendendo difficile l’accesso agli input agricoli da parte di agenti governativi e non governativi. I farmaci veterinari e i vaccini forniti da Chain of Love a Irob sono accessibili solo a beneficiari limitati. Coloro che erano sotto occupazione non avevano alcuna possibilità di ricevere questo servizio. Altri sono fuggiti dalle loro case e dai terreni agricoli così da non poter piantare raccolti.
- Poiché la strada è bloccata dall’esercito eritreo, gli aiuti non possono mai raggiungere il centro amministrativo. Quindi, i membri della comunità vengono fatti morire di fame.
- Le cerimonie sociali vengono interrotte. Le cerimonie nuziali, i funerali e le festività si svolgono tra famiglie separate. Questo è molto doloroso per la comunità Irob il cui legame sociale è forte, valore fondante della comunità.
- Il servizio religioso della Chiesa cattolica è limitato nelle parrocchie occupate.
- I servizi importanti elettricità e acqua sono interrotti.
Per concludere, il popolo Irob sta sperimentando una sofferenza multidimensionale; religioso, sociale/psicologico, economico, sanitario ed educativo, ambientale e anche cittadinanza.
Venerdì 9 giugno 2023 Goyteom Gebreegziabher ha condiviso foto e commento della sua visita ad Irob indicando che:
- “Irob al (9 giugno 2023)
- ~ Ancora strada bloccata dalle truppe
- ~ Nessun accesso per e
- ~ Aiuti bloccati da truppe
- ~ #Endalgeda , #Weraetle , #Agerlokoma e #Alitena invasi dall’esercito eritreo
- ~ blocco accesso per fertilizzante e sementi
- ~ blocco accesso per Salute, Istruzione.”
Irob woreda, Tigray Etiopia – giugno 2023
Ad ottobre 2022 l’ospedale di Alitena, che nell’agosto 2013 stava per veder inaugurato la sala operatoria, è stato bombardato da artiglieria pesante dell’esercito eritreo.Alitena – ospedale bombadato dalle forze eritree
Goyteom Gebreegziabher non ha potuto dare aggiornamenti a riguardo perché ha confermato che durante la sua visita di giugno 2023, dopo quasi 8 mesi dalla firma dell’accordo di cessazione ostilità in Tigray siglato a Pretoria, c’è ancora l’occupazione e la presenza di soldati eritrei che determinano blocco negli spostamenti per civili e operatori umanitari.
Oggi dopo 2 anni di guerra genocida scoppiata in Tigray nel novembre 2020, dopo quasi 8 mesi dall’accordo di Pretoria, la comunità del distretto di Irob, la minoranza etnica che lo abita, è triplicamente martoriata: come crisi umanitaria conseguente alla guerra, isolati dal mondo e senza servizi base, per l’occupazione di forze straniere come gli eritrei in violazione all’accordo di Pretoria e perché WFP – World Food Programme, l’agenzia di supporto alimentare non ha mai avuto a che fare con la zona del Tigray nord occidentale, Irob, come osservato da Duke Burbridge.
Approfondimenti:
- Etiopia, il comitato del Tigray condivide il report preliminare sulla deviazione del cibo umanitario
- Etiopia, lo scandalo del dirottamento e blocco alimentare umanitario per milioni di persone in Tigray
- La fame nel Tigray e lo scandalo della deviazione degli aiuti alimentari tra WFP ed Etiopia
- Etiopia, in Tigray aumentano le morti dei bambini sotto i 5 anni per malnutrizione acuta indotta dall’uomo
- Etiopia, la pulizia etnica persiste nonostante la tregua in Tigray
- Etiopia, IDP, sfollati interni in Tigray non dovrebbero essere puniti doppiamente
State Department debrief — Twitter ‘censorship’ — Brussels’ security pitch
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
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BUCKLE UP. DIGITAL BRIDGE IS A SPICY ONE THIS WEEK. I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and as the world of politics appears to be going from bad to worse (no matter where you are living), here’s a reminder that what may appear as government overreach one day can quickly become standard practice the next.
Grab your beverage of choice and relax:
— Jose Fernandez, a senior U.S. State Department official, talks about transatlantic ties, artificial intelligence and China.
— Twitter took down more pro-Trump accounts than anti-Trump accounts. But does that equate to censorship?
— Brussels’s new economic security plan is a pitch to have a seat at the world’s top geopolitical table. It’s a little messy.
A VIEW FROM WASHINGTON
WHEN IT COMES TO FANCY TITLES, Jose Fernandez‘s is a doozy. Officially, he’s the U.S. State Department’s undersecretary for economic growth, energy and the environment — and is in charge of the agency’s myriad bureaus, including the one recently created for cyberspace and digital policy. The former mergers and acquisitions lawyer also is central to the revamped transatlantic relationship via the EU-U.S. Trade and Technology Council. So when I caught up with him last week, Fernandez wanted me to know that — like almost everyone I talk to within these transatlantic digital policymaking circles — ties between Brussels and Washington are stronger than ever.
“Two years ago, our relations with the (European Union) were mired in irritants,” he conceded. “We’ve been able to get beyond those irritants and we’ve expanded our goals to meet our ambition.” That sounds wonderful. But dig a little below the surface, and it’s easy to find a raft of tricky policy questions that still mire the United States’ relationship with one of its largest trading partners in difficulties. Case in point: the ongoing discussions over a so-called “critical raw materials” deal that would allow European automakers and their suppliers to tap into American subsidies baked via the U.S. Inflation Reduction Act.
Fernandez said those talks were ongoing (he wouldn’t go further than that). But, he added, the very fact senior U.S. and EU officials now sat down, in person, every six months was a sign of how important Joe Biden’s administration took the transatlantic relationship. “We have irritants,” the State Department official said. “You couldn’t have a $1.4 trillion economic relationship without them. But there’s a real commitment to discussing them even when we disagree and to try to work through them.”
OK, sure. But what about China? Despite broad consensus between the White House and the European Commission — the executive branches of each region/country’s political structure — the U.S. is more willing to push back against China compared with its European allies, according to multiple conversations with U.S. and EU officials. Not true, said Fernandez. “Both Secretary Blinken and his counterparts in the EU have said that we’re looking to de-risk from China, not de-couple from China, and on that, we are 100 percent aligned,” he told me. “I would not agree with that. I think you’re seeing very close alignment,” he added when pushed on the differences over China.
Turning to the next iteration of the Trade and Technology Council, which will be held somewhere in the U.S. at the end of 2023, what will likely be on the agenda? For Fernandez (who also declined to say where it would be held later this year), the focus will be on artificial intelligence; so-called export controls, or bans on certain goods from being shipped to countries like Russia; and additional U.S.-EU funding for developing economies as they roll out 5G telecommunications networks and upgrade their digital cybersecurity capabilities.
“There’s a desire to continue to work with third countries on 5G development,” he said. During the last transatlantic summit in May, both sides announced funding for Costa Rica and the Philippines, respectively, on such digital infrastructure projects. “AI, and in particular generative AI, presents unlimited opportunities. But at the same time, some of the consequences have to be managed.” Like almost all Western officials in recent months, those attached to the Trade and Technology Council are falling over themselves to be seen to be doing something (anything!) to corral the growth of services like OpenAI’s ChatGPT. That includes plans to create a voluntary code of practice, designed by Washington and Brussels, which companies can agree to follow to uphold basic principles like fairness, transparency and impartiality.
Yet what that code of practice — which is expected to be presented to other G7 leaders in the fall — will actually look like is still a work in progress. As of early June, it was merely a two-page policy memo, shared haphazardly between EU and U.S. policymakers. Fernandez, too, had little detail to give — and wouldn’t be drawn on the regulatory differences between Brussels and Washington on how to deal with artificial intelligence. “We are now in the process of starting, so I can’t really give you much info on that because there is not much,” he acknowledged when asked about what the voluntary code of conduct would actually entail.
ACCOUNTABILITY VS. CENSORSHIP, PART TWO
AS A LAPSED BUSINESS REPORTER, I LIKE NUMBERS. Figures — unlike, ahem, politicians, lobbyists and officials — don’t lie. So when I came across a research paper from Georgetown and Yale academics on how anti- and pro-Trump bots on Twitter performed (in terms of spreading partisan messages across the social network) in the build-up to the former U.S. president’s first impeachment trial in late 2019 and early 2020, my ears pricked up. It provides a snapshot of how such political social media users disseminate their messages online — and, more important, sheds light on accusations from some Republican politicians that Big Tech is unfairly censoring right-wing voices.
Before we get to the findings, let’s lay out the methodology. The researchers collected almost 68 million posts from 3.6 million Twitter users between December 2019 and March 2020. They broke those accounts down into potential bots, or social media users that posted at significantly higher rates than average people, and then did a content analysis, at scale, to see whether such automated accounts were more in favor or against Donald Trump. Finally, the academics tracked the types of content these partisan bots posted during the impeachment trial, and how those messages were spread more broadly across Twitter.
OK, the results — and, remember, you have to read this in the context of accusations that social media platforms have an unfair bias toward liberal voices. In terms of bots, though, it was an almost even split. Collectively, there were 10,145 anti-Trump bots (posting 9.2 million tweets over that time period) compared with 11,571 pro-Trump bots (with 9.8 million tweets). But even though these accounts represented roughly 1 percent of the overall Twitter users within the study, they posted 31 percent of the total content. Key takeaway: Twitter doesn’t have a significant bot problem, in terms of the number of accounts. But it does when you look at how those automated users dominate the online conversation.
“For the price you pay for them, it’s a good bang for your buck,” Tauhid Zaman, a Yale academic who co-authored the paper, in reference to the effectiveness of bots on Twitter. “Once they are up and running, the marginal cost of a bot is essentially free. So in information warfare, it’s a really efficient tool to use.” Yet the pro- and anti-Trump accounts weren’t uniform. The more liberal bots were more likely to post content from more mainstream media outlets, whereas conservative automated users more regularly circulated material from dubious sites, based on a non-partisan content analysis of the quality of links shared by these bots.
That had an interesting effect on Twitter’s response to these automated accounts at a time when the social media giant (in the pre-Elon Musk era and after he took over) has tried to clamp down (mostly, unsuccessfully) on bot activity. When Zaman went back, earlier this year, to see how many of the anti- and pro-Trump bots were still active on the Blue Bird, he found a marked difference. Since early 2020, Twitter had removed 40 percent of the conservative-leaning automated accounts versus just 12 percent of the liberal bots. For human partisan Twitter accounts, the same held true: 12 percent of Republican users had been removed by March 2023 compared with just 5 percent of Democratic accounts.
For some in the U.S. House of Representatives (looking at you, Representative Jim Jordan), that could be a smoking gun in the alleged censorship of conservative voters online. Right-wing Twitter accounts were four times more likely to be removed compared with left-wing Twitter accounts. But where this gets incredibly tricky is figuring out why Twitter removed the bots. Is it because the company hates conservatives? Almost certainly not (that’s how not companies work). Or is it because these accounts were statistically more likely to share either false or dubious information, which therefore put them at odds with Twitter’s terms of service that prohibit (or, at least, down-rank) the spread of such questionable material?
“How much you are a Republican correlates almost exactly to how much disinformation you share. It’s almost one-to-one mapping,” Zaman told me. “I can’t say Twitter is suspending you because you’re a Republican. They could be trying to enforce some general policy on disinformation. But the effect is that it looks like they are suspending Republicans more, in a biased way, versus Democrats.” Unpicking that relationship — between how much false content a partisan social media user shares, and how that puts an account in breach of platforms’ terms of service — is crucial to understanding why more right-wing users have been suspended versus their leftwing counterparts.
BY THE NUMBERS
EUROPE (KINDA) FLEXES ITS MUSCLES
THE EUROPEAN COMMISSION WANTS YOU TO KNOW it’s getting tough. In economic security proposals published this week, Brussels outlined how it would protect local companies from having their technology stolen by others; limit the ability of third-party countries (read: China) from using their economic muscle to strong-arm the 27-country bloc; and work collectively to stop authoritarian regimes from buying stakes (or the entirety) of European companies, particularly in high-growth areas like quantum computing and cybersecurity. “We also have to be clear-eyed about a world that has become more contested and geopolitical,” said Ursula von der Leyen, the Commission president.
You could already hear the cheers from Washington as Brussels began to follow its lead on these topics. But don’t count your chickens just yet. First, the word “China” — key to all of these geopolitical maneuvers — didn’t get a mention. That may sound childish to point out, but appearances matter. And the failure of the Commission to call a spade a spade on China’s economic global ambitions doesn’t bode well for the negotiations to come. (These are just proposals that must be hammered out with the EU’s other political institutions.) Second, let’s be clear: The EU is still divided on how robustly to push back against Beijing. Until those divisions are figured out, which is key as Brussels will have to work with national capitals to implement its economic security agenda, I wouldn’t count on the 27-country bloc to pull its weight on the global stage.
WONK OF THE WEEK
WE’RE STAYING WITH THE WORLD OF AI this week to focus on Anna Makanju, head of public policy for OpenAI. It’s not her first Big Tech job (if OpenAI now makes it into that elite club?). The New York-based executive previously worked as a senior policy manager at Meta, specializing in content regulation.
The former Biden aide also has a background that would make most of the United Nations look on with envy. Born in Russia to a Nigerian father and a Ukrainian mother, she moved to the U.S. in the early 1990s and studied linguistics at Western Washington University, from which she graduated at 16 years old. She later graduated from Stanford University’s law school.
“I’ve argued countless times that Putin excels at neither strategy nor tactics despite so much odd insistence to the contrary in the West,” she wrote on Twitter last year (her career includes a stint at the U.S. Department of Defense). “Unless the willingness to kill an unlimited number of people inside or outside your country to achieve a goal is strategic or tactical brilliance.”
THEY SAID WHAT, NOW?
“We need an all-hands-on-deck approach — because that’s what AI’s complexities and speed demands,” Chuck Schumer, the Democratic leader of the U.S. Senate, said when announcing his “SAFE Innovation Framework for Artificial Intelligence,” proposals to set guardrails, but not actual legislation, around this emerging technology. “Innovation must be our North Star. And it is SAFE innovation that we must seek.”
WHAT I’M READING
— Risks and harms from the online world will increase at an exponential rate, but the knowledge needed to combat those threats has been increasing within tech companies and across civil society, according to conclusions from a task force looking at trust and safety issues on the internet, overseen by the Atlantic Council.
— Google’s licenses for its “infotainment” services for automakers are not compatible with Germany’s revised antitrust rules that impose stricter obligations on dominant companies like the search giant, based on a decision from the country’s competition authority.
— A comprehensive review of popular messaging apps found a wide variety of security practices, as well as wholesale public misunderstanding about what was considered “encrypted,” argue Justin Hendrix, Cooper Quintin, Caroline Sinders, Leila Wylie Wagner, Tim Bernard, and Ami Mehta for Tech Policy Press. (Full report here.)
— Recent cyberattacks on government agencies and IT providers within Ukraine were directly tied to operatives, known as Cadet Blizzard, associated with Russia’s military intelligence, claims Microsoft in a threat intelligence report.
— A new generation of cross-border data transfer initiatives, and not merely those between the U.S. and the EU, could mark a new era of data sharing that upholds privacy standards while facilitating global trade, suggests Kenneth Propp for the Atlantic Council.
— The use of human subjects to train AI-generated responses led to a significantly improved service (in terms of a chatbot) and allowed for faster tweaks in the underlying model to weed out potential harmful/inappropriate interactions, according to research from a group of AI engineers at Meta.
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Advertising Company CRITEO fined €40 Mio
La società di pubblicità CRITEO multata per 40 milioni di euro La CNIL ha inflitto un'ammenda di 40 milioni di euro a CRITEO, la più grande società di pubblicità e tracciamento online in Europa, sulla base delle denunce presentate da noyb e Privacy International.
Niente ChatGpt per il Pentagono. Come la difesa americana immagina l’IA
L’Intelligenza Artificiale è senza dubbio una delle scoperte che impatteranno maggiormente lo sviluppo dell’essere umano nei decenni a venire. ChatGpt rappresenta soltanto la sua versione embrionale, un prototipo di quello che potranno essere le applicazioni future di questa tecnologia. Ma proprio in quanto prototipo, il prodotto di OpenAI possiede ancora troppe inefficienze e troppi limiti. Motivi per cui i leader militari hanno deciso di guardare altrove.
Ospite del Defense One Tech Summit, evento a cadenza annuale che esplora come le tecnologie emergenti stiano plasmando le tattiche militari e le strategie di sicurezza nazionale del futuro, il deputy chief technology officer for critical technologies del Pentagono Maynard Holliday ha dichiarato che l’apparato della Difesa statunitense non intende utilizzare ChatGpt, perlomeno nella sua versione attuale.
“I modelli linguistici di simili dimensioni hanno una grandissima utilità, e contiamo molto di utilizzare lo strumento dei modelli generativi basati sull’intelligenza artificiale, ma sfrutteremo soltanto le nostre banche dati. I nostri modelli saranno sviluppati sui dati del Dipartimento della Difesa e istruiti con i nostri dati, e utilizzeranno i nostri metodi di calcolo, così potremo ricevere feedback su cui svolgere un lavoro d’analisi”, sono state le parole di Holliday.
Il dirigente del Pentagono ha inoltre aggiunto che in questi giorni si riunirà un gruppo di lavoro atto a individuare quali possano essere i casi d’uso dell’intelligenza artificiale, utilizzando come base lo stato dell’arte accademico e industriale per quello che riguarda questi modelli linguistici.
Dalle parole di Holliday si può interpretare quale criterio abbia spinto il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti a preferire uno sviluppo ex-novo (accrescendo quindi sia i tempi che le risorse richieste) di un modello di intelligenza artificiale piuttosto che appoggiarsi, almeno nelle strutture fondamentali, a sistemi già disponibili: una sana mancanza di fiducia.
I modelli linguistici attualmente disponibili al grande pubblico (ChatGpt, Bard, Claude, Sage e altri) basano il loro funzionamento su un archivio dati di dimensioni mastodontiche, attingendo da milioni di risorse disponibili online. Risorse che non devono per forza essere veritiere, come abbiamo imparato a nostre spese negli ultimi anni. Essendo uno strumento prettamente militare, un’intelligenza artificiale destinata ad un impiego bellico è intrinsecamente portata a raggiungere il massimo grado di efficienza possibile in un dato contesto e a date condizioni. L’utilizzo di informazioni devianti rischierebbe di compromettere quest’efficienza, vanificando così l’impiego operativo di questi strumenti.
Oltre alla base informativa, Holliday ha posto l’accento anche sull’importanza del processo di calcolo della macchina. La conoscenza diretta e specifica dei modelli utilizzati dall’intelligenza artificiale garantirebbe da una parte un utilizzo più efficiente degli stessi nello svolgimento di determinati compiti assegnati, e dall’altra contribuirebbe a prevenire il verificarsi di incidenti indesiderati, con possibili effetti collaterali.
Poche settimane fa era stata riportata una notizia che aveva fatto scalpore: in uno scenario simulato dall’aviazione statunitense (non è ancora ben chiaro se tale scenario fosse solo un esercizio teorico o il risultato di una simulazione vera e propria), un drone guidato dall’intelligenza artificiale avrebbe aperto il fuoco contro l’essere umano al vertice della sua catena di comando gerarchica. Tale fatto sarebbe stato legato ad un’interpretazione ‘errata’ (se così può essere definita) degli ordini impartiti al drone.
Proprio per evitare di incappare in scenari simili, i vertici militari statunitensi preferiscono spendere tempo e risorse nella realizzazione di un sistema ‘intelligente’ più facilmente controllabile e meno incline a fughe in avanti come quella appena riportata. Anche a costo di ritardare la loro comparsa sui teatri delle operazioni. Comparsa che, ad oggi, non risulta poi così urgente.
PODCAST Usa-Cina. Biden prova a impedire la diplomazia del dialogo
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di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 22 giugno 2023. L’incontro tra il segretario di Stato Usa Blinken e il presidente cinese Xi Jinping è stato commentato con entusiasmo, soprattutto all’estero, colto come un segnale importante per una ripresa del dialogo tra Pechino e Washington. Ma appena Blinken è ritornato a casa, il presidente Biden ha fatto delle dichiarazioni molto dure sulla Cina e sul suo presidente, definito un “dittatore”. Per Pechino questa è solo un’altra delle dimostrazioni di quella che ritengono sia la “cattiva fede” degli Stati Uniti. Ne abbiamo parlato con Michelangelo Cocco, giornalista e analista che da anni vive e lavora a Shanghai.
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In Cina e in Asia – La Cina individua enorme giacimento di terre rare nell’Himalaya
La Cina individua enorme giacimento di terre rare nell’Himalaya
Salve le aziende cinesi dal nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia
Le case automobilistiche tedesche accusate di ricorrere al lavoro forzato degli uiguri
Boom della lotteria tra i giovani cinesi
Modi a cena con Biden
Il Thaad in Corea del Sud non rappresenta un rischio per la salute dei cittadini
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Presentazione del libro “Il diritto dei controlli societari” di Alessandro De Nicola
saluti introduttivi
ANDREA CANGINI, Segretario General Fondazione Luigi Einaudi
intervengono
NICCOLÒ ABRIANI, Ordinario di Diritto commerciale. Università di Firenze
MARGHERITA BIANCHINI, Vice Direttore Generale Responsabile del Settore Diritto Societario, Assonime
ALESSANDRO DE NICOLA, Senior Partner, Orrick
GIULIO FAZIO, Avvocato e già Direttore Affari Legali e Societari, Enel
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Alle 8.30 la chiave ministeriale per aprire il plico telematico della seconda prova è stata pubblicata sul nostro sito.
La trovate qui ▶️ miur.gov.it/web/guest/-/22-giu…
Ministero dell'Istruzione
Alle 8.30 la chiave ministeriale per aprire il plico telematico della seconda prova è stata pubblicata sul nostro sito. La trovate qui ▶️ https://www.miur.gov.it/web/guest/-/22-giugno-2023-esami-di-stato-seconda-prova-scrittaTelegram
Dialoghi – Come la Cina sta regolando il flusso transfrontaliero di dati
Dopo la legge sulla sicurezza dati del 2021, nuove misure sul trasferimento transfrontaliero vincoleranno le informazioni prodotte da server cinesi al controllo statale.
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Nave Morosini in Giappone. L’Italia rafforza la presenza nell’Indo Pacifico
Il pattugliatore polivalente d’altura italiano Nave Morosini ha fatto il suo ingresso nella base militare di Yokosuka, in Giappone, a poca distanza dalla capitale Tokyo. A darne l’annuncio l’ambasciata italiana, che ha rivolto il proprio “caloroso benvenuto” alla nave militare e al suo equipaggio, definendola un “gioiello tecnologico della Marina Militare” il cui arrivo nel Paese del Sol levante “rafforza la collaborazione tra Italia e Giappone e testimonia l’impegno italiano in un’area strategica come l’Indo-Pacifico”. L’unità italiana si trova nell’Indo-Pacifico da inizio aprile, schierata all’interno del dispositivo del Carrier strike group 5 (Csg 5), il gruppo portaerei statunitense assegnato alla settima flotta Usa, parte della Flotta Usa del Pacifico. Il gruppo da battaglia, attualmente operante nel mar Cinese meridionale, è assegnato alla protezione della portaerei nucleare Classe Nimitz Uss Ronald Regan. Insieme al Morosini sono presenti almeno tre incrociatori Classe Ticonderoga e una squadriglia di sette cacciatorpediniere Classe Arleigh Burke. Per il pattugliatore italiano si tratta di una opportunità per prendere parte alle attività addestrative e operative guidate dalla portaerei americana, una prima volta per il Morosini. L’impegno della Marina nell’Indo-Pacifico, inoltre, potrebbe prevedere l’invio nel 2024 anche di Nave Cavour
Il pattugliatore Morosini
Il secondo dei sette pattugliatori polivalenti d’altura (in versione Light) previsti nel piano di rinnovamento della Marina avviato nel 2015 sotto l’egida dell’Organizzazione per la cooperazione congiunta in materia di armamenti (Occar), il Francesco Morosini è una nave elevata flessibilità operativa, concepita per svolgere una molteplicità di compiti, dal pattugliamento, al trasporto logistico, fino al combattimento. Il Morosini, in particolare, integra alcune novità ingegneristiche all’avanguardia che la rendono tra le unità più avanzate in mare. A partire dalla sua doppia prora sfalsata, che permette al pattugliatore di ridurre la formazione ondosa, permettendo un aumento di idrodinamicità (e quindi di velocità) riducendo al contempo i consumi. Ma la vera rivoluzione è il Naval cockpit, una postazione per la condotta della nave simile alla cabina di pilotaggio di un aereo che permette a due soli operatori sia di dirigere la navigazione, sia di gestire le operazioni aero-navali da una sola postazione integrata. Sul Morosini, inoltre, è distaccato un SH-90A, una squadra di sommozzatori del Gruppo operativo subacquei e un distaccamento di fucilieri della brigata marina San Marco.
Il valore geopolitico del dispiegamento
Come l’ambasciata guidata dalla feluca Gianluigi Benedetti ricorda, lo schieramento del Morosini ha un valore politico, di diplomazia militare e industriale. Innanzitutto, rafforza ulteriormente l’allineamento tra Roma e Tokyo: la partnership italo-giapponese sta vivendo un momento di particolare vivacità, frutto anche del programma militare Global Combat Air Programme (Gcap), “un ambizioso progetto volto allo sviluppo di un aereo da caccia di nuova generazione entro il 2035”, come lo definisce Palazzo Chigi. Il driver della Difesa, e dell’industria collegata, è uno degli elementi centrali in questa fase delle relazioni, e si estende nel quadro ampio delle attività italiane nell’Indo Pacifico – regione nevralgica in cui ormai anche Roma riconosce necessaria la presenza. Ed è proprio attraverso partnership come il Gcap e attività come quelle del Morosini che si sviluppa quella presenza – elemento fondamentale perché, come spiegavano fonti regionali, “nell’Indo Pacifico conta esserci”.
Il ruolo dell’Italia
E la presenza del Morosini a Yokosuka ha un valore ancora più ampio se si considera che la città portuale nella penisola di Miura custodisce uno dei cuori nevralgici e strategici della regione: la sede della Settima Flotta statunitense, quella che risponde appunto all’Indo Pacific Command. La sovrapposizione non è casuale, le attività italiane nella regione vanno inquadrate all’interno di uno schema largo che riguarda la strategia occidentale, condivisa da Usa e Ue (e tendenzialmente dalla Nato, con l’Indo Pacifico che sarà argomento di prima importanza nell’imminente vertice di Vilnius, come lo è stato lo scorso anno a Madrid). Il Morosini segna un approfondimento delle attività italiane nella regione fino alla porzione più lontana dalla Penisola, ma segue la traiettoria di quella sovrapposizioni di interessi tra Oriente e Occidente – tra destini del quadrante Euro Atlantico e quelli dell’Indo Pacifico – che sono una delle visioni distintive del pensiero del primo ministro nipponico, Kishida Fumio. Pensieri condivisi dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha parlato proprio a proposito di queste interconnessioni durante la visita a Nuova Delhi: davanti a lei c’era il premier Narendra Modi, altro partner strategico italiano nell’Indo Pacifico, in questi giorni alla Casa Bianca.
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Premio Luigi Einaudi 2023 – Antonio Patuelli
L’intervento integrale del presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi) Antonio Patuelli durante la cerimonia di consegna della mezza pera di bronzo, ‘Premio Einaudi – Edizione 2023’, che si è svolta ieri nell’aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi”
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VIDEO. Rappresaglie dei coloni contro villaggi palestinesi, ucciso un giovane
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della redazione
Pagine Esteri, 21 giugno 2023 – Continuano le azioni di rappresaglia contro i villaggi palestinesi dopo l’uccisione ieri in Cisgiordania di quattro coloni israeliani in un attacco armato compiuto da due palestinesi in una stazione di servizio presso l’insediamento coloniale di Eli. I palestinesi riferiscono dell’uccisione di 27enne, Omar Qatin, durante un raid punitivo nel villaggio di Turmusaya (Ramallah) dove circa 400 coloni, secondo quanto riferito dalle autorità comunali, hanno dato o tentato di dare alle fiamme 60 automobili e 30 edifici.
Non è chiaro dalle testimonianze locali se a colpire Qatin siano stati spari partiti da coloni israeliani o da soldati intervenuti contro le proteste palestinesi. Altri tre palestinesi sono stati feriti da proiettili.
Gruppi di coloni israeliani provenienti dagli insediamenti più “ideologici”, quindi legati all’estrema destra religiosa, hanno lanciato attacchi a ripetizione contro Huwara, Luban Sharqia e altri villaggi palestinesi per vendicare i quattro uccisi nella stazione di servizio provocando, stando al ministero della sanità palestinese, decine di feriti. Secondo un calcolo ufficioso sono state date alle fiamme nelle ultime ore almeno 120 auto palestinesi.
Lo scorso febbraio centinaia di coloni attuarono una ampia punizione collettiva contro Huwara e i suoi sobborghi uccidendo un palestinese e provocando danni ingenti ad abitazioni e proprietà. Anche in quel caso furono date alle fiamme dozzine di automobili.
Sadil Naghnegah
Intanto questa mattina si è spenta in ospedale Sadil Naghnegah, la 15enne palestinese ferita da un proiettile mentre era a casa durante l’incursione due giorni fa di reparti dell’esercito israeliano nella città di Jenin. Colpita alla testa, la ragazza era stata dichiarata cerebralmente morta dai medici già al suo arrivo all’ospedale. Con la sua morte sale a 7 il bilancio di vittime palestinesi del raid a Jenin.
In Israele tra ieri sera e oggi si sono svolti i funerali di Nachman Mordoff, Elisha Anteman, entrambi di 17 anni, di Harel Masood, 21 anni, e del 64enne Ofer Fayerman, i quattro coloni rimasti uccisi nell’attacco armato di ieri in Cisgiordania. Pagine Esteri
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Oggi partenza ufficiale di NoStream, l'istanza Owncast italiana di mastodon.uno. Stasera live alle 21.00
L'istanza nostream.mastodon.uno è attiva
Sarà quindi usata come la radio ufficiale di mastodon.uno ma saranno trasmessi anche Film, Documentari e serie tv!
L'istanza è aggiornata alla 0.1 e sarà necessario pulire la cache per vedere la nuova veste grafica, se già la usavate in passato potrebbero esserci problemi in quanto è stata radicalmente cambiata, in ogni caso buon ascolto!
Stasera a partire dalle ore 21:00 ci sarà la live per l'inaugurazione ufficiale di NoStream!
L'account da seguire è questo: @NoStream
Per ricevere una notifica poco prima della diretta basta cercare l'account qua sopra, seguirlo e cliccare la campanella.
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Il piano di Xi per ristrutturare la difesa cinese
Il congresso del Partito Comunista Cinese dell’Ottobre 2022 è stato un evento attesissimo dagli osservatori di tutto il mondo. Al netto di eventi imprevisti quel consesso avrebbe consacrato la leadership di Xi Jinping, confermandolo come segretario del Partito Comunista Cinese per un terzo mandato per una durata al potere che non si vedeva dai tempi di Mao Zedong. Come è poi effettivamente accaduto.
Oltre allo spettacolo principale, il Congresso ha offerto numerosi side event agli analisti politici mondiali. Tra questi, vi è stata la nomina di tredici nuovi membri del Politburo, l’organo di gestione del Partito e centro nevralgico del sistema decisionale dell’autocrazia del Dragone. Alcuni di questi erano figure in carriera già note ai più, mentre altre avevano fino avevano tenuto fino a quel momento un profilo più basso. Ma tutti i tredici neonominati avevano una caratteristica che li accomunava l’un l’altro: anziché provenire da una carriera prettamente politica, il background di questi personaggi era individuabile nei settori più ‘strategici’ dell’apparato militare-industriale del Dragone. Una mossa aperta a molteplici interpretazioni, anche complementari; due sono quelle più immediate.
La prima è che questa serie di nomine rappresenti l’ennesima manovra di Xi per rendere più saldo il suo controllo sul Partito Comunista, e di conseguenza sullo Stato cinese. Nulla di eclatante, molti altri lo avevano fatto prima di lui. La particolarità sta però nella caratteristica comune ai prescelti già evidenziata poc’anzi. Uomini con una lunga carriera politica alle spalle, costruita sulla creazione di network e sulle trame nascoste, avrebbero rappresentato delle mine vaganti per il lungimirante Segretario. Al contrario, personalità cresciute in un sistema più vicino a quello delle Forze Armate sono cresciute seguendo i principi della lealtà e del rispetto, rendendoli molto meno suscettibili a manovre di palazzo atte a rovesciare il sistema di potere attuale.
La seconda riguarda invece l’impronta che Xi vuole dare a questo nuovo mandato. Non è certo un segreto che il leader comunista voglia potenziare le capacità militari cinesi, soprattutto sul livello qualitativo; né tantomeno lo è il fatto che il sistema centralizzato da lui promosso nella stragrande maggioranza delle dimensioni del suo governo possa risultare inefficiente per quel che riguarda l’innovazione tecnologico-militare. Far assurgere ai ranghi più alti del potere tecnocrati ben consapevoli delle problematiche e delle criticità dei rispettivi settori rappresenta sicuramente un passo importante per cercare di smuovere la situazione.
La direttrice su cui si basa il rinnovato sforzo cinese è quella della “military-civil fusion”: una collaborazione strutturata tra mondo civile e mondo militare, che vede il secondo sfruttare le innovazioni promosse dal primo, sulla carta molto più adatto a sviluppare tecnologie all’avanguardia. Non a caso, negli ultimi anni si è iniziato a parlare con sempre maggiore frequenza delle caratteristiche dual-use di determinati beni, che possono avere un duplice utilizzo sia nel campo della pace che in quello della guerra.
Ma l’aspetto più importante, soprattutto per gli osservatori esterni, è il cosiddetto Technology Transfer. Questa definizione indica la tecnica cinese di acquisire il know-how più avanzato di compagnie civili occidentali ‘leader nel settore’ grazie a strumenti di carattere economico-giuridico, per poi importarlo all’interno dei propri confini ed applicarlo allo sviluppo di nuovi sistemi militari. L’esempio del gruppo Kuang-Chi è significativo. Prima di essere sanzionato dall’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza statunitense alla fine del 2020 quest’azienda (con sede a Shenzhen ma guidata da dirigenti di formazione statunitense e con partner negli Stati Uniti, Israele, Canada, Europa e Singapore) aveva investito centinaia di milioni di dollari nello sviluppo di prodotti con potenziali applicazioni militari. Per il beneficio diretto di Pechino.
L’evolversi della situazione geopolitica mondiale negli ultimi anni ha reso ancora più impellente il bisogno degli stati (e in particolare dei quelli considerati come ‘superpotenze’) di dotarsi non solo di Forze Armate all’avanguardia, ma anche di un apparato economico-industriale in grado di supportarle. E Xi non sembra voler nascondere il suo intento di realizzare quest’ambizione.
Daphne Du Maurier – Rebecca la prima moglie
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Le tracce ufficiali della #Maturità2023 sono disponibili sul nostro sito.
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HONDURAS. 41 donne uccise durante regolamento di conti in carcere femminile
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Pagine Esteri, 21 giugno 2023. Una rivolta causata da bande criminali che si contendono il controllo delle strade e delle carceri in Honduras ha portato alla morte di almeno 41 donne, tutte detenute nell’istituto penitenziario femminile (CEFAS) di Támara, a circa 50 km dalla capitale Tegucigalpa.
Un’azione preparata e coordinata, di una violenza estrema. Molte delle vittime, 25 almeno, sono morte carbonizzate, arse vive dalle fiamme appiccate intenzionalmente. Su altri corpi sono stati trovati, invece, segni di colpi di arma da fuoco o ferite da taglio.
Secondo le dichiarazioni ufficiali, la responsabilità della rivolta è da imputarsi alle gang di strada che si contendono il controllo delle carceri. All’interno degli istituti penitenziari in Honduras le bande criminali hanno un larghissimo potere, spesso controllano cosa entra e cosa esce e hanno in pugno gli agenti penitenziari e di sicurezza.
I parenti delle vittime sono rimasti a lungo fuori la prigione con la speranza di avere notizie sui propri cari. La disperazione e la rabbia si sono accumulate per ore mentre le autorità recuperavano, lentamente, i corpi delle detenute morte. L’identificazione completa richiederà probabilmente dei giorni.
Secondo la ricostruzione delle forze di sicurezza, la gang Barrio 18 avrebbe bloccato e dato fuoco a una cella nella quale si trovavano detenute appartenenti alla banda rivale di Mara Salvatrucha.
Secondo le autorità le violenze sarebbero scoppiate in risposta all’aumento delle misure di sicurezza e di controllo all’interno delle carceri, disposte dal governo. Questa spiegazione, però, non convince del tutto.
La presidente Xiomara Castro ha denunciato la complicità delle forze di sicurezza presenti all’interno della prigione, che hanno permesso se non facilitato il regolamento di conti e ha annunciato misure drastiche.
Conmocionada monstruoso asesinato de mujeres en CEFAS, planificado por maras a vista y paciencia de autoridades de seguridad. Mi solidaridad con familiares. Convoco a rendir cuentas al Ministro de Seguridad y la presidenta de la Comisión Interventora. ¡Tomaré medidas drásticas !— Xiomara Castro de Zelaya (@XiomaraCastroZ) June 20, 2023
L’Honduras conta alcune tra le peggiori tragedie all’interno delle carceri, come quella del 2012, quando nel penitenziario di Comayagua, 361 detenuti sono morti in un incendio. Un disastro come quello di ieri è avvenuto nel 2017 in Guatemala, dove sono morte 41 ragazze di un centro di accoglienza per giovani in difficoltà dopo aver incendiato i materassi in segno di protesta contro stupri e altri maltrattamenti nell’istituto sovraffollato.
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Cineserie
Il governo ha scelto di utilizzare il golden power e mettere in sicurezza il controllo italiano di Pirelli. Non s’è levato un fiato critico, nessun oppositore s’è opposto e anche la stampa che solitamente dipinge Meloni come un rischio per l’Italia ne ha festeggiato la determinazione, elevandola a baluardo dell’Occidente democratico. Innanzi a tanta concordia nazionale non resterebbe che compiacersi. Quando si parla d’interessi reali si ottengono reali coesioni. Che bello. Se non fosse che il corale afflato si realizza su una mossa che introduce uno scivoloso precedente.
Vale la pena di capire, perché in questo racconto c’è moltissimo del capitalismo italiano senza capitali. Il primo azionista di Pirelli sono i cinesi di Sicochem, con 37,01%. Cinesi sono anche due altri azionisti, dal nome con un significato inequivocabile: Silk Road Fund (9,2%) e LongMarch (3,68%). In mano cinese si trova il 49,71% del capitale Pirelli. Il loro ingresso risale al 2015, quando i loro soldi servirono per sostituire i russi di Rosneft (con la Russia che aveva già preso la Crimea, nel 2014). Nell’azionariato Pirelli c’è una quota di Camfin, pari al 14,1%, che esercita un potere di voto largamente superiore, definito nei patti parasociali. Camfin viene indicata dai giornali come la finanziaria che fa capo a Marco Tronchetti Provera, ma il suo primo azionista è ancora la cinese LongMarch. Anche in questo caso i patti parasociali stabiliscono che gli italiani hanno diritti di voto superiori alle quote azionarie. In altre parole, ci sono azioni che contano di più pur avendo il medesimo valore unitario. Affari loro, resta il curioso fatto che questo genere di controllo societario viene denominato “scatole cinesi”. In questo caso piene di cinesi veri.
Nel 2020 gli Stati Uniti già indicavano quelle filiere cinesi come facenti capo ai militari e al governo, predisponendo le sanzioni. Mentre l’Italia non soltanto li aveva in casa, ma firmava gli accordi governativi per la “Via della seta”. Cosa è cambiato?
Da parte cinese (c’è un documento dello scorso novembre) le società azioniste di Pirelli – come tutte le altre importanti – sono state richiamate alla coerenza con i piani industriali di Xi Jinping. Dall’altra la Russia ha invaso l’Ucraina e la Cina s’è collocata al fianco di Putin, sebbene più per mangiarselo che per aiutarlo. Quindi, mentre gli azionisti cinesi cercano di fare quel che è ovvio nel nostro (nostro) sistema capitalistico – ovvero far corrispondere il potere ai soldi messi – l’azionista italiano si rivolge al governo segnalando il pericolo. Che si fa, considerando che non siamo in guerra ma c’è la guerra?
Esistevano due strade: a. vedetevela davanti a un giudice; b. si interviene a tutela di una tecnologia che ha a che vedere con la sicurezza nazionale, in questo caso congelando le azioni in mano cinese. Ma si deve indicare quale sia la tecnologia e che sia la geolocalizzazione delle ruote e l’accumulazione di dati in cloud è un po’ pochino, considerato che quella roba è a bordo di qualsiasi cosa e vettura. Il governo ha scelto una terza strada: afferma il valore strategico della tecnologia ma non congela le azioni, bensì modifica i patti parasociali, alzando il numero di consiglieri che Camfin può nominare. La Camfin in cui il primo azionista è cinese, sicché domani lo si dovrà forse rifare anche per Camfin.
Delle due l’una: o c’è la guerra e il capitale cinese non è gradito, in questo caso prima si prende una decisione politica d’indirizzo governativo (ma noi siamo ancora dentro la “Via della seta”) e poi si restituiscono i soldi, salutando; oppure si sta solo difendendo un azionista che ha messo soldi per la minoranza di quel che domina, introducendo un precedente che il cielo solo sa dove possa portare. Nel frattempo danneggiando tutte le imprese italiane – piccole, medie e grandi – che con i cinesi, da anni, fanno o provano a far affari.
Bella la concordia. O forse manca qualcuno che abbia saputo pensarci e voluto dirlo.
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In Cina e Asia – L’esercito cinese introduce regole più rigide che "ai tempi di Mao”
Nuove regole di condotta per l'esercito cinese, più rigide che "ai tempi di Mao"
Li Qiang: "Ok al de-risking ma bisogna collaborare"
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Xinjiang, per il capo della sicurezza cinese combattere il terrorismo con "strumenti legali"
Uno dei virologi di Wuhan ammalati prendeva fondi dagli Usa
La vecchia guardia torna alla guida di Alibaba
Usa: "L'India partner chiave a livello globale"
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Ad Antonio Patuelli il Premio Einaudi 2023
Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha ricevuto questa sera a Roma il “Premio Einaudi – Edizione 2023”. Il riconoscimento, arrivato su decisione unanime del Consiglio di amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi, è stato conferito “in ragione della coerenza di una vita spesa nella diffusione di alti principi di libertà e responsabilità nel solco degli insegnamenti di Luigi Einaudi”.
La cerimonia di consegna della mezza pera di bronzo si è svolta nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi, priva di posti vuoti e piena di giornalisti. Dopo i saluti iniziali del presidente della Fondazione, Giuseppe Benedetto, ha aperto l’incontro il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, con un ricordo che lo lega al presidente Patuelli. ”Nella mia vita ho cambiato idea su molte cose – ha detto – ma mai sull’idea liberale, con Antonio Patuelli, seppure sia più giovane di me, ho condiviso l’esperienza, e la militanza, nel partito liberale italiano”.
Ha preso poi la parola Andrea Cangini che ha salutato l’amico Patuelli e ha detto ai presenti: “si tratta di un riconoscimento più che meritato alla persona e allo stile con cui la persona ha interpretato le diverse funzioni che ha ricoperto fino ad oggi nel corso della propria carriera politica, economica e finanziaria. In perfetto stile einaudiano si è dedicato alla divulgazione e alla comprensione dei fatti, e questo lo ha reso un giornalista eccellente oltre che un pedagogo della coscienza e della conoscenza nazionale”.
“I metodi della libertà servono a perseguire i principi della libertà” ha detto Patuelli, nella sua lezione che ha chiuso l’incontro, ripercorrendo la figura di Einaudi, sottolineandone la profonda “intransigenza morale. Il suo approccio – ha aggiunto – non era da ‘liberista’, e lo scriveva lui stesso. Lui non era attento solo alle libertà economiche, e dopo l’omicidio Matteotti ebbe il coraggio fino al ’35 di andare in Senato a parlare contro la guerra d’Etiopia. Cosa è attuale del suo insegnamento? L’alta moralità, il coniugare sempre doveri e diritti. Se non si rispettano i doveri, i diritti non sussistono. I doveri sono innanzitutto quelli costituzionali, ci deve essere sempre un uguale ossequio per entrambi”.
Einaudi, ha concluso, “fu l’antitesi della demagogia, un memorabile moralista, ma molto pratico. Era per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, quella dei punti di partenza, una uguaglianza che non si realizza abbassando chi sta in alto, ma innalzando chi sta in basso e mettendolo nelle condizioni di competere”.
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Eleonora
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Eleonora • •@Eleonora gli ultimi post sono tutti in inglese, ma sono tutti molto aggiornati. Fino a qualche tempo fa ne veniva pubblicata contestualmente anche la versione in italiano, ma merita comunque di essere seguita (e se aumenta la frequentazione della comunità da parte degli italiani non è detto che in futuro non vi saranno di nuovo post in italiano)
@Informa Pirata @Pirati.io @Etica Digitale @Le Alternative @Nicola Fabiano @nicfab
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mokassino
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •se volete darci una mano con la stesura oppure avete delle idee o feedback potete aprire una issue o fare una mr
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