L’Onu incalza gli Stati Uniti: chiudete la prigione di Guantanamo Bay
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di Blaise Malley – Responsible Statecraft*
(nella foto una protesta negli Usa contro le detenzioni a Guantanamo Bay)
Pagine Esteri, 28 giugno 2023 – Più di vent’anni dopo l’apertura della prigione di Guantanamo Bay, 30 detenuti sono ancora sottoposti a “trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, secondo un nuovo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’antiterrorismo e i diritti umani, Fionnuala Ni Aolain.
Fionnuala Ní Aoláin
Il documento è il risultato di una visita alla struttura all’inizio di quest’anno, la prima nel suo genere da parte di un funzionario delle Nazioni Unite dall’apertura (della prigione di Guantanamo, ndt) dal 2002. La sua conclusione è chiara: il governo degli Stati Uniti deve “considerare percorsi immediati di chiusura” del centro di detenzione.
La visita della Relatrice, avvenuta a febbraio, ha incluso una serie di incontri con gli avvocati e le famiglie dei prigionieri, nonché con ex detenuti e alcuni degli allora 34 detenuti.
Ni Aolain ha anche parlato con le famiglie delle vittime degli attacchi dell’11 settembre. La Relatrice riconosce le opinioni divergenti all’interno della comunità delle vittime sulla legittimità delle commissioni militari, sull’uso della pena di morte e sul funzionamento del centro di detenzione di Guantánamo. Ma, a suo avviso, l’uso della tortura da parte degli Stati Uniti rappresenta ora “l’ostacolo più significativo all’adempimento dei diritti delle vittime alla giustizia”.
Nel rapporto, Ni Aolain ringrazia l’Amministrazione Biden per aver facilitato la sua visita, ma critica il governo degli Stati Uniti per le continue violazioni del diritto internazionale. “Diverse procedure del governo degli Stati Uniti stabiliscono una privazione strutturale e il mancato rispetto dei diritti necessari per un’esistenza umana e dignitosa e costituiscono un trattamento minimo, crudele, disumano e degradante in tutte le pratiche di detenzione a Guantánamo Bay”, ha scritto.
Il rapporto si concentra sul diritto alla salute dei detenuti, sull’accesso alla famiglia, alla giustizia e a un processo equo e sugli effetti fisici e psicologici a lungo termine della tortura. La Relatrice speciale riscontra notevoli motivi di preoccupazione. Ad esempio conclude che “le precedenti condizioni costituiscono una violazione del diritto a un’assistenza sanitaria disponibile, adeguata e accettabile – come parte dell’obbligo dello Stato di garantire il diritto alla vita, alla libertà dalla tortura e dai maltrattamenti, un trattamento umano dei prigionieri e rimedio effettivo…il fallimento del governo degli Stati Uniti nel fornire la riabilitazione dalla tortura contravviene nettamente ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione contro la tortura”.
In termini di diritti legali, il rapporto rileva che “gli Stati Uniti non sono riusciti a promuovere e proteggere le garanzie fondamentali di un processo equo e hanno gravemente ostacolato l’accesso dei detenuti alla giustizia”. Un prigioniero ha detto a Ni Aolain che, mentre alcune delle condizioni materiali nella prigione sono migliorate nel tempo, le condizioni legali sono peggioriate.
Il rapporto ha anche esaminato il rimpatrio e il reinserimento di coloro che erano stati rilasciati da Guantanamo e registra che hanno avuto fortune alterne ma che la “stragrande maggioranza” continua a essere vittima di violazioni dei diritti umani. “Per molti ex detenuti, la loro attuale esperienza nella loro casa o in un terzo paese diventa semplicemente un’estensione della detenzione arbitraria a Guantánamo, con alcuni che esprimono addirittura il desiderio di tornare”, ha scritto Ni Aolain. La Relatrice ha parlato con ex detenuti e famiglie di detenuti che dopo il trasferimento sono stati fatti sparire o detenuti arbitrariamente; iscritti a presunti programmi di riabilitazione e reintegrazione ma di fatto soggetti a detenzione, torture e maltrattamenti” e altro ancora.
Michèle Taylor, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha rilasciato una risposta al rapporto, ringraziando Ni Aolain ma si è detta in disaccordo con molti dei risultati del suo rapporto. “Gli Stati Uniti non sono d’accordo su aspetti significativi con molte affermazioni fattuali e legali fatte dalal Relatrice speciale”, ha scritto Taylor. “I detenuti vivono in comunità e preparano i pasti insieme; ricevere cure mediche e psichiatriche specialistiche; hanno pieno accesso alla consulenza legale; e comunicare regolarmente con i membri della famiglia.
Sotto Biden, finora 10 dei 40 detenuti che erano lì quando è entrato in carica hanno lasciato la prigione, e altri 16 sono stati autorizzati al rilascio ma rimangono a Guantanamo.
Difensori, gruppi per i diritti ed ex detenuti hanno accolto con favore il rapporto e hanno invitato Biden a raggiungere il suo obiettivo dichiarato di chiudere la prigione e al governo di fornire risarcimenti ai prigionieri.
“Sono stato vittima di torture statunitensi da parte della CIA. Sono sopravvissuto e ho perdonato i miei torturatori, e sto andando avanti con la mia vita in Belize. Ma aspetto ancora scuse, cure mediche e altri risarcimenti”, ha detto Majid Khan, un ex detenuto rilasciato nel febbraio 2023. “Apprezzo tutto il sostegno che il Belize mi ha fornito, ma la responsabilità è degli Stati Uniti. È ora di chiudere Guantanamo”, ha aggiunto.
“L’amministrazione Biden deve togliersi di mezzo sulla chiusura di Guantanamo”, afferma Wells Dixon, un avvocato senior presso il Center for Constitutional Rights che è stato consulente di diversi detenuti di Guantanamo. “Non ha alcun senso legale o politico per il governo continuare a combattere in tribunale, a detenere uomini che non vuole più detenere, in una prigione che ha detto dovrebbe essere chiusa, in una guerra che è finita”. Pagine Esteri
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Ohibò, il taglio dei parlamentari ha minato la qualità del lavoro degli eletti
Hanno vinto i cinque stelle. Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno, dicevano. Missione compiuta. E’ talmente aperto, che tutti scappano. L’antipolitica funziona infatti, ed è il Parlamento a non funzionare più. Da quando è stato ridotto il loro numero, considerato da essi stessi un costo da mangiapane a tradimento, deputati e senatori disertano con sistematicità il lavoro in commissione, cioè quella cosa che prima dava un senso alle loro giornate da anonimi pigiatasti d’Aula. Prima ne frequentavano una, studiavano, votavano, emendavano. Ma poiché ormai di commissioni costoro se ne devono accollare due o tre finisce che non solo non studiano più, ma devono pure scegliere dove andare. Quindi in genere si assentano (tranne quando si vota e scatta il gettone).
Negli uffici della Camera, invece, dal 2021, cioè da quando è entrato in vigore il taglio degli stipendi, altra mossa plebeista e paragrillina, i dipendenti neo assunti si dimettono a un ritmo mai visto in settant’anni di storia repubblicana. Pare che in molti non avessero capito che i loro stipendi, limati di un buon 20 per cento, non erano più quelli ottimi di chi alla Camera già ci lavorava. Tra i 76 assistenti parlamentari appena assunti a Montecitorio, per dire, in 10 non hanno preso servizio. Dieci su settantasei. Insomma la riduzione del numero dei parlamentari, che doveva portare risparmio, provoca assenteismo e superficialità. Mentre il taglio degli stipendi ai dipendenti (deciso nel 2017 e applicato dal 2021) sta determinando una fuga di giovani dalla macchina burocratica del Parlamento. Erano stati appena assunti 8 tecnici informatici? Se ne sono dimessi in 3.
Si sono dimessi anche 6 segretari parlamentari neo assunti, mentre gli altri hanno avanzato la prima richiesta sindacale: un “permesso studio” al fine di avere tempo di preparare un altro concorso, e salutare la Camera. E infatti due sono le scene paradigmatiche in Parlamento da qualche tempo. La prima è quella del senatore medio, mettiamo Claudio Borghi della Lega, uno a caso, che fa parte di ben tre commissioni. Eccolo mentre si affaccia sulla soglia della commissione Affari europei: “Oggi si vota?”. Gli dicono di no. Niente gettone. E lui: zac, fila via verso la commissione Bilancio o verso il Copasir. Scena numero due. Montecitorio, corridoio. Ecco un giovane commesso che sta curvo sul manuale di diritto pubblico. Sta preparando un concorso. Se ne vuole andare pure lui. Nemmeno Grillo saprebbe spiegarci meglio di così l’effetto della parola “vaffanculo”.
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REPORTAGE. Il popolo dimenticato dei bambini sfollati e profughi
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di Valeria CagnazzoPagine Esteri, 26 giugno 2023 – Ho conosciuto Saeed, nome di fantasia, qualche anno fa, in un piccolo ristorante nella valle della Bekaa, in Libano. Si mangiava all’aperto, in giardino, intorno a tavoli di plastica bianca. Sulle griglie si arrostiva la carne degli agnelli e dei vitelli sgozzati che stavano appesi per le zampe al soffitto all’ingresso del locale. Saeed aveva otto o nove anni, la sua mamma era stata invitata a quel tavolo da un’associazione di medici italiani che l’aveva conosciuta in una missione precedente e che adesso voleva donarle una busta di banconote per aiutarla a sfamare i suoi figli. Appena oltre la recinzione di rete a larghe maglie di quel giardino si scorgevano le montagne azzurrissime del suo Paese, la Siria. Saeed sedeva con la schiena drittissima, staccata dallo schienale. Non toccava neanche il cibo che gli veniva offerto, l’insalata tradizionale di prezzemolo, pomodori e pane croccante, i bocconcini di carne grigliata. Era bene educato, Saeed, e nonostante i suoi occhi accarezzassero quei piatti con desiderio, non si azzardava a prendere del cibo, continuava a scuotere la testa e a ripetere grazie a quei medici occidentali. Poi sua madre gli aveva rivolto un cenno del capo, a dirgli che sì, gli era permesso di mangiare, e allora lui, ancora ringraziando, timidamente si era avvicinato al piatto. In Siria, solo quattro anni prima, era stato il figlio di un imprenditore e aveva vissuto in un quartiere benestante di Damasco. Nel salotto di casa sua, c’erano stati un televisore a schermo piatto e i joystick della sua playstation. Aveva avuto una brevissima vita agiata, Saeed. Poi era scoppiata la guerra. Sua madre si era messa lui e le sue sorelle in macchina e se li era portati, orfani di padre, oltre il confine con il Libano, in un viaggio notturno e clandestino. Di colpo, la vita in una tenda, in un campo profughi sovraffollato dove bisognava mettersi in fila per il riso e poi per riempire una tanica d’acqua, e dove lei, la mamma, una laurea in ingegneria e mani morbide, si era trasformata in una tigre per difendere i suoi figli. Era bastato un viaggio notturno per cancellare dalla vita di Saeed la tv a schermo piatto, la playstation, la scuola in cui prendeva ottimi voti e le maestre gli dicevano che avrebbe fatto il dottore. Il passato, però, ancora gli si leggeva in quella schiena dritta, nelle guance che arrossivano, nei capelli dritti, tenacemente pettinati. Quando si era allontanato dal ristorante tenendo per mano la sua mamma, finalmente gli avevamo sentire pronunciare parole diverse da “Shoukran”. Lontano dalle nostre orecchie estranee una voce bambina era riemersa da qualche abisso per chiederle, rivolgendosi a quel mazzetto di banconote che avevano ricevuto: “Possiamo comprare un pallone?”. Non ho più notizie di Saeed, la sua esistenza si è unita alla matassa di quelle di milioni e milioni di bambini sfollati nel mondo, come se non fossero tutti individui con volti, nomi, personalità come lui, che era gentile e riservato.Il più recente rapporto dell’Unicef parla di 43,3 milioni di bambini sfollati. Il numero più alto nella storia, eppure sempre un numero tra tanti. Un numero che, però, a pensarci bene, starebbe a significare che la popolazione di un Paese come la Spagna o l’Argentina potrebbe essere interamente costituita da bambini sfollati. Un popolo, una nazione di bambini costretti ad abbandonare la propria casa, per fuggire all’interno del proprio Paese o oltre i suoi confini, come Saeed, per salvarsi la vita. Solo nell’ultimo decennio, questa popolazione di bambini sradicati dalla loro terra è raddoppiata. Nel 60% dei casi (25.8 milioni), si tratta di sfollati interni. Quando cercano rifugio all’estero, le destinazioni più frequenti sono la Turchia, l’Iran, la Colombia, la Germania e il Pakistan. 17,5 milioni di bambini sono in fuga dalla guerra. Il rapporto, che si ferma alla fine del 2022, non include tra questi i bambini fuggiti in questi mesi dal conflitto in Sudan, che secondo l’Unicef al momento dovrebbero essere almeno 940.000. Il conflitto tra Russia e Ucraina, poi, ha costretto almeno 4 milioni di bambini ucraini a lasciare la propria casa: oltre due milioni di loro hanno abbandonato il loro Paese e oltre un milione sono sfollati interni. Sono almeno un centinaio i conflitti attualmente in corso nel mondo, ed è dalle loro spirali di violenza, anche quando dimenticate, che le famiglie continuano a cercare di salvare i propri figli, ingrossando le fila dei rifugiati. Vivere da rifugiati significa, nella maggior parte dei casi, non avere diritto alla protezione sociale, all’istruzione, alla salute, neppure a ricevere le vaccinazioni durante l’infanzia secondo calendario. Una vulnerabilità che ha un inizio, come l’arrivo di Saeed in Libano in piena notte, ma non vede una fine. Come ha notato, infatti, Verena Knaus, capo della commissione Unicef sulla migrazione e lo sfollamento, “La maggior parte di questi bambini che sono sfollati oggi molto probabilmente resterà sfollata per l’intera durata dell’infanzia”. Faceva una riflessione analoga la giornalista Lucia Goracci alcuni giorni fa, commentando l’ennesima strage di migranti in mare al largo della Grecia il 16 giugno scorso, in cui si stima abbiano perso la vita 600 persone. A proposito di una ragazza di 20 anni che dal barcone aveva cercato di lanciare l’allarme col suo cellulare, scriveva, infatti: “Era di Daraa, dove la guerra civile siriana è cominciata. Aveva 20 anni. Cioè era una bimba di 8, quando la guerra è entrata dentro casa sua”. Se per i giornali e i libri di storia la durata delle guerre si misura in anni, per i bambini che ci nascono e ci vivono in mezzo e che poi, a volte, si trasformano in profughi, i conflitti corrispondono ad anni di infanzia perduta, talvolta a un’infanzia intera, dalla nascita all’adolescenza, senza possibilità di ripartire dall’inizio. A sfollare i bambini non sono solo i conflitti ma anche i cambiamenti climatici. Deforestazione, siccità, alluvioni e inondazioni a causa del cambiamento climatico hanno costretto fino al 2022 almeno 12 milioni di bambini a emigrare dalle loro terre d’origine. Spesso, anche in questo caso, per trasferirsi in campi di rifugiati sovrappopolati in cui i diritti dell’infanzia non sono garantiti. I bambini pagano le spese dei disastri bellici ed ecologici degli adulti in maniera per giunta sproporzionata: rappresentano il 31% della popolazione mondiale, ma costituiscono almeno il 60% del popolo di sfollati che si muove nel mondo. Un’emergenza che Catherine Russell, Direttrice esecutiva dell’Unicef, commenta così: “L’aumento (del numero di bambini sfollati, ndr) va di pari passo con l’impennata di conflitti, crisi e disastri climatici nel mondo. Ma sottolinea anche la risposta deludente di molti governi nel garantire che ogni bambino rifugiato o sfollato interno possa continuare a imparare, a rimanere in salute e a sviluppare il proprio pieno potenziale”. A pochi giorni dalla Giornata mondiale del Rifugiato, il dato del Refugee Funding Tracker è scoraggiante: nei primi sei mesi del 2023, sarebbe stato versato solo il 22% dei 10 milioni di dollari che erano stati richiesti a livello mondiale per il soccorso dei rifugiati. Né le politiche occidentali nei confronti dei migranti lasciano presagire scenari molto migliori, per i bambini che da un giorno all’altro chiudono con la loro infanzia per trasformarsi in sfollati. Sarebbe forse un nuovo sistema da proporre nelle sedi istituzionali, quello di misurare la durata e la gravità dei conflitti e dell’emergenza climatica non in anni e in percentuali, ma in infanzie interrotte. Pagine Esteri
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Riapertura dei termini dell’avviso pubblico per la candidatura a componente del Comitato scientifico internazionale della Scuola di Alta Formazione dell'Istruzione.
Ministero dell'Istruzione
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Dino Buzzati – Cronache terrestri
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ImPotenza
Come in tutti i sistemi dispostici e secondo la tradizione degli scontri di potere in Russia, l’opacità regna sovrana. Al punto che, nel torbido, ciascuno può vedere muoversi quel che gli pare: chi l’astuto inganno putiniano per consolidare il potere, chi il liquefarsi dell’intera Russia. Il guaio di concentrare lo sguardo sul torbido è quello di non riuscire a mettere a fuoco i fatti evidenti, che sono due: a. lo smottare del fronte interno è una conseguenza della sconfitta su quello esterno ucraino, talché la grande potenza militare che mosse alla conquista del piccolo Paese da masticare alla svelta è lì, trincerata come può, spinta alla criminalità di far saltare le dighe, pur di non vedere il contrattacco degli ucraini sfondare le proprie linee; b. fin dall’inizio era chiara la rissosa rivalità fra le forze armate russe e i mercenari della Wagner, con le prime che consideravano l’invasione un errore e i secondi un’occasione, ma prima di sabato si vedeva Putin tenere al guinzaglio i suoi cagnacci, ora si vede il dominatore che viene dominato. Che sia sotto tutela delle forze armate o dei mercenari non è chiaro, ma la potenza ha generato impotenza.
La guerra russa in Ucraina è persa fin dall’inizio. Ora porta Putin a finire. Il disegno imperialista e neozarista si è dimostrato per quel che è: un’allucinazione mistico-nazionalista che porta con sé la riduzione della Russia a vassallo della Cina. Chi ha pensato d’essere espressione della storia russa ha dimostrato di non conoscerla o, meglio, di averne assorbito una versione mitica, incapace di imparare dagli errori del passato.
Con tre conseguenze si dovranno fare i conti, nel torbido.
1. I tempi restano incerti e, anzi, quelli della guerra rischiano di allungarsi. È escluso possa farlo Putin, che lo ha sempre rifiutato, ma è ben difficile che altri siano in condizioni e in tempi prevedibili capaci di negoziare una conclusione. Incerti anche i tempi e le modalità della fine di Putin, che sarà un bene per l’umanità e per la Russia.
2. Nello scontro russo non ci sono buoni e cattivi, non ci sono “i nostri” e, con ogni probabilità, quel che succederà dopo la fine sarà orribile quanto quel che c’era. Prigozhin, che riconosce essere tutte balle quelle raccontate sulla minaccia o provocazione della Nato, non per questo diventa un “amico”. Resta un macellaio prezzolato. Ma l’esistenza stessa dello scontro dimostra che le sanzioni (che hanno funzionato eccome) hanno morso gli equilibri economici del potere e dei suoi complici; dimostra che il sostegno politico, civile e di forniture militari all’Ucraina è stato non soltanto giusto ma utile ed efficace. Quindi si continua.
3. La chiave che ha serrato Putin nel suo dannato labirinto è stata quella dell’unità occidentale, che lui aveva escluso. Quello è stato l’atto politico decisivo. Non sufficiente, certo, ma decisivo. E sarebbe spreco di opportunità e di peso se qui da noi non lo si capisse, continuando a biascicare di debolezza europea o di divisioni Nato o dei danni subiti. I danni sono frutto di una scelta criminale, fatta da Putin. Il resto è stata una conquista di maturità politica. Che ora va evoluta, certamente, sul terreno sia dell’integrazione militare che del dialogo diplomatico, ricordando che non è nei nostri interessi la dissoluzione russa, mentre siamo tenuti al confronto costante, anche difficile, con Cina e India.
La torsione guerrafondaia voluta da Putin ha spaccato il suo mondo, anziché il nostro. Non di meno ha generato squilibri pericolosi, i cui effetti devono ancora vedersi. Il convertirsi alla finzione pacifista e alla negoziazione sbracante di quello che fu il vecchio filocomunismo e il suo predecessore filozarista è soltanto l’ultimo travestimento di una natura profonda, che ha in uggia l’Occidente proprio perché orgogliosamente imperfetto nel suo essere libero e democratico. Gli adoratori delle perfezioni dispotiche avranno presto un nuovo cadavere storico su cui versare le loro lacrime.
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In Cina e Asia – Ucraina: Pechino disposta a riconoscere l’integrità territoriale del 1991
Ucraina: Pechino disposta a riconoscere l’integrità territoriale del 1991
Netanyahu a Pechino, per l'intelligence israeliana è "un errore"
Economia cinese in affanno: manipolate le entrate fiscali, censurato commentatore finanziario
Mar cinese meridionale e cooperazione militare al centro dei colloqui Cina-Vietnam
Corea del Sud, la società ringiovanisce di un anno
Giappone: libro bianco avverte sui rischi del disaccoppiamento
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#36 / La buona diffidenza
Arriva IT-Alert
Oggi inizieranno in Toscana i test di IT-Alert, un sistema di allarme pubblico con cui il governo italiano potrà inviare sms ai telefoni presenti in una o più aree geografiche interessate da gravi emergenze o catastrofi di vario tipo.
In queste ore molte persone sui social esortano a disattivare il servizio, per paura di essere sorvegliate dallo Stato attraverso questa nuova tecnologia — installata sui nostri dispositivi senza consenso.
Diffidare dello Stato e delle sue attività è sempre lecito, sapete bene come la penso. Stavolta però è una paura malriposta, almeno per quanto riguarda la sorveglianza.
Gli SMS infatti vengono sono con una tecnologia chiamata "Cell Broadcast" che permette, attraverso gli operatori di rete, di trasmettere messaggi a tutti i dispositivi agganciati a una cella senza condividere il numero di telefono alla Protezione Civile. Insomma, come un gigantesco megafono. Non c’è nessun trasferimento di dati, né triangolazione dei dispositivi (non più di quanto non sia già possibile fare attraverso le celle telefoniche).
La sorveglianza vera te la spiega Privacy Chronicles. Che aspetti a iscriverti?
I problemi però sono almeno due, ed è lì che le persone dovrebbero rivolgere la loro attenzione.
Il primo, molto pratico, è che IT-Alert ha il potere di controllare da remoto il nostro dispositivo. Infatti, nei comunicati stampa ufficiali leggiamo che quando il messaggio arriva sul dispositivo ogni funzione e operazione in corso viene bloccata per permettere alla persona di leggerlo. Non è quindi la solita notifica pop-up che possiamo ignorare.
A ciò deve aggiungersi il fatto che, nonostante gli utenti possano disattivare dalle impostazioni del telefono le notifiche, il servizio non viene mai disattivato. La protezione civile avrà sempre il potere di inviare messaggi ad ogni telefono in caso di emergenza grave, anche verso dispositivi con IT-Alert disattivato.
Il secondo punto, più filosofico, riguarda invece il potere di nudging che un sistema del genere può avere. Un messaggio governativo che arriva direttamente sul nostro telefono, che non può essere ignorato e che magari ci intima ad agire in un certo modo con tono d'urgenza, può indurre milioni di persone a fidarsi ciecamente di ciò che leggono e di comportarsi secondo le istruzioni ricevute.
Un po' come accade per quelle email di phishing che ti dicono che se non clicchi sul link succederanno cose orribili. Un potere assolutamente da non sottovalutare e che potrebbe essere anche sfruttato come vettore di attacco per creare il caos in un intero paese.
Per chi davvero non volesse saperne niente di IT-Alert e di molti altri sistemi invasivi e di sorveglianza installati sui nostri dispositivi, è consigliabile optare per un sistema operativo alternativo, come LineageOS o GrapheneOS.
La sorveglianza di massa, quella vera: la FISA 702
La sorveglianza vera non è certo quella di app come IT-Alert.
È quella della agenzie di intelligenze americane, che da decenni spiano ogni nostra conversazione, messaggio, email e profili social. Quella che già nel 2013 fu scoperta da Snowden; quella della famigerata FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), sezione 702.
Immagina Internet come un enorme oceano pieno di pesci, dove i pesci rappresentano email, messaggi, foto, video e un’enorme quantità di metadati online. La NSA e l’intelligence statunitense sono come pescatori, che attraverso tecnologie e processi particolari (come il programma “PRISM” scoperto da Snowden) gettano nel mare di Internet enormi reti a strascico e tirano su qualsiasi cosa ci finisca dentro.
I pesci sono poi setacciati ed esaminati, per vedere se qualcuno di quelli è particolarmente interessante per loro. Gli altri, quelli non interessanti (per il momento) vengono congelati per l’uso in un secondo momento.
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La sezione 702 scade quest’anno e il Congresso sarà chiamato a rinnovarla. Fortunatamente, sempre più persone diffidano dell’operato delle agenzie di intelligence, che nel tempo hanno dimostrato tutta la loro mancanza di buona fede. La legge viene da molti anni abusata per sorvegliare gli stessi cittadini americani, e le critiche alla sezione 702, figlia della “guerra al terrorismo”, sono sempre più aspre:
“What has become abundantly clear over the last 15 years is that these protections are not working,” Goitein said. “All agencies that receive Section 702 data have procedures in place, approved by the FISA court, that allow them to run electronic searches … for the purpose of finding and retrieving the phone calls, text messages and emails of Americans.”A report by the Brennan Center for Justice states that “since 2006, the National Security Agency (NSA) has been secretly collecting the phone records of millions of Americans from some of the largest telecommunications providers in the United States, via a series of regularly renewed requests by the Federal Bureau of Investigation (FBI).”
Oggi la pesca a strascico si arricchisce anche con nuove tecnologie, come i dati biometrici. Un esempio è l’attività dell’odiosa ClearviewAI — un’azienda che ha raccolto negli anni 30 miliardi di immagini dai nostri social (sì, anche la tua) per crearne dati biometrici utilizzabili dalle forze dell’ordine e intelligence americana per identificare ognuno di noi in tempo reale.
Ecco, forse è il caso di preoccuparsi di questo, più che di IT-Alert.
Il futuro delle smart-cities
Chiudiamo con un esercizio d’immaginazione. Come saranno le città del futuro? Con ampi spazi verdi, biciclette ovunque, persone felici e bambini che giocano a palla nel parco? Forse su un altro pianeta, o in un’altra tempo-linea.
Per me è più probabile invece che ad aspettarci ci saranno città piene di grattacieli enormi, in grado di ospitare decine di migliaia di persone. Dentro: supermercati, farmacie, ambulatori, zone relax e piscine, ristoranti, discoteche e intrattenimento.
Entro qualche anno molte attività industriali e manuali saranno automatizzate con IA e robot. Chi ancora lavorerà, lo farà da remoto. Non possedendo un’automobile e avendo tutto a portata di mano, non usciranno quasi mai dal loro palazzo. Le interazioni sociali dal vivo saranno ridotte al minimo, anche grazie a innovazioni come il VisionPro per la realtà aumentata.
Ingressi e uscite dalle zone di residenza saranno comunque tracciati con riconoscimento biometrico e richiederanno una specifica giustificazione, come già accade per entrare in città come Venezia o in Area B a Milano. L’idea di città da 15 minuti assumerà una dimensione verticale.
Nel frattempo saranno sviluppate nuove cure per malattie mentali inventate, così da poter tenere a bada la popolazione e reprimere i più basilari istinti di sopravvivenza.
Fantasia distopica? Magari sì. In Cina però ci si avvicinano già molto. Devo ricordarvi quanto i nostri ingegneri sociali amino il modello cinese? Il consiglio, di nuovo, è di diffidare di chiunque voglia proporvi la salvezza con la tecnologia e le città da 15 minuti.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Make yourself sheep and the wolves will eat you”
Benjamin Franklin
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Ghiacciai bollenti, incubo acqua per l’Asia
Gli effetti dell’aumento delle temperature sull’Himalaya in un nuovo report: la principale riserva idrica del continente a secco nel 2100. Nell’area dell'Hindu Kush presa in esame nascono Yangtze e Fiume Giallo, Indo, Gange e Mekong. L’entusiasmo per nuove centrali idroelettriche e dighe cinesi raffreddato dai picchi di calore
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TUNISIA. Appello dell’opposizione a sanzionare il presidente Saied
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della redazione
(nella foto l’oppositore tunisino incarcerato Said Ferjani)
Pagine Esteri, 28 giugno 2023 – Sostenitori e amici dei leader dell’opposizione tunisina incarcerati, lanciano appelli al Regno Unito, all’Unione Europea e agli Stati Uniti affinché impongano sanzioni al presidente Kais Saied, responsabile, denunciano, di arresti e torture contro “chiunque sia considerato critico nei confronti del suo governo”. Chiedono anche misure internazionali contro il ministro dell’Interno Kamal Feki, la ministra della Giustizia Leila Jaffel e il ministro della Difesa Nazionale Imed Memmich.
Il presidente tunisino Kais Saied
“Abbiamo chiesto qui al governo nel Regno Unito di imporre sanzioni a queste persone. Abbiamo fatto lo stesso anche nell’Unione Europea, al Parlamento europeo ed è stata intrapresa un’iniziativa negli Stati Uniti”, ha detto al portale Middle East Eye, l’avvocato a Londra delle famiglie degli incarcerati. “Se le sanzioni verranno imposte – ha aggiunto – queste persone non potranno più viaggiare e continuare le loro attività commerciali in tutto il mondo. I loro conti bancari e quelli dei loro associati e delle loro aziende saranno rintracciati e congelati e non potranno effettuare transazioni nei nostri Paesi come se tutto fosse normale”.
Negli ultimi mesi, Saied ha intrapreso quella Amnesty International descrive come una “caccia alle streghe politicamente motivata”. Le autorità tunisine che hanno arrestato decine di attivisti politici, giudici e avvocati. Sono stati detenuti diversi esponenti dell’opposizione tra cui Said Ferjani, l’ex ministro della Giustizia Noureddine Bhiri e l’ex Pubblico ministero Bechir Akremi.
Ferjani, 68 anni, è stato arrestato senza un mandato di cattura il 27 febbraio. Non è accusato di alcun reato e all’inizio di quest’anno ha iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta contro la sua detenzione. Bhiri è stato violentemente prelevato dalla sua casa il 13 febbraio e successivamente è comparso in tribunale con una spalla slogata. Akremi è stato arrestato il 12 febbraio e portato in un luogo sconosciuto. La richiesta di sanzioni arriva anche in seguito all’arresto, avvenuto il 17 aprile, dell’ex presidente del Parlamento e leader del partito Ennahda, Rached Ghannouchi.
La Tunisia è in una crisi politica profonda dall’estate del 2021, quando Saied ha sospeso il parlamento e sciolto il governo. Dopo l’ascesa al potere, il presidente ha scelto di governare per decreti, una mossa che gli oppositori hanno denunciato come un “colpo di stato costituzionale”.
La nazione nordafricana ha tenuto elezioni parlamentari lo scorso dicembre, che i gruppi per i diritti umani e gli avversari politici di Saied hanno definito “una farsa”. Poco più del 10% degli elettori aventi diritto si sono recati alle urne. Negli ultimi mesi, l’opposizione è molto cresciuta anche a causa di riforme economiche impopolari, tra cui tagli alla spesa pubblica e la riorganizzazione delle società pubbliche.
I tunisini sono stati colpiti duramente dalle conseguenze della guerra in Ucraina che hanno causato all’aumento dei prezzi degli alimenti e la carenza di beni di prima necessità come zucchero, olio e riso. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
Metti l'autenticazione a due fattori e po @IMuori! Come gli ackerz hanno sputtanato lo mejo canale del tubo (così impara a non venire su Mastodon 😈)! E stavolta gli è andata di culo...
Tutti i videi di Cesiro sono stati a rischio di muorire... 😭😭😭
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“Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”
Domani 28 giugno dalle ore 15.00 parteciperò al convegno “Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”, organizzato da Assoprivacy e dal Centro per la Regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale CRIA presso l’Università dell’Insubria – DiECO. Dipartimento di Economia – Aula Consiglio, Via Monte Generoso, 71 –VaresePer maggiori info qui assoprivacy.eu/save-the-date-c…
“Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”
Domani 28 giugno dalle ore 10.15 sarò a Milano- Sala teatro – Via Copernico, 38 al convegno “Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”, organizzato da Dario Fumagalli e OneSeal.Qui per info ontraining.eu/evento_il-gdpr-c…
#IranWomenasAllMankind, il documento di Fondazione Einaudi ed ELF: “Tenere alta l’attenzione sull’Iran”
Un appello ai media italiani affinché mantengano alta l’attenzione sull’Iran, la vicinanza al popolo iraniano che si oppone al regime teocratico e militare e un richiamo alle diverse forze della diaspora iraniana affinché superino le rispettive diffidenze e si uniscano contro l’avversario comune rappresentato dal regime. Sono i tre punti emersi nel dibattito, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con European Liberal Forum, che si è svolto questa mattina nella sede della Fondazione e si è concluso con la condivisione un documento.
Dal 16 settembre 2022, dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini all’indomani del suo arresto da parte della polizia morale iraniana, Teheran è diventata teatro di una serie di proteste che intrecciano la questione femminile e delle libertà dell’uomo. Per ragionare di questa grave emergenza, la Fondazione Luigi Einaudi ed ELF hanno promosso a Roma una tavola rotonda, a seguito della quale si è scelto di lanciare l’hashtag: Iran Women as All Mankind (#IWAM).
Un dibattito plurale tra esperti liberali di cultura, politica e società iraniana e politici italiani di vario orientamento, in cui è stata fatta una panoramica approfondita e critica della resistenza civica iraniana delle donne e di come supportare questo fenomeno, tema chiave anche in vista delle imminenti elezioni europee. Si è trattato di un primo step per ragionare su proposte legislative da promuovere in sede europea.
All’incontro hanno partecipato Andrea Cangini, Segretario generale Fondazione Luigi Einaudi, Catharina Rinzema, MEP Volkspartij voor Vrijheid/Renew Europe, Renata Gravina, Researcher Sapienza, Fondazione Luigi Einaudi, Melissa Amirkhizy, European Liberal Forum, Antonio Stango, Italian Federation for Human Rights, Elisabetta Zamparutti, former MP Nessuno tocchi Caino, Luciana Borsatti, independent journalist, Alberto Pagani, Partito Democratico, Paolo Formentini, Lega, Lia Quartapelle, Partito Democratico, Andrea Orsini, Forza Italia.
La Fondazione Luigi Einaudi ed ELF si battono per far mettere in cima all’agenda del Parlamento europeo il dibattito sull’Iran, perché convinti che la liberazione delle donne iraniane equivalga al libero sviluppo del genere umano.
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articolo Iran
Pellegrinaggio alla Mecca: diventa un lusso a causa dei prezzi sauditi
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della redazione
Pagine esteri, 27 giugno 2023 – Il costo dell’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca dovere religioso per i musulmani, è un lusso che sempre meno fedeli possono permettersi. L’eccezionale aumento dei prezzi in Arabia saudita è un ostacolo che devono affrontare gli oltre due milioni di musulmani stranieri – record di presenze – che in questi giorni affollano Mecca e Medina, i luoghi santi dell’Islam. Alcuni pellegrini riferiscono che anche il pacchetto più economico disponibile, che include la condivisione delle camere d’albergo e il viaggio via terra, ha un costo esorbitante. L’anno scorso i pellegrini pagavano lo stesso prezzo per un pacchetto che includeva anche i voli.
Secondo calcoli fatti dai media arabi un fedele musulmano, pur contenendo le spese, spende almeno seimila dollari per recarsi in Arabia saudita e per svolgere le varie fasi del pellegrinaggio. I più poveri riescono a sostenere questi costi solo grazie ad aiuti di associazioni religiose e a prestiti e donazioni di amici e parenti.
Il governo saudita incassa una porzione significativa di ciò che pagano i pellegrini per l’alloggio, i trasporti e le tasse. Prima della pandemia, nelle casse del regno dei Saud entravano dall’hajj circa 12 miliardi di dollari, senza contare gli introiti derivanti dall’arrivo e della permanenza nel Paese di altri 19 milioni di stranieri per il cosiddetto “pellegrinaggio piccolo”, l’umrah, che può essere eseguito in qualsiasi momento dell’anno. Pagine Esteri
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“TikTok, Quo Vadis?”
Oggi dalle ore 17.00 parteciperò a “TikTok, Quo Vadis?”, un incontro promosso da Formiche alla Lanterna di Roma con la moderazione di Flavia Giacobbe nel quale discuteremo del futuro della globalizzazione digitale.
Sono disponibili le tracce della terza prova scritta della #Maturità2023 per le sezioni ESABAC e sezioni con opzione internazionale.
Potete consultarle qui ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Sono disponibili le tracce della terza prova scritta della #Maturità2023 per le sezioni ESABAC e sezioni con opzione internazionale. Potete consultarle qui ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Formiche è partner istituzionale del Nato Public Forum al Summit di Vilnius
L’11 e 12 luglio 2023, i capi di Stato e di governo della Nato si riuniranno a Vilnius, in Lituania, in occasione del vertice dell’Alleanza Atlantica che dovrà affrontare le sfide dell’attuale contesto di sicurezza internazionale. Per l’occasione, l’Alleanza, insieme al Centro Studi sull’Europa Orientale, al German Marshall Fund degli Stati Uniti, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco e al Consiglio Atlantico organizza il Nato Public Forum, un evento pubblico che mira a promuovere una migliore comprensione delle politiche e degli obiettivi della Nato e delle decisioni che saranno adottate al vertice di Vilnius.
Formiche, Partner istituzionale Nato
Quest’anno, Formiche sarà Partner istituzionale per l’Italia del Nato Public Forum. Sui nostri canali sarà dunque possibile seguire l’evento e, fino ad allora, promuoveremo tutti gli aggiornamenti che prepareranno la strada all’importante vertice lituano. Attraverso il dialogo e l’impegno di un gruppo unico e diversificato di parti interessate, dai capi di Stato e di governo e dai ministri, agli esperti di sicurezza internazionale, agli opinionisti, agli accademici, ai giornalisti e ai giovani, il Forum presenterà una serie di tavole rotonde, dibattiti e sessioni interattive su vari argomenti dell’agenda della Nato. In qualità di Partner istituzionale, invitiamo chi volesse partecipare al dibattito online aperto dalla Nato a registrarsi alla piattaforma web dell’iniziativa.
I temi del vertice
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina sono molte le sfide in corso per la sicurezza dell’Alleanza Atlantica. Lo scenario globale appare infatti fortemente destabilizzato dalla guerra e aumentano le minacce provenienti da un ambiente sempre più fragile. Di fronte a tale contesto, la Nato è decisa a mantenere e rafforzare la sua posizione di deterrenza, con l’obiettivo di continuare a garantire la difesa e la sicurezza dello spazio euro-atlantico per fronteggiare le minacce emergenti, da quelle ibride a quelle provenienti dal quadrante Indo-Pacifico. In questo scenario c’è molta attesa per il vertice dell’Alleanza di quest’anno, che si terrà a luglio a Vilnius, nel quale ci si confronterà per affrontare le nuove minacce, da quella russa e, in prospettiva, cinese, senza dimenticare l’instabilità del Mediterraneo allargato.
Media israeliani: imminente rioccupazione Jenin per eliminare lotta armata
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della redazione
Pagine Esteri, 27 giugno 2023 – In Israele si levano con più forza le voci – soprattutto dall’estrema destra – che invocano una operazione militare su larga scala nel nord della Cisgiordania dopo che un gruppo palestinese ha provato ieri a lanciare due razzi verso una colonia israeliana. In sostanza in casa israeliana, spiegano i media locali, si teme che la Cisgiordania, occupata militarmente dallo Stato ebraico da più di 56 anni, si trasformi “in una nuova Gaza”. Il riferimento è alla lotta armata che le organizzazioni militari palestinesi avviarono nella Striscia di Gaza, con l’inizio della seconda Intifada nel 2000, contro l’esercito e i coloni israeliani. A detta di molti, quelle azioni armate costrinsero l’allora premier israeliano Ariel Sharon a pianificare e quindi, nel 2005, ordinare il “ridispiegamento”, ossia il ritiro da quel territorio palestinese.
I razzi di ieri – visibili in filmati postati su Telegram dal cosiddetto “Battaglione Al-Ayyash” – ricordano da vicino i “Qassam 1”, l’embrione di razzi e missili più evoluti che il movimento islamico Hamas e altre organizzazioni armate avrebbero sviluppato nel corso degli anni e che sono sparati verso i centri abitati israeliani quando (ma non solo) lo Stato ebraico lancia le sue offensive militari contro Gaza. Secondo indiscrezioni, Hamas in particolare sarebbe stato in grado di trasferire in Cisgiordania le conoscenze sulla costruzione dei razzi maturate a Gaza negli ultimi venti anni.
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Il “Battaglione Al Ayyash”, dal nome di un comandante militare di Hamas ucciso da Israele nel 1995, ha diffuso un filmato simile alla fine di maggio. L’esercito israeliano in quella occasione ritrovò una piccola rampa di lancio nel villaggio di Nazlet Zeid, a ovest di Jenin e vicino alla colonia di Shaked.
Secondo alcuni siti d’informazione ebraici, l’esercito israeliano sarebbe sul punto di effettuare un’ampia operazione a Jenin, roccaforte assieme a Nablus della militanza armata palestinese. L’obiettivo, spiegano, è quello di rioccupare la città palestinese, “eliminare radicalmente” le organizzazioni armate e ritirarsi nel giro di 48 ore. La destra estrema religiosa che governa Israele spinge per lanciare subito l’operazione ed evitare che la lotta armata palestinese metta in discussione la presenza e la vita quotidiana di chi vive degli insediamenti coloniali costruiti dopo il 1967 nei Territori palestinesi occupati in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu.
Ai vertici delle Forze armate persistono i dubbi. L’operazione militare corre il rischio serio di prolungarsi oltre le 48 ore pianificate di fronte alle capacità che i gruppi armati palestinesi hanno acquisito di recente e al costo in vite umane anche per i reparti israeliani. Senza dimenticare la possibilità che l’invasione di Jenin inneschi insurrezioni palestinesi nel resto della Cisgiordania.
Tra i palestinesi, come confermano sondaggi recenti, resta alto il sostegno alla lotta armata considerata dalla maggioranza della popolazione come l’unica possibilità di mettere fine all’occupazione militare israeliana dopo il fallimento di ogni trattativa ed opzione politica. Pagine Esteri
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“Doppio click”
Questa sera dalle ore 21 sarò ospite in diretta su Radio Popolare della trasmissione “Doppio click” condotta da Marco Shiaffino per parlare di tecnologie, internet e privacy. Qui il link alla diretta radiopopolare.it/ascolta-la-di…
Concorso nazionale “Laboratorio di Storia”: iscrizioni aperte fino al 30 giugno per le scuole che vorranno presentare i propri percorsi laboratoriali.
Info ▶️ indire.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Concorso nazionale “Laboratorio di Storia”: iscrizioni aperte fino al 30 giugno per le scuole che vorranno presentare i propri percorsi laboratoriali. Info ▶️ https://www.indire.Telegram
Lupin III – Il Castello di Cagliostro
Il primo film di cui vi voglio parlare è un anime ambientato in Italia, che si dice abbia ispirato il primo “Indiana Jones” di Spielberg e Lucas oltre a essere stato fonte di ispirazione per la Disney nel comporre una scena di “Basil L’Investiga Topo” e una nel finale del film “Atlantis - L’Impero Perduto”. #film #Anime
Questo inoltre è il primo film che vede alla regia Hayao Miyazaki il fondatore della casa di produzione animata Ghibli.
Storia della Crimea: un saggio storico e politico del 1787
La storia della Crimea, pur essendo relativa a una piccola penisola affacciata sul Mar Nero, è davvero ricchissima. Sulle fondamenta greche, romane e, soprattutto, romane d’oriente, si innestarono sia il commercio e l’ingegneria genovese cheContinue reading
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Ustica, la retorica degli anniversari rallenta la ricerca dei responsabili
Scrive Repubblica che il DC-9 Itavia caduto il 27 giugno 1980 vicino Ustica sarebbe stato abbattuto da un missile lanciato da caccia francesi decollati da Solenzara, in Corsica, e da una portaerei. Secondo una vignetta che campeggia sul muro esterno del Museo della Memoria di Bologna, quella notte il cielo di Ustica sarebbe stato pieno di caccia americani. Per il giornalista Claudio Gatti, la responsabilità della morte di 81 italiani innocenti sarebbe invece degli israeliani. Potrebbe bastare questo a spiegare perché l’assunto della battaglia aerea non sia riuscita ad affermarsi nei processi penali: l’assoluta assenza di segni di impatto di missile sul relitto recuperato in mare e di aerei intorno al DC-9 sulle registrazioni dei radar fu rilevata sin dal 31 luglio 1998 dai pubblici ministeri (non dagli avvocati difensori, si badi bene!).
A 25 anni di distanza, sembra prenderne atto anche la Procura di Roma, che secondo Repubblica si preparerebbe ad archiviare l’inchiesta riaperta nel 2007 dopo le rivelazioni dell’ex presidente Francesco Cossiga sulla responsabilità francese. Benché il reato di strage non vada mai in prescrizione, è chiaro che senza un’indagine attiva le probabilità di dare un nome agli esecutori materiali e ai mandanti dell’attentato è pari a zero. Eppure, come in ogni anniversario, la teoria del missile viene riproposta alla pubblica opinione non solo come l’unica possibile ma addirittura come quella confermata dalle sentenze. Non è così.
L’ipotesi della battaglia aerea avanzata da Rosario Priore – che, come giudice istruttore, non ha mai sentenziato sulla colpevolezza, limitandosi a ordinare il rinvio a giudizio di alcuni militari, poi assolti – non ha mai superato rigorosa analisi del dibattimento penale. Dopo i pubblici ministeri, la bocciarono la Corte d’assise, la Corte d’appello e la Corte di Cassazione. La Corte dei conti rifiutò di addebitare ai generali il costo del recupero del relitto, del quale qualcuno riteneva inutile disporre per un rigoroso esame tecnico. Perché?
È presto detto. Con la disponibilità di oltre il 90% del relitto, il Collegio peritale d’ufficio – nominato, cioè, non dalle parti ma dal giudice istruttore – concluse infatti all’unanimità che ad abbattere il DC-9 era stata una bomba. Presieduto dal prof. Aurelio Misiti e composto da alcuni dei maggiori esperti internazionali, il Collegio prima certificò l’assenza di tracce di missile (piccoli ma fitti fori di schegge proiettate dall’esplosione della testata a una certa distanza dal bersaglio) e poi individuò la posizione della bomba nella toilette. A dimostrarlo stavano un tubo tondo reso piatto da una pressione di 392 kg/cm2 e il lavabo accartocciato e bucherellato come un merletto. I due pezzi furono esibiti in Assise ma, curiosamente, non sono presenti a Bologna. (A proposito: la conclusione della bomba è spesso criticata per l’incertezza del suo posizionamento, peraltro confinato a un raggio di qualche decina di centimetri. Curiosamente, la stessa univocità non è richiesta ai caccia, che possono essere diversi, venire da basi diverse, lanciare missili diversi, senza che ciò infici la credibilità del racconto). Contemporaneamente, i radaristi escludevano la presenza di aerei in un raggio di cinquanta-sessanta miglia dal DC-9.
Di fronte a questi fatti tecnici, il partito del missile (peraltro abbandonato anche da Priore, che nelle ultime fasi d’indagine aveva sterzato verso la “quasi collisione”) si affida piuttosto alle testimonianze orali, indifferentemente di Cossiga o dell’ex marinaio Brian Sandlin. È il trionfo della “narrazione” sulla scienza, tanto che nel 2005 i giudici d’appello si spingono a scrivere che “l’accusa non è altrimenti dimostrabile se non affermando come certo quanto sopra ipotizzato ma non è chi non veda in esso la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale”.
E la bomba? È vero che, come scrive Repubblica, nei messaggi del centro Sismi di Beirut non se trova cenno? Mica tanto. Alle 10 del mattino del 27 giugno, il colonnello Stefano Giovannone invia a Sirio, un non meglio identificato vertice dei Servizi, un messaggio urgente. “2013 Habet informatomi tarda serata due sei [26 giugno] che Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà azione senza dar corso ulteriori contatti, in seguito mancato accoglimento sollecitata noto spostamento data procedimento appello in conseguenza psicosi et reazione negativa determinatasi in Italia seguito rivelazioni PECCI [sic] su aspetti fornitura armi da palestinesi at Bravo Charlie [sic].” Nel Regno Unito e in Francia questo, insieme alla perizia d’ufficio, sarebbe bastato a indagare sulla bomba che undici ore dopo disintegrò in cielo il DC-9. Loro hanno scoperto esecutori e mandanti delle bombe di Lockerbie (1988) e del Ciad (1989). In Italia c’è invece chi in nome del missile cerca la testimonianza o il documento che da soli invalidino il relitto, 1.750.000 pagine di istruttoria, quattromila testimoni, 277 udienze (comprese otto in videoconferenza con gli Usa), 115 tra perizie e consulenze, ottanta rogatorie internazionali (di cui 36, che hanno tutte avuto puntuale risposta, a Francia e Usa). Sarà mica per questo che, dopo 43 anni, i responsabili di Ustica dormono sonni tranquilli?
Negli Stati Uniti è boom dei senzatetto
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 27 giugno 2023 – Negli Stati Uniti il numero degli homeless è sempre stato abbastanza elevato, tanto che in molte città da sempre esistono enormi baraccopoli che ospitano chi non può permettersi un’abitazione.
Ma negli ultimi anni il fenomeno ha assunto dimensioni sempre maggiori, con un aumento del numero dei senzatetto generalizzato nel territorio e particolarmente evidente in alcuni territori. Tra le grandi città quelle maggiormente coinvolte sarebbero Chicago, Miami, Boston e Phoenix.
Secondo una ricerca portata avanti dal Wall Street Journal, che ha confrontato i rapporti di circa 150 enti, istituzioni e fondazioni che si occupano del fenomeno, oltre un centinaio di centri urbani del paese nel 2023 ha registrato un serio aumento dei senzatetto rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti.
Secondo il quotidiano, l’aumento rispetto al 2022 sarebbe del 9% e invece del 13% rispetto al 2020.
La tendenza all’aumento è stata rilevata anche dal “Dipartimento per gli alloggi e lo sviluppo urbano degli Stati Uniti” – Housing and Urban Development (HUD)– che nel gennaio scorso ha pubblicato il suo primo rapporto, frutto di un lavoro di ricerca durato due anni. Per ora si tratta di una stima, per quanto particolareggiata, basata su una serie di dati preliminari raccolti in tutto il paese.
Alla fine dell’anno è prevista la pubblicazione di risultati più accurati grazie ai dati provenienti da alcune aree e città importanti. La stima finale sulla situazione nel paese dipenderà in gran parte dai dati provenienti dalla città di New York e dalla contea di Los Angeles, che lo scorso anno hanno registrato il numero di senzatetto più elevato e che quest’anno non hanno ancora trasmesso i conteggi aggiornati.
L’impennata del numero di homeless ha diverse cause. Da una parte l’aumento, soprattutto nell’ultimo anno, dei costi delle abitazioni e delle utenze.
In un settore – la contea di Maricopa – nell’area metropolitana di Phoenix (in Arizona), ad esempio, un’associazione governativa locale citata dal Wall Street Journal afferma che dal 2017 al 2022 gli affitti degli appartamenti sono aumentati mediamente del 68%. Contemporaneamente, il numero dei senzatetto avrebbe subito un’impennata del 7%.
Evoluzione del numero dei senzatetto negli Stati Uniti
A pesare sull’aggravamento del fenomeno anche la cancellazione di alcune misure di assistenza alle persone a basso reddito varate durante gli anni della pandemia di Covid19 che sono state recentemente sospese. Tra queste l’Eviction Bill, il provvedimento che vietava gli sfratti (almeno nella maggior parte dei casi) durante l’emergenza sanitaria. Dopo quattro rinnovi, il 31 luglio del 2021 il provvedimento federale non è stato più rinnovato dall’amministrazione di Joe Biden visto il disaccordo della maggioranza del Congresso. Molte delle persone sfrattate dopo la fine della moratoria non riescono a trovare una sistemazione a prezzi accessibili e vanno quindi a ingrossare il già consistente esercito degli homeless.
Il Dipartimento per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano ha stimato che all’inizio del 2022 c’erano negli Stati Uniti circa 582.500 persone senza fissa dimora. La cifra cresce a 1 milione di persone se si includono tutti coloro che, anche solo momentaneamente e per un breve periodo, non hanno potuto contare su un alloggio.
Ma si tratta di una stima approssimativa che tiene conto soprattutto delle persone che usufruiscono dei rifugi messi a disposizioni da entità pubbliche, fondazioni e associazioni private ed organizzazioni religiose. Coloro che dormono in strada sono molto più difficili da censire e in gran parte, quindi, non rientrano negli studi.
In alcuni casi, però, l’aumento dei numeri è dovuto in parte anche all’affinamento delle tecniche di censimento. In particolare il WSJ cita il caso della contea di San Diego che quest’anno ha censito più di 10 mila senzatetto. L’aumento – del 22% rispetto all’anno scorso – è dovuto in parte al primo conteggio dei senza fissa dimora accampati nelle proprietà delle aziende di trasporto statale, compresi i cavalcavia. Ad ogni modo, anche senza questo aggiornamento, l’aumento sarebbe in un anno comunque del 14%.
Una parte consistente dei senzatetto soffrono di problemi di salute mentale oppure di dipendenze da alcool e stupefacenti. La rapida diffusione del fentanyl e di altri oppioidi incide molto sulla perdita del lavoro e della casa. Una parte degli homeless, poi, è rappresentata da immigrati appena giunti nel paese, anche richiedenti asilo, oppure da immigrati residenti nel paese da molti anni e che a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia o dei forti aumenti del costo della vita dell’ultimo anno hanno perduto il lavoro o l’alloggio.
Una parte delle persone che rimangono senza casa riescono a usufruire dei voucher messi a disposizione dal governo federale e dai governi locali, ma solo in pochi casi queste sovvenzioni permettono agli homeless di trovare una sistemazione stabile.
I voucher e le sovvenzioni a tempo costano alle casse comunali e statali un forte esborso, che comunque riduce in minima parte un problema di carattere strutturale in un paese dove il libero mercato immobiliare la fa da padrone.
Ad esempio solo la California, negli ultimi quattro anni, ha speso ben 17 miliardi di dollari per cercare di contrastare il fenomeno, ottenendo però scarsi risultati. Il numero di senzatetto in California è infatti cresciuto di circa il 50% tra il 2014 e il 2022. Lo stato, che rappresenta il 12% della popolazione statunitense, ospita circa 115.000 senzatetto, secondo i dati federali e statali dell’ultimo anno, ed ha anche gli affitti e i prezzi medi delle case più alti degli Stati Uniti.
Secondo uno studio basato su migliaia di interviste, mediamente la popolazione homeless della California ha 47 anni, anche se la metà delle persone che non hanno un alloggio fisso supera i 50 anni. Le minoranze sono sovrarappresentate: i “latinos” sono il 35%, i neri sono il 26 e i nativi americani il 12%. Il 72% delle persone intervistate ha raccontato di aver subito un qualche tipo di violenza fisica nel corso della propria vita.
Per di più, una serie di leggi e di ordinanze locali varate negli ultimi decenni contribuiscono a criminalizzare i senzatetto allo scopo di limitarne la visibilità in nome della difesa del decoro urbano, più che di risolvere il problema.
Persone che non hanno i soldi per permettersi un affitto ricevono multe perché dormono in posti proibiti e non potendo pagare a volte finiscono addirittura in carcere, o accumulano debiti di migliaia di dollari che contribuiscono a trasformare in permanente una condizione – l’assenza di una dimora fissa – che a volte ha carattere momentaneo.
Per questo circa 120 organizzazioni operanti in cinque diversi stati dell’Unione stanno appoggiando una legge che si propone di tutelare i diritti civili degli homeless, basata su una vera e propria Carta dei diritti dei senzatetto. La legge è stata approvata in alcuni stati – Illinois, Connecticut e Rhode Island – ed è in discussione in altri e si spera che presto possa approdare al Congresso federale. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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La Cina rossa, Storia del Partito comunista cinese
Se vogliamo comprendere la Cina contemporanea non possiamo prescindere dalla storia del Partito comunista cinese. Ne ha determinato le sorti e i profondi cambiamenti, trasformando in cento anni un paese rurale nella seconda potenza economica mondiale. Oggi il Pcc conta oltre novanta milioni di iscritti e, dal 1949, è alla guida di un paese immenso e molto complesso. Con questa ambiziosa opera (pubblicata recentemente da Laterza, 26,00 euro) , che si avvale delle fonti più aggiornate, Guido Samarani e Sofia Graziani intrecciano la storia del Pcc alla storia della Repubblica popolare cinese, delineandone l’organizzazione, l’ideologia, la strategia interna e internazionale, i momenti gloriosi quanto gli eventi drammatici. China Files ve ne regala un estratto per gentile concessione dell'editore.
L'articolo La Cina rossa, Storia del Partito comunista cinese proviene da China Files.
In Cina e Asia – Al via la "Davos estiva” a Tianjin
I titoli di oggi:
Cina, al via la "Davos estiva" a Tianjin
Wagner, la Cina "crede nelle capacità della Russia di mantenere la stabilità"
Cina, Wang Yi incontra la delegazione Usa a Pechino
Cina, pronta la legge per cittadini "più patriottici"
Cina, Pechino inaugura il più grande impianto idro-solare al mondo
Tokyo rimuove Seul dalla lista nera per le esportazioni high-tech
Pakistan, al via il giro di vite tra i sostenitori di Khan nell'esercito
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Alle 8.30 la chiave ministeriale per decrittare il testo della terza prova scritta delle sezioni ESABAC e Internazionali è stata pubblicata sul nostro sito.
La trovate qui ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
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“SIOS23 SUMMER”
Domani 27 giugno a partire dalle ore 18.00 parteciperò a Roma all’Università Luiss Guido Carli, all’evento “SIOS23 SUMMER”, organizzato da StartupItalia in collaborazione con Luiss. Qui per info startupitaliaopensummit.eu/sio…
“La Ricerca negli IRCCS e la regolazione della privacy”
Domani 27 giugno dalle ore 10.00 sarò a Milano all’Aula Magna della Fondazione IRCCS al convegno “La Ricerca negli IRCCS e la regolazione della privacy”. Per maggiori info qui istitutotumori.mi.it/contenuto…
È ufficiale, il gigante russo ha i piedi d’argilla
Non sappiamo cosa accadrà in Russia, se il leader dei mercenari della Wagner Yevgheny Prigozhin cadrà misteriosamente da una finestra di Minsk, se la milizia sarà smantellata, se il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov e il ministro della difesa Sergei Shoigu saranno rimossi dai loro incarichi o se Vladimir Putin, la cui immagine di uomo forte è stata gravemente lesa dal tentato golpe, riuscirà a recuperare credibilità agli occhi dell’establishment e della popolazione. Una cosa però è chiara: se la Wagner ha impiegato nove sanguinosi mesi per conquistare Bakhmut in Ucraina e sole nove ore per spingersi fino alle porte di Mosca, lo Stato russo si è rivelato un gigante dai piedi d’argilla.
Da questo fatto nascono tre riflessioni. La prima riguarda il nesso tra l’andamento di una guerra esterna e la tenuta interna di un regime. Le sconfitte militari in Russia hanno spesso generato sconquassi interni, sebbene in forme e tempi diversi. Nel 1905, la sconfitta contro il Giappone creò le condizioni per la prima rivoluzione. Nel 1917, la prima guerra mondiale diede il la alla seconda rivoluzione: prima quella di febbraio, poi quella d’ottobre, che a sua volta scaturì in una guerra civile. Nel 1991, due anni dopo la ritirata dall’Afghanistan, ci fu l’implosione dell’Unione sovietica. Questa fu preceduta da un tentato colpo di Stato contro Mikhail Gorbachev. Il tentativo fallì dopo tre giorni, ma fu solo questione di tempo perché venisse giù il castello di carta sovietico. La sconfitta strategica russa in Ucraina, determinata dal fallimento dell’unico vero obiettivo di guerra di Putin – eradicare l’Ucraina come Stato libero, democratico e indipendente da Mosca – causerà sconvolgimenti interni. Non ci è dato sapere se assomiglieranno più al 1905, al 1917 o al 1991, o se saranno cambiamenti immediati o scaglionati nel tempo. La storia si ripete, sebbene non allo stesso modo. Ma è evidente che il tentato golpe di Prigozhin, il primo dopo oltre trent’anni, è l’atto più eclatante di una crisi profonda in Russia.
Da qui discende la seconda riflessione: gli eventi delle ultime ore validano quella che viene definita la “teoria della vittoria” di Kyiv. In guerra, ogni combattente ha una sua “teoria della vittoria”, cioè un’idea di come raggiungere, militarmente, i propri obiettivi. La “teoria della vittoria” russa fa perno sull’inconsistenza dello Stato e dell’identità dell’Ucraina, così come sulla mollezza dell’Occidente, cioè le condizioni che – secondo il Cremlino – avrebbero dovuto portare Mosca a prevalere. L’invalidazione di queste premesse ha aperto la via alla sconfitta strategica russa. Per contro, per gli ucraini, la vittoria – ossia la liberazione del territorio e della popolazione occupati – è improbabile attraverso il solo strumento militare. Gli ucraini sanno di non avere le capacità militari per ristabilire l’integrità dei confini del 1991. Ma credono che una sconfitta relativa della Russia – ad esempio con la liberazione delle regioni del sud mettendo in discussione l’occupazione della Crimea, oppure con la riconquista di parte dei territori del Donbas persi nel 2014 – possa generare instabilità a Mosca, e che in questo caos si possa aprire un varco per liberare il resto del loro Paese. Il tentato golpe di Prigozhin suggerisce che la “teoria della vittoria” dell’Ucraina è quantomeno plausibile. Per le potenze occidentali che sostengono Kyiv questo dato è fondamentale. La guerra probabilmente sarà ancora lunga, ma l’Ucraina è sulla strada giusta.
L’ultima riflessione va, in un certo senso, in direzione opposta: l’Occidente non ha alcun potere su ciò che accade in Russia, per quanto terribile ciò sia. Capiamoci: l’Europa e gli Stati Uniti possono influenzare la vittoria dell’Ucraina. Sostegno militare, ricostruzione e adesione alle istituzioni euro-atlantiche sono ingredienti chiave della vittoria di Kyiv. Al contrario, gli sviluppi interni in Russia sono totalmente al di fuori della nostra sfera di controllo. E qui sta il più grande dei paradossi: nei primi anni Duemila, con le rivoluzioni colorate in Georgia e proprio in Ucraina, Putin si era convinto che dietro le rivolte nello spazio post-sovietico ci fosse la “longa manus” dell’Occidente, il cui vero obiettivo era un cambio di regime a Mosca. Il capo del Cremlino non ha mai creduto, infatti, che queste rivoluzioni potessero essere genuinamente animate dall’interno. Oggi si ritrova a fare i conti con la stessa situazione, ma stavolta in casa sua. Prigozhin è una sua creatura, un Frankenstein creato non dalla Cia, dalla Nato, dall’Ue o da Soros, ma dalle sue stesse mani. L’Occidente non può che stare alla finestra: non abbiamo il men che minimo potere sulla faida interna in Russia, né candidati che vorremmo vedere al potere. È Putin il solo artefice della sua eventuale disfatta. Qualche mese fa, alla domanda su chi fossero i consiglieri più ascoltati da Putin, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov rispose: “Caterina (la Grande), Pietro (il Grande) e Ivan (il Terribile)”. Sbagliava. Sembrerebbe, semmai, che Putin stia dando retta a Nicola II. L’ultimo imperatore.
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Russia. Telegram: ministro difesa Shoigu sarà sostituito, uomini Wagner attesi a Osipovich
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della redazione
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Ustica, la verità si basi sui fatti. La lettera di Cavazza e Bartolucci (Avdau)
Siamo due donne, drammaticamente colpite dalla tragedia della caduta del DC9 Itavia del 27 giugno 1980. Una di noi ha perso la madre quando aveva solo 17 anni, un’età critica in cui gli affetti familiari sono importantissimi. L’altra ha vissuto per 43 anni, e tuttora vive, il dramma di un padre costantemente accusato, prima dalla giustizia, poi dall’opinione pubblica, di avere tradito la Patria, ignorando che i fatti di cui era accusato non erano mai esistiti.
Siamo la presidente onoraria e la presidente dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica, una associazione di gente per bene che ha per scopo sociale quello di perseguire la verità in tutto ciò che riguarda la tragica vicenda di Ustica. Ribadiamo: la Verità a caratteri maiuscoli, la verità che parta da fatti veri, non da fantasie, supposizioni e invenzioni. Sì, perché la verità che viene richiamata dalla maggior parte dei media non è verità; è una storia fondata su falsità.
È una falsità quella che il giudice istruttore Rosario Priore abbia emesso una sentenza in cui affermava che ci fosse stata una battaglia aerea, che il DC-9 fosse stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea. Priore non ha mai emesso sentenze di quel genere, essendo lui un giudice istruttore. Si trattava, invece, solo una sua ipotesi, in base alla quale rinviò a giudizio i vertici dell’Aeronautica militare. A conclusione di quel giudizio, la Corte d’appello, a pagina 87 del documento emesso a riguardo, scrisse testualmente: “la conclusione cui perviene l’accusa […] può essere accettabile come ipotesi accusatoria, sia pure fondata su elementi incerti ed equivoci da dimostrare, ma è inaccettabile quale motivazione di una sentenza in quanto si dà per certo un risultato partendo da dati del tutto ipotetici e peraltro del tutto sconfessati dagli elementi probatori certi ed inequivocabili come sopra messo in evidenza”. È sufficientemente chiaro?
È una falsità quella della presenza di aerei estranei in prossimità del DC9 Itavia, visto che già la Corte d’assise a pagina 135 scrive che “Il dibattimento ha d’altra parte dimostrato l’infondatezza dell’ipotesi del G.I. sulla battaglia aerea” e la Corte d’appello ha aggiunto a pagina 115 della propria sentenza che “nessun velivolo ha attraversato la rotta dell’aereo Itavia, non essendo stata rilevata traccia di essi dai radar militari e civili, le cui registrazioni sono state riportate su nastri da tutti i tecnici unanimemente ritenuti perfettamente integri”. Dovremmo quindi dire che i giudici di una Corte d’assise e di una Corte d’appello hanno così smaccatamente mentito?
Di menzogne è piena la narrativa corrente essendo basata su supposizioni, congetture, fatti totalmente inventati che perdurano da oltre quattro decenni. A tutto ciò si aggiungono le offese, come quelle recentemente formulate da Daria Bonfietti “che è solo una provocazione offensiva il continuo contrapporsi, sistematicamente, alle iniziative dell’Associazione delle vittime, rappresentante delle esigenze di giustizia e verità dei familiari liberamente associati” e “che è soltanto un’offesa alla dignità organizzare visite al Museo per la memoria di Ustica schiumanti rabbia e risentimento”. Il Museo per la memoria non può essere monopolio di un gruppo, anche perché, “è un luogo che deve rimanere ‘un tempio della memoria’” per tutti i parenti delle vittime, visto che certamente raccoglie gli effetti personali anche della madre di una di noi. La nostra visita al Museo è stata improntata al massimo rispetto delle vittime, delle loro famiglie e di ciò che il Museo si propone di rappresentare.
Chi cerca sinceramente la verità cominci a mettere da parte le falsità di cui è infarcita la storia di Ustica. La verità è unica, e noi, e la nostra associazione, lo stiamo facendo.
Scuola digitale? Il valore imprescindibile di carta e penna
Martedì 18 luglio 2023 alle ore 11:00 presso la Sala Zuccari del Senato della Repubblica, sarà presentato il paper “Scuola digitale? Il valore imprescindibile di carta e penna“, su iniziativa del Senatore Marco Scurria.
Intervengono:
ANDREA CANGINI, Segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi
ALESSANDRA GHISLERI, Direttrice di Euromedia Research
MASSIMO AMMANITI, Psicoanalista
MARIA TERESA MORASSO, Grafologa
MASSIMO DONÀ, Filosofo
SERGIO RUSSO, Insegnante
DIEGO CIULLI, Direttore Politiche pubbliche Google Italia
Conclude il Ministro dell’Istruzione GIUSEPPE VALDITARA
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Zepp
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