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Dialoghi – Se la Cina ha troppe università e troppi laureati


Dialoghi – Se la Cina ha troppe università e troppi laureati università
Gli sforzi di Pechino di investire sia in infrastrutture che risorse nel sistema di istruzione superiore hanno prodotto una serie di atenei di eccellenza e il più grande bacino al mondo di persone coinvolte nei cicli universitari. Ma la rapida espansione ha portato a conseguenze controverse per il mercato del lavoro. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano

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NOVECENTO. L’ampio studio di Maria Grazia Meriggi pubblicato da Biblion edizioni. In «La Confederazione generale unitaria del lavoro e i lavoratori immigrat


Su iniziativa del Ministro Giuseppe Valditara, al termine di un tavolo con i tecnici del Ministero, sono stati stabiliti interventi sui criteri di valutazione del voto di condotta nelle Scuole secondarie, sulla misura della sospensione e sull’istituz…


Perù. Cancellata la legge per lo sfruttamento industriale, le organizzazioni indigene festeggiano


Il progetto legislativo era stato avanzato da membri del Congresso legati all'industria degli idrocarburi e rappresentava una minaccia per le popolazioni indigene L'articolo Perù. Cancellata la legge per lo sfruttamento industriale, le organizzazioni ind

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dal Comunicato stampa di Survival International Pagine Esteri, 26 giugno 2023. Straordinario colpo di scena in Perù, dove una importante commissione del Congresso ha bocciato il Progetto di Legge 3518, che i popoli indigeni del paese avevano anche definito “Progetto di legge genocida” per gli effetti devastanti che avrebbe avuto se fosse stato approvato. Il PL 3518-2022 era già stato mandato al Congresso per il voto ma ora, grazie alla bocciatura e archiviazione da parte della “Commissione per la decentralizzazione”, il suo percorso è bloccato. Teresa Mayo, ricercatrice di Survival International l’ha definita “una grande vittoria per i popoli indigeni del Perù, per le loro organizzazioni e per le migliaia di persone comuni che in tutto il mondo hanno sostenuto la campagna contro questo devastante progetto di legge.” Le organizzazioni indigene peruviane AIDESEP e ORPIO hanno esercitato forti pressioni e oltre 13.000 sostenitori di Survival hanno scritto ai membri della Commissione per la decentralizzazione, esortandoli a bloccare il disegno di legge. Il progetto legislativo era stato avanzato da membri del Congresso pro-Fujimori legati alla potente industria degli idrocarburi, e rappresentava una gravissima minaccia specialmente per le tante tribù incontattate del paese, le cui terre sarebbero state esposte allo sfruttamento industriale. “Sono molto felice perché abbiamo lavorato duramente per fermare questo disegno di legge che viola i diritti dei popoli incontattati e di recente contatto. L’archiviazione del disegno di legge protegge i nostri parenti incontattati, i loro diritti e le loro vite, ed evita il genocidio e l’ecocidio che avrebbe scatenato” ha dichiarato Tabea Casique (Ashaninca) di AIDESEP. Per Roberto Tafur, dell’organizzazione indigena peruviana ORPIO, la decisione mette in risalto “la partecipazione di coloro che hanno una coscienza che li ha spinti a preoccuparsi dei nostri fratelli PIACI. Perché la vita viene prima del denaro. Per arrivare qui abbiamo combattuto molto. E dobbiamo continuare a lottare per i nostri fratelli che sono nel folto della foresta, che non sanno che noi stiamo combattendo per loro”. I popoli incontattati e di recente contatto sono noti collettivamente in Perù con il nome di PIACI. In Perù, l’industria del petrolio e del gas ha già avuto un impatto catastrofico su questi popoli. Negli anni ‘80, ad esempio, a seguito delle prospezioni petrolifere effettuate dalla Shell, furono introdotte malattie mortali che uccisero oltre la metà del popolo Nahua (che era precedentemente incontattato).
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The “Digital Euro” does not deserve its name!


Pirate Party MEP and digital freedom fighter Dr Patrick Breyer criticises yesterday’s draft bill by the EU Commission to introduce a “Digital Euro”: “The introduction of digital cash would be long …

Pirate Party MEP and digital freedom fighter Dr Patrick Breyer criticises yesterday’s draft bill by the EU Commission to introduce a “Digital Euro”:

“The introduction of digital cash would be long overdue in the information age. Digital cash could be as anonymous and freely usable on the internet as notes and coins. However, the ‘digital euro’ now proposed by the Commission does not deserve that name. Digital technology is to be misused to monitor, limit and control our finances to an extent never seen with cash.

While cash can be accepted and spent anonymously at any time, which is important for undocumented refugees, for example, it will only be possible to receive and spend digital euros with an account against presentation of identification. While people are allowed to hold and pass on unlimited amounts of cash, the amount of digital euros in our hands will be limited in the future. And while with cash even confidential payments and controversial donations have so far been possible anonymously and without fear of becoming known, trace-free payments in digital euros are to be completely impossible online and limited offline to an unknown and ever-changing amount. The declared aim of fighting money laundering and terrorism is just a pretext to gain more and more control over our private transactions. Where every payment is recorded and stored forever, there is a threat of hacker attacks, unauthorised investigations and chilling state oversight of every purchase and donation.

Cash is financial freedom without pressure to justify spending. What medicines or sex toys I buy is nobody’s business. For thousands of years, societies around the world have lived with cash that protects privacy. The EU Commission wants to deprive us of this financial freedom for online payments. In the legislative process, this birth defect must be corrected. We need to find ways to take the best features of cash into our digital future.”


patrick-breyer.de/en/the-digit…

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RUSSIA. Putin è davvero più debole dopo il blitz tentato da Prigozhin?


Intervista a Danilo Della Valle, specialista di Russia ed Europa orientale, sulla situazione al Cremlino mentre analisti, giornalisti ed esperti, veri e presunti, sono impegnati a descrivere la precarietà del potere del presidente russo in seguito all'ins

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Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Dal fronte della guerra tra Russia e Ucraina non giungono novità significative e non ci sono evidenze della debolezza politica in cui si troverebbe Vladimir Putin.

Governi ed esperti occidentali però sono convinti della grave instabilità della leadership russa in seguito al colpo di mano tentato dal capo della compagnia mercenaria Wagner, Evgenij Prigozhin. Ne abbiamo parlato con Danilo Della Valle, specialista di Russia ed Europa orientale.
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Laura Tussi* Il 2030 è ormai alle porte: nell’amministrazione di un organismo sovranazionale sette anni sono poco più di un battito di ciglia. Questa dat


Artificial intelligence’s failing grade


POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers. By MARK SCOTT Send tips here | Subscribe for free | View in your browser THERE ARE TWO MORE DIGITAL BRIDGE NEWSLETTERS before I down tools for a couple

POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.

POLITICO Digital Bridge

By MARK SCOTT

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THERE ARE TWO MORE DIGITAL BRIDGE NEWSLETTERS before I down tools for a couple of weeks of vacation. I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and as my mind inevitably turns to my upcoming break, I bring you actual footage of my response when editors ask me why my copy is filed increasingly late. True story.

OK. Enough with the jokes. Let’s get down to business.

— Everyone now wants rules to govern artificial intelligence. But, so far, much of this over-hyped tech is falling short.

— Why the so-called Brussels Effect only really works when you view Europe’s relationship as tied to the United States.

— A bunch of U.S. state privacy laws come into force on July 1. What does that tell us about a potential federal data protection regime?

AI SCORES AN ‘F’ ON REGULATION


REGULAR READERS OF THIS NEWSLETTER will know I’m pretty skeptical of the über-hype surrounding artificial intelligence. But even I must admit the likes of OpenAI’s ChatGPT and Google’s Bard have given the public a greater appreciation of what AI can do than anything that has preceded them. So with that in mind, how do so-called foundation models, or the vast tracts of data used to power the likes of generative AI, do when it comes to following the European Union’s Artificial Intelligence Act? This is the only comprehensive rulebook for the technology that exists, currently, anywhere in the West, so it’s the only game in town to grade these models’ performance. It’s not a perfect analogy. But researchers at Stanford University crunched the numbers, so let’s break it down. Warning: No one did very well.

First, a couple of caveats. The academics based their analysis on the European Parliament’s version of the proposals, mostly because these lawmakers inserted several provisions specifically related to foundation models and generative AI, in particular — something that had not existed in earlier drafts. Saying that, they did have to make a series of assumptions around accountability, transparency and other areas of the legislation. So it’s best to see the results as a guide, more than a definitive explainer. Still, when they looked at 10 of the leading models — everything from OpenAI’s GPT-4 to Aleph Alpha’s Luminous — no one met the requirements laid down in Brussels’ upcoming rulebook.

“Because there’s so much up in the air, and because some of the requirements are under-specified. we had to fill on some of the gaps,” Kevin Klyman, one of the authors of the analysis, told me. That includes newly created requirements from EU lawmakers around baking in risk-mitigation procedures — and showing how they did that — within foundation models; providing detailed overviews of how these models are developed for outside auditors; and even upholding the 27-country bloc’s sustainability standards around energy consumption (AI, after all, needs a load of computing power to work well).

So, how did companies do? The academics broke the AI Act’s requirements down into 12 buckets (from explainability of where the data came from to safeguards around using copyrighted material), then used a ranking scale from 1 to 4 to determine how closely each firm’s foundation model met those legal asks. They then added them all up and gave each company a score out of 48. Yes, this sounds complicated, but check out the handy chart here; it’s pretty straightforward. Overall, Meta received 21/48; OpenAI scored 25/48; Google earned 27/48. The worst-performing was Aleph Alpha at 5/48, while BigScience, an open-source alternative, came first with 36/48.

Those figures masked massive differences between how companies performed depending on specific requirements under the EU’s AI Act. On outlining ways to mitigate potential risks, Klyman said, OpenAI did a pretty good job, earning itself 4/4 for its compliance with the upcoming rules. Contrast that to Aleph Alpha, a German rival, whose lack of detailed documentation on how it was warding off potential harmful uses of its technology saw the AI startup scoring a mere 1/4 for its risk-mitigation policies. “The way providers that are doing a good job at handling risks and mitigations is they have a section of their work related to the model where they say, ‘Here are all of the potential dangers from this model,'” Klyman added.

I’m not sure I would give such disclosures a passing grade. Having a transparency section on a website about potential downsides and how a company will handle such risks doesn’t mean such safeguards will be enforced. For that, you need greater disclosures on how these models operate — something, unfortunately, that almost all the firms did badly on. When it came to publishing which data sources (including copyrighted data) were baked into these AI systems, only BigScience and, to a lesser degree, Meta ranked highly, based on Stanford’s scorecard. And Klyman warned that all companies were becoming more secretive around their foundation models as competitive pressures were leading many to bring up the drawbridge on how their systems operate.

So what does this mean for policymakers, both within the EU and elsewhere, who are working on AI rules, particularly related to these foundation models? Klyman said EU lawmakers needed to get more granular on how they wanted companies to comply with the AI Act. That involved giving quantifiable metrics on what compliance looked like in terms of risk mitigation, data governance and other wonky regulatory provisions. For U.S. policymakers, the Stanford academic urged Washington to create a national AI research center so that researchers could better kick the tires of how these foundation models were developed. “Transparency,” he added, “is extremely important.”

THE BRUSSELS EFFECT’S DIRTY LITTLE SECRET


YOU DON’T HAVE TO GO FAR IN BRUSSELS to hear officials (and think-tankers) drone on about the so-called Brussels Effect. Coined by Ana Bradford, a Finnish academic now based at Columbia Law School, the term refers to how the bloc’s expansive policymaking (and not just on digital) has a global effect — because the EU’s rules quickly take on a life of their own and become the de facto global standard. Within tech, the clearest example of this is the General Data Protection Regulation, or the EU’s wide-ranging data protection standards that are now followed by pretty much every country worldwide. More on that here.

Yet researchers at the European Centre for International Political Economy (ECIPE), a Brussels-based think tank, have driven a tank-shaped hole through that theory — at least when it comes to data. They analyzed the digital trade implications of the bloc’s so-called adequacy data protection decisions, complex legal instruments that basically tell trading partners, “If you follow Europe’s privacy standards, to the letter, we will allow unfettered flows of EU personal data to your country.” It’s a massive trade opportunity, giving countries from New Zealand to South Korea unlimited access to the personal information of Europe’s well-heeled consumers. It’s a major bargaining chip Brussels uses during its free trade agreement negotiations.

But what the think-tankers discovered was this wholesale data access — the epitome of the Brussels Effect — only really made a difference to the more than 10 countries with adequacy if you factored in Europe also having a data-transfer deal with the U.S. What they found was up to a 14 percent jump in digital trade between these countries, or the equivalent to about $4 billion of additional exports. But that was down almost exclusively to the likes of Argentina and Israel trading more with the U.S. — via the legal certainty provided by Europe’s adequacy regime. It was not because these countries were shipping goods and services more to the 27-country bloc.

“Digital trade is moving upwards compared to all other trades, but it’s highly dependent or contingent on the U.S.,” Erik van der Marel, ECIPE’s chief economist and one of the report’s co-authors, told me. “As soon as the U.S. got adequacy, you see that U.S companies outsource a lot of stuff, in terms of services outsourcing, that can be done on the basis of European citizens data to other adequacy granted countries.” Call it the halo effect of Brussels’ privacy regime. American firms quickly strike up relationships with partners in other adequacy countries — mostly to reduce costs — and immediately increase trade between the U.S. and those nations, and not with Europe.

It gets even clearer as the researchers also calculated a 9 percent reduction in so-called trade costs, which are charges associated with doing business internationally, for countries with adequacy status. But, again, when they ran the numbers, those savings were predicated almost exclusively on Europe having a data deal in place with the U.S. There’s one caveat to the report: It didn’t include Brussels’ recently agreed adequacy deals with South Korea, Japan and the United Kingdom. But if you included those agreements, van der Marel added, the increase in digital trade (mostly between these countries and the U.S.) would reach about $11 billion.

To fans of the Brussels Effect, I can already hear the criticism. These bumps in digital trade only happened because of Europe’s rules, so what are you complaining about? It’s also true that because most adequate countries are tiny (it’s not like Guernsey and the Faroe Islands are hot-beds of the global trading order), it’s only natural that Brussels’ relationship with Washington will dominate these wider relationships. But it’s also clear that if the EU wants to continue setting global regulatory standards, we should all acknowledge how important its relationship with the U.S. remains when it comes to boosting ties with other parts of the world.

The latest intelligence I have is that the third iteration of a transatlantic data deal (the previous two pacts were invalidated by Europe’s top court) will now be signed off by mid-July. A legal challenge from privacy campaigners will inevitably follow. But when it comes to digital trade, the deal is vital. These EU-U.S. agreements, according to van der Marel, represent up to a 14 percent increase in transatlantic commerce. That equates to $11.9 billion in additional digital trade exports from the U.S. to the EU and a further $7.2 billion from the EU to the U.S. When the global economy is teetering on the edge, $19.1 billion in extra international trade is nothing to sneeze at.

BY THE NUMBERS

infographic

US DOES PRIVACY. REALLY.


I’VE GIVEN UP (AGAIN) ON WASHINGTON moving ahead with comprehensive data protection rules before the 2024 election cycle takes over. But on July 1, Colorado and Connecticut’s privacy regimes come into force — and the enforcement powers of California’s separate legislation, which was enacted earlier this year, also start to bite. Throw in Virginia and Kentucky (whose laws started on January 1) and Utah (its legislation gets going at the end of 2023), and you’ve now got a stable of data protection rulebooks, at the state level, to give Americans a taste of what greater privacy safeguards could look like.

Still, not all regimes are created equal. After heavy lobbying from industry, almost all don’t allow consumers to directly sue companies for potential wrongdoing — those powers are exclusively limited to state attorneys general. Some, like Utah’s law, are pretty light touch. Others, like those in Connecticut and Virginia, require companies to provide European-style transparency to people about how their data is collected and used. Only one — the California Privacy Rights Act — creates an independent regulator akin to what is readily available on the other side of the Atlantic. How all these rulebooks handle data protection questions will either galvanize Washington into doing something or shepherd other U.S. states toward the legislation that best handles the public’s complaints.

WONK OF THE WEEK


THE ORGANIZATION FOR ECONOMIC COOPERATION AND DEVELOPMENT finds itself at the center of global (read: Western) debates on how countries can freely move data between each other while upholding people’s privacy. And Clarisse Girot, head of the data governance and privacy unit at the group of mostly-rich countries, is key to that work.

The French-born lawyer knows data protection better than most. She was head of international affairs at France’s privacy regulator before moving to Singapore and Jersey (the country, not the U.S. state!) before returning to Paris last year to take up her current role at the OECD.

“Companies, like policymakers and, of course, people have a shared interest in ensuring a high level of data protection,” she wrote on LinkedIn. “Facilitating compliance with these rules is essential to ensure the effectiveness of meaningful protection in data flows, in particular by enabling the optimisation of resources devoted to the protection of personal data.”

WHAT I’M READING


— U.S. lawmakers wrote to Joe Biden about their concerns over how Europe’s digital lawmaking was unfairly harming American companies — and called on him to act. Read more here.

— The European Parliament published a comprehensive overview of the metaverse (remember when that was popular?), including the potential cybersecurity and ethical implications of the technology. Take a look here.

— One for all the podcast lovers. Emily M. Bender and Alex Hanna debunk much of the AI hysteria in a three-part series entitled “Mystery AI Hype Theater 3000.” It’s worth a listen.

— Meta explains why it’s pulling all news from people’s Facebook feeds in Canada after the country’s lawmakers backed rules that would require platforms to pay publishers when their content appeared on these networks. The blog post is here.

— The International Association of Privacy Professionals has written a glossary of key terms for AI governance as part of efforts to standardize people’s thinking about these topics.

— A global organization similar to the International Atomic Energy Agency is not the right way to frame international governance discussions around artificial intelligence, argues Ian J. Stewart for the Bulletin of the Atomic Scientists.

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Committee recommendation on chat control: Some poisonous fangs will be pulled, but indiscriminate chat control still looming


Today, the Internal Market Committee in the European Parliament (IMCO) recommended some far-reaching amendments to the draft EU Child Sexual Abuse Regulation (CSAR), also known as … https://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2014_2019/plmrep/COMMITTEES/IMCO

Today, the Internal Market Committee in the European Parliament (IMCO) recommended some far-reaching amendments to the draft EU Child Sexual Abuse Regulation (CSAR), also known as chat control proposal. The opinion is not binding for the lead Committee on Home Affairs (LIBE), but serves as a political orientation. Pirate Party MEP and shadow rapporteur in the lead Home Affairs Committee Patrick Breyer has a mixed view of the proposals:

“The Internal Market Committee wants to pull out various poisonous fangs from the extreme proposal made by ‘Big Sister’ Johansson: The proposed deletion of mandatory age verification safeguards the right to anonymous communication, on which whistleblowers, among others, depend. The removal of appstore censorship for young people protects their right to free and protected communication.

However, ineffective netblocks with collateral damage for many legitimate contents could still be imposed. Above all, indiscriminate chat control would still be implemented, an attack on the confidentiality and security of personal messages unprecedented in the free world. Excluding encrypted communication and telephony, leaving AI-driven text searches for alleged grooming out of it – all this would not change the fact that the proposals would be the end of the digital secrecy of correspondence for most emails and chats. Digital privacy of correspondence does not only apply to encrypted communication!

Meta already searches Facebook and Instagram private messages ‘only’ for known material, but it is precisely this flood of unreliable reports that drains urgently needed law enforcement capacities in undercover investigations against abusers, leads to the mass accusation of innocent people, and to the criminalisation of thousands of young people who are supposed to be protected. To indiscriminately target law-abiding users without suspicion would be contrary to fundamental rights and, according to independent legal opinions commissioned by Parliament and the EU Council, would not stand up in court. Such a failure of the proposed detection mechanism would be irresponsible towards victims of abuse. The Internal Market Committee only hints at what targeted detection could look like, but does not implement it.

Now it is up to the lead committee on Home Affairs to respect the fundamental right to digital privacy of correspondence and to put in place court-proof, truly effective child protection measures.”

The lead Home Affairs Committee continues to negotiate its position, with the next round of negotiations taking place this afternoon. The conservative Spanish rapporteur, Zarzalejos, wants to lock in the committee’s position by September and then strike a deal by the end of the year under the Council Presidency of his home country. The Spanish government has attracted attention with its extreme statement that secure encryption should actually be banned.


patrick-breyer.de/en/committee…



Turchia. Incarcerato giornalista, aveva chiesto la fine dell’isolamento di Ocalan


Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Un tribunale turco ha rinviato a giudizio e fatto incarcerare il noto giornalista Merdan Yanardag, caporedattore di un canale televisivo dell’opposizione, con l’accusa di aver diffuso “propaganda terroristica” ed “elogio dei

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Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Un tribunale turco ha rinviato a giudizio e fatto incarcerare il noto giornalista Merdan Yanardag, caporedattore di un canale televisivo dell’opposizione, con l’accusa di aver diffuso “propaganda terroristica” ed “elogio dei criminali”.

Yanardag ha semplicemente criticato l’isolamento di Abdullah Ocalan, il leader curdo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in carcere dal 1999. “L’isolamento di Abdullah Ocalan è illegale e dovrebbe essere revocato”, ha affermato in un programma andato in onda la scorsa settimana.
L’autorità televisiva turca controllata dall’Akp, il partito del presidente Erdogan, ha avviato un’inchiesta sulla tv Tele1 che ha trasmesso i commenti di Yanardag. Invece l’Associazione dei giornalisti turchi ha diffuso un comunicato di condanna della detenzione del suo iscritto e per la “violazione del diritto alla libertà di espressione”.

Ocalan, leader curdo di grande spessore politico, fu catturato da forze speciali turche in Kenya nel 1999. Da allora è detenuto in isolamento in una prigione su un’isola a sud di Istanbul. Protagonista di un’insurrezione contro lo stato turco nel 1984, il PKK è designato come “gruppo terroristico” dalla Turchia e dai suoi alleati occidentali.
La repressione delle aspirazioni della larga minoranza curda in Turchia e i combattimenti tra forze governative e PKK hanno provocato più di 40.000 morti.

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Punk Paradox di Greg Graffin


PUNK PARADOX è la narrazione della vita di Greg Graffin prima e durante i primi anni del punk di Los Angeles, in cui descrive in dettaglio le sue osservazioni sulla crescita esplosiva del genere e sul costante aumento di importanza della sua band @Musica Agorà

iyezine.com/punk-paradox-di-gr…

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Ireland: Corrupt GDPR procedures now "confidential"


Irlanda: Procedure discutibili del GDPR ora "confidenziali" Ieri il DPC irlandese ha ottenuto una vittoria risicata in Parlamento e ha fatto approvare una nuova legge che renderà impossibile criticare le procedure del DPC. DPC Section 26A


noyb.eu/en/ireland-corrupt-gdp…



In Cina e in Asia – Pechino lancia una nuova legge sulle relazioni estere


In Cina e in Asia – Pechino lancia una nuova legge sulle relazioni estere legge
I titoli di oggi:

La Cina lancia nuova legge sulle relazioni estere
WSJ: secondo l'intelligence Usa il pallone spia cinese era proprio un pallone spia
L’esercito cinese pensa a uno scenario di “guerra totale”
Washington valuta una nuova stretta all’export di Chip verso la Cina
Pechino ottiene via libera da Wellington per l’adesione al CPTPP
I turisti in Cina possono pagare tramite WeChat
Pechino impedisce le visite consolari ai detenuti di Hong Kong con doppia cittadinanza

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Non solo Wagner. Ecco tutte le milizie private russe


Sebbene si tratti di un fenomeno non esattamente recente – la prima Private Military Company, i “Lupi dello Zar”, risale al 1992 – dal punto di vista del diritto russo, gli attori non statali come le PMC sono oggi considerati illegali. Ciononostante, poic

Sebbene si tratti di un fenomeno non esattamente recente – la prima Private Military Company, i “Lupi dello Zar”, risale al 1992 – dal punto di vista del diritto russo, gli attori non statali come le PMC sono oggi considerati illegali. Ciononostante, poiché tutte le PMC attualmente attive sono in un modo o nell’altro collegate al Cremlino o ne promuovono comunque gli interessi, i vertici di queste organizzazioni godono di un regime di impunità de facto. L’unica eccezione a questa regola si presenta quando una di esse cade in disgrazia con la leadership moscovita, o entra in un aperto e logorante conflitto con le Forze Armate regolari tale da incorrere nel coinvolgimento della magistratura. In questo caso, in base alle leggi vigenti nella Federazione Russa, si può incorrere nella smobilitazione forzata e nell’arresto della leadership qualora quest’ultima non ottemperi alle richieste del Governo.

Questo è stato il caso della Wagner Corp. che come abbiamo avuto modo di apprendere in queste ore ha rifiutato di smobilitare le truppe entro la scadenza del 1 Luglio decidendo piuttosto di muovere contro il Cremlino in quello che molti hanno definito, troppo prematuramente, un tentativo di colpo di stato. Grazie alla mediazione del presidente Lukashenko e del Governatore di Tula, Alexei Dyumin, la veloce ribellione di Yevgeny Prigozhin si è risolta in quello che diversi analisti vedono come un riposizionamento della Wagner in Bielorussia, proprio quando il paese ha ricevuto da Mosca ingenti aiuti militari che includono una discreta capacità di deterrenza nucleare.

Da qui non è escluso che Wagner possa continuare la propria partecipazione al conflitto ucraino, aprendo un fronte nord pericolosamente vicino a Kyiv, da cui sarebbe in grado di lanciare operazioni di infiltrazione e interferenza che velocizzerebbero il logoramento delle capacità militari ucraine. La riapertura dei centri di reclutamento e addestramento in Siberia, unitamente alle voci di diverse basi Wagner in costruzione in Bielorussia, non fanno che confermare la senzazione che quanto successo la scorsa settimana non abbia scritto la parola fine per le attività di questa PMC, né tantomeno per il conflitto. Ma se Wagner è la punta di lancia del sistema di guerra asimetrica del Cremlino, non mancano altre risorse nell’ambito della guerra ibrida.

Attualmente il sistema delle PMC russe è composto da circa 40 gruppi che operano in 34 paesi. Circa il 70% di questi gruppi opera in Ucraina, e almeno la metà di essi sono stati creati dopo il 2022 esclusivamente per partecipare alle ostilità contro Kyiv, mentre i restanti operano tipicamente in Siria (almeno dal 2011), Iraq (dal 2003) e Africa centrale, a sostegno degli interessi russi di lungo periodo e come forze di protezione degli approvvigionamenti di risorse. Dati raccolti all’inizio del 2023 vedono 19 PMC schierate in Africa principalmente a controllo delle risorse minerarie, 10 PMC operative in Asia e Medioriente, 4 PMC attive in Europa e almeno 1 gruppo attivo in Sud America. A farla da padrone è ovviamente la Wagner, che opera in almeno 18 paesi, seguita dal Gruppo Patriot in 7 nazioni e dal gruppo ENOT (“procioni” in russo) che è attivo in 6 paesi.

Prima di entrare nel dettaglio di alcune di queste sigle è necessario comprendere le ragioni della scelta del Cremlino di contribuire a creare e sostenere un ecosistema così complesso e potenzialmente pericoloso. Esistono naturalmente diverse ragioni che hanno permesso alle PMC di prosperare. Come dato di contesto non va dimenticata la geografia della Russia, uno stato esteso tra Europa e Asia, e la sua tendenza storica all’accentramento del potere: entrambi questi fattori hanno da sempre creato le condizioni ideali per l’esistenza di forze armate territoriali o claniche. Venendo alla situazione contemporanea, in primo luogo le PMC rappresentano uno strumento altamente flessibile e adatto a condurre guerre ibride senza il coinvolgimento diretto dello stato che avrebbe ingenti ripercussioni ufficiali sulle relazioni internazionali. In secondo luogo le operazioni delle PMC sono finanziate per la maggior parte da oligarchi, come ad esempio Yevgeny Prigozhin, Gennady Timchenko, Oleg Deripaska o Sergey Isakov per citarne alcuni, e non dallo stato.

Sebbene esistano canali di finanziamento e meccanismi di subordinazione che le connettono alle istituzioni statali, non vi è un impatto diretto sul bilancio ufficiale del Paese e le PMC operano in un sistema di libera concorrenza e di mercato. Ciò fa si che le PMC siano più economiche da mantenere rispetto alle truppe regolari, garantendo al tempo stesso un più elevato livello tecnologico e una maggiore manovrabilità operativa. Inoltre, lo status di soggetti privati di cui godono le PMC si traduce nella non necessità di monitorarne le perdite e dunque esse non vengono registrate tra le perdite ufficiali. A questo va aggiunto che gli individui che si uniscono alle PMC stipulano contratti volontari di diritto privato e quindi l’amministrazione dello stato non è responsabile nei confronti delle famiglie degli eventuali caduti durante le operazioni.

Un altro vantaggio delle PMC è rappresentato dalla loro composizione, essendo esse formate principalmente da personale selezionato tra i veterani in grado di svolgere missioni più complesse, ma con la possibilità di reclutare velocemente personale a basso costo da usare come “carne da macello”. Infine, col tempo le PMC sono diventate una sorta di status simbol per gli oligarchi che, non diversamente dai nobili e leader locali del passato, hanno cominciato ad impiegarle per proteggere se stessi e le proprie ricchezze, anche in previsione di un possibile collasso o di un colpo di stato in Russia. Venendo a quali sono e come operano le principali PMC russe, non possiamo ovviamente che partire da Wagner.

Fondato ufficialmente nel 2014, all’epoca dell’invasione della Crimea, ma nato dall’unione di diverse PMC, il Gruppo Wagner conta oggi tra i 40 e i 50 mila operatori ed è attivo in Ucraina, Siria, Repubblica Centrafricana, Libia, Sudan, Sud Sudan, Ciad, Mozambico, Congo, Mali, Bielorussia, Burundi, Guinea-Bissau, Venezuela, Nigeria, Madagascar, Botswana, Comore, Ruanda e Lesotho. In ordine di importanza, segue lo spinoff neonazista di Wagner, specializzato in operazioni speciali: il famigerato gruppo Rusich fondato nel 2009 e incorporato come componente autonoma in Wagner nel 2014, attivo con varie decide di operatori in Ucraina, Siria e Repubblica Centrafricana.

A questi si affianca la Legione Imperiale Russa, falange armata del Movimento Imperiale Russo fondata nel 2002, che con diverse centinaia di militanti si occupa prevalentemente delle operazioni di controllo delle province del Donbass, ma ha recentemente esteso la propria attività in Libia e Siria. Infine, nel 2017, é entrata in scena la Sewa Security Services, gestita da un ex dipendente del ministero dell’Interno russo, Evgeny Khodotov, a capo anche della società M-Finance associata a Prigozhin che opera esclusivamente in Repubblica Centroafricana. Tra le PMC non direttamente legate a Wagner va citata il Gruppo RSB, società che dal 2005 offre consulenze e servizi di protezione con uffici legalmente operanti in Africa e Unione Europea e che a detta degli analisti è finanziata e controllata direttamente dall’FSB.

RSB può contare su un numero imprecisato di operatori che operano in Ucraina, Sri Lanka, Libia, nel Golfo di Aden, lo Stretto di Malacca e in Guinea. Esiste inoltre il Centro R, un gruppo di circa 500 operatori finanziati dagli oligarchi Gennady Timchenko e Oleg Deripaska e subordinato al Ministero della Difesa russo. A differenza di altre PMC, il Centro R, nato nel 2018, si occupa esclusivamente di protezione installazioni in Ucraina, Siria, Iraq, Georgia e Somalia un po’ come succede nel caso del servizio di protezione delle installazioni di Gazprom. La lista potrebbe continuare a lungo, ma vogliamo limitarci a segnalare solo altri quattro tra i gruppi più interessanti attualmente attivi. Cominciamo dal Gruppo Patriot, creatura del Ministro della Difesa Sergei Shoigu fondata nel 2018, attivo in Ucraina, Siria, Yemen, Repubblica Centrafricana, Burundi, Sudan e Gabon.

Seguono gli Zar’s Wolves, il gruppo più antico, guidato oggi da Dmitry Olegovich Rogozin, dal 2011 al 2018 Vice Primo Ministro della Federazione Russa, e che opera esclusivamente in Ucraina. Proprio questi due gruppi potrebbero rimpiazzare la Wagner in diversi teatri operativi. Infine, due casi di PMC che si appoggiano sul crowdfunding, ovvero le micro donazioni individuali: la Andreyevsky Krest PMC, un’iniziativa lanciata dalla Chiesa Ortodossa per l’addestramento degli operatori da inviare in Ucraina che ha probabilmente contribuito alla preparazione di più di 2000 individui nei suoi cinque anni di vita, e la Akhmat PMC, una forza composta da circa 4000 operatori e controllata dal leader ceceno Kadyrov.

Concludendo questo breve excursus riteniamo che sia di fondamentale importanza continuare a monitorare l’ecosistema delle PMC russe, non solo come chiave di lettura del conflitto in Ucraina, ma anche e soprattutto per valutare pienamente l’evolversi della politica estera russa e degli equilibri interni di Mosca.


formiche.net/2023/06/non-solo-…



PRIVACYDAILY


N. 152/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Oggi l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e la Banca Mondiale hanno firmato un nuovo accordo quadro globale per la condivisione dei dati che consentirà a entrambe le organizzazioni di accedere più rapidamente ai dati, migliorando la tempestività degli aiuti umanitari e dell’assistenza allo sviluppo e... Continue reading →


Ireland: Questionable GDPR procedures now "confidential"


Irlanda: Procedure discutibili del GDPR ora "confidenziali" Ieri, il DPC irlandese ha ottenuto una vittoria risicata in Parlamento e ha fatto approvare una nuova legge che prevede che DPC Section 26A


noyb.eu/en/ireland-questionabl…



Slowdive, a settembre il nuovo album. In ascolto il primo singolo


A SEI ANNI DI DISTANZA DALL'ULTIMA FATICA DISCOGRAFICA, L'ALBUM OMONIMO USCITO NEL 2017 (IL PRIMO DOPO LA REUNION DEL 2014, A SUA VOLTA ARRIVATO DOPO DICIANNOVE ANNI DI STAND BY) GLI SLOWDIVE TORNERANNO A PUBBLICARE UN NUOVO DISCO, CHE SI INTITOLA "EVERYTHING IS ALIVE" E SARÀ DISPONIBILE DALL'1 SETTEMBRE SULLA LABEL DEAD OCEANS.

iyezine.com/slowdive-a-settemb…

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Trasferimento dati Ue-Usa, Parlamento europeo contrario all'adozione del Data Privacy Framework
@Etica Digitale (Feddit)
Il Parlamento ritiene che il #DataPrivacyFramework non garantisca un livello di protezione dei dati trasferiti verso gli Stati Uniti, sostanzialmente equivalente a quello richiesto dal diritto dell'UE.

#privacy

ntplusdiritto.ilsole24ore.com/…



Rifondazione Comunista propone di reintrodurre la scala mobile per fermare l'erosione del potere d'acquisto di salari e pensioni. Contro l'inflazione bisognereb


Avvisate Calenda! Dopo la Germania anche la Spagna sta procedendo verso la fuoriuscita dall'energia nucleare. La decisione è stata assunta nel 2029 e l'ha conf


L’Onu incalza gli Stati Uniti: chiudete la prigione di Guantanamo Bay


La Relatrice speciale dell'Onu Fionnuala Ni Aolain ritiene che le procedure nel carcere mostrino il mancato rispetto dei diritti necessari per un'esistenza umana dignitosa L'articolo L’Onu incalza gli Stati Uniti: chiudete la prigione di Guantanamo Bay p

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di Blaise Malley – Responsible Statecraft*

(nella foto una protesta negli Usa contro le detenzioni a Guantanamo Bay)

Pagine Esteri, 28 giugno 2023 – Più di vent’anni dopo l’apertura della prigione di Guantanamo Bay, 30 detenuti sono ancora sottoposti a “trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, secondo un nuovo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’antiterrorismo e i diritti umani, Fionnuala Ni Aolain.

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Fionnuala Ní Aoláin

Il documento è il risultato di una visita alla struttura all’inizio di quest’anno, la prima nel suo genere da parte di un funzionario delle Nazioni Unite dall’apertura (della prigione di Guantanamo, ndt) dal 2002. La sua conclusione è chiara: il governo degli Stati Uniti deve “considerare percorsi immediati di chiusura” del centro di detenzione.

La visita della Relatrice, avvenuta a febbraio, ha incluso una serie di incontri con gli avvocati e le famiglie dei prigionieri, nonché con ex detenuti e alcuni degli allora 34 detenuti.

Ni Aolain ha anche parlato con le famiglie delle vittime degli attacchi dell’11 settembre. La Relatrice riconosce le opinioni divergenti all’interno della comunità delle vittime sulla legittimità delle commissioni militari, sull’uso della pena di morte e sul funzionamento del centro di detenzione di Guantánamo. Ma, a suo avviso, l’uso della tortura da parte degli Stati Uniti rappresenta ora “l’ostacolo più significativo all’adempimento dei diritti delle vittime alla giustizia”.

Nel rapporto, Ni Aolain ringrazia l’Amministrazione Biden per aver facilitato la sua visita, ma critica il governo degli Stati Uniti per le continue violazioni del diritto internazionale. “Diverse procedure del governo degli Stati Uniti stabiliscono una privazione strutturale e il mancato rispetto dei diritti necessari per un’esistenza umana e dignitosa e costituiscono un trattamento minimo, crudele, disumano e degradante in tutte le pratiche di detenzione a Guantánamo Bay”, ha scritto.

Il rapporto si concentra sul diritto alla salute dei detenuti, sull’accesso alla famiglia, alla giustizia e a un processo equo e sugli effetti fisici e psicologici a lungo termine della tortura. La Relatrice speciale riscontra notevoli motivi di preoccupazione. Ad esempio conclude che “le precedenti condizioni costituiscono una violazione del diritto a un’assistenza sanitaria disponibile, adeguata e accettabile – come parte dell’obbligo dello Stato di garantire il diritto alla vita, alla libertà dalla tortura e dai maltrattamenti, un trattamento umano dei prigionieri e rimedio effettivo…il fallimento del governo degli Stati Uniti nel fornire la riabilitazione dalla tortura contravviene nettamente ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione contro la tortura”.

In termini di diritti legali, il rapporto rileva che “gli Stati Uniti non sono riusciti a promuovere e proteggere le garanzie fondamentali di un processo equo e hanno gravemente ostacolato l’accesso dei detenuti alla giustizia”. Un prigioniero ha detto a Ni Aolain che, mentre alcune delle condizioni materiali nella prigione sono migliorate nel tempo, le condizioni legali sono peggioriate.

Il rapporto ha anche esaminato il rimpatrio e il reinserimento di coloro che erano stati rilasciati da Guantanamo e registra che hanno avuto fortune alterne ma che la “stragrande maggioranza” continua a essere vittima di violazioni dei diritti umani. “Per molti ex detenuti, la loro attuale esperienza nella loro casa o in un terzo paese diventa semplicemente un’estensione della detenzione arbitraria a Guantánamo, con alcuni che esprimono addirittura il desiderio di tornare”, ha scritto Ni Aolain. La Relatrice ha parlato con ex detenuti e famiglie di detenuti che dopo il trasferimento sono stati fatti sparire o detenuti arbitrariamente; iscritti a presunti programmi di riabilitazione e reintegrazione ma di fatto soggetti a detenzione, torture e maltrattamenti” e altro ancora.

Michèle Taylor, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha rilasciato una risposta al rapporto, ringraziando Ni Aolain ma si è detta in disaccordo con molti dei risultati del suo rapporto. “Gli Stati Uniti non sono d’accordo su aspetti significativi con molte affermazioni fattuali e legali fatte dalal Relatrice speciale”, ha scritto Taylor. “I detenuti vivono in comunità e preparano i pasti insieme; ricevere cure mediche e psichiatriche specialistiche; hanno pieno accesso alla consulenza legale; e comunicare regolarmente con i membri della famiglia.

Sotto Biden, finora 10 dei 40 detenuti che erano lì quando è entrato in carica hanno lasciato la prigione, e altri 16 sono stati autorizzati al rilascio ma rimangono a Guantanamo.

Difensori, gruppi per i diritti ed ex detenuti hanno accolto con favore il rapporto e hanno invitato Biden a raggiungere il suo obiettivo dichiarato di chiudere la prigione e al governo di fornire risarcimenti ai prigionieri.

“Sono stato vittima di torture statunitensi da parte della CIA. Sono sopravvissuto e ho perdonato i miei torturatori, e sto andando avanti con la mia vita in Belize. Ma aspetto ancora scuse, cure mediche e altri risarcimenti”, ha detto Majid Khan, un ex detenuto rilasciato nel febbraio 2023. “Apprezzo tutto il sostegno che il Belize mi ha fornito, ma la responsabilità è degli Stati Uniti. È ora di chiudere Guantanamo”, ha aggiunto.

“L’amministrazione Biden deve togliersi di mezzo sulla chiusura di Guantanamo”, afferma Wells Dixon, un avvocato senior presso il Center for Constitutional Rights che è stato consulente di diversi detenuti di Guantanamo. “Non ha alcun senso legale o politico per il governo continuare a combattere in tribunale, a detenere uomini che non vuole più detenere, in una prigione che ha detto dovrebbe essere chiusa, in una guerra che è finita”. Pagine Esteri

*https://responsiblestatecraft.org/2023/06/28/un-report-calls-on-u-s-government-to-close-guantanamo-bay/

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Ohibò, il taglio dei parlamentari ha minato la qualità del lavoro degli eletti


Hanno vinto i cinque stelle. Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno, dicevano. Missione compiuta. E’ talmente aperto, che tutti scappano. L’antipolitica funziona infatti, ed è il Parlamento a non funzionare più. Da quando è stato ridotto il l

Hanno vinto i cinque stelle. Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno, dicevano. Missione compiuta. E’ talmente aperto, che tutti scappano. L’antipolitica funziona infatti, ed è il Parlamento a non funzionare più. Da quando è stato ridotto il loro numero, considerato da essi stessi un costo da mangiapane a tradimento, deputati e senatori disertano con sistematicità il lavoro in commissione, cioè quella cosa che prima dava un senso alle loro giornate da anonimi pigiatasti d’Aula. Prima ne frequentavano una, studiavano, votavano, emendavano. Ma poiché ormai di commissioni costoro se ne devono accollare due o tre finisce che non solo non studiano più, ma devono pure scegliere dove andare. Quindi in genere si assentano (tranne quando si vota e scatta il gettone).

Negli uffici della Camera, invece, dal 2021, cioè da quando è entrato in vigore il taglio degli stipendi, altra mossa plebeista e paragrillina, i dipendenti neo assunti si dimettono a un ritmo mai visto in settant’anni di storia repubblicana. Pare che in molti non avessero capito che i loro stipendi, limati di un buon 20 per cento, non erano più quelli ottimi di chi alla Camera già ci lavorava. Tra i 76 assistenti parlamentari appena assunti a Montecitorio, per dire, in 10 non hanno preso servizio. Dieci su settantasei. Insomma la riduzione del numero dei parlamentari, che doveva portare risparmio, provoca assenteismo e superficialità. Mentre il taglio degli stipendi ai dipendenti (deciso nel 2017 e applicato dal 2021) sta determinando una fuga di giovani dalla macchina burocratica del Parlamento. Erano stati appena assunti 8 tecnici informatici? Se ne sono dimessi in 3.

Si sono dimessi anche 6 segretari parlamentari neo assunti, mentre gli altri hanno avanzato la prima richiesta sindacale: un “permesso studio” al fine di avere tempo di preparare un altro concorso, e salutare la Camera. E infatti due sono le scene paradigmatiche in Parlamento da qualche tempo. La prima è quella del senatore medio, mettiamo Claudio Borghi della Lega, uno a caso, che fa parte di ben tre commissioni. Eccolo mentre si affaccia sulla soglia della commissione Affari europei: “Oggi si vota?”. Gli dicono di no. Niente gettone. E lui: zac, fila via verso la commissione Bilancio o verso il Copasir. Scena numero due. Montecitorio, corridoio. Ecco un giovane commesso che sta curvo sul manuale di diritto pubblico. Sta preparando un concorso. Se ne vuole andare pure lui. Nemmeno Grillo saprebbe spiegarci meglio di così l’effetto della parola “vaffanculo”.

Il Foglio

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REPORTAGE. Il popolo dimenticato dei bambini sfollati e profughi


Sono 43.3 milioni i bambini sfollati nel mondo, secondo un recente rapporto Unicef. Dispersi nel loro Paese o costretti a chiedere rifugio all’estero, sono le guerre e l’emergenza climatica a marcare il tempo della loro infanzia, spesso segnandola di dolo

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di Valeria CagnazzoPagine Esteri, 26 giugno 2023Ho conosciuto Saeed, nome di fantasia, qualche anno fa, in un piccolo ristorante nella valle della Bekaa, in Libano. Si mangiava all’aperto, in giardino, intorno a tavoli di plastica bianca. Sulle griglie si arrostiva la carne degli agnelli e dei vitelli sgozzati che stavano appesi per le zampe al soffitto all’ingresso del locale. Saeed aveva otto o nove anni, la sua mamma era stata invitata a quel tavolo da un’associazione di medici italiani che l’aveva conosciuta in una missione precedente e che adesso voleva donarle una busta di banconote per aiutarla a sfamare i suoi figli. Appena oltre la recinzione di rete a larghe maglie di quel giardino si scorgevano le montagne azzurrissime del suo Paese, la Siria. Saeed sedeva con la schiena drittissima, staccata dallo schienale. Non toccava neanche il cibo che gli veniva offerto, l’insalata tradizionale di prezzemolo, pomodori e pane croccante, i bocconcini di carne grigliata. Era bene educato, Saeed, e nonostante i suoi occhi accarezzassero quei piatti con desiderio, non si azzardava a prendere del cibo, continuava a scuotere la testa e a ripetere grazie a quei medici occidentali. Poi sua madre gli aveva rivolto un cenno del capo, a dirgli che sì, gli era permesso di mangiare, e allora lui, ancora ringraziando, timidamente si era avvicinato al piatto. In Siria, solo quattro anni prima, era stato il figlio di un imprenditore e aveva vissuto in un quartiere benestante di Damasco. Nel salotto di casa sua, c’erano stati un televisore a schermo piatto e i joystick della sua playstation. Aveva avuto una brevissima vita agiata, Saeed. Poi era scoppiata la guerra. Sua madre si era messa lui e le sue sorelle in macchina e se li era portati, orfani di padre, oltre il confine con il Libano, in un viaggio notturno e clandestino. Di colpo, la vita in una tenda, in un campo profughi sovraffollato dove bisognava mettersi in fila per il riso e poi per riempire una tanica d’acqua, e dove lei, la mamma, una laurea in ingegneria e mani morbide, si era trasformata in una tigre per difendere i suoi figli. Era bastato un viaggio notturno per cancellare dalla vita di Saeed la tv a schermo piatto, la playstation, la scuola in cui prendeva ottimi voti e le maestre gli dicevano che avrebbe fatto il dottore. Il passato, però, ancora gli si leggeva in quella schiena dritta, nelle guance che arrossivano, nei capelli dritti, tenacemente pettinati. Quando si era allontanato dal ristorante tenendo per mano la sua mamma, finalmente gli avevamo sentire pronunciare parole diverse da “Shoukran”. Lontano dalle nostre orecchie estranee una voce bambina era riemersa da qualche abisso per chiederle, rivolgendosi a quel mazzetto di banconote che avevano ricevuto: “Possiamo comprare un pallone?”. Non ho più notizie di Saeed, la sua esistenza si è unita alla matassa di quelle di milioni e milioni di bambini sfollati nel mondo, come se non fossero tutti individui con volti, nomi, personalità come lui, che era gentile e riservato.Il più recente rapporto dell’Unicef parla di 43,3 milioni di bambini sfollati. Il numero più alto nella storia, eppure sempre un numero tra tanti. Un numero che, però, a pensarci bene, starebbe a significare che la popolazione di un Paese come la Spagna o l’Argentina potrebbe essere interamente costituita da bambini sfollati. Un popolo, una nazione di bambini costretti ad abbandonare la propria casa, per fuggire all’interno del proprio Paese o oltre i suoi confini, come Saeed, per salvarsi la vita. Solo nell’ultimo decennio, questa popolazione di bambini sradicati dalla loro terra è raddoppiata. Nel 60% dei casi (25.8 milioni), si tratta di sfollati interni. Quando cercano rifugio all’estero, le destinazioni più frequenti sono la Turchia, l’Iran, la Colombia, la Germania e il Pakistan. 17,5 milioni di bambini sono in fuga dalla guerra. Il rapporto, che si ferma alla fine del 2022, non include tra questi i bambini fuggiti in questi mesi dal conflitto in Sudan, che secondo l’Unicef al momento dovrebbero essere almeno 940.000. Il conflitto tra Russia e Ucraina, poi, ha costretto almeno 4 milioni di bambini ucraini a lasciare la propria casa: oltre due milioni di loro hanno abbandonato il loro Paese e oltre un milione sono sfollati interni. Sono almeno un centinaio i conflitti attualmente in corso nel mondo, ed è dalle loro spirali di violenza, anche quando dimenticate, che le famiglie continuano a cercare di salvare i propri figli, ingrossando le fila dei rifugiati. Vivere da rifugiati significa, nella maggior parte dei casi, non avere diritto alla protezione sociale, all’istruzione, alla salute, neppure a ricevere le vaccinazioni durante l’infanzia secondo calendario. Una vulnerabilità che ha un inizio, come l’arrivo di Saeed in Libano in piena notte, ma non vede una fine. Come ha notato, infatti, Verena Knaus, capo della commissione Unicef sulla migrazione e lo sfollamento, “La maggior parte di questi bambini che sono sfollati oggi molto probabilmente resterà sfollata per l’intera durata dell’infanzia”. Faceva una riflessione analoga la giornalista Lucia Goracci alcuni giorni fa, commentando l’ennesima strage di migranti in mare al largo della Grecia il 16 giugno scorso, in cui si stima abbiano perso la vita 600 persone. A proposito di una ragazza di 20 anni che dal barcone aveva cercato di lanciare l’allarme col suo cellulare, scriveva, infatti: “Era di Daraa, dove la guerra civile siriana è cominciata. Aveva 20 anni. Cioè era una bimba di 8, quando la guerra è entrata dentro casa sua”. Se per i giornali e i libri di storia la durata delle guerre si misura in anni, per i bambini che ci nascono e ci vivono in mezzo e che poi, a volte, si trasformano in profughi, i conflitti corrispondono ad anni di infanzia perduta, talvolta a un’infanzia intera, dalla nascita all’adolescenza, senza possibilità di ripartire dall’inizio. A sfollare i bambini non sono solo i conflitti ma anche i cambiamenti climatici. Deforestazione, siccità, alluvioni e inondazioni a causa del cambiamento climatico hanno costretto fino al 2022 almeno 12 milioni di bambini a emigrare dalle loro terre d’origine. Spesso, anche in questo caso, per trasferirsi in campi di rifugiati sovrappopolati in cui i diritti dell’infanzia non sono garantiti. I bambini pagano le spese dei disastri bellici ed ecologici degli adulti in maniera per giunta sproporzionata: rappresentano il 31% della popolazione mondiale, ma costituiscono almeno il 60% del popolo di sfollati che si muove nel mondo. Un’emergenza che Catherine Russell, Direttrice esecutiva dell’Unicef, commenta così: “L’aumento (del numero di bambini sfollati, ndr) va di pari passo con l’impennata di conflitti, crisi e disastri climatici nel mondo. Ma sottolinea anche la risposta deludente di molti governi nel garantire che ogni bambino rifugiato o sfollato interno possa continuare a imparare, a rimanere in salute e a sviluppare il proprio pieno potenziale”. A pochi giorni dalla Giornata mondiale del Rifugiato, il dato del Refugee Funding Tracker è scoraggiante: nei primi sei mesi del 2023, sarebbe stato versato solo il 22% dei 10 milioni di dollari che erano stati richiesti a livello mondiale per il soccorso dei rifugiati. Né le politiche occidentali nei confronti dei migranti lasciano presagire scenari molto migliori, per i bambini che da un giorno all’altro chiudono con la loro infanzia per trasformarsi in sfollati. Sarebbe forse un nuovo sistema da proporre nelle sedi istituzionali, quello di misurare la durata e la gravità dei conflitti e dell’emergenza climatica non in anni e in percentuali, ma in infanzie interrotte. Pagine Esteri
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#NotiziePerLaScuola

Riapertura dei termini dell’avviso pubblico per la candidatura a componente del Comitato scientifico internazionale della Scuola di Alta Formazione dell'Istruzione.



Dino Buzzati – Cronache terrestri


https://youtu.be/ol-8TSyFr-8 L'articolo Dino Buzzati – Cronache terrestri proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/dino-buzzati-cronache-terrestri/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed



ImPotenza


Come in tutti i sistemi dispostici e secondo la tradizione degli scontri di potere in Russia, l’opacità regna sovrana. Al punto che, nel torbido, ciascuno può vedere muoversi quel che gli pare: chi l’astuto inganno putiniano per consolidare il potere, chi

Come in tutti i sistemi dispostici e secondo la tradizione degli scontri di potere in Russia, l’opacità regna sovrana. Al punto che, nel torbido, ciascuno può vedere muoversi quel che gli pare: chi l’astuto inganno putiniano per consolidare il potere, chi il liquefarsi dell’intera Russia. Il guaio di concentrare lo sguardo sul torbido è quello di non riuscire a mettere a fuoco i fatti evidenti, che sono due: a. lo smottare del fronte interno è una conseguenza della sconfitta su quello esterno ucraino, talché la grande potenza militare che mosse alla conquista del piccolo Paese da masticare alla svelta è lì, trincerata come può, spinta alla criminalità di far saltare le dighe, pur di non vedere il contrattacco degli ucraini sfondare le proprie linee; b. fin dall’inizio era chiara la rissosa rivalità fra le forze armate russe e i mercenari della Wagner, con le prime che consideravano l’invasione un errore e i secondi un’occasione, ma prima di sabato si vedeva Putin tenere al guinzaglio i suoi cagnacci, ora si vede il dominatore che viene dominato. Che sia sotto tutela delle forze armate o dei mercenari non è chiaro, ma la potenza ha generato impotenza.

La guerra russa in Ucraina è persa fin dall’inizio. Ora porta Putin a finire. Il disegno imperialista e neozarista si è dimostrato per quel che è: un’allucinazione mistico-nazionalista che porta con sé la riduzione della Russia a vassallo della Cina. Chi ha pensato d’essere espressione della storia russa ha dimostrato di non conoscerla o, meglio, di averne assorbito una versione mitica, incapace di imparare dagli errori del passato.

Con tre conseguenze si dovranno fare i conti, nel torbido.

1. I tempi restano incerti e, anzi, quelli della guerra rischiano di allungarsi. È escluso possa farlo Putin, che lo ha sempre rifiutato, ma è ben difficile che altri siano in condizioni e in tempi prevedibili capaci di negoziare una conclusione. Incerti anche i tempi e le modalità della fine di Putin, che sarà un bene per l’umanità e per la Russia.

2. Nello scontro russo non ci sono buoni e cattivi, non ci sono “i nostri” e, con ogni probabilità, quel che succederà dopo la fine sarà orribile quanto quel che c’era. Prigozhin, che riconosce essere tutte balle quelle raccontate sulla minaccia o provocazione della Nato, non per questo diventa un “amico”. Resta un macellaio prezzolato. Ma l’esistenza stessa dello scontro dimostra che le sanzioni (che hanno funzionato eccome) hanno morso gli equilibri economici del potere e dei suoi complici; dimostra che il sostegno politico, civile e di forniture militari all’Ucraina è stato non soltanto giusto ma utile ed efficace. Quindi si continua.

3. La chiave che ha serrato Putin nel suo dannato labirinto è stata quella dell’unità occidentale, che lui aveva escluso. Quello è stato l’atto politico decisivo. Non sufficiente, certo, ma decisivo. E sarebbe spreco di opportunità e di peso se qui da noi non lo si capisse, continuando a biascicare di debolezza europea o di divisioni Nato o dei danni subiti. I danni sono frutto di una scelta criminale, fatta da Putin. Il resto è stata una conquista di maturità politica. Che ora va evoluta, certamente, sul terreno sia dell’integrazione militare che del dialogo diplomatico, ricordando che non è nei nostri interessi la dissoluzione russa, mentre siamo tenuti al confronto costante, anche difficile, con Cina e India.

La torsione guerrafondaia voluta da Putin ha spaccato il suo mondo, anziché il nostro. Non di meno ha generato squilibri pericolosi, i cui effetti devono ancora vedersi. Il convertirsi alla finzione pacifista e alla negoziazione sbracante di quello che fu il vecchio filocomunismo e il suo predecessore filozarista è soltanto l’ultimo travestimento di una natura profonda, che ha in uggia l’Occidente proprio perché orgogliosamente imperfetto nel suo essere libero e democratico. Gli adoratori delle perfezioni dispotiche avranno presto un nuovo cadavere storico su cui versare le loro lacrime.

La Ragione

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In Cina e Asia – Ucraina: Pechino disposta a riconoscere l’integrità territoriale del 1991


In Cina e Asia – Ucraina: Pechino disposta a riconoscere l’integrità territoriale del 1991 ucraina
Ucraina: Pechino disposta a riconoscere l’integrità territoriale del 1991
Netanyahu a Pechino, per l'intelligence israeliana è "un errore"
Economia cinese in affanno: manipolate le entrate fiscali, censurato commentatore finanziario
Mar cinese meridionale e cooperazione militare al centro dei colloqui Cina-Vietnam
Corea del Sud, la società ringiovanisce di un anno
Giappone: libro bianco avverte sui rischi del disaccoppiamento

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#36 / La buona diffidenza


Sempre raggiungibile, arriva IT-Alert / La sorveglianza di massa, quella vera: la FISA 702 / Il futuro delle smart-cities / Meme e citazione del giorno.

Arriva IT-Alert


Oggi inizieranno in Toscana i test di IT-Alert, un sistema di allarme pubblico con cui il governo italiano potrà inviare sms ai telefoni presenti in una o più aree geografiche interessate da gravi emergenze o catastrofi di vario tipo.

In queste ore molte persone sui social esortano a disattivare il servizio, per paura di essere sorvegliate dallo Stato attraverso questa nuova tecnologia — installata sui nostri dispositivi senza consenso.

Diffidare dello Stato e delle sue attività è sempre lecito, sapete bene come la penso. Stavolta però è una paura malriposta, almeno per quanto riguarda la sorveglianza.

Gli SMS infatti vengono sono con una tecnologia chiamata "Cell Broadcast" che permette, attraverso gli operatori di rete, di trasmettere messaggi a tutti i dispositivi agganciati a una cella senza condividere il numero di telefono alla Protezione Civile. Insomma, come un gigantesco megafono. Non c’è nessun trasferimento di dati, né triangolazione dei dispositivi (non più di quanto non sia già possibile fare attraverso le celle telefoniche).

La sorveglianza vera te la spiega Privacy Chronicles. Che aspetti a iscriverti?

I problemi però sono almeno due, ed è lì che le persone dovrebbero rivolgere la loro attenzione.

Il primo, molto pratico, è che IT-Alert ha il potere di controllare da remoto il nostro dispositivo. Infatti, nei comunicati stampa ufficiali leggiamo che quando il messaggio arriva sul dispositivo ogni funzione e operazione in corso viene bloccata per permettere alla persona di leggerlo. Non è quindi la solita notifica pop-up che possiamo ignorare.

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A ciò deve aggiungersi il fatto che, nonostante gli utenti possano disattivare dalle impostazioni del telefono le notifiche, il servizio non viene mai disattivato. La protezione civile avrà sempre il potere di inviare messaggi ad ogni telefono in caso di emergenza grave, anche verso dispositivi con IT-Alert disattivato.

Il secondo punto, più filosofico, riguarda invece il potere di nudging che un sistema del genere può avere. Un messaggio governativo che arriva direttamente sul nostro telefono, che non può essere ignorato e che magari ci intima ad agire in un certo modo con tono d'urgenza, può indurre milioni di persone a fidarsi ciecamente di ciò che leggono e di comportarsi secondo le istruzioni ricevute.

Un po' come accade per quelle email di phishing che ti dicono che se non clicchi sul link succederanno cose orribili. Un potere assolutamente da non sottovalutare e che potrebbe essere anche sfruttato come vettore di attacco per creare il caos in un intero paese.

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Per chi davvero non volesse saperne niente di IT-Alert e di molti altri sistemi invasivi e di sorveglianza installati sui nostri dispositivi, è consigliabile optare per un sistema operativo alternativo, come LineageOS o GrapheneOS.

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La sorveglianza di massa, quella vera: la FISA 702


La sorveglianza vera non è certo quella di app come IT-Alert.

È quella della agenzie di intelligenze americane, che da decenni spiano ogni nostra conversazione, messaggio, email e profili social. Quella che già nel 2013 fu scoperta da Snowden; quella della famigerata FISA (Foreign Intelligence Surveillance Act), sezione 702.

Immagina Internet come un enorme oceano pieno di pesci, dove i pesci rappresentano email, messaggi, foto, video e un’enorme quantità di metadati online. La NSA e l’intelligence statunitense sono come pescatori, che attraverso tecnologie e processi particolari (come il programma “PRISM” scoperto da Snowden) gettano nel mare di Internet enormi reti a strascico e tirano su qualsiasi cosa ci finisca dentro.

I pesci sono poi setacciati ed esaminati, per vedere se qualcuno di quelli è particolarmente interessante per loro. Gli altri, quelli non interessanti (per il momento) vengono congelati per l’uso in un secondo momento.

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La sezione 702 scade quest’anno e il Congresso sarà chiamato a rinnovarla. Fortunatamente, sempre più persone diffidano dell’operato delle agenzie di intelligence, che nel tempo hanno dimostrato tutta la loro mancanza di buona fede. La legge viene da molti anni abusata per sorvegliare gli stessi cittadini americani, e le critiche alla sezione 702, figlia della “guerra al terrorismo”, sono sempre più aspre:

What has become abundantly clear over the last 15 years is that these protections are not working,” Goitein said. “All agencies that receive Section 702 data have procedures in place, approved by the FISA court, that allow them to run electronic searches … for the purpose of finding and retrieving the phone calls, text messages and emails of Americans.”

A report by the Brennan Center for Justice states that “since 2006, the National Security Agency (NSA) has been secretly collecting the phone records of millions of Americans from some of the largest telecommunications providers in the United States, via a series of regularly renewed requests by the Federal Bureau of Investigation (FBI).”


Oggi la pesca a strascico si arricchisce anche con nuove tecnologie, come i dati biometrici. Un esempio è l’attività dell’odiosa ClearviewAI — un’azienda che ha raccolto negli anni 30 miliardi di immagini dai nostri social (sì, anche la tua) per crearne dati biometrici utilizzabili dalle forze dell’ordine e intelligence americana per identificare ognuno di noi in tempo reale.

Ecco, forse è il caso di preoccuparsi di questo, più che di IT-Alert.

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Il futuro delle smart-cities


Chiudiamo con un esercizio d’immaginazione. Come saranno le città del futuro? Con ampi spazi verdi, biciclette ovunque, persone felici e bambini che giocano a palla nel parco? Forse su un altro pianeta, o in un’altra tempo-linea.

Per me è più probabile invece che ad aspettarci ci saranno città piene di grattacieli enormi, in grado di ospitare decine di migliaia di persone. Dentro: supermercati, farmacie, ambulatori, zone relax e piscine, ristoranti, discoteche e intrattenimento.

Entro qualche anno molte attività industriali e manuali saranno automatizzate con IA e robot. Chi ancora lavorerà, lo farà da remoto. Non possedendo un’automobile e avendo tutto a portata di mano, non usciranno quasi mai dal loro palazzo. Le interazioni sociali dal vivo saranno ridotte al minimo, anche grazie a innovazioni come il VisionPro per la realtà aumentata.

Ingressi e uscite dalle zone di residenza saranno comunque tracciati con riconoscimento biometrico e richiederanno una specifica giustificazione, come già accade per entrare in città come Venezia o in Area B a Milano. L’idea di città da 15 minuti assumerà una dimensione verticale.

Nel frattempo saranno sviluppate nuove cure per malattie mentali inventate, così da poter tenere a bada la popolazione e reprimere i più basilari istinti di sopravvivenza.

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Fantasia distopica? Magari sì. In Cina però ci si avvicinano già molto. Devo ricordarvi quanto i nostri ingegneri sociali amino il modello cinese? Il consiglio, di nuovo, è di diffidare di chiunque voglia proporvi la salvezza con la tecnologia e le città da 15 minuti.

Meme del giorno


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Citazione del giorno

“Make yourself sheep and the wolves will eat you”

Benjamin Franklin

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Ghiacciai bollenti, incubo acqua per l’Asia


Ghiacciai bollenti, incubo acqua per l’Asia crisi climatica himalaya acqua
Gli effetti dell’aumento delle temperature sull’Himalaya in un nuovo report: la principale riserva idrica del continente a secco nel 2100. Nell’area dell'Hindu Kush presa in esame nascono Yangtze e Fiume Giallo, Indo, Gange e Mekong. L’entusiasmo per nuove centrali idroelettriche e dighe cinesi raffreddato dai picchi di calore

L'articolo Ghiacciai bollenti, incubo acqua per l’Asia proviene da China Files.



TUNISIA. Appello dell’opposizione a sanzionare il presidente Saied


La repressione del dissenso da parte del capo dello stato è stata descritta dai centri per i diritti umani come una "caccia alle streghe politicamente motivata" L'articolo TUNISIA. Appello dell’opposizione a sanzionare il presidente Saied proviene da Pag

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della redazione

(nella foto l’oppositore tunisino incarcerato Said Ferjani)

Pagine Esteri, 28 giugno 2023 – Sostenitori e amici dei leader dell’opposizione tunisina incarcerati, lanciano appelli al Regno Unito, all’Unione Europea e agli Stati Uniti affinché impongano sanzioni al presidente Kais Saied, responsabile, denunciano, di arresti e torture contro “chiunque sia considerato critico nei confronti del suo governo”. Chiedono anche misure internazionali contro il ministro dell’Interno Kamal Feki, la ministra della Giustizia Leila Jaffel e il ministro della Difesa Nazionale Imed Memmich.

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Il presidente tunisino Kais Saied

“Abbiamo chiesto qui al governo nel Regno Unito di imporre sanzioni a queste persone. Abbiamo fatto lo stesso anche nell’Unione Europea, al Parlamento europeo ed è stata intrapresa un’iniziativa negli Stati Uniti”, ha detto al portale Middle East Eye, l’avvocato a Londra delle famiglie degli incarcerati. “Se le sanzioni verranno imposte – ha aggiunto – queste persone non potranno più viaggiare e continuare le loro attività commerciali in tutto il mondo. I loro conti bancari e quelli dei loro associati e delle loro aziende saranno rintracciati e congelati e non potranno effettuare transazioni nei nostri Paesi come se tutto fosse normale”.

Negli ultimi mesi, Saied ha intrapreso quella Amnesty International descrive come una “caccia alle streghe politicamente motivata”. Le autorità tunisine che hanno arrestato decine di attivisti politici, giudici e avvocati. Sono stati detenuti diversi esponenti dell’opposizione tra cui Said Ferjani, l’ex ministro della Giustizia Noureddine Bhiri e l’ex Pubblico ministero Bechir Akremi.

Ferjani, 68 anni, è stato arrestato senza un mandato di cattura il 27 febbraio. Non è accusato di alcun reato e all’inizio di quest’anno ha iniziato uno sciopero della fame in segno di protesta contro la sua detenzione. Bhiri è stato violentemente prelevato dalla sua casa il 13 febbraio e successivamente è comparso in tribunale con una spalla slogata. Akremi è stato arrestato il 12 febbraio e portato in un luogo sconosciuto. La richiesta di sanzioni arriva anche in seguito all’arresto, avvenuto il 17 aprile, dell’ex presidente del Parlamento e leader del partito Ennahda, Rached Ghannouchi.

La Tunisia è in una crisi politica profonda dall’estate del 2021, quando Saied ha sospeso il parlamento e sciolto il governo. Dopo l’ascesa al potere, il presidente ha scelto di governare per decreti, una mossa che gli oppositori hanno denunciato come un “colpo di stato costituzionale”.

La nazione nordafricana ha tenuto elezioni parlamentari lo scorso dicembre, che i gruppi per i diritti umani e gli avversari politici di Saied hanno definito “una farsa”. Poco più del 10% degli elettori aventi diritto si sono recati alle urne. Negli ultimi mesi, l’opposizione è molto cresciuta anche a causa di riforme economiche impopolari, tra cui tagli alla spesa pubblica e la riorganizzazione delle società pubbliche.

I tunisini sono stati colpiti duramente dalle conseguenze della guerra in Ucraina che hanno causato all’aumento dei prezzi degli alimenti e la carenza di beni di prima necessità come zucchero, olio e riso. Pagine Esteri

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PRIVACYDAILY


N. 151/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: La revisione della legge sulla protezione dei dati entrerà in vigore in Svizzera il 1° settembre. Di conseguenza, l’incaricato federale per la protezione dei dati intensificherà le sue attività di sorveglianza e aumenterà il numero di indagini. Il volume e la portata del trattamento dei dati personali sono... Continue reading →



Oggi il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge dedicato agli interventi in materia di sicurezza stradale e delega per la revisione del Codice della strada, presentato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, …


“Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”


Domani 28 giugno dalle ore 15.00 parteciperò al convegno “Protezione dei dati personali e nuove tecnologie tra diritto pubblico e diritto privato”, organizzato da Assoprivacy e dal Centro per la Regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale CRIA presso l’Università dell’Insubria – DiECO. Dipartimento di Economia – Aula Consiglio, Via Monte Generoso, 71 –VaresePer maggiori info qui assoprivacy.eu/save-the-date-c…


guidoscorza.it/protezione-dei-…



“Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”


Domani 28 giugno dalle ore 10.15 sarò a Milano- Sala teatro – Via Copernico, 38 al convegno “Il GDPR ci vuole tutti gendarmi?”, organizzato da Dario Fumagalli e OneSeal.Qui per info ontraining.eu/evento_il-gdpr-c…


guidoscorza.it/il-gdpr-ci-vuol…



#IranWomenasAllMankind, il documento di Fondazione Einaudi ed ELF: “Tenere alta l’attenzione sull’Iran”


Un appello ai media italiani affinché mantengano alta l’attenzione sull’Iran, la vicinanza al popolo iraniano che si oppone al regime teocratico e militare e un richiamo alle diverse forze della diaspora iraniana affinché superino le rispettive diffidenze

Un appello ai media italiani affinché mantengano alta l’attenzione sull’Iran, la vicinanza al popolo iraniano che si oppone al regime teocratico e militare e un richiamo alle diverse forze della diaspora iraniana affinché superino le rispettive diffidenze e si uniscano contro l’avversario comune rappresentato dal regime. Sono i tre punti emersi nel dibattito, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con European Liberal Forum, che si è svolto questa mattina nella sede della Fondazione e si è concluso con la condivisione un documento.

Dal 16 settembre 2022, dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini all’indomani del suo arresto da parte della polizia morale iraniana, Teheran è diventata teatro di una serie di proteste che intrecciano la questione femminile e delle libertà dell’uomo. Per ragionare di questa grave emergenza, la Fondazione Luigi Einaudi ed ELF hanno promosso a Roma una tavola rotonda, a seguito della quale si è scelto di lanciare l’hashtag: Iran Women as All Mankind (#IWAM).

Un dibattito plurale tra esperti liberali di cultura, politica e società iraniana e politici italiani di vario orientamento, in cui è stata fatta una panoramica approfondita e critica della resistenza civica iraniana delle donne e di come supportare questo fenomeno, tema chiave anche in vista delle imminenti elezioni europee. Si è trattato di un primo step per ragionare su proposte legislative da promuovere in sede europea.

All’incontro hanno partecipato Andrea Cangini, Segretario generale Fondazione Luigi Einaudi, Catharina Rinzema, MEP Volkspartij voor Vrijheid/Renew Europe, Renata Gravina, Researcher Sapienza, Fondazione Luigi Einaudi, Melissa Amirkhizy, European Liberal Forum, Antonio Stango, Italian Federation for Human Rights, Elisabetta Zamparutti, former MP Nessuno tocchi Caino, Luciana Borsatti, independent journalist, Alberto Pagani, Partito Democratico, Paolo Formentini, Lega, Lia Quartapelle, Partito Democratico, Andrea Orsini, Forza Italia.

La Fondazione Luigi Einaudi ed ELF si battono per far mettere in cima all’agenda del Parlamento europeo il dibattito sull’Iran, perché convinti che la liberazione delle donne iraniane equivalga al libero sviluppo del genere umano.

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Pellegrinaggio alla Mecca: diventa un lusso a causa dei prezzi sauditi


Alcuni pellegrini riferiscono che anche il pacchetto più economico disponibile, che include la condivisione delle camere d'albergo e il viaggio via terra, ha un costo esorbitante. L'articolo Pellegrinaggio alla Mecca: diventa un lusso a causa dei prezzi

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della redazione

Pagine esteri, 27 giugno 2023 – Il costo dell’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca dovere religioso per i musulmani, è un lusso che sempre meno fedeli possono permettersi. L’eccezionale aumento dei prezzi in Arabia saudita è un ostacolo che devono affrontare gli oltre due milioni di musulmani stranieri – record di presenze – che in questi giorni affollano Mecca e Medina, i luoghi santi dell’Islam. Alcuni pellegrini riferiscono che anche il pacchetto più economico disponibile, che include la condivisione delle camere d’albergo e il viaggio via terra, ha un costo esorbitante. L’anno scorso i pellegrini pagavano lo stesso prezzo per un pacchetto che includeva anche i voli.

Secondo calcoli fatti dai media arabi un fedele musulmano, pur contenendo le spese, spende almeno seimila dollari per recarsi in Arabia saudita e per svolgere le varie fasi del pellegrinaggio. I più poveri riescono a sostenere questi costi solo grazie ad aiuti di associazioni religiose e a prestiti e donazioni di amici e parenti.

Il governo saudita incassa una porzione significativa di ciò che pagano i pellegrini per l’alloggio, i trasporti e le tasse. Prima della pandemia, nelle casse del regno dei Saud entravano dall’hajj circa 12 miliardi di dollari, senza contare gli introiti derivanti dall’arrivo e della permanenza nel Paese di altri 19 milioni di stranieri per il cosiddetto “pellegrinaggio piccolo”, l’umrah, che può essere eseguito in qualsiasi momento dell’anno. Pagine Esteri

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“TikTok, Quo Vadis?”


Oggi dalle ore 17.00 parteciperò a “TikTok, Quo Vadis?”, un incontro promosso da Formiche alla Lanterna di Roma con la moderazione di Flavia Giacobbe nel quale discuteremo del futuro della globalizzazione digitale.


guidoscorza.it/tiktok-quo-vadi…