Comando
Non c’è organizzazione che possa funzionare senza chiarezza della linea gerarchica, senza sapere chi fa cosa e chi prevale su chi. Non c’è organizzazione che possa salvarsi da devianze e degenerazioni se al potere di comando non corrisponde la responsabilità e, di converso, se la responsabilità non corrisponde ad un potere. Nominare dei commissari, ovvero sostituire la linea gerarchica con un accentramento di potere e responsabilità, può risolvere un problema, ma può diventare a sua volta un problema.
Prendiamo il caso del Generale Francesco Paolo Figliuolo. Esperto di logistica, ha dato prova non buona, ma eccellente nell’organizzare la vaccinazione di massa. Organizzazione perfetta, file ordinate e veloci, rari i casi di intemperanze o sprechi di tempo. Dovrebbe essere normale, ma guardate quel che succede -per dirne una- nel rilascio dei passaporti e ricordiamoci che un lavoro ben fatto va apprezzato anche perché non consueto. Ma in quel caso era indubbio che ci si trovasse davanti ad una emergenza e che dovessero essere approntati strumenti altrettanto d’emergenza. Ora il generale Figliuolo è commissario per l’alluvione in Romagna. Escluso che si discutano le sue capacità, apprezzata la continuità con le scelte del governo Draghi, in che consiste l’emergenza? I giorni terribili dell’alluvione sono alle spalle e, dopo due mesi, non si tratta di approntare i soccorsi. Le “missioni” sono due: a. fare in modo che dopo l’efficienza dei soccorsi non ci sia il vuoto negli accertamenti dei danni e nella ricostruzione di ciò che è andato perso; b. eseguire i lavori per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua e delle infrastrutture. Due “missioni” che dovrebbero essere (state) assolte dalle istituzioni amministrative esistenti. Nominare un commissario non tappa una falla improvvisamente apertasi, ma sfiducia l’organizzazione istituzionale “normale”.
È solo un esempio, perché molti altri se ne potrebbero fare (ci sono sistemi sanitari commissariati da decenni, che per la durata segnalano la necessità di commissariare il commissariamento). Nessun sistema istituzionale è perfetto, sicché metterli costantemente a punto è la normalità. Non è normale codificare linee di comando per poi puntualmente derogarle. Non lo è accentrare le competenze e i poteri nel mentre si pretende di decentrarli ancora di più. Anche perché in questo bailamme va a finire che si smarrisce la riconoscibilità sia del potere che della responsabilità, non sapendo più chi fa cosa, chi prevale su chi e chi ne risponde. Nel caso delle acque siamo arrivati all’assurdo di un commissario nazionale che sovraintende a commissari locali, nel mentre si pretende che la faccenda sia di competenza regionale.
Né ha alcun senso pensare di affrontare la contraddizione rafforzando il mandato in capo a chi governa, perché i presidenti delle Regioni sono già eletti direttamente, ma non per questo (come si è visto) non possono essere scavalcati dai commissari. Affiancare il regionalismo ancora più marcato con una specie (imprecisata) di presidenzialismo governativo, quindi, non è un modo per trovare un equilibrio, ma per cuocere lo stufato di montone mettendoci anche la rana pescatrice e la liquirizia.
A taluno potrà sembrare un tema adatto a perditempo che si suppongono cultori degli equilibri e funzionamenti istituzionali, ma giusto ieri, sul Corriere della Sera, il prof. Sabino Cassese non ha lanciato un allarme, ma direttamente un’accusa: molti decreti legge -che fanno del governante un legislatore- sono come la minestra di Gian Burrasca, fatta con la risciacquatura dei piatti: sovrapposti, scoordinati, incoerenti, prolissi e non funzionanti. E di Cassese non si può dire che non sia cultore della materia o che sia prevenuto contro il governo in carica.
Dietro tutto questo c’è la voragine del procedere per proclami e senza capacità esecutiva. Parole e fatti che divorziano. Sarebbe un tema per la politica, ove esistesse e non si dedicasse alle suggestioni anziché alla realtà.
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La Cina serra i ranghi puntando sull’educazione patriottica
Aumentano le incognite esterne, Pechino riflette sul modo di insegnare l’orgoglio nazionale a scuola. Dal suo primo mandato Xi Jinping insiste sulla continuità della civiltà millenaria cinese
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In Cina e Asia – Calo di giovani nel Partito comunista cinese
Calo di giovani nel Partito comunista cinese
Cina: Pan Gongsheng nuovo segretario del Pcc per la PBOC
La Cina introdurrà nuove misure economiche per facilitare il suo ingresso nel CPTPP
Hong Kong: il discorso di John Lee per il 26° anniversario del passaggio della città alla Cina
Chip: i Paesi Bassi svelano dettagli sui nuovi divieti
LGBTQ: concessione temporanea dei diritti in Nepal e pride in Corea del Sud
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PRIVACYDAILY
VIDEO. Esercito israeliano rioccupa Jenin. Morti e feriti
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della redazione
Pagine Esteri, 3 luglio 2023 – Anticipata da giorni dai media locali e invocata da ministri e parlamentari della destra estrema al governo, è cominciata l’ampia operazione dell’esercito israeliano contro la città palestinese di Jenin e il suo campo profughi, nel nord della Cisgiordania. Sono coinvolti migliaia di soldati, carri armati Merkava sono schierati nei pressi della città e droni hanno colpito diversi obiettivi. Il bilancio al momento parla di tre palestinesi uccisi e di altri 25 feriti, 7 dei quali sono in condizioni critiche. Non si segnalano vittime tra i soldati, nonostante l’intenso fuoco di sbarramento da parte di decine di combattenti palestinesi che avrebbero anche abbattuto un drone e fatto esplodere un ordigno sotto una ruspa militare israeliana. Giungono in queste ore notizie di rastrellamenti e ampie distruzioni, particolare delle strade del campo profughi.
Difficile prevedere quanto durerà la rioccupazione di Jenin. Nei giorni scorsi si parlava di 48 ore ma è improbabile che in un tempo così breve le forze israeliane possano avere ragione di organizzazioni armate ben strutturate. Il rischio, oltre ad un bagno di sangue, è che l’operazione inneschi reazioni a catena in Cisgiordania dove la lotta armata è ormai vista da molti come l’unico mezzo per mettere fine all’occupazione militare israeliana.
Migliaia di palestinesi la scorsa notte hanno già sfilato in protesta a Nablus e altri centri abitati. Alla periferia di Ramallah i soldati hanno ucciso un manifestante. Pagine Esteri
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Inizia il viaggio di Euclid: osserverà l’Universo “oscuro” | Astronomia.com
"L’obiettivo scientifico di Euclid è generare una mappa 3D dell’Universo. [...] Le precise rilevazioni che Euclid fornirà permetteranno di mappare le due entità più elusive dell’Universo e che tuttavia ne costituiscono ben il 95%: la materia oscura e l’energia oscura, così aggettivate perché gli astronomi non hanno fondamentalmente idea di cosa siano."
Perché la Francia brucia
Da qualche giorno la Francia brucia: incendi, esplosioni, migliaia di auto ed edifici distrutti; orde di persone che saccheggiano, rubano e sfondano vetrine di supermercati, negozi e armerie. Qualcuno che smonta pali di videosorveglianza con le ruspe (grazie!). Si è visto di tutto. Da Parigi a Lione, fino in Marsiglia…
Il governo francese ha mobilitato quasi 50.000 forze dell’ordine, che però non possono assolutamente nulla, se non dimostrare l’inutilità della loro esistenza. Il governo non può reprimere in alcun modo queste proteste, né usare la (giusta) violenza contro coloro che da giorni distruggono proprietà privata e mettono in pericolo la vita dei cittadini francesi. Si limiteranno a farsi vedere in video e arrestare qualcuno, ma per il resto, i francesi sono soli.
Così alcuni — già denominati dai mass media “nazionalisti” — hanno deciso di scendere in strada con mazze e spranghe e difendere da soli i loro quartieri, le loro proprietà e la loro famiglia. In qualche modo i giornalisti riusciranno a farli passare per vigilanti cattivi.
Perché sta succedendo tutto questo? I giornalisti dicono che è per colpa di un poliziotto che ha sparato e ucciso un 17enne algerino-francese di nome Nahel in un posto di blocco (ma la patente in Francia a che età si prende?).
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Trovare un singolo evento scatenante è però tipico dei mass-media, il cui unico ruolo è indirizzare e polarizzare le masse da una parte e dall’altra, con iper-semplificazioni e favolette.
“È colpa dell’Islam e degli africani!”, gridano alcuni. “È colpa della polizia fascista e del governo!”, gridano altri. Entrambe le fazioni però vogliono la stessa cosa: giustificare moralmente la violenza di Stato che arriverà inevitabile una volta che saranno spenti gli incendi e placati gli animi.
La mia idea è che le rivolte violente siano invece espressione naturale di diversi fattori connessi tra loro: statalismo, globalismo (neo-marxismo) e svalutazione della moneta.
Il primo elemento è lo statalismo: un sistema istituzionalizzato di violenza. Un sistema che non lascia ai cittadini, i nuovi sudditi, alcuna scelta — se non quella di combattere e salire al potere; rubare o essere rapinati; uccidere o essere uccisi.
Lo statalismo provoca sempre la frammentazione sociale in gruppi rivali tra loro. La pressione politica da parte di gruppi in costante lotta tra loro per acquisire potere e vantaggi a discapito degli altri è una forma di guerra civile perpetua. Quando il metodo politico (violento) sostituisce il metodo di mercato, non c’è alcuna scelta se non combattere coi mezzi che si hanno a disposizione.
Mises scriveva nel 19451: “La nostra società è piena di conflitti tra gruppi con interessi diversi. Ma questi conflitti non sono inerenti alla natura di una società capitalistica di libero mercato. Sono il risultato delle politiche dello Stato, che interferiscono con il mercato. Non sono conflitti tra classi marxiste. Sono conflitti che derivano dal fatto che il genere umano sta tornando indietro a logiche di privilegio di gruppo, verso un nuovo sistema di caste.”
Per sopravvivere in un sistema del genere gli uomini non hanno alcuna scelta, se non odiarsi a vicenda, avere paura del prossimo e cercare di distruggersi a vicenda; è un sistema fatto di complotti, conspirazioni, favori, tradimenti. Non è un sistema da cui può nascere fratellanza, sicurezza, cooperazione e pace.
La storia insegna che è il libero mercato a stimolare fratellanza, cooperazione e pace. Fino al 1300 l’economia europea era fondata sul commercio internazionale di merci, disciplinato da regole negoziali di natura volontaria e sostenuto da un sistema bancario libero, molto presente soprattutto nella penisola italica2. Popoli diversi, con culture ed etnie diverse, collaboravano tra loro nei limiti di quanto necessario alla reciproca sopravvivenza e arricchimento, sia materiale che spirituale.
Oggi invece popoli diversi sono costretti a convivere tra loro in modo forzato e artificiale; non per il mutuo beneficio ma per sfruttare l’arma statale e ottenere vantaggi politici e fiscali a discapito degli altri. Allo stesso tempo il commercio viene invece limitato — se non del tutto vietato — anche verso le stesse popolazioni che poi, magari, accogliamo come rifugiati.
Il che, ci porta al secondo punto: la rivoluzione industriale e le sue conseguenze. Anzi: il globalismo e le sue conseguenze.
Brock Chisholm, psichiatra e primo direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, disse: "Per arrivare a un governo globale è necessario rimuovere dalle menti degli uomini l'individualismo, la devozione nei confronti delle tradizioni famigliari, il patriottismo nazionale, e i dogmi religiosi."
Per avere un governo globale bisogna quindi prima rimuovere gli ostacoli.
Un popolo multi-etnico, multi-culturale, laico e statalista accetterà molto più facilmente di essere governato da enti sovranazionali come UE, OMS, ONU e tanti altri. Così come individui senza forti legami e tradizioni famigliari saranno più facilmente suscettibili al potere dello Stato e alla pressione sociale dei vari gruppi di potere. Già secondo Marx e Engels l’idea tradizionale di famiglia andava abolita, in quanto fonte di individualismo e capitalismo. Cioè di libertà.
Milioni di individui oggi sono schiacciati dal peso di un sistema che li rende incapaci di sopperire autonomamente ai propri bisogni primari e li assoggetta a migliaia di leggi e aspettative sociali su cui non hanno alcun controllo. Così — disorientati, soli e spesso senza legami familiari, finiscono per alienarsi dagli altri e dalle comunità locali a cui invece dovrebbero far riferimento.
Non c’è da stupirsi quindi che i criminali che vediamo in video siano individui molto giovani, a cui probabilmente manca una famiglia e un’identità culturale e storica. Che identità culturale potrà mai avere chi cresce a Parigi, Londra o Milano nel 21esimo secolo?
Leopold Kohr scriveva in “The Breakdown of Nations” che quando una società o un sistema diventa troppo grande, collassa inevitabilmente su se stesso.
Nelle piccole comunità, scriveva Kohr, è più semplice mantenere le tradizioni culturali, e c’è spesso una forte condivisione degli stessi valori, nonché un rispetto reciproco derivante dalla stessa etnia e radici storiche.
Le grandi metropoli europee non hanno ormai più nulla di tutto questo: nessuna radice storica condivisa, nessuna tradizione (no, l’aperitivo non è una tradizione), nessun valore, né senso di comunità.
Nel voler esaltare l’integrazione etnica e culturale gli ingegneri sociali globalisti hanno finito invece per incentivare meccanismi di autodifesa che provocano ghettizzazione e (auto)marginalizzazione delle minoranze etniche. Come mescolare insieme olio e acqua. E tutti sappiamo cosa succede quando la temperatura sale.
Le rivolte, le guerre civili, la povertà e il conflitto sociale sono effetti previsti della transizione verso il nuovo mondo globale e unificato.
Klaus Schwab, leader del World Economic Forum e portavoce del movimento globalista occidentale, lo disse non troppo tempo fa al B20 di Bali: “C’è da aspettarsi che questa ristrutturazione sociale ed economica possa portare del malcontento. Il periodo di transizione —che potrebbe durare diversi anni, causerà una diminuzione del benessere e molte tensioni sociali.”
Klaus Schwab al B20 di Bali, nell’ambito del G20
L’aumento dei conflitti e delle tensioni sociali in tutto l’occidente richiederà azioni condivise e unificate, prese da enti sovranazionali lontani anni luce dagli interessi delle persone e dalle comunità in cui vivono.
E infine, un fenomeno troppo spesso sottovalutato quando si parla di questi temi: la costante svalutazione della moneta, che prosegue inarrestabile da cento anni.
Più la moneta viene svalutata, più l’orizzonte temporale delle persone si comprime. Come scrive Saifedean Ammous: “l'abbassamento della preferenza temporale è ciò che dà inizio al processo di civilizzazione umana e permette agli esseri umani di cooperare, prosperare e vivere in pace”.
Viceversa, preferenze temporali più alte (cioè a breve termine) portano le persone a preferire risultati immediati — anche a discapito del loro stesso futuro! Le preferenze temporali plasmano la nostra realtà e le nostre società.
Dare più importanza al beneficio immediato significa cedere agli istinti, rinunciare alla ragione e alla cooperazione a favore della violenza. Significa, in breve, avvicinarsi agli animali. Non stupisce allora che i rivoltosi francesi abbiano iniziato a danneggiare, distruggere e saccheggiare come bestie rabbiose qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, senza curarsi delle conseguenze.
Non ce l’hanno con lo Stato — come ragione vorrebbe, se la causa di tutto fosse l’omicidio del giovane algerino da parte del poliziotto — non ce l’hanno con nessuno.
Vogliono solo fare casino: animali persi, senza cultura, senza identità, senza famiglia, senza ragione e senza alcun orizzonte temporale. Utili idioti, protagonisti e spettatori di un cinema macabro che serve soltanto a polarizzare le opinioni e avanzare nel programma prestabilito.
Domani
Quando le proteste avranno fatto il loro corso il governo francese potrà fare la sua mossa e chiedere il supporto europeo per gestire l’ennesima “crisi globale”. Diranno, giustamente, che ciò che sta accadendo in Francia può accadere ovunque; che serve un’azione condivisa e globale.
I francesi nel frattempo si ritroveranno città piene zeppe di guardie e telecamere con riconoscimento facciale e nuove scintillanti leggi di sorveglianza e di censura. Il Ministro della Giustizia francese ha d’altronde già intimato di voler bloccare Snapchat, usato “dai giovani” per organizzare le rivolte. Anche alcuni video sono già stati censurati su Twitter, su richiesta del governo francese.
E poi qualcuno alzerà la mano e dirà che la situazione è insostenibile: siamo troppi; le città sono troppo grandi e impossibili da controllare.
Così procederà anche l’agenda delle città da 15 minuti, i nuovi ghetti 2.0 tanto cari al World Economic Forum. Centinaia di migliaia di persone saranno rinchiuse nei loro quartieri, ammassate tra loro e costrette a un’integrazione forzata che non avverrà mai. Ingressi e uscite saranno controllati con autenticazione biometrica e ogni azione sarà monitorata dalle cabine di regia che anche in Italia iniziano a chiamare “control room”.
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L'ennesima coglionata di Elon Musk sta mettendo sotto pressione Mastodon.
Il server di mastodon.uno è al momento irragiungibile: oggi c'è stata una nuova migrazione di massa da parte degli utenti di Twitter...
@filippodb - fddt sta lavorando insieme agli altri sistemisti per risolvere il problema.
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Stati Uniti, la vergogna fa 37 | Cumpanis
«Washington non ha mai accettato quanto sentenziato dalla massima autorità giuridica internazionale e, 37 anni dopo, continua a non farlo. Dietro le opposizioni giuridiche, c’è una verità politica: accettare la sentenza implicherebbe il riconoscimento degli Stati Uniti come nazione tra le altre, costretta cioè al rispetto del Diritto Internazionale e delle istituzioni chiamate a tutelarlo. Inconciliabile con lo status di “eccezionalità”, che si sono assegnati in Costituzione e poi nell’agire criminale che ha contraddistinto i loro 249 anni di esistenza, fatti di 232 anni di guerre e circa 30 milioni di vittime sacrificate per l’affermazione di un modello folle, darwiniano ed escludente.»
Commissariamento
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L'articolo Commissariamento proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
FRANCIA: “Dietro le rivolte il nodo mai sciolto di razzismo e discriminazione”
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di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 1 luglio 2023. Quarta notte di scontri in Francia tra polizia e manifestanti, con oltre mille arresti, di cui un centinaio a Marsiglia, a poche ore dai funerali, previsti oggi nel pomeriggio, del 17enne Nahel ucciso da un poliziotto a Nanterre.
Le forze di sicurezza sono intervenute anche con mezzi blindati per disperdere i manifestanti in diverse città. Il presidente Emmanuel Macron non ha dichiarato lo stato d’emergenza, come molti prevedevano e come chiede a gran voce la destra.
Il governo però ha annullato concerti ed eventi pubblici. Ferme alle 21 le corse degli autobus e dei tram. Sulle ragioni sociali e politiche che sono dietro la proteste di questi giorni, abbiamo intervistato la sociologa Caterina Bandini, residente da anni a Parigi.
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L'articolo FRANCIA: “Dietro le rivolte il nodo mai sciolto di razzismo e discriminazione” proviene da Pagine Esteri.
Etiopia, quasi un migliaio di persone morte di fame in Tigray causa sospensione del supporto alimentare
Oltre 700 morti per fame sono state registrate in 7 zone amministrative del Tigray nelle ultime settimane a causa della sospensione degli aiuti alimentari daparte delle agenzie umanitarie degli USA e dell’Europa, USAID e WFP.
Almeno 27 persone, tra cui 11 bambini, sono morte di fame nel campo per sfollati interni (IDP) di Abiy Adi, nel Tigray.
La Commissione per la gestione del rischio di catastrofi del Tigray ha registrato 728 morti.
La cifra include 350 morti per fame nella zona nord-occidentale del Tigray, ancora sotto occupazione amhara, e territorio che ospita migliaia di persone di etnia tigrina sfollate a causa dellla guerra genocida durata per due anni.
I dati si basano su informazioni raccolte dai funzionari distrettuali, ha affermato il capo della commissione, Gebrehiwot Gebregziaher aggiungendo:
“La situazione nel Tigray è molto difficile. Molte persone muoiono a causa della carenza di cibo”
I ricercatori dell’Università di Mekelle, parallelamente alla ricerca della Commissione per la Gestione del Rischio di Catastrofi del Tigray, hanno documentato 165 morti per fame in sette campi per sfollati interni nel Tigray dall’inizio della sospensione degli aiuti alimentari.
Ci sono oltre 100 di questi campi in tutta nello stato regionale del Tigray.
I decessi sono stati segnalati dai coordinatori del campo per sfollati ai ricercatori, che stanno indagando sulla situazione di sopravvivenza precaria di queste persone.
La maggior parte dei decessi riguarda bambini, anziani e persone con problemi di salute pregressi, ha affermato un ricercatore che ha parlato in condizione di anonimato per paura di rappresaglie. Ha collegato le morti direttamente alla sospensione degli aiuti.
Un aggiornamento delle Nazioni Unite pubblicato il 14 giugno afferma che il numero di bambini ricoverati negli ospedali del Tigray per malnutrizione è aumentato del 196% tra aprile 2022 e aprile 2023.
Mercoledì 28 giugno Tigrai TV condivide la notizia e le testimonianze degli sfollati a Ofla, nel Tigray meridionale, che stanno ancora soffrendo per mancanza di cibo e medicine.
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Tigrai TV aggiunge la segnalazione e testimonianza da parte di una ostetrica dell’ Ayder Hospital di Mekelle che denuncia nutrizione e medicinali inadeguati.
“Madri all’ospedale di Ayder costrette a partorire prematuramente a causa di un’alimentazione e medicine inadeguate”
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In Maggio 2023 l’ Health Cluster Operational Presence Map condivide la mappa dello stato regionale del Tigray che rappresenta la situazione disastrosa delle strutture sanitarie, degli ospedali. Il sistema sanitario e le sue strutture a livello regionale durante i 2 anni di guerra sono stati saccheggiati, vandalizzati, occupati e distrutti per il 90%. Oggi milioni di persone ne pagano le amare conseguenze.Health Cluster Operational Presence Map – Tigray ospedali Maggio 2023
Giovedì 29 giugno Tim Vanden Bempt denuncia e sottolinea la triste verità:
“Tutti i partner dell’aiuto sapevano che queste condizioni si sarebbero verificate. Sapevano che migliaia di persone sarebbero morte. E hanno permesso che accadesse comunque. Quando USAID dice di essere inorridito, dovrebbe seriamente guardarsi allo specchio.”
UNOCHA – lo stesso giorno pubblica un resoconto della situazione sanitaria e di maternità, delle madri e dei neonati in Tigray.
“Ho visto mia sorella e molte altre donne incinte soffrire o morire a causa della mancanza di servizi di salute materna e di farmaci durante il conflitto. Ora, con l’accordo di pace, possiamo spostarci e accedere ai servizi sanitari”, dice Tigist, incinta di nove mesi del suo primo figlio presso la Maternity Waiting Home di Maedot nel Megab Health Center nella città di Hawzen, zona orientale della regione del Tigray.Tigist, una futura mamma di 23 anni, vive a Koraro con il marito e la famiglia, una piccola area rurale a tre ore di cammino attraverso il terreno montuoso.
“Sono stata portata su una barella di legno dai membri della mia comunità perché non c’è trasporto. Il centro sanitario del mio villaggio è stato distrutto durante il conflitto ed è per questo che siamo venuti all’Hawzen Health Center”, spiega Tigist all’UNFPA.
Ed sottolinea:
Nonostante alcuni miglioramenti, le strutture sanitarie sono ampiamente sovraccaricate in termini di risorse, capacità e personale per fornire servizi sanitari completi come prima del conflitto.“Questa struttura sanitaria dovrebbe servire 6 distretti ma a causa della distruzione delle strutture sanitarie vicine, attualmente ne stiamo supportando 9. Le madri devono venire a piedi perché l’ambulanza è stata rubata. Altri servizi, come la prevenzione della trasmissione dell’HIV da madre a figlio, non sono disponibili a causa della mancanza di cure e medicinali”, afferma il direttore medico dell’Hawzen Health Center.
La recente guerra genocida, iniziata in Tigray nel novembre 2020 e conclusasi con un accordo di tregua nel novembre 2022, oggi ha lasciato 5,4 milioni su 6 milioni di persone dipendenti dagli aiuti alimentari.
Le Nazioni Unite e gli Stati Uniti hanno sospeso gli aiuti alimentari al Tigray a marzo 2023, dopo la scoperta del saccheggio del materiale alimentare.
Nel periodo di marzo i funzionari statunitensi hanno trovato sacchi di aiuti alimentari sufficienti per 134.000 persone che erano stati deviati e pronti da vendere in un mercato locale a Shire, ad una 50ina di km ad ovest di Axum.
Gli operatori umanitari hanno riferito all’Associated Press che alti funzionari del governo etiope erano profondamente coinvolti. Il governo etiope respinge le accuse descrivendola come dannosa “propaganda” l’idea che sia il primo responsabile della deviazione degli aiuti alimentari. Gli USA di Joe Biden si rifiutano di riattivare la fornitura alimentare finché quei funzionari etiopi non saranno rimossi dal processo di distribuzione del materiale alimentare e non siano introdotti controlli più severi.
L’Associated Press riporta che:
“Il governo etiope respinge come dannosa “propaganda” l’idea che sia lui il principale responsabile della scomparsa degli aiuti nel Tigray e in altre regioni, ma ha acconsentito a un’indagine congiunta con gli Stati Uniti mentre il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite svolge un’indagine separata.”
Durante il conflitto, entrambe le parti hanno saccheggiato i rifornimenti umanitari e il governo ha limitato l’accesso agli aiuti, portando gli investigatori delle Nazioni Unite ad accusarlo di “usare la fame come metodo di guerra”.
All’inizio di giugno 2023 la decisione politicizzata del blocco di fornitura alimentare in Tigray è stata estesa al resto dell’Etiopia colpendo 20 milioni di persone bisognose, ovvero circa un sesto della popolazione del paese.
L’agricoltura potrebbe essere l’alternativa alla dipendenza alimentare umanitaria
La ripresa dell’agricoltura durante la stagione delle piogge potrebbe essere un’alternativa per il popolo del Tigray dalla dipendenza totale dal supporto alimentare umanitario, se non fosse che mancano sementi e gli agricoltori sono in pericolo.
Le vite degli agricoltori e i loro mezzi di sussistenza sono continuamente messi in pericolo dagli ordigni esplosivi e dalle mine antiuomo rimasti sparsi sul terreno del Tigray, il regalo postumo della guerra.
Secondo il Mine Action Service (UNMAS) delle Nazioni Unite, un totale di 726 chilometri quadrati di terra in Etiopia rimane contaminato da mine antiuomo e residuati bellici esplosivi (ERW).
“Sono state segnalate oltre 280 vittime nell’Etiopia settentrionale [nello stato regionale del Tigray] dall’inizio del conflitto, anche se non tutti i casi sono stati verificati, ma si ritiene che molti altri incidenti non siano stati denunciati. L’analisi iniziale mostra che i bambini sono una maggioranza allarmante delle vittime (57%)”
ICRC Ethiopia segnala uno dei tanti, troppi casi di bambini feriti dagli ordigni inesplosi sul terreno.
”Ce lo stavamo lanciando l’un l’altro. È caduto ed è esploso”, dice Abel. Il quattordicenne Abel ed i suoi amici hanno scambiato un ordigno inesploso per un giocattolo. E li ha feriti ad Adi Hageray, Tigray”
A Kola Tambien, tre persone hanno perso gli arti e diversi animali sono morti in seguito a molteplici incidenti di questo tipo in un villaggio locale del distretto, secondo Gezahegn Ambiza, il capo villaggio.
Gezahegn ha aggiunto:
“Otto famiglie sono completamente impossibilitate a coltivare per il terzo anno consecutivo, mentre le attività agricole di altre sono parzialmente limitate a causa degli esplosivi. Abbiamo riferito all’ufficio regionale dell’agricoltura, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta”
Gebremedhin Gebrehiwot, 30 anni, agricoltore, possiede ettari di terreno agricolo che utilizzava per piantare grano, orzo e altri cereali prima della guerra. Nonostante il ritorno della pace nell’area, un tempo teatro di battaglie, dal novembre dello scorso anno, non può tornare a coltivare dato che l’area non è stata ripulita e bonificata dai resti degli ordigni bellici militari, bombe.
“Non posso riprendere l’agricoltura, a meno che gli esplosivi non vengano rimossi dalla mia fattoria da professionisti. Questo ha fatto soffrire me e la mia famiglia di problemi socio-economici. Ora lavoro come lavoratore quotidiano per garantire la sopravvivenza dei miei quattro figli perché non ho altra scelta ed è psicologicamente traumatizzante. Inoltre, ho paura che un giorno possa esplodere e uccidere i miei figli”
Gebremedhin avvisa l’allarmante situazione di vita delle persone in Tigray, nonostante l’accordo di cessazione ostilità firmato ormai 8 mesi fa, il 2 novembre 2022 a Pretoria, un accordo che dovrebbe tutelare i milioni di vittime della guerra ed i loro diritti come individui:
“La stagione delle piogge è già iniziata e gli agricoltori dovrebbero essere già nei loro terreni agricoli, abbiamo bisogno di una soluzione tempestiva prima che la stagione finisca”
Questa situazione è diffusa in tutto il Tigray.
Secondo Atakilti, consigliere economico e coordinatore dell’agricoltura presso la zona orientale nel Tigray, i terreni agricoli rimangono asciutti nei distretti della zona orientale come Irob, Bulemekeda e Gantashum sono tra gli altri distretti, mentre in altre aree gli agricoltori hanno bisogno di input agricoli tra cui buoi, sementi e fertilizzanti ecc. perché la maggior parte delle loro proprietà è stata saccheggiata e distrutta durante la guerra.
Atakilti ha sottolineato che questo ha aggravato la già catastofica crisi alimentare: c’è una forte domanda di aiuti alimentari per milioni di persone, nonostante WFP e USAID abbiano deciso con una scelta politicizzata – e qualcuno potrebbe giudicarla anche criminale – di sospendere la distribuzione degli aiuti alimentari in Tigray.
FONTI:
PRIVACYDAILY
Sono d'accordo con i 150 che chiedono la revisione della legge sulla AI.
Fa piacere vedere che anche tra i guru dell'AI ci sia chi avanza timori di minacce più esistenziali per l’umanità. Tuttavia la paura del buio, come la paura di volare è una paura infantile che va superata con la conoscenza e la tecnologia che ti permette di vedere nel buio e di volare in sicurezza. Poi, se gli europei decidono di azzopparsi da soli, buon per loro.
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#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta la Scuola dell’infanzia e primaria “Elsa Morante” di Marino, in provincia di Roma!
Grazie al #PNRR, il vecchio edificio lascerà il posto a una nuova costruzione più moderna e funzionale, che punterà soprat…
Ministero dell'Istruzione
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Passi avanti sul caccia del futuro. Crosetto incontra Wallace e Suzuki a Roma
Oggi pomeriggio a Palazzo Aeronautica a Roma si è tenuto un incontro Italia-Regno Unito-Giappone sul Global combat air programme (Gcap), il progetto che vede i tre Paesi collaborare per la realizzazione del velivolo da combattimento del futuro destinato a sostituire i circa 90 caccia F-2 giapponesi e gli oltre 200 Eurofighter britannici e italiani. Presenti per l’Italia Guido Crosetto, ministro della Difesa, per il Regno Unito Ben Wallace, segretario alla Difesa, e per il Giappone Atsuo Suzuki, viceministro della Difesa. L’incontro si è svolto in un clima positivo, spiegano fonti di Formiche.net. Ciò ha permesso di compiere passi in avanti verso la costituzione del consorzio alla base del Gcap.
Una collaborazione globale
Come affermato dal ministro Crosetto a margine dell’incontro, “l’Italia sta fornendo un significativo contributo tecnologico e industriale al settore aerospaziale globale”, aggiungendo come il Gcap sia “un’iniziativa di successo che racchiuderà le migliori competenze nel panorama aerospaziale globale, per cui l’Italia sta fornendo un significativo contributo tecnologico e industriale”. Il vertice segue quello avvenuto a marzo in Giappone, quando Crosetto e Wallace incontrarono il ministro Yasukazu Hamada per discutere i prossimi passi verso lo sviluppo congiunto del Gcap, a margine del Dsei Japan, la principale manifestazione dedicata al settore della Difesa integrato giapponese. Una nuova riunione a tre potrebbe tenersi entro l’autunno. E, se la rotazione venisse rispettata, si dovrebbe tenere su suolo britannico, con la presenza del viceministro Suzuki.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico. Ad aprile, tra l’altro, l’Italia ha lanciato la Gcap acceleration initiative per accelerare lo sviluppo di tecnologie relative al Global combat air programme. Destinata a aziende e centri di ricerca, lo scopo dell’iniziativa è raccogliere le migliori proposte volte per la piattaforma Gcap per lavorare insieme a soluzioni innovative che possano essere applicate nel processo di maturazione tecnologica.
I pericoli di un salario minimo in chiave etica
Sembra sia stato soprattutto Carlo Calenda, nei giorni scorsi, a infervorarsi per l’idea di proporre una legge sul salario minimo legale che abbia il sostegno di tutti i partiti di opposizione. E si capisce bene perché: quella del salario minimo legale è, finora, l’unica proposta che potrebbe coalizzare non solo Pd e Cinque Stelle, ma anche i partiti del Terzo Polo (Azione e Italia viva).
È una buona idea? Per certi versi è un’idea sacrosanta. Secondo una mia stima di pochi anni fa, in Italia esiste un’infrastruttura para-schiavistica di circa 3 milioni e mezzo di persone che lavorano in condizioni di precarietà, insicurezza e bassi salari non degne di un Paese civile (il caso limite sono gli immigrati addetti alla raccolta di frutta e ortaggi).
Altre stime suggeriscono che, a seconda del livello a cui verrebbe fissato il minimo legale, i beneficiari di aumenti salariali potrebbero oscillare nel Paese fra uno e 3 milioni di lavoratori.
C’è un problema, tuttavia. In Italia i salari effettivi variano enormemente in funzione del settore produttivo, del costo della vita, della produttività. Inoltre, una parte delle micro-attività che impiegano manodopera male o malissimo pagata hanno margini estremamente ridotti, e non sarebbero in grado di sostenere gli aumenti salariali richiesti.
In concreto, significa che la fissazione di un salario minimo legale a 9 o 10 euro lordi, uniforme su tutto il territorio nazionale, avrebbe effetti a loro volta tutt’altro che uniformi.
Nei contesti ad alta produttività porterebbe a miglioramenti retributivi sostanziali, in quelli a bassa produttività condurrebbe alla chiusura di attività che operano al limite della redditività (sempre, beninteso, che governo e sindacati si impegnino a far rispettare la legge, anziché continuare a chiudere ipocritamente un occhio come si è sempre fatto in passato). In concreto, vorrebbe dire: salari più alti in molte realtà del centro-nord, più disoccupati in molte aree del sud.
Se i meccanismi fondamentali sono questi, forse sarebbe il caso di considerare l’ipotesi di un salario minimo legale differenziato per settore e zona del Paese, in modo da non penalizzare troppo le attività con la produttività più bassa.
Saprà l’opposizione di sinistra muoversi in questa direzione? È improbabile, vista la tendenza di Pd e Cinque Stelle ad affrontare tutte le questioni in termini etici e di principio, anziché in termini pragmatici e realistici. E non è questione di Schlein o non-Schlein, perché quella tendenza era già in atto in epoca pre-Schlein, e non su temi secondari. Pensiamo all’approccio ideologico in materia di immigrazione e accoglienza, o alla disastrosa gestione del Ddl Zan sull’omotransfobia, quando per preservare la purezza politica venne rifiutata l’offerta della destra di approvare il disegno di legge Scalfarotto (un’ottima legge, priva dei difetti del Ddl Zan).
È verosimile che tutta la discussione che partirà sui contenuti esatti della proposta di salario minimo legale verterà sul suo livello, con i riformisti a tirare per un livello ragionevole, e i massimalisti per un livello irragionevole ma auto-gratificante. Il risultato sarà che il governo
avrà gioco facile a ignorare le proposte dell’opposizione, mostrandone l’irrealismo e gli effetti perversi.
Eppure dovrebbe essere chiaro che è il modo peggiore per provare a costruire un campo largo. Per riconquistare la fiducia degli italiani, ai progressisti serve mostrarsi in grado di fare proposte così sensate che risulti difficile rifiutarle. E incalzare il governo a farle rispettare.
Proporre un salario minimo elevato, uguale in tutta Italia, e quindi impossibile da rispettare per molte imprese, può scaldare il cuore dei militanti più ideologizzati o moralisti. Ma difficilmente può convincere la maggioranza degli italiani.
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#LaFLEalMassimo – Episodio 99 – Wagner, l’inizio della fine
Da quanto la Russia ha invaso l’Ucraina, questa rubrica si è schierata dalla parte del popolo che è stato vittima di questa ingiusta aggressione. Purtroppo sui media italiani continuano a circolare notizie false, fuorvianti e di vera e propria propaganda a supporto del regime di Putin.
Per questo motivo è fondamentale sottolineare come la vicenda dell’insurrezione dei mercenari della Wagner costituisca un importante segnale di debolezza del regime russo di cui gli italiani hanno diritto di essere informati.
Il 24 giugno, una banda di mercenari armati ha attraversato il Paese senza quasi incontrare resistenza, percorrendo circa 750 km in un solo giorno, prendendo il controllo di due grandi città e arrivando a 200 km da Mosca prima di arrestarsi.
Il dittatore che ha fallito nel riformare la Russia mentre l’epoca dei combustibili fossili volge al termine, che ha fallito come comandante militare a 16 dall’inizio di una operazione speciale che sarebbe dovuta durare pochi giorni, oggi si dimostra incapace di garantire la sicurezza dello Stato. Putin sembra intenzionato a ristabilire la propria autorità con repressioni e purghe, ma si tratta dell’ennesimo tentativo di prepotenza da parte di un comandante sempre più debole e possiamo augurarci che il fallimento definitivo che porterà alla sua deposizione non sia lontano.
Dunque è bene che gli italiani siano informati e riflettano su questo, invece ascoltare i serpenti incantatori che vagheggiano di compromessi inaccettabili e soluzioni irrealizzabili. La controffensiva ucraina avanza e Putin è sempre più debole come testimoniato dall’ammutinamento della Wagner
Slava Ucraini
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Organismo Onu cercherà dispersi guerra in Siria. Damasco: “non siamo stati consultati”
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della redazione
Pagine Esteri, 30 giugno 2023 – Un organismo indipendente ricercherà le 155 mila persone disperse a causa del conflitto cominciato in Siria nel 2011. Lo ha approvato ieri – con il voto favorevole di 83 Paesi, contrari 11 tra cui la Siria, l’Iran, la Russia e la Cina, e 62 astensioni – l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni unite. La decisione è giunta a seguito delle richieste avanzate dalle famiglie dei dispersi e dai centri per i diritti umani.
L’organismo indipendente lavorerà in coordinamento con tutte le parti coinvolte nel conflitto in Siria e oltre ad occuparsi delle ricerche, organizzerà anche il sostegno alle famiglie dei dispersi.
Bassam Sabbagh, il rappresentante di Damasco alle Nazioni unite, ha descritto la decisione, presa senza consultare in anticipo Damasco, come “un meccanismo bizzarro e misterioso, senza una precisa definizione del concetto di ‘persone disperse’ e senza limiti di tempo né di spazio”. Secondo Sabbagh il passo dell’Onu “è una ingerenza negli affari interni della Siria e fornisce ulteriori indizi dell’approccio ostile adottato da alcuni Stati occidentali”. Pagine Esteri
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Defence for Children firma a Nisida il protocollo per la tutela dei minori vittime di reato
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dal Comunicato Stampa di Defence for Children Italia.
Pagine Esteri, 30 giugno 2023. Ieri, giovedì 29 giugno, al Centro Europeo di Studi Nisida, è stato firmato ufficialmente il Protocollo operativo di orientamento territoriale per la presa in carico e la tutela di minorenni vittime di reato nel territorio di Napoli. L’incontro ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, e Mario Morcone, assessore alla Sicurezza della Regione Campania.
Si tratta di un’iniziativa senza precedenti a livello nazionale, che arriva al termine di un lungo percorso di lavoro intrapreso dall’associazione Defence for Children International Italia, insieme al Ministero della Giustizia e alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli, per lo sviluppo di una rete multidisciplinare e interagenzia per la protezione dei minorenni vittime di reato. Al termine di un dettagliato lavoro di mappatura del territorio e la costituzione di un gruppo interistituzionale, che ha visto la partecipazione di tutte le istituzioni competenti, si è arrivati alla realizzazione del Protocollo, il cui scopo è quello di ottimizzare gli sforzi e le risorse disponibili sul territorio.
Grazie a questa firma, infatti, tutti i soggetti coinvolti avranno a disposizione da oggi un “dispositivo” integrativo delle procedure già esistenti per la presa in carico e la protezione dei minorenni vittime di reato. In particolare, il Protocollo intende disciplinare e regolare la cooperazione tra i diversi attori, stabilendo le modalità di trasmissione delle informazioni rilevanti e il loroo concreto utilizzo, nei limiti e nel rispetto del segreto istruttorio e delle esigenze connesse all’attività investigativa.
Per la prima volta in Italia ci si pone l’obiettivo di predisporre tempestive misure di protezione del minorenne vittima diretta o indiretta di reato attraverso una rete di coordinamento tra uffici giudiziari, forze dell’ordine, USSM, ASL, Ufficio Welfare del Comune di Napoli, ognuno per le rispettive competenze, al fine di evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria e possibili ritorsioni.
Defence for Children International Italia si è avvalsa della collaborazione del Dipartimento di Giustizia e di Comunità e del Centro di Giustizia della Regione Campania, che hanno lavorato spalla a spalla con diversi attori istituzionali, presenti questa mattina a Nisida: oltre alla Procura, Regione, Comune, la ASL NA1, la Questura di Napoli e il Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli.
LA LEGISLAZIONE IN MATERIA. Negli ultimi anni, Defence for Children ha lavorato in Italia per promuovere un approccio multidisciplinare e inter-agenzia tra gli stakeholder pubblici e privati quale misura chiave per prevenire e salvaguardare i minorenni vittime di violenza e abuso, evidenziando la necessità di una riforma del sistema in linea con Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (UN CRC), ma anche ad altri standard regionali, in particolare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote), nonché la Direttiva 2011/92/UE relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e la Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.
“UN’ESPERIENZA PIONIERISTICA”. “Finalmente c’è stata una risposta sinergica da parte delle istituzioni che può consentire ai minorenni vittime di reato di voltare pagina” dichiara il direttore di Defence for Children Italia, Pippo Costella. “È stata un’esperienza pionieristica, quella di Napoli, che ci auguriamo possa essere replicata in altri territori italiani per garantire sempre il superiore interesse della persona minorenne”.
IL MODELLO ISLANDESE. In questo contesto, il modello islandese Barnahus è stato riconosciuto in Europa come esempio di buona pratica da esportare in altri contesti. Ed è proprio sulla base di questo modello che Defence for Children, in partnership con il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia italiano, hanno intrapreso un processo di ricerca-azione volto a rafforzare le capacità e le competenze dei professionisti e degli operatori, analizzando i punti di forza e le opportunità del sistema di protezione e di giustizia e identificando le aree in cui è necessaria una riforma.
Il Protocollo firmato oggi rappresenta un primo, importante, passo per colmare le lacune giuridiche e legislative nell’ambito dei sistemi di assistenza all’infanzia. E non è un caso che avvenga proprio a Napoli, dove di recente ha visto la creazione di uno spazio a misura di minorenne presso la Questura, progettato per mettere a proprio agio le giovani vittime nel delicato momento della denuncia.
I FIRMATARI. Ecco, nel dettaglio, tutti i soggetti che hanno firmato questa mattina a Nisida il Protocollo operativo di orientamento territoriale per la presa in carico e la tutela di minorenni vittime di reato nel territorio di Napoli:
la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli;
la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
il Centro di Giustizia Minorile della Campania;
la Regione Campania;
il Comune di Napoli;
la ASL NA 1;
la Questura di Napoli;
Il Comando Provinciale dei Carabinieri di Napoli;
Defence for Children International Italia Odv, in qualità di assistenza tecnica e formativa.
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Calligram - Position momentum
Torna il collettivo internazionale black metal Calligram dopo l'ottimo "The Eye Is The First Circle" del 2020. Il gruppo che vede Matteo Rizzardo alla voce e scrittore dei testi, è una delle realtà più belle della scena black metal contaminata da altri generi come il d-beat e qualcosa di hardcore e sludge. @Musica Agorà
European Digital Identity: Permanent personal identification number is off the table!
Representatives of the EU Parliament and the Council of the European Union reached a political agreement on the core elements of a new framework for a European digital identity (eID) in the early hours of yesterday morning.
The requirement that member states assign a lifelong unique personal identification number to each citizen, which had been opposed by Pirate Party MEPs in several committees, was completely removed from the draft. The Pirates were also able to prevent the mandatory acceptance of state browser certificates, but rejections due to insufficient security will need to be justified. The details of the agreements will now be negotiated in further technical meetings and will probably be finalised in another trialogue under the Spanish Presidency in autumn.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, who negotiated the bill in the co-advisory Committee on Civil Liberties (LIBE), comments:
“We successfully prevented the allocation of a unique, permanent personal identification number that could have been used to comprehensively record and monitor our lives. Instead of a uniform personal identification number, different user numbers can be assigned from one service to another in the future. This must now be be made clear in the wording of the legislation.
Nevertheless, there is a great danger that the planned ‘digital identity’ will gradually displace the anonymity on the internet that protects us from profiling and identity theft. We have not been able to enforce the right to use services without electronic identification or authentication. Those who register with social media via their eID wallet out of convenience will therefore sacrifice their anonymity.
Many details are still unresolved. In the further negotiations, we Pirates will push for the sensitive data of citizens in their digital wallets to be stored exclusively in a decentralised manner on their own devices – unless they opt for centralised storage. Decentralised data storage protects our data from mass hacks and identity theft. We also demand guarantees that non-users of the theoretically voluntary eID system must not suffer any disadvantages and can use alternative identification or authentication methods.“
Pirate Party MEP Mikuláš Peksa, who sits at the negotiating table for the Committee on Industry, Research, and Energy (ITRE), comments:
“Yesterday, we made a significant shift in the design of eIDAS 2.0, which will be privacy-conscious and provide users with a user-friendly electronic wallet for all kinds of IDs and certifications. We already know that e-signatures will be free for individuals, and in the draft, we have finally eliminated unique persistent identifiers that could facilitate snooping. However, there is still a lot of work to be done. Nonetheless, this stands as a nice victory of reason, for the time being.”
Background: In the course of the so-called EIDAS reform, the planned “European Digital Identity” is to give EU citizens access to public and private digital services and enable online payments. The Federal Ministry of the Interior mentions the opening of a bank account, the registration of SIM cards, the digital storage of driving licences and the storage of digital prescriptions, but also the identification for mail or social media accounts.
FeroceMente
Non va. Non si tratta (soltanto) di differenti opinioni. Non va proprio l’impostazione, non va provare ad aggredire quando tutti sanno come va a finire. Non va perché a forza di dare per scontato come va a finire – occupando il tempo a sostenere il contrario – c’è anche il rischio che finisca male. E non finirebbe male per questa o quella persona, forza o schieramento politico, ma per l’Italia. E no, non va.
Si dà per scontato che la riforma del Meccanismo europeo di stabilità sarà ratificata. Intanto perché è ragionevole e non pone alcun problema. Poi perché 26 Paesi su 27 lo hanno già fatto. Le forze politiche che oggi governano hanno utilizzato la bandiera del Mes per sventolare il loro antieuropeismo, mentre il partito di governo che si dice europeista (Forza Italia) è oggi preso da una sorta d’invidia del passato e finisce con il rendere più difficile anziché più facile l’inversione a U. Risultato: si rinvia.
Fosse solo il rinvio sarebbe disdicevole, ma non distruttivo. Il rischio grosso consiste nell’usare il Mes come argomento d’attacco nel momento in cui è aperta la discussione sulla riforma del Patto di stabilità. Il rischio è credere che si conta di più se si strilla di più. È un rischio grosso, perché attizza le tifoserie ma marginalizza e depotenzia l’Italia. Se poi ci si mette anche la critica al rialzo dei tassi d’interesse – stra annunciato e scontato – si calca un terreno minato.
Il Mes non è oggetto di scambio, proprio perché siamo soli. Totalmente soli. Provare a usarlo suona come ricatto. E da una posizione di debolezza non è un’idea brillante. In questo modo non si rafforzano, ma si indeboliscono le richieste sul Patto di stabilità. Come se non bastasse, quelle richieste – come al solito, come da vent’anni a questa parte – si concentrano nel chiedere maggiore larghezza di deficit pubblico (con il trucco della diversa contabilizzazione di alcune spese), ovvero scelte che sono inflattive nel mentre non soltanto l’intero mondo con economie di mercato prova a frenare l’inflazione, ma l’Italia è uno dei Paesi più esposti al rischio d’incendio.
L’inflazione sega i risparmi e pialla i guadagni. Dopo anni di tassi molto bassi e facilitazioni monetarie la Banca centrale europea interpretò male il riaffacciarsi dell’inflazione, vedendola come effetto esclusivo del rialzo delle materie prime. Quindi esterna. Difatti, mentre la Banca centrale Usa alzava i tassi, da noi restavano fermi. Per questo ritardo la Bce è stata criticata. I critici odierni dei rialzi hanno scoperto in ritardo quell’originaria sottovalutazione e provano a riproporla come una genialata. Invece i prezzi esterni sono calati e in parte crollati, mentre l’inflazione resta troppo alta, segno che è alimentata anche dall’interno.
Si possono avere idee e proposte diverse, sul come far fronte. È evidente che non basterà mai usare esclusivamente il rialzo dei tassi. Ma se la critica al rialzo dei tassi viene da chi è seduto su un mostruoso debito pubblico, per giunta negando l’esistenza stessa di strumenti di soccorso in caso di crisi, è come se uno seduto su un cumulo di tritolo minacciasse di buttare la cicca accesa: gli altri si scansano, ma quello salta.
L’interesse dell’Italia è: a. puntare a che i rialzi non raffreddino la positiva crescita, il che comporta l’uso tempestivo e sapiente dei fondi Ngeu; b. approfittare di quei soldi e delle connesse riforme per favorire la concorrenza, utilissima per far scendere i prezzi e stroncare le speculazioni; c. negoziare un Patto di stabilità che non comporti vincoli automatici senza portare la discrezionalità delle scelte fuori dai confini nazionali. Affrontare ferocemente questi temi finisce con il fornire la ferocia ai tifosi e a giocarsi la mente del governare e guardare al futuro. Su a. c’è nebbia fitta; su b. siamo fermi o peggio; su c. la si butta in caciara.
Finché c’è guerra in Ucraina il governo Meloni è solido perché positivo, data l’opposizione allo sbando e gli alleati sbandati al Cremlino. Ma guai a credere che ciò renda tutto utilizzabile, perché c’è sempre un poi.
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Drogati
Una discussione inutile, drogata in sé. Proprio per questo è una discussione utile a capire il modo insensato con cui i problemi si sventolano anziché affrontarli. L’incapacità di stare alla realtà si traduce in abilità nell’agitare sentimenti. Tipo: proibizionismo e antiproibizionismo. Il primo inficiato da falso moralismo, il secondo da falso libertarismo.
Toccante l’impeto con cui il deputato Riccardo Magi ha rimproverato a Meloni il fallimento del proibizionismo, così come Giorgia Meloni rimproverava a Magi le rovine del permissivismo. Magi ha fatto un gran piacere a Meloni, trasformando un’oziosa ritualità della ricorrenza (basta con queste “giornate”) in un’occasione per marcare ancora il territorio elettorale. Facciano, assieme, un favore a sé stessi e leggano la nostra legislazione in materia, nella quale convivono il permissivismo e il proibizionismo. Drogarsi è lecito, la dose personale si può ben averla e usarla, è già legalizzata, mentre procurarsi la droga e procurarla è illecito. In una legislazione ipocrita e contenente gli opposti, partitanti pronti a tutto per la visibilità si contestano a vicenda il fallimento della metà intestata all’altro. Insensato.
Ma insensato è anche l’approccio. Posto che lo spinello è mito da boomer e che i ragazzi di oggi sono assediati da droghe ricreative devastanti, pasticche amfetaminiche e cannabis con contenuto spropositato di Thc (il principio attivo), roba che frulla il cervello, facciamo finta che si stia parlando seriamente e vediamo perché il gioco “legalizzare o proibire” non ha senso, così giocato. Magi brandisce un cartello: «Cannabis, se non ci pensa lo Stato ci pensa la mafia». Tesi: se si legalizzasse si sottrarrebbe mercato alla mafia. Balla, perché nessuno sano di mente (spero) immagina di dare spinelli ai tredicenni o di fornirne in quantità industriali o di fornire anche cocaina, eroina, amfetamine et similia. Quindi: date il bentornato alla mafia. Se lo scopo fosse quello di debellare le mafie (che si dedicherebbero ad altro), allora la sola ricetta sensata sarebbe fornire tutto a tutti. Ma una coglioneria simile non l’ho mai sentita dire da nessuno.
D’altra parte, del resto, non conosco persone che vogliano far scontare il carcere ai minorenni, ma manco ai maggiorenni sol perché si sono drogati. Vincenzo Muccioli creò San Patrignano per NON mandarli in carcere e a quello sottrarli. Vabbè, dicono, ma puniamo severissimamente lo spaccio. Chi credete di trovare a spacciare, il mafioso? Ci trovate un relitto umano che si droga a sua volta (così potrà dire che è per uso personale). La lancia punitiva è ciondoloni, se priva del sostegno al recupero. Perché disintossicarsi non è stare senza droga, ma vivere senza sentirne il bisogno.
Se in una legislazione ci metti il pietismo e rinunci all’interventismo educativo il risultato è la sceneggiata: «Hai fallito tu!», «No, hai fallito tu!». Passiamo ai film e agli “esempi”. Ci sono fior di film che descrivono i drogati come rottami umani, ragazzi e ragazze in vendita per potere accelerare la propria fine. Ci sono, eccome. Ma ci sono anche quelli con il manager che sniffa e domina, inala e scopa, inghiotte e gode. La tragedia è l’assenza di realtà: non tutti i drogati sono relitti, ci vuole (poco) tempo per arrivarci, ma tutti quelli che sentono di dominarla ne saranno dominati. Dipende a quale stadio li incontri. Tutti i persi nella droga sono partiti dall’idea di sapersi gestire. Tutti non ci sono riusciti.
Allora i temi pubblici sono due: 1. sballarsi, con qualsiasi cosa ci si sballi, non è mai libertà: è il sintomo di un male e la premessa della perdita della libertà, chi ama la libertà odia lo sballo; 2. reprimere ha senso se l’altra mano soccorre, ma per reprimere seriamente si deve proibire, non acconsentire a seconda dei casi.
Se non si ha capacità e determinazione per scegliere, si resta in bilico. Ecco perché quel battibecco inutile è esemplare: drogata non è mica soltanto la discussione sulla droga.
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In Cina e Asia – Cina: obiettivi sull’energia eolica e solare raggiungibili con 5 anni di anticipo
Cina: obiettivi sull'energia eolica e solare raggiungibili con 5 anni di anticipo
Cina: prima legge sul possesso e l'utilizzo dei droni
Corea del Sud: nominato il (controverso) nuovo ministro dell'Unificazione
Cambogia, al via la guerra tra il premier Hun Sen e Meta
Turkmenistan, inaugurata la capitale dedicata all'ex leader Kurbanguly Berdymukhamedov
Il Myanmar avvia accordi con la Russia per l'integrazione dei sistemi bancari
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Si è suicidato il fratello di Dilek Dogan, uccisa dalla polizia turca a 25 anni
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Dilek Doğan aveva 25 anni quando venne uccisa, a sangue freddo, nella sua casa di Istanbul, nel quartiere di Armutlu, dinanzi ai suoi genitori e a suo fratello. Erano le 4.30 del 18 ottobre del 2015 quando la polizia bussò alla porta dell’abitazione in cui la ragazza viveva con la famiglia. Cinque o sei militari con i fucili spianati e i giubbotti antiproiettile entrarono per una perquisizione.
Non era la prima volta che accadeva. Anzi. Dilek andò a svegliare la madre: “Sono tornati”, le disse.
Armutlu è un quartiere di Istanbul con una storia particolare di rivendicazioni politiche e democratiche. La popolazione di Armutlu è alevita, una minoranza religiosa in Turchia (tra il 15 e il 20% della popolazione), per la maggior parte composta da rivoluzionari democratici. Sono perseguitati in quanto minoranza e in quanto dissidenti politici. Per questo gli abitanti di Armutlu sono da anni presi di mira dal governo, che invia spesso l’esercito con l’ordine di perquisire, arrestare, uccidere, controllare. L’obiettivo è soprattutto quello di far sentire costantemente la pressione, provare a spezzare le reni della resistenza, costringere i giovani a fuggire o tenerli in prigione, rendergli impossibile la vita. Abbiamo incontrato decine di abitanti di Armutlu e nessuna delle persone con cui abbiamo parlato, qualsiasi fosse il sesso o l’età, aveva la possibilità di lasciare liberamente il Paese. Quasi tutti sono stati almeno una volta in prigione e tutti hanno un parente arrestato, morto ammazzato o di sciopero della fame. Tante persone anziane. Ma l’età non rappresenta un limite per gli arresti, né lo stato di salute.
I funerali di Dilek Dogan
Abbiamo intervistato Aysel Doğan, la mamma di Dilek, pochi mesi fa, a Febbraio, a Istanbul, a casa di Ayten Öztürk, rivoluzionaria turca torturata per 6 mesi, agli arresti domiciliari, che rischia due ergastoli a causa delle dichiarazioni di alcuni testimoni segreti. Aysel ci ha raccontato che durante la perquisizione notò che uno dei poliziotto in borghese era molto nervoso, infuriato, fuori di sé. L’agente si trovava nella stanza insieme a sua figlia e quando lei gli chiese di mettere i copriscarpe per non sporcare di fango i tappeti, lui le sparò al petto. Un colpo a distanza ravvicinata che le bucò un polmone. Morì in ospedale una settimana dopo.
Il fratello più grande di Dilek, Emrah Doğan
Il padre di Dilek è stato condannato a 6 anni di prigione. Anche uno degli avvocati che si occupava del suo caso, Oya Aslan, è stato arrestato.
Dilek aveva quattro fratelli. Dopo il suo omicidio tutti e quattro sono stati accusati di aver commesso crimini o di rappresentare un pericolo per lo Stato. Il più grande, Emrah, è stato condannato a 20 anni di prigione (è dentro da 4), sulla base di dichiarazioni rilasciate da testimoni segreti, con l’accusa di appartenere a una associazione terroristica. L’utilizzo dei testimoni segreti è centrale, in Turchia, per condannare in tribunale il dissenso.
Il secondo fratello, Erhan, viveva in Germania quando sua sorella è stata uccisa. Tornato in Turchia è stato condannato a 6 mesi di prigione.
Il terzo fratello, Mehmet, pure ha ricevuto una condanna e avrebbe passato forse il resto della sua vita in carcere. Così, insieme a Erhan, ha raggiunto Berlino per chiedere asilo politico.
Aysel Dogan, la mamma di Dilek, durante i funerali della figlia
Infine, il più giovane, Mazlum, aveva 23 anni quando sua sorella è stata uccisa. È stato condannato a 11 anni e 11 mesi di prigione per danneggiamento di beni pubblici, la stessa accusa rivolta al resto della sua famiglia: “Quando l’assassino è arrivato in tribunale – ci ha detto sua mamma Aysel – hanno proiettato il video dell’omicidio. Lo hanno mostrato sullo schermo. Mio figlio Mazlum non ha sopportato di vedere quella scena e ha gridato. È stato condannato per questo”.
Mazlum era all’università nel 2015. È riuscito a finire gli studi, nonostante negli anni successivi all’assassinio della sorella la polizia lo abbia tormentato. Aysel ci ha raccontato di come venisse di continuo fermato e perquisito. Ci ha parlato dei cannoni ad acqua che venivano usati ripetutamente contro la casa di famiglia, dei veicoli armati che continuavano a stanziare dinanzi all’abitazione. Ai suoi figli è stato impedito di trovare lavoro, erano sempre seguiti. Tutto questo, per Aysel, nel tentativo di farli impazzire, di giocare con i loro nervi e fargli compiere un passo falso. O per farli smettere di chiedere giustizia. “Ma io chiederò giustizia fino alla morte. E se muoio io, c’è qualcun altro che la chiederà. Dilek ha dei fratelli. Abbiamo dei nipoti. Anche loro chiederanno giustizia”.
Il fratello più piccolo di Dilek, Mazlum
Mazlum ha lasciato la Turchia e ha chiesto asilo politico in Inghilterra. Era arrivato a Londra quest’anno, viveva lì da pochi mesi, in compagnia di alcuni parenti i quali, insieme ad altri compagni turchi, hanno provato ad aiutarlo a sistemarsi e ambientarsi, in attesa della risposta in merito alla richiesta di asilo politico.
Ma Mazlum non ha voluto ricominciare un’altra vita lontano da casa. Ha deciso che bastava così. E si è impiccato, a Londra, lo scorso mercoledì 28 giugno.
Aysel è rimasta sola con suo marito, che pure rischia di finire in galera. Una figlia ammazzata, un figlio suicida, uno in prigione per 20 anni e due figli costretti a fuggire per non subire la stessa sorte. Tutto perché chiedeva democrazia e giustizia. “Spero che giustizia verrà fatta un giorno”, ci diceva in questa video intervista di pochi mesi fa. Ma probabilmente potrebbe bastarle, solo per cominciare, che si mettesse fine alle ingiustizie che lei e tutta la sua famiglia stanno subendo ormai da otto anni.
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“ChatGPT alla sbarra. Ma addestrare gli algoritmi facendo “scraping” significa rubare?”
Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.
PRIVACYDAILY
Dialoghi – Se la Cina ha troppe università e troppi laureati
Gli sforzi di Pechino di investire sia in infrastrutture che risorse nel sistema di istruzione superiore hanno prodotto una serie di atenei di eccellenza e il più grande bacino al mondo di persone coinvolte nei cicli universitari. Ma la rapida espansione ha portato a conseguenze controverse per il mercato del lavoro. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano
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Perù. Cancellata la legge per lo sfruttamento industriale, le organizzazioni indigene festeggiano
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dal Comunicato stampa di Survival International Pagine Esteri, 26 giugno 2023. Straordinario colpo di scena in Perù, dove una importante commissione del Congresso ha bocciato il Progetto di Legge 3518, che i popoli indigeni del paese avevano anche definito “Progetto di legge genocida” per gli effetti devastanti che avrebbe avuto se fosse stato approvato. Il PL 3518-2022 era già stato mandato al Congresso per il voto ma ora, grazie alla bocciatura e archiviazione da parte della “Commissione per la decentralizzazione”, il suo percorso è bloccato. Teresa Mayo, ricercatrice di Survival International l’ha definita “una grande vittoria per i popoli indigeni del Perù, per le loro organizzazioni e per le migliaia di persone comuni che in tutto il mondo hanno sostenuto la campagna contro questo devastante progetto di legge.” Le organizzazioni indigene peruviane AIDESEP e ORPIO hanno esercitato forti pressioni e oltre 13.000 sostenitori di Survival hanno scritto ai membri della Commissione per la decentralizzazione, esortandoli a bloccare il disegno di legge. Il progetto legislativo era stato avanzato da membri del Congresso pro-Fujimori legati alla potente industria degli idrocarburi, e rappresentava una gravissima minaccia specialmente per le tante tribù incontattate del paese, le cui terre sarebbero state esposte allo sfruttamento industriale. “Sono molto felice perché abbiamo lavorato duramente per fermare questo disegno di legge che viola i diritti dei popoli incontattati e di recente contatto. L’archiviazione del disegno di legge protegge i nostri parenti incontattati, i loro diritti e le loro vite, ed evita il genocidio e l’ecocidio che avrebbe scatenato” ha dichiarato Tabea Casique (Ashaninca) di AIDESEP. Per Roberto Tafur, dell’organizzazione indigena peruviana ORPIO, la decisione mette in risalto “la partecipazione di coloro che hanno una coscienza che li ha spinti a preoccuparsi dei nostri fratelli PIACI. Perché la vita viene prima del denaro. Per arrivare qui abbiamo combattuto molto. E dobbiamo continuare a lottare per i nostri fratelli che sono nel folto della foresta, che non sanno che noi stiamo combattendo per loro”. I popoli incontattati e di recente contatto sono noti collettivamente in Perù con il nome di PIACI. In Perù, l’industria del petrolio e del gas ha già avuto un impatto catastrofico su questi popoli. Negli anni ‘80, ad esempio, a seguito delle prospezioni petrolifere effettuate dalla Shell, furono introdotte malattie mortali che uccisero oltre la metà del popolo Nahua (che era precedentemente incontattato).
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The “Digital Euro” does not deserve its name!
Pirate Party MEP and digital freedom fighter Dr Patrick Breyer criticises yesterday’s draft bill by the EU Commission to introduce a “Digital Euro”:
“The introduction of digital cash would be long overdue in the information age. Digital cash could be as anonymous and freely usable on the internet as notes and coins. However, the ‘digital euro’ now proposed by the Commission does not deserve that name. Digital technology is to be misused to monitor, limit and control our finances to an extent never seen with cash.
While cash can be accepted and spent anonymously at any time, which is important for undocumented refugees, for example, it will only be possible to receive and spend digital euros with an account against presentation of identification. While people are allowed to hold and pass on unlimited amounts of cash, the amount of digital euros in our hands will be limited in the future. And while with cash even confidential payments and controversial donations have so far been possible anonymously and without fear of becoming known, trace-free payments in digital euros are to be completely impossible online and limited offline to an unknown and ever-changing amount. The declared aim of fighting money laundering and terrorism is just a pretext to gain more and more control over our private transactions. Where every payment is recorded and stored forever, there is a threat of hacker attacks, unauthorised investigations and chilling state oversight of every purchase and donation.
Cash is financial freedom without pressure to justify spending. What medicines or sex toys I buy is nobody’s business. For thousands of years, societies around the world have lived with cash that protects privacy. The EU Commission wants to deprive us of this financial freedom for online payments. In the legislative process, this birth defect must be corrected. We need to find ways to take the best features of cash into our digital future.”
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RUSSIA. Putin è davvero più debole dopo il blitz tentato da Prigozhin?
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Pagine Esteri, 29 giugno 2023. Dal fronte della guerra tra Russia e Ucraina non giungono novità significative e non ci sono evidenze della debolezza politica in cui si troverebbe Vladimir Putin.
Governi ed esperti occidentali però sono convinti della grave instabilità della leadership russa in seguito al colpo di mano tentato dal capo della compagnia mercenaria Wagner, Evgenij Prigozhin. Ne abbiamo parlato con Danilo Della Valle, specialista di Russia ed Europa orientale.
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iam0day
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macfranc
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Zepp
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Università e ricerca
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@Andrea Mariuzzo
@Maria Chiara Pievatolo
Factchecking
@Disinformatico
@David Puente :mastodon:
@Bufale.net :verified:
@BUTAC
Teatro
@Daniele Luttazzi
@giuliocavalli@sociale.network
Satira e fumetti
@Francesco Artibani
Giornalismo
@stefania maurizi
@Marco Camisani Calzolari
@Nico Piro
@Viola Stefanello 👩💻
Diritto
@Vitalba
@Bruno Saetta
Digitale
@quinta :ubuntu:
@Andrea Borruso
@Marco A. L. Calamari
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Marco Castellani
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Andrea Borruso
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Grazie per avermi inserito in questa lista!
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Unknown parent • •@Stefano Marinelli 🤣
@:manjaro: DigiDavidex :kde: