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Svezia, festival eritreo, perché il ministro si sbaglia sulla sua interruzione


Fonte: Mirjam van Reisen Mi oppongo fermamente alla reazione del ministro della Giustizia #Svezia , Gunnar Strömmer, ha dichiarato in una dichiarazione scritta all’agenzia di stampa svedese TT in seguito alla violenta rottura del festival #Eritrea #PFDJ p

Fonte: Mirjam van Reisen

Mi oppongo fermamente alla reazione del ministro della Giustizia #Svezia , Gunnar Strömmer, ha dichiarato in una dichiarazione scritta all’agenzia di stampa svedese TT in seguito alla violenta rottura del festival #Eritrea #PFDJ per i seguenti motivi:

1. Il Ministro della giustizia ha la responsabilità di garantire che i richiedenti asilo siano protetti e sicuri. I festival sono uno strumento del regime dittatoriale dell ‘#Eritrea per minare la protezione, la sicurezza e l’incolumità dei rifugiati eritrei. Il ministro è responsabile di fermarlo;

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2. Il lungo braccio del regime rafforza la sua attività criminale organizzata a livello internazionale attraverso Eriblood, una milizia privata che opera sul suolo svedese. L’onorevole ministro è responsabile di questo e dovrebbe fermarlo. È antidemocratico e al di fuori dell’ordinamento giuridico svedese e dell’UE

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3. Il poeta e scrittore Dawid Isaac è detenuto in carcere in #Eritrea da più di due decenni senza processo. I profughi chiedono la sua libertà. È il simbolo della libertà di parola che in Eritrea non esiste. Il Ministro ha il mandato e il dovere di adoperarsi per la sua liberazione

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4. La violenza genocida dell ‘#Eritrea contro il #Tigray non dovrebbe essere promossa da incitamento all’odio e propaganda durante un festival in Svezia. Il ministro è responsabile di garantire che la perpetrazione di crimini atroci sia perseguita nell’ambito del sistema internazionale per prevenire tali crimini
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5. I rifugiati dall ‘#Eritrea fuggono dai crimini contro l’umanità perpetrati dal regime in #Eritrea e in #Libia contro di loro. Il ministro dovrebbe combattere l’impunità e porre fine a tale perpetrazione in modo che le persone possano costruire la propria vita con le loro famiglie nelle loro case

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6. Il lungo braccio di #Eriblood o “52” è noto per aver iniziato la violenza che il regime usa come capro espiatorio dei rifugiati #Eritrei . Il ministro è incaricato di indagare su eventuali collegamenti di 52 all’inizio della violenza delle manifestazioni pacifiche come strumento di capro espiatorio

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7. Le milizie 52 #Eriblood dovrebbero essere proibite in #Svezia e in Europa in quanto violano lo spirito delle leggi antiterrorismo per proteggere la legge e l’ordine nel nostro continente. Nessuna violenza da parte di milizie straniere private dovrebbe essere condonata. Ministro: è una linea rossa

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8. lui ha detto: “Non è ragionevole che la Svezia sia trascinata nei conflitti interni di altri paesi. Se fuggi in Svezia per sfuggire alla violenza o per una visita, non devi causare violenza. Le risorse della polizia sono necessarie per scopi diversi dal tenere separati gruppi diversi l’uno dall’altro”.

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9. La mia osservazione è che il Ministro della Giustizia #Svezia dovrebbe essere informato dell’attività criminale perpetrata durante i festival organizzati dal Regime dell’ #Eritrea in Svezia – dove ciò è stato segnalato per la prima volta nel 2013 e lavorare sodo per porre fine a questi festival criminali


tommasin.org/blog/2023-08-04/s…



Con lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, deliberato dal Consiglio dei Ministri, saranno autorizzate le assunzioni in ruolo a tempo indeterminato di:

📌 52 unità di personale educativo-PED;
📌 50.



La Cina e il suo sforzo “olistico” contro Usa e alleati


“La Cina sta conducendo una campagna senza precedenti al di sotto della soglia del conflitto armato per espandere l’influenza del Partito comunista cinese […] e indebolire gli Stati Uniti e i suoi partner. Questa campagna implica sofisticate attività di s

“La Cina sta conducendo una campagna senza precedenti al di sotto della soglia del conflitto armato per espandere l’influenza del Partito comunista cinese […] e indebolire gli Stati Uniti e i suoi partner. Questa campagna implica sofisticate attività di spionaggio cinese, operazioni informatiche offensive, disinformazione sulle piattaforme social, coercizione economica e operazioni di influenza su aziende, università e altre organizzazioni”.

Questo il quadro di massima tratteggiato dagli autori di “Competing Without Fighting” (competere senza combattere), l’ultimo rapporto del think tank Center for Strategic and International Studies, che approfondisce ciascuna di queste tematiche per mappare quelle che definisce “attività di guerra politica cinese”. Che vanno viste nel loro insieme, perche l’approccio di Pechino è “whole-of-state” – olistico e trasversale, appoggiato su una serie di istituzioni e condotto in innumerevoli ambiti da un’ampia gamma di attori statali e non.

LA LEZIONE DELLA GUERRA FREDDA

Il faro del rapporto Csis è George Kennan, architetto della strategia di contenimento dell’Urss durante la Guerra fredda e mente dietro le linee guida del Dipartimento di Stato Usa sulla guerra politica “che sono tuttora valide nell’ottica della competizione odierna con la Cina”. Secondo Kennan, una parte significativa della competizione tra grandi potenze riguarda le attività al di sotto della soglia della guerra convenzionale e nucleare. “Oggi la Cina è fortemente coinvolta in molte di queste attività”, l’oggetto del rapporto, che evidenzia anche le “notevoli debolezze e vulnerabilità” cinesi su cui fare leva. Ma è imperativo che la strategia di risposta sia condivisa dagli alleati occidentali e coerente con i principi e valori democratici.

TEMPERATURA IN AUMENTO

Le istituzioni Usa sono di gran lunga l’obiettivo preferito della Cina, come evidenzia il rapporto, a partire dalla formazione, dove il Dragone “sta conducendo una campagna sempre più attiva e aggressiva per penetrare in un’ampia gamma di istituzioni”. La portata di queste azioni “è senza precedenti”; un alto funzionario dell’Fbi ha dichiarato agli autori del rapporto che l’agenzia non ha “mai visto un tale livello di attività di intelligence e di influenza cinese all’interno e intorno al territorio nazionale”.

Ne è prova il numero altissimo di arresti e incriminazioni per “spionaggio, operazioni informatiche e campagne di influenza illegali” negli ultimi dodici mesi. Spiccano il condirettore di un think tank che avrebbe agito come agente cinese e una lunga serie di attacchi informatici aggressivi contro alti funzionari del governo statunitense e aziende come Microsoft. In parallelo, il Dragone porta avanti l’espansione di siti di raccolta di intelligence nei Paesi come Cuba.

CACCIA AI DISSIDENTI ESPATRIATI

Nel mentre la Cina ha condotto “una vasta campagna di monitoraggio, molestia e coercizione nei confronti di residenti negli Stati Uniti e in altri Paesi, nell’ambito di uno sforzo di rimpatrio extralegale noto come Operazione Fox Hunt”. Quest’anno l’Fbi ha arrestato due individui che gestivano una stazione di polizia illegale a Manhattan – non dissimile da quelle comparse anche in Italia e nel resto d’Europa. E il Dipartimento di giustizia ha “incriminato decine di funzionari” del Ministero cinese per la Pubblica sicurezza per aver condotto intimidazioni online contro cittadini cinesi residenti negli Usa che avevano criticato Pechino.

INTELLIGENCE E SPIONAGGIO INDUSTRIALE

Le azioni cinesi contro gli Usa “sono più estese di quanto si sappia” e si sviluppano in una serie di ambiti, a partire dalle sopracitate operazioni di intelligence che riguardano le persone, il monitoraggio di segnali e altri metodi di raccolta dell’informazione in modo pervasivo. Sul versante informatico, le organizzazioni cinesi (comprese le unità dell’esercito) mandano avanti una campagna “contro le aziende statunitensi e internazionali, le università, le agenzie governative, i media, i think tank, le ong e altri obiettivi”.

Lo scopo di questo sforzo è aiutare la Cina a superare l’Occidente, saltando le fasi di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e impossessandosi dei segreti industriali, ma anche “influenzare il pubblico estero e nazionale, assistere le campagne militari offensive e di migliorare le capacità di intelligenza artificiale e di big data analysis del Paese”.

DISINFORMAZIONE E CONTROLLO DELL’IMMAGINE

È appunto sul fronte dell’influenza che gli autori del Csis – e non solo loro – identificano una campagna di informazione e disinformazione globale “volta a influenzare il processo decisionale e il sostegno popolare per ottenere un vantaggio competitivo” e provare a controllare l’immagine della Cina all’estero “anche influenzando aziende, organizzazioni e individui che criticano la Cina”, dall’Associazione nazionale di basketball (Nba) agli studios di Hollywood, senza dimenticare di influenzare le persone ben posizionate per amplificare i messaggi preferiti dal Partito comunista su questioni politiche, economiche e non solo.

AZIONI MILITARI IRREGOLARI

Questo campo è appannaggio di una serie di attori, spiega il rapporto, che comprendono esercito, marina, aeronautica, forze missilistiche e milizie marittime cinesi, ma anche organizzazioni di ricerca e società di sicurezza private legate allo Stato. Tutti sono “coinvolti in sforzi diffusi per espandere l’influenza cinese” ma restando “al di sotto della soglia del conflitto armato”, e oltre a proteggere gli interessi cinesi nel Mar Cinese Meridionale ci sono “quasi due dozzine di società di sicurezza private cinesi che operano all’estero, tra cui in Africa, Medio Oriente, Asia e America Latina”, secondo i dati raccolti dal think tank statunitense.

COERCIZIONE ECONOMICA

Lo studio si concentra anche sugli sforzi internazionali della Cina di penetrare, o tentare di farlo, in quasi tutti i settori dell’economia statunitense e di molti suoi partner. In parallelo c’è lo sforzo di coercizione, ossia minacciare di imporre costi (o incentivi) per influenzare Paesi terzi e ottenere un vantaggio competitivo. La strategia regina in questo campo è la Nuova Via della Seta, intesa come “parte di un più ampio sforzo per influenzare i governi stranieri”. Il Csis rileva l’importanza particolare della cosiddetta Via della Seta Digitale “che mira a diffondere l’influenza cinese attraverso le telecomunicazioni, il commercio elettronico, l’hardware” ma anche il software di marche cinesi.

GLI OBIETTIVI DI PECHINO

Questa vera e propria guerra politica ha diversi scopi, ma i più importanti sono la conservazione del ruolo governativo del Partito comunista cinese e l’espansione dell’influenza cinese, che va di pari parro all’indebolimento degli Usa nell’ambito della competizione globale. Obiettivi che la strategia nazionale definisce come il “grande ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti”, perseguiti attraverso una guerra non guerreggiata per evitarne, appunto, una convenzionale e astenersi dal provocare altri Paesi.

COME SI PUÒ REAGIRE: IN DIFESA…

Alla luce di tutto questo, scrivono gli autori, Usa e partner “sono stati lenti nell’identificare e contrastare la guerra politica cinese. Questa situazione deve cambiare”. Una strategia di risposta efficace prevede diverse componenti fondamentali, che vanno fondate sui principi democratici “che restano fondamentali nella lotta contro i regimi autoritari”. Dopodiché si passa alle misure difensive, tra cui più controspionaggio (con più risorse e agenti con competenze di cinese mandarino) e l’integrazione della strategia nazionale e locale.

… E ALL’ATTACCO

Il Csis immagina anche “la conduzione di una campagna offensiva più efficace” da parte di Usa e partner. Gli alleati occidentali possono puntare all’indebolimento del Grande Firewall, sostenendo le attività in grado di creare varchi nel “muro” attorno alla sfera internet cinese attraverso istituzioni e attori terzi come le ong. Ma anche creare “un blocco multilaterale per contrastare la coercizione economica cinese”, cosa che richiede “uno sforzo collettivo da parte di Stati Uniti, Australia, Corea del Sud, Giappone, India e altri Paesi, tra cui quelli europei”.

Questo ultimo concetto prevede che i Paesi interessati si mettano nelle condizioni di “sanzionare la Cina in risposta alle minacce o alle azioni cinesi non conformi alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e finalizzate a raggiungere obiettivi politici cinesi non legati al commercio”. Si potrebbe anche creare “un fondo di compensazione collettiva per le perdite e offrire mercati alternativi di esportazione o importazione per deviare il commercio in risposta alle sanzioni cinesi”, per scoraggiare uno scenario simile a quanto accaduto con la Lituania.

Infine, essendo la competizione Cina-Occidente imperniata anche sullo sviluppo tecnologico, servirà “aumentare la competitività del settore privato nelle tecnologie emergenti” sviluppando partenariati pubblico-privati per competere più efficacemente con il Dragone nelle aree come il Sud Globale. Qui la reazione passerebbe dalle risposte europee e statunitensi alla Via della Seta (Global Gateway, Build Back Better World, e il più recente Blue Dot Network) ma anche da sostegni coordinati alle aziende tecnologiche che tentano di competere con quelle cinesi nei Paesi terzi.


formiche.net/2023/08/guerra-po…



Il Mar Cinese Meridionale è (anche) una questione pop


Il Mar Cinese Meridionale è (anche) una questione pop barbie 9 dash line
Hanoi vieta la proiezione del film di Barbie. Ma non è l’unica volta che un governo ASEAN frena l’industria dell’intrattenimento che, volontariamente o no, sostiene la versione di Pechino

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La lettera che Michele Santoro ha inviato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella pone problemi molto seri per la nostra democrazia e merita grande att


- Benzinaio vicino al lavoro alla vigilia della legge che impone esposizione del prezzo medio: gasolio 1,61 €/Lt

- Prezzo medio: 1,798 €/Lt
- Benzinaio oggi: 1,769 €/Lt

Ottimo lavoro!

in reply to J. Alfred Prufrock

In realtà il salto è stato di soli 10 centesimi/Lt alla vigilia, per poi galoppare giorno per giorno su (sia prezzo medio che praticato)


L’esorbitante numero delle partecipate di Stato


Il consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva, il 26 luglio scorso, il nuovo regolamento di organizzazione del ministero dell’Economia e delle finanze. Si è così conclusa la procedura iniziata il 16 marzo per istituire un Dipartimento dell’econ

Il consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva, il 26 luglio scorso, il nuovo regolamento di organizzazione del ministero dell’Economia e delle finanze. Si è così conclusa la procedura iniziata il 16 marzo per istituire un Dipartimento dell’economia, composto da tre direzioni generali, incaricato delle funzioni che riguardano il patrimonio pubblico, le società partecipate e gli interventi finanziari nell’economia; separato dal Dipartimento del tesoro, che continuerà a interessarsi di macroeconomia, del debito pubblico e della vigilanza sul sistema bancario e finanziario. Se si aggiunge il Dipartimento della giustizia tributaria, istituito di recente, il ministero dell’Economia e delle finanze passa così da quattro a sei dipartimenti.

Compito principale del Dipartimento dell’economia è di interessarsi delle società con partecipazione pubblica, dello Stato e di altri enti. Il nuovo «Direttore generale dell’economia», come si chiamerà il capo del Dipartimento, ha un compito difficile che è però agevolato da tre rapporti, che sono stati presentati negli ultimi sette mesi, sulle partecipazioni pubbliche, il primo, nel dicembre scorso, proprio dal Dipartimento del tesoro, il secondo nel gennaio dall’Istat, e il terzo negli ultimi giorni dal Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati.

Si tratta di tre «radiografie» dello «Stato arcipelago», della grande galassia delle società private in cui partecipano i poteri pubblici. Il loro numero, calcolato dall’Istat, ammonta a 7.969, con 908.511 addetti. Se ci si limita, come fa il Servizio per il controllo parlamentare, alle sole società controllate, si tratta di 3.448 società, con 582.669 addetti.

Queste società sono in continuo movimento. Il loro numero si è ridotto, dal 2012 al 2020, di un quarto, ma, nello stesso tempo, si è arricchito di nuove società, come quella per il trasporto aereo, quella per la decarbonizzazione del settore siderurgico, quella per la produzione di energia da fonti rinnovabili, quella per la promozione dell’efficienza energetica.

Dai tre rapporti citati emerge, innanzitutto, l’ottimo funzionamento dei tre organismi che li hanno prodotti, il Dipartimento del Tesoro, l’Istat e il Servizio per il controllo parlamentare. Si tratta di organismi che svolgono bene la loro funzione, censendo le società di primo, di secondo e di terzo livello, elencando i loro amministratori, le loro scadenze, le più diverse problematiche del settore industriale pubblico.

Da questi rapporti, in particolare dall’ultimo, emerge, però, anche che vi sono 559 società prive di dipendenti e 327 con un numero di dipendenti inferiore al numero degli stessi amministratori. Si tratta di società sostanzialmente vuote, dei meri schermi, sui quali dovrebbero esercitarsi i poteri di controllo dello Stato.

La seconda conclusione preoccupante riguarda la razionalizzazione prevista sette anni fa dal Testo unico delle società partecipate. Questa è ferma o va a rilento, tanto che il rapporto conclude che vi è un «basso tasso di adeguamento delle amministrazioni alle prescrizioni del legislatore di adottare misure di razionalizzazione». Un vero e proprio grido di allarme è quello che segnala che poco più del 44 per cento delle partecipate non rispetta uno o più parametri previsti dalla legge come condizione per il loro mantenimento in vita e che delle amministrazioni partecipanti solo poco più dell’82 per cento assolve gli obblighi di comunicazione dei dati. Se ne può dedurre che le amministrazioni difendono le loro partecipazioni e che talvolta lo stesso Parlamento autorizza la disapplicazione dell’obbligo di alienazione. Su questi punti critici dovrebbe esercitarsi il controllo governativo e parlamentare.

La relazione del Servizio per il controllo parlamentare analizza anche il provvedimento del 31 gennaio del 2023 con cui è stata definita la procedura di nomina degli amministratori. Questa merita una valutazione positiva, perché assicura sia il rispetto dei criteri di scelta, sia la trasparenza.

Un punto critico dell’assetto delle partecipazioni pubbliche, quale emerge in particolare dall’ultimo rapporto, riguarda la continua tensione tra il ricorso allo strumento privatistico della società per azioni, e i limiti di ordine pubblicistico che vengono disposti, sia direttamente dalle norme, sia dalle amministrazioni vigilanti, per evitare asimmetrie ed eccessiva discrezionalità. Se, da un lato, si ricorre al codice civile per assicurarsi i vantaggi dell’elasticità, dall’altro, come accade per le retribuzioni degli amministratori delle partecipate, si stabiliscono limiti che riproducono quelle gabbie pubbliche che con il ricorso al codice civile si volevano evitare.

Infine, stupisce che di un numero così cospicuo di addetti, quasi un milione, non tenga conto la Ragioneria generale dello Stato, che pure ha sede nello stesso ministero, nel calcolo degli addetti alla macchina pubblica. Questo consente di giungere erroneamente alla conclusione che il numero delle persone legate al settore pubblico allargato è inferiore a quello di altri Paesi di analoghe dimensioni, avvalorando la tesi che occorra procedere a maggiori assunzioni, che però costituirebbero un peso per la finanza pubblica e un danno per la macchina dello Stato.

Corriere della Sera

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SFondi


Che esistano opinioni e interessi diversi, nell’indirizzare la spesa pubblica – sia essa alimentata dalla raccolta fiscale, dalla creazione di debito o da fondi europei – è naturale. In questo consiste la politica: tenere in coerenza un’idea di società co

Che esistano opinioni e interessi diversi, nell’indirizzare la spesa pubblica – sia essa alimentata dalla raccolta fiscale, dalla creazione di debito o da fondi europei – è naturale. In questo consiste la politica: tenere in coerenza un’idea di società con le scelte pratiche fatte giorno dopo giorno. E siccome è naturale che si abbiano idee diverse di società, con ovvie e lecite ricadute nel campo degli interessi, lo è anche che ci si scontri su come e dove indirizzare la spesa pubblica. Accapigliarsi, invece, non sulla destinazione e finalità della spesa, bensì sulla corrispondenza fra spese annunciate e coperture effettive – cioè sull’esistenza o meno di disponibilità economiche e sulla loro coerenza nei capitoli di bilancio – non soltanto non è naturale, ma è segno di caos. E quel che si vede è il caos.

Tanto più che, nel caso delle scelte relative ai fondi di Next Generation Eu (ovvero soldi destinati alle future generazioni), in Italia strutturate secondo quanto contenuto nel Pnrr (ove le due “r” stanno per “rinascita e resilienza”, non per “relazioni e redistribuzioni”), la condivisione dovrebbe essere ampia. Per non dire totale, visto che, chiacchiere a parte, per le voci più rilevanti e per più del 90% dei fondi si tratta del Piano elaborato dal governo Draghi, allora sostenuto da chi oggi è all’opposizione, fatto proprio e in parte emendato da chi allora era all’opposizione. Ragione per cui mentre un dibattito sulla destinazione dei fondi sarebbe da seguire con interesse, quello sull’esistenza dei fondi sostitutivi è da seguirsi con diffidenza.

Dice il ministro Fitto che non ci sono problemi e che tutto è regolarmente coperto, anche per quelle voci che sarebbero uscite dal novero del Piano, per essere coperte con la normale spesa pubblica. A noi farebbe piacere prendere per buone quelle parole, se non fosse che è la stessa fonte che assicurava non vi fossero ritardi di nessun tipo. E del resto, a nutrire dei dubbi non è soltanto l’Ufficio parlamentare di bilancio, ma anche sindaci che si vedono sottratti i fondi (e vabbè, magari fanno capo all’opposizione) e presidenti di Regione che sostengono di avere appreso i cambiamenti a cose fatte (ivi compreso il presidente del Friuli Venezia Giulia, che è un esponente della Lega).

A questo si aggiunga che il Pnrr, come qui ripetuto fin oltre la noia, non è soltanto lo strumento finalizzato all’uso dei fondi europei (per due terzi prestati a tassi di favore e per un terzo regalati, meglio non dimenticarlo), ma anche un già tracciato percorso di riforme. Necessarie a sottrarre l’Italia al pantano improduttivo nel quale si trova a marinare da lustri. E quelle riforme sono non soltanto in sicuro ritardo, non soltanto già riviste al ribasso (ad esempio nel rispetto dei tempi processuali, il che comporta rinuncia alla civiltà), ma stiamo passando l’estate a discutere oziosamente di una cosa che era già risolta nel disegno di legge sulla concorrenza elaborato dal governo Draghi e smontato da chi oggi governa, sui taxi, e si allunga ridicolmente la palla sui balneari, nel mentre l’estate sta finendo (Righeira, op. cit.) con aumenti dei prezzi fuori da ogni relazione con i costi e con l’inflazione. Se manco con tassisti e balneari si riesce a fare i conti e sbloccare l’Italia, chi crederà mai alla determinazione, ma forse anche alla volontà, di affrontare altre e più rilevanti partite?

Quindi: la rissa contabile deve finire subito. Se non siete capaci chiamate una società di certificazione. Mentre, con il dovuto rispetto per gli affaticamenti parlamentari, sarà il caso di osservare che nessun settore produttivo si ferma del tutto per le ferie. A meno che i parlamentari ritengano non produttivo il lavoro che svolgono, nel qual caso non ci sarebbe motivo di tornare da cinque settimane di ferie.

Non si tratta soltanto di essere seri sui fondi, rispetto ai quali ci si gioca la crescita futura e la credibilità presente, ma di cessare l’approssimazione e la prepotenza parolaia che fanno da sfondo al non commendevole spettacolo.

La Ragione

L'articolo SFondi proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



[Analisi] Etiopia, in Tigray l’impatto della sospensione del supporto alimentare potrebbe essere peggiore dell’assedio. 


L’articolo che segue (con una mia contestualizzazione) è la traduzione integrale dell’analisi di Duke Barbridge per Tghat che identifica l’aggravamento della situazione di vita per milioni di persone in Tigray, stato regionale etiope, dopo la decisione da

L’articolo che segue (con una mia contestualizzazione) è la traduzione integrale dell’analisi di Duke Barbridge per Tghat che identifica l’aggravamento della situazione di vita per milioni di persone in Tigray, stato regionale etiope, dopo la decisione da parte di WFP e USAID di sospendere la fornitura alimentare umanitaria.

Contesto


Nel novembre 2020 in Tigray è iniziata una guerra regionale che ha coinvolto anche Eritrea e indirettamente soldati somali e che oggi viene definita la più atroce degli ultimi anni. Le stime parlano di più 600.000 morti tra i civili e sono state perpetrate attività di pulizia etnica, sostituzione demografica sul popolo tigrino, crimini di guerra e contro l’umanità in cui sono implicati tutte le forze coinvolte in prima linea.

Guerra combattuta nel totale blackout elettrico, comunicativo di 2 anni e nell’isolamento e confinamento di più di 6 milioni di persone nel Tigray per strategia militare dettata da scelte politiche ben precise: anche dopo l’accordo di tregua gli invasori eritrei e le milizie e le forze amhara (in parte ancora occupanti varie zone della regione) hanno continuato a perpetrare abusi e violenze.

Oggi la sopravvivenza delle persone che vivono per la maggior parte in zone rurali, per i milioni di sfollati e per le persone affette da patologie croniche o di primo soccorso è ancora appesa ad un filo: manca ancora tutto anche se ci sono notizie di una certa ripresa (come la recente apertura delle università di Mekelle ed Adigrat) e voglia di ricostruzione. Nonostante l’accordo di tregua siglato il novembre 2022, le forniture umanitarie, il materiale salvavita medico e alimentare si fanno attendere.


Archivio di 2 anni: Tigray : la Guerra Genocida Dimenticata dal Mondo – Archivio


Per l’Italia del governo Meloni si è tutto risolto con il viaggio di propaganda della Premier in Etiopia fotografata insieme agli abbracci ed ai sorrisi dei bambini sventolanti la bandiera italiana congiuntamente ad una precedente visita del Premier etiope Abiy Ahmed Ali in cui è stato siglato un accordo triennale del valore di 182 milioni di euro per supportare la filiera agroalimentare, del té e del caffe etiopi.

Per l’Italia dei media politicizzati che seguono lo scoop si è risolto tutto il 2 novembre 2022 a Pretoria, quando con la mediazione dell’Unione Africana, governo centrale etiope e rappresentanti del Tigray hanno siglato l’accordo di “cessazione ostilità”, di tregua, di non guerra. I media del tricolore quindi si sono sentiti legittimati a non scriverne più dell’attuale crisi umanitaria del Tigray.

I media in Italia non rendono nota nemmeno l’attuale instabilità sociale nella vicina regione Amhara in cui c’è un fermento di violenze ed attacchi tra forze di polizia regionali, federali e fazioni “ribelli” di milizie che secondo fonti governative starebbero intaccando stabilità e pace nell’area e coinvolgendo anche i civili come vittime degli attacchi fratricidi.
Premier Meloni, missione Etiopia - Africa / #PianoMattei?Premier Meloni, missione Etiopia – Africa / #PianoMattei? (Foto Ansa)
La recente visita in Tigray (1 agosto 2023) di Marco Sassi, presidente VIM – Volontari Italiani Madagascar coordinamento di 120 associazioni, ha messo in luce la realtà di vita degli IDP, degli sfollati nei campi di accoglienza di Abi Adi.

“Campo profughi di Abi Addi (Tigray). In questo campo 1200 bambini vengono sfamati una volta al giorno con gli aiuti intermittenti della diaspora, raccolti da una suora ortodossa, una sorta di piccola Madre Teresa di Calcutta, che ho incontrato alla sera. Non hanno altri aiuti da 7 mesi. Sono alla fame. Il campo era una scuola, che ovviamente non funziona, anche perchè mancherebbero i maestri.
Qua ad Adi Abbi sono stati uccisi dagli Eritrei centinaia di civili, tra cui 3 operatori umanitari di MSF, tra cui la spagnola Maria Hernandez.
Sono in disperata ricerca di aiuti e sono alla disperazione. Oggi i bambini non hanno mangiato, non c’erano scorte, quelle poche sono state rovinate da una tempesta d’acqua.”


Campi IDP Abi Adi - grave situazione umanitaria e di vita di migliaia di sfollati in TigrayCampi IDP Abi Adi – grave situazione umanitaria e di vita di migliaia di sfollati in Tigray
In un successivo aggiornamento ha denunciato:

Non ho segnale per scrivere tutto quello che penso dell’Unicef e delle altre grandi Agenzie UN e ong che sono passate a fare promesse da marinaio. Meglio che non abbia segnale.


126 morti per fame in questo altro campo profughi dimenticato di Abi Addi, in una scuola dove si sono rifugiate 2700 persone, che non ricevono aiuti alimentari da 7 mesi.
Vivono in 50 persone in ciascuna delle aule, sono allo stremo, alcune aspettano la morte per terra.
Sono scappate tutte dalla zona di Humera, Western Tigray, occupato da milizie irregolari Fano, che stanno continuando nel loro genocidio, del tutto indifferenti agli Accordi di Pretoria.
Temo che presto la situazione possa implodere nuovamente, se non si ritirano le milizie Fano e le truppe eritree dal Nord Tigray, spalleggiate da quelle somale, entrambe responsabili di eccidi di massa di civili inermi, stupri, evirazioni di bambini, torture, razzie e ogni altra barbarie possibile.
Non ho segnale per scrivere tutto quello che penso dell’Unicef e delle altre grandi Agenzie UN e ong che sono passate a fare promesse da marinaio. Meglio che non abbia segnale.
Perchè questa è una situazione disumana e non si può accettare che chi si è salvato dalla guerra muoia per la fame.
Solo qua ci sono state 126 decessi per fame, molti negli ultimi giorni, ma gli IDP’s ad Adi Abbi sono 70.000 e sono tutti nelle stesse condizioni di abbandono.

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Le preziose testimonianze condivise da Marco Sassi corroborano, confermano l’analisi dati esposti da Duke Barbridge sulla gravità di vita per milioni di persone in Tigray dettate da volontà e scelte politicizzate.


L’impatto della sospensione degli aiuti nel Tigray potrebbe essere peggiore dell’assedio.


(di Duke Barbridge su Tghat)

Secondo la prima importante valutazione condotta dopo la sospensione degli aiuti alimentari, nel giugno 2023 più famiglie tigrine si trovano nella fase peggiore dell’insicurezza alimentare in almeno due zone (centrale e sudorientale) rispetto a un anno fa . Lo studio condotto dai ricercatori del Tigray Health Research Institute e delle università Mekelle e Adigrat e rivisto da Tghat media ha rilevato che più di un bambino su dieci sotto i due anni soffriva di malnutrizione acuta grave e che il tasso di malnutrizione acuta grave per i bambini sotto i due anni cinque era del 38%, che supera la soglia per la carestia. I dati del nuovo studio suggeriscono che l’impatto dell’assedio sulla sicurezza alimentare nel Tigray, come osservato nella valutazione del giugno 2022 del WFP, è stato meno grave dell’impatto della sospensione osservato il mese scorso.

Questo sviluppo arriva solo quattro mesi dopo una precedente valutazione fatta dal Programma Alimentare Mondiale (WFP) poco prima della sospensione degli aiuti e mai pubblicata, secondo la quale la grave insicurezza alimentare si era dimezzata nel Tigray dall’accordo di Pretoria e quasi la metà del popolazione bisognosa aveva ricevuto assistenza alimentare nell’ultimo mese.

In difesa della decisione sempre più controversa di sospendere gli aiuti, il Direttore Esecutivo del WFP Cindy McCain ha descritto un completo fallimento della risposta alla carestia nei mesi precedenti la sospensione degli aiuti in una recente intervista per Devex con Teresa Welch:

“La maggior parte della deviazione degli aiuti è avvenuta a dicembre e gennaio, ha detto McCain, ma il WFP l’ha scoperto solo ‘molto più tardi’. Lo ha definito “un disastro tutto intorno”. […] McCain ha affermato che il WFP ha adottato un approccio “senza rimpianti” per fornire aiuti alimentari in Etiopia, seguendo un principio umanitario secondo cui in un contesto di emergenza, le decisioni possono essere prese con minore riguardo alle conseguenze a lungo termine perché il bisogno immediato è così acuto . […] ‘Ha fallito’, ha detto McCain di quell’approccio.


È interessante notare che McCain si concentra su dicembre e gennaio come il punto in cui si è verificata la maggior parte della diversione per due motivi. In primo luogo, la quantità di cibo distribuito nel Tigray a febbraio e marzo 2023 ha superato la distribuzione di dicembre e gennaio di circa un milione di razioni. Se l’indagine sul furto di aiuti ha rilevato che la quantità di cibo deviato è diminuita mentre è aumentata la quantità di cibo distribuito, sembrerebbe rappresentare un progresso senza la necessità di una sospensione. In secondo luogo, alla fine di gennaio il WFP ha lanciato una valutazione alimentare, che avrebbe fornito una visione diretta della portata della diversione e del suo impatto sull’insicurezza alimentare nel Tigray. Tranne che la valutazione di febbraio non ha registrato alcuna prova di un recente “disastro”.

Tre conclusioni dai due studi inediti


Le conclusioni che si possono trarre da entrambi gli studi sottolineano la necessità dell’immediata ripresa degli aiuti e contraddicono direttamente la giustificazione del WFP per la sospensione degli aiuti al Tigray alla fine di marzo , all’inizio della stagione di magra agricola, mentre 5,4 milioni di persone cercano di sopravvivere fino al raccolto autunnale.

Conclusione 1: il cibo distribuito dopo l’accordo di Pretoria raggiungeva i beneficiari bisognosi a partire dal febbraio 2023.


Il numero di intervistati nella valutazione del WFP di febbraio che ha riferito di aver ricevuto assistenza alimentare nel mese precedente era paragonabile alla scala di distribuzione riportata dall’Etiopia Food Cluster. Il grafico seguente mostra essenzialmente quanti intervistati avrebbero dovuto dire ai ricercatori di aver ricevuto assistenza alimentare nel mese precedente al momento in cui è stata messa in campo ciascuna valutazione alimentare. Quando sono state condotte le interviste per la valutazione di febbraio (dal 26 gennaio al 23 febbraio), tra il 37 e il 46% delle persone bisognose avrebbe dovuto ricevere cibo nelle quattro settimane precedenti. La valutazione ha rilevato che il 46% di oltre 4.000 famiglie aveva ricevuto cibo nel mese precedente.

Questa scoperta non smentisce le segnalazioni di dirottamento o furto di aiuti, né suggerisce che i bisogni delle persone più vulnerabili del Tigray siano stati soddisfatti. Tuttavia, dimostra che, secondo il WFP a febbraio, la prevalenza dell’abuso era sufficientemente bassa a febbraio da eludere il rilevamento nel più grande studio di valutazione alimentare eseguito nel Tigray dall’inizio della guerra. Ciò suggerisce fortemente che il furto e la deviazione erano gestibili appena prima della sospensione degli aiuti a livello regionale.

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Conclusione 2: la riuscita distribuzione dell’assistenza alimentare internazionale sembra aver contribuito al primo periodo di progressi contro la grave insicurezza alimentare nel Tigray dal 2021.


Come mostra il grafico successivo, tra giugno 2022 e febbraio 2023, il tasso di grave insicurezza alimentare nel Tigray è sceso di oltre la metà, passando dal 47% al 21% complessivamente, con le diminuzioni più significative osservate nelle zone centrali e nord-occidentali. I ricercatori hanno riscontrato riduzioni a due cifre della grave insicurezza alimentare in ogni zona accessibile.

È difficile prevedere l’impatto complessivo della distribuzione del cibo sulla grave insicurezza alimentare a causa dell’ampia gamma di fattori che potrebbero spingere ulteriormente una famiglia verso la fame. Tuttavia, il miglioramento su questa scala suggerisce che la distribuzione degli aiuti alimentari stava generando risultati positivi per coloro che li ricevevano. La netta riduzione della grave insicurezza alimentare unita al forte aumento delle famiglie che hanno dichiarato di aver ricevuto assistenza alimentare nell’ultimo mese sono forti indicazioni che l’approccio adottato dal WFP e da altre agenzie internazionali di aiuto nel Tigray stava finalmente iniziando a compiere progressi significativi sulla questione.

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Conclusione 3: A giugno, l’impatto della sospensione degli aiuti sulla grave insicurezza alimentare nel Tigray era già peggiore di quanto non fosse l’anno scorso alla fine dell’assedio, quando gli aiuti alimentari non erano ancora un fattore.


L’impatto della sospensione del cibo è già stato devastante per le persone che hanno subito una campagna di genocidio e fame armata. Secondo i dati più recenti disponibili dalle zone sudorientali e centrali, la grave insicurezza alimentare è aumentata notevolmente ed è più diffusa ora di quanto non fosse durante l’assedio. Come mostrato nel grafico successivo, il tasso di grave insicurezza alimentare è quasi raddoppiato nella zona sudorientale e quasi triplicato nella zona centrale dopo la sospensione.

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Come indicato nel primo grafico, al momento delle interviste per la valutazione del giugno 2022, gli aiuti alimentari non avevano ancora raggiunto un numero sufficiente di famiglie per costituire un fattore di sicurezza alimentare. Le condizioni in questo momento avrebbero rispecchiato quattro mesi di pieno assedio che hanno preceduto la valutazione piuttosto che la temporanea ripresa dell’accesso agli aiuti che aveva raggiunto meno del 10% nelle quattro settimane precedenti la ricerca sul campo. Durante le interviste per la valutazione del giugno 2023 nessuno aveva ricevuto aiuti nelle ultime quattro settimane e la grave insicurezza alimentare era di cinque punti percentuali più alta in entrambe le zone rispetto a un anno prima.

Non c’è motivo di credere che le famiglie tigrine nelle altre zone del Tigray stiano meglio di quelle della zona sud-orientale e centrale. Vi sono tutte le ragioni per credere che le condizioni siano ancora peggiori in luoghi come Endabaguna , dove decine di migliaia di sfollati tigrini avevano perso l’ultimo giro di distribuzione di cibo e sono stati abbandonati dal WFP prima della sospensione.

Come ha riferito la scorsa settimana un operatore umanitario ad Adwa, il numero dei morti e degli affamati è sconosciuto perché c’è poca speranza per le persone di trovare cure per la malnutrizione nelle strutture sanitarie. Quindi, stanno morendo a casa.

“Quindi, stanno morendo a casa.”


Come mostrato nel grafico finale, all’inizio della sospensione gli operatori sanitari del Tigray avevano scorte sufficienti per curare più di 11.000 bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione acuta grave (SAM), a giugno la fornitura di alimenti terapeutici, formule e medicinali era stato ridotto di oltre due terzi. Secondo la più recente valutazione alimentare, il tasso di SAM nei bambini sotto i due anni nella woreda di Adwa era di un astronomico 30% a giugno. Secondo la dashboard di gestione SAM di Nutrition Cluster solo 41 bambini sono stati ricoverati per malnutrizione grave durante quel mese, in calo rispetto ai 1.631 di marzo.

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Controllo più informale?


“Fino al 2022, il direttore nazionale del WFP per l’Etiopia non credeva che ci fossero stati decessi legati alla fame nel Tigray”


È agghiacciante vedere gli alti dirigenti del WFP rilasciare dichiarazioni sul Tigray che sembrano contraddire i propri dati. Fino al 2022, il direttore nazionale del WFP per l’Etiopia non credeva che ci fossero stati decessi legati alla fame nel Tigray sulla base di ciò che ha descritto nel suo libro di memorie come “ qualche controllo informale “. Valutazioni più formali dell’OIM-DTM hanno rilevato che circa 100.000 bambini di età inferiore ai cinque anni sono stati sfollati nella zona nord-occidentale del Tigray, che è la più grande area di operazioni del WFP nel Tigray. Di questi bambini, più della metà viveva in un sito di accoglienza che (a) aveva ricoverato almeno un bambino in cure speciali per malnutrizione acuta grave e (b) non aveva ricevuto assistenza alimentare negli ultimi tre mesi.

Era, ed è tuttora, compito del WFP fornire assistenza alimentare per evitare che i bambini nella zona nord-occidentale del Tigray muoiano di fame. In passato, gli alti dirigenti del WFP non credevano nelle morti per fame. Oggi, l’alta dirigenza non crede che la distribuzione di cibo nel Tigray sia un modo efficace per impedire loro di morire di fame.

“Oggi, l’alta dirigenza non crede che la distribuzione di cibo nel Tigray sia un modo efficace per impedire loro di morire di fame.”


Lo sforzo umanitario nel Tigray è stato debole nel gennaio 2023 rispetto all’entità del bisogno, ma non è stato il “disastro” descritto da McCain. Il disastro è stato creato dalla sospensione degli aiuti e oggi sta uccidendo i tigrini. I donatori e i responsabili politici devono spingere il WFP per la trasparenza in modo che i dirigenti senior, piuttosto che le famiglie affamate, siano ritenuti responsabili di decisioni sbagliate.


Autore: Duke Burbridge – è stato Senior Research Associate presso l’International Center for Religion & Diplomacy (ICRD) per quindici anni, dove ha fornito supporto alla ricerca per programmi di costruzione della pace basati sulla comunità in paesi colpiti da conflitti come Pakistan, Yemen e Colombia. Durante la sua permanenza all’ICRD, Burbridge ha anche condotto ricerche sul ruolo dell’istruzione nella radicalizzazione e nel reclutamento in gruppi estremisti violenti in Arabia Saudita e Pakistan e sul ruolo dei leader religiosi conservatori nel contrastare l’estremismo violento nello Yemen e nell’Africa settentrionale e orientale. Ha lasciato il campo nel 2021 per scrivere un libro sulla riforma della costruzione della pace guidata dall’esterno. Ha sospeso il libro per aumentare la consapevolezza del genocidio in atto nel Tigray.

Foto: Mercanti che vendono legumi e legumi, Adi Haqi Market, Mekelle, Tigray | Attestazione: Goyteom Gebreegziabher ( Goyteom37 )


FONTE: tghat.com/2023/08/03/new-data-…


tommasin.org/blog/2023-08-03/a…



Nell’ambito della operazione legalità contro i diplomifici, si è svolto oggi un incontro al Ministero dell’Istruzione e del Merito, al quale hanno partecipato il Ministro Giuseppe Valditara, il Capo di Gabinetto Giuseppe Recinto, il Capo Dipartimento…


Laura Tussi Con la Musica di RAI 3. La Rai ha realizzato un filmato nel 2011 incentrato sullo straziante monologo di Moni Ovadia in ricordo delle vi


Matteo Renzi e Ferruccio de Bortoli: uno scontro di titani



Anche nelle migliori immagini della sua propaganda, il boy scout di Rignano riesce comunuqe a figurare tra i soggetti meno fotogenici.

Un foglio di inizio agosto 2023 comunica che Matteo #Renzi ha perso in sede civile contro Ferruccio de #Bortoli.
Del primo è persino inutile parlare.
Il secondo è l'ideatore del prodotto Oriana Fallaci. Con questo non si intende dire che la distruzione del Medio Oriente, le stragi quotidiane in #Iraq e in #Siria, i ben vestiti in giro per #Riyadh intanto che nello #Yemen muoiono sotto le bombe donne di cui non importa nulla a nessuno perché sono compostamente vestite siano per intero colpa sua: negare la sua importanza come facilitatore e divulgatore delle più abiette istanze dell'"occidentalismo" contemporaneo sarebbe altrettanto irresponsabile.
Comunque: de Bortoli ha scribacchiato, diversi anni fa, cose che il boy scout di #Rignano non ha gradito. Qualche mese fa una certa Susanna #Zanda gli aveva già fatto presente che i tribunali non sono bancomat, e al tempo stesso gli aveva tolto di tasca sedicimila euro a titolo di maggiore incisività del consiglio.
La cosa deve essere servita a poco: ecco quindi dopo meno di sei mesi un approfondimento in materia di diritto privato.
Docente incaricata, sempre Susanna Zanda.
Che ha praticato a Matteo Renzi lo sconto che è d'uso in ogni ambiente riservare ai clienti affezionati, esigendo mille euro in meno rispetto all'altra volta.
Spiccioli, quando si passa da un ristorante costoso a una consulenza in urbanistica.
Cifra ragguardevole, invece, se si lavora sul serio.



Export militare, arriva la riforma. Ecco il Comitato interministeriale


Dopo la modifica dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento decisa la scorsa settimana, il governo voterà al Consiglio dei ministri di lunedì un disegno di legge che modifica le previsioni della legge 185, la norma che regola l’esportazion

Dopo la modifica dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento decisa la scorsa settimana, il governo voterà al Consiglio dei ministri di lunedì un disegno di legge che modifica le previsioni della legge 185, la norma che regola l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali d’armamento. La principale riforma vede la reintroduzione presso la presidenza del Consiglio dei ministri del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), soppresso nel 1993. L’organo si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge 185, e in generale delle politiche di scambio nel settore della difesa. Una misura che, come riportato dalla legge stessa, segue “l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti”.

Faranno parte del Cisd, che sarà presieduto direttamente dal presidente del Consiglio, i ministri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze, delle Imprese e del Made in Italy. Le funzioni di segretario saranno svolte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con funzioni di segretario e alle sue riunioni potranno essere invitati di volta in volta anche altri ministri, qualora interessati al dossier in corso di valutazione.

La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.

Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.

Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil. Del resto è stata proprio la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), nella sua ultima assemblea a Roma, ospitata dal Centro alti studi della Difesa (Casd), a lanciare l’allarme sulla flessione dell’export italiano della difesa, con le autorizzazioni alle esportazioni in continua decrescita dal 2016.


formiche.net/2023/08/riforma-e…



Letture Asiatiche – Voci da Taiwan


Letture Asiatiche – Voci da Taiwan 8592569
Un volume a cura di Rosa Lombardi per Orientalia Editrice che racconta le tante sfaccettature dell'identità taiwanese attraverso la produzione culturale. Dalla corrente modernista a quella nativista, dalla letteratura dei villaggi di guarnigione al grande cinema realista

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Il corteo napoletano di oggi, mercoledì 2 agosto, contro il taglio del Reddito di Cittadinanza ha dato un segnale generale di ribellione. Lo ha dato in partico


Fallimento


Il reddito di cittadinanza è stato un fallimento. Un costoso fallimento che oggi genera disordini e proteste. Quanti furono favorevoli dovrebbero comprenderne il perché e fare proposte (possibilmente realistiche), indicando come rimediare. Anche quanti fu

Il reddito di cittadinanza è stato un fallimento. Un costoso fallimento che oggi genera disordini e proteste. Quanti furono favorevoli dovrebbero comprenderne il perché e fare proposte (possibilmente realistiche), indicando come rimediare. Anche quanti furono contrari dovrebbero studiare le cause del fallimento, in modo da potere fare proposte (possibilmente realistiche) su cosa comunque cambiare. Invece chi votò contro tutta questa roba, come il Partito democratico, veste a lutto perché verrebbe soppresso quel che non avrebbero voluto far nascere; chi votò a favore, come la Lega, inneggia alla morte di quello alla cui nascita inneggiò; e chi fu contrario e ora vuol cancellare s’industria a trovare i correttivi per riuscire a prolungare i pagamenti.

La promessa del governo, ad esempio, è quella di pagare comunque 350 euro al mese a quanti si iscriveranno agli appositi corsi di formazione. Si discute se pagare all’iscrizione o dall’inizio del corso, corrispondendo anche gli arretrati. Siccome abbiamo già collaudata esperienza dei corsi di aggiornamento professionale assegnati alla gestione delle varie corporazioni (quella dei giornalisti compresa e in testa) – che sono insulti al buon senso e meritevoli solo della firma di presenza o, meglio ancora, della rivendicata assenza – è fondato il dubbio che possa trattarsi, in tutto o in parte, di roba d’analoga inutilità e dispendiosità. Siccome il mondo produttivo non fa che lamentare l’assenza di manodopera e di lavoratori adeguatamente formati, s’indirizzino lì i soldi: organizzate i corsi, fatelo a spese vostre, formate le persone che vi servono e formatele a quel che vi serve; all’esito del corso e all’attivazione del contratto vi verrà versato il corrispettivo di quel che sarebbe costato riattivare il pagamento al disoccupato nel mentre resta disoccupato. Le aziende fanno un investimento utile a loro stesse; la spesa pubblica s’indirizza a una pubblica utilità e scuce alla creazione di un posto di lavoro; il disoccupato cessa d’essere tale e festeggia.

A parte qualche bislacco teorizzatore del diritto al reddito per affrancarsi dal lavoro – che è teoria concepibile soltanto nella nullafacenza e nella consuetudine all’evasione fiscale – lo scopo dichiarato del reddito di cittadinanza era quello di agganciare i disoccupati (gli inoccupabili sono altra faccenda e per gli inabili esistevano sostegni anche prima ed è giusto che rimangano), metterli in contatto con chi era in grado di indirizzarli al lavoro e, quindi, farli assumere e cessare di sussidiarli. Com’era facilmente prevedibile non ha funzionato e, anzi, è finita che anche i navigator hanno manifestato per essere mantenuti nel loro ruolo. Che se fossero stati in grado di trovare il lavoro a qualcuno, forse ci sarebbero già andati. A esito di questa entusiasmante esperienza – vivendo nel Paese in cui i disoccupati sono tanti, ma i lavoratori mancanti sono di più – ciò che oggi sarebbe utile non è fare una Commissione parlamentare d’inchiesta per ripetere a pappagallo i dati già prodotti dalla Guardia di Finanza circa i raggiri, ma ascoltare qualche cosa di serio sul (non) funzionamento dei Centri per l’impiego. Che non funzionano da prima del 2019, quando il primo governo Conte si vantò di avere cancellato la povertà.

Sarebbe saggio proporre: a. una banca dati nazionale unica dell’assistenza; b. la collaborazione regolata dei Centri pubblici e privati per la ricerca di personale e del lavoro; c. corsi di formazione che non servano a pagare formatori altrimenti disoccupati. Sarebbe sensato avere forze politiche più sensibili alle esigenze produttive e sarebbe sensato di averne di più sensibili alla condizione dei disoccupati. Parlandosi concretamente scoprirebbero di avere il comune interesse alla crescita di occupazione e produttività.

L’assistenzialismo non è un triste obbligo derivato dalla povertà, ma una triste scelta deresponsabilizzante che genera povertà. La quale dilaga – come dimostra il trasformismo piagnucoloso – in povertà di idee politiche.

La Ragione

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Abusando degli scioperi la Cgil, come disse Turati, uccide la gallina dalle uova d’oro


Quando, a inizio Novecento, il marxismo rappresentava ancora il sol dell’avvenir, gli imprenditori erano chiamati “padroni” e per conflitto sociale si intendeva la lotta di classe, c’era chi nell’abuso del diritto di sciopero introdotto dal governo Giolit

Quando, a inizio Novecento, il marxismo rappresentava ancora il sol dell’avvenir, gli imprenditori erano chiamati “padroni” e per conflitto sociale si intendeva la lotta di classe, c’era chi nell’abuso del diritto di sciopero introdotto dal governo Giolitti vedeva un rischio mortale per la sinistra in generale e per il movimento operaio in particolare. Era il leader socialista, di cultura riformista, Filippo Turati, che titolò “Scioperi vani” un pensoso articolo pubblicato sulla rivista milanese “Lotta di classe”. Vi si legge un avvertimento: “Lo sciopero è mezzo di estrema difesa, da usarsene con ogni riguardo”. L’articolo entusiasmò il giovane liberale Luigi Einaudi, che pure era distante anni luce dall’interpretazione marxista dell’economia e della società. “Non esito a dire che questo è uno degli articoli più notevoli usciti dalla penna di Filippo Turati”, scrisse Einaudi.

Turati ribadì più volte il concetto, fino a trasformalo in un vero e proprio monito: “State attenti con gli scioperi, che rischiate di uccidere la gallina dalle uova d’oro”. Non fu ascoltato. Di lì a poco, tra il 1919 e il 1920, l’Italia visse il suo “biennio rosso” fatto di scioperi selvaggi, manifestazioni di piazza e violenze politiche d’ogni sorta, spalancando di conseguenza le porte della Storia al Fascismo in quanto fenomeno d’ordine. “La gallina dalle uova d’oro” finì in pentola per il successivo ventennio.

Sarebbe il caso che Maurizio Landini ripartisse da Filippo Turati. O quantomeno leggesse i resoconti del dibattito che nel 1947 animò i membri dell’Assemblea costituente. Pochi, ad esempio il fondatore dell’Uomo qualunque Guglielmo Giannini, erano contrati a riconoscere il diritto di sciopero (regolato per legge) in Costituzione. Tutti, anche il celebre segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio, mettevano in guardia dall’uso “politico” di tale diritto.

C’è da credere che tanto Turati quanto Di Vittorio avrebbero considerato “politico”, e pertanto sconveniente, lo sciopero generale annunciato nelle scorse settimane per l’autunno da Maurizio Landini contro la legge di bilancio del governo Meloni. Legge di bilancio di cui ancora non vi è traccia. Del resto, si tratta dello stesso Landini che, al pari di mezzo Pd, disse peste e corna del reddito di cittadinanza quando fu approvato dal primo governo Conte, ma ora che il governo Meloni lo ha smontato lo difende a spada tratta. Dallo sciopero preventivo al reddito tardivo, tutto lascia credere che si annunci un autunno caldo. Caldissimo.

Non resta che augurarsi che un soprassalto di buonsenso indirizzi le scelte e governi il linguaggio di vecchi e nuovi capipopolo. La povertà non è stata abolita, il malessere esiste. La brace delle tensioni sociali è sempre viva, a soffiarci sopra con intenti demagogici si rischia di alimentare una fiamma destinata a sfuggire ad ogni controllo.

Huffington Post

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Paolo Ferrero* Serve una ribellione di popolo contro questa manovra che il governo ha messo in campo contro la parte più debole della società italiana. Che


Soumaila Diawara*   Gli avvenimenti in Africa, a cui stiamo assistendo, sono le conseguenze dell’omertà e del silenzio di tutta l’Europa sulle nefan


È stato firmato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che definisce i nuovi percorsi di formazione iniziale degli insegnanti della Scuola secondaria di I e II grado.


Cyanide Pills - Soundtrack to the New Cold War


Garage punk per la vostra estate !

iyezine.com/cyanide-pills-soun…

@Musica Agorà

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I primi 10 anni della legge sulla salute mentale in Cina, tra cure mancate e forzate


I primi 10 anni della legge sulla salute mentale in Cina, tra cure mancate e forzate Cina
Ci sono voluti ben 27 anni di bozze affinché la prima legge sulla salute mentale della RPC entrasse in vigore nel maggio del 2013. Anticipata da politiche locali fin dai primi anni duemila, la normativa segna una svolta storica

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DeCrescita


Non è un annuncio di recessione. La crescita annua resta positiva e positivo è il risultato del secondo trimestre 2023 rispetto al secondo trimestre 2022. Ma l’Istat comunica che quel risultato, rispetto al primo trimestre dell’anno in corso, fa registrar

Non è un annuncio di recessione. La crescita annua resta positiva e positivo è il risultato del secondo trimestre 2023 rispetto al secondo trimestre 2022. Ma l’Istat comunica che quel risultato, rispetto al primo trimestre dell’anno in corso, fa registrare un non piacevole -0,3%. È una stima, ma è anche un fatto. E con i fatti si devono fare i conti.

Confindustria da settimane lancia allarmi sulla produzione industriale. Nel conto si deve mettere anche il fatto che il comparto agricolo e gli allevamenti della Romagna sono finiti sott’acqua. Per rimediare ci vorrà del tempo. Il nostro settore industriale è fortemente integrato con quello tedesco, che non è messo bene (per questo avvertivamo che se quel governo intende spendere soldi del suo contribuente per aiutarlo, anziché «Fermati» gli si deve dire «Sbrigati e concorda in sede Ue»). Il lato servizi continua ad andare bene, ma senza maggiore concorrenza produce più inflazione. Il turismo va molto bene, ma non ha la forza d’invertire il rinculo che ora si registra.

A questo si aggiunga che i conti pubblici italiani sono stati calibrati su una crescita a +0,9% (questa la previsione contenuta nel Documento di economia e finanza), che è ancora alla portata, semmai passibile di ritocco per uno zerovirgola, ove dovesse verificarsi una mancata crescita nella seconda metà dell’anno. Quindi: niente panico. Ma anche: niente sorrisi ebeti.

Ci eravamo premurati di osservare che non è stato confortante ascoltare, dopo le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, commenti fuori luogo e festeggiamenti perché «cresciamo più di Francia e Germania». Da tre anni cresciamo bene e più di altri – senza recuperare il ritardo prima accumulato – ma siamo in decelerazione. Sarebbe ottuso accusare il governo dell’odierno -0,3%, ma lo era anche appizzare la crescita sul suo petto rigonfio. Non è una questione da politicanti in propaganda ininterrotta, ma assai pratica e concreta: non è stato fatto nulla, né in un senso né nell’altro.

Qui si crede che sia un merito non avere combinato sfracelli e non essere usciti dal seminato (Ero dipinta come un mostro e non è successo nulla, il “mostro” è propaganda, il “nulla” è realtà). Il governo Meloni ha il merito di non avere toccato i binari tracciati dal governo Draghi, ma su quelli viaggiano i nostri conti pubblici. Talora arrancando in salita. Mentre per quel che riguarda la crescita futura, da costruire, la partita decisiva non è soltanto farsi dare (sia pure in ritardo) le rate dei fondi europei legati al Pnrr: la partita decisiva è attuare quel piano e trasformare i quattrini in investimenti produttivi. Come, del resto, onorare il piano anche sul lato delle riforme e, al momento, è tutto fermo. Ricordiamoci che se abbiamo davanti soltanto un -0,3% è anche perché il turismo tira, ma noi accogliamo i turisti stranieri senza taxi e spediamo quelli italiani su spiagge regalate ai concessionari, nel frattempo avviando un ridicolissimo censimento di beni pubblici che dovrebbero essere sempre e costantemente censiti. Tutti segni che siamo fermi.

Inoltre: le scelte della Banca centrale europea danno i loro frutti e l’inflazione scende, attestandosi ora a un 6%. Che è sempre alto, ma in discesa. Però l’inflazione sul carrello della spesa resta sopra il 10% e serve a nulla parlare di controlli e Mister prezzi. La più efficace arma contro la speculazione è la concorrenza, il che presuppone anche cancellazione dell’evasione fiscale. Ricordate il debutto del governo contro il Pos e per un maggiore uso del contante? Pessimo modo di cominciare.

Le forze politiche continuino pure il loro inutile sventolio di bandiere senza contenuto. Il governo si glori di quel che non ha fatto e le opposizioni lo accusino per colpe che non ci sono. Ma poi c’è la realtà e quella di ieri non è una sirena che annuncia disastri, ma un allarme che dovrebbe indurre a non perdere tempo. Anche perché quello dilapidato nel balletto del Pnrr lo contabilizzeremo fra qualche mese.

La Ragione

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Il Ministero dell’Istruzione e del Merito e i Sindacati della dirigenza scolastica all’unanimità hanno firmato oggi il testo definitivo del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI).


5 anni di contenzioso: Meta sembra passare al consenso per gli annunci comportamentali Meta ha annunciato che presto passerà al "consenso" per gli annunci comportamentali. Resta da vedere quali saranno le conseguenze di questo passaggio Meta Opt Out


noyb.eu/it/5-years-litigation-…



Troppa isteria sui dati economici


Aveva appena finito di dire che l’Italia stava attraversando un periodo di crescita ben più alto degli altri Paesi europei e che per questo aveva recuperato credibilità, che Giorgia Meloni si vede pubblicare dall’Istat dati sul Pil del secondo trimestre d

Aveva appena finito di dire che l’Italia stava attraversando un periodo di crescita ben più alto degli altri Paesi europei e che per questo aveva recuperato credibilità, che Giorgia Meloni si vede pubblicare dall’Istat dati sul Pil del secondo trimestre di quest’anno che hanno deluso tutti. Nel trimestre l’Italia è tornata ad essere il fanalino di coda dell’area euro, l’unico Paese ad avere davanti al tasso di crescita un segno meno, insieme a Austria e Lettonia. Abbiamo fatto un -0,3% (anzi per essere precisi -0,34%), contro il +0,3% della media. Ma come era sbagliato prima esultare prematuramente, sarebbe ora sbagliato dare troppa importanza al dato di un singolo trimestre. Vediamo perché e quali sono comunque i rischi.

A parte il fatto che si tratta ancora di dati preliminari, se guardiamo alla crescita nel complesso della prima parte dell’anno, l’Italia sta nella media europea. Il nostro dato del secondo trimestre segue un primo trimestre che era stato ben più forte di quello degli altri Paesi. Avevamo fatto un +0,6%, contro una crescita zero dell’area euro. Nel complesso dei due trimestri quindi la nostra crescita è più o meno dello 0,3% proprio come l’area euro. Siamo nella media. Se poi guardiamo le cose su un orizzonte più lungo, nonostante questa battuta d’arresto, tra i principali Paesi europei siamo ancora quelli che hanno fatto meglio dal periodo pre-Covid.

Siamo del 2,2% sopra al Pil del quarto trimestre del 2019. La Francia sta all’1,7%, la Spagna, che pure negli ultimi trimestri è cresciuta come un treno, allo 0,4% e la Germania allo 0,2%. Già, la Germania. Sappiamo quanto il nostro settore industriale sia legato a quello tedesco, sia come concorrenti sia come fornitori di prodotti intermedi. La bassa crescita tedesca pesa sul nostro settore industriale che si sta contraendo, mentre i servizi sono ancora in leggera crescita. La Germania ha migliorato nel secondo trimestre il proprio andamento: dopo due trimestri di calo, il Pil tedesco si è almeno stabilizzato tra marzo e giugno. Ma l’economia resta debole, il che contribuisce a spiegare anche questo nostro trimestre di debolezza.

Infine, nel complesso del 2023, centrare l’obiettivo di crescita del Pil per l’anno fissato dal governo nel Documento di Economia e Finanza di aprile (1%) è ancora del tutto possibile. Basterebbe che crescessimo dello 0,3% nel terzo trimestre (in linea con la media degli ultimi due trimestri) e dello 0,2% nel quarto. Quindi, per quanto brutto sia il dato dell’Istat, è prematuro lanciare segnali d’allarme. Non vorrei però apparire come quello che minimizza comunque la questione, per cui passiamo ora alle cose che ci debbono preoccupare.

La prima è che i problemi della Germania potrebbero continuare. La Germania avrebbe la possibilità, dato il suo basso debito di prendere misure espansive (visto i livelli ancora alti di inflazione potrebbero per esempio tagliare un po’ le imposte indirette), ma si sa che i tedeschi mollano i cordoni della borsa solo in presenza di una pesante recessione: mica si spaventano per qualche segno negativo del Pil.

La seconda cosa che preoccupa sono i dati sui consumi che sono in discesa. Prima o poi doveva succedere. L’aumento dei prezzi riduce la capacità di spesa delle famiglie, visto che gli stipendi dei lavoratori sono cresciuti meno dei prezzi. Per un po’ le famiglie vanno avanti a spendere, riducendo i propri risparmi, ma la cosa non può durare per sempre. Fra l’altro anche il risparmio accumulato in passato è stato pesantemente eroso dall’inflazione, a vantaggio dello stato il cui debito, diretto o indiretto, verso le famiglie italiane è sceso parecchio in termini reali.

La terza riguarda la Bce. Ho sostenuto che quanto ha fatto finora non è sbagliato. Il livello attuale dei tassi di interesse compensa a mala pena l’erosione del valore dei prestiti causato dall’inflazione futura. I tassi reali (cioè al netto dell’inflazione) sono vicini allo zero. Ma cosa farà d’ora in avanti la Bce? Il fatto che l’economia europea stia ancora crescendo, che l’inflazione di base rimanga fissa 5,5% e che, per la prima
volta dal 2021 sia più bassa di quella totale suggeriscono un possibile ulteriore aumento dei tassi di intesse dopo la pausa di agosto. Dobbiamo sperare che ad agosto ci sia qualche segnale di miglioramento altrimenti temo che potrebbe arrivare un altro aggiustamento di un quarto di punto. Tutto sommato, il dato sul Pil non è di per sé allarmante, ma è indubbio che i rischi sono aumentati.

La Stampa

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CHINA FILES NELLE SCUOLE – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°21


CHINA FILES NELLE SCUOLE – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°21 Scuole china files nelle scuole
L'e-book estivo è, come da tradizione, dedicato ai progetti di China Files nelle scuole superiori. A partire dal 2021 abbiamo portato l'attualità cinese in diversi istituti italiani attraverso un progetto di Pcto pensato per avvicinare studenti e studentesse alla professione giornalistica e all'analisi dei media

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Comunicato stampa di Elena Coccia segretaria provinciale napoletana di Rifondazione Comunista - "Mercoledì 2 agosto 2023 alle ore 14,30 è stato convocato -



Non so che pensare...
Nuova Diavoleria?
sostariffe.it/news/canone-rai-…


Ma che cos’è uno strumento educativo digitale responsabile?


In occasione della traduzione in italiano della home page di La Digitale, riprendo questo articolo di Emmanuel Zimmert in cui l’autore espone i principi su cui si basa La Digitale, un progetto che sviluppa e distribuisce gratuitamente una raccolta di strumenti digitali e applicazioni libere e responsabili (24 solo quelli online!) da utilizzare soprattutto nell’insegnamento/apprendimento in presenza e a distanza.

Ecco come vengono presentati gli obiettivi di La Digitale nella home page del sito:

1. progetta e sviluppa strumenti e applicazioni digitali liberi e responsabili per insegnanti;
2. accresce la consapevolezza delle buone pratiche e della sobrietà digitale in ambito educativo ;
3. difende una tecnologia digitale educativa virtuosa e inclusiva lontana dalle grandi aziende guidate dalla corsa al profitto e dalla raccolta e vendita di dati.

Viste le premesse, penso che valga la pena provare gli strumenti liberi che Emmanuel Zimmert ha sviluppato e messo a disposizione gratuitamente.


Qui sotto trovate la traduzione italiana del suo articolo che è distribuito con licenza Creative Commons BY-NC-SA.

A questo link potete ascoltare la lettura dell’articolo: funkwhale.it/library/tracks/17…

Buona lettura e buon ascolto 🙂

Ma che cos’è uno strumento educativo digitale responsabile?


Prima di proporre alcune caratteristiche di uno strumento educativo digitale responsabile, è innanzitutto necessario ricordare quali sono i mezzi utilizzati dalle aziende di tecnologia educativa e digitale in generale per monetizzare i propri prodotti
Il modello a pagamento: l’applicazione o il servizio è disponibile dopo il pagamento (una tantum o ricorrente). 
Il modello freemium: l’applicazione o il servizio possono essere utilizzati gratuitamente con funzionalità o possibilità di creazione limitate. Tutte le funzionalità vengono sbloccate dopo il pagamento. Questo è un modello comunemente utilizzato dalle società edtech, in quanto consente agli utenti di avere un’idea del prodotto (e potenzialmente di creare una dipendenza) prima di passare alla cassa.
Il modello gratuito: è anche un modello comune, soprattutto tra i GAFAM. Tutte le funzionalità sono immediatamente disponibili gratuitamente. Il potenziale di monetizzazione, spesso sconosciuto agli utenti, sta altrove: nei dati che queste aziende potranno raccogliere, utilizzare, mixare, rivendere per generare pubblicità mirata, per stabilire abitudini di consumo, ecc.
Bisogna sempre tenere presente che l’obiettivo rimane principalmente commerciale: si tratta ovviamente di offrire contenuti e servizi di qualità, ma si tratta soprattutto e prima di tutto di vendere, con strategie di marketing più o meno eleganti.

Alcune caratteristiche di uno strumento educativo digitale responsabile

Per La Digitale , uno strumento educativo digitale responsabile è …
• uno strumento con un modello economico chiaro e trasparente;
• uno strumento senza pubblicità;
• uno strumento con codice sorgente aperto e conforme ai valori del software libero;
• uno strumento che pone la rilevanza educativa al centro della sua progettazione;
• uno strumento di facile accesso (può essere utilizzato senza dover creare un account o con la creazione di un account senza un indirizzo email);
• uno strumento che non raccoglie dati personali (o che indica molto chiaramente quali dati vengono utilizzati e per quale scopo);
• uno strumento che non raccoglie dati statistici (o che utilizza strumenti gratuiti e self-hosted per farlo);
• uno strumento che ottimizza (compressione delle immagini, ecc.) o limita l’uso dei media (il video è ancora il modo più efficace per presentare un concetto, una nozione?);
• uno strumento con funzionalità mirate che non cerca di fare tutto, ma al contrario di fare una cosa e di farla bene;
• uno strumento che non mostra un numero eccessivo di notifiche e che non è invadente;
• uno strumento che è oggetto di una progettazione, concezione e sviluppo etico: caricamento rapido, codice ottimizzato, scelta delle tecnologie pertinenti, ecc. Su questo argomento, GreenIT.fr, con il supporto di oltre 50 collaboratori che sono membri del collettivo Conception Numérique Responsable, ha realizzato un manuale di 115 buone pratiche di web design ecocompatibile.

Uno strumento digitale responsabile considera anche l’utente responsabile e lo aiuta a implementare buone pratiche.

È sempre necessario essere inondati di notifiche per farci sapere in un flusso continuo cosa sta succedendo online, quello che qualcuno ha fatto o commentato, ecc.? Ovviamente si tratta di catturare il famoso tempo cerebrale disponibile.

È sempre necessario che il nostro telefono, questo caro amico, ci dica (ci detti?) cosa fare, dove andare in ogni momento? Non lo trovi “infantilizzante”? Stiamo ancora usando la nostra buona vecchia memoria umana?

Esempio di responsabilità e buona pratica: quando crei un nuovo contenuto con uno strumento La Digitale, è necessario recuperare e archiviare il collegamento a questo contenuto, perché non c’è altro modo per riottenere l’accesso a questo contenuto. Ciò richiede quindi organizzazione: il collegamento può essere aggiunto in una presentazione, nella cartella del corso o in un file di testo, ecc.

La discussione continua.
Digitalmente vostro
Emmanuel Zimmert

L'articolo si può scaricare anche in formato .pdf da qui: dgxy.link/ladigitale3

#scuola #softwarelibero #sostenibilità
@Scuola - Gruppo Forum
@scuola@a.gup.pe
@Informa Pirata


Che cos'è uno strumento digitale responsabile?


Lettura dell'articolo di Emmanuel Zimmert "Che cos'è uno strumento digitale responsabile?"(in traduzione italiana) pubblicato:
qui


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Il Palamento legiferi sul fine vita


Niente di straordinario, è stata solo «una risposta civile ad una cittadina che chiedeva di poter gestire il suo fine vita in modo libero e consapevole». Così il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, ha spiegato la decisione della giunta che pres

Niente di straordinario, è stata solo «una risposta civile ad una cittadina che chiedeva di poter gestire il suo fine vita in modo libero e consapevole». Così il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, ha spiegato la decisione della giunta che presiede di accompagnare alla morte una malata oncologia terminale, Gloria. «Noi – ha detto – abbiamo semplicemente dato attuazione ad una sentenza della Corte costituzionale, quella che nel 2019 si è espressa sul caso del dj Fabo». Quella sentenza denunciava un vuoto legislativo e incoraggiava il Parlamento a colmarlo. Mai incoraggiamento fu più vano: il Parlamento è rimasto inerte sul delicato tema del fine vita, delegando così a regioni e magistratura il potere legislativo che la Costituzione gli attribuisce in via esclusiva.

Difficile andare avanti così. Difficile perché l’età media si allunga ma non per questo si accorcia la lista delle patologie gravi e invalidanti che affliggono uomini e donne soprattutto in età avanzata.

In «Utopia», riflettendo sulla condizione del malato grave inguaribile, Tommaso Moro esorta «sacerdoti e magistrati» ad accettare che quando «il vivere è diventato per lui una tortura, sia anzi lui stesso, animato da serena fiducia, a liberarsi di sua mano di quell’esistenza penosa come da una prigione o da un supplizio, oppure a consentire di sua volontà che siano gli altri a strapparnelo». Nel Cinquecento, il cattolico Tommaso Moro, beatificato da Leone XIII nel 1889, proclamato santo da Pio XI nel 1939 e dichiarato patrono dei governanti e dei politici da Giovanni Paolo II, non poteva sapere che un giorno la scienza medica e la tecnica applicata alla medicina avrebbero consentito a milioni di persone di allontanare la morte senza per questo poter riguadagnare la vita. È sgradevole ammetterlo, ma se anche Dio o il destino ci eviteranno malattie o traumi gravemente invalidanti, sappiamo che trascorrere l’ultima fase della vita immobilizzati su un letto senza la speranza di poterci un giorno alzare e/o attaccati a una macchina senza la possibilità di affrancarcene è quello che accadrà a buona parte di noi. E allora sarebbe giusto che chi non ce la fa più potesse sottrarsi a un dolore senza fine e sarebbe caritatevole che altri potessero eseguire la sua libera volontà nel caso in cui non si trovi nella condizione di attuare i propri propositi da solo. Ma, questo è il convincimento di chi scrive, solo in questo caso. Chi è in grado di darsi la morte, ma non lo fa, non dovrebbe poter delegare un’azione per cui non è evidentemente pronto; chi non è fisicamente in grado di darsi la morte, ma è condannato a sopravvivere in un limbo della vita, ha il diritto che la sua volontà sia doverosamente rispettata.

È per questo che due anni fa non ho firmato il referendum promosso dai radicali. Perché depenalizzava indistintamente l’omicidio del consenziente, di fatto tendendo all’introduzione in Italia del modello eutanasico olandese. Un modello a mio giudizio eccessivo, che sottrae la persona alle proprie responsabilità e presenta il rischio di pericolose degenerazioni. Mi fermerei un po’ prima, ma sempre in linea con il pensiero di San Tommaso Moro. Pensiero su cui la Chiesa e i parlamentari “cattolici” farebbero bene a riflettere.

Rispetto profondamente la sensibilità di chi rifiuta l’eutanasia per sè e per i propri familiari, ma sono convinto che rispettare la sensibilità di chi la pensa diversamente sia una scelta pienamente liberale e, lo dico con rispetto, di carità cristiana. È una questione, come ha correttamente detto Luca Zaia, «di civiltà».

Huffington Post

L'articolo Il Palamento legiferi sul fine vita proviene da Fondazione Luigi Einaudi.

in reply to Pëtr Arkad'evič Stolypin

ma quanto paternalismo c'è in quell'articolo, nascosto dietro il plauso a una singola iniziativa leghista che non cambia lo stato dei diritti in Italia? Dice che non ha firmato il referendum dei radicali perché dava troppa libertà di scelta alla gente, ma chi è lui per decidere che la gente è troppo libera in Olanda?