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PRIVACYDAILY


N. 147/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: X Corp., già Twitter, chiede al tribunale di ordinare alla società di consulenza Ernst & Young LLP di consegnare i documenti relativi a una relazione richiesta dalle autorità di regolamentazione sulle pratiche del social network in materia di dati.L’audit è stato richiesto nell’ambito di un accordo sulla privacy... Continue reading →


Weekly Chronicles #43


Proof of Work, digital collars and leashes and forced re-education camps.

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Tor introduce la Proof of Work contro il DoS


Con la release 0.4.8 Tor introdurrà un meccanismo di Proof of Work (PoW) per dare priorità a traffico verificato e mitigare così l’impatto degli attacchi Denial of Service che interessano la rete Tor da ormai molto tempo.

Il meccanismo di protezione è semplice ma efficace: prima di accedere a un servizio onion il client deve dimostarre di aver risolto un piccolo puzzle matematico. All’aumentare delle richieste aumenterà anche il lavoro richiesto. Per un utente normale questo non dovrebbe richiedere più di qualche millisecondo, ma per chi invece indirizza numerose richieste verso lo stesso servizio (come le reti di bot che compiono attacchi DoS) il costo aumenta esponenzialmente, rendendo difficoltoso e costoso l’attacco (in termini di tempo, e quindi denaro).

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Il problema del DoS però non è altro che una sfaccettatura dell’annoso problema, ben più ampio, della distinzione tra umani e bot su Internet.

Essendo Tor un servizio nato per offuscare l’identità fisica e la posizione geografica degli utenti, la via per distinguere umani e bot non poteva certo essere quella del KYC — come proposto ad esempio da Sam Atman con il progetto “Worldcoin”.

Nei prossimi mesi e anni dovremo aspettarci sempre più pressione da parte di aziende, governi e organizzazioni per risolvere questo problema. Forse la community crypto (mi riferisco in particolare a Bitcoin e Monero) dovrebbe iniziare a pensare seriamente a modi per sfruttare questi network per dimostrare la propria umanità online senza cedere privacy.

Collari e guinzagli digitali per migranti illegali


Il governo inglese sta pensando a nuovi modi per gestire i migranti illegali che arrivano nel paese. La nuova legge in materia, l’Illegal Migration Act, prevede infatti il potere di trattenere e controllare ogni migrante irregolare e richiedente asilo.

L’idea è quella di attaccare al migrante di turno una targhetta GPS (immagino con una sorta di braccialetto elettronico non facilmente rimovibile) che permetta di tracciarli in tempo reale sul territorio.

Collari e guinzagli digitali per i nuovi schiavi del welfare. Qualcuno dovrà pur servire e lavorare per la gerontocrazia europea negli anni che verranno. Quale modo migliore per aprire una finestra di Overton sulla nuova schiavitù se non abituare le persone ad accettare collari e guinzagli digitali per il fatto di avere la pelle scura e venire da un altro continente? Vi ricorda niente?

La ri-educazione forzata di Jordan Peterson


Tre giudici della Ontario Divisional Court hanno deciso che Jordan Peterson, celebre psicologo canadese, sarà costretto a seguire un corso di rieducazione sulla “comunicazione professionale sui social” per non perdere la sua licenza.

La questione nasce da una causa portata vanti dal College of Psychologists of Ontario a seguito di alcune affermazioni di Peterson sul Joe Rogan Podcast e su X riguardo il movimento LGBTQ+, il cambiamento climatico e diverse dichiarazioni contro alcuni politici canadesi e Trudeau, che ha recentemente chiamato “lying climate-apocalypse mongers”.

Peterson ha commentato così su X la decisione dei giudici:

"So the Ontario Court of Appeal ruled that @CPOntario can pursue their prosecution. If you think that you have a right to free speech in Canada, you're delusional. I will make every aspect of this public. And we will see what happens when utter transparency is the rule. Bring it…"


I buoni ancora una volta si distinguono per ciò che sono: tirannici, violenti, e completamente intenti nel silenziare qualsiasi opinione divergente. Esprimere il tuo pensiero non è vietato, ma potrebbe essere poco carino. Meglio se stai zitto. E se proprio non ci riesci, ti aiutano loro. Magari con un bel campo di rieducazione forzata.

Sul silenzio forzato ne ho scritto proprio settimana scorsa…

Weekly memes


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Weekly quote

The truth is something that burns. It burns off dead wood. And people don't like having the dead wood burnt off, often because they're 95 percent dead wood.

Jordan Peterson

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Tor Introduces Proof of Work against DoS Attacks


With the release of version 0.4.8, Tor will introduce a Proof of Work mechanism to prioritize verified traffic and thereby mitigate the impact of Denial of Service (DoS) attacks that have been affecting the Tor network for a considerable amount of time.

The protection mechanism is simple yet effective: before accessing an onion service, the client must solve a small mathematical puzzle to demonstrate that they have performed the required "work." As the volume of requests increases, so does the required work. For a regular user, this should take no more than a few milliseconds. However, for those directing numerous requests to the same service (such as botnets), the cost increases exponentially, making the attack difficult and costly in terms of both time and money.

The issue of DoS is just one facet of the longstanding, broader problem of distinguishing between humans and bots on the Internet.

Given that Tor is a service designed to obscure users' physical identity and geographical location, the path forward could not involve Know Your Customer (KYC) measures – as proposed, for example, by Sam Atman with the "Worldcoin" project.

In the coming months and years, we should expect increasing pressure from companies, governments, and organizations to address this problem. Perhaps the crypto community (specifically referring to Bitcoin and Monero) should seriously start considering ways to leverage these networks to prove humanity online without compromising privacy.

Digital collars and leashes for illegal migrants


The UK government is considering new ways to better manage illegal migrants entering the country. The new legislation, the Illegal Migration Act, grants the power to detain and monitor every irregular migrant and asylum seeker.

The idea is to attach a GPS tag to each migrant, presumably in the form of an irremovable electronic bracelet, allowing real-time tracking within the territory.

Digital collars and leashes for the new slaves of the welfare system. Someone must certainly serve and work for the European gerontocracy in the years to come. What better way to push the Overton Window towards the concept of new slavery than to condition people to accept digital collars and leashes based on the color of their skin and their origin from another continent? Does this remind you of anything?

The forced re-education of Jordan Peterson


Three judges from the Ontario Divisional Court have ruled that Jordan Peterson, a renowned Canadian psychologist, will be compelled to undergo a re-education course on "professional communication on social media" to avoid losing his license.

The issue arises from a case brought by the College of Psychologists of Ontario following Peterson's statements on the Joe Rogan Podcast and on X regarding the LGBTQ+ movement, climate change, and various criticisms of Canadian politicians, including Trudeau, whom he recently referred to as "lying climate-apocalypse mongers."

Peterson responded to the judges' decision on X with the following comment:

"So the Ontario Court of Appeal ruled that @CPOntario can pursue their prosecution. If you think that you have a right to free speech in Canada, you're delusional. I will make every aspect of this public. And we will see what happens when utter transparency is the rule. Bring it…"


Once again, those who claim to be righteous reveal their true nature: authoritarian, violents, and entirely focused on silencing any dissenting opinions. Expressing one's thoughts might not be prohibited, but it could be unpleasant. It's better to stay quiet. And if you can't manage that, they'll help you. Perhaps with a nice dose of forced re-education.

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metro.co.uk/2023/08/28/illegal…

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blog.torproject.org/introducin…

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nationalpost.com/news/canada/j…


privacychronicles.it/p/weekly-…



Etiopia, USA ed Europa hanno già scelto le sorti per la giustizia e le vittime della guerra genocida in Tigray


Etiopia, le autorità devono garantire agli investigatori indipendenti e ai media accesso illimitato alla regione di Amhara per indagare sulle violazioni in stato di emergenza. Questo è l’appello condiviso venerdì 18 agosto da Amnesty International per la

Etiopia, le autorità devono garantire agli investigatori indipendenti e ai media accesso illimitato alla regione di Amhara per indagare sulle violazioni in stato di emergenza.

Questo è l’appello condiviso venerdì 18 agosto da Amnesty International per la recente crisi che ha destabilizzato con abusi e violenze la regione Amhara.

La diaspora e la società civile amahra ha protestato contro le politche sanguinarie del Premier etiope.

L’ Associaz. All United Amhara il 22 agosto 2023 era presente al Park di Sandton, Johannesburg, in Sud Africa durante il Summit del BRICS 2023.

L' Associaz. All United Amhara il 22 agosto 2023 era presente al Park di Sandton, Johannesburg, in Sud Africa durante il Summit del BRICS 2023.

Indagini sulla responsabilità dei crimini di guerra in Tigray ancora in corso


Percorso ed indagini dell’ International Commission of Human Rights Experts on Ethiopia – ICHREE che per il Tigray non si sono ancora concluse. Il governo etiope ha fatto vari tentativi di bloccare il mandato della Commissione di investigazione sui crimini in Tigray.

Lunedì 21 agosto Wegahta Fact Check denuncia che:

“Il 18 agosto 2023, più di 4.000 persone di etnia tigrina sono state arbitrariamente detenute nel #Tigray occidentale.
Le autorità di Amhara e le forze di sicurezza hanno radunato oltre quattromila tigrini innocenti rimasti nel Tigray occidentale occupato e li hanno tenuti in celle e prigioni sovraffollate.
Secondo le nostre fonti dal Tigray occidentale, 1.200 detenuti sono detenuti ad #Adebay, 130 ad #AdiGoshu, 2.000 a #Humera, 300 a #Rawyan e 500 nelle carceri e nei centri di detenzione di #Baeker.
Tra i detenuti nelle celle e nelle carceri sovraffollate sono bambini vulnerabili, madri incinte e anziani.
Sono stati arrestati perché tigrini, contrari all’occupazione di Amhara e sospettati di condividere informazioni con persone al di fuori del Tigray occidentale.
Alcuni vengono trattenuti per un paio di giorni mentre altri languiscono lì per anni.
Ci è stato anche detto che in questi luoghi di detenzione la tortura e la violenza sessuale contro i detenuti sono una routine.
Da quando è iniziata la guerra dell’#Etiopia contro il #Tigray nel novembre 2020, il Tigray occidentale è stato il luogo delle peggiori atrocità tra cui massacri, bombardamenti indiscriminati, saccheggi,
espulsione forzata su larga scala e stupro sistematico.
Il 20 marzo 2023 il segretario di stato americano @SecBlinken ha stabilito che è stata commessa pulizia etnica nel #WesternTigray. Ma nessuna azione significativa è stata intrapresa contro i responsabili dei crimini.
Il 22 aprile HRW e Amnesty hanno anche riferito che “le forze che controllano la zona del Tigray occidentale, con il sostegno e la complicità delle forze etiopi ed eritree, hanno condotto una prolungata campagna di pulizia etnica contro i residenti del Tigray nell’area.”


Mercoledì 29 agosto fa seguito la denuncia di Marta Hurtado, portavoce dell’ Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani – OHCHR: Etiopia: peggioramento della situazione dei diritti umani Di seguito un sunto:

Siamo molto preoccupati per il deterioramento della situazione dei diritti umani in alcune regioni dell’Etiopia.

Nella regione di Amhara, in seguito al divamparsi degli scontri tra i militari etiopi e le milizie regionali di Fano, e alla dichiarazione dello stato di emergenza il 4 agosto, la situazione è notevolmente peggiorata.

da luglio sono almeno 183 le persone uccise negli scontri.

segnalazioni secondo cui più di 1.000 persone sono state arrestate in tutta l’Etiopia in base a questa legge. Molti degli arrestati sarebbero giovani di etnia Amhara sospettati di essere tifosi di Fano.

arrestati almeno tre giornalisti etiopi che si occupavano della situazione nella regione di Amhara. Secondo quanto riferito, i detenuti sono stati collocati in centri di detenzione improvvisati privi di servizi di base.

almeno 250 cittadini di etnia tigrina sarebbero stati detenuti nell’area contesa del Tigray occidentale.

Tra le continue accuse di violazioni e abusi dei diritti umani, anche la situazione in Oromia è preoccupante.


Un appello congiunto di varie agenzie (quasi nella totalità di origini africane) del 23 febbraio 2023, hanno fatto esplicita richiesta agli stati membri e agli osservatori del consiglio dell’ ONU “affinché blocchino gli sforzi dell’Etiopia per porre fine al mandato dell’ICHREE e per confermare il vostro sostegno all’ICHREE e la protezione dell’integrità del Consiglio per i diritti umani e dei suoi organi incaricati.”

L’UE e i suoi membri difenderanno la giustizia in Etiopia?


Venerdì 25 agosto, Laetitia Bader, direttrice di HRW – Human Rights Watch per il Corno d’Africa si chiede se “L’UE e i suoi membri difenderanno la giustizia in Etiopia?” condividendo le sue osservazioni.

“Quando i combattimenti erano al culmine, l’UE ha contribuito a spingere l’ago sulla responsabilità. Ha guidato la creazione della Commissione internazionale di esperti sui diritti umani sull’Etiopia , un’inchiesta indipendente che raccoglie e preserva prove di crimini internazionali per futuri procedimenti giudiziari sotto il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Con il rinnovo della commissione in discussione al Consiglio per i diritti umani di settembre, non è ancora chiaro se l’UE e i suoi Stati membri continueranno a sostenere le indagini cruciali. Oppure, invece, cercare relazioni più fluide e accettare le misure di responsabilità dell’Etiopia, in gran parte di facciata, che difficilmente garantiranno l’accesso delle vittime a una giustizia credibile.”


Lo stesso giorno GCR2P – Global Centre for the Responsibility to Protect pubblica una lettera congiunta con oggetto “Preoccupazioni per la cessazione anticipata della Commissione d’inchiesta sulla situazione nella regione del Tigray della Repubblica Federale d’Etiopia”


Approfondimento: Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umanità: Dov’é La Legge?


Contemporaneamente un collettivo di diversi gruppi rivolti alla tutela e giustizia dei diritti umani, ha diffuso un appello congiunto esprimendo la loro grave preoccupazione per l’incapacità della Politica di Giustizia Transitoria (TJPE) stabilita in Etiopia.

Nella lettera viene sottolineato:

“Questa politica trascura in modo preoccupante la necessità di ottenere l’approvazione delle vittime, delle comunità direttamente colpite, delle principali parti interessate e dei rappresentanti dei punti caldi delle guerre e delle atrocità, in particolare nel Tigray”


E chiosa:

“Il sistema giudiziario etiope è palesemente privo dell’indipendenza, dell’imparzialità, della capacità e persino della giurisdizione necessarie riguardo alle atrocità commesse dal governo eritreo, necessarie per garantire la responsabilità degli attori statali e delle forze di sicurezza”


Concludendo:

“La dichiarazione congiunta chiede alla comunità internazionale, in particolare ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e del Consiglio per i Diritti Umani, di estendere ed espandere il mandato dell’ICHREE. “Crediamo che l’ICHREE sia posizionata in modo unico e meglio attrezzata per stabilire in modo indipendente e imparziale la verità globale, date le limitazioni locali e la mancanza di fiducia nei meccanismi nazionali”
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A conferma di tale preoccupazione c’è la notizia diffusa da Africa Intelligence che riporta:

“Infelssibile alle critiche, il governo federale continua le sue consultazioni a livello nazionale sulla giustizia di transizione. Il gruppo di lavoro di esperti sulla giustizia di transizione etiope ha inviato una delegazione in Tigray, a Mekelle, Shire, Adigrat, Maichew e Axum all’inizio di questo mese. Durante gli incontri il gruppo è stato accusato dall’ elite tigrina, tra l’altro, di mancanza di inclusività.“


Lunedì 28 agosto 2023 il Dipartimento di Stato Americano segnala che l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa Mike Hammer si recherà a Nairobi, Kenya, e Addis Abeba, Etiopia, dal 28 agosto all’8 settembre, dove incontrerà funzionari kenioti ed etiopi, l’Unione africana, l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo e altri partner internazionali.

Discuterà della crisi in corso in Sudan e degli sforzi regionali e internazionali per porre fine alla violenza, stabilire un governo democratico e sostenere la giustizia e la responsabilità.

In Etiopia, discuterà anche dell’attuazione continua dell’accordo sulla cessazione delle ostilità, nonché solleciterà la protezione dei civili e una risoluzione negoziata dei conflitti in corso nelle regioni di Amhara e Oromia.

Un palliativo diplomatico per rassicurare l’opinione pubblica che gli USA stanno dalla parte della risoluzione pacifica, ma subordinata alla tutela degli accordi e soprattutto delle loro risorse in gioco.

USA ed Europa, da ormai più di 2 anni dallo scoppio della guerra genocida in Tigray, si sono dimostrati bravi a condividere comunicati di preoccupazione diplomatica, nel contempo stando attenti a non compromettere la loro posizione negli accordi pregressi e per quelli futuri con il Paese Etiopia.

I leaders del così detto occidente continuano ad attendere i momenti più propizi in tutela delle risorse riservate in Etiopia. Basti pensare ai numerosi appelli della diaspora tigrina mai accolti o corrisposti, o dei finanziamenti del governo Meloni, pari a 182 milioni per i prossimi 3 anni che sono come briciole per il supporto e lo sviluppo economico dela filiera agro alimentare e del caffé per gli etiopi.

Un caffé macchiato con un po’ di neo colonialismo


La schiavitù economica dell’ Africa mascherata da progetti di sviluppo e cooperazione internazionale.

Il caso Italia Etiopia e la filiera del caffé

Le grandi aziende italiane del caffè nel 2022 hanno fatturato 5,8 miliardi di euro. La Germania per esempio, che NON è produttore di caffé, ne guadagna 6,8 MLD. Oggi la filiera del caffé, mercato florido, sta aumentando sempre più la sua espansione, con la tendenza di un 10% ogni anno per i prossimi 5.

Il gov. Meloni ha ospitato in Italia il Premier etiope Abiy Ahmed Ali. La premier italiana senza preoccuparsi di chiedere giustizia per le 800.000 vittime della guerra genocida di 2 anni in Tigray, ha fatto all-in siglando accordi con l’Etiopia e la sua filiera agro-alimentare per un valore totale di 182 milioni di Euro per 3 anni (2023/2025): 42 MILIONI dedicanti al comparto del caffé.

Il viaggio successivo della PM Meloni ad abbracciare i bambini ad Addis Abeba, sventolanti il tricolore, è stato pura propaganda per vendere il Piano Mattei per l’Africa agli italiani.

Il business del caffé nel mondo è di 460 MILIARDI di dollari con un aumento del 20% nei prossimi 5 anni.

I produttori di caffé nel mondo ricavano un totale di 25 MILIARDI.

La quota dell’AFRICA è di soli 2,4 MILIARDI. (meno della metà del fatturato italiano)

La strategia di USA ed Europa in tutela delle risorse


A conferma della strategia di tutela delle risorse a discapito dei diritti universali degli individui gli USA hanno bloccato una precedente indagine legale per determinare genocidio in Tigray per dare tempo alla “diplomazia” di fare il suo corso per una risoluzione pacifica tra governo etiope e membri del TPLF: è passato un anno prima che arrivasse l’accordo di tregua, mentre prima e anche dopo sono continuati e stanno continuando violenze ed abusi (anche dello stesso accordo). Crimini come stupri, deviazioni degli aiuti alimentari umanitari e attività di pulizia etnica sul popolo civile tigrino da parte delle forze amhara.

L’approccio che traspare dalla politica estera USA ed Europa è che i progetti di cooperazione con l’Africa possono essere assimilati come elemosina che puzza di attività colonialista fornendo supporto allo sviluppo per i popoli africani, mantenendoli nel contempo in costante stato d’emergenza. Le risorse della ricca Africa sono sempre più contese a livello globale.

La guerra in Tigray, l’instabilità in Amhara e in Oromia non possono essere confermate come proxy war, ma sicuramente sono funzionali ai giochi d’interesse di forze esterne allo stato sovrano etiope, che attendono come avvoltoi l’occasione per arrivare alle risorse e al posizionamento geo politico: sia mai che USA ed Europa al segioto si facciano sfuggire l’egemonia nel Corno d’Africa da Cina e Russia, capofila del BRICS e che hanno accolto recentemente anche l’Etiopia.

In tutto questo contesto giustizia e tutela di diritti e della vita di milioni di persone sono ancora in attesa per lasciare spazio per i giochi di potere dei moderni colonialisti.

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tommasin.org/blog/2023-08-30/e…



"Qualcuno avvisi il Presidente Rocca che De Angelis non è un martire del libero pensiero. Le dimissioni erano un atto dovuto e le parole del Presidente Rocca s


Etiopia, “Il marciume è molto più profondo”, decenni di manipolazione degli aiuti umanitari


La polizia regionale del Tigray in Etiopia ha cercato di interrogare almeno tre membri dello staff locale del Programma alimentare mondiale , innescando uno stallo diplomatico con l’agenzia alimentare con sede a Roma – l’ultimo sviluppo nel furto di aiuti

La polizia regionale del Tigray in Etiopia ha cercato di interrogare almeno tre membri dello staff locale del Programma alimentare mondiale , innescando uno stallo diplomatico con l’agenzia alimentare con sede a Roma – l’ultimo sviluppo nel furto di aiuti alimentari che ha devastato il paese all’inizio di quest’anno, secondo tre fonti umanitarie che hanno familiarità con la questione.

L’ agenzia alimentare delle Nazioni Unite – i cui lavoratori godono dell’immunità per le attività ufficiali delle Nazioni Unite – non ha ancora ottemperato alla richiesta e ha chiesto chiarimenti al ministero degli Esteri etiope per determinare se ci siano i motivi per farlo.

Non è chiaro se gli operatori umanitari delle Nazioni Unite siano sospettati di coinvolgimento nell’ampio scandalo sulla deviazione degli aiuti alimentari che ha portato quest’anno alla chiusura delle massicce operazioni di aiuto alimentare delle Nazioni Unite in Etiopia, o se si ritiene semplicemente che siano a conoscenza dello scandalo.

L’ indagine sul Tigray , che ha già portato all’arresto di sospetti, è una delle numerose indagini sulla deviazione illegale di aiuti. L’ Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale , il governo etiope e il WFP hanno tutti indagini in corso su queste trasgressioni.

Un portavoce del WFP ha rifiutato di commentare la richiesta, ma ha affermato che il WFP “si sta impegnando a stretto contatto con le autorità regionali, comprese le autorità regionali del Tigray, nell’ambito delle loro indagini e continuerà a farlo volontariamente e come appropriato, in linea con lo status di WFP come un’organizzazione pubblica internazionale”.

La mossa arriva quasi tre mesi dopo che gli aiuti alimentari sono stati completamente tagliati in Etiopia, un paese dove 20 milioni di persone fanno affidamento su tale assistenza per sopravvivere.

Lo stop è iniziato a marzo, dopo che il WFP e l’USAID hanno scoperto il furto diffuso dei suoi aiuti alimentari in tutto il Tigray, una regione martoriata da due anni di guerra civile e da livelli di fame debilitanti. Ben presto divenne chiaro l’ampiezza del racket e all’inizio di giugno la sospensione degli aiuti alimentari fu estesa a livello nazionale.

Anche se gli aiuti hanno cominciato ad arrivare al Tigray alla fine del mese scorso, il mondo sta ancora cercando di capire di chi è la colpa. Ma per molti la risposta è ovvia.

Tutti sono colpevoli. E non è una novità.

“Se vogliamo analizzare la deviazione degli aiuti, dobbiamo iniziare dall’inizio”, ha affermato David Del Conte, che è stato vicedirettore nazionale dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari in Etiopia dal 2012 al 2016. “ La negazione degli aiuti umanitari e la loro manipolazione sono profondamente radicati nell’esperienza etiope”.

Furti diffusi, colpe diffuse


All’inizio di quest’anno, il WFP e l’USAID hanno trovato più di 7.000 tonnellate di grano rubato e 215.000 litri di olio alimentare nei mercati commerciali del Tigray. A giugno, l’USAID aveva visitato i campi profughi, i mercati dei villaggi e 63 mulini in tutta l’Etiopia, riscontrando vari livelli di furto in ciascun luogo, secondo un portavoce dell’USAID.

Nel Tigray, il dirottamento – così diplomaticamente descritto il furto dal WFP e dall’USAID – è avvenuto in due forme, secondo un esperto del governo americano informato sulla questione. Il primo era l’assistenza alimentare venduta nei mercati commerciali. Il secondo riguarda gli aiuti alimentari forniti al Fronte popolare di liberazione del Tigray, o TPLF, le forze ribelli al centro della guerra biennale nel nord del paese, come sforzo da parte dei funzionari federali per tenere sotto controllo questi gruppi di miliziani.

Altri non sono d’accordo e credono che la deviazione sia stata il risultato della manipolazione diretta da parte del TPLF, sostenendo che la sua leadership ha sostanzialmente controllato il Tigray negli ultimi due anni.

Un portavoce del WFP ha affermato che l’indagine dell’ispettore generale del WFP “non si è conclusa” e che l’agenzia alimentare ha fornito aggiornamenti sui progressi al suo comitato esecutivo, composto da 36 stati membri, e continuerà a farlo. Ma la decisione se rendere pubblici questi risultati è a discrezione dell’ispettore generale, ha aggiunto il portavoce, rendendo non chiaro quante informazioni vedranno la luce.
Un convoglio di camion del WFP che trasportava generi alimentari per le vittime della guerra parcheggiato presso un checkpoint chiuso che porta alla regione del Tigray in Etiopia nel giugno 2021. Foto di: Stringer / ReutersUn convoglio di camion del WFP che trasportava generi alimentari per le vittime della guerra parcheggiato presso un checkpoint chiuso che porta alla regione del Tigray in Etiopia nel giugno 2021. Foto di: Stringer / Reuters
La crisi degli aiuti ha gettato un’attenzione poco lusinghiera sui controlli lassisti sulla distribuzione del cibo e di altri aiuti internazionali nelle zone di crisi. Gli alti funzionari del WFP si sono incontrati a porte chiuse la scorsa settimana per discutere le preoccupazioni circa le prospettive di diversione degli aiuti in tutta la regione, tra cui Somalia, Sudan e Sud Sudan, ha aggiunto il funzionario.

Funzionari delle Nazioni Unite affermano di non avere alcuna indicazione che la crisi degli aiuti in Etiopia si sia diffusa ad altri paesi. Ma notano che anche prima dell’ultimo scandalo avevano già iniziato una revisione globale delle loro operazioni in 31 stazioni di servizio. Le lezioni apprese da questo esercizio verranno infine applicate a tutte le operazioni del WFP in tutto il mondo.

Il WFP “rivede costantemente le sue operazioni globali per migliorare il modo in cui forniamo e forniamo supporto in modo efficace ed efficiente”, ha detto a Devex il portavoce del WFP. “Pertanto, il WFP sta conducendo una revisione globale per rafforzare la nostra già solida supervisione e i nostri controlli per garantire che l’assistenza alimentare e umanitaria venga ricevuta solo dai destinatari previsti, ovunque lavoriamo”.

“Non temiamo che la situazione ancora oggetto di indagine in Etiopia abbia dimensioni regionali”, ha detto a Devex un alto funzionario delle Nazioni Unite. Detto questo, l’Etiopia “amplifica” una questione più ampia sui rischi di operare in ambienti ad alto rischio in tutto il mondo.

“Dobbiamo esaminare attentamente e piuttosto rapidamente le altre operazioni per assicurarci di fare tutto il possibile per garantire che gli aiuti raggiungano le persone”, ha detto il funzionario. Tuttavia, “è necessario comprendere ciò che non è sotto il nostro controllo. Quando si verifica un crollo della legge e dell’ordine, non saremo in grado di garantire che i beneficiari possano mantenere l’assistenza, anche se abbiamo fatto tutto il possibile per indirizzarli”, ha aggiunto il funzionario.

Allo stesso tempo, il WFP è ansioso di riprendere il proprio lavoro in Etiopia. Alla fine di luglio, il WFP ha iniziato a testare nuove misure per fornire assistenza alimentare nel Tigray con pratiche di monitoraggio rafforzate, ripristinando una frazione degli aiuti originali per poco più di 100.000 persone aventi diritto, ha detto un portavoce del WFP.

Ma quella ripresa non è stata presa alla leggera. L’USAID ha descritto la deviazione come “estrema” e “coordinata” in una dichiarazione a Devex. Oltre a ciò, diverse persone – alcune delle quali hanno parlato con Devex in forma anonima – hanno affermato che la manipolazione degli aiuti umanitari è da tempo la norma in Etiopia. Che ciò sia stato orchestrato da gruppi ribelli , come il TPLF, dalle truppe governative che combattono contro di loro, o dal governo stesso, non è stata una sorpresa per molti che la diversione sia avvenuta in primo luogo.

“È come il corollario della rana nell’acqua”, ha detto Del Conte. “Quando ce ne rendiamo conto, siamo completamente cotti. Sappiamo quali errori abbiamo commesso e non possiamo farci nulla”.

Nel corso del tempo, fonti hanno affermato che la comunità umanitaria, i paesi donatori e i diplomatici hanno iniziato ad accettare che questo è il modo in cui funzionano le cose in Etiopia, anche se cambia il modo in cui gli aiuti vengono forniti e gestiti. Per un operatore umanitario locale con cui ha parlato Devex, ciò significava vedere il sindaco di una grande città portare a casa i soldi finanziati dal programma di rete di sicurezza della Banca Mondiale . Dall’altro, significava vedere le comunità a cui erano stati assegnati aiuti alimentari non riceverne alcuno.

Anche se la Banca Mondiale afferma di disporre di rigorose reti di sicurezza per prevenire la corruzione e di non aver trovato prove di furto nel sostegno al programma di rete di sicurezza dell’Etiopia, un portavoce ha detto a Devex che l’ultima rivelazione sugli aiuti alimentari ha cambiato le cose anche lì.

“Da quando i partner hanno scoperto problemi relativi agli aiuti alimentari umanitari, abbiamo raddoppiato i nostri sforzi per mitigare ulteriormente questi rischi”, ha affermato il portavoce.

Con il furto che si sta diffondendo a livello nazionale, la portata reale dell’operazione – e chi ne sia responsabile – è ancora sconosciuta. Le indagini di molti enti, tra cui il WFP, l’USAID e il governo etiope, sono ancora in corso. Di conseguenza, l’assistenza alimentare al di fuori del Tigray rimane sospesa.
Portatori etiopi scaricano aiuti alimentari destinati alle vittime della guerra dopo un posto di blocco che porta al Tigray nella città di Mai Tsebri, in Etiopia, nel giugno 2021. Foto di: Stringer / ReutersPortatori etiopi scaricano aiuti alimentari destinati alle vittime della guerra dopo un posto di blocco che porta al Tigray nella città di Mai Tsebri, in Etiopia, nel giugno 2021. Foto di: Stringer / Reuters

“Parte integrante della macchina da guerra”


Il consenso del governo è, di solito, esattamente ciò che sperano le agenzie umanitarie. Nessuno conosce i problemi di un paese meglio di chi lo gestisce e, spesso, la partnership sugli aiuti esteri può portare a legami diplomatici più forti. Secondo Del Conte e un portavoce dell’USAID, per anni molte agenzie internazionali in Etiopia – tra cui il WFP e l’USAID – hanno distribuito cibo sulla base di elenchi forniti dal governo.

“Il GoE [governo dell’Etiopia], a differenza della maggior parte dei contesti umanitari su larga scala, ha svolto un ruolo unico e diretto nella fornitura di assistenza alimentare umanitaria in Etiopia”, ha affermato il portavoce dell’USAID. “Il GoE ha determinato la selezione dei beneficiari e le sedi operative dei partner.”

Per molte ragioni, questo ha senso. L’amministratore dell’USAID Samantha Power sottolinea da tempo il passaggio della gestione degli aiuti nelle mani dei gruppi locali e l’abbandono degli stili di sviluppo che ripetono gli errori della colonizzazione.

Ma in Etiopia il quadro è molto più complesso. Nonostante sia un alleato strategico e visceralmente importante per le nazioni occidentali, il record del paese nella fornitura di aiuti è stato complicato dalla complessità del conflitto. In alcune aree, il governo si è fratturato, con la lealtà verso diversi gruppi che hanno creato forti legami nelle rispettive regioni.

“Il problema per molte di queste agenzie delle Nazioni Unite è che molte hanno personale alleato del governo”, ha affermato Cameron Hudson, esperto di governance africana presso il Center for Strategic and International Studies con sede a Washington . “Poiché la loro fedeltà è al loro Paese, al loro governo e alla loro gente, non ne hanno parlato apertamente”.

Nel Tigray in particolare, il TPLF ha istituito un proprio governo, che continua ad avere un controllo profondo su quelli di tutta la regione, dicono gli esperti, comprese le agenzie umanitarie.

“Questo è diventato molto radicato nel folklore etiope: che l’assistenza umanitaria è parte integrante della macchina da guerra”, ha detto Del Conte.

Con l’ultima crisi di diversione, gli Stati Uniti e l’Etiopia stanno in gran parte giocando a un “gioco del pollo”, ha detto un funzionario delle Nazioni Unite a conoscenza della questione. Gli Stati Uniti sperano di sfruttare questa crisi per realizzare riforme che “tirino lo stato etiope fuori dal sistema di distribuzione degli aiuti, più o meno”.

Ma il governo etiope – che ha usato per decenni il controllo sulla distribuzione degli aiuti per controllare la popolazione – scommette che la prospettiva di una fame di massa costringerà gli Stati Uniti e altri donatori a fare marcia indietro. “Il governo etiope è disposto a guardare la gente morire di fame e spera che siano gli americani a battere ciglio per primi”, ha detto il funzionario.

“È letteralmente la volpe a guardia del pollaio, con l’approvazione degli Stati Uniti”, ha detto Hudson. “L’Etiopia è un paese africano troppo importante perché Washington non possa essere in buoni rapporti. Ma il problema è che questi termini sono stati fissati dagli etiopi”.

Un portavoce dell’USAID ha detto a Devex che stanno lavorando con il governo per attuare le riforme necessarie – un processo che, attraverso un “lavoro intenso”, ha permesso all’agenzia di rafforzare il controllo della loro assistenza alimentare. Tuttavia, ha detto il portavoce, “c’è ancora molto lavoro da fare” e gli aiuti alimentari dell’USAID sono rimasti in sospeso fino alla fine di agosto.

Si sta inoltre sviluppando una linea di frattura all’interno del governo degli Stati Uniti su quanto duramente esercitare pressioni sugli etiopi, con l’USAID che preme più forte sul WFP e su Addis Abeba per riformare la distribuzione degli aiuti, e il Dipartimento di Stato americano che cerca un approccio più conciliante che non ne minacci il funzionamento . rapporto con il gigante dell’Africa orientale su una serie di altre questioni.

In risposta a tali affermazioni, il portavoce dell’USAID ha detto a Devex che stavano “lavorando di pari passo con i colleghi di tutto il governo per attuare le riforme necessarie”. All’inizio di agosto, il Dipartimento di Stato ha condiviso informazioni su una chiamata tra il segretario di Stato americano Antony Blinken e il primo ministro etiope Abiy Ahmed – e i due hanno discusso della creazione di un sistema di distribuzione degli aiuti umanitari con una supervisione rafforzata. Blinken ha anche espresso apprezzamento per la leadership del primo ministro nel tentativo di risolvere la crisi nel vicino Sudan.

Uno schema vecchio di decenni


La deviazione degli aiuti è un modello che risale a molto tempo fa su entrambi i lati. Nel 1985, la Central Intelligence Agency degli Stati Uniti riferì che il governo etiope aveva bloccato gli aiuti destinati ai territori controllati dai ribelli, mentre il TPLF, il gruppo di milizie al centro dell’ultima guerra civile, aveva cooptato “la carestia e gli sforzi di soccorso per i loro paesi”. propri scopi” e ha utilizzato i campi profughi per “fornire rifugio, assistenza medica, cibo e denaro ai suoi combattenti”.

“Alcuni fondi che le organizzazioni ribelli raccolgono per le operazioni di soccorso, come risultato della maggiore pubblicità mondiale, vengono quasi certamente dirottati per scopi militari”, affermava il rapporto del 1985. Allo stesso tempo, ha aggiunto, “crediamo che Addis Abeba probabilmente intraprenderà un’azione militare per porre fine agli sforzi di soccorso nelle aree controllate dai ribelli”.

Andiamo avanti velocemente di quattro decenni e questa tendenza continua ancora oggi. Negli ultimi anni, il governo etiope è stato condannato per aver bloccato gli aiuti al Tigray martoriato dal conflitto, un’area dove – a metà della recente guerra – 400.000 persone vivevano in condizioni simili alla carestia.

Dall’altra parte delle linee di battaglia, anche gli aiuti sono stati manipolati: nel settembre 2021, l’ONU in Etiopia ha dichiarato che solo 38 dei 466 camion carichi di assistenza umanitaria erano tornati dal Tigray, portando alcuni a supporre che il TPLF avesse sequestrato quei camion per operazioni in tempo di guerra.

Secondo un esperto di sicurezza dell’Etiopia, che ha parlato con Devex in condizione di anonimato, la consegna degli aiuti da parte dell’ONU è stata appaltata ad un’agenzia esterna con collegamenti con il TPLF.

“Stavano consegnando gli aiuti al TPLF, che parallelamente stava conducendo un’insurrezione armata”, ha detto l’esperto di sicurezza, che ha sentito parlare della situazione da funzionari delle Nazioni Unite e dell’USAID con sede in Etiopia.

In risposta a tale accusa, un portavoce del WFP ha affermato che l’agenzia lavora con i suoi partner non governativi per distribuire gli aiuti alimentari e gestisce la consegna del cibo ai punti di distribuzione finali.

“Il WFP e tutti i partner umanitari devono raggiungere le comunità immediatamente e su larga scala per salvare vite umane e mezzi di sussistenza prima che sia troppo tardi. Per fare questo, siamo obbligati a parlare con tutte le parti in conflitto, indipendentemente dalla loro affiliazione politica”, ha dichiarato il portavoce del WFP in una dichiarazione a Devex.

Indipendenza, intricata


L’Etiopia è un posto complicato in cui lavorare per molte altre ragioni. Negli ultimi quattro decenni, il governo ha imposto leggi severe ai gruppi internazionali, dicono gli esperti, ponendo regole stringenti sul funzionamento organizzativo e soffocando il lavoro sui diritti umani con la burocrazia.

Nel 2009, l’Etiopia ha approvato la Proclamazione sugli enti di beneficenza e sulle società, che ha reso illegale per le organizzazioni straniere lavorare su questioni legate ai diritti umani. La legislazione ha creato la Charities and Societies Agency, che aveva ampia autorità per sospendere, sciogliere e limitare le organizzazioni della società civile in tutto il paese. Inoltre, ha implementato requisiti finanziari, come una limitazione sui finanziamenti per le “attività amministrative” di cui alcune organizzazioni affermavano di aver bisogno per svolgere il proprio lavoro.

“Il risultato reale e voluto di questa legge sarebbe quello di rendere quasi impossibile per qualsiasi organizzazione della società civile svolgere attività che il governo non approva”, affermava un’analisi di Human Rights Watch nel 2008, quando la legislazione fu introdotta per la prima volta. .

Nonostante la legislazione successiva abbia allentato tali restrizioni, nel 2021, il Consiglio norvegese per i rifugiati e Medici Senza Frontiere sono stati costretti a chiudere i battenti dopo essere stati accusati di diffondere disinformazione – un incidente avvenuto poco dopo che le agenzie avevano denunciato le atrocità contro il popolo tigrino, e un mancanza di passaggi sicuri per consentire ai gruppi umanitari di entrare nelle aree colpite dal conflitto.

Nello stesso anno, il governo espulse sette funzionari delle Nazioni Unite dall’Etiopia, accusandoli di “ingerenza negli affari interni del paese”. Il governo ha insistito sul fatto che l’ONU sostiene il TPLF.

Nonostante le complessità, l’USAID ha fornito circa 2 miliardi di dollari di assistenza all’Etiopia nel 2022 e nel 2023, rendendo il paese il maggiore destinatario degli aiuti statunitensi nell’Africa sub-sahariana.

Il Paese svolge un ruolo strategico per gran parte dell’Occidente, soprattutto dopo l’11 settembre. L’Etiopia – il cuore del Corno d’Africa – è stata a lungo vista come un frangiflutti contro l’Islam radicale e un contributore alla stabilità regionale nel suo complesso. È la sede dell’Unione Africana . E ha una delle più grandi economie del continente.

Quindi, ha detto Hudson, per anni molti paesi e organizzazioni hanno trascurato la realtà del lavoro in Etiopia, compreso il controllo dei funzionari governativi sugli aiuti umanitari.

Un ritardo discutibile


Nelle conversazioni con Devex, diversi ex operatori umanitari ed esperti si sono chiesti perché, data la storia della manipolazione degli aiuti in Etiopia, ci sia voluto così tanto tempo per scoprire un furto di cibo su scala così massiccia. Un ex operatore umanitario, che ha lavorato nella regione di Hawassa in Etiopia, ha detto che potrebbe essere perché così tante persone – dai politici locali ai contabili – hanno beneficiato di aiuti rubati.

Il WFP ha pubblicato una valutazione di emergenza alimentare nel Tigray a febbraio, ma nel suo rapporto sulla regione non ha menzionato alcun segno di diversione degli aiuti alimentari. Invece, l’agenzia ha evidenziato i miglioramenti e ha raccomandato di prendere di mira le persone che soffrono maggiormente di insicurezza alimentare in futuro.

In una conversazione con Devex, la direttrice esecutiva del WFP Cindy McCain ha affermato che la maggior parte della deviazione degli aiuti è avvenuta nel dicembre del 2022 e nel gennaio del 2023, ma il furto è stato scoperto solo “molto più tardi”.

“Purtroppo non siamo stati così rapidi a ritirarci come avremmo dovuto”, ha detto McCain a Devex il mese scorso. “Questo era su vasta scala. Posso assicurarvi che stiamo facendo tutto il possibile per assicurarci che ciò non accada mai più”.

Alla fine di luglio, il WFP, l’USAID e il governo etiope stavano tutti indagando sulla diversione degli aiuti alimentari. Ma alcuni esperti temono che indagare sul furto farà ben poco per cambiare il contesto più ampio in Etiopia, su entrambi i lati di un conflitto che dura da decenni.

«E chi ha preso il cibo? Non sono del tutto sicuro che abbia davvero importanza”, ha detto Del Conte. “Il marciume è molto più profondo di così.”


FONTE: devex.com/news/exclusive-rot-i…


tommasin.org/blog/2023-08-29/e…



Altro che sovranisti, il governo Meloni ha deciso di cedere un asset strategico del paese direttamente alla CIA. Invece di esercitare la golden share e assum


Se l’Italia sale sul carro armato del futuro. Un modello virtuoso per l’Europa


Tra tutti i diversi sistemi d’arma, quello che più di altri rappresenta plasticamente lo stato di frammentazione del settore difesa europeo è il carro armato da battaglia (conosciuto anche con l’acronimo Mbt – Main battle tank). Attualmente, infatti, i ci

Tra tutti i diversi sistemi d’arma, quello che più di altri rappresenta plasticamente lo stato di frammentazione del settore difesa europeo è il carro armato da battaglia (conosciuto anche con l’acronimo Mbt – Main battle tank). Attualmente, infatti, i circa seimila carri armati in servizio con le Forze armate dei Paesi europei appartengono a diciassette modelli diversi, senza contare le diverse varianti, spesso realizzate ad hoc per un singolo Paese. Addirittura, questo stato di proliferazione dei sistemi da combattimento terrestre avviene anche all’interno di numerosi Stati, con in servizio contemporaneamente modelli diversi di carro armato più o meno moderni (una condizione che caratterizza in particolare i Paesi dell’est Europa, dove sono impiegati anche apparecchi risalenti all’era sovietica). Per fare un rapido raffronto, i circa 2.500 carri degli Stati Uniti sono tutti un unico modello, l’M1 Abrams, sulla base del quale sono poi state realizzate le diverse varianti per rispondere alle necessità operative delle Forze Usa.

È su questo sfondo che va letta la proposta avanzata dalla Francia, e riportata dal quotidiano La Tribune, di invitare l’Italia, attraverso Leonardo, a partecipare alla realizzazione del Main ground combat system (Mgcs), il progetto per il carro armato di prossima generazione lanciato nel 2012 da Parigi e Berlino sviluppato in partnership dalla tedesca Rheinmetall e da Knds, joint venture nata nel 2015 dalla tedesca Krauss-Maffei Wegmann e la francese Nexter. Da quando è stato lanciato, tuttavia, il programma ha faticato a prendere slancio, funestato da una serie di ritardi e malumori sia tra i partner industriali, sia tra i governi di Francia e Germania. Indicativo il fatto che Parigi nel suo bilancio per la Difesa del 2023 non abbia inserito il programma Mgcs (né quello per il caccia di nuova generazione Fcas, realizzato sempre insieme a Berlino). L’urgenza dei Paesi europei di dotarsi di carri armati aggiornati alle sfide contemporanee, inoltre, mette a repentaglio il futuro del programma. Invece di attendere i decenni necessari a progettare e mettere in produzione i Mgcs, le capitali del Vecchio continente potrebbero scegliere di comprare immediatamente mezzi già disponibili. È il caso della Polonia, che l’anno scorso ha deciso di acquistare 250 carri americani Abrams M1A2.

Sempre secondo il quotidiano francese, l’ingresso italiano nel progetto è presentato come un ultimatum di Parigi a Berlino sul futuro del programma: “Prendere o lasciare”. Per La Tribune, si tratterebbe di un tentativo dei francesi di riequilibrare il rapporto con i partner tedeschi, in particolare con Rheinmetall, facendo leva su citati ottimi rapporti tra Parigi e Roma – con quest’ultima descritta come “il nuovo partner preferito” della Francia – basati sui progetti comuni come il missile Aster di Mbda, la partecipazione italiana ai missili franco-britannici Fman/Fmc e soprattutto l’aggiornamento di mezza vita di quattro Fremm, due francesi e due italiane (il Doria e il Duilio).

L’Italia, dal canto suo, può però vantare buoni rapporti anche con la controparte tedesca, in particolare nel settore terrestre, come dimostra la decisione del governo di acquistare i carri armati Leopard 2A8 a partire dal 2024, da affiancare ai 125 carri Ariete modernizzati in versione C2. Come spiegato dal generale Salvatore Farina, già capo di Stato maggiore dell’Esercito, l’obiettivo è arrivare ad avere circa 256 sistemi Mbt in grado di equipaggiare quattro reggimenti carri. La scelta di procedere lungo il doppio binario Ariete/Leopard risponde alla necessità di accelerare i tempi, con i primi due reggimenti dotati di C2 modernizzati già entro il 2028, anno in cui dovrebbero essere introdotti i primi Leopard, evitando gap operativi.

Ma la partita è tutt’altro che limitata a Francia, Germania e Italia, e potrebbe anzi rappresentare un modello virtuoso verso la deframmentazione della difesa europea. Un obbiettivo fondamentale non solo per le ambizioni di costruzione di una Difesa comune da parte dei Paesi del Vecchio continente, ma anche in chiave Nato, con il potenziamento delle capacità di deterrenza europee e una contemporanea riduzione delle risorse necessarie. L’avere in dotazione equipaggiamenti il più possibile uguali o simili, infatti, non solo facilita il loro impiego sul campo (con gli operatori di Paesi diversi in grado di lavorare immediatamente su apparecchi anche di nazionalità diversa), ma rende molto più semplice anche la catena logistica, dai pezzi di ricambio, alla manutenzione, al munizionamento. La possibilità, inoltre, di produrre la piattaforma contemporaneamente in più Paesi accelererebbe anche l’entrata in servizio dei singoli modelli mettendo a sistema le linee di produzione europee, senza l’aggravio economico di dover attivare ex-novo delle linee produttive all’interno di un singolo Paese.

La convergenza sul Mgcs potrebbe anche facilitare in futuro un avvicinamento dei programmi paralleli sul caccia di sesta generazione Fcas (franco-tedesco) e Gcap (con Italia, Giappone e Regno Unito). Anche qui i ritardi accumulati dal Fcas potrebbero portare Parigi e Berlino ad aprirsi a collaborazioni più estese, anche alla luce dello slancio che invece sta caratterizzando l’evoluzione del Gcap.


formiche.net/2023/08/italia-ca…



Paul Lieberman – Gangster Squad


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Taiwan Files – Gou (Foxconn) candidato presidente. Compromessi tra Lai, Usa e Pechino


Taiwan Files – Gou (Foxconn) candidato presidente. Compromessi tra Lai, Usa e Pechino 8992397
Terry Gou candidato alle elezioni presidenziali taiwanesi: i motivi della scelta e gli scenari sul voto. Il viaggio del vicepresidente Lai Ching-te tra Usa e Paraguay, con la reazione di Pechino: entrambi di basso profilo. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

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BAHRAIN. Centinaia di prigionieri politici in sciopero della fame contro “Il lento omicidio”


Oltre 800 detenuti protestano contro le condizioni di vita terribili e le soluzioni insufficienti proposte dal governo L'articolo BAHRAIN. Centinaia di prigionieri politici in sciopero della fame contro “Il lento omicidio” proviene da Pagine Esteri. htt

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Di Urooba Jamal – Al Jazeera

Pagine Esteri, 29 agosto 2023 – Ebrahim Sharif ricorda ancora di aver visto sangue sui muri della prigione militare in cui era stato incarcerato, poco dopo aver manifestato durante le proteste della Primavera Araba del Bahrein del 2011. L’allora segretario generale del più grande partito politico di sinistra del paese del Golfo – National Democratic Action Society (Wa’ad) – fu arrestato insieme ad altri leader della protesta dell’epoca che vennero processati e incarcerati da tribunali militari.

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Ebrahim Sharif

“Siamo stati torturati duramente”, racconta Sharif ad Al Jazeera, descrivendo le percosse e le molestie sessuali che ha subito, così come le elettrocuzioni a cui sono stati sottoposti alcuni dei suoi compagni. Poco dopo lo svolgimento di un’inchiesta indipendente, il leader dell’opposizione e altri che avevano preso parte alle massicce proteste a favore della democrazia, sono stati trasferiti nel sistema carcerario civile e solo allora la tortura è cessata.

Le cose sono andate decisamente meglio in queste prigioni per diversi anni, dice Sharif, con i prigionieri che potevano lasciare le celle durante il giorno per pregare nella moschea, usare la biblioteca o giocare a calcio all’aperto. Ma, aggiunge, le condizioni sono peggiorate dopo lo scoppio di una rivolta nel 2015.

Quasi un decennio dopo, secondo il centro per i diritti umani Bahrain Institute for Rights and Democracy (BIRD) di Londra, i prigionieri – molti dei quali languono nel sistema carcerario dal 2011 – sono confinati nelle loro celle fino a 23 ore al giorno, senza cure mediche e senza accesso all’istruzione. Istituto per i diritti e la democrazia (BIRD). Alcuni sono anche tenuti in isolamento.

A causa del peggioramento delle condizioni, dall’inizio di agosto più di 800 prigionieri politici hanno organizzato il più ampio sciopero della fame mai realizzato in Bahrein, molti dei quali sono detenuti nella prigione più grande del paese, il Centro di Riforma e Riabilitazione di Jau.

Anche le famiglie dei prigionieri sono scese in piazza per protestare, chiedendo il rilascio dei loro cari.

Lunedì, dopo 22 giorni di sciopero della fame, le autorità del Bahrein si sono incontrate con gruppi di pressione per discutere le riforme. Ma i prigionieri affermano che queste proposte difficilmente rispondono alle loro preoccupazioni e hanno affermato di voler continuare la protesta. “La rabbia per questa ingiustizia non è più confinata tra le mura delle prigioni. Questo ora è un problema nelle strade del Bahrein”, dice ad Al Jazeera il direttore dell’advocacy di BIRD, Sayed Ahmed Alwadaei.

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Manifestazione a sostegno dei detenuti in sciopero della fame

“Un lento omicidio”

Mentre Sharif ha avuto la “fortuna” di non aver trascorso più di cinque anni e mezzo in prigione, altri sono stati condannati all’ergastolo. Tra loro c’è Abdulhadi al-Khawaja, candidato al Premio Nobel per la pace che Alwadaei definisce un “padre” del movimento per i diritti umani in Bahrein.

“La negazione delle cure mediche è un omicidio lento”, ha detto ad Al Jazeera Maryam al-Khawaja, la figlia di Abdulhadi, che ora vive in Danimarca. “Sì, lo sciopero della fame espone mio padre a un rischio maggiore di infarto. Ma era già a rischio perché gli stavano negando l’accesso a un cardiologo”.

Abdulhadi al-Khawaja non è estraneo agli scioperi della fame, il più lungo dei quali è durato 110 giorni nel 2012. Ora8991623 non sarebbe in grado di resistere così a lungo, ha detto Maryam, a causa del suo stato di salute, che comprende aritmia cardiaca, glaucoma e dolore cronico a causa delle placche metalliche nella mascella dopo numerose percosse da parte delle autorità carcerarie.

Le proteste, dice Alwadaei, hanno guadagnato slancio, con il numero di scioperanti della fame raddoppiato da quando lo sciopero è iniziato il 7 agosto. Secondo un elenco di scioperanti della fame compilato da BIRD e analizzato da Al Jazeera, attualmente vi prendono parte 804 prigionieri.

L’incontro di lunedì tra il governo e i gruppi di pressione ha fatto ben poco per mettere fine allo sciopero della fame.

Il ministro degli Interni, generale Shaikh Rashid bin Abdullah Al Khalifa, ha incontrato il presidente dell’Istituto nazionale per i diritti umani e il presidente della Commissione per i diritti dei prigionieri e dei detenuti. Si è discusso dei servizi sanitari per i detenuti, di una revisione dell’attuale sistema di visite e dell’aumento del tempo giornaliero all’aperto da un’ora a due ore. Al Khalifa ha inoltre sottolineato “la cooperazione in corso tra il Ministero dell’Interno e il Ministero dell’Istruzione nel fornire programmi e servizi educativi ai detenuti e nel facilitare il completamento dei loro studi a tutti i livelli”.

Ma Alwadaei ha detto che l’incontro è avvenuto “troppo tardi” e che il governo non è ancora riuscito a soddisfare le richieste fondamentali dei prigionieri.

“Sulla base delle conversazioni con i prigionieri seguite alla dichiarazione del Ministero dell’Interno, è chiaro che lo sciopero della fame continuerà finché il governo non affronterà le loro lamentele seriamente e in buona fede”, dice. “Finora non hanno preso sul serio nessuna delle richieste centrali dei detenuti in sciopero”.

“Il governo non dove sottovalutare la precaria condizione dei prigionieri e la rabbia nelle strade. Se un prigioniero muore, la situazione andrà fuori controllo”, aggiunge Alwadaei.

Al momento della pubblicazione di questo articolo, le autorità del Bahrein non avevano risposto alla richiesta di Al Jazeera di commentare le accuse di tortura e rifiuto di cure mediche ai detenuti.

Amnistia per i detenuti

Lo sciopero ha suscitato preoccupazione da parte dell’alleato del Bahrein, gli Stati Uniti, con un portavoce del Dipartimento di Stato americano che all’inizio di questo mese ha dichiarato di essere “consapevole e preoccupato per le notizie di questo sciopero della fame”. Secondo Maryam al-Khawaja, tuttavia, gli alleati occidentali del Bahrein, compresi gli Stati Uniti, hanno a lungo trascurato le violazioni dei diritti umani nel paese, sostenendo la nazione del Golfo e consentendo il verificarsi di tali abusi.

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Maryam Al Khawaja

“Non saremmo dove siamo se… il governo non ricevesse il tipo di sostegno che riceve dall’Occidente – è come se fosse in grado di evitare qualsiasi tipo di reale responsabilità internazionale per i crimini che ha commesso”, afferma al Khawaya.

Maryam ricorda ancora quella volta nel 2011 in cui suo padre fu picchiato fino a perdere i sensi davanti a lei e alla sua famiglia quando è stato arrestato. La rivolta (in Bahrain) è avvenuta mentre la famiglia al-Khawaja viveva ancora in Bahrein, essendovi tornata nel 2001 dopo un periodo di esilio in Danimarca.

All’epoca poterono tornare perché il governo del Bahrein aveva concesso un’amnistia generale, liberando tutti i prigionieri e favorendo così il ritorno di molti esuli.

Maryam, che è stata detenuta e successivamente rilasciata dopo le pressioni internazionali quando ha tentato per l’ultima volta di visitare il Bahrein nel 2014, spera in un’altra amnistia generale per suo padre e gli altri prigionieri. Altrimenti, ha paura che possa morire in prigione.

Sono state le traversie di suo padre e l’attivismo per i diritti umani durato tutta la vita che l’hanno ispirata a diventare anche lei una attivista dei diritti umani, una storia simile per molti altri nella regione che lo avevano incontrato, ha detto. “Ho incontrato persone del Golfo che mi hanno detto che volevano impegnarsi nel campo dei diritti umani grazie a mio padre, perché lo hanno incontrato e lui le ha ispirate”, ha detto Maryam.

Anche Ebrahim Sharif, che per un periodo ha condiviso la cella con al-Khawaja, ha la preoccupazione che i prigionieri in sciopero della fame possano morire e continua a parlare apertamente contro le ingiustizie che lui stesso ha subito. “Hanno una scelta – afferma – possono mettermi in prigione o lasciarmi dire quello che penso. Non credo che vogliano mettermi in prigione, quindi parlo liberamente il più possibile”. Pagine Esteri

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N. 146/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: L’Alta Corte irlandese ha respinto l’accusa alla Data Protection Commission (DPC) di non aver indagato a fondo su un reclamo presentato cinque anni fa in relazione a una presunta violazione massiva dei dati da parte del colosso di Internet Google.Il reclamo sul trattamento dei dati personali da parte... Continue reading →


di Luigi Saragnese - Dal “Corriere” a “Repubblica” è una sola la voce di condanna che si leva in questi giorni contro lo “scandalo” dei diplomif


Eritrea, la Cina inaugura un nuovo progetto minerario


L’ambasciatore cinese in Eritrea, Cai Ge, ha tagliato il nastro per inaugurare ufficialmente la nuova miniera polimetallica dell’Eritrea: il progetto Asmara. La Asmara Mining Share Company , titolare del progetto Asmara in Eritrea, è una joint venture 60:

L’ambasciatore cinese in Eritrea, Cai Ge, ha tagliato il nastro per inaugurare ufficialmente la nuova miniera polimetallica dell’Eritrea: il progetto Asmara. La Asmara Mining Share Company , titolare del progetto Asmara in Eritrea, è una joint venture 60:40 tra la cinese SRBM e la statale ENAMCO.

Il progetto ospita quattro depositi conosciuti a Emba Derho, Adi Nefas, Gupo e Debarwa.

Si prevede che la miniera avrà una durata di 17 anni, producendo circa 381.000 tonnellate di rame, 850.000 tonnellate di zinco, 436.000 once d’oro e 11 milioni di once d’argento.

Nella Fase 1A, il rame di alta qualità verrà estratto dal giacimento di Debarwa con metodi a cielo aperto, frantumato e caricato in container e trasportato per 120 km fino all’impianto portuale di Massaua per la spedizione e la vendita a una fonderia in Cina (una processo noto come spedizione diretta del minerale o “DSO”).

Riepilogo dello studio di fattibilità del progetto Asmara:
Lo studio di fattibilità del Progetto Asmara (lo “Studio”) datato in vigore dal 16 maggio 2013 (modificato a marzo 2014), ha dimostrato che l’estrazione mineraria dei quattro giacimenti avanzati che compongono il Progetto Asmara (Emba Derho, Adi Nefas, Gupo Gold e Debarwa) e la lavorazione del minerale in una posizione centrale vicino al grande giacimento di Emba Derho è economicamente solido con un valore attuale netto al lordo delle imposte (“NPV”) di 692 milioni di dollari (utilizzando un tasso di sconto del 10%) e con un tasso di rendimento interno al lordo delle imposte (“IRR”) del 34%. Il VAN al netto delle imposte è di 428 milioni di dollari con un IRR del 27%.

Lo studio delinea un’operazione mineraria iniziale in tre fasi che inizierebbe con la Fase 1A di produzione di DSO di rame di alta qualità dal deposito di Debarwa, seguita dalla Fase 1B di lisciviazione in cumulo di oro in prossimità della superficie, dalla Fase 2 di produzione di rame supergenico, quindi di zinco e rame ad un ritmo di produzione completo di 4 milioni di tonnellate all’anno.

A pieno regime, la miniera di Asmara produrrà una produzione media annua di 65 milioni di libbre (29.000 tonnellate) di rame, 184 milioni di libbre (83.000 tonnellate) di zinco, 42.000 once d’oro e 1 milione di once d’argento nei primi 8 anni.


FONTE: tesfanews.net/china-new-asmara…


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Etiopia, oltre 4 milioni di sfollati interni, fonte IOM


Secondo i nuovi dati delle Nazioni Unite, più di quattro milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case in Etiopia, principalmente a causa del conflitto o della siccità. Il Rapporto sugli sfollati nazionali dell’Organizzazione interna

Secondo i nuovi dati delle Nazioni Unite, più di quattro milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case in Etiopia, principalmente a causa del conflitto o della siccità.

Il Rapporto sugli sfollati nazionali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che copriva il periodo da novembre 2022 a giugno 2023, afferma che un totale di 4,38 milioni di persone erano sfollate interne.

“Il conflitto è la causa principale degli sfollati e ha provocato lo sfollamento di 2,9 milioni di sfollati interni (66,41%), seguito dalla siccità che ha provocato lo sfollamento di 810.855 sfollati interni (18,49%)”, si legge nel rapporto, pubblicato mercoledì.

Più di un milione sono gli sfollati nella regione del Tigray, devastata dalla guerra, inclusa nei dati per la prima volta da settembre 2021, ha aggiunto.

La regione più settentrionale dell’Etiopia è stata devastata da due anni di combattimenti tra le forze filogovernative e i ribelli del Tigray fino alla firma di un accordo di pace nel novembre dello scorso anno.

La regione orientale della Somalia ospita il maggior numero di sfollati a causa della siccità, pari a quasi 543.000, secondo il rapporto dell’OIM.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, in Etiopia, il secondo paese più popoloso dell’Africa, sono 28,6 milioni le persone bisognose.

Ma la risposta umanitaria rimane “significativamente sottofinanziata” con solo il 27% raccolto dei circa 4 miliardi di dollari necessari, ha detto in una dichiarazione all’inizio di questa settimana il coordinatore residente delle Nazioni Unite per l’Etiopia Ramiz Alakbarov.


FONTE: barrons.com/news/over-four-mil…


tommasin.org/blog/2023-08-28/e…




Industry-friendly EU Digital Services Act leaves big tech business model intact


As of today, the largest internet corporations such as Amazon, Meta (Facebook, Instagram), TikTok, X/Twitter, Youtube and the Google search engine must comply with the new EU Digital Services Act. Pirate …

As of today, the largest internet corporations such as Amazon, Meta (Facebook, Instagram), TikTok, X/Twitter, Youtube and the Google search engine must comply with the new EU Digital Services Act. Pirate Party MEP Patrick Breyer sat at the negotiating table as rapporteur of the European Parliament’s Civil Liberties Committee (LIBE) and dials-down expectations:

“With the Digital Services Act, the European Parliament has tried to over come the surveillance capitalist business model of pervasive online surveillance, but industry and government interests have prevented this. Users are offered no alternative to the platforms’ toxic algorithms which push the most controversial and extreme content to the top of their timelines. Purely chronological timelines are barely usable. Legitimate content, including media reports, is not protected from being suppressed by error-prone upload filters or arbitrarily set platform rules. Freedom of expression online is not protected from cross-border removal orders from illiberal member states without even needing a judge’s order, allowing perfectly legal reports and information to be suppressed. Our digital privacy is protected neither by a right to anonymous internet use nor by a right to encryption or a ban on indiscriminate data retention. The new set of rules does not deserve the name ‘digital constitution’, because the deal fails to protect our fundamental rights on the net.’

On the positive side, minors are protected from surveillance advertising. The ban on using sensitive personality traits such as a user’s political opinion, health conditions or sexual preferences for targeted manipulation was severely watered down. We must finally take the digital age into our own hands instead of leaving it to corporations and surveillance authorities! We Pirates will not relent.”


patrick-breyer.de/en/industry-…



di Barbara Spinelli - In apparenza sembra davvero un’estate di sconfitte, quella subita dai falchi occidentali che pretendono di stabilizzare il pianeta sc


di Giuliano Santoro - Tipi sinistri Il racconto di più di 40 anni di politica on the road del gruppo tra musica e cultura popolare. Sotto l’egida di Grams


Etiopia, 10 mesi di crisi umanitaria in aggravamento dopo 2 anni di guerra in Tigray


In Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etiopia, c’è una popolazione di 7,07 milioni di persone (dati 2020) e 7,08 milioni di abitanti. +7 Milioni di persone nel Tigray 800.000 vittime tra i civili del popolo tigrino Nel novembre 2020 è scoppiata u

In Tigray, stato regionale settentrionale dell’Etiopia, c’è una popolazione di 7,07 milioni di persone (dati 2020) e 7,08 milioni di abitanti.

+7 Milioni di persone nel Tigray

800.000 vittime tra i civili del popolo tigrino


Nel novembre 2020 è scoppiata una guerra definita la più atroce degli ultimi anni e che ha prodotto trra le 600.000 e le 800.000 vittime tra i civili (morti dirette della guerra o come conseguenze, per fame, stenti e mancanza di cure mediche e supporto sanitario). Più di 1/10 della popolazione sterminata, etiopi di etnia tigrina.

+1000 giorni di guerra e crisi umanitaria in atto


Le stime sono la regola perché in +2 anni di guerra dai risvolti etnici e genocidi si è combattuta nel totale blacout comunicativo ed elettrico.

Approfondimento: Etiopia, IGF – Internet Governance Forum e violenze eritree nel blackout del Tigray


+100.000 donne di ogni età di etnia tigrina stuprate


Lo stupro, come in ogni guerra atroce e schifosa che rispetti i suoi canoni, è stato usato come arma di guerra perché l’etnia tigrina non potesse aver seguito, a detta dei loro aguzzini: soldati e milizie etiopi ed eritree. Alcune sono morte per il troppo dolore, anche dopo giorni di agonia. Si stimano più di un centinaio di migliaiai le donne di ogni età barbaramente violentate ed abusate.

Anche dopo la firma dell’accordo di cessazione ostilità concordato a Pretoria tra governo etiope e TPLF – Tigray People’s Liberation Front e mediato dall’ AU – African Union, gli stupri e gli abusi sulle donne tigrine sono continuati come arma di repressione. Le cartelle cliniche di tutta la regione mostrano che la violenza sessuale continua ad essere utilizzata “per intimidire e terrorizzare le comunità”

Approfondimento: www-theguardian-com.translate.…


+70.000 rifugiati in Sudan


I rifugiati in Sudan, nei primi mesi di guerra tra fine 2020 e inizio 2021, sono stati stimati sui 70.000 i tigrini ospitati in campi nel vicino Sudan e finiti tra nuove violenze, bombardamenti e disumanità a partire dal 15 aprile 2023, col tentativo di golpe delle RSF – Rapid Support Forces.


Decine di migliaia morti per fame


Almeno 1400 persone sono letteralmente morte di fame tra marzo e agosto 2023, da quando il WFP – World Food Program e USAID hanno sospeso il supporto alimentare in Tigray aggravando la crisi umanitaria.

youtube.com/embed/OucSoFfV3UI?…

In Tigray sono 5,6 milioni le persone a dipendere dal supporto alimentare.

La sospensione alimentar umanitaria allargata a tutta Etiopia nel giugno 2023, ha lasciato un totale di 20 milioni di persone dipendenti dal supporto alimentare in balia degli eventi. Ad oggi (agosto 2023) WFP ha iniziato il periodo di test (Etiopia, Le autorità della regione del Tigray contestano i rapporti sulla ripresa degli aiuti alimentari del WFP) del suo sistema di monitoraggio consegne ottimizzato. L’ USAID invece non ha ancora riattivato le sue attività di supporto.


Pulizia etnica per centinaia di migliaia di tigrini


Durante i 2 anni di guerra è stata perpetrata pulizia etnica da parte delle forze regionali Amhara su centinaia di migliaiai di etiopi di etnia tigrina, soprattutto nella parte occidentale della regione. Confermato dal report congiunto di HRW e Amnesty International.

Attività di pulizia etnica sono continuate anche dopo l’accordo di tregua come confermato dal report di HRW.


Decine di migliaia di arresti e detenzioni arbitrarie illegali di massa


Dall’inizio della guerra sono stati arrestati, deportati e detenuti etiopi di origine tigrina in abuso del diritto umanitario internazionale. Sono stati perseguiti ed arrestati dal novembre 2020, inizio della guerra, perché sospetti di essere collusi o sostenitori dei membri del partito TPLF. Da maggio 2021 gli arresti e la repressione sul popolo tigrino è stato legittimato dalla legge etiope per cui TPLF e sostenitori sono stati etichettati come gruppo terrorista e terroristi. Agli arresti donne in gravidanza, anziani, ma anche uomini e donne di chiesa.

L’accordo di Pretoria, che fornisce la responsabilità delle parti firmatarie di seguirlo e l’Unione Africana di monitorare e denunciare eventuali violazioni, non riesce a fermare abusi e violenze che continuano.

Amhara ed soldati eritrei sono ancora presenti nella regione, nonostante l’accordo di tregua obblighi le tutte le “forze esterne” a ritirarsi dal territorio.

Recente è la notizia, che non ho potuto verificare direttamente, per cui nel Tigray occidentale, area occupata e rivendicata come storicamente propria dal governo amhara, sarebbero stati arestati 4000 civili di ogni età di etnia tigrina.

Recente è anche la notizia che il presidente della regione Amhara, recentemente in crisi e in stato di emergenza, si è dimesso dalla carica il 25 agosto 2023. Nel 2021 aveva fomentato tutto il popolo a prendere ogni arma per difendersi e fermare ad ogni costo i “ribelli” del TPLF.

Archivio: Aggiornamenti sugli arresti di massa


Milioni di IDP, sfollati interni in Tigray


Gli sfollati interni, IDP – Internally Displaced Persons, (dati IOM 28 giugno 2023): 15% della popolazione regionale
Sfollati interni Tigray - IDP giugno 2023 - dati IOMSfollati interni Tigray – IDP giugno 2023 – dati IOM
Archivio: Aggiornamenti situazione IDP – sfollati interni in Tigray

I bambini sono stati lasciati morire di fame


L’ analista Duke Burbridge sottolinea che la recente pubblicazione dei dati sul Tigray da parte della Displacement Tracking Matrix (DTM) dell’OIM rivela che i bambini del Tigray sono stati lasciati morire di fame senza accesso al cibo o a cure salvavita.

Continua aggiungendo che le dichiarazioni pubbliche delle Nazioni Unite e del WFP sulla fame infantile nel Tigray sono allarmanti, fuorvianti e privi di concreti fatti. Sia il WFP che l’USAID hanno dichiarato che la sospensione degli aiuti alimentari non avrebbe influito sull’assistenza nutrizionale, che continuerebbe a raggiungere i bambini nel Tigray.

Approfondimento: L’impatto della sospensione degli aiuti nel Tigray potrebbe essere peggiore dell’assedio.


Report sulla distribuzione e consegna di materiale di supporto umanitario (alimentare, sanitario, igienico)


The International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (IFRC)

Logistics CLuster Mekele Coordination Meeting Minutes 15 Agosto 2023


tommasin.org/blog/2023-08-28/e…



#NotiziePerLaScuola
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.


Oltre il mistero. La morte di Prigozhin e il futuro della Wagner secondo Bertolotti


Fonti contrastanti menzionano sia un missile che un ordigno nascosto in una cassa di vino come possibili cause dello schianto di un Embraer Legacy Jet nella regione di Tver, avvenuto la scorsa settimana, che portava a bordo i vertici del gruppo Wagner. La

Fonti contrastanti menzionano sia un missile che un ordigno nascosto in una cassa di vino come possibili cause dello schianto di un Embraer Legacy Jet nella regione di Tver, avvenuto la scorsa settimana, che portava a bordo i vertici del gruppo Wagner. La veridicità dell’informazione riguardante la presenza e il decesso del leader dell’organizzazione Wagner, Yevgeny Prigozhin, e del suo braccio destro, Dmitrij Utkin, come dichiarato dalle autorità russe, rimane però ancora da stabilire e resta avvolta da un velo di mistero, dato che non è stato possibile per fonti indipendenti verificare accuratamente i fatti. Delle ambiguità che circondano l’incidente, del futuro della Wagner e del possibile nuovo capo, ne abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight.

L’incidente aereo che ha coinvolto membri della Wagner è ancora circondato da ambiguità e speculazioni. Qual è la sua opinione sull’accaduto? Crede sia possibile trarre conclusioni chiare o ci saranno sempre aspetti non definitivamente risolti?

La morte di Prigozhin è circondata da un alone di mistero e tale resterà per molto tempo. La Russia, lo sappiamo bene, lascia trapelare le informazioni che ritiene opportune, e allo stesso tempo ne crea altre sulla base delle proprie priorità e in coerenza con quella che è la strategia comunicativa. Possiamo quindi fare soltanto delle speculazioni e immaginare che Prigozhin sia effettivamente scomparso e partire da questo assunto per fare alcune considerazioni pratiche. Rimane però un sospetto circa il fatto che Prigozhin e Utkin viaggiassero sullo stesso aereo poiché, almeno dal punto di vista procedurale, non avrebbero dovuto viaggiare insieme essendole teste dell’organizzazione: uno il capo, l’imprenditore, e l’altro il capo militare. Da un punto di vista operativo, essere entrambi a bordo dello stesso aereo va dunque contro ogni procedura di sicurezza.

Qual è dunque la condizione attuale del gruppo alla morte del leader e del suo braccio destro?

Il gruppo Wagner senza Prigozhin si può dire sostanzialmente inconsistente. Lui era l’imprenditore, padre e padrone di questa unità che aveva co-fondato con il suo vice e che è ora priva di una guida unitaria. Si è guardato infatti al gruppo Wagner come a un’unica entità fino al giorno dell’uscita di scena di Prigozhin; ma ad oggi, o meglio dal 24 giugno, cioè all’indomani del tentativo del cosiddetto colpo di Stato in Russia – che tale non fu – ai danni dell’immagine del Cremlino e di Putin, il gruppo Wagner ha subito una scomposizione e una progressiva diminuzione in termini di capacità operative. Una componente è stata assorbita dalle Forze armate della Federazione russa, un’altra è stata trasferita in Bielorussia a supporto delle forze di Lukashenko in attività di addestramento e affiancamento delle Forze armate nazionali bielorusse, mentre la parte più consistente e pregiata del gruppo Wagner è stata trasferita in Africa dove mai aveva cessato di operare e dove ha rappresentato, rappresenta e verosimilmente rappresenterà ancora – con forse un altro nome o in un’altra forma – quell’essenziale e strategicamente necessario strumento di politica estera non convenzionale di cui la Russia si è dotata e attraverso il quale è riuscita a porre sotto la propria sfera di influenza molti gruppi di potere, politici ed economici, e alcuni governi dell’Africa centrale. Ricoprendo un ruolo di primo piano a supporto di quei gruppi di opposizione armata e politica che hanno partecipato e realizzato colpi di Stato e golpe con conseguente rovesciamento dei governi.

Con la morte di Prigozhin, chi potrebbe essere il possibile nuovo leader del gruppo Wagner? Su cosa dovrà puntare questa figura per gestire l’organizzazione in un momento così delicato?

Anche su questo argomento possiamo solamente fare delle speculazioni basandoci sulle limitate informazioni a nostra disposizione e su quelle che saranno le priorità della politica estera russe. È verosimile immaginare che, esclusi i due capi storici fondatori Prigozhin e Utkin, almeno in una fase transitoria il gruppo Wagner possa essere gestito nelle sue diverse branche. In particolar modo la componente africana, essendo l’essenziale strumento di influenza della politica estera del Cremlino, potrebbe essere gestita temporaneamente dagli organi istituzionali della Federazione russa, quali il ministero della Difesa e i servizi, che potrebbero giocare un ruolo determinante ma non sul lungo periodo. Il gruppo Wagner è infatti un attore non statale che funziona fin quando rimane tale, perché non vi è alcuna affiliazione ufficiale alle istituzioni governative russe e, pertanto, qualunque azione condotta non avrebbe ripercussioni dirette sul piano delle relazioni internazionali e dei rapporti tra gli Stati o sul piano diplomatico in quanto strumento non statale, bensì privato. Sul medio periodo è verosimile quindi immaginare un uomo di fiducia di Putin e del Cremlino, che prenderà la guida del gruppo Wagner, di quello che rimarrà o comunque della sua componente essenziale in Africa. Quello che potremmo aspettarci in futuro potrebbe essere un ridimensionamento dell’organizzazione con una concentrazione dello sforzo principale proprio in Africa, e il proseguire in maniera coerente sulla linea già tracciata da Prigozhin (che poi di fatto seguiva le direttive dirette del Cremlino).

In che direzione si sta evolvendo la Wagner dopo gli ultimi avvenimenti?

Non è importante chi debba guidare la Wagner, l’importante è che qualcuno la guidi nel suo ruolo determinante: quello di servire gli interessi di politica estera russa in modo tale da poter condizionare, attraverso la sua presenza e il suo operato, i gruppi di potere e i governi di quei Paesi dove si concentrano i principali interessi russi, in particolar modo in Africa dove il ruolo della Wagner è stato determinante nel corso degli anni per imporre la visione russa e l’accesso russo alle risorse energetiche e minerarie. In tale contesto si deve guardare anche all’influenza di quei Paesi che, presenti all’interno dell’assemblea delle Nazioni unite, possono far pesare la loro vicinanza alla Russia attraverso i voti di astensione o di sostegno al Paese.

Non solo, la morte di Prigozhin arriva in un momento particolare per la Russia…

Dobbiamo considerare che alla fine di quest’estate entreremo nel vivo della campagna elettorale per le presidenziali. Dapprima con le elezioni a livello locale e a livello regionale, che saranno una prima cartina tornasole dell’operato e della capacità di tenuta della presidenza Putin, e poi entro marzo ci avvieremo a una campagna elettorale intensa per l’elezione del presidente che, con buona probabilità, potrebbe vedere riconfermato Putin. Una riconferma che sarebbe conseguenza dell’assenza di una vera opposizione e di un vero capo politico in grado di contrapporsi a Putin. L’unico soggetto indefinito che potrebbe effettivamente strappare consensi a svantaggio di Putin potrebbe essere un veterano, un eroe di guerra, chi si è sacrificato e ha partecipato alla guerra per la difesa della Russia (perché come tale viene presentata la guerra in Ucraina, cioè una guerra difensiva, chiamata operazione speciale). L’assenza di un soggetto forte e carismatico di questo tipo consegnerebbe con buona probabilità le chiavi del terzo mandato a Vladimir Putin e, tra i pochi che effettivamente avrebbero potuto incarnare questo soggetto alternativo c’era proprio lo scomparso Prigozhin.


formiche.net/2023/08/intervist…



L’Iran si prepara all’anniversario delle proteste: distrutte le tombe dei manifestanti uccisi


I familiari delle vittime della repressione vengono arrestati arbitrariamente e perseguitati dalla sorveglianza illegale. Il regime prova a soffocare preventivamente le proteste a un anno dalla morte di Mahsa Amini L'articolo L’Iran si prepara all’annive

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 28 agosto 2023. Lapidi distrutte, tombe coperte di catrame e date alle fiamme: in Iran chi chiede giustizia viene perseguitato in vita e dopo la morte. Ci si prepara all’anniversario delle manifestazioni che lo scorso anno hanno sconvolto la Repubblica islamica, con un’eco che ha attraversato i confini nazionali, trovando sostegno e solidarietà in molte parti del mondo.

Dopo l’arresto e l’uccisione, sotto custodia, della giovane Mahsa Amini, portata via dagli agenti della “polizia morale” perché non indossava adeguatamente il velo, in migliaia sono scesi per le strade della capitale Teheran e di almeno altre 160 città iraniane. Le donne hanno protestato sui social togliendosi il velo o tagliandosi i capelli. Jin, Jîyan, Azadî!, il motto “Donna, vita, libertà”, è stato intonato dalle donne che chiedevano la fine dell’oppressione e la liberazione dalle leggi discriminatorie che non consentono una vita dignitosa.

Ma non solo. Le proteste cominciate per la morte di Mahsa Amini si sono trasformate in dimostrazioni rabbiose di insofferenza e ostilità nei confronti dei vertici di governo, per le riforme mancate, per la povertà diffusa, per la situazione economica. A centinaia sono stati uccisi, circa 20.000 gli arresti.

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Mahsa Amini

Manifestanti, donne e uomini, ragazzi e ragazze perlopiù, sono stati fermati, torturati, uccisi durante le proteste o impiccati, in pubblica piazza, perché le loro morti fossero da esempio. Attivisti sono stati arrestati solo per aver espresso il proprio sostegno alle proteste via social. In molti casi, in prigione, sono stati sottoposti a pesanti torture per estorcere la confessione della propria colpa. Confessioni poi utilizzate per condannarli alla pena di morte. Nel 2022 le impiccagioni sono state 582, nel 2021 erano state 333. Nei primi quattro mesi del 2022 ne erano state 260. Ma i processi farsa e le uccisioni non hanno fermato le rivolte.

#Iran: “Civil and democratic space continued to be restricted,” @UNHumanRights deputy chief @NadaNashif told the Human Rights Council.

More on the @UN Secretary-General’s report on the situation of human rights in the Islamic Republic of Iran ➡️t.co/0ZPQHOzW1H#HRC53 pic.twitter.com/mI3gvy6ri1

— United Nations Human Rights Council (@UN_HRC) June 21, 2023

Nei mesi successivi le famiglie dei manifestanti e delle manifestanti uccisi sono stati perseguitati, molti di loro, a migliaia, arrestati. Sparizioni forzate, processi farsa, fustigazioni e mutilazioni sono pratiche ancora oggi molto utilizzate.

Tra pochi giorni si celebrerà l’anniversario della morte di Mahsa Amini, avvenuto il 16 settembre 2022. In questo anno le famiglie delle vittime della repressione hanno spesso visitato la sua tomba, simbolo di unità e di forza per tanti. I familiari della ragazza uccisa hanno più volte denunciato i raid vandalici che distruggono le lapidi dei manifestanti e degli attivisti ammazzati durante le proteste. Di tutta risposta il governo ha fatto sapere che intende spostare la tomba di Mahsa Amini, con l’obiettivo dichiarato di limitarne le visite.

A questo scopo sono state brutalmente attaccate e cacciate le famiglie che commemoravano i propri cari morti durante le proteste. Gli stessi familiari hanno denunciato che le lapidi sono ripetutamente distrutte e le tombe, cosparse di catrame, vengono date alle fiamme. Alcune tombe sono state danneggiate durante la notte ma spesso i raid sono avvenuti di giorno, alla presenza dei familiari, che non hanno ricevuto alcun sostegno dalle autorità iraniane, le quali anzi, denunciano, hanno spesso minacciato ulteriori ripercussioni.

Le autorità della Repubblica islamica mi hanno ucciso un figlio innocente, hanno imprigionato mio fratello e i suoi familiari e poi mi hanno convocata per il ‘reato’ di aver chiesto giustizia per mio figlio. I cittadini iraniani non hanno alcun diritto di protestare e ogni tentativo di chiedere libertà viene soppresso con estrema violenza”. Così ha scritto su twitter la madre di Artin Rahmani, un ragazzo di 16 anni ucciso dalla polizia.

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La tomba di Majid Kazemi, prima e dopo gli atti vandalici

Amnesty International denuncia l’accanimento giudiziario nei confronti delle famiglie delle vittime, i cui membri vengono arrestati arbitrariamente e spesso torturati. La sorveglianza illegale è utilizzata per intimidirli. Il diritto alla salute dei detenuti non è rispettato e in carcere non si assicurano le cure necessarie alla sopravvivenza dei malati.

Le intimidazioni e le violenze sono aumentate in vista dell’anniversario delle proteste. Le autorità temono una nuova escalation che tentano di reprimere in maniera preventiva stringendo la morsa dei controlli sui familiari delle vittime e compiendo decine e decine di nuovi arresti tra attivisti e attiviste.

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Incontro a Roma tra ministri degli esteri di Libia e Israele. “Blitz” pianificato da Tajani?


Il governo di Tripoli ha sospeso la ministra degli Esteri Najla Mangoush e ribadisce che non normalizzerà le relazioni con Israele. Il governo Netanyahu invece parla di "primo passo importante". Proteste e violenze in Libia, assaltata la residenza del pre

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della redazione

(foto di archivio da marsad.ly)

Pagine Esteri, 28 agosto 2023 -Ha sollevato un polverone diplomatico l’incontro che, si è saputo solo ieri, hanno avuto a Roma il ministro degli Esteri di Israele, Eli Cohen, e Najla Mangoush, l’omologa del Governo di unità nazionale della Libia (riconosciuto a livello internazionale), il primo ufficiale tra i responsabili della diplomazia Stato ebraico e del Paese arabo nordafricano. Israele attraverso il suo ministero degli esteri riferisce con risalto del colloquio, lasciando intendere che si tratta di un passo verso la possibile normalizzazione dei rapporti con la Libia e, più in generale, con il mondo arabo. Ciò mentre prosegue l’occupazione militare dei Territori palestinesi, la questione che frena da anni la normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi, con l’eccezione della firma nel 2020 degli Accordi di Abramo che hanno visto lo Stato ebraico allacciare rapporti con Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan.

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La ministra degli esteri libica Najla Mangoush- © Khaled Elfiqi/EPA/Newscom/MaxPPP

A Tripoli però si definisce “casuale e non preparato” l’incontro a Roma al quale ha partecipato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Anzi, secondo un’ipotesi che circola, la riunione sarebbe stata frutto di un “blitz” pensato e realizzato proprio da Tajani, desideroso di “accelerare” la normalizzazione dei rapporti degli alleati israeliani con i Paesi arabi. La Libia in un comunicato spiega che si è trattato di un incontro nel quale non ci sarebbero state “discussioni, accordi o consultazioni”. E Manghoush, da parte sua, avrebbe rifiutato la possibilità di una normalizzazione “con l’entità sionista (Israele)” ribadendo il sostegno della Libia alla causa palestinese e a “Gerusalemme come capitale eterna della Palestina”.

La notizia dell’incontro in Italia ha suscitato immediate proteste a Tripoli dove, ieri sera, alcuni manifestanti hanno assaltato il ministero degli Esteri. E questa mattina, prima dell’alba, centinaia di manifestanti hanno dato fuoco o tentato di farlo, non è ancora ben chiaro, alla residenza del premier Abdulhamid Dabaiba. Oggi l’altro parlamento libico, quello di Tobruk, nell’est della Libia, si riunirà d’emergenza per discutere di ciò che definisce “un crimine contro il popolo libico”.

Di fronte alle proteste, la ministra Mangoush sarebbe partita qualche ora fa su di un jet privato per dirigersi in Turchia, dopo essere stata sospesa dal primo ministro il quale ha anche formato una commissione d’inchiesta che dovrà riferire sull’incontro a Roma. L’incarico ad interim di ministro degli Esteri è stato assegnato a Fattehalla Elzini.

È difficile, tuttavia, credere che Mangoush abbia accettato di parlare a Cohen senza chiedere l’autorizzazione del suo governo. Non pochi credono che l’incontro a Roma dovesse restare segreto e che sarebbe stato il governo Netanyahu a far trapelare la notizia, non resistendo alla tentazione di “far sapere” che Israele ha avviato contatti con un altro Paese arabo, oltre a quelli che ha in corso con l’Arabia saudita per una possibile normalizzazione dei rapporti. La stampa israeliana riferisce che Cohen ha definito l’incontro “storico” e un “primo passo” verso l’apertura di relazioni tra i paesi. Cohen, aggiungono i giornali israeliani, avrebbe discusso con l’omologa libica di tutela dei siti ebraici in Libia, di progetti nell’agricoltura e per le riserve idriche e dell’invio di aiuti umanitari israeliani.

Al di là delle rivelazioni della stampa, in passato si è parlato in diverse occasioni di contatti tra il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, e funzionari israeliani. Nel gennaio del 2022, sarebbe avvenuto un incontro all’aeroporto di Tel Aviv tra funzionari del governo libico non riconosciuto che fa capo al generale Khalifa Haftar. E sono girate voci di un meeting segreto in Giordania tra il premier Abdulhamid Dabaiba e rappresentanti israeliani.

L’accaduto potrebbe interrompere la carriera politica di Najla Mangoush, la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri della Libia. Originaria di Bengasi, Mangoush è una avvocata e docente universitaria e ha ottenuto riconoscimenti accademici internazionali. Vanta inoltre un dottorato in gestione dei conflitti e della pace presso la George Mason University. Pagine Esteri

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Tra città imperiali e isole contese. Reportage dal Vietnam centrale


Tra città imperiali e isole contese. Reportage dal Vietnam centrale 8975545
Reportage dal Vietnam centrale, tra il museo delle isole Paracelso (contese con la Cina) di Da Nang e l'antica capitale imperiale di Hue, teatro di uno dei capitoli più sanguinosi della guerra con gli Usa. Qui, non lontano dall'antica zona demilitarizzata tra Vietnam del Nord e del Sud, c'è un'area che meglio di quasi chiunque altro ha conosciuto la devastazione "calda" durante la prima guerra fredda. Mentre a Hue e dintorni si spera di evitarne una seconda

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in reply to The Privacy Post

consigliamo per la navigazione quotidiana Tor Browser….mi sa che anche stavolta la realtà se la sono scordata proprio…peccato perché le premesse sono anche valide, solo che l’approccio è sempre troppo nerd e poco pragmatico. Anche stavolta sarà l’ennesima fanfara di allarmi inutili e fuochi di paglia. Capisco che sia faticoso ma sarebbe utile, invece di fornire un clava a chi non saprebbe nemmeno impugnarla, usare lo strumento per rendere consapevoli gli utenti illuminandomi sulla pressoché ubiquitaria condivisione dei loro dati e delle pratiche di tracciamento. Qui mi pare si voglia nuovamente puntare il dito solo verso la PA e fomentare una serie di segnalazioni al garante che faranno solo perdere tempo inutilmente a segnalatori, garante e PA coinvolte. Proprio quello che serve ora..


Sono d'accordo con la proposta di un referendum contro la precarietà, avanzata oggi da Landini sul Quotidiano nazionale. Bisogna abrogare le nefaste norme, com


Qualcuno ha un'idea di come risolvere questo problema su #invidious?

⬇️⬇️⬇️⬇️⬇️


Ho riscontrato un problema su invidious: la ricerca dei video funziona perfettamente, ma la loro condivisione no. Ho fatto dei test sia su i.redsnake.io che su yt.artemislena.eu e pubblicando il link sia qua che su bologna.one e il risultato è sempre lo stesso. Nonostante il link dettagliato si arriva alla home page dell'istanza e non al video.
Qualcuno ha notizie diverse?



Qui l'intervento integrale del Ministro Giuseppe Valditara ieri al Meeting di Rimini.

➡️ youtube.



“Gogna web doppia violenza”


Oggi sono stato intervistato dalla redazione Regionale della RAI SICILIA per commentare i recenti fatti di cronaca avvenuti al Foro Italico e le implicazioni legate all diffusione dei video. Qui il link all’intervista completa rainews.it/tgr/sicilia/video/2…


guidoscorza.it/gogna-web-doppi…

Maronno Winchester reshared this.



“UNO MATTINA ESTATE”


Ieri a UNO MATTINA ESTATE partendo dagli ultimi fatti di cronaca con Tiberio Timperi ho discusso di privacy, social network e ragazzi Qui potete vedere l’intervento integrale raiplay.it/video/2023/08/UnoMa…


guidoscorza.it/uno-mattina-est…



WeiboLeaks – Fukushima, il web cinese boicotta sushi e cosmetici


WeiboLeaks – Fukushima, il web cinese boicotta sushi e cosmetici 8945651
Per il web cinese il rilascio delle acque contaminate raccolte dopo il disastro di Fukushima equivale a un “atto terroristico”. Gli utenti invocano il boicottaggio dei prodotti giapponesi. Un atto terroristico di portata storica. Così il web della Repubblica popolare cinese ha definito la decisione da parte del Giappone di riversare nell’oceano Pacifico le acque di raffreddamento della centrale nucleare ...

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Miranda Rights, 57 anni dopo


Tutto ciò che dici sarà usato contro di te.

Correva l’anno 1963, quando a Phoenix, in Arizona, un signore chiamato Ernesto Miranda fu arrestato dalla polizia. L’accusa era di aver rapito e stuprato una giovane donna, appena diciottenne. Durante l’interrogatorio, durato diverse ore, Ernesto confessò il delitto e la sua confessione fu usata in tribunale per condannarlo.

Il caso arrivò poi fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti. L’avvocato difensore impugnò l’ammissibilità della confessione in giudizio, poiché Ernesto Miranda non era stato informato dei suoi diritti costituzionali: il diritto di rimanere in silenzio e il diritto di essere assistito da un avvocato durante gli interrogatori.

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La Corte Suprema nel 1966 diede ragione a Miranda: le prove non erano ammissibili. Da questa sentenza storica venne così alla luce la famosa formula che chiunque guardi polizieschi americani conosce a memoria — i “Miranda Rights”:

"E' suo diritto rimanere in silenzio. Tutto ciò che dice può essere usato contro di lei in tribunale. Ha il diritto di avere un avvocato. Se non ne può permettere uno, uno le verrà fornito. Ha capito i diritti che le ho appena letto? Tenendo presente questi diritti, desidera parlare con me?"


Sono passati 57 anni dalla sentenza Miranda.

In questi 57 anni sono successe tante cose, ma soprattutto che ci siamo ritrovati a vivere in un mondo in cui tutto ciò che diciamo, scriviamo e facciamo — in sostanza, chi siamo — potrà essere usato contro di noi, fuori e dentro i tribunali, a prescindere da qualsiasi reato o indizio di colpevolezza.

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Meta dovrebbe risarcire immediatamente i Rohingya per il ruolo che Facebook ha avuto nella pulizia etnica della minoranza perseguitata

@Etica Digitale (Feddit)

Questo è quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, nel sesto anniversario della brutale operazione dell'esercito birmano durante la quale hanno violentato donne e ragazze Rohingya, bruciate e bruciate. interi villaggi e ne uccisero migliaia.

Gli algoritmi di #Facebook e la spietata ricerca del profitto di Meta hanno creato una cassa di risonanza che ha contribuito a fomentare l’odio contro il popolo #Rohingya e ha contribuito a creare le condizioni che hanno costretto il gruppo etnico a fuggire in massa dal #Myanmar.

Anche se questo si distingue come uno degli esempi più eclatanti del coinvolgimento di una società di social media in una crisi dei diritti umani, i Rohingya sono ancora in attesa di risarcimenti da parte di Meta.


Pat de Brún, responsabile della responsabilità delle grandi tecnologie di Amnesty International



Israele/OPT: la Corte Suprema approva la demolizione punitiva della casa di un bambino ingiustamente detenuto per omicidio

@Notizie dall'Italia e dal mondo

La Corte Suprema israeliana ha approvato oggi la demolizione punitiva della casa familiare di un ragazzo palestinese di 13 anni che ha trascorso gli ultimi sei mesi in custodia cautelare con accuse ingiuste. Nel febbraio 2023, Mohammed Zalabani ha accoltellato un agente della polizia di frontiera israeliana su un autobus a un posto di blocco nel campo profughi di Shu'afat, nella Gerusalemme est occupata. È stato sopraffatto, ma pochi istanti dopo una guardia di sicurezza privata israeliana ha sparato accidentalmente all'ufficiale uccidendolo.

“Le demolizioni punitive di Israele sono una forma di punizione collettiva illegale, che costituisce un crimine di guerra e una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. La sentenza odierna mostra come lo sfrontato disprezzo di Israele per il diritto internazionale si diffonde in ogni istituzione. È anche un promemoria del ruolo della Corte Suprema nel far rispettare l'apartheid contro i palestinesi”


ha affermato Khulood Badawi, attivista regionale di Amnesty International per Israele e i territori palestinesi occupati.

Qui il post completo

in reply to Vega

@Vega @Moonrise2473 sì, la seconda. Odio e rancore possono certamente distruggere un popolo, anzi due, ma hanno il dono di concedere sempre più forza, consenso e autorevolezza a un governo di criminali e farabutti; e anche nuove energie alle mafie palestinesi i cui capi clan godono dall'essere considerati dei veri e propri martiri da un popolo, quello palestinese, che da anni ha perso la capacità di pensare.
Quindi direi che la ricetta di Netanyahu funziona benissimo
in reply to Informa Pirata

E abbiamo visto questo metodo anche in Italia
Questa voce è stata modificata (2 anni fa)


Non dimenticare e parlane


Soltanto, bada bene a te stesso e guàrdati dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. Deuteronomio 4:9


L’imperativo di questo versetto del Deuteronomio non è tanto di richiamo alla fedeltà, ma al non dimenticare. Se si dimenticano le grandi opere che il Signore ha fatte, presto non si dà più molto valore alla sua Parola. E se nessuno racconta delle grandi opere che il Signore ha realizzato, come si può rimanere con il Signore?
Questo non dimenticare è una costante, iniziando proprio dal Deuteronomio, della fede di Israele. Un riconoscersi parte di un popolo, attraverso tante epoche, che il Signore ha scelto e con cui ha fatto un patto.
Come cristiani anche noi parliamo di un patto, di un nuovo patto in Gesù Cristo. Questo è come un’estensione di quello del Sinai, ma con persone e popoli di tutta la terra. Spesso però non abbiamo questa idea di popolo, di essere parte del popolo di Dio, e nemmeno questa idea di patto.
Da una parte perché ovviamente la fede è qualcosa di personale, individuale. E la fede non si insegna, ma al massimo la si testimonia, d’altra parte però questo individualismo ci porta a pensare che ognuno debba in fondo provvedere da sé. Non dimenticare conta però innanzitutto per noi, ma poi anche per gli altri a cui ne parleremo, e quindi per i figli, i figli dei figli e le generazioni che verranno...



Perché il Digital Service Act è un rischio per la libertà di parola su internet | L'Indipendente

«Una parte dell’opinione pubblica identifica la legge come un modo per imporre una sorta di censura mascherata finalizzata ad evitare che si possano esprimere tesi e opinioni divergenti da quelle “dominanti”. La facoltà di vigilare sulla correttezza delle informazioni e dei contenuti, stabilendo, dunque, ciò che è vero e ciò che è falso è stata attribuita in primo luogo ad un organo politico: la Commissione Europea e, nello specifico, al Comitato europeo per i servizi digitali che vigilerà strettamente sulle società e sui contenuti. Un’architettura di controllo che ha portato diversi rappresentanti politici e dell’informazione a parlare di una minaccia per la democrazia.»

lindipendente.online/2023/08/2…



Etiopia, chi sono le milizie Fano in guerra col governo centrale?


All’inizio di agosto sono scoppiati intensi combattimenti tra la Forza di difesa nazionale etiope (ENDF) e le forze nazionaliste Amhara etichettate come “Fano”. Sebbene da allora le forze nazionaliste siano state respinte dalle principali città della regi

All’inizio di agosto sono scoppiati intensi combattimenti tra la Forza di difesa nazionale etiope (ENDF) e le forze nazionaliste Amhara etichettate come “Fano”. Sebbene da allora le forze nazionaliste siano state respinte dalle principali città della regione, gli scontri sono in corso in gran parte della regione. Storicamente Fano si riferisce ai contadini liberi che si univano agli eserciti reali dell’Etiopia durante le campagne militari, con le proprie armi per combattere e saccheggiare. Il termine ha una forte sfumatura nazionalistica, poiché si ricorda che tra i “patrioti (arbegnoch) che combatterono contro gli invasori stranieri è inclusa Fano.

Negli anni ’60, i radicali del Movimento studentesco etiope usarono “Fano” quasi come sinonimo di “attivista”. Successivamente, però, il termine cadde quasi in disuso. È stato ripreso dagli attivisti giovanili urbani che hanno partecipato al movimento di protesta dell’agosto 2016 contro il governo del Fronte democratico rivoluzionario popolare etiope (EPRDF). Questi gruppi, che si sono rivolti anche ai social, si sono battezzati Fano. Hanno articolato diverse rivendicazioni: un lavoro, una migliore condivisione delle risorse, la giustizia sociale e la fine della repressione. Alcuni hanno denunciato la Costituzione etno-federale del 1995 che accusavano di non garantire una rappresentanza sufficiente per gli Amhara. Alcuni giovani attivisti sono stati incarcerati e molti sono passati all’attivismo online.

Decisiva nell’escalation delle proteste nel 2016 è stata la repressione affrontata dal Comitato Wolkait (WC). Un’organizzazione lanciata un anno prima, era composta da investitori, dipendenti pubblici e commercianti del Tigray occidentale che sostenevano l’annessione della loro zona alla regione di Amhara. Gruppi giovanili hanno organizzato manifestazioni a Gondar quando i loro leader hanno resistito violentemente ai loro arresti.

Questi attivisti ottennero presto il sostegno di gruppi della diaspora che si battevano contro quello che chiamavano un “genocidio” degli Amhara. Questi gruppi hanno condotto campagne su rivendicazioni fondiarie, tra cui Wolkait e Raya, tensioni fondiarie nelle pianure occidentali e meridionali dell’Etiopia dove la violenza aveva preso di mira diversi gruppi etnici, inclusi gli Amhara, e qualsiasi cosa potesse alimentare la sempre crescente retorica anti-Tigrayan. Le politiche di pianificazione familiare erano viste come cospirazioni per indebolire demograficamente Amharas.

Nell’agosto 2016, uomini armati si sono scontrati con l’ENDF nel nord di Gondar. Tra loro c’era Mesafint Tesfu, che in seguito fu coinvolto in campagne militari contro le Forze di Difesa del Tigray (TDF) durante la Guerra del Tigray, così come altri leader armati, tra cui Sefer Mellesse e Aregga Alebachew, che erano conosciuti a livello locale per aver trascorso anni opporsi militarmente all’EPRDF.

Molti giovani attivisti e membri del WC sono stati liberati nell’ambito delle amnistie di inizio 2018. Nello stesso periodo è stato rilasciato Asaminew Tsige, un generale ribelle imprigionato per un tentativo di colpo di stato contro l’EPRDF.

Una volta liberate, queste tendenze cominciarono a fondersi. Condividevano l’opinione secondo cui il pan-etiopismo aveva fallito ed era giunto il momento di accettare l’etnicità come principio organizzativo. Tutti erano socialmente conservatori, lanciavano campagne contro il consumo di khat, organizzavano ritiri nei monasteri, facevano circolare profezie sul rinascita dell’Etiopia e fornitura di addestramento militare segreto per piccoli gruppi.

Man mano che i legami tra attivisti urbani e leader armati più bellicosi si rafforzavano, Asaminew Tsige, le cui opinioni sul Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF) rimasero invariate, cercò di unificare questi militanti nelle Forze speciali di Amhara (ASF). Per qualche tempo, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, “Fano” è stato utilizzato colloquialmente anche per riferirsi all’ASE

Il governo federale ha instaurato un rapporto ambiguo con questi gruppi informali di Fano. Ha permesso loro di combattere contro le milizie Qemant e ha fatto affidamento su di loro per garantire alcuni eventi pubblici come la cerimonia religiosa di Timqat a Gondar. Ha inoltre permesso ad Asaminew di reclutare fino a quando le sue ambizioni non hanno minacciato il governo regionale, che ha cercato di rovesciare nel giugno 2019. La successiva morte di Asaminew ha rallentato le iscrizioni all’ASF.
Tuttavia, quando è iniziata la guerra nel Tigray nel novembre 2020, l’ASF ha combattuto a fianco dell’ENDF per prendere il controllo del Tigray occidentale, supervisionando la pulizia etnica degli abitanti del Tigray.

All’inizio dei combattimenti furono coinvolti miliziani dell’Amhara settentrionale e di Fano, coordinati sotto l’autorità dell’Ufficio regionale per la pace e la sicurezza. Per tutto il 2021, molti uomini armati chiamati “Fano” si sono uniti al fronte, mentre si moltiplicavano le richieste di partecipazione dei miliziani kebele alle campagne. Dopo lo stato di emergenza del novembre 2021, tutti i dipendenti pubblici e molti civili sono stati chiamati al fronte. Gli uomini armati che aderirono furono, ancora una volta, chiamati Fano. La Fano di oggi difficilmente può essere descritta come “gruppi informali”, come li ha definiti Temesgen Tiruneh, incaricato di guidare le strutture dello stato di emergenza ad Amhara.

Molti dei Fano che ora combattono contro l’ENDF sono uomini arruolati per la guerra nel Tigray. Molti affermano di lottare per il rispetto degli Amhara, ma questo non è certo un programma politico. Sebbene non siano ancora uniti militarmente, una parvenza di rivendicazioni comuni li unisce. I più radicali non accettano l’accordo di Pretoria e vogliono “finire” la guerra del Tigray, cioè scatenare i loro disegni genocidi contro la popolazione del Tigray. Molti sono preoccupati per lo status delle terre annesse dalla regione di Amhara durante la guerra. Alcuni si mobilitano sulla questione di Addis Abeba, denunciando una presunta stretta oromo sulla capitale. Più prosaicamente, altri stanno combattendo per perpetuare un’economia di guerra che ha portato ricchezza ad alcuni uomini che hanno annesso terre nel Tigray occidentale e a Metekel, o hanno riscattato i viaggiatori sulle strade di Armach’ho.

Il sostegno popolare che l’attuale Fano riceve proviene da gruppi sociali selezionati, in particolare giovani urbani. I contadini che recentemente hanno manifestato contro l’insufficienza della fornitura di fertilizzanti potrebbero anche sostenere coloro che si ribellano al governo della Prosperità.

Fuori dalle città, tuttavia, la maggior parte dei contadini amhara sono stufi della guerra, della mobilitazione e della massiccia inflazione. Sebbene i radicali possano aver preso in gran parte il controllo dell’apparato statale regionale, molti in questa società ancora prevalentemente rurale si concentrano sui problemi
locali e quotidiani, mantenendo una distanza critica dagli estremisti.

Le origini dell’odierna ‘Fano’ sono molteplici e complesse. Confondere coloro che nutrono legittime lamentele con questioni come i sottoinvestimenti nella regione di Amhara e gli elementi fascisti che ancora cercano la distruzione del Tigray sarebbe un grave errore. Il governo federale deve fare attenzione che la prosecuzione dello stato di emergenza nella regione non ingrossi le fila dei fanesi e non unisca queste fazioni assortite.

A cura del team The Ethiopian Cable – www.sahan.global
Ethiopian CableEthiopian Cable


tommasin.org/blog/2023-08-25/e…



“UNO MATTINA ESTATE”


“Dobbiamo smettere di parlare di nativi digitali perché non esistono. È un’espressione che crea nei più giovani l’illusione di sapere tutto del digitale e solleva gli adulti dal loro dovere di guidarli e educarli a un uso consapevole del digitale”


guidoscorza.it/uno-mattina-est…



I Brics raddoppiano, tra integrazione e competizione


I Brics approvano l'ingresso nell'alleanza di sei paesi, di cui tre produttori di petrolio, e lanciano la sfida al mondo unipolare. Ma anche il mondo multipolare, in un contesto di aspra competizione economica, politica e militare, comporta enormi rischi

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 25 agosto 2023 – Il vertice iniziato martedì e conclusosi ieri a Johannesburg passerà alla storia. Il blocco composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica ha infatti deciso di ammettere, dal primo gennaio, altri sei paesi: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. I nuovi membri sono stati scelti all’interno di una lista composta da due dozzine di stati, tra i quali spiccano Algeria e Indonesia, che chiedono di poter entrare nell’organizzazione.
Ad annunciare il raddoppio, ieri, è stato il presidente sudafricano e presidente di turno dell’alleanza, Cyril Ramaphosa, che ha descritto i Bricscome un «gruppo eterogeneo di nazioni» e «un partenariato paritario tra paesi che hanno punti di vista diversi ma una visione condivisa per un mondo migliore».

Il presidente russo è stato assai più esplicito. «I Brics non competono con nessuno e non si oppongono a nessuno, ma è anche ovvio che il processo di creazione di un nuovo ordine mondiale ha ancora oppositori che cercano di rallentare questo percorso, per frenare la formazione di nuovi centri indipendenti di sviluppo e influenza nel mondo» ha spiegato Vladimir Putin nell’intervento realizzato in videoconferenza, visto che su di lui pende un mandato di cattura internazionale spiccato dal Tribunale Internazionale dell’Aia per crimini di guerra.

Nella giornata conclusiva il vertice ha approvato una dichiarazione, in ben 94 punti, incentrata sull’impegno a promuovere il cosiddetto “multilateralismo inclusivo”, l’integrazione, un contesto di pace e sviluppo, la crescita economica, lo sviluppo sostenibile.
Nel documento, come d’altronde durante il dibattito, poca attenzione è stata riservata alla crisi ucraina, per risolvere la quale i paesi membri auspicano lo sviluppo del negoziato. «Alcuni paesi promuovono la loro egemonia e le loro politiche con il colonialismo e il neocolonialismo» ha accusato il leader russo, secondo il quale l’aspirazione a preservare questa egemonia da parte degli Stati Uniti ha condotto alla guerra in Ucraina.

In generale, i leader riuniti a Johannesburg si dicono «preoccupati per i conflitti in corso in molte parti del mondo» (vengono citati in particolare quelli in corso in Sudan e Niger). Il documento esprime sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale della Libia, della Siria e dello Yemen, accoglie con favore il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran (mediato da Pechino) e chiede a «una soluzione a due Stati» per il conflitto israelo-palestinese.

8932019
I leader dei paesi Brics

I Brics vogliono un mondo multipolare
Ampio spazio è stato dedicato alla comune e impellente aspirazione alla costruzione di un nuovo ordine mondiale multilaterale, alternativo a quello imperniato sul dominio incontrastato degli Stati Uniti e delle potenze occidentali in generale.
Le cinque potenze rivendicano esplicitamente «una maggiore rappresentanza dei mercati emergenti e dei Paesi in via di sviluppo nelle organizzazioni internazionali e nei forum multilaterali» e si schierano contro “misure coercitive unilaterali” come gli embarghi e le sanzioni. Allo scopo, i Brics sostengono una riforma globale delle Nazioni Unite, Consiglio di Sicurezza compreso, nonché dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Sulla tutale dei diritti umani invocano invece un approccio «non selettivo, non politicizzato e costruttivo, senza doppi standard».
I Brics si impegnano ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico, chiedendo però «una transizione giusta, accessibile e sostenibile verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica», esortando i Paesi sviluppati a «onorare i loro impegni», anche in termini di finanziamenti, e opponendosi alle barriere commerciali imposte «col pretesto di affrontare il cambiamento climatico».

I Brics tra integrazione e competizione

Ad integrazione avvenuta i paesi dell’alleanza «rappresenteranno il 36% del Pil mondiale e il 47% della popolazione dell’intero pianeta» ha fatto notare con toni trionfalistici il presidente brasiliano Lula da Silva, tra i maggiori fautori dell’allargamento del blocco e dello sviluppo di una moneta alternativa al dollaro (e all’euro). Con l’allargamento, i Brics passeranno a produrre il 43% del petrolio estratto nel pianeta (contro il 20% attuale) e il 40% del grano.

Il gruppo dei Bric – acronimo coniato dall’economista Jim O’Neil di Goldman Sachs per indicare quattro paesi attraenti per gli investimenti – si è costituito nel 2006 a margine di un’assemblea delle Nazioni Unite. Nel 2010, poi, si aggiunse la ‘s” del Sudafrica, e l’alleanza si propose esplicitamente di «rafforzare il coordinamento tra i cinque principali paesi in via di sviluppo» e di «rendere più rappresentativo l’ordine mondiale» dominato da Washington e dalle altre potenze del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), nei confronti del quale i cosiddetti «paesi non allineati» si pongono in aperta contrapposizione, in particolare dopo l’accelerazione della competizione globale innescata dall’invasione russa dell’Ucraina e dal coinvolgimento diretto della Nato nel conflitto.

Comparando Brics e G7 sulla base del Pil nominale, il primato di quest’ultimo è saldo, ma se invece si considera il dato a parità di potere d’acquisto il blocco alternativo all’occidente vale già il 32% del Pil globale (20 anni fa rappresentava solo il 15%), contro il 30% dei “sette grandi”.
Ora Washington teme l’ascesa di nuove potenze, molte delle quali fino a pochi anni fa erano docili pedine dei propri interessi economici, geopolitici e militari (si pensi ad Arabia Saudita ed Emirati). Ma paradossalmente la strategia di “contenimento” dei propri concorrenti messa in atto dagli Stati Uniti – sanzioni, guerra commerciale, tentativi di regime change riusciti o falliti, aumento della militarizzazione, creazione di nuovi patti regionali in funzione soprattutto anticinese in Asia e nell’Indo-Pacifico – ha paradossalmente costretto i Brics ad accelerare il processo di integrazione reciproca e di costruzione di una propria area di influenza.

Ma i Brics hanno ancora molta strada da percorrere, in condizioni di competizione internazionale sempre più dure.
All’interno della necessità di una maggiore integrazione economica e finanziaria, i paesi membri si sono impegnati a valutare un sistema di pagamenti in valute locali nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie tra i Brics. All’interno dell’alleanza la dedollarizzazione è già avviata, e nel 2022 solo il 28,7% degli scambi è avvenuta utilizzando la moneta statunitense. Nel frattempo, però, il progetto di una valuta del blocco, complementare alle valute nazionali esistenti ma alternativa al dollaro, si è rivelato più complesso del previsto e realizzabile, forse, in tempi lunghi. Le economie dei paesi aderenti sono infatti molto diverse tra loro e l’allargamento da 5 a 11 membri non potrà che moltiplicare i punti di vista, le esigenze e quindi le contraddizioni.

Proprio mentre a Johannesburg si svolgeva il vertice dei Brics, nello spazio andava in scena uno dei tanti terreni di competizione interna al blocco, con l’India – paese ancora estremamente legato agli Stati Uniti e da sempre in contrasto con il grande vicino cinese – che metteva a segno un punto importante nella corsa alla Luna dopo il fallimento della Russia.

Salta agli occhi, inoltre, che il Pil della Repubblica Popolare Cinese da solo pesa molto di più di quelli di tutti gli altri partner messi insieme e, per quanto Pechino sia tra i maggiori promotori dell’integrazione e della crescita di un blocco internazionale indipendente da Washington e Bruxelles, è anche vero che una tale potenza mondiale non agisce certo sulla base di criteri filantropici.

La competizione con le potenze “occidentali” rimane il principale collante del progetto di integrazione dei Brics, che gli Stati Uniti cercano di contrarrestare accelerando sul piano dello scontro militare, sul quale sa di essere in vantaggio sui concorrenti mentre sul piano economico e politico continua a perdere colpi.
Ma paradossalmente, più questi paesi cresceranno economicamente, politicamente e militarmente, più si apriranno nel pianeta nuovi spazi di egemonia, più aumenterà la competizione interna alla galassia delle potenze emergenti, con quelle più sviluppate impegnate a tentare di piegare il nuovo schieramento internazionale per soddisfare i propri interessi e rafforzare la propria leadership.

8932021

Il nodo dell’Africa

Durante l’ultimo vertice, nonostante le dichiarazioni concilianti e altisonanti, è già emerso un terreno di forte contraddizione interna all’alleanza. Nel dibattito è stato dedicato ampio spazio al continente africano, nel quale l’egemonia di Cina e Russia continua ad ampliarsi a spese di Washington e delle vecchie potenze coloniali europee e in competizione con altri paesi (Emirati e Turchia, ad esempio).

In riferimenti ai conflitti in corso in Africa i Brics chiedono «soluzioni africane ai problemi africani». È però evidente che l’affollamento di potenze straniere è sempre maggiore e che la coabitazione tra diversi interessi e strategie, che finora ha funzionato in virtù del prevalere della comune contrapposizione alle potenze “occidentali”, potrebbe entrare in crisi generando uno scontro tra alleati.

Proprio ieri, a Johannesburg si è tenuto l’ennesimo summit Cina-Africa, con la partecipazione dei presidenti delle otto Comunità Economiche Regionali del continente e del presidente dell’Unione Africana.
Nel suo intervento, Xi Jinping ha rivendicato l’assistenza allo sviluppo fornita negli ultimi 10 anni, citando la costruzione di 6000 km di ferrovie, altrettanti di autostrade e 80 grandi impianti energetici, ma dimenticando di spiegare che la maggior parte delle infrastrutture realizzate erano funzionali allo sviluppo dell’economia di Pechino, all’espansione della sua egemonia e all’accaparramento di preziose risorse naturali.

Ma anche la Federazione Russa è “sinceramente” interessata ad approfondire i legami con il continente africano e per questo realizzerà progetti in vari campi, ha ricordato Vladimir Putin, che si è appena liberato dei vertici ribelli della Compagnia Militare Privata “Wagner” ma che ha bisogno dei suoi miliziani per conservare e rafforzare la presa di Mosca su numerosi paesi dell’area dove gioca una fondamentale partita a scacchi con competitori e alleati.

I rischi di un mondo multipolare

«Siamo tutti favorevoli alla formazione di un nuovo ordine mondiale multipolare che sia veramente equilibrato e tenga conto degli interessi sovrani della più ampia gamma possibile di Stati. Ciò aprirebbe la possibilità di attuare vari modelli di sviluppo, aiutando a preservare la diversità dei confini culturali nazionali» ha detto Putin, riproponendo un argomento alla base delle rivendicazioni dei paesi in via di sviluppo.
Al di là delle rappresentazioni idilliache però, in un contesto economico capitalistico, di competizione economica e geopolitica globale e di polarizzazione militare, un mondo formalmente multipolare – popolato da decine di potenze desiderose di imporre i propri interessi e la propria visione e portate a sviluppare un carattere non meno predatorio delle tradizionali potenze coloniali e neocoloniali – rischia di rappresentare l’anticamera di un feroce scontro bellico globale.

Solo le classi dirigenti e le oligarchie che governano i paesi che si aggrappano alla loro posizione egemonica residua possono continuare a difendere un mondo unipolare ingiusto e diseguale. Ma le aspirazioni dei paesi coinvolti dal progetto Brics riguardano principalmente il loro ruolo geopolitico nello scacchiere mondiale, e non certo lo sviluppo di un modello sociale, economico e di sviluppo alternativo a quello attualmente dominante.
L’indurimento della contrapposizione tra potenze non può che condurre ad un aumento della repressione e del controllo sociale, alla diffusione di sistemi politici autoritari sorretti da ideologie reazionarie, alla deviazione di sempre maggiori risorse economiche dalla spesa sociale agli apparati militari e coercitivi necessari alla pacificazione dei “fronti interni”.

Da questo punto di vista la denuncia del brasiliano Lula da Silva appare centrale: «È inaccettabile che la spesa militare mondiale superi in un solo anno i 2mila miliardi di dollari, mentre la Fao ci dice che 735 milioni di persone soffrono la fame ogni giorno». – Pagine Esteri

8932023* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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I Brics si allargano, ma non sono ancora un’alleanza


I Brics si allargano, ma non sono ancora un’alleanza
Argentina, Arabia saudita, Emirati arabi uniti, Iran, Egitto ed Etiopia. Prevale la voglia cinese di espandere il gruppo. Più che raddoppiato il peso del gruppo sul fronte della produzione di petrolio

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