Annika Strandhäll, socialista svedese (collega della commissaria Ylva Johansson, relatrice chatcontrol) perora la scansione dei messaggi dei cittadini europei, ma le sue affermazioni sono imprecise
Katarina Stensson @Katarina Stensson leader del partito Pirata Svedese @Piratpartiet , smonta tutte le imprecisioni nel testo apologetico di Strandhäll su #chatcontrol
"L'opposizione al disegno di legge non viene principalmente dalle società Internet, ma da esperti di sicurezza informatica, attivisti per i diritti umani, giornalisti e associazioni di tutela dell'infanzia"
Annika Strandhäll scrive sull'Alting del disegno di legge chiamato #chatcontrol, il regolamento contro gli abusi sessuali sui bambini. Sfortunatamente, il suo testo contiene una serie di imprecisioni.
Innanzitutto Strandhäll afferma che gli interessi dei bambini devono venire prima delle aziende Internet, e su questo siamo completamente d'accordo! L'opposizione al disegno di legge non viene principalmente dalle società Internet, ma da esperti di sicurezza informatica, attivisti per i diritti umani, giornalisti e associazioni di tutela dell'infanzia.
Il motivo è che la legge, così come è formulata, pone un grande rischio per i bambini che dovrebbe aiutare. Se diventerà realtà, porterà a un mondo digitale più pericoloso per tutti. I punti deboli che la legge impone ai servizi Internet potranno essere sfruttati anche dai criminali, e i punti deboli si troveranno sui telefoni e sui computer di tutti coloro che utilizzano i servizi di comunicazione digitale. I bambini e le donne che si trovano in situazioni vulnerabili, ad esempio, non potranno cercare aiuto in modo sicuro.
La possibilità di una comunicazione sicura è compromessa
Strandhäll sostiene che questa legge è intesa a sostituire la legge temporanea che attualmente consente a questi servizi di scansionare i messaggi e l'archiviazione nel cloud alla ricerca del cosiddetto materiale CSAM. È sbagliato. La nuova legge differisce da quella temporanea in quanto non consente solo ai fornitori di servizi di scansionare i messaggi, ma impone loro di farlo. Questo requisito viene imposto anche ai servizi crittografati e questo è il motivo principale per cui ha incontrato così tanta resistenza, poiché mina completamente la possibilità di una comunicazione sicura.
La legge include anche una serie di altri requisiti che non erano presenti nella legge temporanea, ad esempio che ai giovani non dovrebbe essere consentito utilizzare alcun tipo di servizio di chat senza identificarsi. Se la legge fosse stata solo un’estensione della legge precedente, avrebbe affrontato molte meno critiche.
Nel disegno di legge formulato dalla Commissione UE, le ricerche di materiale pedopornografico devono essere effettuate sia confrontando un elenco di riferimenti con materiale già noto, sia con l'aiuto dell'intelligenza artificiale per identificare materiale e adescamento precedentemente sconosciuti. Questa parte della proposta ha incontrato critiche perché semplicemente non ci sono abbastanza strumenti validi per identificare materiale sconosciuto con un'affidabilità sufficientemente elevata. Il risultato sarebbe che i casi reali annegherebbero in un mare di falsi positivi, presenterebbero una quantità di materiale totalmente ingestibile per la magistratura di cui occuparsi e porterebbero anche persone falsamente segnalate e sospettate di uno dei peggiori crimini immaginabile.
Sembra che il governo abbia preso a cuore questa critica, perché recentemente è emerso che si vuole esentare materiale e strigliatura precedentemente sconosciuti.
Già migliaia di casi si accumulano
Strandhäll critica questo aspetto sulla base del fatto che molti casi, alcuni in cui i bambini sono ancora attivamente esposti, non vengono rilevati. In parte ha ragione, ma d’altro canto è improbabile che questi casi vengano risolti comunque, perché già oggi ci sono migliaia di casi ammucchiati che la giustizia non riesce a gestire. l'ago nel pagliaio se metti più fieno.
Dobbiamo invece investire le enormi risorse che ciò costerebbe nel rafforzamento delle competenze, dei metodi e delle risorse delle forze dell’ordine per indagare efficacemente su questo tipo di crimine una volta trovato materiale abusivo, poiché questo è attualmente il collo di bottiglia. Dobbiamo anche chiedere strumenti efficaci e sostegno alle vittime per denunciare gli abusi e fornire loro sostegno quando sono vittime. Patrick Breyer, deputato al Parlamento europeo del Partito Pirata, ha presentato emendamenti alla legge alla commissione LIBE del Parlamento europeo. Ci auguriamo che ciò possa contribuire a far sì che la proposta non debba essere bloccata nella sua interezza, ma che si possa trovare una soluzione migliore che possa aiutare più bambini senza mettere a rischio l’intera società. Sono felice di incontrare Strandhäll e le donne S per discutere le soluzioni migliori per affrontare la questione.
altinget.se/artikel/replik-en-…
Replik: En mängd felaktigheter i Strandhälls text om Chat control
Motståndet mot lagförslaget kommer inte huvudsakligen från internetbolagen, utan från IT-säkerhetsexperter, människorättsaktivister, journalister, och barnskyddsförbund. Det skriver Piratpartiets partiledare Katarina Stensson i en replik.www.altinget.se
like this
reshared this
TURCHIA. Il PM giudica “propaganda illegale” la denuncia di torture e chiede la condanna per Ayten Öztürk
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 28 settembre 2023. Si è conclusa pochi minuti fa a Istanbul la prima udienza del nuovo processo contro Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato le torture subite nei centri segreti di detenzione e che rischia già due ergastoli. Il Pubblico Ministero ha chiesto una condanna per “propaganda a un’organizzazione illegale”.
Le accuse sono state formulate dalla polizia turca in seguito alla pubblicazione di un libro autoprodotto in cui Ayten racconta la sua storia, come sia stata rapita in Libano e portata in un centro di tortura segreto in Turchia. Per sei mesi famiglia, amici e avvocati non hanno saputo dove fosse. Quando è stata ritrovata il suo corpo era coperto di ferite e cicatrici, 898 per la precisione. All’interno del libro, anche una poesia di Mahir Çayan, un rivoluzionario marxista morto nel 1972. Questa poesia proverebbe, secondo il pubblico ministero, il suo sostegno all’organizzazione politica fondata dallo stesso Çayan nel 1970, il Partito popolare di Liberazione-Fronte della Turchia, messa oggi al bando.
L’udienza è stata rinviata al 7 Novembre. Ayten Öztürk ha provato, al termine della seduta, a rilasciare una sua dichiarazione alla stampa e alle persone che erano giunte in tribunale in suo sostegno ma le guardie di sicurezza e la polizia privata le hanno impedito di parlare.
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Ayten è in attesa della sentenza definitiva del processo in cui rischia due ergastoli. Si trova agli arresti domiciliari da più di due anni. È sicura che l’accanimento giudiziario nei suoi confronti sia una punizione per aver denunciato le torture. In molti lo pensano. Le motivazioni alla base delle accuse si possono definire quantomeno pretestuose, inverosimili. Rischia un ergastolo per aver assistito a un tentativo di linciaggio, senza prenderne parte. Ne rischia un altro per esser stata vista presso la sede di un’associazione (legale) che si occupa di diritti umani. Prima che cominciasse a denunciare le torture, le accuse mosse perlopiù attraverso l’utilizzo di testimoni segreti, erano cadute. Quando ha iniziato a parlare dei centri segreti e del rapimento, i processi sono ricominciati e nei primi due gradi di giudizio è stata dichiarata colpevole.
Diversi deputati turchi hanno portato in parlamento la sua storia, chiedendo giustizia, la fine della politica degli arresti arbitrari e la chiusura dei centri segreti di tortura.
Ömer Faruk Gergerlioğlu, membro del Parlamento e attivista per i diritti umani, ha dichiarato al termine dell’udienza: “Da tutti i documenti risulta che Ayten Öztürk è stata torturata per 6 mesi. È stato rivelato con chiarezza come sia stata rapita dal Libano. Nonostante tutto questo, anche se è certo che sia stata vittima di tortura, qui sotto processo non sono i torturatori, ma il racconto della tortura. E questo non è accettabile. La questione non si chiuderà qui. Andremo sicuramente al giudizio internazionale. Perché la denuncia della tortura, che è un crimine contro l’umanità, qui è vista come se fosse propaganda politica. Questo non è accettabile. Sebbene sul corpo di Ayten Öztürk siano state contate 898 cicatrici causate dai torturatori, non è stata fornita alcuna spiegazione sulla tortura, e ora è sotto processo per reato di propaganda per aver descritto la tortura in un libro”.
Ayten Ozturk
“In questo tribunale la tortura non è stata nemmeno menzionata – ha dichiarato Ayten – Non è stata nemmeno presa in considerazione l’apertura di un’indagine o l’esame di denunce penali contro la tortura. L’unica cosa che voglio è che io sia ulteriormente punita in quanto persona che denuncia la tortura subita. Ma io non starò in silenzio. Continuerò la mia lotta finché i torturatori non saranno perseguiti e i centri segreti di tortura chiusi”.
La storia di Ayten e quella di altre oppositrici politiche è raccontata nel documentario dal titolo “La rivoluzione di Ayten”, prodotto da Pagine Esteri, che verrà ufficialmente presentato il prossimo 13 ottobre a Caserta.
LEGGI → Nella Turchia di Erdogan con una poesia si rischia l’ergastolo
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo TURCHIA. Il PM giudica “propaganda illegale” la denuncia di torture e chiede la condanna per Ayten Öztürk proviene da Pagine Esteri.
Ministero dell'Istruzione
Il racconto di #NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato al plesso di Piscittina dell’ICS “Giovanni Paolo II” di Capo d’Orlando, in provincia di Messina, che sarà demolito e ricostruito grazie alla linea di investimento del PNRR.Telegram
“Agenda del 29 settembre”
Qui tutte le informazioni agli eventi ai quali parteciperò domani 29 di settembrehttps://www.eventbrite.it/e/biglietti-convegno-sulla-sicurezza-legale-delle-citta-639116072377https://webmagazine.unitn.it/evento/giurisprudenza/117841/ricerca-in-sanit-e-protezione-dei-dati-personali-scenari-applicativi-ehttps://www.digital360awards.it/yes-i-care/
La poesia contemporanea dei Nativi Americani. Oltre stereotipi e mielose retoriche
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Marco Cinque –
Pagine Esteri, 28 settembre 2023. Spesso ci facciamo un’idea retorica e molto lontana da quelle che sono realmente le culture dei popoli nativi delle Americhe. Gran parte degli scritti a noi pervenuti provengono da una trasmissione orale e spesso sono artefatti, rielaborati, talvolta persino traditi e per lo più addomesticati al nostro sentire occidentale.
Insomma, in qualche modo le testimonianze a noi tramandate sono state rese strumentalmente appetibili per definire una visione romantica dell’universo amerindiano, con la finalità di renderla più sfruttabile e vendibile anche dal punto di vista commerciale. Per capire questo c’è una cartina da tornasole: basta infatti vedere chi si è arricchito con la generosa produzione bibliografica e anche filmografica sui nativi d’America, non certo i nativi stessi.
Queste visioni edulcorate, in realtà, non trovano riscontro e stridono con l’attuale situazione delle riserve indiane, che spesso sono invece ghetti che diventano il terzo mondo casalingo dell’America, dove si riscontrano i più alti tassi di disoccupazione, alcolismo, criminalità, povertà, analfabetismo, suicidi di adolescenti e quant’altro.
La retorica mielosa e l’eterea spiritualità che molte persone cercano negli scritti e nelle poesie, da molti autori nativi contemporanei vengono rifuggite come la peste. Nelle loro parole, che diventano specchio – a volte fedele, altre volte surreale, mistico, sarcastico o paradossale – della vita vissuta, i versi trasudano il sangue e il sudore che sono costati e continuano a costare a quei popoli e alle loro culture.
Quindi, nei loro scritti, è logico e conseguente trovare il dolore (mai lamentoso), la deprivazione (mai accettata), l’arbitrio (mai taciuto) cui sono sottoposti da centinaia di anni. Il ruolo della poesia contemporanea nella letteratura indigena serve anche per capire a fondo la loro condizione ed è necessaria per ascoltare le loro voci senza filtri che alterino il senso di ciò che vogliono davvero comunicarci, tenendo comunque presente che le traduzioni da altre lingue sono sempre e comunque una sorta di “tradimento”. Pertanto dovremmo ricordare che piegare una cultura diversa alla propria prospettiva di sguardo, spesso è come pretendere di aprire la serratura di una porta con la chiave sbagliata.
In questa selezione si propone un coro di voci poetiche di autrici e autori nativi americani contemporanei, assieme a loro brevi biografie, sperando così di contribuire a rendere una visione autentica, quindi più reale e rispettosa di ciò che essi realmente sentono, pensano e vivono.
Lance Henson, nato nel 1944 e cresciuto nell’Oklahoma occidentale con la sua tribù, è un poeta Cheyenne tra i più rappresentativi della cultura dei nativi d’America. Laureato in scrittura creativa all’Università di Tulsa, ha pubblicato più di venti libri di poesie. La sua opera compare nelle principali antologie di letteratura dei nativi americani, tradotta in più di venticinque lingue e pubblicata anche in Italia. Membro della Chiesa Nativa Americana e capo del Dog Soldier Clan, ha partecipato numerose volte ai raduni del suo popolo come danzatore e pittore. Ha rappresentato la nazione Cheyenne al Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite per le popolazioni indigene e da più di trent’anni è attivamente impegnato nella lotta per i diritti dei Cheyenne e delle popolazioni indigene del mondo. La poesia di Henson fonde la filosofia Cheyenne e le tradizioni alla cronaca sociale e politica del mondo moderno.
CANTO DI RIVOLUZIONEL’alba porta con sé il dolore della luce
di qualcuno che non vuole essere visto
una voce che deve essere nascosta
in un luogo che non le appartiene
è un fiume o una brezza
o l’acqua che scorre e piange di séche ti fa desiderare di essere libero?
il canto proibito di un grillo
giace tra le rose
un vento aleggia intorno sussurrando
del Che e di Cavallo Pazzoin un mattino di gelo
nel dolore del risveglio
il grido dell’umanità esce da sé
impossibile da fermare
come il gocciolio dell’acqua
come il pianto di un bambino.
Lance Henson e Marco Cinque
John Trudell, (Omaha, 15 febbraio 1946 – Santa Clara, 8 dicembre 2015) è stato un poeta della tribù Sioux-Santee, leader del movimento per i diritti civili dei Nativi d’America ed efficace comunicatore, si autodefiniva blue indian. Vedeva nella musica il futuro della poesia. La sua arte è stata frutto di esperienze vissute in prima persona. Un’esistenza spesa per il riscatto del suo popolo. È stato co-fondatore dell’American Indian Movement (Aim), di cui diviene presidente fra il 1973 e il 1979. Entrò perciò nel mirino dell’Fbi. Prologo della tragedia: il 12 febbraio 1979 il fuoco distrusse la sua casa nella riserva Shoshone di Paiute, nel Nevada, strappandogli la moglie Tina e i tre figli. Trudell sostenne immediatamente l’ipotesi del dolo: dodici ore prima era stato arrestato per aver bruciato una bandiera americana di fronte al J. Edgar Hoover Building, sede dell’Fbi a Washington. Piegato dal dolore, smise i panni del leader politico e indossò quelli di poeta e cantautore. Iniziato al lavoro da Jackson Browne, fondeva nelle proprie canzoni poesia, blues e canti tradizionali, la “voce del tamburo” con le chitarre elettriche. Come attore partecipò a diversi film tra cui Smoke signa e Cuore di tuono.
GUARDA LA DONNA (dall’album “Johnny damas and me”, 1994)Guarda la donna \ ha un viso giovane e un viso vecchio \ va sempre avanti a ogni età \ sopravvive a tutto ciò che l’uomo ha fatto \ in certe tribù è libera \ in certe religioni è sotto l’uomo \ in certe società vale ciò che consuma \ in certe nazioni è una forza delicata \ in certi stati le dicono che è debole \ in certe classi è una proprietà \ in ogni caso è sorella della terra \ in ogni condizione è portatrice di vita \ in tutta la vita è la nostra necessità \ guarda gli occhi della donna \ fiori che ondeggiano su colline disperse \ una danza del sole che richiama le api \ guarda il cuore della donna \ farfalle di lavanda che cacciano nel cielo azzurro \ pioggia indistinta che cade su soffici rose selvatiche \ guarda la bellezza della donna \ lampo che squarcia le notti scure d’estate \ foresta di pini che si unisce alla nuova neve invernale \ guarda lo spirito della donna \ quotidianamente al servizio del coraggio con il sorriso \ il suo respiro un sogno e una preghiera.
John Trudell in una scena del film “Thunderheart” (Cuore di tuono)
Joy Harjo è nata a Tulsa, Oklahoma, nel 1951 e appartiene alla nazione Creek. Ha insegnato in numerose università corsi di letteratura e diretto seminari di creative writing. Ha insegnato presso l’Università della California a Los Angeles e abita a Honolulu, Hawaii. Si è anche dedicata allo studio del sassofono e insieme al gruppo «Poetic Justice», incise un cd in cui blues, ritmi tribali, versi delle sue poesie si fondevano creando una musica di grande forza e suggestione. I suoi libri sono stati più volte gratificati da importanti premi letterari internazionali – tra cui il “William Carlos Williams”, il “Delmore Schwartz”, l’“American Indian Distinguished Achievement in the Arts”. Infine un altro prestigioso riconoscimento, il Penn Award, ricevuto a New York. Tutte le sue raccolte tradotte sono a cura di Laura Coltelli: Segreti dal centro del mondo, Urbino, 1992; Con furia d’amore e in guerra, Urbino, Quattroventi, 1996; Lei aveva dei cavalli, Roma, Sciascia, 2001.
TI RIMANDO INDIETROTi metto in libertà, mia splendida e terribile
paura. Ti metto in libertà. Eri la mia amata
e odiata gemella, ma ora, non ti riconosco
come me stessa. Ti metto in libertà con tutto il
dolore che sentirei alla morte delle mie figlie.
Tu non sei più il mio sangue. Ti restituisco ai soldati bianchi
che hanno bruciato la mia casa, decapitato i miei figli,
violentato e sodomizzato i miei fratelli e sorelle.
Ti restituisco a coloro che hanno rubato il
cibo dai nostri piatti quando noi morivamo di fame.
Ti metto in libertà, paura, perché continui a tenere
queste scene davanti a me e io sono nata
con occhi che non possono mai chiudersi.
Ti metto in libertà, paura, così non puoi più
tenermi nuda e raggelata in inverno,
o farmi soffocare sotto le coperte in estate.
Ti metto in libertà
Ti metto in libertà
Ti metto in libertà
Ti metto in libertà.
Non ho paura di provare rabbia.
Non ho paura di gioire.
Non ho paura di essere nera.
Non ho paura di essere bianca.
Non ho paura di aver fame.
Non ho paura di essere sazia.
Non ho paura di essere odiata.
Non ho paura di essere amata
di essere amata, di essere amata, paura.
Oh, mi hai strangolato, ma io ti ho dato il laccio.
Mi ha pugnalato nelle viscere, ma io ti ho dato il coltello.
Mi hai divorato, ma io mi sono sdraiata nel fuoco.
Hai preso mia madre e l’hai violentata,
ma ti ho dato il ferro rovente.
Riprendo me stessa, paura. Non sei più la mia ombra.
Non ti terrò tra le mie mani.
Non puoi vivere nei miei occhi, nelle mie orecchie, nella mia voce,
nel mio ventre, o nel mio cuore mio cuore
mio cuore mio cuore. Ma vieni qui, paura
Io sono viva e tu hai così paura
di morire.
Joy Harjo
Diane Burns nacque nel 1956 a Lawrence, nel Kansas, da padre Chemehuevi e madre Anishinabe e scomparve nel 2006, a soli 49 anni. La Burns crebbe coi suoi due fratelli a Riverside, in California, dove i suoi genitori insegnavano in un collegio di nativi americani. Al di là dei suoi lineamenti affascinanti, che portarono la Burns a lavorare pure come modella, negli ambienti letterari e artistici rimasero colpiti dalla forza delle sue parole. “Era come un vento fresco, la chiarezza del suo lavoro era così bella”, disse Josh Gosciak, fondatore della rivista di poesia multiculturale \ work {Contact}, che fu uno dei primi a pubblicare il lavoro della Burns. “È stata un’esplosione totale”, disse il fondatore del Bowery Poetry Club Bob Holman, ricordando la prima volta che sentì la Burns leggere nel 1980: “pensavamo di aver ascoltato già tutto ciò che si potesse ascoltare, ma Diane ha letteralmente fatto saltare il coperchio”. Il suo primo e unico libro di poesie è stato Riding the One-Eyed Ford, pubblicato nel 1981, ma le sue interpretazioni ironiche e taglienti sugli stereotipi dei nativi sono ancora abbastanza attuali da essere insegnate insieme a contemporanei più famosi, come Sherman Alexie.
SURE YOU CAN ASK ME A PERSONAL QUESTION
(Certo che puoi farmi una domanda personale)Come va?
No, non sono cinese, no, non sono spagnola.
No, sono americana indiana, nativa americana.
No, non dall’India. No, non Apache. No, non Navajo.
No, non Sioux. No, non siamo estinti.
Sì, indiano. Oh? Ecco perché hai gli zigomi alti.
La tua bisnonna, eh?
Una principessa indiana, eh?
Capelli laggiù?
Lasciami indovinare. Cherokee?
Oh, quindi hai avuto un amico indiano?
Così vicino?
Oh, quindi hai avuto un amante indiano?
Così stretto?
Oh, quindi hai avuto un servitore indiano?
Così tanto?
Sì, è stato terribile quello che ci avete fatto.
È davvero decente da parte tua scusarti.
No, non so dove puoi trovare il peyote.
No, non so dove puoi trovare tappeti Navajo davvero economici.
No, non l’ho fatto. L’ho comprato a Bloomingdales. Grazie.
Mi piacciono anche i tuoi capelli.
Non so se qualcuno sa se Cheris è davvero indiano.
No, stasera non ho fatto piovere.
Sì. Uh Huh. Spiritualità.
Uh Huh. Sì. Spiritualità.
Uh Huh. Madre Terra. Sì.
Uh Huh. Uh Huh. Spiritualità.
No, non ho studiato tiro con l’arco.
Sì, molti di noi bevono troppo.
Alcuni di noi non possono bere abbastanza.
Questo non è uno sguardo stoico.
Questa è la mia faccia.
Diane Burns
Trevino L. Brings Plenty è nato nella Riserva Cheyenne nel South Dakota, di origine Minneconjou Lakota è cresciuto nella Bay Area di San Francisco e a Portland, Oregon, dove risiede. È cineasta, musicista ed è un assistente sociale, insegnante al college e si occupa di diritti delle famiglie e degli studenti nativi americani. Real Indian Junk Jewlry (2012) è la sua prima raccolta di poesia, cui ha fatto seguito Wakpa Wanagi Ghost River (2015).
PORTLAND NORD ESTVedo una donna piangere sulla porta di casa
i figli persi, di nuovo
affidati ai servizi sociali
e conoscendo la dura strada
che avrà ancora da percorrere, nel mio cervello
la cartografia del disastro.
Il mio cervello vede già i suoi figli
farsi strada nel meccanismo
e i suoi nipoti
venirne fagocitati; nel mio cervello
la cartografia del disastro.
Questa è la seconda volta per questa madre,
in questo stato, che i suoi figli le vengono tolti.
Là c’è la sua riserva originaria dove pure
gli altri suoi figli sono altrove, ricollocati.
Muore dal desiderio di tornare a casa. Un po’ di sicurezza.
Suo padre abita là; nel mio cervello
la cartografia del disastro.
Posso offrirle solo qualche parola
di incoraggiamento e supporto,
consigliarle di consultare il medico per qualche cambio di terapia;
fissare gli appuntamenti necessari e delle visite sorvegliate,
cercare di non abbattersi.
La mia mente vaga
verso un’amica a rischio
di esclusione dalla propria tribù.
Penso a un’identità liquida
che scotenni l’annientamento: nel mio cervello
la cartografia del disastro.
Torno alla mia auto. Accendo il motore
e anche la radio – le interferenze mi
danno conforto. Guido nella città, vedo tempeste
nelle famiglie. Riesco a identificare le tracce
che il dolore della gente lascia lungo le strade,
la sequenza di espropriazioni e allontanamenti:
condizioni socio-economiche, razziali, stati
di salute mentale e generazionali. Nel mio cervello
la cartografia del disastro.
Trevino L. Brings Plenty
Georgiana Valoyce Sanchez, nativa americana Chumash (Shmuwich) e O’odham (Tohono e Akimal), nata e cresciuta nel sud della California. È un’anziana del consiglio direttivo del Consiglio Chumash di Barbareno, membro del consiglio della California Indian Storytellers Association e presidente del Chumash Elders Women’s Council della Wishtoyo Foundation. Ha insegnato all’American Indian Studies Program presso la California State University, Long Beach per oltre ventotto anni e da poco è andata in pensione. È una scrittrice apparsa in numerose pubblicazioni nazionali e internazionali; la sua poesia, “I Saw My Father Today”, è stata fusa in bronzo e collocata sulla piattaforma Muni nell’Embarcadero di San Francisco. È una narratrice e co-fondatrice di Living Indigenous Voices (Liv). È stata Keynote Speaker e presentatrice di seminari per numerose conferenze negli Stati Uniti. I suoi ultimi seminari si sono concentrati sulla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Continua a essere una convinta sostenitrice della conservazione delle lingue indigene, dei luoghi sacri, delle pratiche cerimoniali e delle arti tradizionali.
CHUMASH MAN“Shoo-mash”, dice
e quando lo dice
penso alle antiche cacce, ai leoni marini
e alla nebbia salina spazzata dal vento
sul mio viso
Gli dicono che la
sua gente è morta
“Terminata”È ufficiale
Chumash timbro istituzionale in ceralacca
degli Stati Uniti: Terminato
un popolo morto,
dicono che sia
un caso per antropologiAh, ma questo vecchio
questo vecchio il cui volto è
antiche preghiere che vengono a riposare
questo vecchio sa chi è
“Shoo-mash”, dice
e da qualche parte i leoni marini si radunano ancora
lungo la costa della California
e la nebbia salina si alza
nebbia arcobaleno
sopra il costante frangersi
delle onde.
Georgiana Valoyce Sanchez
Kurt Schweigman, alias Luke Warm Water, è un poeta e attivista Oglala Lakota cresciuto a Rapid City, nel South Dakota. La sua poetica è stata considerata una fusione tra Sherman Alexie, Charles Bukowski e Tom Waits. È stato il primo spoken-word poet cioè poeta della parola orale a ricevere il premio Archibald Bush Foundation ed è stato un artista di spicco al prestigioso Geraldine R. Dodge, durante la Dodicesima Biennale di Poesia Festival.
QUADERNO AZZURROCielo azzurro
lago delle Colline Nere azzurro acceso
lucenti ruscelli argentati
in gomitoli di affluenti
campi ondeggianti di terra bruna
ricoperti di soffice neve
ghiaccioli orizzontali
una strada Lakota rossa verticale
Accetta questa mia penna offerta
alla tua purezza, nei tuoi inverni
la tua stagione di alberi che si spezzano
fin quando a primavera torneranno
matasse di ruscelli argentati
che conterranno tutto
fin quando la mia figlia neonata
non troverà questo quaderno azzurro
negli anni lontani
dopo la mia morte
nel ripostiglio.
Luke Warm Water in una foto di Marco Cinque
Natasha Kanapé Fontaine è nata nel 1991 a Baie-Comeau ed è originaria di Pessamit, sulla North Shore. Poeta-performer, attrice, artista visiva e attivista per i diritti degli indigeni e dell’ambiente, vive a Montreal ed è membro orgoglioso del popolo Innu. Ispirata dal movimento indigeno pan-canadese Idle No More, viaggia attraverso il Quebec, il Canada e il mondo e il suo messaggio è quello del dialogo, della riconciliazione, della guarigione e dello scambio tra i popoli. Con la poesia, culla l’ambiente e con esso inizia un processo di guarigione. Natasha Kanapé Fontaine combatte contro il razzismo, la discriminazione e la mentalità coloniale attraverso la parola e la poesia. Ha pubblicato quattro raccolte di poesie con Mémoire d’encrier, dal titolo Non entrare nella mia anima con le tue scarpe (2012), Manifeste Assi (2014), Bleuets et apricots (2016) e Nanimissuat / Île Tonnerre (2018). Con Deni Ellis Béchard ha firmato Kuei je vous salue: Conversation sur le racisme (Écosociété, 2016). La maggior parte dei suoi libri sono stati tradotti in inglese.
LA RISERVA
(Non mi glorificherai)Ruberai il verbo pregare
negherai il giorno
dove prenderò la pistola
per iniziare la mia deportazione
punterai il tuo esercito
per corrodere le mie ossa
sepolte sotto la tua tutela
campi da golf e pinete
Vedrai cadere
attraversando ponti
auto ribaltate
saccheggio di fuoco
campi di grano
Ingoierai
i miei melograni rossi
i miei mirtilli rossi
il mio salmone la mia trota
la nostra rabbia fumosa
gusterai la mia gioia
amarezza frutta
dolce succo di rivolta
Io ricorderò
Respingerai i miei corpi, i miei confini
brucerai i tronchi di betulla
Singhiozzerò un ritornello
vecchio territorio litanie
il padre di mio padre
Lapiderete la mia gente
ucciderete uno dei suoi padri
che è venuto a parlare con la nostra rabbia
nessuno ascolterà
il terrore il tacere
al seno di sua madre
Ci alzeremo
sciarpe sui nostri volti
rosso sulle nostre labbra
antichi simboli sulle nostre spalle
Raddrizzeremo le porte del futuro
disfarsi delle riserve
aprirà il mio villaggio al mondo
Ci alzeremo
bruceremo le scuole
i nostri figli sono diventati antenati
i nostri antenati diventano bambini
Preparerò tra le mie cosce
la formula dell’oralità
redenzione
la nostra isola
Impareremo il nome della terra.
Natasha Kanapé Fontaine
Joséphine Bacon è nata nel 1947 nella comunità Innu di Pessamit, è una letterata, regista, traduttrice, paroliere e insegnante. È attraverso l’avventura collettiva di Aimititau! Parliamone insieme! (Inkwell Memoir, 2008) che il mondo scopre il suo talento naturale per la poesia. Legata alla lingua Innu, nel 2009 ha presentato la sua primissima raccolta, un’opera bilingue Innu Aimun-francese, Batons à message / Tshissinuatshitakana (Inkwell memory). Questo lavoro, nel 2010, ha ricevuto il Readers ‘Award dal Marché de la poésie de Montréal per la sua poesia «Dessine-moi l’arbre». La sua seconda raccolta, Un thé dans la toundra / Nipishapui nete mushuat (Mémoire encrier, 2013), è stata finalista per il Governor General’s Award nel 2014. Contribuisce anche a diversi lavori collettivi come Bonjour neighbour (Mémoire d’encrier, 2013), Femmes rapaillées (Mémoire d’encrier, 2016) e Amun (Stanké, 2016). Nel 2016 ha ricevuto un dottorato honoris causa in antropologia dall’Université Laval per la sua partecipazione e contributo al progresso della ricerca sin dagli anni Settanta. Joséphine Bacon desidera, attraverso le sue opere, trasmettere la tradizione degli anziani alle generazioni più giovani della sua comunità.
1
Mi sono fatta bella
perché si noti
il midollo delle mie ossa,
sopravissuta a un racconto
non raccontato.2
lontano un orizzonte
un mare rende livido il cielo
un’aquila lascia cadere una piuma ferita
un fiume agonizza
una canoa mi conduce
verso i racconti degli Anziani
ascolto il silenzio inquieto
Pakassik grida il suo dolore
un muschio verde giallo e rosso
asciuga le sue lacrime
Missinaku si avvelena
inalando l’essenza che liberano
gli uccelli di ferro
il ritmo del cuore
della Terra rallenta
nella mia disperazione
sogno di fugare il rintocco dei miei cari
so che ciò è impossibile
che troverò il possibile.
Joséphine Bacon in una foto Marco Cinque
Samian è un musicista rapper e poeta, cresciuto nella comunità di Pikogan ad Abitibi-Témiscamingue nel Quebec. Suo padre è Québécois e sua madre è Algonquin. Samian è membro orgoglioso della Abitibiwinni First Nation e rivendica il rispetto e il riconoscimento del suo popolo. Ha pubblicato un libro di poesie che riunisce i testi dei suoi primi tre album musicali. Nel 2016 gli è stato conferito il prestigioso premio Artist for Peace, riconosciuto in tutto il Canada.
GENOCIDIOAncora una volta a nome della mia famiglia torno al ritmo
Peccato se non mi ami, li amo troppo
Sempre la stessa lotta, le parole con cui discuto
Contro le loro politiche di merda e i segreti di stato.
I coltelli volano bassi
Al mio posto per morire gli uccelli non si nascondono
Ci sono più persone che chiedono aiuto
Quebec, Canada sotto un regime di apartheid
Nanikotin kitasosonan kin ekiocito8an 8aniikan
Misa8atc nipak8ian tak8an aiam8mie8in kitci nakatciiko8an
Non lo sai? non significa che tu sia ignorante
A scuola ti insegnano che hanno scoperto un continente
La verità a volte è difficile da ascoltare
Ecco perché lo nascondono da oltre 150 anni
Sono stufo delle bugie, stufo dell’ipocrisia
Sono stufo delle macchie di sangue sulla bandiera del mio paese
Sotto la supervisione del governo non viviamo nello stesso mondo
Riserve indiane, povere come il terzo mondo
Parliamo dell’olocausto, del Ruanda, di milioni di morti in Congo
In Nord America, è un genocidio a cascata
I nostri leader vogliono gli Indiani di Stato
Perché hanno paura degli indiani istruiti
Nanikotin kitasosonan kin ekiocito8an 8aniikan
Misa8atc nipak8ian tak8an aiam8mie8in kitci nakatciiko8an
In nome dei bambini venduti e sradicati
In nome delle donne scomparse e assassinate
Le donne si legavano a loro insaputa
Un genocidio ben pianificato, e continua
Children of the British ai sensi della legge
La legge indiana di una terra senza fede
Per loro siamo solo un soggetto
Prigionieri politici in nome di sua maestà
1969 e il loro fottuto white paper
O meglio come lavarsi le mani col sangue degli innocenti
Sognavano un’America bianca
Assassini stampati sulle loro banconote.
Il divieto di parlare le nostre lingue è un genocidio
Uccidere l’indiano dentro l’essere umano è un genocidio
Rubare e vendere bambini è un genocidio
Le donne indigene scomparse e assassinate è un genocidio
La costituzione canadese è un genocidio.
Samian
Nei link a seguire qui proposti una serie di poesie musicate di alcuni degli autori sopra presentati:
John Trudell: Time dreams
youtube.com/watch?v=fRTMe_EPgS…
Joy Harjo: Eagle song
youtube.com/watch?v=y8mEdBmC9J…
Joséphine Bacon e Chloé Sainte-Marie: Je sais que tu sais
youtube.com/watch?v=n4pJmuSLv1…
Samian: Génocide
youtube.com/watch?v=cYSTngC96H…
Natasha Kanapé Fontaine: Nous nous soulèverons
youtube.com/watch?v=T6DhCcQQ3X…
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo La poesia contemporanea dei Nativi Americani. Oltre stereotipi e mielose retoriche proviene da Pagine Esteri.
In Cina e in Asia – Il Politburo si riunisce, assenti Li e Qin
Il Politburo si riunisce, assenti Li e Qin
La Cina è vulnerabile alle minacce informatiche
L'ex vice governatore della banca centrale cinese accusato di corruzione
Il soldato Usa fuggito in Corea del Nord è stato espulso da Pyongyang
L'articolo In Cina e in Asia – Il Politburo si riunisce, assenti Li e Qin proviene da China Files.
Fincantieri inaugura a Muggiano il terzo Pattugliatore polivalente d’altura
Ampliare e ammodernare l’unità navale. Queste le parole d’ordine del gigante della cantieristica italiana Fincantieri, come dimostrato dalle recenti missioni di rilancio dell’arsenale militare marittimo. L’obiettivo, già annunciato al SeaFuture 2023, è creare “un arsenale del futuro” capace di contrastare le più avanzate minacce balistiche e non. Da anni, infatti, il colosso si impegna nella creazione di sistemi tecnologici altamente avanzati che possano supportare l’ulteriore sviluppo della forza marittima italiana e dimostrare l’alto contenuto delle innovazioni tecnologiche dell’industria nazionale.
LA CERIMONIA
Oggi – spiega in un comunicato stampa la società Fincantieri – si è svolta la cerimonia di consegna del Pattugliamento polivalente d’altura (Ppa) “Raimondo Montecuccoli”. Molti presenti alla cerimonia, tra loro, il comandante delle scuole della marina militare, l’ammiraglio di squadra Antonio Natale, il vice direttore degli armamenti navali, Emanuele Coletti, il direttore dell’Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (Occar) Joachim Sucker e il direttore generale della divisione navi militari di Fincantieri, Dario Deste. La consegna di questa terza unità rientra nel piano nazionale di rinnovamento così come previsto dal Programma pluriennale dello Stato maggiore della Difesa per la modernizzazione di navi, unità aeree e terrestri approvato dalla commissione Difesa del Senato e per cui sono stati stanziati circa sei miliardi nel 2022.
LE CARATTERISTICHE
Il Ppa è una tipologia di nave flessibile adatta sia al pattugliamento con capacità di soccorso in mare, sia alle operazioni di protezione civile. Nella sua versione maggiormente equipaggiata può diventare una nave combattente di prima linea con il massimo delle capacità di difesa. Infatti, le Ppa sono destinate a un ampio numero di attività, tra cui la vigilanza marittima, le operazioni antinquinamento marittimo, il controllo del traffico mercantile, la protezione delle linee di comunicazione e il monitoraggio della Zona economica esclusiva (Zee).
Questa unità, di 133 metri di lunghezza, potrà raggiungere una velocità di oltre 31 nodi in funzione della configurazione e dell’assetto operativo, potrà trasportare 171 persone di equipaggio ed è dotata di un impianto combinato diesel e turbina a gas con un sistema di propulsione elettrica. Inoltre, sarà in grado di impiegare imbarcazioni veloci tipo Rigid hull inflatable boat (Rhib) sino a una lunghezza di oltre 11 metri tramite gru laterali.
LA STORIA DI MONTECUCCOLI
Ripreso da Ugo Foscolo come il maggiore e il più dotto tra gli uomini d’arma italiani, Raimondo Montecuccoli fu un generale al servizio dell’Impero austriaco, all’apice della sua carriera raggiunse il grado di Luogotenente Generale dell’Impero. Prese parte a tutte le guerre combattute dagli Asburgo in Europa tra il 1625 ed il 1675 e si distinse per i suoi successi e per i suoi contributi durante la Guerra dei trent’anni. Inoltre, svolse una serie di importanti incarichi diplomatici sia in Italia sia in Europa.
(Fincantieri)
PRIVACYDAILY
FPF Weighs In on the Responsible Use and Adoption of Artificial Intelligence Technologies in New York City Classrooms
Last week, Future of Privacy Forum provided testimony at a joint public oversight hearing before the New York City Council Committees on Technology and Education on “The Role of Artificial Intelligence, Emerging Technology, and Computer Instruction in New York City Public Schools.”
Specifically, FPF urged the Council to consider the following recommendations for the responsible adoption of artificial intelligence technologies in the classroom:
- Establish a common set of principles and definitions for AI, tailored specifically to educational use cases;
- Identify AI uses that pose major risks – especially tools that make decisions about students and teachers;
- Create rules that combat harmful uses of AI while preserving beneficial use;
- Build more transparency within the procurement process with regard to how vendors use AI; and
- Take a student-driven approach that enhances the ultimate goal of serving students and improving their educational experience.
During this back to school season, we are observing school districts across the country wrestle with questions about how to manage the proliferation of artificial intelligence technologies in tools and products used in K-12 classrooms. In the 2022-2023 school year, districts used an average of 2,591 different edtech tools. While there is no standard convention for indicating that a product or service uses AI, we know that the technology is embedded in many different types of edtech products and has been for a while now. We encourage districts to be transparent with their school community regarding how AI is utilized within the products it is using.
But first, it is critical to ensure uniformity in how AI is defined so that it is clear what technology is covered and to avoid creating overly broad rules that may have unintended consequences. A February 2023 audit by the New York City Office of Technology and Innovation on “Artificial Intelligence Governance” found that the New York City Department of Education has not established a governance framework for the use of AI, which creates risk in this space. FPF recommends starting with a common set of principles and definitions, tailored specifically to educational use cases.
While generative AI tools such as ChatGPT have gained public attention recently, there are many other tools already used in schools that fall under the umbrella of AI. Uses may be as commonplace as autocompleting a sentence in an email or speech-to-text tools to provide accommodations to special education students, or more complicated algorithms used to identify students at higher risk of dropping out. Effective policies governing the use of AI in schools should follow a targeted and risk-based approach to solve a particular problem or issue.
We can look to the moratorium on adopting biometric identification technology in New York schools following the 2020 passage of State Assembly Bill A6787D as an example of how an overly broad law can have unintended consequences. Although it appeared that lawmakers were seeking to address legitimate concerns stemming from facial recognition software used for school security, a form of algorithmic decision making, the moratorium had broader implications. Arguably, it could be viewed to ban the use or purchase of many of the computing devices used by schools. This summer, the NY Office of Information Technology Services released its report on the Use of Biometric Identifying Technology in School, following which it is likely that the Commission will reverse or significantly modify the moratorium on biometric identification technology in schools. This will present an opportunity for the city to consider what additional steps should be taken if it resumes use of biometric technology and will also likely open a floodgate for new procurement.
Accordingly, this is an important moment for pausing to think through the specific use cases of AI and technology in the classroom more broadly, identify the highest risks to students, and prioritize developing policies that address those higher risks. When vetting products, we urge schools to consider whether that product will actually enhance the ultimate goal of serving students and improving their educational experience and whether the technology is indeed necessary to facilitate that experience.
We urge careful consideration about the privacy and equity concerns associated with adopting AI technologies as AI systems may have a discriminatory impact on historically marginalized or otherwise vulnerable communities. We have already seen an example of how this can manifest in classrooms. Commonly deployed in schools, self-harm monitoring technology works by employing algorithms that rely on scanning and detecting key words or phrases across different student platforms. FPF research found that “using self-harm monitoring systems without strong guardrails and privacy-protective policies is likely to disproportionately harm already vulnerable student groups.” It can lead to students being needlessly put in contact with law enforcement and social services or facing school disciplinary consequences as a result of being flagged. We recommend engaging the school community in conversation prior to adopting this type of technology.
It is also critical to note that using any new classroom technology typically comes with increased collection, storage, and sharing of student data. There are already requirements under laws like FERPA and New York Ed Law 2-D. Districts should have a process in place to vet any new technology brought into classrooms and we urge an emphasis on proper storage and security of data used in AI systems to protect against breaches and privacy harms for students. School districts are already vulnerable as targets for cyber attacks, and it is important to minimize risk.
Finally, we flag that there are disparities in the accuracy of decisions made by AI systems and caution that there are risks when low accuracy systems are treated as gospel, especially within the context of high impact decision making in schools. Decisions made based on AI have the potential to shape a student’s education in really tangible ways.
We encourage you to consider these recommendations and thank you for allowing us to participate in this important discussion.
Canada: ovazioni a un veterano nazista, si dimette il presidente della Camera
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di redazione
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Il presidente della Camera dei Comuni del Canada, Anthony Rota, ha annunciato ieri le sue dimissioni dopo lo scandalo causato dall’omaggio reso a Yaroslav Hunka, 98 anni, un veterano ucrainoresidente nel paese che combatté con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, durante la recente visita del presidente Volodymyr Zelensky nel Paese.
Nel corso della visita del presidente ucraino al parlamento canadese, Rota aveva definito Hunka «un veterano di guerra ucraino-canadese della Seconda guerra mondiale che ha combattuto per l’indipendenza ucraina contro i russi» e «un eroe ucraino e canadese». Tutti i deputati e le altre autorità presenti si erano alzati in piedi e avevano rivolto a Hunka, presente in aula, un lungo e sentito applauso.
Ma poi il Centro Amici di Simon Wiesenthal e altre associazioni ebraiche canadesi hanno denunciato che «Hunka ha servito nella 14a Divisione Waffen Grenadier delle SS, un’unità militare nazista – anche nota come “Divisione Galizia”, composta da decine di migliaia di volontari ucraini e operativa tra il 1943 e il 1945 – i cui crimini contro l’umanità durante l’Olocausto sono ben documentati». «Le scuse sono dovute a tutti i sopravvissuti all’Olocausto e ai veterani della Seconda guerra mondiale che hanno combattuto i nazisti, e deve essere fornita una spiegazione su come questo individuo sia entrato nelle aule sacre del Parlamento canadese e abbia ricevuto un riconoscimento dal Presidente della Camera e una standing ovation» aveva scritto l’associazione.
Nel 1945 gli 8 mila superstiti della “Divisione Galizia” delle SS si arresero alle truppe britanniche e vennero trasferiti in Italia, per poi essere liberati e trasferiti prima in Francia e Spagna e poi in Inghilterra. Da qui, molti presero la via del Canada dove si rifecero una vita senza subire alcuna punizione per il loro servizio nelle armate di Adolf Hitler. All’inizio del decennio scorso Hunka ha scritto, in alcune pubblicazione delle associazioni di veterani nazisti ucraini in Canada, che il periodo in cui ha prestato servizio nella Divisione Waffen Granadier delle SS «è stato il più felice della sua vita».
Il leader del partito liberale canadese Rota si è scusato, affermando di essere «venuto successivamente a conoscenza di ulteriori informazioni» che gli hanno fatto “rimpiangere” il riconoscimento di Hunka. Da parte sua, il Primo Ministro Justin Trudeau ha negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, ribadendo la propria indipendenza da quella del Presidente della Camera e affermando in una dichiarazione pubblicata su X che né lui né la delegazione ucraina erano stati avvisati dell’invito e della celebrazione di Hunka. Ma «l’ufficio protocollo personale di Trudeau è responsabile dell’organizzazione e del controllo di tutti gli ospiti e della programmazione di questo tipo di visite di Stato» ha scritto il leader del partito conservatore (di opposizione) Pierre Poilievre su X, invitando il primo ministro a «scusarsi personalmente».
Il ministro dell’Istruzione polacco – Hunka è nato in una località della Galizia che apparteneva allora alla Polonia – Przemysław Czarnek ha detto che si sta muovendo per chiedere l’estradizione dell’ex volontario nazista. – Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Canada: ovazioni a un veterano nazista, si dimette il presidente della Camera proviene da Pagine Esteri.
Resilienza, ecco la chiave per proteggere le infrastrutture critiche
Dopo i due grandi stress test, rappresentati prima dalla pandemia Covid e poi dalla guerra in Ucraina, ora l’Italia – come gli altri Paesi – è chiamata a verificare, su input dell’Unione europea e della Nato, la prontezza di risposta ai rischi delle proprie infrastrutture. Definendo i prossimi passi di una roadmap che vedrà alla cabina di regia la stessa presidenza del Consiglio per coordinare al meglio gli sforzi provenienti sia dal comparto industriale sia dal mondo accademico. Di questo si è parlato nel corso della conferenza “Resilienza e infrastrutture critiche. L’Europa, l’Italia e l’interesse nazionale” organizzata da Formiche presso la presidenza del Consiglio (riguarda qui il video dell’evento e qui le foto). Sono intervenuti nel corso dell’iniziativa il direttore generale dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), prefetto Bruno Frattasi; il consigliere militare del presidente del Consiglio, generale, Franco Federici; il capo dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, prefetto Laura Lega; il condirettore generale di Leonardo, Lorenzo Mariani; l’amministratore delegato di Sparkle, Enrico Bagnasco e il direttore scientifico del master universitario di II livello in “Homeland security” del Campus bio medico, professor Roberto Setola, moderati dalla direttrice della rivista Formiche Flavia Giacobbe.
La dimensione cyber
Il tema della cyber-sicurezza è considerato un “bene pubblico da garantire ai cittadini che deve essere assicurato attraverso una serie di misure” e il Pnrr dedica a questo un capitolo intero. A ricordarlo è stato il prefetto Frattasi, che ha sottolineato come la ripresa dell’Italia passi dallo sviluppo di politiche volte a proteggere e prevenire gli attacchi cibernetici alle infrastrutture critiche nazionali. Nel 2022 è stata approvata infatti la Strategia nazionale di cyber-sicurezza, che prevede 82 misure a tutela delle reti da implementare entro il 2026, finanziate con 623 milioni di euro grazie al Pnrr. Altro obiettivo fondamentale per l’Italia, ha aggiunto Frattasi, è quello dell’autonomia strategica in campo cyber dai Paesi extraeuropei, da raggiungere in concomitanza con gli altri Stati in un contesto di cooperazione internazionale.
Cooperazione europea
Le implicazioni transfrontaliere e l’interdipendenza sviluppata tra Paesi europei nel campo della protezione delle infrastrutture critiche sono state affrontate anche dal generale Federici, che ha evidenziato come sia oggi necessaria una sempre maggiore collaborazione all’interno del Vecchio continente. L’Italia, infatti, è impegnata nel recepimento della direttiva europea per la resilienza dei soggetti critici, misura approvata nel 2022, che va in parallelo con la legislazione europea sulla sicurezza informatica. In questo quadro, il generale ha sottolineato come “il nostro Paese – seguendo una recente Raccomandazione europea – è impegnato nella esecuzione di stress test volti a verificare la resilienza di otto grandi imprese dell’energia in ambito nazionale, le quali hanno risposto in modo molto positivo”. L’obiettivo è di inviare, in forma aggregata, i risultati dei dati raccolti sul grado di resilienza del settore energia all’Unione europea.
Il quadro alleato
Anche il lavoro svolto nell’ambito della difesa civile dipende dalla resilienza delle infrastrutture critiche e dalla difesa della loro stabilità. Così Laura Lega ha raccontato gli sforzi fatti dall’Italia per garantire una gestione delle emergenze forte e capace. Il prefetto, che di recente è stato nominato Senior national official per l’Italia presso il Resilience committee della Nato, ha sottolineato inoltre come, durante l’ultimo vertice dell’Alleanza di luglio, sia stata sottolineata la necessità di rafforzare il grado di resilienza di tutti i Paesi alleati. Come sottolineato dal Prefetto, per raggiungere tale obiettivo è necessario “continuare a lavorare in un’ottica di cooperazione internazionale e transnazionale, promuovendo grandi investimenti e potenziando i livelli di monitoraggio e sorveglianza delle minacce possibili”.
Uno sguardo multidominio
“Il tema fondamentale è quello della resilienza”, ha spiegato Mariani, sottolineando di conseguenza l’importanza di sviluppare piani nazionali. Mariani ha anche ricordato come la guerra in Ucraina abbia “fatto vedere cos’è un ambiente Gps denied”, precisando che questo riguarda “tutta la parte di electronic warfare”, non soltanto il dominio cyber. Il manager ha anche evidenziato le complicazioni derivanti dalla frammentazione della governance europea e le difficoltà per l’industria di allinearsi rapidamente ai cambiamenti politici, affermando che la risposta alle crescenti sfide è “mettere a fattor comune tanti punti di forza” favorendo una integrazione multidominio. Per Mariani, infatti, oggi “l’underwater e lo spazio sono profondamente interconnessi tra loro”, e per proteggere questi asset è necessaria una visione olistica a 360 gradi.
La dimensione underwater
“Il 99% del traffico dati internazionale nel mondo è trasportato da cavi sottomarini”, ha ricordato Bagnasco, e “ogni due anni il volume di dati raddoppia”. Questi rappresentano quindi infrastrutture critiche fondamentali per le telecomunicazioni globali, soggette esse stesse a circa tre guasti a settimana su scala mondiale, ma la loro generale resilienza permette di assorbire gli incidenti senza impatti significativi o interruzioni ai servizi. Queste sfide hanno portato i grandi operatori a chiedere “capacità in più e differenziazione di percorso”, ha approfondito Bagnasco. A questo proposito, Sparkle mira a sfruttare la posizione geografico-strategica dell’Italia per creare un cavo sottomarino che colleghi l’Europa – il centro globale di Internet – con la parte più popolosa del mondo, l’Asia, creando così un percorso alternativo a quelli già esistenti.
Dialogo pubblico-privato
Secondo il professor Setola, il fenomeno della deregulation ha reso chiaro “come la gestione delle infrastrutture critiche in mano ai privati poteva avere anche delle implicazioni dal punto di vista della sicurezza nazionale”. Coltivare il rapporto tra enti pubblici e privati diventa, quindi, estremamente rilevante. Ad esempio, mentre alcuni Paesi hanno provveduto alla creazione di organizzazioni che gestiscono le infrastrutture critiche, altri hanno preferito creare dei canali privilegiati per favorire il dialogo pubblico-privati. Oggi, l’interdipendenza delle strutture critiche “crea uno scenario estremamente complesso e la possibilità di eventi sistemici”, ha continuato Setola, sono necessari nuovi modelli di cooperazione che superino i confini nazionali e che garantiscano il rispetto delle responsabilità e dei compiti reciproci. Tale impegno è dimostrato da diversi esempi virtuosi di sia all’interno delle istituzioni europee sia in Italia.
(Foto: Imagoeconomica)
Omicidio Regeni. La Consulta decide che si possono processare i sospetti assassini
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 27 settembre 2023. La Consulta ha emesso la sentenza, che verrà depositata nelle prossime settimane e che decreta l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, che non avrebbe consentito il processo in contumacia per i quattro 007 egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso nel 2016 il ricercatore italiano Giulio Regeni. Di seguito il comunicato trasmesso il 27 settembre dall’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Costituzionale:
La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio, ha esaminato la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in relazione alla celebrazione del processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni.
In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York contro la tortura, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.
La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
Roma, 27 settembre 2023
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Omicidio Regeni. La Consulta decide che si possono processare i sospetti assassini proviene da Pagine Esteri.
GRECIA. L’imprenditore “americano” Kasselakis è il nuovo leader di Syriza
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Redazione
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – «Oggi nasce il nuovo partito democratico che cambierà la Grecia». Questa è la promessa contenuta nel discorso tenuto dall’imprenditore greco Stefanos Kasselakis dopo la vittoria alle primarie del principale partito della sinistra ellenica.
Kasselakis ha vinto con il 56,6% la sfida contro l’ex ministra del Lavoro Effie Achtsioglou, data inizialmente per favorita, al ballottaggio tenutosi domenica scorsa, che ha visto la partecipazione di 133.261 iscritti al partito.
Il congresso, con relative votazioni per l’elezione del nuovo leader del partito, si è reso necessario dopo le dimissioni del leader storico Alexis Tsipras dopo la disfatta di Syriza alle legislative del 25 giugno, tenutesi dopo quelle del 21 maggio che avevano già visto la netta vittoria del partito di destra Nuova Democrazia ma senza il raggiungimento della maggioranza assoluta.
Il “secondo turno” ha visto la vittoria del premier uscente Mitsotakis con il 40,56% dei consensi, mentre l’opposizione di sinistra guidata da Tsipras è crollata al 17,83%.
Ora una parte della base e della militanza è sconcertata dalla vittoria di un outsider che poco sembra avere in comune con l’identità politica del partito di sinistra. Lui stesso ha spiegato sui social:
«Dal 2012 avevo sviluppato un ottimo rapporto con Kyriakos Mitsotakis quando era deputato, poi ministro del governo e infine capo del partito Nuova Democrazia. Ho scritto un endorsement per lui sul National Herald mentre era in lizza per la leadership del partito. Avevo – e ho tuttora – molto rispetto per la sua persona».
L’interesse per Syriza si è sviluppato, per sua stessa ammissione, solo a partire dal 2022. Finora Kasselakis, 35 anni, non ha mai avuto incarichi politici all’interno della formazione e fino a un mese fa era un perfetto sconosciuto. Si era infatti candidato nelle liste di Syriza alle ultime elezioni ma non era stato eletto.
Nato ad Atene ed appartenente ad una famiglia di ricchi armatori, Stefanos Kasselakis si era trasferito a 14 anni negli Stati Uniti per poi laurearsi in Economia presso l’Università della Pennsylvania. In seguito ha lavorato per 5 anni come trader per la banca d’affari Goldman Sachs, e poi ha acquisito un’impresa marittima, la SwiftBunk, che gestiva 3 navi cargo e due petroliere. Nel 2008 ha lavorato come volontario sostenendo la candidatura di Joe Biden alle primarie del Partito Democratico degli Stati Uniti.
Poi la decisione di vendere l’azienda e di tornare in Grecia, per annunciare il 28 agosto la sua candidatura alla leadership del partito scosso dalla cocente sconfitta elettorale e da uno spostamento al centro della vecchia segreteria che l’imprenditore promette di rafforzare.
Una parte del partito accusa il nuovo leader di essere stato sostenuto dalla destra, che spera ora di liquidare il maggior partito di opposizione, e dal sistema mediatico che ha dato a Kasselakis una forte spinta all’interno dell’opinione pubblica progressista, influendo sull’orientamento di molti iscritti che hanno votato al ballottaggio ma non al turno precedente. Molti degli iscritti infatti hanno aderito a Syriza a ridosso del congresso proprio per poter indicare Kasselakis.
L’imprenditore ha basato la sua campagna su una proposta “liberal” fondata su un programma di modernizzazione e di razionalizzazione della società greca che però soffre sempre più le bordate liberiste ed autoritarie della destra al potere. In un intervento pubblicato sul quotidiano Ekathimerini, Kasselakis ha spiegato che «se l’intenzione è quella di tornare a governare è necessaria una profonda autocritica all’interno del partito. Syriza dovrebbe copiare al più presto la formula statunitense. Abbracciare inequivocabilmente anche il centro politico, chiarire che una gestione fiscale prudente non è negoziabile e mettere in mostra il talento manageriale del suo futuro gabinetto».
Tra i suoi impegni, c’è quello di abolire il servizio militare obbligatorio, aumentare la spesa pubblica per l’istruzione e affermare la separazione tra Stato e Chiesa. Oltretutto alle ultime elezioni nel nuovo parlamento sono entrate ben 3 formazioni di destra radicale ed estrema destra.
Alcuni esponenti della residua minoranza di sinistra di Syriza accostano la figura e la scalata di Kasselakis a quella di Matteo Renzi e promettono battaglia. Ma la sua vittoria al ballottaggio è dovuta anche all’appoggio ricevuto da uno dei candidati esclusi dalla corsa dopo il primo turno, l’ex ministro Nikos Pappas, uno dei più stretti collaboratori di Tsipras. Lo stesso Tsipras ha rifiutato gli inviti, provenienti da militanti e dirigenti, a invitare gli iscritti a far convergere i voti su Effie Achtsioglou. – Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo GRECIA. L’imprenditore “americano” Kasselakis è il nuovo leader di Syriza proviene da Pagine Esteri.
La lobby di chatcontrol: “Confermate le peggiori paure”. Un'intera rete di lobby si batte a Bruxelles per far approvare il regolamento che renderà obbligatoria la scansione di tutti i messaggi
L'indagine "conferma le nostre peggiori paure", ha affermato Diego Naranjo, capo della politica dell'organizzazione per i diritti civili European Digital Rights ( @EDRi ). "La legge europea sulla tecnologia più criticata negli ultimi dieci anni è il prodotto del lobbying delle imprese private e delle forze dell'ordine." Il commissario capo degli Interni Ylva Johansson ha ignorato “la scienza e la società civile” e ha proposto una legge per “legalizzare la sorveglianza di massa e infrangere la crittografia”.
"Qui si abusa della protezione dei bambini per aprire la porta a un'infrastruttura di sorveglianza di massa senza motivo", lamenta @Konstantin Macher dell'associazione per la protezione dei dati @Digitalcourage .
Allo stesso tempo, si parla già di espandere la misura invasiva per l’applicazione della legge comune da parte di Europol. Macher sottolinea: "Ciò significa che la credibilità residua della prevista legge sulla sorveglianza è andata perduta. Il controllo della chat deve essere immediatamente interrotto". Il deputato europeo Patrick Breyer (Partito Pirata) è rimasto scioccato: poiché era il negoziatore del Partito dei Verdi, molte delle presunte organizzazioni di protezione dell'infanzia o associazioni di vittime menzionate si erano rivolte a lui. Finora si è aspettato che i metodi descritti di “legislazione dirottata” si applicassero solo ai gruppi imprenditoriali.@Patrick Breyer ha affermato di non avere idea che la campagna di controllo delle chat fosse orchestrata e finanziata da "una rete di organizzazioni legate all'industria tecnologica e ai servizi di sicurezza". Questi partecipanti ricevono “milioni in denaro da una fondazione gestita dagli Stati Uniti”, che paga anche agenzie di consulenza per creare strategie di lobbying. Per creare un precedente, gli attori statunitensi in Europa avrebbero voluto imporre "uno screening privo di sospetti dei nostri messaggi privati", cosa che non è la legge negli stessi Stati Uniti. Meredith Whittaker, responsabile del servizio di messaggistica Signal, si è lamentata, che dietro “l’attacco globale alla privacy digitale” c’erano pubblici ministeri e società di intelligenza artificiale. Questi ultimi affermano di essere rappresentanti della società civile, anche se hanno "un interesse commerciale nella vendita di tecnologie di scansione di massa fraudolente".
like this
reshared this
In Cina e Asia – Sempre più cinesi rimandano i propri viaggi all’estero
La rassegna stampa di oggi, da Cina e Asia. Sempre più cinesi rimandano i propri viaggi all'estero.
L'articolo In Cina e Asia – Sempre più cinesi rimandano i propri viaggi all’estero proviene da China Files.
VIDEO. Più di 100 morti e 150 feriti in un incendio in Iraq
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Oltre 100 persone sono rimaste uccise e 150 ferite in un incendio divampato durante un matrimonio nel distretto di Hamdaniya, nella provincia settentrionale irachena di Ninive. In queste ore i soccorritori continuano a cercare possibili sopravvissuti nello scheletro carbonizzato dell’edificio.
Il vicegovernatore di Ninive Hassan al-Allaq ha detto che al momento 113 persone sono state confermate morte, con i media statali che riferiscono anche di 150 feriti.
Testimoni hanno detto che l’edificio ha preso fuoco intorno ieri intorno alle 22:45 ora locale e che centinaia di persone erano presenti al momento dell’incidente. L’incendio ha devastato una grande sala dopo che erano stati accesi i fuochi d’artificio al suo interno.
Il ministero dell’Interno iracheno ho emesso quattro mandati di arresto per i proprietari della sala. I rilievi preliminari indicano che l’edificio era stato realizzato con materiali da costruzione altamente infiammabili, cosa che ha contribuito al suo rapido crollo.
Il governo ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.
GUARDA IL VIDEO
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo VIDEO. Più di 100 morti e 150 feriti in un incendio in Iraq proviene da Pagine Esteri.
filobus reshared this.
Sinosfere – Il Dharma della Diaspora. Connessioni buddhiste attraverso il Mar Cinese Meridionale
Il saggio di Jack Meng-Tat Chia (Singapore National University) intitolato “Il Dharma della Diaspora: connessioni buddhiste attraverso il Mar Cinese Meridionale”, esamina l’evoluzione della rete di rapporti buddhisti tra la Cina sud-orientale e il sud-est asiatico nella prima metà del ventesimo secolo, focalizzandosi sul monastero di Nanputuo 南普陀. Chia mette in luce il ruolo chiave dei cinesi d’oltremare nel sostenere finanziariamente il buddhismo in Cina, illustrando al contempo la conseguente diffusione in Malesia e a Singapore di pratiche tipiche del buddhismo modernista, come la fondazione di organizzazioni laiche, la promozione di opere di beneficenza e filantropiche, l’impegno sociale dei monaci e lo sviluppo di attività nazionalistiche, aspetti che caratterizzano ancora oggi il buddhismo cinese dell’area.
L'articolo Sinosfere – Il Dharma della Diaspora. Connessioni buddhiste attraverso il Mar Cinese Meridionale proviene da China Files.
Il Niger espelle le truppe francesi e si allea con Mali e Burkina Faso
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Dopo mesi di braccio di ferro seguiti al golpe militare del 26 luglio scorso, Emmanuel Macron ha ammesso che la «Françafrique è morta» annunciato il celere rimpatrio dell’ambasciatore di Parigi in Niger, Sylvain Itté, e il ritiro delle truppe francesi dal paese entro la fine del 2023.
La mossa arriva dopo che per diverse settimane l’Eliseo aveva rifiutato di richiamare il suo rappresentante diplomatico a Niamey nonostante l’esplicita richiesta da parte dei golpisti e il boicottaggio dell’ambasciata, presa di mira dai manifestanti e oggetto del distacco delle utenze da parte delle nuove autorità del paese. Da quasi un mese la sede diplomatica francese è circondata dalle forze di sicurezza nigerine e l’ambasciatore, al quale Niamey ha ritirato l’immunità, non è in grado di muoversi liberamente.
«Mettiamo fine alla nostra cooperazione militare con le autorità de facto del Niger, perché non vogliono più lottare contro il terrorismo» ha spiegato Macron annunciando il ritiro dei 1.500 soldati francesi dispiegati finora nel paese.
La «Françafrique è morta»
Finora il Niger ha rappresentato il perno della presenza militare francese nel Sahel, dopo la partenza forzata delle truppe di Parigi dal Mali nell’agosto del 2022 a seguito di un colpo di stato, che ha posto fine all’operazione Barkhane (a sua volta succeduta all’operazione Serval lanciata nel 2013). All’inizio di quest’anno, poi, anche la Saber Force – forze speciali francesi operative a Ouagadougou da 15 anni – ha dovuto abbandonare il Burkina Faso dopo la presa del potere da parte di una giunta militare ostile alla Francia.
Dopo dieci anni di operazioni militari nel Sahel, giustificate dall’esigenza di contrastare l’insorgenza jihadista, nel Sahel Parigi manterrà una presenza militare soltanto in Ciad, dove si trovano circa 1.000 soldati (qui il figlio di Idriss Déby ha preso il potere al posto del padre violando la Costituzione col consenso di Parigi…). Nel resto dell’Africa Parigi manterrà anche 900 militari in Costa d’Avorio, 1400 a Gibuti, 350 in Senegal e 400 in Gabon, ma il ritiro dal Niger conferma il rapido e conclamato declino dell’influenza francese in un’area del continente dove si stanno affermando delle potenze concorrenti. Dopo il golpe, in particolare il Mali ha avviato una collaborazione militare con Mosca e ha accolto un contingente della Wagner, presente anche nella Repubblica Centrafricana e in Cirenaica (Libia).
Ovviamente l’annuncio di Macron è stato accolto con entusiasmo dai golpisti di Niamey: «celebriamo il nuovo passo verso la sovranità del Niger. È un momento storico che testimonia la determinazione e la volontà del popolo nigerino» ha affermato la giunta militare in un comunicato. Per il cosiddetto “Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria” «tutte le persone, le istituzioni o le strutture che costituiscono una minaccia per gli interessi e i progetti del Paese devono abbandonare» il Niger, «le forze imperialiste e neocolonialiste non sono più le benvenute».
Il ritiro dell’ambasciatore e del contingente militare francese da Niamey rappresentano una cocente sconfitta per Macron, che finora aveva tenuto il punto affermando di non riconoscere la legittimità delle autorità nigerine salite al potere con il golpe di fine luglio, insistendo sul fatto che il deposto presidente Mohamed Bazoum fosse il suo unico interlocutore.
Il contingente francese è dispiegato in tre basi: la principale è quella di Niamey – dove sono presenti anche 250 militari italiani – e altre truppe di Parigi sono presenti a Ouallam (a nord della capitale) e ad Ayorou,vicino alla frontiera con il Mali. Nelle basi sono dispiegati anche numerosi aerei da combattimento Mirage ed elicotteri d’attacco Tiger, oltre a decine di veicoli corazzati e di droni da bombardamento MQ-9 Reaper.
Le giunte golpiste contro l’Ecowas
All’inizio di agosto il governo di transizione nigerino, guidato dal generale Abdourahamane Tchiani, aveva denunciato gli accordi di cooperazione militare con Parigi definendo “illegale” la presenza in Niger dei circa 1.500 soldati francesi. Da allora fuori dalla principale base francese a Niamey si sono svolte partecipate manifestazioni a sostegno della richiesta di ritiro delle truppe di Parigi che in un primo tempo aveva ridotto il contingente aumentando però il numero delle sue truppe in altri paesi africani come Senegal, Costa d’Avorio e Benin.
Una mossa denunciata dal nuovo regime del Niger, secondo il quale Parigi si preparava ad un intervento militare contro Niamey, d’altronde paventato nei giorni immediatamente successivi al golpe ma poi sfumato a favore di una operazione militare per “ristabilire l’ordine costituzionale” da affidare ai paesi riuniti nell’ECOWAS, la Comunità Economica dell’Africa Occidentale. Ma poi anche questa seconda opzione è sfumata, dopo che Washington si è tirata indietro valutando positivamente l’indebolimento del ruolo francese nel continente. Dopo le rassicurazioni ricevute dai golpisti – in particolare dall’ex capo delle Forze Speciali, generale Moussa Salaou Barmou, ora esponente del nuovo regime, formatosi negli Stati Uniti e incaricato delle relazioni con la vice segretaria di Stato Victoria Nuland – Washington ha infatti deciso di mantenere per ora nel paese i suoi 1100 militari, la maggior parte dei quali sono stati però spostati da Niamey ad Agadez.
La giunta militare del Niger ha poi deciso nei giorni scorsi di disdire l’accordo di cooperazione militare esistente con il Benin, accusato da Niamey di aver concesso la propria disponibilità a partecipare ad un intervento armato contro i golpisti per conto di Parigi. Nel frattempo la Nigeria ha tagliato a Niamey le forniture elettriche mentre altri paesi hanno deciso di imporre sanzioni economiche e commerciali.
Niger, Mali e Burkina siglano un’alleanza militare
Per tentare di far fronte alla situazione, le giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso hanno quindi siglato un accordo di mutua difesa per «preservare la sovranità dei tre paesi» e per contrastare l’insorgenza jihadista.
I leader militari dei tre paesi – il colonnello Assimi Goita per Bamako, il generale Omar Tchiani per Niamey e il capitano Ibrahim Traoré per Ouagadougou – hanno firmato un documento articolato in 17 punti secondo il quale «qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti».
Al documento è stato dato il nome di Carta del Liptako-Gourma, la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi firmatari, nota anche come “zona delle tre frontiere”, al centro negli ultimi anni della violenza dei gruppi fondamentalisti islamici. La cosiddetta “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale.
Oltre a impegnare i tre paesi a non attaccarsi a vicenda e a contrastare eventuali ribellioni armate contro i rispettivi governi, il documento prevede anche l’eventuale adesione di altri paesi dell’area. L’obiettivo dell’Alleanza, ha spiegato il “presidente di transizione” maliano Goita, è «istituire una architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni». Il tentativo è quello di unire le forze per far fronte all’espansione delle milizie legate ad al Qaeda o a Daesh una volta espulse le truppe francesi e di altri paesi occidentali.
La firma dell’Alleanza dei Paesi del Sahel
Sforzi comuni contro le ribellioni e i jihadisti
Proprio in questi giorni gli eserciti del Burkina Faso e del Niger stanno compiendo delle operazioni congiunte contro i gruppi jihadisti nell’est del Burkina Faso. L’operazione, in cui sarebbero morti decine di fondamentalisti, è avvenuta una settimana dopo che il parlamento di Ouagadougou ha approvato lo spiegamento di un certo numero di truppe in Niger per combattere la rivolta jihadista lungo il confine tra i due paesi. Nei giorni precedenti l’aviazione del Niger ha realizzato dei raid aerei sulla città di Tamalat, situata nel Mali sud-orientale, contro alcuni miliziani dello Stato Islamico del Grande Sahara (Eigs), organizzazione radicata nell’area di confine.
Effettivamente il paese della nuova alleanza che per ora sembra essere messo peggio è sicuramente il Mali, dove negli ultimi mesi è riesplosa anche la ribellione dei combattenti Tuareg riuniti nella Coalizione dei Movimenti dell’Azawad (Cma). I Tuareg, che nel 2012 avevano proclamato l’indipendenza del nord del paese, accusano ora la giunta golpista di aver violato l’accordo di pace siglato nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako e di aver attaccato i territori dove sono insediati i ribelli.
Dal Mali si stanno ritirando in queste settimane, su richiesta della giunta militare al potere, le forze della Missione di Mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusma), che comprendono anche 900 militari tedeschi, il che rende ancora più gravoso il compito delle forze armate locali. Negli ultimi mesi, infatti, le milizie jihadiste hanno riconquistato in Mali territori consistenti in particolare nel nord: da agosto la città di Timbuktù è assediata dalle milizie del Gruppo di Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (JNIM), e i suoi abitanti non possono né abbandonare l’area né ricevere rifornimenti.
Per cercare di frenare questa avanzata, la giunta del Mali sta rafforzando le relazioni con Mosca. Dopo aver ricevuto dalla Russia numerosi caccia, aerei per trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, ad agosto i leader di Bamako hanno avuto ben due colloqui con Vladimir Putin. Dopodiché la giunta golpista del Mali ha annunciato il rinvio – per “motivi tecnici” – delle elezioni presidenziali previste per febbraio, che avrebbero dovuto segnare la consegna del potere ai civili. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Il Niger espelle le truppe francesi e si allea con Mali e Burkina Faso proviene da Pagine Esteri.
L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 22 settembre 2023 – L’ennesimo assalto militare azero alla Repubblica di Artsakh è durato solo poche ore, tra il 19 e il 20 settembre, ma è bastato per costringere gli armeni alla resa.
Isolati e indeboliti da dieci mesi di assedio, durante i quali i nazionalisti azeri travestiti da “ecologisti” hanno bloccato il corridoio di Lachin (l’unico accesso dalla madrepatria all’enclave armena) impedendo il passaggio di cibo e medicinali, gli armeni del Nagorno-Karabakh non sono riusciti a tenere testa alle truppe di Baku armate da Turchiae Israele.
Pur di evitare un bagno di sangue, le autorità di Stepanakert – la capitale della piccola repubblica autoproclamata dagli armeni all’inizio degli anni ’90 all’interno del territorio dello stato azerbaigiano – hanno dovuto capitolare.
Ieri mattina, mentre le delegazioni dell’Artsakh e dell’Azerbaigian si incontravano a Yevlakh per definire i dettagli della resa e dello smantellamento della piccola repubblica armena, a Stepanakert numerosi testimoni hanno denunciato sparatorie e l’avanzata delle truppe azere, in violazione del cessate il fuoco varato il 20 settembre con la mediazione russa.
Inizialmente sembrava che il bilancio dell’ultimo attacco azero al Nagorno-Karabakh avesse provocato poche vittime, ma nelle ultime ore il bilancio è stato elevato a circa 200 morti e 400 feriti, per lo più appartenenti alle forze di autodifesa della Repubblica di Artsakh. Purtroppo il conteggio include anche alcune decine di civili.
Anche una pattuglia di soldati russi, appartenenti alla forza dispiegata da Mosca nel 2020 per monitorare il rispetto del cessate il fuoco raggiunto al termine del conflitto di 44 giorni durante il quale Baku ha ripreso la maggior parte dei territori persi agli inizi degli anni ’90, è caduta in un’imboscata dell’esercito azero nella zona di Dzhanyatag. Sotto il fuoco dei militari di Baku sarebbero morti ben 6 soldati di Mosca, tra cui il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan. Il dittatore azero Aliyev si è ufficialmente scusato con il Cremlino ed ha sospeso il comandante delle truppe inviate in Nagorno-Karabakh in attesa dell’esito di un’inchiesta sull’accaduto.
Lo spettro della pulizia etnica
Le truppe russe hanno affermato di aver evacuato già migliaia di abitanti armeni della regione, e altre migliaia starebbero cercando di abbandonare l’enclave assediata per sottrarsi alle rappresaglie azere. Il difensore civico del Nagorno-Karabakh, Ghegham Stepanian, denuncia una “catastrofe”.
Secondo i termini dell’accordo imposto con le armi da Baku in quella che il regime di Aliyev ha ribattezzato “operazione antiterrorismo”, le forze di autodifesa dell’enclave armena devono consegnare le armi e cedere il controllo del territorio alle truppe azere. Di fatto la prospettiva è quella dello scioglimento dell’entità statuale autoproclamata ormai trent’anni fa dagli armeni dell’Azerbaigian. Si profila un esodo forzato verso l’Armenia dei circa 120 mila abitanti dell’enclave e l’azzeramento della millenaria presenza armena in territori che l’Unione Sovietica aveva deciso di trasformare in una Repubblica Autonoma annessa all’Azerbaigian e che poi, con lo sfaldamento dello stato socialista e in seguito a una sanguinosa guerra con Baku e la conseguente cacciata degli abitanti azeri, si era proclamata indipendente.
Il regime di Ilham Aliyev da una parte esulta per la sconfitta dei “terroristi” e il recupero della sovranità nazionale su tutto il territorio statale, dall’altra assicura che i diritti politici, civili, religiosi e culturali degli armeni saranno garantiti nel rispetto della Costituzione dell’Azerbaigian. Ma, ha avvisato il dittatore (al potere dal 2003 e preceduto da dieci anni di potere assoluto del padre), chi non accetterà di integrarsi dovrà andarsene, come hanno già fatto migliaia di armeni scappati o cacciati dai territori della Repubblica di Artsakh riconquistati da Baku nel 2020 e ripuliti etnicamente.
L’Armenia sempre più sola
La Repubblica Armena è di nuovo sotto shock per l’ennesima e storica disfatta e la consapevolezza di un isolamento quasi assoluto a livello internazionale che mette a rischio la sua stessa sopravvivenza. Il regime azero infatti ha già aggredito lo scorso anno il territorio dello stato armeno e rivendica apertamente il carattere azero di buona parte del suo territorio. Il casus belli è rappresentato dalla contesa per il raggiungimento della continuità territoriale tra l’Azerbaigian e una sua exclave – la Repubblica di Nakhchivan – separata dalla madrepatria da una larga striscia di territorio armeno. Per ottenere il collegamento con l’exclave Baku potrebbe pensare di impossessarsi di una porzione di Armenia approfittando della evidente debolezza di Erevan abbandonata dagli storici alleati e soverchiata dalla potenza militare ed economica di Baku.
Mentre l’Armenia ha davvero poco da offrire, negli ultimi anni l’Azerbaigian è diventato una potenza energetica emergente, sostenuta dalla Turchia e finanziata da una lunga lista di paesi che acquistano i suoi idrocarburi e che, pur solidarizzando con Erevan e criticando gli eccessi di Aliyev, si guardano bene dall’imporre sanzioni al regime di Baku.
Il governo dell’Armenia ha fatto di tutto pur di rimanere fuori dall’ennesimo scontro militare tra i cugini dell’Artsakh e gli azeri, temendo un’espansione dei combattimenti nel suo territorio. D’altronde ormai il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha riconosciuto l’appartenenza all’Azerbaigian del Nagorno-Karabakh, cedendo alle rivendicazioni di Baku.
Pashinyan ci ha tenuto, con varie dichiarazioni, a segnare le distanze con l’amministrazione dell’Artsakh e l’estraneità ai combattimenti – Erevan ha ritirato le sue ultime unità militari dall’enclave armena nel 2021 – accusando anzi “attori interni ed esterni” di voler coinvolgere il paese in un disastro.
«Se le forze di pace russe hanno avanzato la proposta di porre fine alle ostilità e di sciogliere l’esercito dell’Artsakh, significa che si sono completamente assunte l’obbligo di garantire la sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh» ha affermato il primo ministro armeno. Secondo Pashinyan le forze di pace russe dovrebbero garantire condizioni adeguate affinché «gli armeni del Nagorno-Karabakh possano godere del pieno diritto di vivere nelle loro case e sul loro suolo».
Il tradimento russo
Tra Erevan e Mosca le relazioni non sono mai state così deteriorate, e in Armenia monta la rabbia per l’inerzia delle truppe russe di fronte all’ennesima aggressione militare azera preceduta dal micidiale assedio durato dieci mesi.
La Russia, impantanata in Ucraina, certo non desidera essere coinvolta in un conflitto nel Caucaso nonostante il patto militare con l’Armenia (sul cui territorio possiede una base militare) e l’impegno, assunto nel 2020 con il dispiegamento di 2000 peacekeepers nei territori contesi, a garantire il rispetto del cessate il fuoco.
Oltretutto Mosca ha sviluppato negli ultimi anni ottime relazioni economiche e anche militari con il regime di Ilham Aliyev, al quale Gazprom fornisce ogni anno 1 miliardo di tonnellate di gas che poi Baku rivende a caro prezzo ai paesi occidentali, gli stessi che dopo l’aggressione militare russa all’Ucraina hanno disdetto i contratti con la Russia e cercato fonti alternative di idrocarburi.
«L’Azerbaigian agisce sul proprio territorio, che l’Armenia ha riconosciuto quindi si tratta di un affare interno dell’Azerbaigian» ha detto il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, imitato da Vladimir Putin.
Il “voltafaccia” di Pashinyan
Dimitrij Medvedev, presidente del Consiglio di Sicurezza russo, sui social ha invece fatto intendere che l’Armenia merita il destino che la attende, colpevole di aver flirtato con la Nato.
Che il leader armeno abbia cercato a occidente il sostegno non più proveniente da Mosca è innegabile, d’altronde Pashinyan è diventato premier per la prima volta nel 2018 in seguito a dei moti di piazza filostatunitensi e filoeuropei. Ma la versione russa che punta il dito esclusivamente sulle responsabilità del premier armeno sorvolando su quelle del regime di Putin è quanto mai di parte.
Quando nel 2020 l’Azerbaigian ha aggredito l’Artsakh e le truppe armene, forte dei droni da bombardamento turchi Bayraktar e delle truppe addestrate da ufficiali di Ankara, l’intervento di Mosca impedì una disfatta totale, obbligando però Erevan ad affidarsi completamente alla Russia per non soccombere. Ma il tempo ha dimostrato che la Federazione Russa non aveva alcun interesse a difendere realmente l’Armenia e men che meno l’Artsakh, e non ha mosso un dito per bloccare le ulteriori aggressioni azere. Mosca non è intervenuta a sostegno di Erevan neanche quando, nel settembre 2022, Baku ha attaccato direttamente la Repubblica Armena e questa ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), un’alleanza militare regionale guidata dalla Russia che oltretutto con Erevan ha un accordo militare di difesa mutua.
Negli ultimi mesi, mentre l’inerzia russa convinceva Baku che era venuto il momento di tentare la spallata finale, Pashinyan e i suoi ministri hanno iniziato a cercare un’alternativa all’inefficace scudo russo, irritando però ancora di più Putin senza al tempo stesso garantirsi una difesa efficace da parte dei nuovi alleati, cioè gli Stati Uniti e la Francia, ma anche l’India e l’Iran.
Quando l’11 settembre una manciata di militari armeni ha iniziato ad addestrarsi insieme a un numero equivalente di soldati statunitensi, il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov ha dichiarato che le esercitazioni (le “Eagles Partner 2023“) congiunte con un paese della Nato violavano lo “spirito” del partenariato militare con Mosca. Pochi giorni prima, Erevan ha ritirato il proprio rappresentante presso il CSTO accusando il blocco militare di complicità oggettiva con l’Azerbaigian, mentre la moglie di Pashinyan visitava Kiev, l’Armenia inviava aiuti umanitari simbolici all’Ucraina e avviava l’iter di adesione alla Corte Penale Internazionale. Per tutta risposta la Russia ha convocato l’ambasciatore armeno per illustrare le proprie rimostranze.
Nel frattempo l’Azerbaigian ha ammassato per settimane le proprie truppe a ridosso dell’Artsakh, facendo poi scattare i bombardamenti e le incursioni. Putin ha lasciato fare. Forse a Mosca sperano che l’isolamento di Pashinyan e i suoi errori gli costino la carica di primo ministro, magari a vantaggio di un personaggio più vicino ai propri interessi. Ma nel paese il risentimento nei confronti della Russia non ha mai raggiunto livelli così alti e comunque Mosca ha lasciato deteriorare la situazione a tal punto, con la situazione in Nagorno-Karabakh ormai irrimediabilmente compromessa, da avere ormai davvero poco da offrire agli armeni.
youtube.com/embed/LsWq5ES9_xU?…
Manifestazioni e scontri a Erevan
Mentre in Azerbaigian la folla nazionalista esulta sventolando bandiere turche e russe, nella capitale armena si susseguono le manifestazioni e gli scontri, con relativi feriti e arresti. Da martedì decine di migliaia di persone, aderenti a movimenti nazionalisti o a partiti di opposizione, al grido di “vergogna” e “assassini” assediano la sede del parlamento e del governo armeni, oltre che la sede diplomatica di Mosca, chiedendo le dimissioni di Nikol Pashinyan e un intervento deciso a favore degli armeni dell’Artsakh.
Per impedire l’ingresso dei dimostranti nelle sedi istituzionali, la polizia in assetto antisommossa ha operato numerosi arresti e ha fatto uso di granate stordenti. Alcuni manifestanti impugnano le bandiere degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, della Georgia e della Francia, riponendo false speranze in paesi che, dichiarazioni a parte, non hanno mosso un dito per bloccare l’ennesima offensiva azera.
L’UE protesta con Baku ma pensa al gas
Non sono mancate le dichiarazioni di condanna nei confronti delle mosse di Baku da parte del responsabile della politica estera dell’UE, Josep Borrell, o del Dipartimento di Stato di Washington, o da parte del governo francese. Ma nessuna misura concreta è stata fin qui varata da nessun governo occidentale per convincere il regime di Aliyev a rinunciare all’aggressione militare o alle prevedibili operazioni di pulizia etnica in Nagorno-Karabakh, suscitando la delusione del ministro degli Esteri armeno, mentre l’ambasciatore Edmon Marukyan ha accusato esplicitamente UE e Stati Uniti di essere responsabili della tragedia in corso nell’enclave armena dell’Azerbaigian.
Mentre in numerosi parlamenti europei ed in quello di Strasburgo crescono le richieste di sanzioni nei confronti di Baku, è evidente che l’UE non ha nessun interesse a vararle, anzi.
Lo scorso anno Bruxelles ha siglato un accordo con Baku per raddoppiare entro il 2027 le forniture di gas che, estratto nel Caucaso meridionale, arriva a Melendugno attraverso il TAP. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata personalmente per accaparrarsi le forniture azere e poter tagliare quindi quelle russe. Volata a Baku per siglare l’accordo nel luglio scorso, von der Leyen ha descritto l’Azerbaigian come «un partner affidabile e degno di fiducia» sorvolando sulla violazione sistematica dei diritti umani e politici da parte del regime e sul militarismo e lo sciovinismo nei confronti degli armeni.
Nell’ultimo anno in Italia la quota di gas proveniente dall’Azerbaigian è già aumentata dal 10 al 15,1%, eguagliando le importazioni dall’Algeria. Baku ha nel frattempo aumentato gli introiti delle esportazioni di idrocarburi da 20 a 35 miliardi di euro; di questi ben 16,5 provengono dall’Italia. E poi c’è tutto il capitolo degli armamenti: grazie ai crescenti introiti dell’industria petrolifera il regime di Aliyev negli ultimi anni ha fatto il pieno di armi turche e israeliane, ma anche americane ed europee (e russe). – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato proviene da Pagine Esteri.
“Philips Italia: nel futuro, da 100 anni”
A partire dalle 12.00 avrò il piacere di partecipare con Andrea Celli, Managing Director Philips Italia, Israele e Grecia, al Convegno organizzato da Philips per celebrare i suoi 100 anni per discutere della digitalizzazione al servizio della salute
PRIVACYDAILY
Weekly Chronicles #47
Privacy Week, giorno 2 e 3
Anche il secondo giorno di Privacy Week è passato e spero che molti di voi abbiano assistito al pomeriggio che abbiamo organizzato.
Sono stato tra i conduttori della seconda giornata, e insieme a tanti ospiti abbiamo dialogato di smart city e sorveglianza di massa, social scoring e perfino smart home, con aspetti anche relativi all’esperienza italiana.
Ad esempio, sapevate che esiste un mercato di voyeuristi che pagano per spiare la gente dalle telecamere hackerate nelle loro case? È una delle tante cose di cui abbiamo parlato ieri. Se hai una telecamera connessa o qualche dispositivo IoT a casa, qualche dubbio me lo farei venire…
Un piccolo dietro le quinte dello studio di Privacy Week
Per la seconda parte della giornata abbiamo invece affrontato il tema spinoso della sanità pubblica e della cybersicurezza dei dispositivi medici. Tantissima carne al fuoco per argomenti che ruotano intorno al concetto di cittadino e di città, che però somigliano sempre più a feudi digitali pronti ad accaparrarsi i nostri dati, ma molto meno propensi a proteggerli.
Oggi invece si parte con il terzo giorno, dedicato alle cryptovalute e all’identità digitale. Non sarò io a condurre ma gli amici Jacopo Sesana, Angelica Finatti e il buon Gianluca Grossi, che forse qualcuno di voi conoscerà in quanto capo redattore di e autore di . Con loro, anche oggi molti ospiti che si alterneranno dalle 10 alle 12:30 in un palinsesto ricco di contenuti.
Tutti gli incontri oggi saranno in streaming come sempre su www.privacyweek.it
Prometto che cercherò di rimanere calmo e pacato.
BitcoinVoucherBot è un servizio semplice, sicuro e privacy friendly per acquistare Bitcoin. Niente siti web, niente tracking IP, nessun documento richiesto. Solo Telegram. Clicca qui per iniziare a usarlo! Annuncio sponsorizzato.
Apple ci prova con iOS 17
Pare che l’ultimo aggiornamento di iOS abbia attivato di default alcune impostazioni che riguardano geolocalizzazione delle “significant locations” e l’acquisizione di dati di analisi per il miglioramento dei servizi.
I dati di geolocalizzazione dovrebbero essere conservati in locale, sul dispositivo. Per quanto riguarda invece i dati di analisi, questi sono inviati direttamente ai server Apple e hanno molto a che fare con ciò che fate e come usate il dispositivo.
Solitamente l’acquisizione di questi dati è molto invasiva, quindi il consiglio è di disattivare l’opzione che invece Apple ha pensato bene di riattivare per tutti con questo aggiornamento.
Le nuove cards Lightning SatsMobi
1Come saprete, in questo periodo sono sempre più i negozi fisici e online che accettano pagamenti Bitcoin. Questo è molto positivo per tutto l’ecosistema, ma bisogna trovare strumenti semplici, amichevoli e dalla user experience migliorata, che agevolino l’uso di Bitcoin come sistema di pagamento.
Sappiamo che per i piccoli acquisti e scambi, Lightning Network è oggi il metodo di pagamento Bitcoin più usato, essendo istantaneo, comodo e facile da gestire con la maggior parte dei wallet. Anche la comodità di Lightning arriva però fino a un certo punto: dobbiamo tirar fuori il telefono, aprire il nostro wallet, puntare e fare scan di un QR code. Insomma, non è poi così immediato.
È per questo che abbiamo pensato di introdurre le NFC Cards Lightning SatsMobi. Sono carte di pagamento Lightning che effettuano la transazione semplicemente avvicinando la carta al dispositivo di pagamento (se abilitato NFC). Si tratta di uno standard aperto.
Dove sta il valore aggiunto per l’utente? Prima di tutto, le cards SatsMobi sono connesse a un Bot Telegram (SatsMobiBot) che permette di gestire il saldo, vedere la lista movimenti, ricaricare la disponibilità (“top-up”) e molto altro.
Inoltre, la carta può essere collegata al wallet Lightning Zeus, permettendo una usabilità ancora maggiore.
Una volta attivata l’utente avrà automaticamente disponibile un Lightning address del tipo “nomeutente@sats.mobi” che gli permetterà da subito di ricevere tips Lightning, pagamenti e donazioni da qualunque wallet, oppure da Nostr2.
Da ultimo, le cards SatsMobi sono collegate automaticamente anche al BitcoinVoucherBot e quindi possono anche essere caricate con un Voucher Lightning acquistato su questo sistema di cambio.
Quindi: massima usabilità per cercare di rendere l’esperienza utente semplice, veloce e anche piacevole. Per ordinare le cards e visionare le caratteristiche d'impiego, potete riferirvi al seguente link: bitcoinvoucherbot.com/product-…
Weekly meme
Weekly quote
“What we know is everything, it is our limit, of what we can be.”
Julian Assange
Supporta Privacy Chronicles!
Condividi questo articolo coi tuoi amici, lascia un like o un commento! Se vuoi, abbonati per l’equivalente di una colazione al mese. È un piccolo gesto che però aiuta molto il mio lavoro.
Puoi anche donare qualche sats con il tuo wallet LN preferito, scansionando questo QR Code:
Scan the QR Code or click here!
1
Contributo di Massimo Musumeci
Social network decentralizzato con integrazione Lightning, molto amato dai Bitcoiner
Abbiamo un'inchiesta bomba sulla fortissima attività di lobbying che sta per portare all'approvazione del regolamento #chatcontrol che intercetterà di fatto TUTTI i cittadini europei.
Ne parlano Le Monde, Die Zeit, El Diario.
MA IN ITALIA LA STAMPA TACE ANCORA!
Di cosa ha paura?
like this
reshared this
Key enabling technologies. Soluzioni per le nuove sfide nei cinque domini nell’evento Elesia
L’aumento sempre maggiore nel ricorso alle cosiddette “tecnologie abilitanti fondamentali” porta con sé diverse sfide per il futuro in ambiti strategici e ambientali cruciali per la sicurezza e la difesa del nostro Paese, e soprattutto per le operazioni militari multidominio e per la riduzione del carbon footprint.
Questo sarà il focus dell’evento “Key enabling technologies (Ket) – Soluzioni per le nuove sfide nei cinque domini”, organizzato da Elesia con il patrocinio del Segretariato generale della Difesa e direzione nazionale armamenti (Segredifesa), della Marina militare e della Confederazione italiana armatori Confitarma. L’iniziativa si terrà a Roma mercoledì 27 settembre presso Villa Dino, in via Appia Antica 249B, a partire dalle ore
L’evento rappresenterà un’opportunità per dare uno sguardo approfondito al mondo delle Ket, strettamente legate a un intenso impegno in ricerca e sviluppo, a cicli di innovazione rapidi e alla creazione di posti di lavoro altamente specializzati. Tali tecnologie sono infatti fondamentali a livello sistemico, in quanto contribuiscono al valore generato nella catena produttiva e hanno la capacità di innovare i processi, i prodotti e i servizi in tutti i settori economici. I due diversi panel in cui si articola la conferenza saranno dedicati rispettivamente all’utilizzo delle tecnologie abilitanti chiave per i settori della difesa e della sicurezza e alle Key enabling technologies per il dominio marittimo.
Interverranno nel corso dell’evento il presidente di Elesia, Davide Magini, il ceo di At Agency e già sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo, il professore di Studi strategici presso l’università Lumsa, Matteo Bressan, il contrammiraglio di Segredifesa Pietro Alighieri, il direttore commerciale di Elesia, Fabio Saba e l’head of technology & innovation electronics division di Leonardo, Domenico Vigilante.
Il secondo panel, che metterà invece al centro l’ambiente sopra e sotto la superficie del mare, vedrà intervenire il capo del 7° reparto navi dello Stato maggiore della Marina militare, l’ammiraglio Marco Tomassetti, l’head of energy saving, R&D and ship design di Grimaldi group Confitarma, Dario Bocchetti, il professore del dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’università Sapienza, Antonio Carcaterra, e il vice presidente research & innovation di Fincantieri, Massimo Debenedetti.
Il libero commercio fa bene a tutti
“Nessuno ha mai visto un cane con un suo simile fare uno scambio deliberato e leale di un osso contro un altro osso. Nessuno ha mai visto un animale, coi suoi gesti o le sue grida naturali, far capire a un altro animale: “questo è mio, quello è tuo, io darei volentieri questo
in cambio di quello”.
Il celebre passaggio di Adam Smith ci ricorda che l’uomo è portato allo scambio con i propri simili. E, in effetti, “in una società incivilita egli ha bisogno in ogni momento della cooperazione e dell’assistenza di moltissima gente, mentre tutta la vita gli basta appena per assicurarsi l’amicizia di poche persone”. Il riferimento a “moltissima gente” è essenziale perché implica che lo scambio è tendenzialmente senza confini, mentre all’epoca gli Stati nazionali adottavano una politica mercantilista, per la quale il commercio era un gioco a somma zero. La scoperta degli illuministi scozzesi, Hume e Smith, consisteva proprio nella dimostrazione che il libero commercio tra le nazioni faceva stare meglio tutti, sia chi importava che chi esportava e colui il quale formulò con maggiore rigore questa teoria fu un seguace di Adam Smith, l’inglese David Ricardo, di cui lo scorso 11 settembre ricorreva il 200° anniversario della morte.
La disquisizione non è puramente teorica. Mentre negli anni 90 la comunità internazionale (e quella scientifica) aveva accettato questo principio, da un po’ di anni si assiste alle difficoltà della globalizzazione. Sempre più spesso i governi impongono restrizioni al commercio. Alla base ci sono motivi politici, come per le sanzioni nei confronti di Stati-canaglia o guerrafondai; il timore di trasferimento di tecnologie strategiche verso Paesi ostili (esportazioni europee e americane verso la Cina); la genuflessione verso lobby interne (il blocco dell’importazione di grano ucraino da parte della Polonia) o infine la reazione ai sussidi statali a favore di imprese esportatrici (ancora una volta l’Ue verso la Cina). Persino i provvedimenti più giustificabili comportano conseguenze negative per entrambe le parti.
Torniamo ai nostri filosofi ed economisti del XVIII e del XIX secolo. Ebbene, David Hume, filosofoscettico scozzese, aveva già demolito le credenze protezionistiche nei suoi saggi Of Commerce, Of theBalance of Trade e Of Jeaulosy of Trade. Scriveva infatti che “l’incremento delle ricchezze e del commercio di una qualunque nazione, piuttosto che causare un danno di solito favorisce i Paesi limitrofi nell’acquisto di ricchezze e di commerci” anche perché la libertà di scambio costituisce uno stimolo positivo e “un incoraggiamento” per l’economia degli Stati circostanti. “All’inizio la merce è importata dall’estero con nostro grande disappunto, perché pensiamo che essa ci privi della nostra moneta; in un secondo tempo le competenze stesse vengono gradualmente importate, a nostro evidente vantaggio”: il commercio come veicolo di diffusione della conoscenza. Se nel passato gli stranieri “non ci avessero istruito, noi ora
saremmo dei barbari”. Adam Smith, suo caro amico, lo spiegò con grande semplicità: “Per mezzo di vetrate, concimazioni e serre riscaldate si possono coltivare in Scozia ottime uve, e con esse si può fare anche dell’ottimo vino, con una spesa quasi trenta volte più alta di quella con cui si può far arrivare da Paesi stranieri un vino almeno altrettanto buono”. D’altronde “è una regola di condotta di ogni prudente capofamiglia quella di non cercare mai di fabbricare a casa ciò che costerebbe più far da soli che comprare”.
Sulle spalle dei due giganti si piazza David Ricardo, politico, uomo d’affari, economista che sviluppò la teoria del vantaggio comparativo. Nei suoi Principles of Political Economy and Taxation, il ragionamento è sviluppato in modo semplice: anche quando un Paese è più
efficiente di un altro in due produzioni, comunque gli conviene specializzarsi in una. Poniamo che il Portogallo produca 1 bottiglia di vino con 5 ore di lavoro e un chilo di pane con 10 ore. L’Inghilterra, invece, produce la stessa bottiglia in 3 ore e il chilo di pane in un’ora. Sembrerebbe che all’Inghilterra convenga fare tutto a casa. Invece, il costo del Portogallo
per produrre il vino, sebbene più alto che in Albione, è più basso rispetto al pane. Per ogni bottiglia prodotta, il Portogallo dà via 1⁄2 chilo di pane, mentre all’Inghilterra basta 1/3 di chilo. Quindi il Portogallo ha un vantaggio comparativo nel produrre il vino, mentre l’Inghilterra lo ha nel produrre il pane. Se Londra e Lisbona scambiano vino e pane 1 a 1, il Portogallo convertirà le 10 ore che gli ci vogliono per produrre il pane per fare 2 bottiglie di vino. Anche l’Inghilterra ci guadagna, perché per importare due bottiglie di vino dal Portogallo in cambio di due chili di pane, ci dovrà mettere due ore di lavoro, mentre per fare una bottiglia di vino ne impiega tre e quindi, con lo scambio immaginato, convertirà le 3 ore per sfornare 3 chili di pane e alla fine si troverà con una bottiglia in più (ne importa due) e un chilo di pane in più (gliene avanza uno). Ecco qui la teoria dei vantaggi comparativi spiegata senza complesse formule matematiche. Il mondo è diventato sempre più complicato ma la lezione di questi tre giganti si è dimostrata una delle più solide della teoria economica: ricordiamocelo.
Affari & Finanza
L'articolo Il libero commercio fa bene a tutti proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Secolari
Se ne è sicuri: non ci sono più la classe politica di una volta, i protagonisti e la qualità del tempo che fu. Complici i funerali e le partecipazioni stereotipate al cordoglio, quello scemare di qualità è dato per scontato. Penso, però, che sia falso. Il nostro problema è che noi – noi cittadini, noi italiani – ci ostiniamo a essere uguali a quel che fummo.
Certo, se si riascoltano o rileggono gli interventi politici di una volta non si può non cogliere l’abisso in quanto a dimestichezza con la lingua italiana. Ma quello ha a che vedere con la scuola, non con la politica. Il che non toglie l’esistenza di un legame fra le due cose: meno si forma e più ci si sforma. Ma a parte l’esprimersi nella lingua italiana, ho l’impressione che nel mendace ricordo del passato si tenda a cancellare troppe cose.
I funerali di Giorgio Napolitano non mancano di sovrabbondanza retorica. Ma anche d’ipocrisia. E non è che si sfugga all’ipocrisia con l’avversità e il parlarne male, perché quella è soltanto l’ipocrisia che sta dall’altra parte. Napolitano è uno degli ultimi, grandi figli del Novecento, secolo in cui tantissimi siamo nati, ma quando erano già sbocciati la pace e il sanissimo e benedetto vincolo esterno. Prima è stato il secolo delle tragedie e delle allucinazioni. E anche quello in cui siamo cresciuti noi è stato il secolo delle divisioni. Di cui, appunto, Napolitano era figlio.
Oggi tutti a dire: il grande europeista. Fu fiero oppositore parlamentare dell’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo, il nonno dell’euro. Fu sostenitore dell’eurocomunismo, con francesi, portoghesi e spagnoli che la storia ha seppellito. Tutti a dire: l’amico degli Usa e dell’Occidente. Fu amico dell’Urss e tale rimase anche dopo l’invasione di Praga. Che non condannò lui, ma il Pci. Avendo plaudito quella di Budapest. Fu il responsabile dei rapporti d’affari con l’Urss, ovvero del sistema che generava tangenti all’estero, confluenti con i finanziamenti diretti. Ma è demenziale pensare di addebitare queste cose a Napolitano, perché quelle erano le caratteristiche del secolo. Come è ipocrita cancellarle.
Non era un “comunista liberale”, che è come dire un “prete laico”. Vedeva gli errori comunisti, ma sentiva che nessuna salvezza poteva esistere fuori dal partito, come fuori dall’ecclesia. La classe politica che mise il partito avanti all’onestà delle idee non è in sé ammirevole. Anche se tale può apparire nella stagione in cui ciascuno fa il proprio partito e ci mette anche il nome del casato. In quelle condizioni fare politica – ovvero tenere vivo il conflitto nel proprio partito, trovare appoggi in altri e non rompere né il proprio né l’altrui – richiedeva destrezza. Napolitano che ammira Craxi non se la può cavare facendo prima un governo con Craxi e poi uno con Almirante, o viceversa. Cosa che oggi s’usa e getta.
Era migliore, quel mondo? No, è migliore il nostro. Gli interpreti del secolo diviso si videro cadere in testa i macigni del Muro di Berlino. Non seppero vedere la fine del comunismo, ma capirono che come comunisti erano finiti. E chi aveva fieramente avversato il comunismo non seppe vedere il cambio di spartito che quel crollo innescava. Il nostro mondo è migliore, ma noi siamo sempre gli stessi: pronti a tutto pur di non fare i conti con gli errori commessi, pronti ad abboccare a qualsiasi racconto storico pur di non fare i conti con la Storia. Il Paese che fu fascistissimo e poi si volle raccontare in armi nella Resistenza. Che si unì contro il volere del papato, ma volle raccontarsi che lo fece con fede cristiana. Che baratta il voto con l’avere per sé un brano di spesa pubblica e pretende che corrotti ed evasori siano sempre gli altri.
Si era già estinto il filone di derivazione risorgimentale. Si estinguerà presto il filone comunista. Si è stinta la scuola del cattolicesimo sociale. E capita perché stiamo meglio e si suppone non serva più pensare alla politica, preferendo il trasformismo ipocrita. Che, per non migliorare, resta una strada avvincente.
La Ragione
L'articolo Secolari proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
F-35 italiani in volo per intercettare aerei russi in Polonia
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 26 settembre 2023. Due degli F-35 italiani inviati pochi giorni fa in Polonia per supportare le operazioni NATO, sono stati utilizzati per intercettare aerei russi entrati in quello che viene definito “lo spazio aereo dell’Alleanza atlantica”.
A farlo sapere, in una nota, la stessa NATO, che annuncia il primo lancio dei velivoli italiani dalla base aerea di Malbork. “I jet da combattimento della NATO – spiega la nota – si lanciano regolarmente per tali missioni di routine lungo i confini dell’Alleanza, ad esempio sulle coste del Mar Baltico per proteggere le popolazioni e i territori dell’Alleanza. Il distaccamento italiano F35, chiamato Task Force Air 32nd Wing, è attualmente schierato in Polonia sotto la polizia aerea rafforzata della NATO, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per sostenere le attività di deterrenza e difesa dell’Alleanza“.
On the 21 Sep, 🇮🇹 execute their first scramble out of Malbork Air Base, 🇵🇱 under #NATO‘s Air Policing MissionThe F35’s intercepted 2 Russian Su-30 which were not on a flight plan & had not contact to Air Traffic control
Read more: t.co/NfXCv42Lno#SecuringTheSkies pic.twitter.com/mjUuUEP4ck
— NATO Air Command (@NATO_AIRCOM) September 25, 2023
di Antonio Mazzeo –
Pagine Esteri, 15 settembre 2023. Atterrati a Malbork in Polonia gli F35A della Task Force Air 32° Wing che garantirà il supporto alle operazioni NATO Air Policing attraverso missioni aeree di difesa e deterrenza sul fianco Est dei Paesi. Cresce pericolosamente il coinvolgimento dell’Italia nel sanguinoso conflitto russo-ucraino: nessuna dichiarazione ufficiale del governo e men che meno uno straccio di dibattito parlamentare, appena un tweet dello Stato Maggiore dell’Aeronautica zeppo di hashtag e annunci bellicosi (#ForzeArmate – #Una ForzaperilPaese -#WeAreNato – #StrongerTogether).
Il 13 settembre sono atterrati nella base aerea di “Krolewo” a Malbork in Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad) due cacciabombardieri di quinta generazione F-35A dell’Aeronautica italiana; altri due F-35 sono attesi entro un paio di giorni. “I caccia italiani arrivano in Polonia a sostegno della deterrenza e della difesa della NATO”, riporta l’ufficio stampa dell’Allied Air Command, il Comando centrale delle forze aeree dell’Alleanza di stanza nella grande base di Ramstein, Germania. “Gli aerei pattuglieranno i cieli sul fianco orientale europeo nell’ambito delle missioni di Air Policing della NATO. Oltre ad unirsi ai caccia dell’Aeronautica polacca e di altri paesi partner, i velivoli italiani contribuiranno anche alle attività addestrative che l’Alleanza Atlantica conduce nell’ambito delle sue rafforzate attività di vigilanza”.
Le attività di Air Policing consistono nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo, nonché nell’“identificazione di eventuali violazioni alla sua integrità”, dinanzi alle quali scattano “appropriate azioni di contrasto”, come ad esempio, il decollo rapido (scramble) dei caccia intercettori. Pericolosissimi faccia a faccia tra top gun delle forze avversarie che possono sfociare in veri e propri duelli aerei, specie se gli incontri ravvicinati avvengono negli spazi aerei di frontiera esplosivi come quelli tra la Polonia nord-orientale e l’enclave della Russia nel Mar Baltico.
“Lo schieramento di moderni aerei da caccia di quinta generazione in Polonia – appena sei mesi dopo la fine di un dispiegamento simile da parte degli F-35 dell’Aeronautica italiana – dimostra la capacità della NATO di posizionare capacità di combattimento avanzate in modo flessibile”, ha affermato il generale Gianluca Ercolani, Capo di Stato Maggiore dell’Allied Air Command. “È un’altra prova del fatto che gli alleati operano integrati, secondo efficienti accordi di comando e controllo aereo per eseguire una significativa deterrenza e difesa lungo il fianco orientale”.
Ancora più enfatiche le dichiarazioni del tenente colonnello Ciro Maschione, a capo del distaccamento dei cacciabombardieri F-35A “Task Force Air – 32nd Wing” dell’Aeronautica Militare. “Con l’offerta dei nostri aerei da caccia alla NATO, sottolineiamo che l’Italia è pienamente impegnata a sostenere le missioni collettive e durature dell’Alleanza”, spiega Maschione. “L’Italia è stata il primo alleato a schierare i propri F-35 in una missione NATO – in Islanda – aprendo la strada all’integrazione dei moderni velivoli di quinta generazione nelle operazioni aeree dell’Alleanza insieme a Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti”.
L’Aeronautica Militare aveva già schierato nella base polacca di Malbork quattro cacciabombardieri EF-2000 “Eurofighter Typhoon” dalla fine di luglio alla fine di novembre 2022. In poco meno di quattro mesi di attività la task force “White Eagle” ha effettuato oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”. L’altissimo rischio che le operazioni dei caccia italiani potevano concludersi con un confronto-scontro con i Mig della Federazione Russa è stato ammesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem (altro Centro di comando e controllo aereo della NATO in Germania, ndr)”, ha riferito l’Aeronautica in un comunicato del 22 settembre 2022. “Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”.
Dall’agosto 2023 l’Italia è pure presente con la Task Force Air Baltic Horse III alle attività di Air Policingdella NATO in Lituania. La missione è denominata Baltic Air Policing ed è condotta anch’essa sotto la supervisione del NATO Allied Air Command di Ramstein. “Il contingente italiano assicura il servizio di Quick Reaction Alert, ovvero la sorveglianza e protezione dei cieli atlantici sul fianco nord-orientale”, spiega lo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “La Task Force Air Baltic Horse III è rischierata presso l’aeroporto lituano di Siauliai per contribuire a garantire l’integrità dello spazio aereo della Lituania e delle repubbliche baltiche, rafforzando le attività di sorveglianza delle forze aree dei paesi NATO già presenti nella regione”.
La task force schierata a Siauliai è posta sotto la diretta dipendenza nazionale del COVI(Comando Operativo di Vertice Interforze) ed impiega quattro caccia EF-2000“Eurofighter Typhoon” provenienti dal 4° Stormo dell’Aeronautica di stanza a Grosseto, dal 36° (Gioia del Colle), dal 37° (Trapani-Birgi) e dal 51° (Istrana, Treviso). “La Task Force italiana in Lituania rappresenta l’espressione più autentica della proiettabilità di una Forza Armata moderna, capace di produrre effetti operativi ovunque sia necessario, adattandosi repentinamente ed efficacemente alle mutevoli condizioni di impiego dettate dall’attuale scenario geopolitico”, ha enfatizzato il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti, in occasione della sua recente visita alla base aerea lituana. Un altro teatro operativo ad alto rischio di deflagrazione: anche questo scalo dista infatti un centinaio di km dall’enclave russa di Kaliningrad e a 200 km dalla Bielorussia.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo F-35 italiani in volo per intercettare aerei russi in Polonia proviene da Pagine Esteri.
Grazie a Radio3Mondo che rompe il silenzio dell'informazione italiana sul regolamento chatcontrol
#stopchatcontrol
Fermiamo #chatcontrol
like this
reshared this
30 Settembre, giornata di mobilitazione nazionale a sostegno di Khaled El Qaisi
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
COMUNICATO DEL COMITATO “FREE KHALED”
Da ormai un mese Khaled El Qaisi si trova nelle carceri israeliane senza un’accusa e senza che vi siano
le minime condizioni per un giusto processo, in violazione del diri:o internazionale. I media, e in particolare la Rai, che dovrebbe fornire un servizio pubblico, tacciono. Non solo davanti al trattamento riservato a un cittadino palestinese, tacciono davanti al trattamento riservato ad un cittadino italiano.
Per Khaled, dal 31 agosto prigioniero nel carcere israeliano di Petah Tikwa, la sospensione del diritto alla difesa e il diniego di giusto processo costutiscono gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, le condizioni di detenzione a cui è sottoposto, tra cui privazione del sonno, minacce, offese verbali e imposizione prolungata di posizioni di stress, sono potenzialmente riconducibili a un crimine di diritto internazionale.
Le autorità israeliane hanno arrestato un ci:adino straniero in un territorio che occupano militarmente e lo hanno deportato al di fuori di quel territorio. Lo Statuto di Roma, di cui sia l’Italia che la Palestina sono firmatarie, afferma che la deportazione, il trasferimento e la detenzione illegale sono crimini di guerra. Perché questi fatti sono trascurati dalle istutuzioni e dai media?
La salvaguardia dei rapporti tra stati è più importante del rispetto del diritto internazionale e della libertà di Khaled?
È un dovere per lo stato italiano aHvarsi con ogni mezzo necessario, affinché un proprio cittadino arrestato senza accusa in uno Stato straniero venga liberato e veda i propri diritti rispettati. E’ un dovere per i media italiani fare una corretta analisi e informazione nel rispetto della persona e dei diritti di un proprio concittadino.
Ci troviamo sabato 30 settembre davanti alle sedi Rai, e delle maggiori emittenti televisive italiane presenti nelle città italiane, per chiedere subito un’informazione rispettosa e degna sulla situazione di Khaled e per la sua immediata liberazione.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo 30 Settembre, giornata di mobilitazione nazionale a sostegno di Khaled El Qaisi proviene da Pagine Esteri.
L’Ucraina nell’Unione Europea: il momento di agire
La Fondazione Luigi Einaudi è stata lieta di ospitare questa mattina il convegno che il presidente della commissione Affari europei Giulio Terzi di Sant’Agata ha dovuto annullare in Senato causa lutto nazionale. L’abbiamo fatto perché Terzi è uno di noi, perché crediamo che la Fondazione Luigi Einaudi sia vocata a svolgere un ruolo di supplenza della politica e soprattutto perché siamo e restiamo al fianco del popolo ucraino.
L’Ucraina deve entrare al più presto nell’Unione europea.
Evento trasmesso anche su radioradicale.it
youtube.com/embed/b67UZ9JhQ2Q?…
L'articolo L’Ucraina nell’Unione Europea: il momento di agire proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La Fondazione Luigi Einaudi è stata lieta di ospitare questa mattina il convegno che il presidente della commissione Affari europei Giulio Terzi di Sant’Agata ha dovuto annullare in Senato causa lutto nazionale. L’abbiamo fatto perché Terzi è uno di noi, perché crediamo che la Fondazione Luigi Einaudi sia vocata a svolgere un ruolo di supplenza della politica e soprattutto perché siamo e restiamo al fianco del popolo ucraino.
L’Ucraina deve entrare al più presto nell’Unione europea.
youtube.com/embed/b67UZ9JhQ2Q?…
L'articolo fondazioneluigieinaudi.it/7578… proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Breyer on chat control investigative research: EU Commissioner as double agent of foreign interference
Research published yesterday by several European media outlets has revealed that an international campaign in support of the EU’s proposed child sexual abuse regulation has been largely orchestrated and financed by a network of organisations with links to the tech industry and security services. The controversial “chat control” regulation would require providers to indiscriminately scan and automatically disclose allegedly suspicious private messages and photos. EU Parliament lawmaker Patrick Breyer (Pirate Party), negotiator for the Greens/European Free Alliance group on the proposed regulation, expresses shock:
“As negotiator for my group, many of the organisations mentioned in the report, which call themselves child protection organisations or victims’ associations, also contacted me. But I had no idea that the pro-chat control campaign was being orchestrated and funded by a network of organisations linked to the tech industry and security services, drawing millions in funding from a US-led foundation and paying foreign consulting agencies to create lobbying strategies. I had previously only expected corporations to use such methods of ‘capturing legislation’.
To set a precedent, US stakeholders apparently want to push through indiscriminate screening of our private messages and photos in Europe, which is not law in the US itself.
So far, the EU’s Home Affairs Commission has mainly attracted attention as a source of misinformation on chat control. Yesterday’s report makes EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson look like a double agent of foreign interference. We urgently need a legislative footprint that exposes such remote-controlled and foreign-dictated legislation. This is about nothing less than defending our democracy and our fundamental right to digital privacy of correspondence!”
Commenting on the report, President of non-commercial encrypted messaging service Signal Meredith Whittaker said, “the best follow the money reporting on who’s behind the global attack on digital privacy yet.
It’s law enforcement x AI companies posing as NGOs with a commercial interest in selling scammy mass scanning tech. Deeply cynical, deeply shady.”
Cryptologist Matthew Green commented, “Just saw this new investigation into the web of for-profit AI companies pushing anti-encryption legislation in Europe, and it feels like the work of secret organization in a James Bond movie.”
Diego Naranjo, Head of Policy of European Digital Rights, said “The investigation published today confirms our worst fears: The most criticised European law touching on technology in the last decade is the product of the lobby of private corporations and law enforcement. Commissioner Johansson ignored academia and civil society in Europe while she shook hands with Big Tech in order to propose a law that will attempt to legalise mass surveillance and break encryption.”
Diego Naranjo, Head of Policy of European Digital Rights, said “The investigation published today confirms our worst fears: The most criticised European law touching on technology in the last decade is the product of the lobby of private corporations and law enforcement. Commissioner Johansson ignored academia and civil society in Europe while she shook hands with Big Tech in order to propose a law that will attempt to legalise mass surveillance and break encryption.”[5]
Anna Politkovskaja – La Russia di Putin
<iframe width=”560″ height=”315″ src=”youtube.com/embed/3-dZQqrt3tU?… title=”YouTube video player” frameborder=”0″ allow=”accelerometer; autoplay; clipboard-write; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture; web-share” allowfullscreen></iframe>
L'articolo Anna Politkovskaja – La Russia di Putin proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Privacy Pride
Unknown parent • •