In Cina e Asia – Xi vuole cooperare con i paesi arabi per una "soluzione duratura” a Gaza
Conflitto Israele-Hamas, la Cina è pronta a cooperare con i paesi arabi per una "soluzione duratura"
L'Afghanistan vuole entrare nella BRI
Ambasciata cinese negli Usa: "Vertice Biden-Xi possibile solo con il rispetto di 4 interessi fondamentali"
Pentagono: "La Cina avrà 1000 testate operative entro il 2030"
Il Canada ritira dall'India 41 diplomatici
Navi russe e di Hong Kong indagate per danneggiamento al gasdotto sottomarino nel golfo di Finlandia
La BRI diventa un'autostrada per lo yuan. E l'Argentina ne approfitta
Dopo il divieto della Cina, Tokyo potrebbe affidare ai detenuti la lavorazione delle capesante
Corea del Nord, il ministro degli Esteri russo Lavrov incontra Kim
Filippine, l'esercito formerà un comando specializzato contro i cyberattacchi
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 14. Biden chiederà 14 miliardi di aiuti militari per Israele. In forse invio oggi aiuti per Gaza
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AGGIORNAMENTI 20 OTTOBRE
ORE 9
L’esercito israeliano afferma di aver colpito più di un centinaio di obiettivi nella Striscia di Gaza. Ha bombardato anche in Libano dove ha ucciso un “miliziano di Hezbollah”. Dopo 11 ore dall’ultimo lancio, questa mattina sono partiti da Gaza alcuni razzi verso il sud di Israele.
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della redazione
Pagine Esteri, 20 ottobre 2023 – Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, invierà al Congresso una richiesta di emergenza per approvare nuovi finanziamenti a sostegno di Israele ed Ucraina. Durante un discorso alla nazione, Biden ha detto che si tratta di “un investimento che andrà a beneficio della sicurezza nazionale per le generazioni a venire, e che contribuirà a costruire un mondo prospero per i nostri figli”. Le autorità di Washington, ha continuato, faranno in modo che Israele abbia “tutti gli strumenti per proteggere il proprio popolo per tutto il tempo necessario”. Tutti gli attori nella regione, ha aggiunto, devono sapere che Israele è “più forte che mai, e questo contribuirà a prevenire ulteriori escalation”.
Secondo il giornale Haaretz di Tel Aviv, il sostegno militare americano potrebbe arrivare fino a 14 miliardi di dollari.
L’agenzia d’informazione economica “Bloomberg” scrive che Israele sta riconsiderando i piani per l’invasione di Gaza dopo la visita di Biden e del Segretario di stato Blinken. L’offensiva di terra sembrava imminente qualche giorno fa e il ministro della difesa Yoav Gallant, ancora ieri, ha ribadito che l’ordine di attacco arriverà presto. Ora, secondo “Bloomberg”, è in corso un ripensamento a causa delle pressioni degli Stati uniti. L’agenzia scrive che dietro le dichiarazioni americane di sostegno incondizionato e all’invio di portaerei e militari Usa nella regione, l’Amministrazione Biden avrebbe invitato alla cautela il governo Netanyahu pur condividendo l’obiettivo di distruggere l’infrastruttura dellìala militare di Hamas a Gaza fatta di una fitta rete di gallerie sotterranee costruite nel corso degli anni. Allo stesso tempo, gli Stati uniti chiedono di minimizzare le vittime civili palestinesi, migliaia di due settimane di bombardamenti aerei. Ed evitare che il conflitto si allarghi al Libano aprendo un secondo fronte che (potrebbe coinvolgere le stesse forze armate statunitensi) e vanificare la normalizzazione tra Israele e i Paesi arabi che Washington porta avanti. Biden durante gli incontri avuti mercoledì con Netanyahu e gli altri membri del gabinetto di guerra israeliano ha discusso varie “alternative” all’invasione di terra di Gaza.
Due giorni fa il ministro degli Esteri Cohen ha ipotizzato la creazione di una “fascia di sicurezza” attorno a Gaza, anziché occupare la Striscia.
Non è certo, anzi sembra slittare, il primo ingresso oggi di aiuti umanitari a Gaza attraverso il valico di Rafah con l’Egitto. Le autorità del Cairo spiegano che ci sono ancora “dettagli” da discutere. Per alcune fonti, l’Egitto vuole avere la certezza che non ci saranno attacchi aerei durante la consegna dei rifornimenti nella Striscia che dovrebbero effettuare 20 dei circa 200 autocarri in attesa sul versante egiziano del confine. Pagine Esteri
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La Fiera del libro di Francoforte cancella la premiazione della scrittrice palestinese: “più spazio a voci israeliane”
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di Eliana Riva
Era stato assegnato alla scrittrice palestinese Adania Shibli, per il suo libro “Un dettaglio minore“, il prestigioso premio letterario LiBeraturpreis, riservato ad autori e autrici del Medio Oriente, dell’Africa e dell’Asia. L’agenzia letteraria Litprom, aveva deciso di consegnarle il premio il 20 ottobre, durante la prestigiosissima Fiera del libro di Francoforte, che ogni anno organizza insieme ad altri attori. La giuria ha scelto proprio lei perché, “crea un’opera d’arte composta formalmente e linguisticamente in modo rigoroso che racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone. Con grande attenzione, dirige lo sguardo verso i piccoli dettagli, le banalità che ci permettono di intravedere le vecchie ferite e cicatrici che si trovano dietro la superficie“.
Ieri l’agenzia ha fatto sapere che il premio non le verrà più consegnato. La motivazione? “La guerra in Israele”. Il direttore della Fiera di Francoforte, Juergen Boos, ha precisato di voler “rendere le voci ebraiche e israeliane particolarmente visibili alla fiera del libro”. Venerdì, oltre alle 1.300 vittime israeliane fino a quel momento accertate, erano stati già 1.900 i palestinesi uccisi nella Striscia di Gaza, tra i quali 614 bambini. Un bilancio purtroppo destinato nei giorni successivi a salire fino a raggiungere, oggi, domenica 15, tra le 1.400-1.500 vittime israeliane e 2.228 morti palestinesi a Gaza.
Dopo le proteste degli editori arabi e delle associazioni che li rappresentano, che hanno comunicato che non parteciperanno alla Fiera del libro di Francoforte, l’agenzia Litprom ha fatto un passo indietro, specificando che la cerimonia di assegnazione si farà ma in seguito, quando riusciranno “a trovare un format e un’impostazione adatti per l’evento”. Questo può vuol dire, come altre volte è accaduto, che la presentazione del libro non sarà consentita con la presenza della sola autrice ma che proveranno a imporle, pena la cancellazione definitiva della cerimonia, una presenza israeliana, cosa che trasformerebbe l’evento letterario in una sorta di dibattito politico, facendone perdere il significato. Dalle dichiarazioni del direttore Juergen Boos non pare che questa singolare “par condicio culturale” valga anche per gli eventi che, in misura consistente, ospiteranno autori israeliani.
La scrittrice palestinese Adania Shibli aveva già ricevuto due nomination per il National Book Award, nel 2020, e per l’International Booker Prize nel 2021. Il suo romanzo, Un dettaglio minore, tradotto dall’arabo al tedesco nel 2020 ed edito in Italia da La nave di Teseo, parte dal racconto della storia vera di una giovane beduina palestinese violentata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949.
Di seguito l’articolo scritto per Pagine Esteri dopo la pubblicazione della traduzione italiana.
È dei particolari che raramente si parla quando si affronta la condizione dei palestinesi in Israele, nei Territori Occupati e a Gaza.
Eppure, i dettagli sono essenziali per capire cosa significhi vivere sotto occupazione, farsi un’idea chiara del livello di fallimento dei negoziati di pace, per leggere intero il quadro ideato e pianificato dall’occupante.
Solo i particolari possono mostrare a noi, lontani, quello che è più difficile da capire: come avviene che la straordinarietà si converta in quotidianità, come accade che il modo di vivere e persino quello di pensare siano trasformati, piegati giorno dopo giorno alla consuetudine della sopraffazione, delle ingiustizie e della violenza.
Adania Shibli con “Un dettaglio minore”, finalista al National Book Awards 2020, ci mostra questi particolari, portandoci a spasso tra il passato e il presente, tra i luoghi che esistevano e non ci sono più, cancellati persino i nomi e chiuse da cubi di cemento le strade di ingresso. Tutto comincia da una storia del 1949 nel Negev, quando alcuni soldati israeliani si trasferiscono tra le dune del deserto ossessionati dalla missione di scovare e uccidere gli arabi rimasti nella zona sud-occidentale. Giornate e chilometri passati a girare in tondo e a perlustrare il nulla, fino a quando qualcosa trovano. Qualcuno, anzi. I beduini del deserto. Tutti uccisi tranne una ragazza. La storia terribile di questa ragazza e la sua tragica fine si legheranno all’esistenza di una giovane donna di Ramallah che tenterà molti anni dopo di scoprire la verità su ciò che accadde 25 anni prima che lei nascesse. In una Palestina cambiata, ingabbiata dai checkpoint, divisa in zone e in abitanti di serie A, B, C, con diversi diritti, diverse possibilità e diversi documenti, la donna di Ramallah inizia un viaggio pericoloso, vincendo l’abitudinarietà e le sue paure, con una macchina a noleggio, una carta d’identità prestata da una collega e due cartine geografiche: Israele oggi, la Palestina ieri.
L’attenzione ossessiva ai dettagli è ciò che la spinge a muoversi, l’incapacità di definire i contorni, i limiti tra una cosa e l’altra, forse per sfuggire alla realtà globale e al dramma collettivo che la circonda, fatti, appunto, di limiti e limitazioni da rispettare rigorosamente per prevenire conseguenze spiacevoli. Ma lei non riesce bene a muoversi tra quei limiti, non controlla le sue emozioni, le sue ansie e preferisce chiudersi in una solitudine consuetudinaria, che la rassicura e non le crea difficoltà. Un giorno, ad esempio, riesce miracolosamente a raggiungere l’ufficio nonostante la zona fosse stata posta sotto coprifuoco dall’esercito israeliano: malgrado l’ansia e la paura la avvolgano, ha imparato che è fondamentale dimostrarsi calma e decisa e che è necessario, a volte, scavalcare muri e barriere. In ufficio un collega entra nella sua stanza e spalanca la finestra. È per evitare che i vetri esplodano: l’esercito ha avvertito che colpiranno e distruggeranno un edificio lì vicino, perché vi si sono barricati tre ragazzi. L’edificio esplode, il boato è spaventoso, i ragazzi muoiono, le pareti dell’ufficio tremano e una nuvola di polvere invade la sua stanza. L’unico dettaglio su cui riesce a soffermarsi è quella polvere e con calma e pazienza ripulisce tutto prima di rimettersi semplicemente a lavorare.
Il viaggio verso l’accampamento dei coloni nel Negev la porta su una strada conosciuta, che non percorre però da anni. Il tempo sufficiente per non riuscire più a riconoscere quei luoghi, cambiati, trasformati con la forza degli espropri e delle colonie, paesaggi stravolti, storie cancellate. La cartina palestinese riporta i nomi dei villaggi che esistevano prima del 1948, anno della Catastrofe palestinese, della nascita dello Stato ebraico. Tanti nomi. Conosce persone originarie di alcuni di quei villaggi tra Yafa e Askalan, di altri villaggi invece non sa nulla e mai nulla potrà sapere. Sulla cartina israeliana a inghiottirli tutti c’è una vastissima zona verde prima e un mare giallo e vuoto dopo, nient’altro. Di palestinese non è rimasto nulla. Né i nomi sui cartelli stradali né i cartelloni pubblicitari. Neanche i terreni sono più palestinesi. Gli insediamenti sono israeliani.
Al Museo di Storia dell’Esercito israeliano è possibile vedere le divise e le armi usate nel 1948 e seguire la storia cinematografica israeliana degli anni ’30-’40 che incoraggiava l’immigrazione ebraica. In una pellicola un gruppo di coloni costruisce strutture su una distesa prima desertica, ne nasce un insediamento e per festeggiarlo le persone si prendono per mano e ballano in cerchio. La donna di Ramallah riavvolge il nastro all’indietro e poi lo manda avanti: costruisce l’insediamento e poi lo smantella, lo ricostruisce e lo ri-smantella ancora, ancora e ancora.
Ormai vicino Gaza, sente da lontano il suono dei bombardamenti ma è un suono diverso da quello a cui è abituata, senza la polvere, senza il fragore: solo ciò che non sente e vede le fa comprendere quanto sia lontana da quello che le è familiare, da casa. Guarda da lontano Rafah, Gaza e tenta di riempirsene gli occhi, per spiegarlo a quei colleghi che da anni aspettano l’autorizzazione per poter rientrare.
I limiti da non superare, i confini stabiliti, il militare, il civile, l’accampamento, il campo fatto di lamiere e un pacchetto di gomme da masticare porteranno la donna di Ramallah a scoprire sul destino della ragazza beduina più di quanto avesse voluto.
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“Basta armi a Israele”: dirigente del Dipartimento di stato Usa si dimette
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di Redazione
Pagine Esteri, 19 ottobre 2023 – Josh Paul, dirigente dell’ufficio del Dipartimento di Stato americano che gestisce i trasferimenti di armi ai paesi alleati, ha annunciato le sue dimissioni in polemica con la decisione dell’amministrazione Biden di inviare un ingente quantitativo di armi e munizioni a Israele. Proprio oggi, riferiscono le agenzie di stampa, un cargo di Washington che trasportava mezzi blindati destinati all’esercito israeliano è atterrato all’aeroporto Ben Gurion.
Il funzionario statunitense ha motivato la sua decisione spiegando che il «cieco sostegno» a Israele sta portando a decisioni politiche «miopi, distruttive, ingiuste e contraddittorie rispetto agli stessi valori che sosteniamo pubblicamente».
Il dirigente ha spiegato le sue ragioni nella lettera di dimissioni presentata al Dipartimento di Stato: «la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta sia allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiorie più profonde sia per il popolo israeliano che per quello palestinese» ha scritto l’uomo che per 11 anni ha ricoperto l’incarico di direttore del settore Affari pubblici e parlamentari dell’ufficio affari politico-militari del Dipartimento di Stato.
«Temo che stiamo ripetendo gli stessi errori commessi negli ultimi decenni e mi rifiuto di farne parte per un periodo più lungo» ha scritto Josh Paul.
In un’intervista, poi, il funzionario ha ricordato che Israele sta mettendo in atto un blocco totale di Gaza che impedisce alla popolazione di accedere a beni di prima necessità, come l’acqua, il cibo, l’elettricità e il carburante, violando così il diritto internazionale. Washington dovrebbe quindi applicare una serie di leggi federali che pure impongono lo stop alla fornitura di armi ai paesi che violano i diritti umani: «Il problema con tutte queste disposizioni è che spetta al ramo esecutivo stabilire se si sono verificate violazioni dei diritti umani. La mossa di prendere una decisione non spetta a qualche entità accademica apartitica e non c’è alcun incentivo affinché il presidente determini effettivamente qualcosa» ha spiegato Paul, secondo il quale comunque l’amministrazione Biden ha anche deciso di ignorare numerose convenzioni internazionali in nome di un sostegno incondizionato a Tel Aviv che considera inaccettabile. – Pagine Esteri
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Ad Hamas non importa nulla della gente di Gaza
Nel 1957, dopo aver preso il premio Nobel, Albert Camus disse di credere nella giustizia ma che prima della giustizia avrebbe difeso sua madre. È un episodio molto noto e nel suo ultimo libro, I miei eroi, Pierluigi Battista l’ha ripercorso nel dettaglio. Camus era nato e cresciuto in Algeria e aveva sempre sostenuto la causa dell’indipendenza algerina, anche in tempi in cui a Parigi non era tanto di moda.
Ma quando gli indipendentisti algerini cominciarono a colpire civili a casaccio, Camus si sfilò. Fu molto criticato e peggio, irriso per la fiacchezza morale di un filosofo capace di anteporre le ragioni piccole del suo tinello a quelle grandi della storia. Ma Camus parlava invece dell’enormità di sacrificare le vite di chi non c’entra niente in nome di un’istanza più alta: nessuna istanza, diceva, è così alta da giustificare la mattanza indiscriminata, nessuna è così alta da permetterci di disporre della vita della madre altrui.
Non si può non pensare a Camus guardando le immagini di Gaza. Con una complicazione in più: Hamas e i suoi amici non aspettano altro che la mattanza per additare al mondo il nazismo sionista e trovare alleati per la soluzione finale. Nulla gli importa, da decenni, della gente di Gaza. Non ripetete gli errori che abbiamo commesso noi dopo l’11 settembre, ha detto ieri Joe Biden a Bibi Netanyahu. Quindi? È cecità, ha scritto giustamente Giuliano Ferrara, dire a Israele che cosa non fare, e quanto a che cosa fare aggiungere “non lo so”. Se chiedete a qualcuno che dovrebbe fare ora Israele, più spesso risponderà “non lo so”. Se lo chiedessero a me, direi “non lo so”.
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Prorogato il termine del concorso "Programma #iosonoAmbiente". Il termine per la presentazione delle candidature è stato spostato alle ore 12 del 31 ottobre 2023 secondo le modalità indicate nel decreto di proroga.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Prorogato il termine del concorso "Programma #iosonoAmbiente". Il termine per la presentazione delle candidature è stato spostato alle ore 12 del 31 ottobre 2023 secondo le modalità indicate nel decreto di proroga.Telegram
FPF Submits Comments to the FEC on the Use of Artificial Intelligence in Campaign Ads
On October 16, 2023, the Future of Privacy Forum submitted comments to the Federal Election Commission (FEC) on the use of artificial intelligence in campaign ads. The FEC is seeking comments in response to a petition that asked the Agency to initiate a rulemaking to clarify that its regulation on “fraudulent misrepresentation” applies to deliberately deceptive AI-generated campaign ads.
FPF’s comments follow an op-ed FPF’s Vice President of U.S. Policy Amie Stepanovich and AI Policy Counsel Amber Ezzell published in The Hill on how generative AI can be used to manipulate voters and election outcomes, and the benefits to voters and candidates when generative AI tools are deployed ethically and responsibly.
Pirates: Torturing animals for fur must be banned
Strasbourg, 19/10/2023 – Pirate Party MEPs are joined by Pirate Party representatives from Germany and Luxembourg in supporting the European Citizens’ Initiative “Fur Free Europe”[1], which was debated today in the European Parliament. The initiative was signed by more than 1.7 million European citizens from 18 countries and must now be addressed by the European Commission. In 2021, the last measured year, the number of animals killed for fur was still 44 million per year. They are also kept in appalling conditions, according to Fur Free Europe.
Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament, comments:
“In my opinion, such cruelty simply does not belong in 21st century Europe. EU citizens obviously see it the same way and I am very glad that they have made that clear with their petition. I hope that the European Commission will now finally address the problem and present us with a clear plan to end the unnecessary suffering of animals. This is the ideal time to do so, because Russia used to buy most of its fur from the European Union. But interest has declined significantly due to the sanctions. The regions for which this sector was an important source of income are therefore desperately looking for a way out. And if the Commission also proposes support for the transition to another business sector, that will help everyone involved – people and animals alike.”
Marc Goergen, Pirate Party Member of the Chamber of Deputies in Luxembourg, comments:
“As Luxembourgish Pirates, we continue to advocate for a fur-free world in our country, in Europe and outside of the EU. During our first year in parliament in 2019, we asked the government in a motion to prohibit the sale of fur in Luxembourg, citing article 36 of the TFUE. Our motion was defeated, but we will continue to advocate for the abolition of animal cruelty. With a new government in place, we urge them to set a deadline for the retailing of fur in Luxembourg.”
Anja Hirschel, top candidate of the Pirate Party Germany for the 2024 European elections, comments:
“Animals of various species, simply called fur animals according to their use, are kept in farms under conditions that are simply cruel. And this for a product, that can long since be replaced by high quality alternatives. No one needs real fur except the animals born with it. Moreover, it has not only been clear since the Covid pandemic that fur farms, like other factory farms, harbour a danger for all of us that should not be underestimated: viruses find it easier to cross species boundaries there. It is in our best interest to do something about this. To really get there, we have to keep an eye on the entire supply chain. This of course includes imports from non-EU countries.”
German Pirate Party MEP Patrick Breyer comments:
“Fur farms and farmed fur products are completely out of date and have no place in our modern society. Apart from the cruel conditions for the animals that are kept there until they are killed, such facilities also have a significant impact on humans and animals alike as disease carriers. The EU Commission is now called to act, almost 2 million EU citizens must not go unheard! I call for a legislative proposal of the von der Leyen Commission that will finally put an end to this unethical and shameful industry.”
Fur farms are currently banned in 14 EU countries, but are for example still legally permitted in Germany under certain conditions. Finland, Poland, Lithuania and Spain, on the other hand, are among the most problematic countries, the initiative says. The European Commission must take up a citizens’ initiative if it collects more than 1 million verified signatures from more than 7 member states.
[1] furfreealliance.com/fur-free-e…
Fra raid, assalti e sospetti, i lavoratori della Striscia prigionieri in Cisgiordania
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di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 19 ottobre 2023 – Gli altri abitanti di Gaza, quelli senza lavoro, li guardavano con invidia fino a un paio di settimane fa. E loro si reputavano «fortunati». Certo, andare in Israele come manovale non è quello che desidera un palestinese di Gaza che amerebbe trovare un’occupazione nella sua terra, vicino casa. Però con la disoccupazione ai livelli più alti di sempre e una famiglia da mantenere, attraversare il valico di Erez per recarsi in un cantiere a Tel Aviv o in altre città israeliane ti garantisce la sopravvivenza. Oggi quei 21mila palestinesi di Gaza in possesso del permesso di lavoro israeliano, sono tra le vittime della guerra. A migliaia sono stati, di fatto, arrestati e cacciati da Israele nelle ore successive all’attacco di Hamas il 7 ottobre e poi scaricati ai posti di blocco all’ingresso delle principali città della Cisgiordania. Sono lontani dalle loro famiglie minacciate dai raid aerei. Vivono ammassati nelle palestre e locali pubblici. E in quanto abitanti di Gaza, perciò considerati «potenziali sostenitori di Hamas», devono guardarsi dalle retate israeliane e dalla diffidenza dell’Autorità nazionale palestinese.
Ne sa qualcosa Ahmed A., 45 anni di Bani Suheila nei pressi di Khan Yunis, a sud di Gaza. «(I poliziotti israeliani) Sono arrivati nella notte tra domenica e lunedì all’alloggio che condivido con altri manovali» racconta «ci urlavano di tutto, ci colpivano con i fucili. Abbiamo preso in tutta fretta le nostre cose e in un attimo ci siamo ritrovati su di un furgone. Una volta arrivati a Qalandiya (tra Gerusalemme e Ramallah) ci hanno detto di scendere subito e di incamminarci verso il campo profughi». In quelle ore lo stesso avveniva in più punti lungo la linea verde tra Israele e Cisgiordania. L’aiuto dei palestinesi che abitano nelle aree a ridosso dei posti di blocco è stato essenziale per una prima assistenza. Poi sono intervenute le municipalità e i sindacati.
Secondo i dati in possesso tre giorni fa da Laila Ghannam, governatrice di Ramallah e al-Bireh, quasi 600 lavoratori palestinesi di Gaza si trovano a Ramallah, Hebron, Nablus e Jenin. Il numero poi è cresciuto a 2-3mila. Solo ora cominciano a trovare delle sistemazioni meno precarie. Spesso in piccoli hotel. Le forze di sicurezza israeliane dopo averli espulsi adesso li tiene sotto stretto controllo non mancando di effettuare rastrellamenti e arresti. Come è avvenuto lunedì notte a Hebron: 30 lavoratori, ospitati in un istituto professionale, sono finiti in manette. Domenica invece è stata l’Anp ad organizzare, per motivi oscuri, il «trasferimento» da Ramallah a Gerico dei manovali di Gaza. «Lo facciamo per proteggervi e a Gerico starete meglio, in locali ben attrezzati», spiegavano i poliziotti dell’Anp tra lo scetticismo dei lavoratori. Così in 300 sono scappati, preferendo stare a Ramallah da dove, pensano, sarà più facile tornare a Gaza. Quando e come però nessuno lo sa, il valico di Erez è in gran parte distrutto e non si passa mentre resta l’angoscia per le famiglie sotto i bombardamenti. Qualcuno ha appreso della morte di congiunti o dello sfollamento della propria famiglia verso il sud di Gaza.
Ieri la tv Canale 12 stimava in 4mila i lavoratori di Gaza portati in centri di detenzione israeliani. I servizi di sicurezza cercano prove di un loro coinvolgimento nel lavoro di intelligence svolto da Hamas prima dell’attacco di dieci giorni fa.
La vicenda dei manovali espulsi da Israele aggiunge un altro tassello al difficile mosaico della Cisgiordania in questi giorni dove si segue con dolore e rabbia l’attacco a Gaza. La tensione sale giorno dopo giorno. Dal 7 ottobre più di 50 palestinesi cisgiordani sono stati uccisi in quelli che l’esercito israeliano, dispiegato con migliaia di uomini sul territorio, descrive come scontri che «minacciavano la vita dei soldati». Una versione smentita dai palestinesi che parlano di militari dal «grilletto facile», che «sparano subito» e, più di tutto, accusano i coloni di aver ucciso almeno due persone, padre e figlio, nel villaggio di Qusra. La chiusura delle città palestinesi è molto rigida. A cominciare da Hebron, divisa dal 1997 in due zone, H1 controllata dall’Anp e H2 dall’esercito israeliano e dove vivono, con 25mila palestinesi, alcune centinaia di coloni legati all’estrema destra religiosa. I militari hanno chiuso i posti di blocco tra le case e quelli che conducono all’esterno. Circa mille famiglie sono sotto stretta sorveglianza e una parte di queste cercano rifugio da parenti nella H1. Issa Amro, noto attivista e coordinatore di «Gioventù contro gli insediamenti», vive nel quartiere di Tel Armida all’interno della H2. Riferisce che «l’esercito consente alle persone di lasciare le proprie case solo per un’ora ogni 48 ore nell’area tra Bab al-Zawiya fino alla Tomba dei Patriarchi. «Gli abitanti – ci ha detto – non possono andare al lavoro, gli studenti alle scuole e gli ammalati dal medico. C’è aperto solo un posto di controllo e l’attesa in fila può richiedere più di un’ora e mezza».
* questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano IL MANIFESTO
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Ministero dell'Istruzione
#Scuola, ieri al Quirinale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito il Premio “Alfieri del Lavoro” a 25 studentesse e studenti che hanno concluso la Scuola secondaria di II grado con il massimo dei voti.Telegram
Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: Presentazione della XIII Edizione della Scuola di Liberalismo di Messina e lezione del Prof. Giuseppe Gembillo sul tema “Il sofisma e la libertà”
Giovedi 19 ottobre, alle ore 11,00, presso l’Aula Cannizzaro dell’Università degli Studi, si terrà la Conferenza Stampa di presentazione della XIII edizione della Scuola di Liberalismo della Fondazione Luigi Einaudi di Messina organizzata col patrocinio dell’Ateneo e della Fondazione Bonino-Pulejo.
Saranno il direttore generale della Scuola Pippo RAO e il direttore scientifico Pippo Gembillo a presentarla.
Parteciperanno all’incontro con la Stampa: Enzo Palumbo, membro della Commissione Giustizia della Fondazione Einaudi, Edoardo Milio, responsabile relazioni istituzionali, Gabriella Sorti, responsabile del Comitato di Segreteria, Francesco Sarà, responsabile Comunicazione, Dario Mustica, rappresentante degli
studenti, i membri del Comitato organizzatore: Daniela Cucè Cafeo, Angelica Esposito, Giovanni Marino, Giuseppe Scibilia e Gianni Toscano, il Prof. Angelo Miceli e l’Avv. Giuseppe Pedullà, in rappresentanza del Liceo paritario “Empedocle”.
Saranno presenti anche i Presidenti degli Ordini professionali che hanno concesso il loro patrocinio: Architetti, Avvocati, Ingegneri, Medici e Notai.
Pippo Rao
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Firenze: Donata Bianchi e gli indigeni bianchi
Il 18 ottobre 2023 a Firenze si ciarla gazzettescamente di insurrezione in consiglio comunale da parte delle formazioni politiche "occidentaliste".
Ovviamente non insorge nessuno.
Si frigna, al limite.
Si inveisce.
Qualche volta, nei casi proprio gravi, si sbraita.
Il frignare, le invettive, lo sbraitare hanno a motivo qualche frase pronunciata da tale #DonataBianchi, eletta per il PD - #PartitoDemocratico.
Per il PD, non per l'Avanguardia Armata per la Distruzione dei Valori Occidentali.
Insomma, Donata Bianchi si è detta convinta che stanti i mutamenti demografici e la crescente presenza di individui nati fuori dallo stato che occupa la penisola italiana, sarebbe il caso di provvedere a un'estensione del #suffragio.
Apriti cielo.
Chi scrive ha una esperienza più che decennale come scrutatore, e può tranquillamente affermare che anche nelle condizioni attuali dall'affluenza mancano intere classi che non hanno motivo di interessarsi a un'offerta politica modellata su una torma di vecchi ringhiosi con la TV sempre accesa, le doppiette nella vetrinetta in soggiorno, un #cane mordace nella resede del terratetto condonato e il cartello "Attenti al cane e al padrone" che poi finisce in televisione anche quello la volta che finalmente si decidono ad ammazzare la moglie dopo aver infingardamente temporeggiato per decenni.
In queste condizioni non è certo da meravigliarsi se l'accenno a un allargamento del suffragio da parte di Donata Bianchi ha causato le ire di formazioni politiche che devono il loro successo esclusivamente al mantenimento di una pluridecennale cappa di emergenza e di allarme nutrita ogni giorno dall'intero settore gazzettiero.
In Cina e Asia – BRI Forum, la Cina promuovere una governance globale per l’IA
Belt and Road forum, la Cina promuove una governance globale per l’IA
Fukushima, la Cina partecipa allo studio su radioattività delle acque
Apple pronta a lanciare
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 13. Accordo per invio aiuti a Gaza ma proseguono i raid aerei: altre decine di vittime civili
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AGGIORNAMENTI 19 OTTOBRE
ORE 9
Da Gaza riferiscono di raid aerei intensi sin dalle prime ore del mattino che hanno ucciso almeno 33 persone a Rafah, Khan Yunis, Zahra. Le vittime appartengono alle famiglie Hassouna, Breikah e Dhahir. Israele comunica di aver ucciso Jamila Al Shanti una deputata di Hamas. Al Shanti era la vedova di Abdel Aziz al Rantisi, uno dei fondatori di Hamas.
In Cisgiordania almeno quattro palestinesi, tra cui un adolescente, sono stati uccisi da spari dei soldati nelle ultime ore nei distretti di Betlemme, Tulkarem e Ramallah.
della redazione
Pagine Esteri, 19 ottobre 2023 – Le ultime sono state ore di tensione non solo lungo le linee tra Israele e Gaza. Le forze armate dello Stato ebraico hanno colpito lungo il confine con il Liban0. Presi di mira presuni obiettivi del movimento sciita Hezbollah che ieri ha sparato un razzo anticarro contro un mezzo corazzato israeliano a Rosh Hanikra. Con il passare dei giorni l’apertura di un nuovo fronte di guerra si fa più concreta sebbene, secondo i media locali, gli Stati uniti siano tornati a premere sul governo Netanyahu affiché non lanci quello che viene definito come “un attacco preventivo” contro Hezbollah che finirebbe per far precipitare il Medio oriente in una guerra con conseguenze imprevedibili.
Terminato il viaggio di Joe Biden volto ad riaffermare l’alleanza stretta tra Washington e Tel Aviv e ad assicurare ingenti aiuti militari statunitensi a Israele, si torna a parlare dell’offensiva di terra contro Gaza che le Forze armate israeliane sarebbero ormai pronte a lanciare. I media israeliani parlano di “conclusione della fase 1” e di “inizio imminente della fase 2”. Starebbero per cominciare, in sostanza, l’invasione del nord di Gaza e altre “operazioni mirate”. Il ministro degli esteri Eli Cohen, ieri in una intervista, non ha escluso “l’annessione” di metà di Gaza allo Stato di Israele. Senza popolazione palestinese naturalmente che Israele spinge con i suoi ultimatum verso il sud di Gaza (e forse l’Egitto).
Ma si parla anche di aiuti umanitari che finalmente dovrebbero entrare dall’Egitto attraverso il valico di Rafah. Il presidente americano ha annunciato che il leader egiziano El Sisi farà passare 20 dei circa 200 autocarri in attesa con carichi di medicine e generi di prima necessità. Forse già domani dopo la riparazione parziale del terminal palestinese del valico di Rafah, danneggiato dai raid aerei d’Israele seguiti all’attacco di Hamas del 7 ottobre costato la vita a circa 1400 israeliani. Le forniture arriveranno sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Da parte sua il governo Netanyahu “non ostacolerà” le consegne dall’Egitto ma riafferma che non farà entrare alcun aiuto nella Striscia attraverso i valichi israeliani. La mezza concessione è stata accolta con rabbia dalle famiglie delle circa 200 persone prese in ostaggio da Hamas che chiedono misure punitive ancore più dure contro Gaza e i palestinesi.
Non cessano inoltre gli scambi di accuse tra Israele e i palestinesi per l’esplosione che ha devastato l’ospedale cristiano Al Ahli di Gaza city due giorni fa. Israele accusa Hamas e Jihad di aver lanciato un razzo poi caduto sulla struttura sanitaria e che l’esplosione sarebbe avvenuta nel parcheggio dell’ospedale. I palestinesi sottolineano che la potenza della deflagrazione è attribuibile solo a una bomba ad alto potenzione sganciata da un aereo. Pagine Esteri
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Oggi alle 10.30 torna L'Ora di Costituzione! Il tema della quinta lezione è su “La Magistratura” (dall'articolo 101 al 113).
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Xi (con Putin) presenta il futuro della Belt and Road
Progetti più piccoli e "intelligenti", economia green, Via della Seta digitale: la Cina apre il secondo decennio del suo progetto. E lancia una nuova iniziativa globale sull'intelligenza artificiale. Raffica di bilaterali del leader di Pechino, mentre Lavrov arriva a Pyongyang
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Hamas come l’Isis vuole distruggere Israele e l’Occidente
In questi tristi giorni in Israele e in Occidente, inizia circolare il convincimento che Hamas sia come l’Isis. Lo ha detto Joe Biden qualche giorno fa e Twitter ha ora un hashtag #hamas-isis. Purtroppo la maggioranza dei media occidentali e di coloro che li leggono non ha capito cosa sta succedendo veramente in Israele e inizia ad indignarsi per la reazione di Israele a Gaza.
Oltre a fatti ancora da confermare, come per esempio la bandiera dell’Isis addosso a terroristi di Hamas uccisi in questi giorni, l’accostamento di Hamas all’Isis oggi è gran parte il risultato della brutalità che emerge sempre più evidente man mano che si scoprono i dettagli del massacro contro i civili. Intere famiglie uccise a sangue freddo, corpi decapitati anche di bambini. La differenza con Isis è che con Isis uccisioni e decapitazioni avvenivano in diretta, ma in questo caso non era possibile e ci auguriamo di non iniziare a vederle sugli ostaggi. Donne violentate, portate in giro seminude con sangue che scorreva sulle loro gambe a testimoniare la violenza subita. Considerate come «sex slaves», come è tipico dell’Isis, e non più solo come un genere sottomesso come nella maggioranza dei Paesi arabi.
Chi conosce quel mondo capisce che questi atti abominevoli derivano da una profonda affinità ideologica tra Hamas e Isis, che risale in gran parte a una interpretazione violenta dell’Islam che ritiene legittimo uccidere gli «infedeli» che non hanno neanche diritto di essere considerati esseri umani. Atti disumani nei loro confronti sono quindi «legittimi». Non solo. Hamas è come Isis anche per le sue ambizioni che non sono solo quelle di liberare la Palestina dall’occupazione israeliana ma di «governare il pianeta» come ha detto in questi giorni uno dei comandanti di Hamas. Non diverso dall’ambizione del califfato globale di Isis che ha perseguitato tutte le minoranze religiose, compresi i cristiani e gli yazidi.
Non si tratta quindi di una lotta politica per liberare un Paese occupato ma di una lotta contro la civiltà occidentale e Israele è solo il primo passo di questa lotta. I terroristi non gridavano «morte a Israele», ma «morte agli ebrei» (di tutto il mondo) e il passo successivo è già in atto: portare il califfato ovunque, anche in quella Europa cristiana che però continua a finanziare Hamas-Isis, illudendosi che questi fondi arrivino alla popolazione palestinese. E gli attentati terroristici in Francia e in Belgio di questi giorni sono una prova che la guerra non è contro gli israeliani e gli ebrei, ma contro il mondo occidentale.
Se uno accetta questa similitudine, capisce perché, se anche ci fossero stati «due popoli e due Stati», il massacro di questi giorni non sarebbe stato evitato. Perché l’ideologia di Hamas non è quella di creare uno Stato palestinese da governare per il bene dei suoi abitanti, ma solo quella di seguire la sua ideologia, che è la stessa dell’Isis — uccidere gli «infedeli». Quando prese il potere nel 2007 sembrava interessato al welfare dei palestinesi di Gaza ma oggi è chiaro a tutti che non è così. Le centinaia di milioni di dollari di aiuti ricevuti dal Qatar e (purtroppo) dall’Europa sono andati in armi, tunnel e alle famiglie dei terroristi, non alla popolazione che è diventata uno scudo umano dietro il quale i vigliacchi di Hamas si nascondono. E in questi anni Hamas si è comportato nei confronti dei palestinesi di Gaza esattamente come Isis in Iraq e Siria, imponendo regole draconiane sulla vita quotidiana e reprimendo qualunque opposizione in modo violento. E purtroppo ha potuto farlo perché la alternativa di leadership palestinese, quella della West Bank, si è rivelata corrotta ed incapace, non per colpa di Israele.
Per tutto ciò, il benessere futuro dei palestinesi di Gaza dipende dall’annientamento di Hamas da parte di Israele e coloro ai quali esso sta a cuore debbono appoggiarlo, esattamente come una coalizione globale guidata dagli Usa ha annientato Isis in Siria e Iraq in una guerra che nel 2019 l’Osservatorio per i diritti umani ha stimato avere causato 500 mila morti.
La vera «primavera araba» comincia adesso e non con la mobilitazione contro gli ebrei del milione di arabi israeliani come incita Hamas-Isis. Gli arabi israeliani sono invece il riferimento al quale tutti gli arabi della regione dovrebbero aspirare: alto reddito pro-capite, bassa mortalità infantile, alto tasso di istruzione, alta percentuale di donne istruite che lavorano — la maggior «parità di genere» in Medio Oriente. Ed è a questo modello che dovrebbero ispirarsi gli arabi, non a quello di un Hamas-Isis che decapita i bambini. E se lo faranno, allora i leader mediorientali in Iran, Turchia, Qatar che si propongono come nuovi califfi non avranno futuro perché le masse di arabi e musulmani moderati volteranno loro le spalle. E forse arriverà una leadership anche per i palestinesi con la quale Israele riuscirà finalmente a pensare a «due popoli due Stati».
L'articolo Hamas come l’Isis vuole distruggere Israele e l’Occidente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Iniziamo il 7 novembre alle 16
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Strumenti open per un mondo più equo - Scuola futura - PNRR
Questo percorso formativo è incentrato sul concetto di "open/aperto" nell'educazione, considerando le diverse declinazioni di contenuti e applicazioni aperte e l'adozione di metodologie didattiche, dati e scienza aperti.scuolafutura.pubblica.istruzione.it
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Da est a sud, alle tecnologie dirompenti. Così la Nato si prepara alle sfide
In uno scenario internazionale in continuo mutamento è fondamentale riflettere sul ruolo attuale e futuro della Nato, sulla postura dell’Unione europea, e in modo più ampio, comprendere lo stato delle relazioni transatlantiche. Analogamente, è essenziale analizzare le sfide che attendono l’Alleanza e l’Unione, dalle minacce ibride a quelle convenzionali. Questi i temi trattati nel corso di due panel, moderati dal direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe, e l’onorevole Paolo Alli, segretario generale della Fondazione De Gasperi, durante la prima giornata della terza edizione dei Security and Defence Days, iniziativa organizzata proprio dalla Fondazione De Gasperi, insieme al Wilfried Martens Centre for European Studies, in collaborazione con la Nato Public diplomacy division e Regione Lombardia e in media partnership con Formiche.
Quali sfide per la Nato
Il vertice Nato di Vilnius ha tratteggiato “una terza fase nella storia ed evoluzione dell’Alleanza”, ha affermato Nicola De Santis, head Engagement section della Public diplomacy division della Nato, poiché “le decisioni prese hanno rappresentato l’ulteriore adattamento dell’Alleanza ad un contesto strategico globale che è in rapida trasformazione”. Il ritorno della guerra nel continente europeo con il conflitto russo-ucraino ha dato un nuovo slancio al ruolo della Nato. Oggi l’Alleanza si trova ad affrontare nuove sfide, come la guerra ibrida, l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito militare o l’applicazione delle tecnologie quantistiche. Ma anche l’uso sempre maggiore da parte di Russia e Cina di mezzi di carattere politico, economico o sociale come forma sia di coercizione che di dipendenza negli altri Paesi e, in ultimo, come strumento di guerra.
Le faglie di tensione nel mondo
Il senatore Marco Dreosto, membro della commissione Affari esteri e difesa, ha invece sottolineato il lavoro che si sta svolgendo per riportare il tema della difesa al centro del dibattito politico e che “il posizionamento geopolitico italiano resta invariato nella cornice strategica dell’Alleanza e accanto ai partner tradizionali”. Oltre al confine est europeo, anche altre faglie destano profonda preoccupazione. Il recente attacco di Hamas contro Israele ha riacceso i riflettori sulla zona del Mediterraneo. Ma guardando verso l’Asia e la zona dell’indopacifico, in particolare lo Stretto di Taiwan, preoccupano anche le interconnessioni tra le potenze autocratiche come Cina, Iran e Russia che ad oggi usano strumenti di disinformazione e propaganda per destabilizzare i Paesi democratici.
Il futuro della difesa europea
Per Angelino Alfano, presidente della Fondazione De Gasperi, “l’Europa si rivede nella dimensione transatlantica in modo del tutto coerente con gli ideali degasperiani”. Ma il primo presidente del Consiglio della Repubblica italiana credeva molto anche nell’idea di un progetto di difesa comune europea, che non ha ancora mai visto la luce. Il Vecchio continente è circondato da uno spazio geopolitico in tensione che dal Caucaso si estende fino all’Africa. “È in questo contesto che l’Europa deve domandarsi che tipo di attore vuole essere nello scacchiere internazionale”, ha ricordato il Presidente. La storia insegna che per essere rilevanti negli scenari globali è fondamentale possedere un sistema di deterrenza. Di conseguenza, il dibattito europeo dovrebbe includere anche il ruolo che l’Unione vuole avere nel campo della difesa all’interno della cornice dell’Alleanza atlantica.
Contro la paralisi cerebrale Nato
“L’ Europa è una costruzione politica dove il sogno della difesa comune non è fine a se stesso, ma è lo strumento essenziale per realizzare lo stesso fine politico europeo” così ha esordito l’ambasciatore Marco Peronaci, Rappresentante permanente d’Italia presso la Nato, ricordando l’attuale rilevanza del pensiero degasperiano. In questo quadro, ha continuato il rappresentante alla Nato, “la Nato è uno strumento di forza europeo”, pertanto diventa cruciale coadiuvare gli sforzi dell’Alleanza con quelli dell’Unione. A questo proposito, è fondamentale che la Nato superi quella che è stata definita una “paralisi celebrale” sostenendo l’impegno di sicurezza globale statunitense attraverso un più forte coordinamento con il G7 e il G7 plus attraverso i security commitments.
Rafforzare la base industriale
Sulla necessità di rafforzare la cooperazione e gli sforzi comuni tra Ue e Nato si è detto d’accordo anche il contrammiraglio Pietro Alighieri, senior advisor del segretario generale della Difesa, sottolineando l’importanza di incrementare la coordinazione industriale tra i Paesi membri. Infatti, secondo l’ammiraglio, “dobbiamo evolvere in una relazione diversa dove industria e difesa vanno a braccetto in un’intima connessione verso il futuro” in modo da raggiungere la desiderata sovranità tecnologica. La Nato, come ricordato da Alighieri, si è già mossa in questo senso attraverso il progetto Diana e il Nato Investment fund, piani essenziali per garantire stabilità e certezza degli investimenti attraverso il supporto alle start-up dual use e gli investimenti in tecnologie deep tech.
Collaborazione pubblico-privata
Rafforzare gli investimenti tecnologici è cruciale anche secondo Walter Renna, ceo di Fastweb, soprattutto a causa di quello che potrebbe essere definito “il paradosso italiano”. Come illustrato dall’amministratore delegato, l’Italia è un Paese soggetto a un numero considerevole di attacchi phishing a causa della scarsa alfabetizzazione tecnologica della popolazione, ma caratterizzato dalla presenza di diverse eccellenze nel settore che però hanno difficoltà a trovare personale specializzato per via del numero ridotto di laureati in discipline Stem. Di conseguenza, secondo il Ceo, il rapporto tra le telecomunicazioni e la Difesa si fa sempre più stretto e un’azienda leader del settore come Fastweb “vuole contribuire alle sfide di difesa italiane” occupandosi di cyber-sicurezza. È quindi fondamentale porre l’innovazione al centro degli sforzi di sicurezza del Paese, attraverso ulteriori investimenti in quantum computing e crittografia.
Manifestarsi
In Francia e in Germania hanno proibito le manifestazioni a favore della causa palestinese. Sono manifestazioni che utilizzano il popolo palestinese quale ostaggio verbale, come Hamas lo usa quale ostaggio materiale. Alla Fiera di Francoforte hanno deciso di sospendere la consegna di un riconoscimento a una scrittrice palestinese, conosciuta per le sue tesi anti israeliane. Si tratta di due errori. Le manifestazioni non si proibiscono (salvo che non ricorrano specifici problemi di ordine pubblico) e i premi assegnati si consegnano (semmai interrogandosi sui criteri d’assegnazione). Il perché non si trova soltanto nel generico e pur importante fatto che noi siamo il mondo libero e difendiamo la libertà dei nostri avversari e di chi la pensa diversamente da noi, ma risiede nella convenienza: le ragioni della civiltà non devono temere le parole di chi le mette in discussione, non devono avere timore.
È facile osservare che manifestazioni a favore della (presunta) causa palestinese sono possibili nelle nostre strade, mentre non lo è vederne a favore di Israele in Cina o in Russia. Il che vale anche per la libertà di culto: è facile trovare moschee dalle nostre parti, meno trovare chiese in tante (non tutte) aree musulmane. Vero, ma non c’è un solo buon motivo per cui si debba aspirare ad assomigliare al peggio essendo il meglio.
Non è saggio togliere la parola, lo è darla. E ritrovarla. Gli estremisti si amano fra di loro e si scambiano vicendevolmente la legittimazione: esisto e sono violento perché c’è quell’altro che esiste ed è violento; tolgo la parola perché quell’altro non riconosce la libertà di parola; affermo essere unica la mia identità religiosa perché quell’altro vuole che sia unica la sua. Sono colleghi. Il che capita anche in politica ed è la ragione per cui le piazze d’Israele erano piene di vita e opposizione, prima che Hamas le riempisse di morte: il governo provava a svellere i cardini del diritto, cercando la forza nel perdurare del nemico alle porte. Finché il nemico le ha sfondate. Gli estremisti collaborano fra loro, li si combatte collaborando fra ragionevoli.
Il guaio è che gran parte dei ragionevoli rinunciano alla parola o la danno per scontata. Invece si potrebbe perderla, continuando a dire che sono “tantissimi” i manifestanti anti occidentali, mentre sono ben più numerosi i cittadini della libertà. Il guaio è lasciare la piazza agli estremisti. Compresa la piazza digitale. Invece non si dovrebbe mai lasciare senza replica, non si dovrebbe mai smettere di esporre le proprie idee e richiamare i fatti. Questo è il modo per combattere i nemici della storia.
Una digressione su casa nostra. Per ricordare l’infamia del 16 ottobre 1943, quando la comunità ebraica di Roma fu rastrellata e inviata alla morte, la presidente del Consiglio ha detto che si tratta di «uno dei crimini più efferati che la storia italiana abbia conosciuto», perpetrato dai «nazisti con la complicità fascista». Lo sapevamo già, ma va sottolineato un miliardo di volte e vanno valorizzate le parole di chi è cresciuto sulla scia dell’ammirazione verso il fascismo. O vogliamo essere così ipocriti da negare il valore di quelle parole e il disvalore di quella provenienza? Si deve essere ottusi per non capire che la giusta posizione di politica estera del governo italiano, sia sulla questione ucraina che su quella israeliana, discende dall’avere rinnegato quell’orrida radice. E si deve essere ciechi per non accorgersi che nel governo ci sono diverse posizioni. Così come nell’opposizione. La parola serva a non tacerlo.
Israele è un bastione della libertà occidentale, come l’Ucraina è una trincea della sicurezza occidentale. Né Israele né l’Ucraina sono la perfezione, perché la perfezione è dei pazzi assassini, invasati e mistici. Ma l’attacco a Israele e all’Ucraina viene dai nemici del nostro mondo. A quanti, in casa nostra, si schierano da quella parte non va tolta la parola: vanno ricoperti di parole, colpo su colpo, senza nulla concedere.
La Ragione
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Il Ministero dell'Istruzione e del Merito e l'Accademia della Crusca organizzano il Corso di didattica di Italiano "Le parole dell'italiano: idee e pratiche efficaci per insegnare e apprendere il lessico".
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola Il Ministero dell'Istruzione e del Merito e l'Accademia della Crusca organizzano il Corso di didattica di Italiano "Le parole dell'italiano: idee e pratiche efficaci per insegnare e apprendere il lessico".Telegram
Carri, missili e caccia del futuro. Cosa c’è nel Dpp di Crosetto
L’impiego delle Forze armate prioritariamente nelle missioni di pace e stabilizzazione è un lusso che l’Italia non può più permettersi. Apre così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, il Documento programmatico pluriennale (Dpp) con la quale il dicastero presenta le previsioni di spesa necessario per l’anno corrente e il prossimo triennio. A segnare questo nuovo Dpp c’è soprattutto il “deterioramento del quadro generale di sicurezza”, che impone un ripensamento di come lo strumento militare è stato impiegato finora, tornando a essere “il principale baluardo in termini di difesa e deterrenza da tutti i tipi di minacce, presenti e future, che la nostra Nazione si potrebbe trovare ad affrontare e che possono mettere a rischio i nostri interessi nazionali”, indica il ministro nella sua introduzione al documento. Nel testo, vengono infatti presentati 193 programmi di procurement, a cui si aggiungono 33 programmi di ammodernamento delle Forze armate che riceveranno l’ulteriore impulso del Fondo relativo all’attuazione dei programmi di investimento pluriennale per le esigenze di difesa nazionale, in Legge di Bilancio 2023.
Il budget
La dotazione complessiva per il 2023 della Difesa ammonta a 27 miliardi e 748 milioni di euro, una cifra pari all’1,38% del Pil. Una crescita di un miliardo e ottocento milioni rispetto a quella dell’anno scorso, fissata a 25 miliardi e 900 milioni, e un’inversione di tendenza rispetto a quanto previsto sempre per il 2023 nel Dpp del ’22 (che prevedeva per l’anno in corso 25 miliardi e 492 milioni). Nel nuovo documento, invece, per il 2024 e il 2025 si prevede un investimento di 27 miliardi e 278 milioni e 27 miliardi e 485 milioni rispettivamente. Cifre importanti, ma che segnalano un rapporto con il Pil pari all’1,30% e all’1,26%. Naturalmente, queste cifre dovranno poi essere riviste nelle successive previsioni di bilancio. Nonostante questo, il ministro è categorico: “Non devono esserci dubbi in merito alla necessità di proseguire nel percorso di adeguamento ed incremento del bilancio della Difesa, per affrontare le nuove sfide e per rispettare gli impegni assunti in ambito Nato: siamo infatti ancora lontani dall’impegno di conseguire una spesa per la Difesa pari al 2% del Pil entro il 2028”, data da sempre prevista, e confermata da governi di diverso colore, come quella entro la quale il nostro Paese dovrà raggiungere il traguardo.
Lo scenario strategico
Il Documento, inoltre, recepisce anche il Concetto strategico del capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che delinea il complesso quadro operativo nel quale le Forze armate sono chiamate oggi a operare. “La sicurezza dell’Italia e della comunità internazionale – scrive il capo di Smd – è divenuta più complessa” e lo scenario geopolitico attuale è caratterizzato “da articolate dinamiche di competizione strategica accelerate dalla crisi ucraina”. Tutto questo “colloca in una posizione di rinnovata centralità e rilevanza il cosiddetto Mediterraneo Allargato, quadrante di primario interesse strategico per l’Italia e spazio ove criticità dalle radici storiche si intersecano a minacce ibride, a conflitti di intensità variabile ed a confronti multidominio”. E la crisi in Israele non fa che confermare quanto descritto.
Rinnovamento delle forze pesanti: carri…
Quello che emerge dai numeri e dalle impostazioni del Dpp è lo sforzo di ammodernamento e potenziamento dello strumento militare, chiamato ad affrontare il ritorno della sfida convenzionale nell’orizzonte delle minacce, e per la quale le Forze armate devono essere messe nelle condizioni di affrontarla. Uno sforzo che segue anni di focus sui conflitti a bassa intensità e operazioni di contro-insorgenza. Tra i principali gap individuati, e da tempo segnalati dall’intero comparto militare, c’è l’adeguamento della componente pesante delle forze di terra in ogni sua parte, che infatti registra la maggior parte dei programmi di previsto avvio (budget complessivo di quattro miliardi e 623 milioni), a cominciare dal già annunciato acquisto dei carri armati da battaglia Leopard 2, e varianti, dalla Germania, per i quali sono stati stanziati due miliardi e 624 milioni. Ma quello del main battle tank non è il solo programma.
… e missili
Per l’esercito infatti è previsto il rinnovamento dell’intera capacità di combattimento forze pesanti attraverso l’acquisizione di un sistema di sistemi (famiglia di piattaforme) per la fanteria pesante (Armored infantry combat system), incentrato su una famiglia di piattaforme sia combat (Armored infantry fighting vehicle) sia di supporto (posto comando, controcarro, esploranti, porta-mortaio, genio guastatori, esploratori, contraereo, portaferiti, portamunizioni, scuola guida). Inoltre, anche la componente contraerea e d’artiglieria vengono prese in considerazione. Circa 175 milioni saranno dedicati alla nuova generazione di missili spalleggiabili contraerei Vshorad, mentre un fabbisogno complessivo di 960 milioni (al momento finanziati solo con 137 milioni distribuiti in sette anni) è previsto per l’ampliamento della capacità d’artiglieria mediante l’acquisizione di 21 sistema di artiglieria lanciarazzi Himars, oltre al munizionamento e al supporto logistico.
L’impegno del Gcap
Tra tutte le singole voci, però, quella con il finanziamento più alto è, come prevedibile, quello per il caccia di sesta generazione Global air combat programme (Gcap), con oltre cinque miliardi di euro in bilancio. Per il Dpp, “La partecipazione della Difesa al programmainsieme a Uk e Giappone, garantirà all’Italia l’esclusivo accesso ad un progetto destinato ad avere risvolti non solo nell’ambito tecnologico militare ma anche a favore della crescita sistemica delle filiere produttive operanti nel settore della digitalizzazione”, definendo il progetto un “piano di naturale estensione all’intero Sistema-Paese”. L’onere finanziario è estremamente importante per il budget della difesa, e il programma ha infatti ricevuto una “necessaria integrazione attraverso risorse a “fabbisogno” recate dalla legge di bilancio del 2023”. Di fronte a questo investimento, sarà perciò fondamentale assicurarsi, attraverso la cooperazione tra governo, Difesa, istituzioni e, soprattutto, industria, che i ritorni per l’Italia siano adeguati al livello di impegno previsti. L’intero settore che partecipa al Gcap, quindi, è chiamato a sostenere le ambizioni dell’Italia all’interno del programma.
📌 Dal 26 al 28 ottobre a Bologna, presso Opificio Golinelli, si terrà un seminario sull’insegnamento di Matematica e Scienze nella Secondaria di I grado, promosso dal MIM.
La tre giorni sarà introdotta, il 26 ottobre alle 14.
Edward Said ha letto nella Storia il futuro della Palestina
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Pagine Esteri, 18 ottobre 2023. Riproponiamo questo articolo su Edward Said scritto nel 2021, dopo i disordini avvenuti in Cisgiordania e a Gerusalemme, seguiti dai bombardamenti israeliani della Striscia di Gaza. Nel mese di maggio le proteste per gli espropri di case palestinesi a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme, si sono trasformati in scontri con la polizia israeliana. All’aggressione dei fedeli nella Moschea di Al Aqsa a Gerusalemme ha fatto seguito un lancio di razzi da Gaza verso Israele da parte di Hamas e della Jihad Islami che ha ucciso 13 israeliani. L’esercito ha bombardato Gaza, causando circa 250 morti.
di Eliana Riva
Pagine Esteri, 26 luglio 2021 – “L’unica decisione che sarà necessario prendere per quanto riguarda la conoscenza della Storia è se dovremo insegnarla dall’indietro in avanti o da avanti all’indietro” (Tertuliano Màximo Afonso).
Si potrebbe cominciare raccontando del caprone e dell’acro di Weizmann oppure dell’ultima escalation militare, quella dello scorso maggio, tra Israele e Hamas; si potrebbe partire da Sheikh Jarrah o dall’occupazione israeliana del 1967. È complicato individuare un altro storico, scrittore, intellettuale che sia tanto legato al suo tempo e al suo luogo pur riuscendo ad attraversarli, superarli e ritornarvi.
Nel 1996 Edward Said scriveva, in uno dei suoi interventi meno pessimisti sul futuro, che “La scommessa stava nel trovare un modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani ma come cittadini a pari diritto in una stessa terra”.
All’inizio di luglio la Corte Suprema israeliana ha decretato la legittimità della cosiddetta Legge fondamentale o legge Stato-Nazione, che la Knesset aveva approvato nel 2018. Ha rigettato le obiezioni di chi riteneva che questa legge non fosse democratica e rispettosa delle minoranze. La legge Stato-Nazione è il provvedimento che sistema giuridicamente e rende legale la definizione di Israele come Stato della nazione Ebraica. Lo stato degli ebrei.
In Israele circa il 21% della popolazione è composta da arabi, dai palestinesi. La legge Stato-Nazione dichiara che “l’adempimento del diritto all’autodeterminazione nazionale nello stato di Israele è unico per gli Ebrei” e fa esplicito riferimento alla Terra d’Israele quale patria storica degli ebrei. La Terra d’Israele così intesa è la Palestina storica, tutta la regione, quindi che comprende ora Israele e i Territori Palestinesi Occupati. E la norma vi promuove lo sviluppo dell’insediamento ebraico.
Cosa significa tutto questo?
Quando si analizzano le leggi, i regolamenti e le decisioni politiche e giuridiche in Israele, anche quelli più recenti, è necessario tener sempre bene a mente che nella stragrande maggioranza dei casi sono in completa continuità con un progetto pensato, scritto e sostenuto molti anni fa, almeno un secolo. Come le altre, dunque, la legge Stato-Nazione non fa altro che formalizzare una direzione e un progetto che Israele o meglio, l’Organizzazione Mondiale Sionista, aveva già ben chiaro in mente, prima ancora della nascita dello Stato ebraico. Certo, la legge Stato-Nazione in un certo senso legalizza l’apartheid e la discriminazione, ma non ne decreta certo la nascita. Il Jewish National Fund, l’organismo autorizzato a comprare la terra e a gestirla in nome e per conto dell’intero popolo ebraico, è nato nel 1901 e ha cominciato ad acquistare terra nel 1905. Acquistava e affittava terre solamente per gli ebrei. Lo sviluppo dell’insediamento ebraico ne era già l’obiettivo. Perseguito poi negli anni, fino all’occupazione delle case e dei terreni dei profughi palestinesi del 1948, ai quali è stato negato il diritto al ritorno sancito dalle leggi internazionali, e ai quali non è consentito reclamare la proprietà di quelle terre, cosa permessa invece agli ebrei.
Il progetto è stato portato avanti anche in seguito, con gli espropri, con l’espansione delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati, con la Legge degli assenti, con la politica demografica, il divieto al ricongiungimento familiare e così via.
“Il successo del sionismo – dice Edward Said – e la sua efficacia a superare la resistenza arabo-palestinese, sta nel suo essere una politica attenta ai minimi dettagli e non semplicemente una generica visione colonialista. Quindi la Palestina, già dal principio, era un territorio con le sue caratteristiche che fu studiato fino all’ultimo millimetro per pianificarne la colonizzazione, fino ai minimi particolari”.
E il progetto sionista poteva essere realizzato solo centimetro per centimetro, passo per passo. “Un altro acro, un altro caprone” come disse appunto Weizmann, il primo presidente dello Stato d’Israele.
E i palestinesi? Said scrive “gli arabi non hanno saputo rispondere a questo progetto. Forse perché credevano che bastasse il fatto che vivevano lì e possedevano quelle terre”.
Chaim Weizmann
Ma come è potuto accadere che un piano tanto ambizioso e complicato venisse nei fatti realizzato e che anzi sia dopo un secolo in avanzatissima fase attuativa, con gli espropri a Gerusalemme Est, le colonie in espansione, la distruzione dei villaggi beduini, eccetera?
Sono stati di fondamentale importanza i negoziati di pace e il ruolo di giudice assegnato agli Stati Uniti d’America. Said ha letto con estrema lucidità ciò che per molti è diventata un’evidenza solamente dopo molti anni: il Processo di pace aveva il compito di dare maggiore sicurezza e terra a Israele, non di restituirla ai palestinesi.
Come? Con il principio dello status quo, la politica del fatto compiuto, the facts on the ground li chiamano durante i negoziati gli israeliani e i palestinesi. Ha assunto un’importanza totalizzante nel processo di espansione israeliano. Ed è sempre in quest’ottica che si devono guardare i continui espropri di case palestinesi a Gerusalemme Est e gli avanzamenti degli outpost e delle colonie israeliane nei Territori Palestinesi Occupati.
Said aveva già nel 1996 scritto di quanto il concetto dello status quo venisse sistematicamente distorto dai governi israeliani, con il supporto dei negoziatori statunitensi. “Un tempo voleva dire non rinunciare alle posizioni raggiunte, scrive, ma oggi significa derubare aggressivamente il proprio partner di pace (con il suo aiuto) per assicurarsi a sue spese nuovi profitti”.
Ottenere più che si può, tutto quello che è possibile prima di essere, eventualmente, costretti a fermarsi.
Questa è la politica dello status quo, di cui parlava Said. Ed è molto più semplice perseguirla se ci si presenta puntuali agli appuntamenti per i negoziati di pace.
Edward Said aveva compreso perfettamente che spezzettare i negoziati in fasi propedeutiche e fasi conclusive, tutte anticipate dalla firma dell’OLP, avrebbe significato arrivare, una volta giunti alla fase sullo Status definitivo, a non poter più negoziare niente. Perché i palestinesi non avrebbero avuto più nulla da contrattare, avendo sottoscritto già tutto prima, senza chiedere garanzie sulle tematiche fondamentali: Gerusalemme, i profughi, gli insediamenti.
Yitzhak Rabin e Yasser Arafat
Era l’8 novembre 1995. Le trattative sullo Status definitivo non erano ancora cominciate ma Edward Said poteva già prevedere con estrema precisione dove si sarebbe andati a finire.
Le trattative sullo Status definitivo partivano da ciò che era accaduto durante la fase precedente. Tutto ciò che era stato firmato e accettato dall’OLP diventava ora una carta da scambiare per Israele. E l’OLP aveva accettato la presenza dei coloni ad Hebron, l’espansione dei terreni confiscati a Gerusalemme, le ragioni di “sicurezza” dei coloni e poi il territorio spezzettato, la costruzione delle infrastrutture per collegare gli insediamenti, cose che hanno ristretto sempre più un territorio palestinese diventato pian piano troppo piccolo per poter accogliere i rifugiati del 1948, altra cosa sulla quale, quindi, diventava impossibile negoziare.
Ecco allora l’importanza della politica del fatto compiuto e il fallimento totale dei negoziati di pace: i palestinesi provano a far partire la negoziazione dai confini riconosciuti dalla legislazione internazionale ma gli israeliani, invece, continuano a far presente che le cose sono cambiate, che non si può negoziare su qualcosa che non esiste più ma si deve partire dai Facts on the ground, dalla realtà territoriale come è in quel momento. Ed è per questo che la realtà territoriale deve essere cambiata di continuo e in fretta da Israele, per questo non si può fermare la costruzione delle colonie, per questo non si possono bloccare gli espropri, né prima, né durante, né dopo i negoziati di pace.
Per i palestinesi questo vuol dire dover riconoscere le colonie illegali israeliane e le infrastrutture che le collegano e provare a trovare un accordo tuttalpiù su un semplice scambio di terra, nel tentativo disperato di riuscire ancora a dare una qualche continuità a quello che dovrebbe, che poteva essere uno stato palestinese.
La realtà, però, è ben peggiore: pur accettando di partire dai dati di fatto, pur accogliendo tutte le precondizioni poste dai negoziatori israeliani, i palestinesi non hanno mai avuto, già da Oslo, una reale possibilità di trattare qualcosa. E “l’inganno”, come lo ha definito Edward Said, è saltato fuori per intero negli ultimi anni, quando l’Autorità Nazionale Palestinese ha concesso tutto ciò che poteva, ha accettato il ritorno di un numero simbolico di profughi, chiesto solo un piccolo scambio di terre in cambio del riconoscimento delle colonie, consegnato gran parte di Gerusalemme est ad Israele. “Lo apprezziamo molto. Grazie ma no grazie” hanno risposto gli israeliani, salvo poi prendersi con la forza degli espropri, un po’ alla volta, quello che i palestinesi gli avevano proposto di scambiare. L’inganno è venuto fuori ancora una volta a settembre del 2020, con la firma degli “Accordi di Abramo”, una normalizzazione, soprattutto economica e militare tra Israele e alcuni paesi arabi che è solo l’ufficializzazione di ciò che già avveniva nonostante la Palestina, nonostante i palestinesi.
Benjamin Netanyahu, Barack Obama e Abu Mazen
“Per l’Autorità Nazionale Palestinese ogni cosa, inclusi i diritti umani, va sacrificata alla pia immagine del processo di pace”, Said non riusciva a comprendere come fosse possibile che l’Olp e l’ANP poi avessero accettato di negoziare senza alcuna garanzia sulle questioni fondamentali, la cui discussione veniva anzi spostata ad una fase “definitiva” dei negoziati stessi. “Arrivati a quella fase non avrete più niente da negoziare”, diceva Said, e così è stato.
Le critiche di Said all’Olp di Arafat e all’ANP sono state spietate e, ancora una volta, profetiche. Hanno previsto una subalternità e una debolezza sempre crescenti, il meccanismo perverso che, una volta innescato, ha incastrato i suoi rappresentanti nella maniera dualistica e manichea che conosciamo: santi negoziatori o diavoli terroristi. Non è più esistita una via di mezzo. Le contestazioni e le manifestazioni che stanno attraversando in queste settimane la società palestinese sono lo strascico di un lungo processo di decostruzione e allontanamento della leadership palestinese dal popolo che dovrebbe rappresentare.
Insomma, attraverso a Edward Said la storia della Palestina si può leggere e comprendere sia dall’indietro in avanti che da avanti all’indietro, perché come diceva Tertuliano Màximo Afonso attraverso la penna di José Saramago, “parlare di un presente che ogni minuto ci scoppia in faccia, parlarne tutti i giorni dell’anno mentre si risale navigando nel fiume della Storia fino alle origini, o lì nei pressi, sforzarci di comprendere sempre meglio la catena di avvenimenti che ci ha portato dove stiamo ora, questa è ben altra musica, dà un mucchio di daffare, richiede costanza nell’applicazione, bisogna mantenere sempre la corda tesa, senza rotture”.
E della Storia Said si era fatto un’idea precisa e finanche spietata: “La storia, ahimé, è un arbitro crudele dei popoli piccoli e sproporzionatamente deboli. La pace va fatta tra uguali, ed è proprio questo che [qui] non funziona”.
- Edward Said, La questione palestinese, il Saggiatore, Milano, 2001
- E. Said, Fine del processo di pace. Palestina/Israele dopo Oslo, Feltrinelli, Milano, 2002.
- E. Said, La pace possibile. Il testamento politico del grande intellettuale palestinese, il Saggiatore, Milano, 2005
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Il 19 ottobre torna l’appuntamento mensile con L'Ora di Costituzione!
L'iniziativa sostenuta dal Senato prosegue con il ciclo di incontri per illustrare i principali articoli della Carta agli studenti.
In Cina e Asia – Xi presenta il nuovo corso della Belt and Road
I titoli di oggi: Belt and Road forum, Vladimir Putin arriva in Cina Chip war, nuove limitazioni in arrivo dagli Usa Per la prima volta i Five Eyes accusano pubblicamente la Cina di spionaggio Cina, una commemorazione di basso profilo per i 110 anni di Xi Zhongxun Cina, sempre più limitazioni ai viaggi all’estero di dipendenti statali e banchieri Cina-Australia, ...
L'articolo In Cina e Asia – Xi presenta il nuovo corso della Belt and Road proviene da China Files.
Chat control vote postponed: Huge success in defense of digital privacy of correspondence!
Tomorrow, Thursday 19 October, the Justice and Home Affairs Council will not adopt its position EU regulation on “combating child sexual abuse”, the so-called chat control regulation, as planned, which would have heralded the end of private messages and secure encryption. This is because there is currently not the required majority for the highly controversial and unprecedented regulation. Germany, Austria, Poland and Estonia, among others, are clearly positioning themselves against the current draft, but France also has questions. This is now the second time that the planned vote has been postponed.
Pirate Party MEP, digital freedom fighter and negotiator for his group in the European Parliament, Patrick Breyer, cheers:
“Without the commitment and resistance of countless individuals and organizations in Europe, the EU governments would have decided tomorrow in favour of totalitarian indiscriminate chat control , buried the digital privacy of correspondence and secure encryption. The fact that we have prevented this for the time being should be celebrated! I am particularly pleased that the multi-million Euro professional lobbying and disinformation campaign by a network of the EU Commission and supposed child protection lobbyists has failed for the time being.
Now the critical governments should finally do their homework and agree on joint demands . It is not enough to be against chat control. The suspicionless, error-prone screening of private messages is the most toxic part of the draft regulation, but the problems go far beyond that. We therefore need a new approach that focuses on preventive child protection instead of mass surveillance and paternalism! The last ‘compromise proposal’ of the Council Presidency must be fundamentally revised in at least 5 points:
- No suspicionless chat control: Instead of blanket message and chat control, the judiciary should only be able to order searches of the messages and uploads of suspects. This is the only way to avoid a disproportionate mass surveillance order inevitably failing in court and achieving nothing at all for children. There must also be no untargeted ‘voluntary chat control’ by Internet corporations.
- Protect secure encryption: So-called client-side scanning to infiltrate secure encryption must be explicitly ruled out. General declarations of support for encryption in the text of the law are worthless if scanning and extraction take place even before encryption. Our personal devices must not be perverted into scanners.
- Protect anonymity: Remove mandatory age verification by all communications services to save the right to communicate anonymously. Whistleblowers risk being silenced if they have to show ID or face to the communications service before leaks.
- Deleting instead of blocking: Instead of trying and failing to block exploitative postings via access providers or search engines, it should become mandatory for hosters and law enforcement to delete or have deleted reported exploitative postings at the source.
- No app censorship for young people: It is completely unacceptable to exclude young people from apps such as Whatsapp, Instagram or games in order to protect them from grooming. Instead, the default settings of the services must become more privacy-friendly and secure. The push for suspicionless chat control is unprecedented in the free world. It divides child protection organizations, abuse victims, other stakeholders, the Parliament and the Council. It’s time for a fresh start that relies on consensus. I am convinced that we can protect children and all of us much better with a new approach.”
Anja Hirschel, top candidate of the Pirate Party for the European Election 2024, comments:
“The push for indiscriminate chat control is a profound attack on our privacy and unprecedented in the free world. It divides child protection organizations, abuse victims, other stakeholders, the Parliament and the Council. It is time for a fresh start that builds on consensus. I am convinced that we can protect children and all of us much better with a new approach. And we can do it without sacrificing our fundamental liberties.”
Meanwhile, negotiations in the European Parliament will continue tomorrow with what is likely to be the final round of negotiations. On October 25, EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson will have to answer to the LIBE Committee in the wake of the chat control lobbying scandal.[1] Already on October 26, the Home Affairs Committee (LIBE) is expected to vote on the European Parliament’s position and give a trilogue negotiating mandate, without a plenary vote by all MEPs planned. By the next EU interior ministers’ meeting in December, EU governments could then also have agreed on a position.
[1] patrick-breyer.de/en/breyer-on…
Breyer’s information portal on chat control: www.chatcontrol.eu
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LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 12. Ospedale bombardato, è scontro sulle responsabilità, palestinesi insistono: “è stato Israele”
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Pagine Esteri, 18 ottobre 2023. Ieri sera il bombardamento dell’ospedale al-Ahli di Gaza City ha causato almeno 500 morti. Alcuni portavoce israeliani hanno dapprima rivendicato l’attacco, come ha fatto Hananya Naftali, portavoce social del premier israeliano Banjamin Netanyahu, che dopo l’esplosione all’ospedale ha pubblicato un messaggio sul suo canale Telegram in cui ha scritto: “L’aeronautica israeliana ha colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. Molti terroristi sono morti. È straziante che Hamas lanci razzi da ospedali, moschee, scuole e utilizzi i civili come scudi umani”.
Dopo qualche ora, però, le forze armate israeliane hanno negato di aver svolto un’operazione militare sull’ospedale e hanno rilasciato la propria versione ufficiale, secondo la quale sarebbe stato un razzo della Jihad Islami, sparato da Gaza, a cadere per errore sulla struttura che ospitava migliaia di feriti, compiendo una strage.
Questa mattina il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha rilasciato una dichiarazione: “Secondo la nostra intelligence, Hamas ha controllato i rapporti e ha capito che si trattava di un errore della Jihad islamica palestinese, quindi ha lanciato una campagna mediatica globale con un numero gonfiato di vittime“.
L’Ambasciatore Palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, ha accusato il presidente Netanyahu di essere un bugiardo: “Il portavoce israeliano dell’esercito ha emanato una settimana fa un ordine che diceva di evacuare l’ospedale perché era un obiettivo. E infatti lo hanno colpito una settimana fa. Hanno detto ‘evacuate altrimenti vi colpiamo’ e così hanno fatto. È inutile inventare storie”.
Quando la notizia della strage ha cominciato a diffondersi, manifestazioni e proteste si sono tenute in Cisgiordania e in diversi Paesi Arabi. A Ramallah i dimostranti hanno cantato slogan contro il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e hanno colpito a sassate una autovettura delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Queste ultime hanno risposto sparando sulla folla.
In Giordania è stata presa d’assalto l’ambasciata israeliana.
Israele ha inviato un nuovo ordine di evacuazione per la popolazione palestinese del nord di Gaza, intimandole di spostarsi verso il sud della Striscia.
Dopo la strage all’ospedale di Gaza la Giordania ha annullato la visita, prevista per oggi, del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Il leader USA incontrerà in mattinata Netanyahu per riconfermare il sostegno incondizionato a Israele. Avrebbe dovuto incontrare in Giordania i leader palestinesi e quelli egiziani.
Il portavoce del ministero degli Esteri russo ha chiesto a Israele di rilasciare le immagini satellitari dell’area di Gaza colpita ieri, per verificare la versione secondo cui non sarebbe stato un bombardamento delle IDF a distruggere l’ospedale.
Durante la notte non si sono fermati i raid aerei israeliani, che hanno ucciso almeno altri 37 palestinesi nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza. Pagine Esteri
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L'articolo LIVE. GAZA/ISRAELE. Giorno 12. Ospedale bombardato, è scontro sulle responsabilità, palestinesi insistono: “è stato Israele” proviene da Pagine Esteri.
Firenze; immigrati islamici uccidono!
#Firenze.
La notte del 17 ottobre 2023 tre giovani -dicono- provenienti dalla #Tunisia hanno messo chissà come in moto una #BMW in via #Alfani e sono fuggiti finendo per uccidere un signore che le gazzette dei giorni successivi dipingeranno come benvoluto da tutti e appassionato di filosofia e letteratura.
La foto in alto è quella di una moto BMW del 2004, lo stesso anno di immatricolazione di quella rubata dai tre ragazzi.
Allora.
Chi si impossessa di un mezzo del genere e lo usa per percorrere a forte velocità e in senso contrario a quello stabilito dalla segnaletica una strada cittadina costituisce un perfetto esempio di completa adesione ai valori occidentali dominanti.
Chi sporca il web e le gazzette ciarlando di #risorse, #Islam e #immigrazione -immigrazione che tra l'altro viene presentata da più di trent'anni come un'emergenza invece che come un dato strutturale- lo fa per incompetenza, dimostrando tante volte ce ne fosse bisogno quale spreco di denaro rappresenti costringere tante migliaia di buoni a nulla a frequentare per dieci anni consecutivi le lezioni della scuola obbligatoria, o lo fa per propaganda, dimostrando in questo caso di essere mosso da malafede.
Nel primo caso siamo davanti a un diritto senza dubbio discutibile, ma esercitato a titolo gratuito.
Nel secondo caso siamo davanti a un "lavoro" del tipo retribuito qualche decina di euro a pezzo, che serve a riempire il bianco che c'è nelle gazzette fra una pubblicità e l'altra.
Weekly Chronicles #50
George Orwell era un sadico, misogino e omofobo
Anna Funder, la biografa di Eileen O’Shaugnessy, moglie di Orwell, ci racconta che Orwell era un uomo complicato.
Anna ha presentato il suo libro, “Mrs Orwell’s Invisible life” al Cheltenham Literature Festival, raccontando che Orwell:
“Voleva disperatamente essere un uomo decente, ed è un qualcosa di onorabile e nobile. Ma scrivere un libro come 1984, che è violento, misogino, sadico, tetro e psicotico, mostra invece tutti difetti dell’autore […] Serve un uomo violento, misogino, sadico e omofobo per scrivere queste cose. […] Una persona perbene e decente, non avrebbe mai avuto questi pensieri.1”
Insomma, se oggi pensate di vivere in un remake di 1984, siete probabilmente anche voi tutte queste cose. Comunque Orwell aveva indubbiamente anche dei difetti e ringraziamo Anna per questa entusiasmante recensione.
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Profilazione e disinformazione dalla Commissione Europea
In questo periodo è entrato in vigore il Digital Services Act, che tra le altre grottesche misure, impone più trasparenza ai social network per i contenuti sponsorizzati (advertisement). Ne ho parlato molto anche io, con ben due articoli dedicati al tema:
Allo stesso tempo, è in corso di discussione il famigerato Regolamento “Chatcontrol”, legge di sorveglianza di massa spacciata come misura contro la pedofilia. Anche di questo ne ho parlato a dismisura:
Ebbene, un ricercatore di Politico, Danny Mekić, ha recentemente pubblicato un’inchiesta2 in cui mostra che la Commissione Europea ha commissionato una serie di contenuti sponsorizzati profilati destinati ai cittadini dei Paesi che sono contrari al Chatcontrol: Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Finalandia, Slovenia, Portogallo e Repubblica Ceca.
I contenuti sono tutti uguali, diversi solo nella lingua. Qui ne potete trovare un esempio.
Come se non bastasse la profilazione politica di massa, pare che la Commissione abbia deciso di non visualizzare il contenuto agli utenti che secondo gli algoritmi di X sono appassionati di privacy, euroscettici e perfino cristiani — cioè coloro che in qualche modo avrebbero potuto criticarlo.
Una tale profilazione di massa è niente più che un tentativo privare le persone della loro libertà di autodeterminazione e quindi sovvertire l’ordine democratico, attraverso un’opera di persuasione di massa che colpisce milioni di persone suscettibili a cui mancano gli strumenti per giudicare in modo critico ciò che arriva dalle istituzioni europee.
I Commissari europei come Thierry Breton (DSA) e Ylva Johansson (Chatcontrol) si riempiono la bocca di parole come lotta alla disinformazione, trasparenza, rispetto della democrazia e della libertà… per poi fare l’esatto contrario.
BitcoinVoucherBot è un servizio semplice, sicuro e privacy friendly per acquistare Bitcoin. Niente siti web, niente tracking IP, nessun documento richiesto. Solo Telegram. Clicca qui per iniziare a usarlo! Annuncio sponsorizzato.
La California raddoppia sulla protezione dei dati, ma non servirà a nulla
Lo stato della Big Tech raddoppia la portata della sua legge sulla protezione dei dati, molto simile al nostro GDPR. Dal 2026 i cittadini potranno fare una richiesta generale di cancellazione dei loro dati che varrà per tutti i data broker sul mercato, piuttosto che rivolgersi singolarmente a ognuno di loro.
A creare la struttura necessaria per sviluppare un meccanismo del genere ci penserà la California Privacy Protection Agency (una sorta di Garante Privacy). Non è chiaro come, ma potrebbe somigliare a qualcosa di molto simile al nostro Registro delle Opposizioni.
E proprio come il nostro Registro, temo che le belle parole non salveranno — come al solito — i progressisti woke benpensanti.
Forse, piuttosto che immaginare un pulsantone “DELETE ALL”, dovrebbero invece rimuovere barriere all’ingresso del mercato, aprire la competizione anche nel mercato dei dati, e così facendo agevolare indirettamente sistemi più rispettosi della privacy delle persone by design.
Meme della settimana
Citazione della settimana
"All propaganda has to be popular and has to accommodate itself to the comprehension of the least intelligent of those whom it seeks to reach."
Famoso pittore austriaco
dannymekic.com/202310/undermin…