GAZA. Guterres (Onu): “sono inorridito dagli attacchi aerei alle ambulanze”.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione
Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Il segretario generale delle Nazioni Unite è rimasto “inorridito” dall’attacco delle forze israeliane contro un convoglio di ambulanze a Gaza avvenuto ieri, ha detto in un comunicato, aggiungendo che il conflitto “deve finire”. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha riferito che una delle sue ambulanze è stata colpita “da un missile lanciato dalle forze israeliane” a pochi passi dall’ingresso dell’ospedale Shifa di Gaza City, in un attacco che ha ucciso 15 persone e ne ha ferite più di 60.
“Sono inorridito dall’attacco riportato a Gaza contro un convoglio di ambulanze fuori dall’ospedale Al Shifa. Le immagini dei corpi sparsi sulla strada fuori dall’ospedale sono strazianti”, ha detto Antonio Guterres nella dichiarazione.
L’esercito israeliano ha dichiarato di aver lanciato un attacco aereo su “un’ambulanza identificata dalle forze armate come utilizzata da una cellula terroristica di Hamas in prossimità della loro posizione nella zona di battaglia”. Poi ha sostenuto che con le ambulanze Hamas avrebbe cercato di portare suoi uomini al valico di Rafah in modo da farli fuggire in Egitto. Accuse seccamente respinte dalla Mezzaluna rossa.
Ribadendo di “non dimenticare gli attacchi terroristici commessi in Israele da Hamas”, Guterres ha aggiunto che “per quasi un mese, i civili di Gaza, compresi bambini e donne, sono stati assediati, negati gli aiuti, uccisi e bombardati fuori dalle loro case”. le case. “Tutto questo deve finire”, ha continuato. La situazione umanitaria a Gaza è “orribile”, ha detto. Non ci sono “abbastanza” cibo, acqua e medicine, mentre il carburante per alimentare gli ospedali e gli impianti idrici sta finendo, ha avvertito. I rifugi delle Nazioni Unite a Gaza “sono quasi quattro volte la loro capacità totale e sono colpiti dai bombardamenti”, ha continuato Guterres. “Gli obitori sono stracolmi. I negozi sono vuoti. La situazione igienico-sanitaria è pessima. Stiamo assistendo ad un aumento delle malattie e delle malattie respiratorie, soprattutto tra i bambini. Un’intera popolazione è traumatizzata. Nessun posto è sicuro”, ha detto.
Guterres ha nuovamente chiesto un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi presi da Hamas durante il primo attacco del 7 ottobre. Il gruppo palestinese ha ucciso più di 1.400 persone in quell’attacco, principalmente civili, dicono funzionari israeliani. Tel Aviv ha reagito bombardando massicciamente la Striscia di Gaza, dove sono morte più di 9mila persone, soprattutto donne e bambini.
invitato nuovamente tutte le parti a rispettare il diritto internazionale umanitario e a proteggere i civili.
“Tutti coloro che hanno influenza devono esercitarlo per garantire il rispetto delle regole di guerra, porre fine alle sofferenze ed evitare una propagazione del conflitto che potrebbe travolgere l’intera regione”, ha affermato.
Resta drammatica la situazione dei civili palestinesi. Ieri, la Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) ha ricevuto 47 camion di aiuti umanitari dalla Mezzaluna Rossa egiziana attraverso il valico di frontiera di Rafah, ha affermato la PRCS in un post sul suo account sulla piattaforma di social media X. Il post aggiunge che questi camion contenevano cibo, acqua, generi di prima necessità, farmaci e attrezzature mediche. “Finora sono stati ricevuti complessivamente 421 camion, ma fino ad ora non è stato consentito l’ingresso del carburante”,
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo GAZA. Guterres (Onu): “sono inorridito dagli attacchi aerei alle ambulanze”. proviene da Pagine Esteri.
L’Onu dice basta ma il Blocco Economico di Cuba non cesserà
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Davide Matrone
Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Il 2 novembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è tenuta la votazione della Risoluzione contro il Blocco Economico inflitto dagli Stati Uniti a Cuba. Il risultato anche quest’anno è stato schiacciante a favore del governo cubano. Ben 187 paesi membri dell’ONU hanno votato per l’eliminazione dell’anacronistico blocco economico, commerciale e finanziario che colpisce l’economia dell’Isola grande dei Caraibi. Solo due paesi hanno votato contro e sono gli Stati Uniti e lo stato d’Israele. Un solo astenuto, l’Ucraina.
Precedenti storici
La vittoria della Rivoluzione Cubana nel 1959 determinò il punto di rottura della geopolitica continentale e la questione cubana divenne il nodo principale della politica estera degli Stati Uniti. Fu immediata la reazione del paese nordamericano che cominciò ad armare una serie di piani per destabilizzare il primo governo rivoluzionario e socialista del continente. L’azione di forza contro Cuba era stata già progettata sin dai primi mesi della vittoria di Castro. A fomentarla fu l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Richard Nixon che aveva messo su “Il Progetto Cuba” coi fratelli Dulles, John Foster e Allan, rispettivamente Segretario di Stato e capo della C.I.A.
Il 17 marzo del 1960 il presidente statunitense Dwight Eisenhower approvò il piano che includeva una guerra psicologica e azioni politiche, economiche e paramilitari contro Cuba e la sua popolazione. Nel settembre del 1960 Fidel Castro pronunciò il suo primo discorso alla sede delle Nazioni Unite a New York ed era ben chiaro che il suo governo non avrebbe retrocesso di un millimetro di fronte ai piani e agli attacchi dell’imperialismo nordamericano che fu criticato duramente dallo stesso Castro per almeno 10 volte nel suo discorso. La risposta statunitense fu immediata: nell’ottobre del 1960 cominciò ad applicarsi il blocco economico contro Cuba dopo le espropriazioni delle compagnie e proprietà statunitensi ad opera del governo Rivoluzionario.
Il punto di massima rottura tra i due paesi si ebbe nell’anno 1962. Nel gennaio dello stesso anno, si organizzò l’Ottava Riunione di Consulta dei Ministri delle Relazioni Estere degli Stati Americani a Punta del Este in Uruguay. A quell’incontro il governo di Cuba si presentò con una folta delegazione presieduta dall’ex Presidente Oswaldo Dorticós. L’allora Governo Rivoluzionario denunciò che Washington pretendeva utilizzare l’evento per ricattare i paesi dell’America Latina e metterglieli contro. Alla fine della riunione Cuba fu esclusa dall’OEA. Come risposta a questa esclusione, nei primi giorni di febbraio si approvò la Seconda Dichiarazione di l’Avana in una gigantesca concentrazione popolare nella Piazza della Rivoluzione “José Martí”. Giorni successivi si stabilisce il blocco economico totale contro Cuba ad opera del governo Kennedy con la Risoluzione 3447. Da allora il blocco, commerciale e finanziario non è terminato, anzi ha registrato inasprimenti in vari momenti storici come quelli degli anni 90 con la promulgazione delle leggi Helms Burton, Torricelli, poi quelle dell’anno 2000 e le ultime nel governo di Donald Trump con un pacchetto di leggi ad hoc per inasprire la condizione materiale dei cubani.
Gli effetti del blocco economico a Cuba
Gli effetti di questa misura sono stati devastanti per la popolazione cubana e i suoi governi. Il blocco si applica nell’ambito economico, commerciale e finanziario colpendo tutti i settori dell’economia nazionale cubana. Secondo stime governative dal 1962 ad oggi si calcola una perdita per un totale di 160 miliardi di dollari. Nel solo anno 2022 / 2023 le perdite ammontarono a 5 miliardi di dollari. Eppure nonostante queste grandi perdite, Cuba ha resistito con dignità e finanche alle perdite causate dalle importazioni dall’ex URSS dopo la caduta del muro di Berlino. È riuscita anche a brevettare 5 vaccini grazie ai successi della biotecnologia nazionale durante la grande crisi del biennio 2019, 2020 dovuta alla propagazione del COVID 19.
31 Votazioni dell’ONU che condannano il blocco economico
Fu nell’anno 1991 che si presentò per la prima volta all’ONU, il Progetto di Risoluzione contro il Blocco Economico da parte del governo Cubano. A pochi giorni dalla votazione, la delegazione cubana ritirò il documento per le enormi pressioni da parte del governo statunitense. Dal 1992 si registrò la prima votazione che si ripete ogni mese di novembre all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel primo anno votarono a favore dell’eliminazione del blocco economico 95 paesi però dall’anno 2004 si passò a 179 paesi che condannarono la misura statunitense. La votazione con il numero più alto di paesi che dissero no al blocco si registrò nell’anno 2013 con 188 voti e da allora si oscilla tra i 184 e 187. Durante questi 3 decenni di votazioni, solo due paesi hanno mantenuto una posizione favorevole al blocco economico contro Cuba e cioè: Stati Uniti e Israele. Anche quest’anno sono stati gli unici due paesi a votare contro con un unico voto di astensione da parte dello stato di Ucraina.
foto di Jorge Luis Baños/IPS
Il comportamento dell’Ucraina con la solidarietà Cubana
Nel 2018 L’Ucraina si assentò durante la votazione, poi seguirono quattro astensioni di seguito nelle votazioni del 2019, 2021, 2022 e 2023. Nel 2020 si registrò un’interruzione dei lavori dell’ONU per la situazione epidemiologica COVID-19 a livello globale.
L’Ucraina negli ultimi anni è chiaramente nell’orbita occidentale filostatunitense, oggi è aiutata e sostenuta economicamente, politicamente e militarmente dall’Europa e dagli Stati Uniti nel conflitto bellico contro la Russia ed è in processo la sua integrazione nella NATO. È quindi parte di quel pezzo di mondo che ostacola, critica e condanna Cuba in ogni occasione. Tuttavia non vota contro Cuba nelle votazioni annuali all’ONU. Perché?
Sarebbe il caso di ricordare quello che fece il governo cubano con la popolazione ucraina all’indomani del disastro nucleare di Cernobyl nel 1986. L’Ucraina allora era parte dell’impero sovietico e tra i primi paesi a solidarizzare con la popolazione ucraina fu proprio Cuba che attivò una serie di piani di solidarietà. Quando nell’anno 1990 il caso Cernobyl già non era più notizia, Cuba inviò sul suolo ucraino un gran numero di medici per riscontrare gli effetti delle radiazioni sulla popolazione. Dal 1990 al 2016 Cuba ha ricevuto sul suo territorio 26 mila ucraini di cui 22 mila bambini e bambine. Furono realizzate 70 mila consulte in 22 specialità mediche da parte dei medici cubani che usarono, oltretutto, farmaci prodotti dalla biotecnologia cubana. I primi 139 bambini e bambine che giunsero sull’isola cubana per ricevere trattamenti medici furono ricevuti personalmente dal Presidente Fidel Castro. Ancora oggi, moltissimi in Ucraina ricordano la solidarietà cubana. I bambini di allora, oggi adulti, raccontano quest’esperienza con affetto e rispetto come si evidenzia in un reportage realizzato dalla BBC inglese nel 2019. (bbc.com/mundo/noticias-america…)
Alcune reazioni dopo la votazione
Il Ministro degli esteri cubano ha dichiarato: “Durante 6 decenni, Cuba ha resistito a uno spietato blocco economico, commerciale e finanziario. Oltre l’80% della nostra popolazione attuale ha conosciuto solo la Cuba bloccata. La perversa decisione di rafforzare in modo inedito il blocco in questa congiuntura di crisi economica mondiale derivata dalla pandemia, per promuovere la destabilizzazione del paese, rivela con tutta chiarezza la profonda crudeltà e inumanità di questa politica”.
La ministra degli esteri del Gabón ha dichiarato: ”Il blocco economico, commerciale e finanziario ha un grande impatto per la vita quotidiana di tutti i cittadini di Cuba. Porre fine al blocco sarebbe un passo significativo per migliorare la qualità di vita del popolo cubano”
La ministra degli esteri cilena ha affermato: ”Cile non è d’accordo con le imposizioni delle sanzioni unilaterali di nessun tipo. Riaffermare la necessità di porre fine al blocco Economico a Cuba, cosi come la sua esclusione dalla lista dei paesi che patrocinano il terrorismo”
Per saperne di più ho contattato Yamila González Ferrer, Vicepresidente dell’Unione Nazionale dei Giuristi di Cuba che ha dichiarato: ”Questa votazione riflette l’opinione dell’immensa e schiacciante maggioranza di paesi del mondo contro una politica aggressiva e genocida degli USA contro il popolo cubano. Una volta ancora ha vinto la ragione, la giustizia e il reclamo di tutto il mondo che vuole porre fine a questo blocco economico, commerciale e finanziario. Credo che sia molto importante in questo momento riconoscere l’appoggio internazionale che permette di rendere più visibile la lotta di Cuba. Inoltre la giornalista cubana Diane Dewar raggiunta telefonicamente ha dichiarato: ”Il blocco economico statunitense contro Cuba è una delle più grandi ingiustizie commesse nel mondo. Per oltre sei decenni gli Stati Uniti hanno dato fastidio a un governo e allo stesso tempo al suo popolo che ha deciso di ricostruire la sua propria storia”. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo L’Onu dice basta ma il Blocco Economico di Cuba non cesserà proviene da Pagine Esteri.
Etiopia, la guerra genocida in Tigray e le conseguenze 3 anni dopo
La guerra genocida è iniziata in Tigray il 4 novembre 2020. I media italiani politicizzati non ne hanno dato degna visibilità, se non per mettere in luce qualche sporadica notizia sensazionalistica.
Personalmente coinvolto emotivamente per amicizie di lunga data e visto le premesse informative in Italia, ho cominciato a condividere aggiornamenti, per quel che potevo, per quel che riuscivo a sapere da varie fonti.
Il Tigray, stato regionale a nord dell’ Etiopia confinante con l’Eritrea, ha circa 7 milioni di abitanti.
Sono stati distrutti il 90% degli ospedali, lo stupro è stato usato come arma producendo una stima di 120.000 abusi su donne di ogni età, arresti di massa, deportazioni e detenzioni su base etnica contro il diritto umanitario internazionale su persone di ogni genere, di ogni età e ceto sociale (anche donne e umoni di chiesa) e persone solo per il sospetto che fossero sostenitori dei “ribelli”. Furono attaccati anche luoghi di culto. La guerra per strategia bellica fu combattuta in totale isolamento comunicativo e blackout elettrico: 2 anni in cui il popolo tigrino è stato tenuto in ostaggio. Le stime delle vittime parlano di 800.000 morti, tigrini civili uccisi direttamente da attacchi aerei, massacri, uccisioni extragiudiziali o per fame indota da volontà politiche del governo etiope. L’occupazione delle forze regionali amhara e milizie Fano nellla parte nord occidentale del Tigray hanno perpetrato attività di pulizia etnica, anche dopo l’inizio della tregua del novembre 2022, che ha decretato un formale cessate il fuoco con l’accordo di Pretoria tra il governo federale etiope e i membri del TPLF – Tigray People’s Liberation Front, partito del Tigray considerato gruppo terroristico dalla legge etiope dl maggio 2021. Questo ultimo anno di tregua formale comunque non ha fermato abusi e violenze sulla popolazione civile di etnia tigrina.
ARCHIVIO: Tigray : la Guerra Genocida Dimenticata dal Mondo – Archivio
Oggi la situazione si è normalizzata ma resta critica e grave.
Ci sono ancora più di 1 milione di sfollati interni, IDP, in Tigray in attesa oltre che di poter tornare a casa, anche di assistenza e supporto alimentare e per cure mediche.
Le persone continuano ancora a morire di fame dopo un anno dall afirma dell’ accordo di tregua.
Secondo uno studio congiunto condotto dal Tigray Health Bureau, dal Tigray Health Research Institute e dalla Mekelle University, almeno 1.329 persone sono morte di fame in soli 9 distretti nella regione per il periodo di 9 mesi che hanno portato ad agosto 2023.
La sospensione degli aiuti alimentari da parte di WFP e USAID per nove mesi consecutivi, ha aggravato le condizioni umanitarie di una regione già scosse da disastri come siccità, invasione di locuste nel deserto
La presenza degli sfollati crea disagi perché in varie zone occupano edifici scolastici per cui i ragazzi non possono tornare sui banchi di scuola.
Gli ospedali dopo 3 anni continuano ad essere in mancanza di risorse. Ci sono flebili segnali di ripresa e supporto nei più grandi centri, ma per le aree rurali e più decentralizzate, soprattutto quelle ancora occupate dalle forze amhara ed eritree, sussistono problematiche di accesso alle cure e al supporto umanitario alimentare.
Approfondimenti: Etiopia: le atrocità cessa l’anniversario del fuoco – Human Rights Watch
La commissione degli esperti sul diritto umanitario dell’ ONU – ICHREE, istituita per investigare in maniera indipendente sui crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati sul popolo tigrino, è stata bloccata nel suo operato. Il suo mandato non è stato rinnovato come sperato dalla diaspora e da tutta quella parte di società civile che chiede giustizia per le vittime. Il mandato non è stato rinnovato per due cause principali: la pressione da parte del governo etiope perché ha rivendicato, come strumento di distrazione di massa, di essere stato sovrano quindi che come da accrodo di Pretoria ha istituito un processo di giustizia di transizione come processo interno nazionale e dall’altra la volontà politica dell’ ONU che non ha rispettato il “mai più” voltandosi dall’altra parte il 4 ottobre durante la seduta della commissione per decidere le sorti del ICHREE. Il movente della comunità internazionale? Probabilmente tutelare le proprie risorse in gioco, vecchi e nuovi accordi economici mascherati da “crescita e sviluppo” in Etiopia.
In una dichiarazione rilasciata in occasione del primo anniversario dell’accordo di Pretoria, il TPLF afferma che il popolo del Tigrai continua a soffrire terribilmente a causa della sua mancata attuazione, affermando che:
“Milioni di persone nel Tigrai sono sparse ovunque in cerca di rifugio nei campi, e coloro che sono sotto le forze d’invasione sono costretti a cambiare la propria identità, mentre coloro che si trovano nei campi per sfollati stanno morendo di fame”
“Le forze d’invasione avrebbero dovuto ritirarsi dal Tigrai, ma non sono state ritirate.” ha osservato il TPLF. Il TPLF esorta il governo federale, l’UA, gli Stati Uniti, l’UE, l’IGAD e le organizzazioni internazionali dei media e dei diritti a mantenere i progressi raggiunti attraverso l’accordo di Pretoria e ad impegnarsi per assumersi i propri obblighi morali e legali per garantire la piena attuazione dell’accordo.”
Per l’Italia naturalmente si è tutto risolto con la firma dell’accordo di Pretoria, così i media italiani si sono sentiti legittimati di non scriverne più (non che prima di tale data avessero contribuito con l’informazione su tale contesto, anzi).
A fine ottobre 2023 funzionario USA rivela che la richiesta dell’Etiopia di idoneità AGOA è “ancora in sospeso”. “Queste decisioni sono ancora in sospeso”, ha detto la signora Hamilton ai giornalisti del continente, e che “probabilmente non ci sarà alcun annuncio al momento in cui arriveremo al Forum AGOA”. Il presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo nel novembre 2021 che rimuoveva l’Etiopia dall’AGOA a seguito dell’escalation della guerra, iniziata un anno prima nella regione del Tigrè, e ha assistito a “grosse violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale. ”Il governo etiope ha condannato la decisione, descrivendola come “sbagliata e non riuscendo a considerare il benessere dei comuni cittadini.”
Approfondimento: L’accordo di pace di Pretoria: promesse infrante e l’appello urgente per l’emendamento e la rinegoziazione
La guerra genocida iniziata in Tigray il 4 novembre 2020 ha avuto fine formale il 3 novembre 2022 con l’accordo di cessazione ostilità, ma abusi e violenze continuano ancora oggi.
Come sempre a pagarne il caro prezzo, anche con la vita, sono i milioni di persone. Come prassi, l’informazione in Italia ha spento i riflettori su questa ennesima crisi umanitaria in atto per passare al prossimo scoop.
Una preghiera per tutte le vittime della guerra genocida in Tigray. Una pensiero di speranza per tutte le persone che ancora soffrono.
Macron punta sull’Asia Centrale, Mosca arretra
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Mercoledì Emmanuel Macron ha iniziato un viaggio in Asia Centrale che lo ha portato prima in Kazakistan e poi in Uzbekistan. Un anno fa erano stati i leader dei due paesi ad essere ricevuti all’Eliseo.
Nelle due repubbliche ex sovietiche l’influenza di Mosca si sta via via allentando e ad approfittarne sono stati soprattutto la Cina, la Turchia e, appunto, Parigi.
Il Kazakistan e l’Uzbekistan sono due paesi centrali per gli equilibri geopolitici dell’area, grazie alla loro posizione, al centro di un crocevia tra est e ovest e tra sud e nord che ha stimolato l’attivismo di numerose potenze, e alle ricchezze del sottosuolo.
Macron a caccia di uranio e petrolio
Il Kazakistan, ricco di petrolio, è diventato un produttore ancora più importante dopo la decisione dell’Unione Europea di trovare nuovi fornitori in sostituzione della Russia, punita dopo l’invasione dell’Ucraina.
Inoltre Astana è il maggiore esportatore di uranio al mondo. Dopo il golpe del 26 luglio in Niger, che ha messo in discussione la presa francese sull’ex colonia, Parigi è alla ricerca di nuove fonti del prezioso minerale per bilanciare il blocco delle importazioni dal paese africano, che finora copriva il 15% del fabbisogno di combustibile delle 18 centrali nucleari dell’Esagono.
Di qui la prioritaria necessità di aumentare gli approvvigionamenti provenienti dal Kazakistan, dove l’impresa francese Orano (il cui presidente accompagnava Macron) sfrutta già una miniera di uranio nel paese che da sola copre il 12% dell’intero fabbisogno di Parigi e gestisce una joint venture con l’azienda nucleare statale Kazatomprom. Inoltre il gigante energetico francese EDF potrebbe aggiudicarsi la realizzazione della prima centrale nucleare del Kazakistan realizzata dopo lo smantellamento di quelle costruite in epoca sovietica. Astana soddisfa già il 40% del fabbisogno francese di uranio (e il 25% di quello complessivo europeo) ma Parigi spera che le forniture possano aumentare notevolmente, come d’altronde quelle di greggio.
«Poiché l’energia nucleare rappresenta il 63% del settore energetico francese, esiste un enorme potenziale per un’ulteriore cooperazione. I nostri interessi convergono anche quando si tratta di raggiungere zero emissioni di carbonio in futuro» ha affermato il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, riferendosi anche ai progetti di cooperazione firmati con Parigi nel campo delle energie rinnovabili, oltre che nel comparto farmaceutico.
Inoltre Orano ha annunciato l’avvio delle prime attività di estrazione del minerale in Uzbekistan proprio in concomitanza con l’arrivo del presidente francese a Samarcanda. Se il Kazakistan è attualmente il primo produttore mondiale del combustibile nucleare, la seconda tappa del tour francese in Asia Centrale è il quinto. Pochi giorni fa Parigi ha già firmato un altro accordo con la Mongolia, che però è un produttore abbastanza marginale di uranio e deve fare i conti con un agguerrito movimento che contesta i metodi estremamente inquinanti di estrazione.
Relazioni economiche privilegiate
Parigi ha da tempo elevato le relazioni economiche con Astana al livello del partenariato strategico che la visita di Macron mira a rafforzare e accelerare. Nel 2022 gli scambi commerciali tra Francia e Kazakistan hanno raggiunto i 5,3 miliardi di euro, principalmente nel campo degli idrocarburi. Parigi è già il quinto investitore nel paese centrasiatico davanti alla Cina, con 771 milioni di dollari di investimenti nel 2022, un incremento del 28% rispetto all’anno precedente. Il gigante energetico francese Total (al pari dell’italiana Eni) controlla il 17% del capitale del consorzio che sfrutta il giacimento petrolifero di Kashagan, nel Mar Caspio.
Ad Astana Macron e Tokayev hanno firmato una dichiarazione d’intenti per una partnership nello strategico settore delle terre e dei metalli rari (allo scopo di ridurre la dipendenza da Pechino) mentre Parigi importa già dal Kazakistan il 20% del titanio utilizzato dalla sua industria aerospaziale. Le francesi Alstom e Thales potrebbero ottenere un commessa, rispettivamente, per la produzione di treni elettrici e per la vendita di radar militari.
Con l’Uzbekistan gli scambi commerciali sono assai più ridotti ma in rapida crescita, avviati verso la simbolica soglia del miliardo di euro l’anno. Inoltre Macron si è impegnato con il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev a facilitare il varo di un Trattato di Cooperazione tra Bruxelles e Tashkent e a intercedere per l’ingresso del paese nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Uranio non olet
Né a Parigi né a Bruxelles sembra interessare che entrambi i paesi siano governati da regimi fortemente autoritari, che di fatto impediscono la libera espressione del dissenso e lo sviluppo di un’opposizione politica.
Il presidente francese ha anzi elogiato le “riforme” di Mirziyoyev – che nel 2017 ha aperto l’Uzbekistan al commercio internazionale – e la capacità di Tokayev di mantenere la stabilità nel suo paese. Poco importa che la suddetta “stabilità” sia stata imposta con una repressione – supportata dalle truppe inviate dai paesi del CSTO guidato da Mosca – che nel 2022 è costata la vita a centinaia di manifestanti.
Tanto la Francia quanto l’Unione Europea vogliono approfittare del fatto che l’Uzbekistan e soprattutto il Kazakistan, che hanno basato la propria crescita economica soprattutto sull’esportazione degli idrocarburi, del carbone e dell’uranio, intendono ora differenziare velocemente gli investimenti, ponendosi al centro di una fitta rete di relazioni commerciali in virtù della propria posizione geopolitica.
Riserve di uranio del Kazakistan
La Russia arretra
Per un certo numero di anni dopo lo scioglimento dell’URSS, Kazakistan e Uzbekistan sono rimaste nell’orbita politica, economica e militare russa, ma negli ultimi anni hanno accelerato un processo di allontanamento da Mosca iniziato da più di un decennio. La Federazione Russa rimane il partner principale delle due repubbliche, che però stanno sviluppando rapporti sempre più intensi con altre potenze, puntando a giocare su più tavoli.
Anche a costo di prendere esplicitamente le distanze da Mosca, come è avvenuto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tanto Astana quanto Tashkent hanno aderito alle sanzioni varate da Ue e Nato contro la Federazione Russa, si sono rifiutate di riconoscere l’annessione delle regioni ucraine occupate e si sono offerte come sostituti di Mosca nella fornitura di gas e petrolio all’occidente, diventando un nodo nei collegamenti tra Europa e Cina che bypassa la Russia.
Una scelta ovviamente apprezzata da Macron che ha elogiato Tokayev e ha affermato di non sottovalutare «in alcun modo le difficoltà geopolitiche, le pressioni (…) che alcuni attori potrebbero esercitare su di voi».
A ottobre i ministri degli Esteri del Kazakistan e dell’Uzbekistan, insieme a quelli del Kirghizistan, del Tagikistan e del Turkmenistan, si sono riuniti per la prima volta con i loro omologhi dei 27 paesi dell’Unione Europea. A settembre era stato invece Joe Biden ad incontrare i leader dei paesi centrasiatici ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU.
Di fronte al consolidamento del ruolo francese e genericamente occidentale nel suo cortile di casa, la Russia fa buon viso a cattivo gioco – Mosca rimane, almeno formalmente, il partner strategico di Astana e Tashkent – ma non è affatto contenta.
Mercoledì il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che il Kazakistan, in quanto stato sovrano, è libero di sviluppare legami con qualsiasi paese. Ma pochi giorni prima il ministro degli Esteri Sergei Lavrov aveva accusato l’occidente di tentare di allontanare da Mosca i «vicini, amici e alleati» della Russia.
«Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno cercando di sostenere il sentimento nazionalista, diffondendo menzogne, manipolando l’opinione pubblica, anche attraverso Internet e i social network» aveva già chiarito a giugno Alexander Shevtsov, deputato del Consiglio di sicurezza russo.
Ma la Russia non deve preoccuparsi soltanto dell’invadenza francese ed europea. Negli ultimi anni la Cina ha stretto forti legami con il Kazakistan, investendo ingenti risorse nelle infrastrutture del paese, integrandolo nei corridoi previsti dalla “Nuova Via della Seta” e soppiantando in vari campi la primogenitura di Mosca.
E proprio a ridosso di Emmanuel Macron, a stringere accordi con le repubbliche dell’Asia Centrale sono arrivati giovedì e venerdì prima il premier ungherese Viktor Orban e poi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Macron punta sull’Asia Centrale, Mosca arretra proviene da Pagine Esteri.
L’assurda polemica di Zerocalcare che diserta Lucca
Aveva pensato, Zerocalcare, che non andare a Lucca sarebbe stato come andarci due volte. Solo negandosi, infatti, poteva riuscire a superare sé stesso nel mercatone dove i fumetti si vendono e si comprano, prodotti industriali come le bottiglie del Vinitaly di Verona. La Mostra di Lucca è il supermercato del fumetto, come Eataly lo è del cibo. Ci sono i banconi di Paperopoli e dei Manga. C’è il porno misto per accogliere Salvini che è cresciuto con Lando lo sciupafemmine. E c’è anche la “gourmanderie” ideologica dove, fumante di collera, Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele, così si decora la coscienza e si sente come le pantere nere alle Olimpiadi del 1968.
Ma poiché esiste ormai una storia, una geografia, una retorica e un’aneddotica del negarsi per meglio offrirsi è cominciata la cerimonia delle smanie e si sono negati in tanti, Fumettibrutti, Giancane, Stefano Disegni, Davide Toffolo, e via con la lista dei minori che vogliono essere all’altezza, tutti, nel loro piccolo, abusando dei palestinesi come ne abusa Hamas, e tutti ben sapendo che la grandezza di un festival è fatta di contro-festival, di uno sprezzante controcanto che si nutre del canto e anche della sua putrefazione, come il Festival e Il Controfestival di Sanremo. A Milano c’è il Salone del mobile, ma forse il suo “contro”, il Fuori Salone di via Tortona, è ormai più importante.
È dunque normale che gli sciacalletti del marketing vadano a caccia di scandaletti. Negli anni scorsi sbucavano per le strade di Lucca quattro broccoloni vestiti da nazisti e subito il Comune, che qui è sempre in controtendenza rispetto alla Toscana laica e di sinistra, e dunque è cattolico e di destra, si dissociava, allontanava, tuonava: “noi non permetteremo”. Quest’anno, gli artisti “impegnati” hanno ignorato l’assessora Angela Mia Pisano che aveva nascosto i suoi vecchi post fascistissimi, e in silenzio hanno ingoiato anche il rifiuto di intitolare una strada a Sandro Pertini. Si sono invece buttati su Israele, fiutando l’aria di piazza, il conformismo, i centri sociali, il pubblico peggiore di Zerocalcare, il nocciolo duro del suo estremismo: «noi non siamo certo antisemiti, ma…», «io non ce l’ho con Israele, ce l’ho con il suo governo», e dunque con Netanyahu, di cui ovviamente non sanno nulla. E va bene che di Fiorello ce n’è uno solo e la sincerità non è purtroppo contagiosa, ma quella sua frase «io personalmente non ho nemmeno quel retaggio culturale per esprimermi su una cosa così grande» potrebbe e dovrebbe accompagnare anche la Mostra mercato di Lucca, non come fuga dall’impegno, ma come ricchezza e come rispetto dell’impegno e di tutte le sue mille matite.
Di sicuro qui accade il contrario di quel che avvenne quando, subito dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’università Bicocca minacciò di bloccare le lezioni su Dostoevskij di Paolo Nori e tutti giustamente si ribellarono. E così elogiare i russi, il pacifismo di Tolstoj, il tormento di Solženicyn e ovviamente Anna Achmàtova, rileggerli, o fingere di averli letti, divenne una moda, una postura di guerra o, meglio, un segno di distinzione, in senso letterale, tra il gran popolo russo e il piccolo macellaio Putin: «sì agli artisti russi perché non sono Putin». Ora invece è «no agli artisti israeliani», nonostante non somiglino al governo di Israele, come è ovvio in una democrazia. Hanno disegnato il manifesto della Mostra portandosi dietro il patrocino dell’ambasciata di Israele, che è il loro Paese, niente soldi, solo una nazionalità come naturale gioco di simboli; e invece si colpisce il fumetto per colpire “Bibi”, che con i fumetti ha in comune solo il buffo soprannome.
Finché, la sera della vigilia, per protesta contro la protesta, hanno deciso di non andarci neanche loro, i due artisti israeliani, i fratelli Asaf e Tomer Hanuka: «Non vogliamo passare da una guerra vera a una guerra mediatica, lasciamo che a Lucca parli solo l’arte». Avevano disegnato il logo ufficiale della manifestazione con il titolo Together che adesso suona come uno sberleffo, come un valore negato dal solito surrogato di politica estera che diventa il frullatore dei malumori e dove non c’è più il fumetto, non ci sono più i comics, ma solo la presunzione di prendere su di sé le sorti di Gaza, del popolo palestinese, di Israele e della Cisgiordania e, sbattendo il mappamondo, anche dei curdi, del Tibet, della Cina, del Dalai Lama e della libertà dei popoli… Già Vitaliano Brancati raccontava dei consigli comunali italiani che votavano mozioni su Cuba e il Vietnam: non atti politici ma happening dove «ogni cretino è pieno di idee». E così Lucca è diventata come il bar dei 4 amici di Gino Paoli che volevano cambiare il mondo e invece scappano via, uno dopo l’altro. E la povera Mostra del fumetto, che ieri è stata tristemente inaugurata, nientemeno, da Antonio Tajani, dopo l’oltraggio delle assenze subirà quello delle presenze di governo, con la guest star Salvini, atteso negli stand dedicati al “diavolo Geppo”.
E c’è pure lo stand del povero Tolkien che è gioco di ruolo, perché a Lucca ci sono anche i “games” e i “cosplayer”, adulti che si travestono da Godzilla e da Ufo robot. È un settore industriale, giochi, video-giochi e fumetti, con numeri in forte crescita, il 95 per cento in più tra 2021 e il 2022, e sempre più spazio nelle librerie generaliste. E bisogna ammettere che, tra quelli che contro Israele non vanno a Lucca, solo l’artista maledetta Fumettibrutti, che è il nome d’arte di Josephine Yole Signorelli, esprime con il botto del petardo il mistero di un odio verso Israele che ormai non necessita più di argomenti: «non farò compromessi perché non mi fa dormire la notte». Ecco, nel ricco linguaggio, le sue idee: «Dicono che in quanto transgender e persona queer LGBTQIA+ non dovrei parlare di Gaza o della causa palestinese…», ma «voglio comunque scrivere una parola di cui parlava sempre anche Murgia, che è “intersezionalità”. Significa preoccuparsi per tutte le lotte contro l’oppressione, dei corpi e dei popoli, non solo di quelle che ci fanno comodo».
Ecco: intersezionalità e Michela Murgia. In tempi normali basterebbe questa lunga spiegazione per liberarci con un sorriso dall’imbarazzante sospetto che possa trattarsi di una cosa seria. Ma, con il Medioriente in fiamme, le pietre di inciampo bruciate nelle strade di Roma, le stelle gialle disegnate a Parigi sui muri delle case, la caccia all’ebreo in aeroporto, il massacro del 7 ottobre e la testa decapitata della giovane Shani Louk, ostaggio israeliano-tedesca, oggi dobbiamo confessare che un po’ di colpa della stringente logica aristotelica di Fumettibrutti e di Zerocalcare ce l’abbiamo noi che abbiamo stretto con questo “pensiero” un legame di complicità, un legame intellettuale, fatto di ideologia e di politica, che adesso ci preme sulla coscienza come un peso misterioso. È un legame ambientale, di un tempo storico arredato di confusione, animato da generosità e dallo stesso gusto della vita di Zerocalcare, il fumettista delle periferie che Renzo Piano ci ha insegnato ad amare, il romanesco come ritorno al dialetto e dunque al campanile della piccola patria, ma con il cognome alloctono, Rech, proprio come quello di Bombolo era Lechner.
Siamo in parte responsabili della promozione a pensatori (di sinistra) di tanti tipi buffi d’Italia, come quelli raccontati da Gianni Celati in Parlamenti buffi (Feltrinelli 1989). In Italia il comico fa i comizi, il regista fa i girotondi, il cantante l’intervista logico-filosofica… E quest’anno tocca al fumettista impegnato il fuori misura sottoculturale che però, con il ritorno dell’antisemitismo, rattrista, anche se il fumettista non spaventa nessuno: «Com’è possibile — si chiede Zerocalcare parodiando l’intellettuale organico — che una manifestazione culturale di questa importanza non si interroghi sull’opportunità di collaborare con la rappresentanza di un governo che sta perpetrando crimini di guerra?». È una violenta seriosità che i veri maestri del fumetto (che non sono i vignettisti) non hanno mai avuto, né Altan né Staino e neppure i martiri come Wolinski. E così Sergio Bonelli, Luciano Secchi (Max Bunker), Roberto Raviola (Magnus), il Silver di Lupo Alberto, Giorgio Cavazzano, re di Topolino,?e andando indietro si arriva a Jacovitti e a Hugo Pratt. Sempre il fumettista è stato underground, anticonformista e pure strano, ma mai buffo e goffo, sempre ai margini, ma senza mai scappare e sottrarsi al confronto, soprattutto perché questa Mostra di Lucca non è come la Biennale o la Triennale, non è un’esposizione che è l’arte dell’esporre, del disporre e del sovraesporre sino al significato musicale della parola esposizione che è fuga, “via, via, vieni via di qui”; e non è neppure un convegno oxfordiano o la piazza dello scontro politico, ma è il grande mercato del fumetto, il più importante mercato d’Italia, come “Artissima”, che domani si apre a Torino, lo è per l’arte contemporanea, e come lo sono i vari “Saloni del libro” d’Europa. La “Lucca Comics” è il luogo della mescolanza, dell’insieme appunto, che avvicina e non contamina, il mercato che è sempre stato la “comfort zone” di tutte le minoranze del mondo. Ma non più degli ebrei, secondo Zerocalcare.
L'articolo L’assurda polemica di Zerocalcare che diserta Lucca proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ministero della Sanità palestinese: “Chiediamo alla Croce Rossa di portare unità di sangue a Gaza”
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 3 novembre 2023. Nella conferenza stampa di oggi, il portavoce del Ministero della Salute palestinese ha comunicato che nelle ultime ore sono stati commessi a Gaza 16 massacri, che hanno causato la morte di 196 palestinesi.
Il numero totale dei palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre è di 9.257, di cui 3.826 bambini e 2.405 donne, e 23.516mila feriti. Sono 2.100 le persone scomparse, tra cui 1.200 bambini, rimasti sotto le macerie.
Sono morti 136 operatori sanitari, colpite e distrutte 25 ambulanze, attaccate 102 istituzioni sanitarie. Sono attualmente fuori servizio, a causa dei bombardamenti e della mancanza di gasolio, medicine e attrezzature, 16 ospedali.
Il Ministero della Sanità ritiene che Israele impedisca deliberatamente ai feriti del nord della Striscia di recarsi in Egitto, bloccando qualsiasi strada di collegamento tra il nord e il sud.
Il funzionamento dei generatori secondari nel complesso ospedaliero di Al-Shifa e nell’ospedale indonesiano consente di continuare le attività solo in tre dei reparti, mentre la corrente è interrotta in tutti gli altri. L’interruzione dell’elettricità nei reparti ospedalieri influenza la capacità delle équipe mediche di monitorare i segni vitali dei pazienti ricoverati e di fornire loro interventi medici tempestivi, con gravi ripercussioni sulla vita dei feriti e dei malati.
“Facciamo appello a tutte le istituzioni internazionali affinché intervengano urgentemente per rifornire di carburante il complesso medico di Al-Shifa e l’ospedale indonesiano prima che si verifichi un disastro. Chiediamo al presidente della Repubblica turca, Recep Erdogan, al governo e al popolo turco di intervenire urgentemente per proteggere l’ospedale turco-palestinese, rifornirlo di carburante e salvare 10.000 malati di cancro. Facciamo appello a tutte le parti interessate affinché forniscano un passaggio sicuro al flusso urgente di aiuti medici, carburante e delegazioni mediche per salvare migliaia di feriti e malati. Sottolineiamo la necessità di coordinare tutti gli sforzi per far uscire centinaia di feriti gravi e centinaia di casi complessi il più presto possibile, per non perdere altre vite a causa della mancanza di cure negli ospedali della Striscia di Gaza. Facciamo appello alla nostra gente affinché si rechi immediatamente negli ospedali per donare il sangue. Facciamo appello al Comitato Internazionale della Croce Rossa affinché fornisca quantità e unità di sangue dall’esterno della Striscia di Gaza per salvare la vita dei feriti”.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Ministero della Sanità palestinese: “Chiediamo alla Croce Rossa di portare unità di sangue a Gaza” proviene da Pagine Esteri.
MALI. L’ONU fugge dal Paese, abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
Pagine Esteri, 3 novembre 2023. La missione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) avrebbe dovuto lasciare la base di KIDAL, nel nord del Paese, a metà novembre.
A giugno la giunta militare al potere in Mali ha ordinato ai rappresentanti ONU di lasciare il prima possibile il Paese. In questi mesi i combattimenti e gli scontri tra i ribelli e le forze governative che si contendono il controllo si sono moltiplicati e sono diventati più violenti.
Alla notizia che le truppe ribelli si stavano avvicinando alla base di KIDAL, il personale ONU si è preparato a lasciare in fretta e furia il Paese, abbandonando tutta l’attrezzatura presente e distruggendo il materiale e gli oggetti “sensibili” che i ribelli avrebbero potuto utilizzare per propri fini. Secondo il portavoce della MINUSMA, nella fuga sono andati perduti milioni di dollari di materiale ONU, finiti nelle mani dei ribelli che hanno preso il controllo della base.
Convogli e personale ONU sono stati bersaglio, in questi mesi, di ripetuti attacchi e attentati.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo MALI. L’ONU fugge dal Paese, abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari proviene da Pagine Esteri.
L’Inondazione di Piedimonte del 1857
Nel settembre del 1857, la città di Piedimonte (Caserta) fu teatro di una catastrofe naturale di proporzioni devastanti. Un’inondazione senza precedenti colpì la regione, lasciando dietro di sé una scia di distruzione e dolore cheContinue reading
The post L’Inondazione di Piedimonte del 1857 appeared first on Zhistorica.
Oggi il discorso di Nasrallah: Hezbollah annuncerà la guerra con Israele?
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione –
Pgine Esteri, 3 novembre 2023. È previsto per le 14.00 di oggi, ora italiana, il discorso del segretario generale del movimento sciita Hezbollah, Hassan Nasrallah. L’annuncio dell’appuntamento è stato accompagnato dalla diffusione di un video carico di suspance in cui il leader libanese sembra ordinare l’avvio di un’operazione militare gestita da una sala operativa vintage, piena di pulsanti, rotelle e comandi vari.
L’attesa è carica di preoccupazione. Negli ultimi giorni la situazione al confine tra Israele e il Libano si è fatta più seria. Israele ha attaccato con aerei e artiglieria le campagne del sud, Hezbollah e Hamas hanno colpito con i droni basi israeliane e la città di Kiryat Shimona, quasi completamente già evacuata giorni fa, causando alcuni feriti.
È possibile che Nasrallah, data la solennità di cui ha vestito questo discorso, comunicherà l’avvio della guerra tra Libano e Israele. Ieri si sono sistemati, lungo il confine, anche gli uomini della milizia iraniana “Imam Hossein”: se Hezbollah, sostenitore di Hamas, portasse il Libano in guerra, l’Iran non potrebbe certo rimaere solo a guardare. Anche se le portaerei statunitensi sono lì proprio per ricordare al leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, quanto alta sia la posta in gioco.
Per garantire la sua credibilità, Hezbollah, che ha più volte minacciato gravi ritorsioni per la strage israeliana di Gaza, qualcosa dovrà fare. O dire. I discorsi di Nasrallah sono spesso infuocati e carichi del pathos tipico della tragedia ma non sempre l’utilizzo magistrale della retorica è accompagnato da azioni significative. Il Libano è un Paese che vive al momento enormi difficoltà economiche, è in default, soffre di una già grave carenza di medicinali, l’energia elettrica è garantita a fasce orarie o dai generatori privati. Israele non si risparmierebbe e non è forse un errore pensare che userebbe sulle città libanesi la stessa violenza di fuoco provata in queste settimane sulla Striscia di Gaza.
Certo è che il discorso di Nasrallah sarà seguito oggi da milioni di persone, nei Paesi arabi e nel mondo. E tutte saranno, in qualche modo, con il fiato sospeso.
SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Oggi il discorso di Nasrallah: Hezbollah annuncerà la guerra con Israele? proviene da Pagine Esteri.
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta la Scuola primaria “Giacomo Matteotti” di Castelnuovo di Porto (RM) che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al PNRR.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta la Scuola primaria “Giacomo Matteotti” di Castelnuovo di Porto (RM) che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al PNRR. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Ben(e)detto del 2 novembre 2023
In Cina e Asia – Cina e Usa si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare
Cina e Stati Uniti si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare
Il Canada accusa la marina cinese di nuova intercettazione pericolosa
Hong Kong prima città asiatica a ospitare i Gay Games
Funzionari thailandesi in colloquio con Hamas per il rilascio degli ostaggi
Il Xinjiang prepara area di libero scambio
Bangladesh: 250 fabbriche chiuse, i lavoratori del tessile chiedono di triplicare il salario
Myanmar, l'esercito perde il controllo di una città chiave al confine con la Cina
L'articolo In Cina e Asia – Cina e Usa si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare proviene da China Files.
Dialoghi – Caffè corretto alla cinese
La bizzarra collaborazione tra Moutai e Luckin Coffee sembra aver convinto i più giovani. Una nuova puntata di Dialoghi.
L'articolo Dialoghi – Caffè corretto alla cinese proviene da China Files.
informapirata ⁂ reshared this.
L’America Latina si schiera contro la guerra a Gaza
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
di Tiziano Ferri –
Pagine Esteri, 2 novembre 2023. A fronte di un’Unione europea che lascia mano libera alle operazioni militari di Israele, il resto del mondo, ad eccezione di Washington e dei suoi stretti alleati, prende posizione contro il massacro di civili a Gaza. Nello specifico, dall’America latina arrivano le posizioni più nette per un immediato cessate il fuoco e per il rispetto del diritto internazionale. Al sud del Rio Grande solo Guatemala e Paraguay hanno votato contro, mentre Haiti, Panama e Uruguay si sono astenuti, per la risoluzione Onu “Protezione dei civili e rispetto degli obblighi legali e umanitari”, approvata il 27 ottobre con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astenuti.
La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva dello stato ebraico “aggressiva e sproporzionata”. Dal paese andino anche la richiesta di terminare il blocco di Gaza, che impedisce l’ingresso di acqua e alimenti. L’ex presidente Evo Morales chiede uno sforzo in più al suo governo: dichiarare Israele uno stato terrorista, denunciare Netanyahu dinanzi alla Corte penale internazionale, chiedere conto agli ambasciatori di Usa e Ue del motivo del loro appoggio politico, militare e diplomatico che permette i crimini dello stato sionista in Palestina. Cuba condanna i bombardamenti su Gaza e gli assassinii di persone innocenti, senza distinzione di etnia, nazionalità, origine o credo religioso. Il presidente Diaz-Canel condivide anche il dolore per la sofferenza delle vittime civili israeliane, ma non accetta un’ “indignazione selettiva” che disconosce la gravità dell’attuale genocidio a Gaza, presentando il lato israeliano come la vittima, e disconoscendo così 75 anni di occupazione. “La storia non perdonerà gli indifferenti, e noi non saremo tra di loro”, afferma il presidente cubano. Anche il Venezuela condanna ciò che il presidente Maduro definisce un genocidio contro il popolo palestinese, e richiama l’attenzione sulle grandi marce per la pace in tutto il mondo, compresa l’occupazione della stazione centrale di New York da parte di centinaia di attivisti della comunità ebraica. La rappresentante messicana all’Onu condanna gli attacchi alla popolazione civile, ai medici e al personale umanitario, mettendo in guardia Israele da quelli che possono essere considerati “crimini di guerra”. Il Messico, criticando la risposta sproporzionata in corso su Gaza, ricorda che le rappresaglie sono contro il diritto internazionale, ed esige che la “Potenza Occupante cessi l’occupazione e tutti gli atti che ledono l’integrità territoriale dello stato di Palestina”. Anche l’Argentina, ricordando di aver condannato a suo tempo gli attentati del 7 ottobre scorso, sottolinea che Israele sta passando i limiti del diritto internazionale, e deve fermare gli attacchi alle infrastrutture civili. Il vicino Brasile, membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu, propone una risoluzione per una pausa umanitaria che consenta l’accesso pieno e in sicurezza delle agenzie delle Nazioni unite, ma viene bloccata dal veto degli Stati Uniti. Il Cile, dopo aver inviato aiuti umanitari, accusa Netanyahu e il suo esercito di violare ripetutamente il diritto internazionale. Richiamando il dato fornito dall’Unicef sui più di 420 bambini feriti o assassinati ogni giorno a Gaza, e “a fronte alle inaccettabili violazioni del diritto internazionale umanitario promosse da Israele nella Striscia di Gaza”, il governo cileno decide di convocare a Santiago per consultazioni il proprio ambasciatore a Tel Aviv. Pur condannando “senza dubbi” gli attentati e i sequestri perpetrati da Hamas, il presidente Boric dichiara che “nulla giustifica questa barbarie a Gaza. Nulla”. Per quanto riguarda la Colombia, già da settimane la tensione è alta con Israele, a seguito del paragone fatto dal presidente Petro tra la situazione di Gaza e il campo di concentramento di Auschwitz. Dopo l’ultima strage di civili a Jabalia, Bogotà ha deciso di richiamare l’ambasciatrice da Tel Aviv: “Se Israele non ferma il massacro del popolo palestinese, non possiamo stare là”, le parole del presidente colombiano.
Hamas ringrazia Cile e Colombia per aver ritirato gli ambasciatori, ed esorta gli stati arabi e islamici a seguire l’esempio boliviano, rompendo le relazioni diplomatiche con Israele. Dal canto suo, il governo Natanyahu condanna la presa di posizione del governo di La Paz, accusandolo di essere “sottomesso al regime iraniano” e di allinearsi all’ “organizzazione terrorista Hamas”. Parole più concilianti per Cile e Colombia, in quanto la speranza di Israele è che i due paesi “non si allineino a Venezuela e Iran nell’appoggio ad Hamas”, e che “sostengano il diritto di uno stato democratico a proteggere i propri cittadini”. La risposta di Petro non potrebbe essere più chiara: “Si chiama Genocidio, lo compiono per togliere il popolo palestinese da Gaza e appropriarsene. Il capo di stato che compie questo genocidio è un criminale contro l’umanità. I suoi alleati non possono parlare di democrazia”.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo L’America Latina si schiera contro la guerra a Gaza proviene da Pagine Esteri.
Azzerati
Vedere certificato che da sei mesi la nostra economia non cresce, dopo la più veloce uscita dagli effetti della pandemia, non fa un bell’effetto. Ma non è tanto questo a dovere preoccupare, tanto più che nel terzo trimestre l’Eurozona ha segnato un -0,1%, condizionata dalla Germania in recessione. Il dato non rallegra, ma quel che conta è se si stia lavorando alle condizioni della ripartenza, se la politica del bilancio pubblico abbia fiutato l’aria che tira e – se la cosa non fosse divenuta stucchevolmente rituale – se il Pnrr stia diventando realizzazioni.
Lasciamo perdere il tira e molla sulle voci del bilancio, tanto più che le pressioni esercitate da taluni governanti sul governo si sono rivelate mezze cilecche. A forza di volere piantare bandierine si sono ritrovati con l’irrilevanza nel vessillo. E lasciamo perdere il pericoloso vanto circa il fatto che i parlamentari della maggioranza non presenteranno emendamenti. Pericoloso sul piano costituzionale – dato che al mandato parlamentare senza vincolo s’è accoppiato il vincolo partitico e governativo sui parlamentari – ma anche su quello tattico, visto che taluno di quei parlamentari potrebbe votare emendamenti dell’opposizione. La più alta probabilità è che la commedia si concluda secondo tradizione, ovvero con un maxi emendamento del governo che emendi sé stesso non avendo consentito ad altri di farlo. Lasciamo perdere. Quel che rileva è che i saldi previsti (e mantenuti) in quella legge di bilancio sono usciti dalla realtà: ben difficilmente cresceremo dell’1,2% nel 2024, il che sballa sia il deficit che il peso percentuale del debito sul Prodotto interno lordo, diminuendo il gettito fiscale nel mentre si rischia che il fermarsi del tasso di sconto praticato dalla Banca centrale europea non fermi la spesa per onorare e rifinanziare un debito che si troverebbe a crescere anziché scendere.
Non si presta mai sufficiente attenzione a un numero che ha qualche cosa di terribile: non soltanto siamo gli europei con il debito in assoluto più alto e, quindi, con la spesa per interessi più alta, ma abbiamo uno spread di quasi 60 punti rispetto alla Grecia, il cui debito in relazione al Pil è più alto del nostro. Fra gente assennata si parlerebbe di quello con ben più allarme rispetto allo spread che ci divide dalla Germania.
In altre condizioni questa situazione ci porterebbe in un’area a fortissimo rischio. Non accade o almeno non in modo evidente perché, con due guerre ai confini europei e un altro paio di focolai pericolosi, l’Unione europea farà da scudo: gli investitori lo sanno e, quindi, non scommettono sulla caduta italiana. Ma non dura all’infinito. Fortunatamente.
Questo spazio temporale si dovrebbe utilizzarlo per correggere le previsioni di bilancio ed evitare che squilibri interni creino la destabilizzazione che gli squilibri esterni contrastano. Il che ci porta all’inflazione: nel mese di ottobre la nostra è scesa all’1,8%, mentre anche quella dell’Eurozona è scesa, ma al 2,9%. A produrre la discesa sono stati i prezzi dei prodotti energetici, che segnano un vistoso -17,6%. Ma questo vale, più o meno, a seconda dei diversi mix delle fonti, anche per gli altri Paesi europei. Se la nostra inflazione è scesa di più è anche perché i consumi privati sono in più marcata frenata. Il che porta a guardare l’aumento dei prezzi nel campo dei beni essenziali: il carrello della spesa fa segnare un +6,3%. Vuol dire che non si è lavorato abbastanza – o affatto – sulla concorrenza nel mercato interno. Si pensi che venerdì prossimo potrebbe essere varata (speriamo di no) l’ennesima proroga della non apertura del mercato elettrico, laddove quanti sono passati al mercato aperto hanno risparmiato più soldi e il guasto – nel peggiore dei casi e per una minoranza di italiani – sarebbe il dover aggiornare il pagamento automatico in banca.
Inerzia e rinvio vanno azzerati, se non si vuole che l’azzeramento della crescita sia un destino anziché una circostanza.
La Ragione
L'articolo Azzerati proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Ministero dell'Istruzione
I Comuni e le Province impegnati nella costruzione di nuove scuole #PNRR, affinché sia garantita la continuità didattica nella fase dei lavori, potranno beneficiare di contributi per l’affitto di immobili o il noleggio di strutture provvisorie.Telegram
Sui generis di Michele Gerace
Il fatto è che ci siamo fatti prendere la mano e più di una volta abbiamo rimosso alcuni limiti che pure ci siamo dati. Quando ne abbiamo avuto la possibilità, abbiamo pensato di poterli togliere del tutto perché quei limiti riflettono una natura sui generis che lo specchio-specchio-delle-mie-brame ci dice che può essere più che umana e tecnologica, onnipotente e forse immortale. Quello che abbiamo ascoltato dallo specchio è stato inebriante e terrificante. Alcuni si sono eccitati alla sola idea, altri spaventati a morte. Quelli che si sono spaventati hanno pensato che tanto vale distruggere la macchina. Gli altri hanno iniziato a fare della tecnologia la religione di post-umani di ultima generazione. Gli uni non si sono resi conto che è impossibile rinunciare alla tecnologia dal momento che siamo tecnologici per definizione. Gli altri non hanno considerato che ancora oggi la sfida più difficile è la conquista della nostra umanità. Agli opposti e di mezzo, il nostro bel problema. Questo libro è un invito a prenderlo di petto, a tenere la giusta postura per spingere lo sguardo oltre l’orizzonte e darci una direzione.
L'articolo Sui generis di Michele Gerace proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
LIVE GIORNO 27. A Gaza gli ospedali stanno chiudendo. “Senza gasolio si trasformeranno in obitori”
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
della redazione –
Pagine Esteri, 2 novembre 2023. Dopo i 500 cittadini stranieri che ieri, per la prima volta dall’inizio della guerra, hanno potuto lasciare Gaza, insieme a un’ottantina di gravi feriti e ammalati palestinesi, oggi è stata consegnata una lista contenente 596 nomi di cittadini stranieri o palestinesi con doppia cittadinanza che hanno il permesso di attraversare il valico di Rafah e andare in Egitto. Da questa mattina una lunga fila di macchine si muove verso Rafah, nella speranza che il valico si apra e che sia possibile uscire. L’Egitto ha comunicato che aiuterà a far uscire da Gaza, attraverso il valico di Rafah, 7.000 tra internazionali e palestinesi con doppia cittadinanza.
I due violenti attacchi di ieri sul grande campo profughi di Jabalia (al quale se ne è aggiunto un terzo nella notte) hanno causato 195 morti e 120 dispersi oltre a un numero altissimo di feriti, circa 770, la maggior parte dei quali sono stati trasportati all’ospedale indonesiano, l’unico rimasto operativo nel nord di Gaza. La struttura lavora 50 volte sopra le proprie capacità e il Ministero della Salute ha fatto sapere che, a causa dell’embargo di carburante, il generatore principale non funziona più: l’elettricità e il funzionamento dei macchinari medici è garantito solo da piccoli generatori di emergenza. Il Ministero fa sapere anche che in qualsiasi momento, nelle prossime 24 ore, anche questi generatori potrebbero spegnersi, trasformando l’ospedale “in un obitorio”. I morti palestinesi a Gaza, al momento, sono 8.805. 132 le persone uccise in Cisgiordania.
Secondo Al Jazeera l’esercito israeliano ha isolato la parte nord-occidentale della Striscia di Gaza, intensificando le incursioni di terra e i combattimenti con i gruppi armati palestinesi, distruggendo case e bloccando le strade che conducono verso sud, bloccando di fatto gli abitanti. Un soldato israeliano è stato ucciso nelle prime ore di oggi a Gaza. Dal 7 ottobre i soldati israeliani uccisi sono stati 332.
Sul fronte libanese continuano le schermaglie tra Hezbollah e l’esercito israeliano. Il gruppo sciita ha colpito un drone israeliano e le IDF hanno risposto con colpi anticarro.
Sono 60 i palestinesi arrestati durante la notte in varie città della Cisgiordania occupata, compreso il rappresentante degli studenti dell’Università Birzeit. Il totale degli arresti dal 7 ottobre in Cisgiordania è salito a 1800. Due palestinesi sono stati uccisi e sei feriti a Qalqilya e Ramallah. Pagine Esteri
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo LIVE GIORNO 27. A Gaza gli ospedali stanno chiudendo. “Senza gasolio si trasformeranno in obitori” proviene da Pagine Esteri.
In Cina e in Asia – La Cina dà l’ultimo addio a Li Keqiang
La Cina dà l'ultimo addio a Li Keqiang
Per Xi risolvere i problemi finanziari è un “tema eterno per il governo”
La Cina fa un passo indietro sugli investimenti ingenti nel Pacifico meridionale
Le stazioni meteorolog
L'articolo In Cina e in Asia – La Cina dà l’ultimo addio a Li Keqiang proviene da China Files.
Taiwan Files – L’opposizione tratta sulle elezioni, Pechino indaga sulla Foxconn
I due principali rivali del candidato di maggioranza alle presidenziali di gennaio cercano un (complicato) accordo. Le chance di Gou Taiming ridotte dopo l'indagine cinese sul suo colosso Foxconn. Avvertimenti dallo Xiangshan Forum, Israele e Gaza visti da Taiwan. Semiconduttori. Manifestanti contro il memoriale di Chiang Kai-shek. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
L'articolo Taiwan Files – L’opposizione tratta sulle elezioni, Pechino indaga sulla Foxconn proviene da China Files.
Dichiarazione della FPF sugli arresti ingiustificabili dei giornalisti dell'Alabama
E oggi, l'editore, Sherry Digmon, è stato arrestato di nuovo, questa volta per aver sollecitato annunci pubblicitari dal distretto scolastico locale mentre prestava servizio nel Board of Education.
"Arrestare giornalisti che riportano notizie è palesemente incostituzionale", ha affermato Seth Stern, direttore dell'advocacy della Freedom of the Press Foundation (FPF) . “Le regole di segretezza del Gran Giurì vincolano i gran giurati e i testimoni, non i giornalisti. Il procuratore distrettuale dovrebbe incolpare se stesso per non aver mantenuto la segretezza dei procedimenti del gran giurì, non i giornalisti carcerari per aver fatto il loro lavoro”."Il Primo Emendamento protegge i giornalisti che pubblicano informazioni ottenute legalmente da fonti", ha affermato Caitlin Vogus, vicedirettore dell'Advocacy della FPF . “In questo Paese non arrestiamo i giornalisti per aver riportato notizie che le autorità preferirebbero mantenere segrete”.
like this
reshared this
Pubblicato il nuovo numero di Technology Weekly, la newsletter settimanale sulla tecnologia di Euractiv che ti fornisce le ultime notizie da tutta Europa su tutto ciò che riguarda il digitale
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
I deepfake di nudo inondano Internet nel vuoto legislativo del 31/10/23
I deepfake di nudo, compresi quelli di minori, stanno diventando sempre più comuni online man mano che gli strumenti per crearli diventano più accessibili, avvertono gli esperti, ma la legge è ancora indietro nel regolamentare tale materiale .
La "strategia multi-cloud" della Commissione Europea solleva dubbi sulla coerenza il 31/10/23
il servizio cloud statunitense Oracle ha annunciato che la Commissione Europea ha deciso di includere i servizi Oracle Cloud Infrastructure nelle sue offerte, sollevando dubbi sulla coerenza con gli schemi di sicurezza cloud proposti.
I politici dell'UE si preparano allo scontro nel spinoso dibattito sullo status dei lavoratori su piattaforma il 31/10/23
Le istituzioni dell'UE si stanno preparando ad un confronto sul funzionamento della presunzione legale di occupazione, l'aspetto più delicato della Direttiva sui lavoratori su piattaforma, in un trilogo giovedì prossimo (9 novembre).
Francia e Germania si allontanano sempre più sulla sovranità digitale del settore cloud il 31/10/23
Il recente annuncio di "un nuovo cloud indipendente per l'Europa" da parte di Amazon Web Services ha sottolineato la crescente divergenza tra le posizioni di Parigi e Berlino riguardo alla sovranità digitale nel settore cloud.
La Moldavia blocca l'accesso alle principali agenzie di stampa russe il 31/10/23
La Moldavia ha bloccato lunedì (30 ottobre) l'accesso ai siti web dei principali mezzi di informazione russi, comprese le agenzie di stampa Interfax e TASS, accusandoli di prendere parte ad una guerra di informazione contro Paese.
Le ONG sollecitano la Commissione Europea a includere i siti Web porno nel club del "rischio sistemico" il 30/10/23
Diverse organizzazioni della società civile hanno esortato la Commissione Europea a designare i principali siti Web porno come "piattaforme online molto grandi" che devono seguire un regime rigoroso sotto il Digital Services Act (DSA), secondo una lettera vista da Euractiv.
Il targeting dei funzionari dell'UE con lo spyware Predator dimostra la necessità di controlli legali più rigorosi il 30/10/23
Mentre l'UE finora non è riuscita ad adottare misure adeguate contro le forme più invasive di spyware, la direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale (CSDDD) potrebbe offrire una soluzione un’opportunità cruciale per l’UE di tenere a freno la dilagante tutela dei diritti umani...
I progressi dei policy maker dell'UE sul software open source, periodo di supporto nella nuova legge sulla sicurezza informatica del 30/10/23
L'approccio dei policy maker dell'UE al software open source e al periodo di supporto nel prossimo Cyber Resilience Act sta prendendo forma. Il Cyber Resilience Act è una proposta legislativa che introduce requisiti di sicurezza per i dispositivi connessi. Il disegno di legge è...
Rapporto iniziale di RSF: il giornalista Reuters è stato ucciso in Libano in un attacco "mirato" il 30/10/23
Il giornalista Reuters Visuals Issam Abdallah è stato ucciso il 13 ottobre nel sud del Libano da un attacco "mirato" dalla direzione del confine israeliano, Reporters Without Lo ha detto domenica (29 ottobre) Borders (RSF), sulla base dei risultati preliminari della sua indagine.
Qui la pagina con la newsletter in inglese
Per iscriverti alle newsletter di Euractiv, clicca qui
like this
reshared this
Presidenzialismo forte? No, premierato debole
Se c’è qualcuno che, in realtà, avrebbe il diritto di protestare, quelli sono i presidenzialisti convinti. La bozza di riforma istituzionale redatta dal ministro per le Riforme Maria Elisabetta Casellati e caldeggiata dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, infatti, è un arretramento su tutta la linea. Intanto non si prevede l’elezione diretta del presidente della Repubblica, come il centrodestra ha sempre auspicato, ma del presidente del Consiglio (come auspicava chi scrive, ma questo è irrilevante). Ma soprattutto non si attribuiscono al presidente del Consiglio quei poteri che, essendo il nostro un sistema parlamentare, la Costituzione pone oggi in capo al presidente della Repubblica.
Unico potere reale che il Quirinale perderebbe è quello di nominare il presidente del Consiglio (art. 92). Ma non perderebbe affatto, il che sarebbe piuttosto bizzarro in presenza di un premier investito direttamente dalla volontà popolare, il potere di nominare e di revocare i ministri del governo. In soldoni, se domani i cittadini decidessero di mandare a Palazzo Chigi Pinco Pallino, Pinco Pallino non avrebbe il potere di decidere chi farà il ministro nel suo governo. Come accade oggi, potrà fare delle proposte al presidente della Repubblica, il quale manterrebbe inalterato il proprio potere di rispondere no, quel tizio proprio non lo voglio ministro. Oppure, no, quel ministro deve rimanere in carica.
Non solo. Al presidente del Consiglio non spetterebbe neanche il potere di sciogliere le camere (o di minacciarne lo scioglimento) a proprio piacimento. Quel potere resterebbe attribuito al presidente della Repubblica. Il quale, così come accade oggi, potrebbe sempre incaricare un nuovo presidente del Consiglio. Unico limite, e questa è effettivamente una novità, è che lo potrà scegliere solo tra gli eletti in Parlamento nella legislatura in corso che compongono la maggioranza. Si esclude, dunque, la possibilità che un tecnico arrivi direttamente dalla società civile a palazzo Chigi. Ma non si esclude la possibilità che una personalità eletta con la maggioranza dia vita ad un governo sostenuto da partiti che componevano l’opposizione.
Insomma, ci troviamo di fronte alla prospettiva di un mezzo premierato debole. Sì che, per quanto tra i ranghi della maggioranza così come tra quelli dell’opposizione non c’è nessuno disposto a scommettere sul fatto che la riforma di cui stiamo parlando vedrà mai la luce, davvero non si capisce il senso degli strepiti di chi ritiene gravemente intaccate le attuali prerogative del capo dello Stato a vantaggio di un premier intollerabilmente forte.
L'articolo Presidenzialismo forte? No, premierato debole proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Passi avanti sul Gcap. Entro fine anno il trattato per il nuovo jet Italia-Uk-Giappone
Ieri a Roma si è tenuta una ha riunione tra i vertici della Difesa di Italia, Regno Unito e Giappone sul Global Combat Air Programme, il programma per la realizzazione del jet di sesta generazione. “Stiamo lavorando insieme affinché il Gcap racchiuda le migliori tecnologie e capacità di Italia, Giappone e Regno Unito. Un progetto trilaterale basato su un’uguale partecipazione in termini di costi e benefici e sulla condivisione delle migliori tecnologie tra i nostri tre Paesi”, ha dichiarato Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, al termine dell’incontro con Grant Shapps, segretario alla Difesa britannico, e Yoshiaki Wada, consigliere speciale del ministro della Difesa giapponese. Un lungo e importante colloquio durante il quale sono state poste le basi per la definizione del trattato per avviare l’iter parlamentare che verrà firmato a Tokyo entro la fine dell’anno.
Le puntate precedenti
L’incontro segue il trilaterale avuto a settembre a Londra. Nell’occasione, il ministro Crosetto ha incontrato James Roger Cartlidge, minister (sottosegretario) con delega al procurement della Difesa del Regno Unito, e Kiyoshi Serizawa, viceministro della Difesa del Giappone, a Lancaster House. L’incontro, tra l’altro, avvenne a margine del Dsei, l’importante fiera della difesa e l’aerospazio della capitale britannica, durante la quale le tre capofila del progetto, Leonardo, Bae Systems e Mitsubishi Heavy Industries hanno annunciato la definizione dei termini della collaborazione trilaterale per soddisfare i requisiti della fase concettuale del sistema di difesa aerea di nuova generazione. A quello sono seguiti gli accordi tra Mbda Italia ed Mbda UK insieme a Mitsubishi Electric Corporation ed Elt Group. Gli incontri precedenti: quello di Roma a giugno, che vide la partecipazione dell’allora ministro della Difesa britannico Ben Wallace e il viceministro della Difesa giapponese Atsuo Suzuki; quello di marzo in Giappone quando Crosetto e Wallace incontrarono il ministro Yasukazu Hamada, il predecessore dell’attuale ministro, Minoru Kihara. Una serie di trilaterali con l’obiettivo di definire i punti della collaborazione tra i tre Paesi e decidere i nuovi passi da intraprendere per l’attuazione del progetto.
Il Gcap
Il progetto del Global Combat Air Programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado, cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al jet di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre dell’anno scorso, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
La questione saudita
Tra i temi affrontati nella riunione di martedì c’è stato quello dell’allargamento del programma. Tuttavia, come conferma la difficoltà di Formiche.net ad avere informazioni, l’eventuale coinvolgimento dell’Arabia Saudita rimane un tabù. Su questo il Regno Unito è aperturista mentre il Giappone è fortemente contrario. Nelle scorse settimane si è espresso anche Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, chiudendo la porta: “Il programma è Uk, Giappone e Italia. Punto”, aveva detto a margine dell’assemblea di Confindustria.
L'Indipendente | La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D'Eramo
"Il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente."
Passi avanti sul Gcap. Entro fine anno il trattato per il nuovo jet Italia-Uk-Giappone
Ieri a Roma si è tenuta una ha riunione tra i vertici della Difesa di Italia, Regno Unito e Giappone sul Global Combat Air Programme, il programma per la realizzazione del jet di sesta generazione. “Stiamo lavorando insieme affinché il Gcap racchiuda le migliori tecnologie e capacità di Italia, Giappone e Regno Unito. Un progetto trilaterale basato su un’uguale partecipazione in termini di costi e benefici e sulla condivisione delle migliori tecnologie tra i nostri tre Paesi”, ha dichiarato Guido Crosetto, ministro della Difesa italiano, al termine dell’incontro con Grant Shapps, segretario alla Difesa britannico, e Yoshiaki Wada, consigliere speciale del ministro della Difesa giapponese. Un lungo e importante colloquio durante il quale sono state poste le basi per la definizione del trattato per avviare l’iter parlamentare che verrà firmato a Tokyo entro la fine dell’anno.
Le puntate precedenti
L’incontro segue il trilaterale avuto a settembre a Londra. Nell’occasione, il ministro Crosetto ha incontrato James Roger Cartlidge, minister (sottosegretario) con delega al procurement della Difesa del Regno Unito, e Kiyoshi Serizawa, viceministro della Difesa del Giappone, a Lancaster House. L’incontro, tra l’altro, avvenne a margine del Dsei, l’importante fiera della difesa e l’aerospazio della capitale britannica, durante la quale le tre capofila del progetto, Leonardo, Bae Systems e Mitsubishi Heavy Industries hanno annunciato la definizione dei termini della collaborazione trilaterale per soddisfare i requisiti della fase concettuale del sistema di difesa aerea di nuova generazione. A quello sono seguiti gli accordi tra Mbda Italia ed Mbda UK insieme a Mitsubishi Electric Corporation ed Elt Group. Gli incontri precedenti: quello di Roma a giugno, che vide la partecipazione dell’allora ministro della Difesa britannico Ben Wallace e il viceministro della Difesa giapponese Atsuo Suzuki; quello di marzo in Giappone quando Crosetto e Wallace incontrarono il ministro Yasukazu Hamada, il predecessore dell’attuale ministro, Minoru Kihara. Una serie di trilaterali con l’obiettivo di definire i punti della collaborazione tra i tre Paesi e decidere i nuovi passi da intraprendere per l’attuazione del progetto.
Il Gcap
Il progetto del Global Combat Air Programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado, cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al jet di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre dell’anno scorso, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
La questione saudita
Tra i temi affrontati nella riunione di martedì c’è stato quello dell’allargamento del programma. Tuttavia, come conferma la difficoltà di Formiche.net ad avere informazioni, l’eventuale coinvolgimento dell’Arabia Saudita rimane un tabù. Su questo il Regno Unito è aperturista mentre il Giappone è fortemente contrario. Nelle scorse settimane si è espresso anche Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, chiudendo la porta: “Il programma è Uk, Giappone e Italia. Punto”, aveva detto a margine dell’assemblea di Confindustria.
Per il «dopo-Hamas» lo spettro di una nuova Nakba
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 1 novembre 2023. Descritta come una «seconda fase», fatta di incursioni dentro Gaza ampie ma pur sempre limitate, l’offensiva di terra israeliana in realtà è in corso ed è vasta e distruttiva, con conseguenze evidenti per i civili palestinesi. Il fatto che il governo e i comandi militari israeliani cerchino di farla apparire «contenuta» ha lo scopo di calmare gli alleati statunitensi ed europei, ora un po’ in imbarazzo per aver sostenuto apertamente la rappresaglia senza freni di Israele all’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha colpito soprattutto la popolazione civile palestinese e non il movimento islamico. Strategie della comunicazione a parte, è davanti agli occhi di tutti l’invasione israeliana della metà settentrionale di Gaza. Le immagini dei carri armati israeliani sulla costa e allo stesso tempo sulle linee orientali della Striscia e il loro stringere su Gaza city, dicono che Israele sta impiegando migliaia di soldati e centinaia di mezzi corazzati, per rioccupare questo fazzoletto di territorio palestinese. Ciò che invece non è affatto chiaro e il governo Netanyahu fa il possibile per non dare punti di riferimento è la «soluzione politica» ciò il «dopo-Hamas» che ha in mente Israele, sempre ammesso che riesca a sradicare, come il suo gabinetto di guerra ripete ogni giorno, il movimento islamico. Senza dimenticare che la questione degli ostaggi nelle mani di Hamas diventerà sempre più rilevante finendo forse per imporre una tregua e un negoziato per lo scambio di prigionieri che oggi l’establishment israeliano esclude.
L’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen ribadisce che a Gaza non tornerà sui mezzi corazzati israeliani. Ma la sua posizione è irrilevante per il governo Netanyahu che non permetterà il rafforzamento ad una entità politica che, pur con i suoi grandi limiti ed errori, rappresenta ancora agli occhi del mondo l’idea di un futuro Stato palestinese indipendente nei Territori occupati. L’impressione che si ha è che l’idea dell’espulsione dei palestinesi da Gaza, una seconda Nakba 75 anni dopo, circolata qualche giorno fa, non sia una «fantasia». E non solo per i coloni israeliani che vorrebbero cacciare via tutti i palestinesi e ricostruire a Gaza gli insediamenti ebraici fatti demolire nel 2005 dal premier scomparso Ariel Sharon.
Si è appreso che il ministero dell’Intelligence ha raccomandato il trasferimento forzato e permanente dei 2,2 milioni di palestinesi di Gaza nella penisola egiziana del Sinai, grazie a un documento ufficiale rivelato dalla rivista israeliana +972 Local Call. Il documento di 10 pagine, datato 13 ottobre 2023, porta il logo del ministero guidato dall’esponente del partito Likud, Gila Gamliel, che produce ricerche politiche e condivide le sue proposte con le agenzie di sicurezza, l’esercito e altri ministeri. Valuta tre opzioni ma nelle sue conclusioni raccomanda il trasferimento totale della popolazione palestinese come linea d’azione preferita assieme all’allestimento di una tendopoli e alla costruzione di città nel Sinai per assorbire gli espulsi. Quindi invita Israele a mobilitare la comunità internazionale a sostegno di questo «progetto».
Qualcuno ha commentato che si tratta «solo» di un documento. Tuttavia, il fatto che un ministro del governo israeliano abbia preparato una proposta così dettagliata nel mezzo di un’offensiva militare su larga scala, dice che l’idea di cacciare via i palestinesi dalla loro terra è nella mente degli attuali leader politici israeliani come lo era decenni fa nei governanti del passato. A una proposta per l’espulsione dei palestinesi da Gaza lavora, riferisce sempre +972 Local Call, anche Amir Weitmann del Misgav Institute, un think tank guidato da Meir Ben-Shabbat, stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu. A una Nakba «temporanea» aveva pensato anche l’Amministrazione Biden che per giorni ha discusso con l’Egitto di una tendopoli gigantesca nel Sinai. Poi ha frenato di fronte alla ferma opposizione dell’egiziano Abdel Fattah El Sisi, sostenuto da re Abdallah di Giordania. In casa israeliana però l’idea non sembra affatto morta, a giudicare dal silenzio del governo Netanyahu su chi dovrà a suo giudizio «governare» in futuro i palestinesi di Gaza.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo Per il «dopo-Hamas» lo spettro di una nuova Nakba proviene da Pagine Esteri.
LIVE GIORNO 26. Aperto il valico di Rafah per l’uscita da Gaza: è la prima volta dall’inizio della guerra
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
(foto Anas Al Sharif)
della redazione –
Pagine Esteri, 1 novembre 2023. Aperto per la prima volta dal 7 ottobre il valico di Rafah, secondo le prime notizie con lo scopo di spostare i feriti di Gaza negli ospedali egiziani. L’apertura in realtà è stata utilizzata, per il momento, soprattutto per far uscire gli stranieri dalla Striscia: una lista di 500 nomi di cittadini residenti all’estero o con doppio passaporto è stata consegnata alle autorità per permettere loro di lasciare Gaza. Sono circa 80 i palestinesi con ferite gravi che hanno ricevuto al momento il permesso di essere curati in Egitto.
Le comunicazioni nella Striscia di Gaza sono state nuovamente tagliate questa mattina.
Le autorità militari israeliane hanno fatto sapere che 9 soldati sono stati uccisi durante l’invasione militare di Gaza, portando così a 12 il numero dei soldati morti nelle ultime 24 ore. Le operazioni di terra sono continuate durante la notte e negli scontri le forze armate israeliane hanno dichiarato di aver ucciso decine di militanti di Hamas.
Nel bombardamento israeliano che ieri ha colpito il popoloso campo profughi di Jabalia, sono morte almeno 50 persone e 400 circa sono rimaste ferite. Hamas ha dichiarato che le bombe hanno ucciso 7 ostaggi civili, tra i quali 3 cittadini stranieri. Il Ministero degli esteri francese ha fatto sapere che tra i morti di Gaza ci sono anche 2 bambini di nazionalità francese.
Nei raid a Jenin, in Cisgiordania, che Israele ha portato avanti durante la notte, sono stati uccisi 3 palestinesi. Un ragazzo di 16 anni è stato ucciso ad Hebron. I militari, durante le incursioni, hanno utilizzato mezzi corazzati per distruggere le strade del campo profughi. Sono almeno 50 i palestinesi arrestati nella notte in Cisgiordania. Portato via dalla propria casa anche un leader del partito del presidente Abu Mazen, al-Fatah, Atta Abu Rmeila. Dall’inizio della guerra sono 127 i palestinesi uccisi in Cisgiordania dall’esercito e dai coloni israeliani.
La Bolivia di Evo Morales ha dichiarato l’interruzione dei rapporti diplomatici con Israele: “lo facciamo dopo che il regime israeliano ha assassinato più di 8.500 persone, quasi la metà bambini e bambine”. Il Cile di Gabriel Boric e la Colombia di Gustavo Petro hanno richiamato i propri ambasciatori in Israele. Il governo di Netanyahu è accusato dai tre Paesi sud americani di violazioni dei diritti umani, uso sproporzionato della forza e utilizzo di punizioni collettive contro il popolo palestinese.
He decidido llamar a consulta a nuestra embajadora en Israel. Si Israel no detiene la masacre del pueblo palestino no podemos estar allá.— Gustavo Petro (@petrogustavo) November 1, 2023
Sono più di 11.000, secondo le forze armate israeliane, gli obiettivi colpiti nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre scorso, giorno in cui Hamas ha attaccato Israele, uccidendo 1.400 persone e ferendone 5.431. Da quel giorno a Gaza sono state uccise 8.525 persone e ferite 21.543. In Cisgiordania, invece, i palestinesi uccisi sono 127 e i feriti 1.980.
Twitter WhatsAppFacebook LinkedInEmailPrint
L'articolo LIVE GIORNO 26. Aperto il valico di Rafah per l’uscita da Gaza: è la prima volta dall’inizio della guerra proviene da Pagine Esteri.
Archeologia e Scoperte – Settembre 2023
Archeologia e Scoperte di Zhistorica News è una delle rubriche storiche più seguite della nostra pagina Facebook. In questi articoli mensili qui sul sito trovate tutte quelle pubblicate nel mese di riferimento, in modo daContinue reading
The post Archeologia e Scoperte – Settembre 2023 appeared first on Zhistorica.
Weekly Chronicles #52
Questo è il numero #52 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di globalismo, sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati. Questa settimana parliamo di:
- Una guida anti-doxxing
- Le celebrità diventano una IA, e vogliono i tuoi dati
- I poliziotti inglesi potranno confiscare le seed words
E poi,
Lettere Libertarie: Le radici della guerra
Scenario OpSec della settimana: Marco usa Bitcoin per acquistare prodotti online che sono considerati socialmente tabù. Se gli acquisti fossero resi noti, potrebbe avere conseguenze reputazionali e problemi con la famiglia o col lavoro. Pertanto, non vuole che le sue transazioni o le spedizioni siano associate a lui.
Una guida anti-doxxing
Il doxxing è l’attività di ricerca, documentazione e poi diffusione di dati personali riferibili a una specifica persona con lo scopo di molestarla o intimidirla.
È un fenomeno piuttosto diffuso nel campo del giornalismo e dell’attivismo, ma come ci insegna X in questi giorni con l’hashtag #SiamoTuttiGiardinieri, potrebbe riguardare chiunque abbia un’identità pseudoanonima online.
Equality Lab, un’organizzazione della società civile (noprofit) ha da poco rilasciato una guida anti-doxxing molto estensiva e dettagliata sul tema.
La guida ha l’obiettivo di aiutare attivisti particolarmente esposti politicamente a mitigare i rischi di doxxing, ma è applicabile a chiunque abbia voglia di limitare il rischio di esposizione della sua identità fisica online.
Si parte dalla definizione di doxxing per poi delineare i principi di threat modeling che dovrebbero guidare qualsiasi valutazione in materia di sicurezza personale, fino ad arrivare a numerosissimi consigli su come proteggere dati e identità personale.
Insomma, un piccolo manuale che fornisce numerosi spunti interessanti, soprattutto per chi ancora non ha molta dimestichezza con la privacy online.
Le celebrità diventano una IA, e vogliono i tuoi dati
Poliverso & Poliversity reshared this.
Il nostro solito antisemitismo
Perché a Chicago, durante una manifestazione pro palestinese, sono stati aggrediti degli ebrei? Perché sugli usci delle case abitate da ebrei a Varsavia si disegna la stella di David? Perché nei cortei pacifisti romani si dichiara Israele stato nazista e terrorista? Perché i partecipanti agli stessi cortei strappano la bandiera di Israele dalla Fao? Perché nei cortei pacifisti milanesi si chiede di aprire i confini per andare ad ammazzare gli ebrei?
Perché nell’aeroporto di Makhachkala, Dagestan, si organizza una caccia all’ebreo? Perché fuori dallo stesso aeroporto un bambino dice di essere andato lì per veder uccidere gli ebrei? Perché una ragazza esibisce un cartello con la stella di David infilata nella spazzatura per far pulizia nel mondo? Perché nelle università americane si inneggia al pogrom di Hamas come igiene mediorientale? Perché a Tunisi si assalta la sinagoga e si dà fuoco ai testi sacri? Perché a Lione la sinagoga viene vandalizzata?
Perché a Berlino una sinagoga è colpita da una bomba molotov? Perché i ragazzi di Sydney chiedono la riapertura delle camere a gas? Perché nella metropolitana di New York si scrive di uccidere gli ebrei? Perché in Circassa si sollecita di espellere tutti gli ebrei? Perché a Stanford un professore mette gli studenti ebrei in un angolo? Perché a Seul si inneggia alla soluzione finale contro gli ebrei? Perché nessuno si sogna né si sognerebbe mai (e ci mancherebbe) di dire o fare altrettanto con i palestinesi? Perché con gli ebrei sì e coi palestinesi (e ci mancherebbe) no? Perché, se non è precisamente antisemitismo? Il nostro solito, vecchio, mai scomparso antisemitismo?
La Stampa
L'articolo Il nostro solito antisemitismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
vecna
in reply to Informa Pirata • • •Fare pressione ad Alessio Butti per l'italia potrebbe funzionare. Vorreste fare qualcosa a riguardo?
Informa Pirata likes this.
reshared this
Informa Pirata e Maronno Winchester reshared this.