In Cina e in Asia: Xi a Biden: "Il mondo è abbastanza grande per il successo di Cina e Usa”
I titoli di oggi: Xi a Biden: “Il mondo è abbastanza grande per il successo di Cina e Usa” Cina e Usa lanciano un gruppo di lavoro sulla cooperazione climatica Gli Stati Uniti ribadiscono il sostegno alle Filippine nel vertice sulla Difesa dell’ASEAN Tre “pilastri” dei colloqui dell’IPEF sono stati completati Xiaomi mostra il suo primo veicolo elettrico Apre il ...
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Oggi alle 10.30 torna L'Ora di Costituzione! Il tema della sesta lezione è su “La formazione delle Leggi”.
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Ministero dell'Istruzione
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Dialoghi – Finché pietà filiale non ci separi: chi si prende cura degli anziani in Cina?
Mentre si alza l'età media dei cinesi, sono ancora tante le sfide da affrontare nell’assistenza agli anziani, in un panorama fatto di incentivi ma anche di pressioni per le famiglie della “Nuova era”.
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Giancristiano Desiderio sul tema “La mia filosofia”
Sesto appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La sesta lezione si svolgerà giovedì 16 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta da Giancristiano Desiderio (giornalista, scrittore, saggista e docente di Filosofia e Storia, nonché membro del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi), che relazionerà sull’opera “La mia filosofia” di Benedetto Croce.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao, Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Marwan Barghouti, un potenziale leader del dopoguerra per la Palestina?
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Di Noura Doukhi – L’Orient Today
(foto da commons.wikimedia di Ben Siesta)
(traduzione a cura della redazione)
Il nome di Marwan Barghouti è riemerso frequentemente negli ultimi giorni mentre gli osservatori contemplano i potenziali scenari del dopoguerra a Gaza. Molti cittadini palestinesi e operatori umanitari hanno chiesto ancora una volta a Israele di rilasciarlo. Una delle possibili opzioni in discussione per il futuro dell’enclave palestinese assediata riguarda Barghouti, detenuto da Israele dal 2002. Alcuni lo ritengono capace di ristabilire la legittimità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e di assumere la guida di un potenziale governo che gestirebbe la situazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Una settimana fa, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha affermato che qualsiasi piano per il futuro governo nella Striscia di Gaza “deve includere un governo guidato dai palestinesi e Gaza unificata con la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese, per raggiungere infine un Stato”. Barghouti è un candidato popolare per i palestinesi, ma probabilmente incontrerebbe una forte resistenza da parte di Israele e dell’Anp a Ramallah.
Dal punto di vista israeliano, Barghouti è una figura del terrorismo palestinese. E’ stato in prigione per più di 20 anni per il suo presunto ruolo nell’organizzazione di attacchi suicidi mortali durante la Seconda Intifada (2000-2005). Barghouti, all’epoca segretario generale di Fatah in Cisgiordania, è stato condannato nel 2004 a cinque ergastoli. Da allora ha continuato a sostenere la sua innocenza e a considerare illegittimo il tribunale che lo ha processato. “Marwan è accusato di aver fondato le Brigate dei Martiri di al-Aqsa [una milizia di Fatah particolarmente attiva durante la Seconda Intifada] e alcuni dei suoi sostenitori provengono da questo stesso gruppo”, ha spiegato Tahani Moustafa, analista palestinese dell’International Crisis Group.
Trentaquattro per cento dei voti
Israele è diffidente nei confronti di Barghouti anche a causa della sua capacità di galvanizzare un movimento nazionale palestinese diviso da tempo. A differenza di altre figure dell’Anp, Barghouti non è stato accusato di collaborare con le autorità israeliane. Essendo stato una figura di spicco nella Prima e nella Seconda Intifada, Barghouti condanna lo stretto coordinamento tra le autorità della Cisgiordania e di Israele sulle questioni di sicurezza. “Mai prima nella storia è stato chiesto a una popolazione sotto occupazione di fornire servizi all’occupante”, ha affermato in un’intervista a Le Monde nel 2016. “Abu Mazen [Mahmoud Abbas, attuale presidente dell’Autorità Palestinese] ha offerto a Israele undici anni di sicurezza senza precedenti. Ma Israele ne ha approfittato per espandere gli insediamenti, confiscare le terre, ebraicizzare Gerusalemme e continuare l’assedio di Gaza, dove la disoccupazione e la povertà sono ai massimi livelli”, ha continuato.
Nel corso degli anni la posizione di Barghouti ha contribuito ad aumentare la sua popolarità tra la popolazione palestinese. “La sua prigionia è infatti uno dei motivi per cui Marwan è così popolare”, ha osservato Hamada Jaber, consulente del Centro palestinese per la politica e la ricerca sui sondaggi (PCPSR). “Continua a seguire ciò che accade in Palestina ed è ancora presente nella comunità”, ha aggiunto Jaber.
Nel 2006, il leader di Fatah è stato il primo candidato a candidarsi al parlamento da una prigione israeliana e ha rinnovato il suo seggio nel Consiglio legislativo palestinese. Barghouti rappresenta una minaccia per l’Autorità Palestinese, che è stata afflitta per anni da corruzione, autoritarismo e inerzia ed è improbabile che spinga per il rilascio di Barghouti. Venerdì scorso, Mahmoud Abbas ha dichiarato che l’Autorità Palestinese sarebbe pronta a riprendere il controllo di Gaza “nel quadro di una soluzione politica globale” che comporti la formazione di uno Stato palestinese indipendente, che includa Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est. Anche se questo scenario ha poche possibilità di successo, Jaber ha detto che una cosa è certa: “I maggiori perdenti dal possibile rilascio di Marwan Barghouti sarebbero gli attuali leader di Fatah”.
Dalla sua cella, Barghouti ha appoggiato la lista Fateh per le elezioni legislative del 2021, guidate dalla moglie Fadwa e da Nasser al-Qidwa, in cambio del sostegno di quest’ultimo alla sua candidatura presidenziale. Le elezioni, inizialmente promesse da Mahmoud Abbas, avrebbero dovuto essere le prime dal 2005-2006. Tuttavia, Abbas le ha rinviate a tempo indeterminato, temendo che le liste dei dissidenti potessero autorizzare Hamas a prendere il controllo in Cisgiordania, come hanno notato diversi osservatori.
Moustafa suggerisce: “La popolarità di Marwan può essere in gran parte spiegata dal fatto che rappresenta un voto di protesta contro Mahmoud Abbas…Ma ancora una volta, questo non significa molto, date le limitate opzioni disponibili all’interno di Fatah”.
Secondo un sondaggio pubblicato lo scorso settembre da PCPSR e condotte tra i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, se oggi si tenessero nuove elezioni presidenziali, Barghouti sarebbe il candidato preferito, Abbas riceverebbe il 34% dei voti, seguito da Ismail Haniyeh (capo dell’ufficio politico di Hamas). Gli eventi del 7 ottobre hanno offuscato ulteriormente l’immagine delle autorità di Ramallah, poiché Hamas si è rafforzato e si è presentato ancora una volta come il difensore della causa palestinese su scala nazionale.
Nel panorama attuale, Barghouti ha il vantaggio di rappresentare una terza opzione tra l’attuale leadership di Fatah e Hamas. Pertanto, potrebbe attirare in qualche modo anche il sostegno della fazione islamica. Presentato come mediatore, nel 2006 insieme ad altri prigionieri ha firmato la “Lettera dei prigionieri”, in cui chiedeva l’integrazione del movimento islamico nell’OLP.
Negli ultimi anni, Hamas ha fatto sapere in diverse occasioni che Barghouti costituisce una priorità in qualsiasi accordo di scambio di prigionieri con Israele. Il 28 ottobre, l’ala militare del movimento islamico ha dichiarato di essere pronta a rilasciare i quasi 240 ostaggi israeliani catturati il 7 ottobre in cambio del rilascio di tutti i prigionieri palestinesi incarcerati in Israele. Tuttavia, la vicinanza tra Barghouti e Hamas sembra complicare ulteriormente il suo rilascio. “È difficile immaginare come (Barghouti) possa contribuire a raggiungere gli obiettivi che Israele e la comunità internazionale si sono prefissati a Gaza”, ha continuato Moustafa. Questi obiettivi includono “limitare la resistenza e creare un’entità in grado di mantenere la pace a Gaza nel nello stesso modo in cui si aspettano che l’Anp faccia in Cisgiordania – cosa che ha dimostrato di non poter più fare”.
L’ultima risorsa di Barghouti potrebbe essere quella di fare pressione su stati arabi come la Giordania e l’Egitto affinché spingano per il suo rilascio. Gli hanno mostrato sostegno in passato e potrebbero essere motivati dal desiderio di mantenere la propria stabilità. “Se la comunità internazionale e i paesi arabi fossero disposti a gestire il conflitto, Barghouti potrebbe essere l’unico leader in grado di isolare Israele e la comunità internazionale per circa un decennio”, ha affermato Jaber.
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denuncia della noyb contro la Commissione UE per gli annunci mirati di controllo della chat La Commissione europea ha utilizzato il micro-targeting per promuovere la sua legislazione sugli abusi sessuali sui minori. Ciò ha violato la legge europea sulla privacy
Londra: no della Corte Suprema alla deportazione dei migranti in Ruanda
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di Redazione
Pagine Esteri, 15 novembre 2023 – I giudici della Corte suprema del Regno Unito hanno giudicato illegale, all’unanimità, il piano del governo che prevede la deportazione dei migranti senza permesso in Ruanda. Secondo la proposta di Westminster, presentata nell’aprile del 2022, coloro che arrivano illegalmente nel Regno Unito dovrebbero essere trasferiti in Ruanda ed è dal Paese africano che potrebbero poi fare richiesta d’asilo. Tuttavia, la Corte suprema ha confermato la precedente sentenza della Corte d’appello secondo cui tale piano è illegale a causa del rischio che i richiedenti asilo inviati in Ruanda possano essere rimpatriati nel loro Paese e possano subire violazioni dei loro diritti umani.
La sentenza della Corte Suprema è un ostacolo significativo per il governo conservatore del primo ministro Rishi Sunak. Il tema del contrasto dell’immigrazione clandestina e della riduzione del numero delle richieste di asilo è centrale nella sua proposta politica per le prossime elezioni parlamentari. Ridurre l’immigrazione clandestina è infatti uno dei cinque impegni principali di Sunak, sui quali ha chiesto agli elettori di giudicarlo in vista delle prossime elezioni. I sondaggi danno il Partito Conservatore in netto svantaggio rispetto al Partito Laburista.
«Prendiamo atto del giudizio di oggi e ora considereremo i prossimi passi. Questo non era il risultato che volevamo, ma abbiamo passato gli ultimi mesi a pianificare ogni eventualità e rimaniamo completamente impegnati a fermare l’immigrazione illegale», ha detto il premier. «La nostra partnership con il Ruanda, per quanto coraggiosa e ambiziosa, è solo una parte di una serie di misure per fermare i barconi e contrastare l’immigrazione clandestina» ha dichiarato invece il ministro dell’Interno James Cleverly
«Esamineremo attentamente la sentenza odierna per comprendere le implicazioni e i prossimi passi. E continueremo a cercare ogni strada possibile per interrompere il vile modello di business delle bande criminali che mettono a rischio vite innocenti per il proprio guadagno finanziario», ha detto il ministro utilizzando una fraseologia tipica del discorso della destra radicale.
Durante il suo intervento alla Camera dei Comuni, il primo ministro ha proclamato l’intenzione di finalizzare un nuovo trattato con il Ruanda alla luce della sentenza della Corte Suprema. Sunak ha dichiarato che i nuovi piani verranno presentati “nei prossimi giorni”, e che il nuovo testo fornirebbe le necessarie “rassicurazioni” per non incontrare più obiezioni giuridiche. «Il governo sta già lavorando a un nuovo trattato con il Ruanda e lo finalizzeremo alla luce della sentenza odierna», ha dichiarato il premier, aggiungendo di essere “pronto a rivedere la nostra cornice giuridica nazionale» se necessario.
Il governo del Regno Unito sostiene che, sebbene il Ruanda sia stato teatro di un genocidio che ha ucciso più di 800.000 persone nel 1994, da allora il paese si è costruito una reputazione di stabilità e progresso economico. Una stabilità costruita però sulla repressione politica. La sentenza della Corte Suprema ha rilevato sistematiche violazioni dei diritti umani, inclusi omicidi politici, che hanno portato la polizia britannica “ad avvertire i cittadini ruandesi che vivono in Gran Bretagna dei piani credibili di ucciderli da parte di quello Stato”. Secondo gli stessi dati ufficiali forniti dal governo del Runda, il paese gode di un record di rigetto del 100% delle richieste di asilo dei richiedenti provenienti da paesi dilaniati dalla guerra come Siria, Yemen e Afghanistan.
Politici dell’opposizione, gruppi di rifugiati e organizzazioni per i diritti umani affermano che il piano del governo non è etico né praticabile. Amnesty International, in particolare, ha affermato che Sunak dovrebbe “tracciare una linea su un capitolo vergognoso della storia politica del Regno Unito”. Pagine Esteri
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Sciopera(n)ti
La disfida dello sciopero è una sfida al buon senso e uno scioperare della ragionevolezza. Il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione, nessuno lo mette in discussione ma – come capita all’articolo 1, anzi come capita a tutta la Costituzione – anche l’articolo 40 andrebbe letto tutto: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Di quello si discute, sebbene con toni da ripicche infantili. Lo sciopero si farà, ma non risolverà nessuno dei problemi di cui ci si rifiuta di parlare. Ne vedo almeno tre.
1. Chi governa dovrebbe cercare di costruire il consenso attorno alle politiche che intende praticare; chi sciopera dovrebbe provare a correggere quelle politiche a favore degli interessi che rappresenta. Salvini non lavora per la prima cosa e Landini non lavora per la seconda. Si soddisfano della contrapposizione, avendo ciascuno da gestire la concorrenza nel proprio campo. Salvini approva una legge di bilancio che, in materia di pensioni, va in direzione opposta a quella che promise. Landini chiede un taglio del cuneo fiscale che sarà impossibile rendere significativo e permanente se non si ferma il crescere della spesa pensionistica, che si guarda bene dal proporre. La contrapposizione diventa la loro identità, il che li lega a sorte comune.
2. Quando la Costituzione fu scritta – prevedendo anche le mai giunte «norme di legge» sui sindacati, articolo 39 – sia i partiti politici che i sindacati erano organizzazioni di massa. Oggi gli iscritti sono una frazione di quel che erano allora. Al sindacato sono iscritti più i pensionati che non i lavoratori e i partiti (mentre diminuiscono i votanti) hanno preso il nome del capo di turno. Peccato che la democrazia funzioni male senza partiti e il mercato funzioni male senza sindacati. Intendendosi per tali, nell’uno e nell’altro caso, non dei comitati autolegittimati ma delle comunità vaste e popolate, capaci di vivace discussione interna.
3. Sono cambiati il mondo e il modo in cui viviamo. Nel 1948 nel dire “lavoratori” si indicavano non soltanto i titolari di un contratto da lavoro dipendente, ma una condizione sociale ed esistenziale. Scioperare significava porre il datore di lavoro davanti al pericolo di perdere capacità produttiva, quindi ricchezza. Valeva nelle società agricole e di prima industrializzazione. Oggi siamo una società di servizi e “lavoratori” potrebbe identificarsi con “contribuenti” – i cui antagonisti sono in gran parte i mantenuti e gli evasori – tanto che lo sciopero non lo convochi avverso il ‘padrone’ (evolutosi in imprenditore), ma contro il governo. Nella surreale condizione in cui l’impresa non avrebbe nulla in contrario a che il governo finanziasse altra spesa per ingraziarsi il sindacato, tanto più che questo aiuterebbe a tenere i salari bassi, mentre al governo c’è chi promette ai pensionandi ben più di quello che il sindacato osa chiedere (e chi ha qualche anno si ricorda di Carlo Donat Cattin, democristiano, che faceva la concorrenza alla triplice). Così procedendo non soltanto si è creato il più grande debito pubblico europeo, ma a pagare lo sciopero sono i lavoratori che lo fanno e quelli che lo subiscono. Tenuto presente che i trasporti non sono più da decenni uno sfizio per giramondo, ma l’esigenza dei pendolari e il sistema circolatorio delle aree metropolitane.
Sicché, da tempo, la principale efficacia dello sciopero consiste nell’annunciarlo. In qualche caso non aderisce quasi nessuno, divenendo strumento ricattatorio – anche verso i sindacati confederali – di sigle corsare. E lo si colloca a ridosso di feste e fine settimana, in un impeto di clemenza per sé e per gli altri.
Si potrebbe discutere di organizzazione produttiva e normativa sindacale, si potrebbe parlarsi anziché parlare alle telecamere, cercare il concerto anziché produrre lo sconcerto, ragionare di futuro anziché echeggiare il passato, ma volete mettere il bello di una sceneggiata la cui trama sarà dimenticata già il mattino appresso.
Davide Giacalone
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Nasce l’Ossevatorio carta, penna & digitale della Fle
Negli ultimi 10 anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti italiani sono aumentati del 357%, i casi di disgrafia del 163%. Le recenti prove Invalsi hanno certificato che la metà dei ragazzi al termine delle scuole secondarie fatica a comprendere ciò che legge, mentre un’indagine conoscitiva della commissione Istruzione del Senato ha messo in relazione l’uso degli smartphone col progressivo deterioramento delle facoltà mentali dei più giovani.
Luigi Einaudi riteneva che una società è sana quando ciascuna persona è messa nelle condizioni di realizzare al massimo le proprie potenzialità. Sta accadendo esattamente il contrario. Tutti gli indicatori ci dicono che il quoziente di intelligenza, la soglia di attenzione, lo spirito critico e le conoscenze dei più giovani sono in drastico e costante calo. Tutti gli studi attribuiscono all’abuso di digitale – social, videogiochi, conoscenza – la principale tra le cause di questo allarmante e generalizzato decadimento delle capacità cognitive delle nuove generazioni. I nostri figli, i nostri nipoti.
Il digitale offre straordinarie opportunità, ma espone anche a rischi consistenti. È un’impetuosa rivoluzione che sta rapidamente cambiando ogni ambito della vita privata e pubblica, sovvertendo antiche consuetudini, vecchi codici morali e recenti assetti del potere. Il digitale va studiato senza pregiudizi, va governato e in alcuni casi va anche limitato.
Per fissare un principio e indicare un limite concreto che a nostro giudizio andrebbe posto all’entusiastica pervasività della tecnologia digitale, lo scorso 18 luglio la Fondazione Luigi Einaudi ha presentato in Senato uno studio che, compendiando le principali ricerche scientifiche internazionali, ha dimostrato il valore imprescindibile della scrittura a mano e della lettura su carta, soprattutto nel mondo dell’Istruzione: perdere queste consuetudini significherebbe compromettere il pensiero logico-lineare, impoverire il linguaggio, limitare la conoscenza, fiaccare la memoria. Un danno alla persona, un danno alla società. A conclusioni analoghe sono recentemente giunti sia il governo svedese sia l’Economist britannico.
Concludendo i nostri lavori, il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha detto che, “nel sistema scolastico, il digitale va accettato e sfruttato, ma la lettura su carta e la scrittura a mano sono insostituibili”. Affermazione necessaria, ma non sufficiente.
La Fondazione Luigi Einaudi ha perciò deciso di costituire un “Osservatorio permanente Carta, Penna & Digitale” aperto al contributo di esperti, associazioni e operatori del settore che, attraverso un Comitato scientifico designato ad hoc, sviluppi una costante attività di analisi, ricerca e sensibilizzazione sulle implicazioni delle nuove tecnologie e sull’importanza della lettura su carta e della scrittura a mano in quanto pratiche imprescindibili per la crescita della persona, la diffusione della cultura e lo sviluppo della società.
Lo dobbiamo ai fasti passati della nostra civiltà; lo dobbiamo al futuro dei nostri figli e, di conseguenza, della nostra Italia.
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Difesa e aerospazio, a Dubai riparte la collaborazione tra Italia ed Emirati
Dopo lo stop degli ultimi anni, riparte la relazione tra l’Italia e gli Emirati Arabi Uniti. Un successo e un ottimo passo in avanti. Questo è il bilancio tracciato dal segretario generale dell’Aiad, l’associazione che riunisce le aziende del settore aerospaziale e di difesa, Carlo Festucci, riguardo alla partecipazione italiana al Dubai Airshow, uno dei più importanti forum internazionali al mondo per il settore dell’aviazione, dell’esplorazione spaziale e della difesa, come sottolineato anche dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha inaugurato il padiglione ufficiale italiano alla fiera, realizzato da Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese, in collaborazione con i ministeri degli Esteri e della Difesa e di Aiad, che ha riunito nella capitale emiratina più di venti eccellenze italiane nel settore dell’AS&D.
Ripresa delle relazioni
Un mercato che riparte, dunque, e come ha sottolineato Festucci, “siamo contenti che ci sia stata una riapertura dopo lo scontro, industriale e politico”. Il segretario generale ha infatti sottolineato come in passato ci siano stati dei problemi, “il clima era cambiato”. Con la partecipazione al salone, invece, “oggi siamo riusciti a recuperare questo gap, con gli Emirati si è riaperto un dialogo molto forte, ed è molto impostante: è un Paese che consente uno scambio tecnologico significativo legato a delle commesse” ha detto ancora Festucci, sottolineando come le realtà italiane abbiano avuto l’occasione di mostrare le loro capacità a esponenti del Governo emiratino.
Verso un sistema Paese
Come spiegato dal ministro Crosetto, infatti, al padiglione italiano è esposta “una vasta gamma di prodotti dell’industria aeronautica” come “i sistemi elettronici per l’aviazione e la difesa, sistemi di alimentazione, attrezzature di supporto a terra, componentistica, software e sistemi di analisi, pianificazione e simulazione”. Al forum, infatti, sono presenti non solo le grandi realtà, da Leonardo a Elt Group e Mbda, ma anche il sistema delle piccole e medie imprese nazionali. Per Festucci, allora, è ripartito un modello di promozione del sistema-Paese in un settore strategico. “Stiamo trasformando queste parole, ‘sistema Paese’ in un fatto concreto; prima di ora è stato uno slogan che tutti hanno in qualche modo esercitato senza poi farlo diventare un fatto concreto”, riferendosi alla sinergia realizzata con i vari ministeri, Esteri e Difesa in primis, e i vari servizi di supporto. “E’ un segnale molto importante”, ha continuato Festucci, che ha anche sottolineato come, se non sostenute, le aziende italiane rischiano di essere acquisite da realtà straniere. Invece, supportarle è anche importante per l’export “perché solo attraverso le esportazioni riusciremo in qualche a consolidarci a livello internazionale”.
Relazioni istituzionali
L’occasione dell’Airshow ha anche permesso al ministro Crosetto di incontrare il suo omologo emiratino, Mohammed bin Ahmed al Bowardi, con il quale sono stati discussi temi relativi alla sicurezza globale e al ruolo strategico degli Emirati per la stabilità regionale. Inoltre, è stato manifestato da entrambi il comune interesse per lo sviluppo di ulteriori opportunità di collaborazione nell’ambito dell’industria della Difesa.
Anche all’Italia serve una riserva militare. L’idea di Cavo Dragone (e Crosetto)
Stanno crescendo gli impegni e le criticità internazionali, e gli attuali effettivi non bastano, servono più soldati. È stato questo il cuore dell’intervento del capo di Stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in audizione alle commissioni congiunte Difesa di Camera e Senato. “visti i vari fronti in cui siamo impegnati, dal Medio Oriente al Fianco est della Nato al Mediterraneo allargato all’operazione Strade sicure in Italia, c’è bisogno di almeno altre 10mila unità aggiuntive in futuro” ha infatti affermato l’ammiraglio, sottolineando come le iniziative prese dal governo abbiano portato al “superamento della legge del 2012, aumentando il modello da 150mila a 160mila militari, ma servono altri passi in questa direzione”. Anche in occasione dell’approvazione in Consiglio dei ministri dell’aumento di 10mila unità per le Forze armate, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, era intervenuto registrando “l’ampliamento delle competenze e dei compiti delle Forze armate” non solo geografico, ma anche “a causa dell’aumento di attività nei nuovi domini emergenti dello spazio e del cyber”.
Una riserva ausiliaria
Oltre ai possibili aumenti di organico, il capo di Stato maggiore ha indicato anche un’altra strada per permettere alle Forze armate di avere a disposizione un numero adeguato di personale, attraverso “l’attivazione di una riserva ausiliaria dello Stato, costituita da personale proveniente dal mondo civile e da pregressa esperienza militare”. Questa soluzione, che vedrebbe la possibilità di impiegare i riservisti “in tempo di guerra o di crisi internazionale, così come in caso di stato d’emergenza deliberato dal Governo ovvero per emergenze di rilievo nazionale, connesse con eventi calamitosi” permetterebbe infatti di aggiungere unità al personale militare in servizio attivo, magari anche con compiti di retrovia, permettendo ai professionisti attivi di essere impiegati in compiti di prima linea (com’è, per esempio, il modello Usa basato sulla Guardia nazionale, che è stata impiegata in tutti i teatri operativi degli Stati Uniti). Sul tema era intervenuto anche il ministro Crosetto, sempre in audizione al Parlamento, che pure aveva sottolineato come la sospensione del taglio degli organici e l’aumento di personale non fosse abbastanza. “Serve rivoluzionare i settori del reclutamento e della formazione; i problemi della Difesa non si possono affrontare con le regole del pubblico impiego” aveva detto Crosetto, aggiungendo come i nuovi scenari rendessero necessario prendere in considerazione l’attività di una riserva, facendo il caso di Israele “che ha richiamato in pochi giorni 350mila soldati” o quello della Svizzera “che può mobilitare il doppio dei militari italiani”.
L’obiettivo del 2%
Naturalmente, per queste iniziative servono i fondi. E il capo di Stato maggiore è tornato sull’obiettivo del 2% del Pil da destinare alle spese per la Difesa, “che la Nato continua ad auspicare”. Come sottolineato da Cavo Dragone, il traguardo “dovrebbe essere raggiunto nel 2028, passando dai dai 27,7 miliardi del 2023 a 42 miliardi nel 2028, con un aumento di quindici miliardi in cinque anni”. Nella sua presentazione del Documento programmatico pluriennale 2023-2025, il ministro Crosetto aveva lanciato l’allarme sottolineando come, con gli attuali trend, l’Italia rischi di mancare il traguardo del 2028. “Il 2 % è centrale, ma siamo molto lontani” aveva detto Crosetto, aggiungendo come, con questi trend, l’obiettivo è “impossibile nel 2024 e difficile anche per il 2028”. Per realizzare i progetti contenuti nel Dpp, ha detto invece Cavo Dragone, è necessario “un piano finanziario di lungo termine, che garantisca piena stabilità e certezza di risorse nel tempo”.
Una legge triennale per la Difesa
Da qui la necessità di consolidare il percorso di crescita, al fine di garantire la costante alimentazione dei settori esercizio ed investimento “anche in una cornice di rivitalizzazione del legame con il Mimit a supporto della competitività dell’industria in un settore strategicamente rilevante”. “In quest’ottica, ha aggiunto Cavo Dragone “un nuovo modello di finanziamento dell’investimento basato su una ‘legge triennale’ fino al 2040, costituirebbe l’ideale paradigma di riferimento, congiuntamente all’incremento delle risorse per il settore esercizio, al fine di avvicinarsi il più possibile alla soglia del 2% del Pil”.
Esercito
Il capo di Stato maggiore è poi intervenuto sullo stato delle singole Forze armate, facendo il punto sui diversi progetti di ammodernamento e rinnovamento. Per quanto riguarda l’Esercito, di fronte alla minaccia di un potenziale conflitto di tipo convenzionale, resta necessario acquisire moderni sistemi d’arma, in grado di operare nel multi-dominio. Il riferimento è alle forze pesanti (carri armati e veicoli corazzati da combattimento) e artiglieria a lunga gittata. “In tale ottica – ha spiegato Cavo Dragone – si inquadrano i programmi di rinnovamento delle forze corazzate”. Tra questi ha ricordato i principali programmi, come l’acquisto dalla Germania dei carri Leopard 2 (a cui si aggiunge l’ammodernamento degli Ariete), lo sviluppo di una famigli di mezzi corazzati di nuova generazione (Armoured infantry combat system), l’evoluzione della capacità contraerei a cortissima gittata (Manpads) e dell’artiglieria di profondità (Himars), oltre a nuove infrastrutture dati e di simulazione addestrativa.
Marina
Per quanto riguarda la Marina, Cavo Dragone si è soffermato soprattutto sulla dimensione underwater, che “vede una rapida crescita delle attività civili e costituisce una frontiera tecnologica largamente inesplorata e di rilevanza strategica per le implicazioni sulle capacità di difesa nazionali, nonché per le potenziali ricadute in molteplici settori della blue economy”. In generale, la Marina sta rinnovando le sue infrastrutture (basi e aresenali) e potenziando le sue capacità antisommergibili, con l’evoluzione di tecnologie emergenti e dirompenti come i sistemi autonomi subacquei”.
Aeronautica
Sull’Aeronautica militare, invece, l’ammiraglio ha fatto riferimento al programma tra Italia, Gran Bretagna e Giappone per lo sviluppo di un caccia di sesta generazione, il Global combat air programme (Gcap) “che occupa uno spazio notevole nelle dotazioni finanziare della legge di bilancio 2023-2025; un programma, con rilevanti ricadute per l’economia dei tre Paesi, oltre che nel campo securitario, tecnologico, dell’innovazione, ricerca e sviluppo nel settore militare aerospaziale”.
CISGIORDANIA. La guerra non dichiarata di esercito e coloni israeliani
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 15 novembre 2023. Poco lontani dalle bombe e dai combattimenti di Gaza, i 2,8 milioni di palestinesi che vivono nella Cisgiordania occupata non sono immuni dalle conseguenze della guerra cominciata il 7 ottobre con l’attacco di Hamas che ha causato circa 1.400 morti israeliani.
Nonostante la popolazione palestinese vivesse già prima sotto il rigido israeliano, negli ultimi 40 giorni le Nazioni Unite così come le principali associazioni per i diritti umani e ONG che operano nei Territori, hanno registrato un rapido e allarmante peggioramento delle condizioni di vita. Una tendenza, peraltro, già documentata negli ultimi 10 mesi, da quando è stato formato il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu, ma precipitata nelle ultime settimane, tra uccisioni, arresti, raid, distruzioni, espulsioni.
La Cisgiordania, chiamata anche West Bank, è territorio palestinese occupato da Israele dal 1967. È governato dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di Mahmoud Abbas (Abu Mazen), la cui leadership, al momento, è aspramente criticata da molti palestinesi. In realtà l’ANP controlla solo in parte e solo alcuni degli aspetti della vita quotidiana dei cittadini, tutti, invece, inderogabilmente influenzati dall’occupazione israeliana.
Il territorio, ampio meno di 6.000 chilometri quadrati, è diviso in 3 diverse zone: A, B e C. Nella zona A, circa il 18% della Cisgiordania, l’Autorità nazionale palestinese ha il controllo civile e della sicurezza, nell’area B, che rappresenta il 22% circa del territorio, l’ANP gestisce solo l’amministrazione civile mentre Israele controlla la sicurezza, quella C, il 60% della terra, è interamente amministrata e controllata da Israele.
In realtà, anche nelle aree in cui è previsto il controllo palestinese, la politica, l’esercito e la presenza israeliana regolano la quotidianità dei cittadini, dagli spostamenti all’utilizzo delle risorse, alla sicurezza, gestita a volte in maniera congiunta con l’ANP, secondo i molto criticati accordi di collaborazione.
Israele negli anni ha costruito in Cisgiordania un numero sempre crescente di colonie, trasferendo all’interno del territorio palestinese circa 500.000 israeliani. La politica di ampliamento delle colonie è uno dei capisaldi di tutte le amministrazioni israeliane, le quali hanno da sempre ignorato gli appelli, seppure provenienti da governi amici come quello degli Stati Uniti di America, a fermarne la costruzione e l’espansione. Gli insediamenti, la maggior parte dei quali presenti nella zona C, sono illegali per il diritto internazionale, le Nazioni Unite e i governi stranieri, compresi quelli occidentali, che non li riconoscono.
Colonia israeliana. Foto di Eliana Riva
Sono state inoltre fabbricate infrastrutture e strade di collegamento che scorrono sempre all’interno del territorio palestinese ma che sono, molte di esse, accessibili solo agli israeliani. Queste infrastrutture, insieme alle colonie e al muro di separazione, spezzettano la Cisgiordania, chiusa in una rete di “divieti di accesso” per i palestinesi i quali sono spesso costretti, per aggirare le zone proibite, a percorrere chilometri raggiungendo luoghi vicini solo pochi metri.
Il muro che Israele ha costruito nel territorio palestinese, a vederlo dall’alto pare un lungo serpente impazzito, che gira su se stesso, torna dietro, si attorciglia non per dividere la Palestina da Israele ma per separare la Palestina dalla Palestina e i palestinesi dai palestinesi.
E poi ci sono i checkpoint. Centinaia. E per passare c’è bisogno dei permessi, il cui rilascio è stabilito insindacabilmente da Israele, che quindi regola e decide i movimenti delle persone e dei beni in territorio palestinese.
Con la formazione dell’ultimo governo Netanyahu, il IV, dopo le elezioni del 22 dicembre 2022, il movimento dei coloni, molto forte in Israele, in grado di esercitare una pressione politica impossibile da ignorare, ha trovato una propria diretta rappresentanza tra i membri del parlamento e alcuni ministri, come il suprematista ebraico Ben Gvir. Già prima del 7 ottobre si moltiplicavano gli attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi, come quello estremamente violento del 27 febbraio a Huwara, dove, in una rappresaglia di massa, è stato ucciso un palestinese e sono stati date alle fiamme decine di automobili e di abitazioni. L’esercito israeliano, solitamente, non interviene per fermare i coloni, che godono di una speciale autonomia e dispensa legale consuetudinaria. Neanche quando attaccano i coltivatori palestinesi, estirpando e bruciando gli olivi. Provocazioni e attacchi di questo tipo sono andati avanti per mesi, impossibili da frenare, se non mettendo in serio pericolo la tenuta del governo.
Eppure, dal 7 ottobre, gli attacchi dei coloni sono raddoppiati. Appena pochi giorni dopo il sanguinoso attacco di Hamas, quando i bombardamenti su Gaza erano solo all’inizio, Ben Gvir distribuiva pistole e fucili ai coloni, invitandoli ad utilizzarli contro i palestinesi. Cosa che hanno fatto, uccidendo fino ad ora almeno 8 persone sulle quasi 200 ammazzate in Cisgiordania in questi 40 giorni, il bilancio peggiore degli ultimi venti anni. I coloni spesso indossano divise militari, costruiscono barriere per impedire ai contadini di raggiungere le terre che coltivano, irrompono nei villaggi palestinesi picchiando e minacciando i residenti, intimandogli di ad andar via se vogliono salva la vita. Secondo le Nazioni Unite la violenza ha raggiunto livelli senza precedenti, con attacchi mai visti negli ultimi 15 anni. L’Unrwa, l’agenzia ONU che si occupa dei profughi palestinesi, ha fatto sapere che i raid dei coloni e le restrizioni di movimento hanno causato l’espulsione di più di 800 palestinesi dall’inizio della guerra. L’obiettivo dichiarato del movimento dei coloni è quello di occupare tutta la terra della Palestina storica (qualcuno vorrebbe allargarsi poi verso il Libano e la Siria), eliminando la presenza palestinese.
Dal 7 ottobre si sono moltiplicati in Cisgiordania anche i raid dell’esercito israeliano. In media circa 40 al giorno. Soprattutto a Jenin, storica roccaforte della resistenza palestinese. Anche se all’inizio di luglio Israele aveva già lanciato, nel campo profughi, una enorme operazione militare, la più grande degli ultimi 20 anni, con l’utilizzo di droni e tecnologie avanzate, lasciando 12 palestinesi uccisi e il campo profughi devastato.
Le devastazioni provocata dalle incursioni, in effetti, sono sensibilmente aumentate. Anche a Tulkarem, sempre nella Cisgiordania occupata, dove proprio ieri l’esercito è entrato, uccidendo 7 palestinesi. Sono stati utilizzati mezzi pesanti per distruggere le strade, creando solchi profondi nell’asfalto, danneggiando la rete idrica e quella elettrica. I bulldozer hanno persino abbattuto un monumento a Yasser Arafat, lo storico leader palestinese con il quale il premier israeliano Yitzhak Rabin firmò gli Accordi di Oslo nel 1993. Paradossalmente, la configurazione della Cisgiordania di oggi è figlia proprio di quegli accordi, così come la collaborazione tra l’ANP e Israele sulla sicurezza.
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La repressione si manifesta anche con l’aumento esponenziale del numero degli arresti tra i palestinesi della Cisgiordania, 2.650 dal 7 ottobre, compresi leader politici, studenti universitari, attivisti per i diritti umani, attrici. Solo nell’ultima notte sono stati 78 i palestinesi arrestati nella West Bank, incluse 17 studentesse universitarie di Hebron. I fermati provengono spesso da Ramallah, Jenin, Betlemme, Nablus. I palestinesi, trattenuti sempre più di frequente con il metodo della detenzione amministrativa, senza accuse formali, sono spesso vittime di pestaggi, violenze e torture, secondo le organizzazioni che si occupano di diritti umani: subiscono gravi percosse e umiliazioni, costretti a inginocchiarsi, a volte completamente nudi e con la testa bendata, e a cantare canzoni israeliane.
C’è poi la grave situazione dei palestinesi originari di Gaza con permessi di lavoro in Israele, 21.000 prima della guerra. A migliaia sono stati arrestati dopo il 7 ottobre e cacciati da Israele. Sono stati lasciati ai posti di blocco all’ingresso delle principali città della Cisgiordania e vivono ammassati nelle palestre e locali pubblici. Ne sono circa 3.000 e l’esercito israeliano li tiene sotto controllo, lontani da casa, sottoposti a continui rastrellamenti.
Dal 7 ottobre gli spostamenti sono divenuti estremamente più complicati per i palestinesi, le città del nord della Cisgiordania sono tenute completamente separate da quelle del sud.
I negozi chiusi di Shuhada Street, nella zona H2 di Hebron. Foto Eliana Riva
A Hebron la zona H2 è diventata una prigione: le 750 famiglie che ci vivono sono chiuse nelle proprie case, non possono ricevere visite e hanno il permesso di uscire, se ai checkpoint i militari israeliani glielo consentono, tre giorni a settimana, per un’ora al mattino e una alla sera. La guerra non dichiarata ai palestinesi della Cisgiordania, fa parte, con ogni probabilità di quella “risposta israeliana all’attacco di Hamas” che, secondo le promesse di Nethanyahu intende “cambiare il Medio Oriente”.
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Auto elettriche, green economy, diritti umani: ma quale sostenibilità?
Siamo nell’epoca della guerra al cambiamento climnatico e all’inquinamento.
Siamo sulla soglia di non ritorno (chi parla del 2030, ma per altri l’abbiamo già superata) che decreta il futuro del mondo quale lo conosciamo e la nostra stessa esistenza come specie. Risorse, mancano, bisogna trovare fonti alternative, bisogna ottimizzare quelle che abbiamo, bisogna cambiare paradigma: d’altro canto è scritto nei testi di antropologia che solo chi si sa adattare sopravvive.
Fatto questo preambolo ecco uno spunto di riflessione.
Versione semplificata da alcuni esempi e macro evidenze di un contesto più articolato in cui il modello è sempre quello: un mondo di squali e guerra alle risorse (siano esse materie prime, siano vite ed esseri umani).
Poi ognuno può trarre le proprie conclusioni.
Da una parte abbiamo che:
“Le navi da crociera inquinano più delle auto circolanti in Europa. Le 218 navi per il turismo marittimo di lusso hanno emesso nel 2022 4,4 volte più inquinanti di tutte le automobili del continente (253 milioni).”L’Italia è il Paese dove le navi da crociera inquinano di più, al primo posto in Ue.
Dall’altro abbiamo personaggi e realtà come ad esempio Elon Musk e la Tesla che vendono macchine ellettriche per inquinare meno, per rendere più green il pianeta.
Personalmente la prima cosa che mi chiedo è che sostenibilità nel medio lungo periodo avranno le auto elettriche?
Riusciranno a sostenere il mercato ed il confronto con quelle a combustibili fossili?
In fatto di sostenibilità c’è da ricordare anche come vengono realizzate e costruite le machine elettriche, con una batteria: le materie prime sono essenziali e fondamentali. Dove, come e chi le estrae?
Per esempio un componente per le batterie possiamo parlare di cobalto.
Spostiamoci in Africa, in RDC – Repubblica Democratica del Congo e scopriremo gironi dantestchi in cui persone di ogni sesso ed età sono intenti inn attività di estrazione mineraria, scavando, spostando sacchi, nelle peggiori situazioni infanganti i diritti fondamentali di ogni individuo.
Solo a me sembra che ci sia qualcosa che stona in tutto questo contesto?Una visione generale dei minatori che lavorano presso la miniera artigianale di Shabara vicino a Kolwezi il 12 ottobre 2022. Circa 20.000 persone lavorano uno Shabara, a turni di 5.000 alla volta. [Junior Kannah / AFP] RDC Repubblica Democratica del Congo
Per la Difesa Ue l’industria è centrale. L’analisi di Braghini
Particolarmente sostenuto è il ritmo degli annunci a Bruxelles su nuove iniziative e strategie che potrebbero essere propedeutiche al piano di lavoro dell’Ue post elezioni 2024. Per questo motivo i lavori in corso sono importanti per indicare orientamenti e definire principi e criteri per i prossimi “cantieri”, e dare concretezza alla promessa di Ursula von der Leyen del 2019 di una Geopolitical Commission, assunzione che insieme all’autonomia strategica rimane oggi a livello di ambizione e strategie.
Continua dunque il momentum della Difesa europea supportata dalla sua diffusa consapevolezza nell’opinione pubblica, come evidente dal rincorrersi ed accavallarsi di iniziative (risorse e regole). Momentum che rappresenta un punto fermo in questa fase di disordine globale e disorientamento in Europa e negli Stati Uniti.
Ma la corsa alle proposte, mentre si avvicinano le elezioni europee, necessita dei suoi tempi, dovendo fare i conti con la tempistica dei processi legislativi europei. Ne è una prova l’annuncio del commissario Breton di posticipare la proposta di una strategia per l’industria della difesa europea, la European defence industrial strategy (Edis) dall’8 novembre (annunciato con troppo anticipo ed entusiasmo e con un occhio alla rielezione e a ruoli più elevati) a fine febbraio 2024. E in effetti non sono certo sufficienti due mesi dall’annuncio di Von der Leyen il 13 settembre per ottenere l’approvazione del collegio dei Commissari, ed elaborare “dove andare, e come, in mancanza di fondi sufficienti”, proporre obiettivi e strumenti finanziari condivisi, sensibili, nuovi e di lungo termine, la cui portata avrebbe l’effetto di strutturare la domanda e l’offerta della difesa nell’Ue nei prossimi anni. E i tempi per la negoziazione sarebbero molto stretti prima della conclusione della legislatura.
Andando con ordine, la presidente della Commissione ha annunciato durante il dibattito sullo Stato dell’Unione una strategia per l’industria della Difesa europea, che si pone come ulteriore tassello e in continuità con i recenti sviluppi legislativi e finanziari approvati dal Consiglio Ue. È senz’altro da leggersi nella prospettiva delle prossime elezioni europee. L’Edis si inserisce nell’agenda politica dell’Unione partendo dal Summit di Versailles nel 2022 (agenda politica con focus su responsabilità e obiettivi Ue nella difesa: investimenti, capacità, industria), dal Consiglio Ue del 2013 e dalla Comunicazione Ec/Eda sulle carenze industriali, capacitive e di budget. Nei documenti sono stati dichiarati gli impegni a rafforzare le capacità di difesa per conseguire la sovranità europea e ridurre le dipendenze, risultando nella proposta una successione di iniziative ambiziose, prima impensabili, per rafforzare l’industria della difesa (Edtib), come l’approccio 3-track della European peace facility per l’Ucraina. La dimensione industriale diventa centrale.
Ulteriore impulso politico a supporto delle iniziative per la difesa è venuto dall’ultimo Consiglio dell’Ue Esteri/Difesa, che ha approvato tra l’altro l’aggiornamento delle priorità dello sviluppo capacitivo (Cdp), la revisione della Cooperazione strutturata permanente (Pesco), le conclusioni della strategia spaziale europea per la sicurezza e difesa, una dichiarazione congiunto per l’accesso della finanza (Esg e Bei) per la difesa
Il percorso è accidentato, l’ambizione c’è, si stanno facendo passi avanti piccoli ma costanti anche con accelerazioni, mission e obiettivi si legano a un futuro dell’Europa da definire (il cantiere si è aperto).
Cosa che Von der Leyen ha detto con chiarezza, citando i recenti investimenti nella difesa come punto di avvio di una European defence union, ed elencando i fondi e i meccanismi lanciati dalla Ue a supporto della produzione e degli acquisti attraverso l’Europa, ricordandone però la temporaneità e il breve termine (2025 per Asap e 2027 per Edf). L’Edis dovrà trovare il modo di supportare il ramp up della produzione di equipaggiamenti critici estesi oltre il munizionamento, e la necessità di una cooperazione europea non solo per ricerca e sviluppo ma anche tra le imprese.
L’Edis viene a inserirsi nel processo normativo-finanziario avviato nel 2007 con la Preparatory action. Si scompone in un mosaico di azioni e misure certamente utili, che hanno il merito di aver impresso una dinamica e una prospettiva nuova, ma non sempre coerenti tra loro e di modesta entità come budget, con regole diverse di non facile applicazione, mancanza di una visione di lungo termine, modesti impatti immediati sulla struttura del mercato europeo della difesa. Non sembrano, per ora, un game changer come inizialmente pronosticato.
Nel quadro d’insieme rientra anche il dibattito sull’incremento delle risorse di budget della difesa per il 2024 per European defence fund (Edf) e Mobilità militare, che potrebbe orientare la revisione del Bilancio pluriennale 2024-2027, con un rifinanziamento e una revisione dei fondi Edirpa e Asap, e concentrarsi sugli investimenti per le capacità di difesa di comune interesse (anche denominate “super-priorities”), nonché della Strategic technologies for european platform (Step).
Dunque, il 10 ottobre il commissario Breton ha annunciato la preparazione di una proposta per l’Edis, che potrebbe includere linee guida sul legame funzionale tra necessità tecnologiche e di capacità con le possibilità industriali. Si intravede un insieme di iniziative partendo dall’European framework for defence joint procurement (Edip), potrebbe succedere all’Edirpa, e perseguire l’obiettivo di sviluppare un meccanismo permanente per ulteriormente incentivare i Paesi membri a collaborare nel procurement di equipaggiamenti (oggi l’eccezione, domani la regola?). Un percorso logico potrebbe vedere risorse dell’Edip per l’acquisto di prodotti e soluzioni tecnologiche che risultano dalle attività di ricerca e sviluppo realizzate in cooperazione nell’ambito dell’Edf.
L’intenzione della Commissione (le informazioni al momento scarseggiano) è rivolta a fare leva sugli strumenti urgenti appena approvati, l’Edirpa (per il supporto ad acquisti comuni per riempire le scorte di munizioni) e l’Asap (per il supporto alla produzione di munizioni) che insieme prospettano un effetto strutturante per l’industria della difesa. La complessità e la posta in gioco è significativa, come si è visto con le difficoltà, sensibilità e divergenze tra Paesi e il ridimensionamento dei due strumenti e delle ambizioni comunitarie, strumenti certamente innovativi che non sembrano comunque sufficienti a supportare le motivazioni per una politica comune di difesa.
Sarebbero previste anche proposte complementari come l’esclusione dell’Iva, l’intervento della Banca Europea degli Investimenti (Bei) per promuovere progetti non solo duali ma di difesa oggi esclusi dal mandato, la realizzazione di un European defence production act (Edpa). L’idea è stata presentata alla riunione informale dei ministri della difesa a Toledo. Si è considerato che accanto ad un programma di investimenti sia necessario un framework regolamentare per soddisfare urgenti necessità di equipaggiamenti militari. Il riferimento è all’US Defence production, attivabile quando necessario, che consente di accelerare ed espandere le forniture di materiali e servizi dell’industria Usa per promuovere l’interesse nazionale.
Molti i punti aperti in attesa di un dibattito e decisioni difficili. Sul tavolo si prospettano alcune questioni chiave, di cui alcune ventennali, che potrebbero avere oggi un livello di maturazione per essere accolte dai Paesi membri. Qualche esempio. È opportuna una riforma del processo decisionale Ue per l’adozione di decisioni che facilitino la realizzazione di una politica di difesa comune? Come rendere sostenibili i finanziamenti per la competitività dell’industria della difesa? È possibile superare gli ostacoli dei mercati finanziari, come l’impossibilità per la Bei a cofinanziare la difesa, a cui fanno riferimento le riluttanze di certe banche? Qual è un livello adeguato di risorse (miliardi) per l’Edip per finanziare le cooperazioni industriali? Il procurement comune nell’Edip come dovrà essere strutturato per essere accettato dai Paesi membri? L’idea di una cabina di regia europea per la pianificazione dei programmi militari sarà un concetto accettabile? È possibile richiamare in qualche modo come si chiede Oltralpe il criterio di preferenza europea per gli appalti, tema sempre divisivo tra i Paesi membri?
Sottomarini, fregate e underwater. Folgiero legge i risultati di Fincantieri
Fincantieri è la locomotiva dell’underwater. Così ha definito la sua azienda l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero, commentato i risultati presentati dalla società. Il gruppo, dunque, si vuole porre quale leader “di questa nuova supply chain che abbraccia attori istituzionali e civili” relativa al mondo subacqueo. Del resto, questa ambizione si legge anche dai numeri, trainati da nuovi ordini e dall’innovazione. Nei suoi primi nove mesi del 2023 i ricavi dell’azienda si sono assestati a cinque miliardi e 383 milioni, un Ebitda2 pari a 276 milioni e un margin al 5,1%, e una posizione finanziaria netta pari a due militari e 705 milioni, in linea con l’andamento dei fabbisogni operativi e di investimento del periodo.
Iniziative sull’underwater
Nel nuovo settore del subacqueo, infatti, l’azienda ha firmato a ottobre un memorandum d’intesa con Leonardo nell’ambito della subacquea per definire iniziative e sviluppi legati a sistemi (inclusi droni subacquei) di protezione delle infrastrutture critiche sottomarine, con l’obiettivo di “creare una task force stabile comune – ha indicato Folgiero – per mettere insieme le expertise dei due grandi gruppi nell’underwater” al netto della grande esperienza del gruppo nella realizzazione di sottomarini, ne abbiamo costruiti cento”. Insieme al gruppo di Monte Grappa e alla Marina militare, allora, l’obiettivo del gruppo triestino è porsi quale “integratore di sistemi e soluzioni” dal lato industriale, con la Forza armata che sarà “l’attore che metterà a fattore quanto realizzeranno gli altri due protagonisti”, ha spiegato Folgiero. Per l’ad, inoltre, questa nuova frontiera è paragonabile allo spazio extra atmosferico, una sfida per l’industria, visto “che sott’acqua ci sono cablaggi, reti internet, dati, comunicazioni, energia, e necessita di tante e approfondite competenze”.
Il riconoscimento negli States
Ottimi risultati anche nel settore navale militare, con la conferma di un ordine della quarta unità del programma Constellation per la Marina degli Stati Uniti. Fincantieri è stata selezionata nel 2020 per progettare e costruire l’unità capoclasse, con l’ulteriore opzione per altre nove navi, esercitata già per due unità, oltre al supporto successivo alla costruzione e all’addestramento degli equipaggi, per un valore complessivo di circa cinque miliardi e mezzo di dollari per Fincantieri. La scelta di Fincantieri per la realizzazione del programma Constellation si è basata sul progetto presentato dalla società, giudicato il più avanzato e innovativo, e strutturato sulla piattaforma delle fregate Fremm, ritenute le migliori al mondo sotto il profilo tecnologico, già nella flotta sotto le insegne italiane. Nel corso del suo recente viaggio negli Usa, lo stesso Folgiero aveva detto come il messaggio che arriva dalla Marina a stelle e strisce sulle nuove fregate è molto chiaro: “Percepiamo molte aspettative da parte della Us Navy”.
Conferme nazionali
Naturalmente, ottimi risultati anche per il mercato domestico, con il gruppo che ha sottoscritto con la Marina militare italiana nel terzo trimestre contratti per un terzo sottomarino del programma U212Nfs (Near future submarine), tre Pattugliatori d’altura (Opv) più un opzione per altri tre assegnati alla joint venture con Leoanrdo, Orizzonte sistemi navali, e un contratto per l’ammodernamento di mezza vita fregate classe Orizzonte italiane e francesi assegnato alla joint venture paritetica al 50% di Fincantieri e Naval Group, Naviris, e ad Eurosam, consorzio formato da Mbda e Thales.
La soddisfazione di Folgiero
Per Folgiero, dunque, i risultati raggiunti “strano una progressione positiva verso gli obiettivi che ci siamo dati nel nuovo piano industriale in termini operativi, economici e finanziari”, sottolineando come le performance positive nascano dal fatto che “le diciassette navi consegnate nel periodo in dieci cantieri sono state realizzate grazie alla competenza ed alla dedizione delle nostre persone, progettate durante il Covid e costruite in un contesto caratterizzato dall’escalation del costo dei materiali e da alcune difficoltà nel reperimento della manodopera”. Folgiero ha concluso sottolineando come il gruppo prosegua nel solco del Piano industriale 2023-2027, “con l’implementazione delle iniziative strategiche volte a perseguire una posizione di leadership nell’innovazione del settore verso la nave digitale e green, insieme all’eccellenza operativa nell’execution del backlog anche attraverso la modernizzazione dei cantieri”.
I minori tra i rischi e i lati oscuri del digitale
Saluti istituzionali
Sen. Marco Scurria
On.le Paola Frassinetti, Sottosegretario di Stato, Ministero dell’Istruzione e del Merito
Intervengono
On.le Andrea Cangini, Segretario Generale Fondazione Luigi Einaudi e autore del libro “Coca Web”
Dott.sa Lorena La Spina, Dirigente del Centro Operativo per la sicurezza cibernetica della Polizia Postale per la Toscana
Prof. Luigi Ferini Strambi, Professore Ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, Milano e Past President WASM (World Association Sleep Medicine)
Prof.ssa Donatella Buonriposi, Già Dirigente Ufficio Scolastico Territoriale IX di LuccE e Massa-Carrara. Presidente Associazione Scuola e Libertà
Dott.ssa Rosaria Sommariva, President dell’Associazione Riaccendi il Sorriso ed Esperta in Medicina del Sonno
Dott.sa Silvia Salis, Vicepresidente Vicario del CONI Nazionale
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Il 16 novembre torna l’appuntamento mensile con L'Ora di Costituzione!
L'iniziativa sostenuta dal Senato prosegue con il ciclo di incontri per illustrare i principali articoli della Carta agli studenti.
Presentazione del libro di Friedrich A. von Hayek “Conoscenza e processo sociale” a cura di Lorenzo Infantino
Saluti introduttivi
GIUSEPPE BENEDETTO, Presidente FLE
Modera
ANDREA CANGINI, Segretario generale FLE
Interventi
ALESSANDRO DE NICOLA, Presidente Adam Smith Society
LORENZO INFANTINO, Professore Ordinario presso LUISS
PIETRO REICHLIN, Professore Ordinario presso LUISS
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In Cina e Asia – Gaza, inviato cinese condanna la posizione dell’Ue
I titoli di oggi: Gaza, inviato cinese condanna la posizione dell’Ue La Cina realizza “in house” la rete internet più veloce la mondo Cina, continua la campagna anticorruzione: record per il 2023 Corea del Sud, servizi segreti accusano Pechino della disinformazione nel paese Cina, il vescovo di Pechino in visita a Hong Kong solleva timori sull’indipendenza religiosa Cina, nuovo caso ...
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Weekly Chronicles #54
Questo è il numero #54 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di globalismo, sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.
Nelle Cronache della settimana:
- Tutanota è un honeypot dell’intelligence?
- In Svezia, i rapinatori cercano Bitcoin nelle case
- Thierry Breton festeggia l’accordo sul Digital ID europeo
Nelle Lettere Libertarie: L’idea del Network State come nuovo paradigma statale
Rubrica OpSec: Padroneggia il potere degli strumenti OSINT per migliorare la consapevolezza del tuo “digital footprint” e aumentare la tua privacy e sicurezza online. Scopri come nell’allegato speciale delle Cronache di questa settimana.
Tutanota è un honeypot dell’intelligence?
Tutanota è in realtà un front per un’operazione di spionaggio. O meglio: questo è ciò che sostiene Cameron Ortis, ex capo dell’unità d’intelligence della polizia federale canadese, attualmente imputato in giudizio per aver venduto segreti di Stato a criminali.
Durante le sue dichiarazioni Ortis avrebbe chiaramente affermato che Tutanota, il servizio di posta elettronica cifrata made in Germania, sia in realtà uno storefront dell’intelligence, pensato appositamente per acquisire dati e spiare potenziali criminali.
Nelle dichiarazioni fatte nel corso del giudizio Ortis sostiene che la RCMP (Royal Canadian Mounted Police) e le agenzie di intelligence dei Five Eyes (Canada, UK, USA, Nuova Zelanda, Australia) sarebbero in grado di raccogliere le informazioni comunicate attraverso i sistemi Tutanota.
Dobbiamo crederci? Secondo i fondatori di Tutanota, no. Sono stati anzi loro stessi a diffondere la notizia per smentirla. Sul sito è disponibile un comunicato stampa in cui spiegano la loro versione.
Che sia un modo per diffamare uno dei pochi servizi consumer di posta elettronica cifrati al mondo? In questi casi è estremamente difficile capire quale sia la verità. Teniamo però in considerazione che è in corso una guerra serrata contro la crittografia delle comunicazioni in tutto il mondo e questo potrebbe essere un attacco politico.
In Svezia, i rapinatori cercano Bitcoin nelle case
Lo scorso lunedì una coppia svedese è stata aggredita in casa da 4 rapinatori. Sono stati legati, picchiati e minacciati con un coltello per tre ore prima che i criminali li lasciassero in pace. Pare che siano stati trasportati in ospedale entrambi, ma in condizioni non gravi.
GAZA. Forze armate israeliane nell’ospedale Shifa. Spari ed esplosioni.
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della redazione
(foto Wafa – commons.wikimedia.org)
Pagine Esteri, 15 novembre 2023 – L’esercito israeliano ha avviato nella notte un raid nell’ospedale Al Shifa di Gaza city dove migliaia di civili palestinesi si trovano ancora rifugiati. Il dottor Munir al-Bursh, direttore generale del ministero della sanità di Gaza, ha detto alla televisione Al Jazeera che le forze israeliane hanno fatto irruzione nel lato occidentale del complesso medico. “Ci sono state grandi esplosioni e molta polvere è entrata nelle aree in cui ci troviamo. Crediamo che almeno un’esplosione sia avvenuta all’interno dell’ospedale”, ha detto Bursh.
Fonti dell’ospedale hanno aggiunto che i soldati si trovano nel seminterrato. Le forze israeliane avrebbero fatto irruzione anche nei reparti di chirurgia e nel pronto soccorso mentre ruspe e mezzi corazzati sono avanzati fin dentro il cortile della struttura sanitaria.
Israele afferma che Hamas ha un centro di comando sotto lo Shifa e utilizza l’ospedale e i tunnel sottostanti per nascondere operazioni militari e per tenere gli ostaggi catturati durante l’attacco del 7 ottobre. L’esercito precisa di avere in corso “una operazione limitata” che includerebbe “squadre mediche e persone di lingua araba”.
Ieri l’Amministrazione Biden, contraria al bombardamento aereo dell’ospedale, aveva dato un via libera indiretto al raid israeliano affermando che anche l’intelligence Usa ritiene che Hamas abbia una importante base sotto lo Shifa.
Il ministro della Sanità dell’Autorità Palestinese a Ramallah, Mai Alkaila, ha condannato l’attacco nell’ospedale affermando che Israele sta “commettendo un nuovo crimine contro l’umanità, il personale medico e i pazienti assediando la struttura”. “Riteniamo le forze di occupazione pienamente responsabili della vita del personale medico, dei pazienti e degli sfollati allo Shifa”, ha dichiarato.
Al Shifa è a poche centinaia di metri dal porto di Gaza City. Gli edifici sul lato occidentale, il luogo iniziale del raid, includono i reparti di medicina interna e di dialisi. 650 pazienti e tra 5.000 e 7.000 civili sono intrappolati all’interno dell’ospedale dove negli ultimi giorni a causa della carenza di carburante, acqua e rifornimenti, sarebbero morti 40 pazienti tra i quali alcuni neonati prematuri. Ieri i palestinesi intrappolati hanno scavato una fossa comune per seppellire i pazienti deceduti. Nell’ospedale rimarrebbero circa 100 corpi in decomposizione che al momento non posso essere seppelliti.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si è detto profondamente turbato dalla “drammatica perdita di vite umane” negli ospedali. “In nome dell’umanità, il segretario generale chiede un immediato cessate il fuoco umanitario”, ha detto ai giornalisti il suo portavoce. Più di 11.000 persone sono morte a causa degli attacchi israeliani, circa il 40% dei quali bambini, e innumerevoli altri sono rimasti intrappolati sotto le macerie. Inoltre, una ampia porzione dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono rimasti senza casa, incapaci di fuggire dal territorio dove cibo, carburante, acqua dolce e forniture mediche stanno finendo. Pagine Esteri
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L'articolo GAZA. Forze armate israeliane nell’ospedale Shifa. Spari ed esplosioni. proviene da Pagine Esteri.
Proteggiti con l'Open Source Intelligence (OSINT)
Immagina di essere un investigatore privato, ma — invece di cercare scontrini e documenti nel secchio dell’immondizia del condominio — rovistare nel vasto oceano chiamato Internet per scovare indizi preziosi.
Questa è l’essenza di quella pratica chiamata OSINT (Open Source Intelligence): cercare, raccogliere e analizzare informazioni disponibili su fonti pubbliche per ottenere indizi e intelligence su cui agire. Le fonti possono essere le più diverse: siti web, social network, archivi pubblici, documenti, immagini, e così via.
In effetti, è un po’ come ravanare in un enorme secchio dell’immondizia digitale per ricercare e scovare informazioni che abbiano un senso. Interessarsi di OSINT è un modo per essere più consapevoli del proprio impatto digitale, per capire il modo in cui i nostri dati potrebbero essere usati contro di noi e — se possibile — diminuire anche la superficie di esposizione.
Conoscere alcune tecniche di base di OSINT può essere estremamente utile per proteggersi online e distinguere tra il vero e il falso, riducendo così anche il rischio di cascare in fastidiose truffe.
I nostri dati e la nostra vita sono nel grande secchio dell’immondizia chiamato Internet. Scopriamo allora qualche tecnica e strumento utile per iniziare a rovistare in quel bel monnezzaio chiamato Internet.
Google Dorking
Come fare per cercare e trovare le informazioni di cui abbiamo bisogno? Uno strumento estremamente utile è proprio Google, con la tecnica del “Google Dorking”, conosciuta anche come “Google hacking”.
Xi a San Francisco da Biden ma anche dagli amici dell’Iowa
Il presidente cinese torna negli Usa dopo oltre 6 anni. Ecco che cosa c'è nella sua agenda. Ma al summit Apec si muove anche altro: dal possibile incontro col premier giapponese Kishida alla visita del filippino Marcos al comando del Pacifico dell'esercito americano
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Taiwan Files – Elezioni 2024: candidati allo scoperto
Tutte le novità sulle elezioni presidenziali e legislative di gennaio 2024. Morris Chang al summit Apec. Manovre militari e diplomatiche. Israele-Gaza e comunità musulmana a Taiwan. I diari di Chiang Kai-shek. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)
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Conoscenza e processo sociale. In Fondazione Einaudi presentato il nuovo libro del Prof. Lorenzo Infantino
Il nome di Friedrich von Hayek viene solitamente associato agli studi svolti nel campo della teoria economica e della filosofia politica. Il che trascura la sua formazione e il lavoro da lui compiuto nell’ambito della psicologia teorica e della conoscenza. Alla figura di Hayek ha dedicato il suo ultimo libro “Conoscenza e processo sociale” il Prof. Lorenzo Infantino, presidente onorario della Fondazione Luigi Einaudi. Il volume è stato presentato questo pomeriggio nell’Aula Malagodi della Fondazione.
“È cresciuto nella Grande Vienna e ha intrapreso gli studi economici munito di una vasta dotazione culturale, come si nota già nei suoi primi scritti di teoria economica”, ha detto Infantino. “Si è progressivamente spinto a misurarsi con questioni che, nella spiegazione della vita individuale e collettiva, precedono e conferiscono una più adeguata identificazione ai problemi economici e sociali”.
Il libro approfondisce l’opera hayekiana e la sua fecondità. Il lettore, dice Infantino, “vedrà che, posti per la prima volta assieme, gli scritti raccolti in questo volume consentono di percorrere un itinerario cha va dalla trasformazione del cervello in una mente umana al perché il mondo sensoriale non sia il punto di partenza, dall’esistenza di un ordine presensoriale alla constatazione che ciò di cui siamo consapevoli è un fenomeno secondario, dalla scienza come sistema ipotetico-deduttivo ai gradi delle nostre spiegazioni e ai fenomeni complessi, dalla dispersione della conoscenza all’interno della società al processo sociale come esplorazione dell’ignoto, dalla presunzione di onniscienza agli «abusi della ragione»”.
“Il volume è di grande originalità”, ha detto il Presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, nei saluti introduttivi. “Parafrasando il pensatore viennese “da ‘veri individualisti’, siamo convinti che il ‘ruolo giocato dalla ragione nelle faccende umane’ sia piuttosto piccolo. E d’altra parte siamo la Fondazione Luigi Einaudi che mi onoro di presiedere, da sempre convinto – esattamente come Hayek – che se lasciati liberi, gli uomini conseguono più di quanto l’umana ragione individuale potrebbe mai progettare o prevedere”.
Moderati dal segretario generale della FLE, Andrea Cangini, sono intervenuti Alessandro De Nicola e Pietro Reichlin, Professore Ordinario LUISS. “Per Hayek la libertà di scelta è un mito, nasciamo con un’eredita storica e sociale di esperienze e conoscenze che determina ciò che siamo indipendentemente da ciò che riteniamo di essere. Conseguenza logica della sua Teoria della conoscenza il fatto che la pianificazione economica nei regimi totalitari e il dirigismo nei sistemi democratici a guida sovranista siano fallaci per definizione. Le soluzioni si trovano nella società aperta e nel continuo confronto tra idee diverse”, ha sottolineato Cangini.“In una società dinamica la conoscenza è diffusa: la concorrenza è un tramite attraverso cui essa si diffonde”, ha detto De Nicola. “L’ habitat normativo è quello che consente l’esplicarsi della libertà e quindi per la concorrenza sono più importanti le regole sui diritti di proprietà, la tassazione, il commercio, del diritto antitrust stesso”.
“Il concetto di concorrenza pone Hayek in conflitto con gli altri economisti. Per Hayek la concorrenza è un processo in evoluzione, mentre l’economia classica ha bisogno di definire un concetto di concorrenza perfetta”, ha detto Pietro Reichlin.
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MafiAnti
Perché? Non basta aver chiarito i fatti, serve chiedersene il perché. E non è finita qui, semmai comincia qui. Il dramma più grande non sono le pagine nascoste e i segreti della storia italiana, molti dei quali sono miti e fanfaluche: il dramma sono le cose note e taciute, il dramma è il depistaggio delle presunte verità. Se i favori alla mafia vengono fatti nel Palazzo di Giustizia palermitano, se lo si racconta e nessuno ascolta, la faccenda non può essere chiusa. Deve essere aperta.
Mario Mori ha pubblicato due libri: “M.M. Nome in codice Unico” (La Nave di Teseo) e, con il suo collega Giuseppe De Donno, “La verità sul dossier mafia-appalti” (Piemme). Quelle che fanno impressione non sono le rivelazioni, ma le conferme. Molti anni prima che nascesse “La Ragione” ho scritto e raccontato questa storia. Non ero il solo, ma eravamo molto pochi. Ignorati. Quel racconto – basato su date e buon senso – è ora confermato dalle parole di Mori e De Donno, che non sono soltanto testimoni diretti ma protagonisti. Ed è la conferma a imporci un passo ulteriore, che spalanca una prospettiva che sarebbe colpevole ignorare.
Partiamo da una cosa di oggi: Matteo Messina Denaro, arrestato perché bisognoso di cure e alla vigilia della morte, escludendo qualsiasi possibile collaborazione, si rivolge beffardo a chi lo interroga: ma voi veramente credete che Falcone sia morto perché era stato capace di far condannare molti mafiosi? Come a dire: se lo credete siete scemi. La ragione della sua morte va cercata non in quel che aveva fatto, ma in quel che avrebbe potuto ancora fare. Ed è questo che ci porta all’inchiesta “mafia-appalti”. Era stato Falcone a volerla e impostarla, mettendo al lavoro Mori e il Ros. Falcone era inviso ai suoi colleghi magistrati, ne ricevette umiliazioni e isolamento. A quell’indagine mettevano i bastoni fra le ruote. Quando capì che se ne sarebbe dovuto andare, trasferendosi a Roma, volle depositare l’indagine – benché incompleta – per assumersene la responsabilità e perché altri potessero continuarla. Il 23 maggio 1992 salta in aria. Fate attenzione.
Il 14 luglio successivo Paolo Borsellino chiede di occuparsi di quell’inchiesta. Non soltanto non glielo consentirono, ma nessuno lo informò che la Procura ne aveva chiesto l’archiviazione il giorno prima, il 13 luglio. Lui insiste e il 19 luglio, al mattino, il capo della Procura, Pietro Giammanco, lo chiama per dargli la notizia che sarà autorizzato a proseguire l’indagine che lo stesso Giammanco intendeva archiviare. Quello stesso 19 luglio, nel pomeriggio, Borsellino salta in aria. Il 22 luglio Giammanco conferma l’intenzione di archiviare l’inchiesta, che tre giorni prima avrebbe delegato a Borsellino. Il 14 agosto (14 agosto!) il gip autorizza l’archiviazione nel silenzio generale.
Si organizzano le sfilate in memoria di Falcone e Borsellino, cui partecipano quanti li avevano avversati, e si seppellisce la loro inchiesta, quella per cui è largamente probabile siano stati sepolti.
E Mori? E il Ros? Subiranno anni di processi, accusati di avere trattato con la mafia. Sono stati assolti, in via definitiva e con motivazioni che tolgono qualsiasi dubbio non sia sorretto dalla malafede. Ma questo apre un problema: perché? Perché si istruisce una cagnara sull’inesistente trattativa fra lo Stato e la mafia? Perché serve a lasciare nascosto l’enorme piacere fatto alla mafia e al mondo imprenditoriale e politico che aveva allungato le mani sui soldi degli appalti pubblici utilizzando le ‘entrature’ dei disonorati; serve a non parlare dell’inchiesta “mafia-appalti”, che contiene i loro nomi, e a mettere a tacere quanti raccontavano quei fatti e ricordavano quelle date. Fino a Messina Denaro, che chiede a chi lo interroga se sono tutti scimuniti.
Nel Paese in cui si fanno commissioni parlamentari d’inchiesta sulle cretinate, questa storia non finisce qui e non serve alcuna commissione. Ci sono pagine che contengono notizie rilevanti e non nuove. Vediamo se c’è una Procura capace di leggere.
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Fondazione Luigi Einaudi, osservatorio sulla tecnologia – Corriere della Sera
Marzio Breda – Capi senza Stato
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Riprendiamo terreno sulla rete tossica! – Ecco il rapporto 2023 di Framasoft
Un anno fa abbiamo lanciato la nostra tabella di marcia 2022-2025, «Collettivizzare Internet, Convivializzare Internet». L'obiettivo: incoraggiare l'adozione di strumenti web di facile utilizzo da parte di gruppi che condividono i valori della cultura Free/Libre.
Un anno dopo, siamo orgogliosi e felici di presentare questo primo aggiornamento completo sulle nostre attività, finanziate (come sempre) dalle vostre donazioni.
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In Cina e Asia – Pechino condanna le affermazioni di Israele sull’atomica
Pechino condanna le affermazioni di Israele sull’atomica Crea: “La Cina ridurrà le emissioni di carbonio nel 2024” Ombre cinesi sul ritorno di Cameron agli Esteri La Lituania vuole normalizzare i rapporti con la Cina Sicurezza e Pacifico: l’Australia sigla accordo con Tuvalu Corea del Nord: Stati Uniti e Corea del Sud rivedono la strategia di deterrenza Indonesia e Usa lanciano ...
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Il ritorno dei coloni che molti israeliani desiderano. “Tutta la terra è nostra”
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di Michele Giorgio –
(Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 14 novembre 2023. Scrivendo qualche giorno fa degli scenari per la Striscia di Gaza dopo l’offensiva israeliana, il professor Nathan Brown, analista del centro studi internazionale Carnegie, ha previsto che «Probabilmente Israele non reintrodurrà i coloni a Gaza, ma le sue mosse future potrebbero includere la creazione di installazioni militari all’interno della Striscia». Ed è questa l’opinione di altri esperti data anche la contrarietà degli Stati uniti alla possibilità che Israele colga l’occasione per ricostruire i 21 insediamenti ebraici demoliti nel 2005 per ordine del premier scomparso Ariel Sharon nel quadro del «Piano di disimpegno» unilaterale da Gaza. In quei giorni furono evacuate e distrutte anche quattro piccole colonie in Cisgiordania. Tuttavia, il silenzio del gabinetto di guerra israeliano sugli assetti politici a Gaza nel cosiddetto «dopo Hamas» e l’annuncio, ribadito più volte, dal primo ministro Netanyahu secondo cui «Israele avrà il controllo della sicurezza a Gaza per un periodo indefinito», autorizzano ad ipotizzare che la ricostruzione di alcune colonie sia sul tavolo.
Sebbene non si tratti di un insediamento coloniale, la nuova comunità di Hanon, attaccata a Gaza, appena approvata dal Consiglio nazionale di pianificazione e costruzione, conferma che l’edilizia sarà un pilastro della politica israeliana nei prossimi mesi ed anni nell’area di Gaza. E non solo per riabilitare kibbutz e piccoli centri abitati colpiti dall’attacco di Hamas. Si svilupperà anche all’interno della Striscia? Non pochi israeliani lo desiderano, dal semplice cittadino agli esponenti politici. La distruzione di Gush Qatif, il principale blocco delle colonie israeliane a Gaza nell’estate del 2005, resta una ferita aperta per porzioni significative di popolazione israeliana religiose e di destra convinte che anche Gaza faccia parte della biblica Erez Israel, la Terra di Israele. I circa 8mila coloni portati via con la forza dai soldati, è una immagine che in tutti questi anni ha continuato a girare negli ambienti di destra. «Ariel Sharon che per decenni era stato il punto di riferimento della destra radicale, dopo aver ordinato l’evacuazione di soldati e coloni da Gaza venne definito come un traditore e addirittura un esponente della sinistra», spiega al manifesto Meir Margalit, un docente esperto delle colonie di Gaza. Margalit non pensa che ci siano i margini politici per ricostruire le colonie. Però, aggiunge, «La società israeliana oggi è più di destra e religiosa rispetto a 18 anni fa e l’appello al ritorno a Gaza coinvolge tante persone».
Sui social i sostenitori della ricostruzione delle colonie a Gaza si sono sbizzarriti in queste ultime settimane. Ha fatto scalpore il video in cui un ufficiale dell’esercito afferma in pubblico che, se non ci fossero stati i tanti morti israeliani e i sequestri di ostaggi, ottobre sarebbe stato «un mese felice». Perché, aggiunge, grazie alla guerra Israele può riprendersi Gaza e se vuole anche il Libano del sud (da cui si è ritirato nel 2000). «Un’altra cosa che stiamo chiarendo è: la terra è nostra. Tutta la terra! Tutto! Inclusa Gaza! Incluso il Libano! Tutta la terra promessa! Gush Katif è così piccolo rispetto a cosa raggiungeremo!», aggiunge il militare ricevendo gli applausi di tanti. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’Istruzione, Yoav Kisch, del partito Likud di Netanyahu. Ha detto di non escludere uno scenario in cui Israele costruisca insediamenti nella Striscia di Gaza. Dichiarazioni persino più esplicite sono giunte dal ministro dell’economia Bezalel Smotrich e da quello del Patrimonio nazionale Amichai Eliyahu (che qualche giorno fa ha suggerito un possibile impiego della bomba atomica a Gaza) e dalla parlamentare Orit Strock, paladina dell’estrema destra. Tra i coloni l’entusiasmo cresce di pari passo con l’avanzata delle truppe israeliane e lo sfollamento dei palestinesi. «Il popolo di Israele vuole tornare nella Striscia di Gaza». Questa è la parola d’ordine del movimento «Nachla» che si propone di fare lobby per insediare coloni a Gaza quando sarà terminata la guerra. «Vuoi essere nostro vicino? Vuoi prendere parte all’azione? Puoi presentare domanda», scrivono gli attivisti in un appello ad unire le forze.
Netanyahu e altri esponenti dell’establishment politico non si sbilanciano. La posizione prevalente è che il fermento per il «ritorno a Gaza» va contenuto perché può danneggiare l’appoggio diplomatico di cui gode Israele. Ma Netanyahu, sempre più spostato a destra, tra qualche mese avrà bisogno, ancora più di oggi, dell’appoggio dei coloni, dell’ultradestra e anche dei sostenitori della ricostruzione delle colonie a Gaza se vuole provare a ribaltare i sondaggi che oggi lo danno al punto più basso da anni a questa parte.
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Historic agreement on child sexual abuse proposal (CSAR): European Parliament wants to remove chat control and safeguard secure encryption
Today the European Parliament’s Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs (LIBE) in the European Parliament adopted by a large majority (51:2:1) a mandate to negotiate the controversial EU draft law on chat control. The Commission’s bill proposes bulk scanning and reporting of private messages for allegedly suspicious content by using error-prone algorithms, including „artificial intelligence“. But the European Parliament’s position removes indiscriminate chat control and allows only for a targeted surveillance of specific individuals and groups reasonably suspicious of being linked to child sexual abuse material, with a judicial warrant. End-to-end encrypted messengers are exempted. Instead, internet services will have to design their services more securely and thus effectively prevent the sexual exploitation of children.
EU lawmaker Patrick Breyer of the Pirate Party, a long-time opponent of chat control who negotiated the EU Parliament‘s position on behalf of his group, explains:
“Under the impression of massive protests against the looming indiscriminate chat control mass scanning of private messages, we managed to win a broad majority for a different, new approach to protecting young people from abuse and exploitation online. As a pirate and digital freedom fighter, I am proud of this breakthrough. The winners of this mandate are on the one hand our children, who will be protected much more effectively and in a court-proof manner, and on the other hand all citizens, whose digital privacy of correspondence and communication security will be guaranteed.
Even if this compromise, which is supported from the progressive to the conservative camp, is not perfect on all points, it is a historic success that removing chat control and rescuing secure encryption is the common aim of the entire Parliament. We are doing the exact opposite of most EU governments who want to destroy digital privacy of correspondence and secure encryption. Governments must finally accept that this highly dangerous bill can only be fundamentally changed or not be passed at all. The fight against authoritarian chat control must be pursued with all determination!
In detail, our position will protect young people and victims of abuse much more effectively than the EU Commission’s extreme proposal:
- Security by design: In order to protect young people from grooming, internet services and apps shall be secure by design and default. It must be possible to block and report other users. Only at the request of the user should he or she be publicly addressable and see messages or pictures of other users. Users should be asked for confirmation before sending contact details or nude pictures. Potential perpetrators and victims should be warned where appropriate, for example if they try to search for abuse material using certain search words. Public chats at high risk of grooming are to be moderated.
- In order to clean the net of child sexual abuse material, the new EU Child Protection Centre is to proactively search publicly accessible internet content automatically for known CSAM. This crawling can also be used in the darknet and is thus more effective than private surveillance measures by providers.
- Providers who become aware of clearly illegal material will be obliged to remove it – unlike in the EU Commission’s proposal.
- Law enforcement agencies who become aware of illegal material must report it to the provider for removal. This is our reaction to the case of the darknet platform Boystown, where the worst abuse material was further disseminated for months with the knowledge of Europol.
At the same time, we are pulling the following poisonous teeth out of the EU Commission’s extreme bill:
- We safeguard the digital secrecy of correspondence and remove the plans for blanket chat control, which violate fundamental rights and stand no chance in court. The current voluntary chat control of private messages (not social networks) by US internet companies is being phased out. Targeted telecommunication surveillance and searches will only be permitted with a judicial warrant and only limited to persons or groups of persons suspected of being linked to child sexual abuse material.
- We safeguard trust in secure end-to-end encryption. We clearly exclude so-called client-side scanning, i.e. the installation of surveillance functionalities and security vulnerabilities in our smartphones.
- We guarantee the right to anonymous communication and remove mandatory age verification for users of communication services. Whistleblowers can thus continue to leak wrong-doings anonymously without having to show their identity card or face.
- Removing instead of blocking: Internet access blocking will be optional. Under no circumstances must legal content be collaterally blocked.
- We prevent the digital house arrest: We don’t oblige app stores to prevent young people under 16 from installing messenger apps, social networking and gaming apps ‘for their own protection’ as proposed. The General Data Protection Regulation is maintained.“
The mandate is not expected to be voted on in plenary. The Council could make a further attempt to position itself on 4 December, after which the European Parliament’s negotiations with the Council and the European Commission (“trialogue”) can begin. The majority of EU governments have so far stuck to the plan for mass chat control without suspicion and the undermining of secure encryption. Other governments are firmly opposed to this. A legal opinion published yesterday by a former ECJ judge concludes that neither chat control nor an end to secure encryption would stand up in court.
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L’illusione della deterrenza
La parola chiave è “deterrenza” e raccontano che Giorgia Meloni ci creda davvero. Ascoltando il suo videomessaggio dello scorso 15 settembre, chi scrive si era convinto che il presidente del Consiglio parlasse ai migranti africani per farsi intendere dagli elettori italiani. Ritenevamo che il focus del discorso fosse quel “non abbiamo cambiato idea” pronunciato con lo sguardo fiero fisso in camera e che quelle parole volutamente rassicuranti nascessero dall’esigenza di contenere il tentativo di Matteo Salvini di eroderle consensi a destra. Errore. Giorgia Meloni intendeva davvero rivolgersi ai migranti e il focus o del suo discorso era davvero quel “messaggio chiaro a chi vuole entrare illegalmente in Italia: non conviene affidarsi ai trafficanti… se entrate illegalmente, sarete trattenuti e rimpatriati”.
Con lo stesso spirito, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, che della Meloni è tanto il braccio quanto la mente, ha cercato di convincere gli alleati e il ministro dell’Interno a fare di Lampedusa un gigantesco Centro di permanenza e rimpatrio (Cpr). Una via di mezzo tra Ellis Island e Guantanamo, che nelle intenzioni di Fazzolari (e della Meloni) avrebbe dovuto dissuadere i migranti dal partire. La proposta di Fazzolari è stata respinta, ma lo spirito di quell’intuizione ha continuato ad ispirare la strategia di palazzo Chigi fino a concretizzarsi nel recente accordo con il governo Albanese.
Giorgia Meloni sa che semmai quell’accordo diventerà operativo servirà a “confinare” un’esigua minoranza dei migranti che sbarcano in Italia (tra i 3mila e i 6mila l’anno su 130mila circa che arrivano), ma ritiene che la prospettiva di finire dietro le sbarre in Albania possa fungere da deterrente scoraggiando di conseguenza decine di migliaia di disperati dal partire facendo rotta sulle coste del Belpaese.
La deterrenza è uno dei miti della politica italiana. Ispirò l’introduzione, nel 2009, del reato di immigrazione clandestina da parte del governo Berlusconi (reato confermato nel 2014 dal centrosinistra al governo per paura dell’impopolarità) e ispira la deriva panpenalistica in ragione della quale i partiti di governo, e in modo particolare quelli di centrodestra, sono soliti affrontare ogni allarme sociale in materia di sicurezza inasprendo le pene detentive o coniando nuove fattispecie di reato. Un esempio tra i tanti, il reato di omicidio stradale. Le statistiche, però, sono impietose e gli studi di psicologia sociale tendono a corroborarne i dati: la deterrenza non ha mai funzionato un granché. Quel che funziona, semmai, è l’effetto che l’annuncio produce sull’elettorato, che tende irrazionalmente ad associare il varo di norme straordinarie ad una straordinaria efficacia dei governi. È un’illusione, naturalmente, ma il bisogno di illudersi degli elettori non è meno forte di quello dei migranti.
L'articolo L’illusione della deterrenza proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La sonda Juno ha fornito nuovi importanti indizi sul comportamento dei venti di Giove | AstroSpace
"Queste misurazioni hanno portato a numerose scoperte, tra cui l’esistenza di un nucleo diluito nelle profondità di Giove. Hanno permesso di stimare l’altezza delle zone e delle fasce del pianeta, che si estendono dalla sommità delle nubi fino a circa 3mila chilometri. Di recente, i dati hanno portato a scoprire che i venti atmosferici di Giove penetrano nel pianeta in modo cilindrico, parallelo al suo asse di rotazione."
Salvatore detto Rino
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