Gaza, Xi: "Senza la soluzione dei due stati niente pace e stabilità”
Il presidente cinese interviene all'incontro virtuale dei Brics e articola la posizione cinese sul conflitto tra Israele e Hamas, mentre si conclude la visita della delegazione di paesi a maggioranza musulmana a Pechino. Al G20 virtuale indiano partecipa il premier Li Qiang
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GAZA. Jabaliya circondato, colpiti Nuseirat e Khan Yunis. Imminente accordo per scambio ostaggi-prigionieri palestinesi
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della redazione
Pagine esteri, 21 novembre 2023 – Mentre si attende l’annuncio di un accordo per una tregua di 4-5 giorni assieme alla liberazione di 53 ostaggi israeliani e alla scarcerazione di 150 prigionieri politici palestinesi (in maggioranza donne e minori), a Gaza infuriano i bombardamenti aerei e i combattimenti sul terreno. Israele ha circondato il campo profughi di Jabalia che descrive come una roccaforte di Hamas. L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito di 33 persone uccise e decine ferite in un attacco aereo israeliano su Jabalia. Altri dieci palestinesi sono morti in un altro raid dell’aviazione contro un palazzo di Khan Yunis. Qualche ora prima almeno 20 palestinesi erano sono stati uccisi in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Nuseirat, alle porte del territorio meridionale di Gaza e punto di arrivo di un gran numero di persone in fuga dalle aree del nord occupate da Israele. E’ stato colpito anche l’ospedale Al Awda, nel nord, con tre membri del personale medico uccisi
Il ministero della Sanità di Gaza riferisce che dall’inizio della guerra sono stati uccisi 14.128 palestinesi, il 69% delle persone uccise sono donne e bambini. I feriti sono oltre 33.000. Aggiunge che 25 ospedali e 55 cliniche non sono più operativi a causa degli attacchi israeliani nella Striscia.
Nel frattempo, pioggia e freddo hanno peggiorato le già terribili condizioni di vita degli sfollati, molte migliaia dei quali dormono all’aperto o in tende improvvisate. I bombardamenti israeliani anche nelle aree meridionali indicano agli abitanti di Gaza che non esiste un posto sicuro dove andare. Nonostante l’ordine israeliano di allontanarsi dalle loro case, si ritiene che decine di migliaia di civili restino nel nord di Gaza che Israele dice di controllare e dove i militanti di Hamas resistono con azioni di guerriglia. Tutti gli ospedali in quella zona hanno smesso di funzionare ma ospitano ancora pazienti e sfollati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta lavorando a un piano per evacuare tre ospedali: Al Shifa, Al Ahli e Indonesiano.
Questa sera il premier israeliano Netanyahu ha convocato il suo gabinetto di guerra tra i crescenti indiscrezioni di un accordo per liberare parte dei 240 ostaggi presi dai militanti di Hamas dopo l’attacco in Israele il 7 ottobre. Secondo le ultime notizie date dai media locali, Hamas libererà circa 53 ostaggi, per lo più donne e bambini e alcuni stranieri, mentre Israele rilascerà 150 prigionieri palestinesi. Non ci saranno combattimenti per quattro-cinque giorni e sorvoli su Gaza di droni israeliani di sorveglianza per 6 ore al giorno. Contro l’intesa sono schierati i ministri dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che parlano di “cedimento alle condizioni di Hamas”. Pagine Esteri
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L’ASSURDITÀ DI SCUSARSI PER L’OMICIDIO DI GIULIA IN QUANTO UOMINI
Doveva succedere, ed è successo. È successo che più d’un uomo noto si sia pubblicamente scusato idealmente con Giulia e concretamente con tutte le donne che subiscono violenza e che l’abbia fatto non in quanto uomo violento pentito della propria violenza passata, ma in quanto uomo. Uomo e basta. Se era un modo per distinguersi dal coro del cordoglio sono state parole subdole. Se, come sembra, erano parole sincere, sono state parole emblematiche. Emblematiche di un assurdo senso di colpa collettivo che da anni, in forma crescente, caratterizza le élite occidentali. Élite di un Occidente che sembra trovare una propria identità non nell’atto di rivendicare ciò che è, ma nell’atto di scusarsi per ciò che è stato.
Ci si scusa, afflitti, per il colonialismo, per il fascismo, per il comunismo, per il cambiamento climatico, per la globalizzazione, per la pedofilia, per la prevaricazione di genere, per l’abitudine di mangiare carne… Comportamenti spesso frutto di processi secolari che ci hanno indotto un tempo a considerare normale quel che, col tempo, oggi consideriamo anormale e spesso inaccettabile. Ma il senso comune non basta. Non basta prendere atto dell’avvenuta metamorfosi di valori, morali, etiche e norme di legge. Bisogna cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa per le azioni dei nostri nonni come, eventualmente, del nostro vicino di casa.
Ne discendono il trionfo della “cancel culture”, l’esplosione dell’ideologia “woke” che dalla giovane società statunitense si sono fatte sorprendentemente largo negli atenei e nei salotti della Vecchia Europa. Ne discendono il culto delle minoranze e il senso si spaesamento e di colpa delle maggioranze. Ne discende una società afflitta, dove la responsabilità penale non è più personale ma collettiva e dove la Storia non è più oggetto di studio ma motivo di biasimo e di vergogna.
Prendiamo la questione di genere. Abbiamo vissuto per millenni in una società patriarcale e per millenni ci siamo riconosciuti in una Chiesa che con Sant’Agostino considerava la donna “l’ostacolo principale sulla via che conduce a Dio”. In Italia, le donne hanno avuto riconosciuto il diritto di voto solo nel 1945; il reato di adulterio, punito per la donna con un anno di reclusione, è stato abolito solo nel 1968; il delitto d’onore, cioè le attenuanti per l’uxoricida dell’adultera, e il matrimonio riparatore, cioè la norma del codice penale che cancellava la colpa dello stupratore che sposava la vittima, sono stati abrogati solo nel 1981. Quarant’anni fa appena.
La civiltà cambia, progredisce. Ma cambia a progredisce lentamente, perché lento é il processo di sostituzione di consuetudini e valori vecchi con consuetudini e valori nuovi. Eppure il cambiamento c’è stato, e c’è stato grazie all’affermazione del principio liberale che ha messo al centro la persona in quanto tale. La persona, il singolo cittadino indipendentemente dal fatto che sia uomo o donna, in quanto titolare di diritti incomprimibili ed universali. È per questo che di fronte al mostruoso martirio della povera Giulia la reazione di chi si scusa in quanto uomo finisce per disconoscere il processo di revisione culturale che indiscutibilmente c’è stato, per offendere la stragrande maggioranza di uomini che mai leverebbero una mano su una donna e per relativizzare la responsabilità personale di quell’unico uomo che vigliaccamente l’ha uccisa.
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ICYMI: FPF Webinar Discussed The Current State of Kids’ and Teens’ Privacy
Privacy by design for kids and teens has expanded across the globe. As policymakers, advocates, and companies grapple with the ever-changing landscape of youth privacy regulation, the Future of Privacy Forum recently hosted a webinar discussing the current state of kids’ and teens’ privacy policy. The webinar explored the current frameworks that are influential worldwide, the variations in youth privacy approaches, and the nuances of several emerging trends.
The virtual conversation, moderated by FPF’s Chloe Altieri, included a discussion about the industry’s work on compliance with a variety of regulations across jurisdictions. The webinar began with presentations from the panelists, setting the stage with their current work on youth privacy issues. The panelists were Phyllis H. Marcus, Partner at Hunton Andrews Kurth LLP, Pascale Raulin-Serrier, Senior Advisor in Digital Education and Coordinator of the DEWG at the French CNIL, Michael Murray, Head of Regulatory Policy at the U.K. ICO, and Shanna Pearce, Managing Counsel, Family Experience at Epic Games.
Phyllis led the audience through the current U.S. legislative and regulatory landscape. The U.S. States have been incredibly active in children’s and teens’ privacy legislation, with 11 states having enacted bills and an additional 35 states have considered legislation for youth online safety. The trends emerging from the online safety legislation being considered show four primary categories of laws being considered by state regulators: Platform Accountability Laws, Age Verification Laws, Social Media Metering Laws, and the California Age-Appropriate Design Code (CA AADC). In recent actions, the Federal Trade Commission has stepped up enforcement of the Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA). Finally, the U.S. Congress has taken an interest in enhancing youth online safety measures through the introduction of COPPA 2.0 by Sen. Markey and Sen. Cassidy and the Kids Online Safety Act (KOSA) by Sen. Blumenthal and Sen. Blackburn.
Pascale discussed the work of the French CNIL, both nationally and internationally, in making privacy and youth online safety an effective initiative. Key international initiatives include the International Resolution on Children’s Digital Rights adopted in 2021, which harmonized a regulatory vision and set of core principles among Data Protection Authorities Worldwide around youth online safety. Additionally, the CNIL is working to improve digital education to combat the issues of online safety. The CNIL published eight recommendations to enhance the protection of children online in 2021 with the aim of providing practical advice to a range of stakeholders. Such recommendations include strengthening youth awareness of risks online and privacy rights as well as encouraging youth to exercise their privacy rights in order to stay safe. Youth education efforts are being undertaken in conjunction with digital literacy efforts that empower parents and caretakers to have meaningful conversations about online safety with their children.
Michael discussed the United Kingdom’s Age Appropriate Design Code (U.K. Children’s Code), which is a statutory code of practice under the UK’s General Data Protection Regulation(GDPR). The Children’s Code is grounded in the principles established by the United Nations Convention on the Rights of the Child (UNCRC). Michael explained that the Code sets out 15 interlinked standards of age-appropriate design for online services that are likely to be accessed by children. The U.K. Information Commissioner’s Office (ICO) has undertaken a wide-ranging effort to supervise the code by exploring the possible ways the ICO could provide guidance for online services to meet the Code’s objectives. The ICO not only looks to submitted complaints but also to industry engagement efforts and engagement with other regulators or government offices to inform its guidance. According to recent industry surveys, this new method of supervising code implementation has been effective.
Shanna discussed the safety and privacy considerations that are necessary when building online experiences for kids and teens, specifically on gaming platforms. Shanna spoke about the balance and thoughtful product design required to create a positive experience for younger players and their guardians in compliance with global regulations. One product of this balancing act for Epic Games was the deployment of a suite of protections across its ecosystem of games, including age-appropriate default settings, parental controls, and Cabined Accounts, an Epic account designed to create a safe and inclusive space for younger players. Players with Cabined Accounts can still play Fortnite, Rocket League, or Fall Guys but won’t be able to access certain features, such as voice chat, until their parent or guardian provides verifiable parental consent (“VPC”).
After the panelists’ presentations, we launched into a discussion on several of the most salient issues unsettled in youth privacy policy, such as online safety, age assurance, parental consent, new regulatory requirements, and guidance for the industry. We have summarized the discussion and included key takeaways.
How are policymakers and industry members working to resolve points of tension between privacy and safety? How is this tension and its resolution approached differently across the globe?
Michael Murray gave a three-fold answer on the difference between U.S. and U.K. child privacy & safety policy. The first key difference is that in the U.K. context, the ICO and OFCOM lead a dual effort where the ICO focuses on privacy, and the U.K.’s Office of Communications (Ofcom) focuses on safety and content regulation. In the U.S., there is no defined, systemic privacy and safety regulatory effort. The second is that the U.K. is a signatory to the UNCRC, which defines children as anyone under the age of 18, and that is reflected in U.K. law. In contrast, the U.S. is not a UNCRC signatory, and the current U.S. federal protections define children as individuals under the age of 13 years old. Finally, third, the U.S. operates largely under an actual knowledge standard that an online site or service is directed to children. Whereas the U.K. Code and, recently, the California AADC operate under a “likely to be accessed” by children standard.
Phyllis H. Marcus elaborated on some of the points Michael brought up, describing the knowledge standard and tensions between privacy and safety we see in the U.S. COPPA is a privacy rather than a safety regime, but it does have safety components as one of its statutory underpinnings. It is important to know that this current regime is being somewhat upended by the patchwork of state laws being passed. Additionally, this regime may change if COPPA 2.0 and KOSA make their way through Congress and especially if they go into effect, where, combined, they will regulate privacy and safety regimes in tandem.
Pascale provided insight into the approach by France and the European Union (EU), where safety and privacy are not opposing or differentiated regulatory efforts. Safety is an element of privacy regulation and is considered within Data Protection legislation.
Age assurance is a large part of the policy conversation on youth privacy and safety online, especially as privacy protections for teens are expanding. What are your thoughts on the current issues around age assurance?
According to Michael, the area of age assurance and age verification is rapidly evolving, but there is “no silver bullet” for establishing or verifying user age on digital platforms and services. The U.K. Code takes a risk-based and proportional response to age assurance. The lower the risk of processing a child’s data, the less intensive age assurance or verification mechanisms need to be. For example, self-declaration might be a suitable mechanism for a lower-risk service. However, where risk is higher, more assurance and verification are needed to protect against processing children’s data, which is a GDPR violation. For higher-risk services, age estimation software with a buffer, a form of cabined accounts, or age verification through mobile contracts and digital IDs could be employed. These methods are all still immature, and there is no clear one-size-fits-all solution.
Pascale expressed that there are no clear solutions for age assurance and verification at this time. The CNIL, along with working groups such as DEWG, are still experimenting with age assurance methods. The CNIL is working towards developing a technical approach among different stakeholders in both the government and private sectors to harmonize methods across the chain of actors concerned. However, it is clear that the solution developed will not rely on biometric data collection for age verification efforts, though scans and estimations of face shape may be permitted. The end goal will be to find a strong mechanism for verification while balancing privacy concerns.
What are the important considerations when trying to strike a balance between data minimization, collecting information for age assurance, the level of accuracy that is appropriate, and the evolving landscape of age assurance technologies?
Shanna discussed the challenges the industry faces with respect to the state of age assurance technology in certain scenarios. Those challenges include imprecision with some age assurance technology and methods that cannot be used across all types of devices where users access online services, such as gaming consoles. These challenges are reduced when several methods are offered for verification of adults providing parental consent but may be significant where a single method is used as a gate for users to access services. While alternative age assurance technologies continue to develop, Shanna observed that the industry can find creative ways to improve the reliability of existing methods like self-reported age gates–such as providing child experiences that reduce the incentive to misstate age (Epic’s Cabined Accounts are one example) and using trusted data intermediaries to reduce friction and privacy risk to parents providing parent verification.
Michael echoed concerns about data minimization complicating age verification techniques. He added that when given a choice, a lot of parents prefer age estimation mechanisms as opposed to giving hard identifiers or personal information such as ID numbers or credit cards for age verification purposes.
These questions around age assurance are sometimes linked to discourse about parental consent. Can you speak to these two topics and share a bit about the emerging methods for each?
Phyllis provided more insight into age assurance and parental consent practices in the U.S., noting that, at least in the U.S., age assurance and parental consent “are really two different things.” When it comes to children’s use of online services under federal law, there is no requirement to verify the age of users. Rather, the U.S. requirement is to obtain consent from someone whom the company has reasonable assurance to be the parent of a child requesting access to a service. There are some parental consent mechanisms that have been whitelisted by the FTC and have been in place for decades, while others are still being reviewed by the FTC. The idea of age assurance, on the other hand, is relatively new in the U.S., and there are a number of actors considering the possibility of deploying age assurance methods in the states. Key considerations for exploring the use of age assurance technology in the U.S. include looking at less-intrusive, less risky verification methods and making data minimization a priority. Finally, Phyllis made clear that when using age estimation systems for age assurance, the over/under age estimations could be risky if not adequately tested. When estimating a user’s age with just a few years for margin of error, that would be the difference in compliance and non-compliance.
There is a lot of work being done globally by lawmakers, regulators, advocates, industry leaders, and researchers to answer these policy questions we have discussed today. How are recommendations created, and how is this guidance impactful for remedying noncompliance or figuring out solutions to protect youth privacy online?
Pascale noted that in addition to the CNIL’s eight recommendations previously mentioned, global IT experts are exploring age verification technologies to be able to create recommendations for compliance and enforcement. Work is also being done on digital education for parents as a way to increase awareness and understanding of child privacy and safety online. There is a balance between allowing parents to be involved and requiring online services to add protections. There are also important nuances around teen autonomy, developmental stages, and parents sharing too much of their child’s information. There is more to come on recommendations providing topics of discussion with parents as well as developing cooperation on a voluntary basis with the industry.
Michael agreed that digital education is a vitally important part of the solution, and research shows that parents want to have a say in the online services their kids use. Still, it cannot be the entire solution, and parents will not always be able to make informed decisions. Children’s design codes are placing an emphasis on the design of online services to avoid placing an overwhelming burden on the shoulders of parents. This emphasis works productively in tandem with developing resources for parents to have productive conversations with their children.
Recent youth privacy legislation has included a variety of standards for the level of knowledge of an online service’s audience’s age. These variations in legislation have led to companies needing to consider youth privacy issues, like age assurance, that previously did not. How is this impacting emerging technology and the practical implementation of new products?
Phyllis responded that the development of new standards for determining what services do or do not fall under the scope of regulatory scrutiny and age assurance requirements is one of the most hotly contested and highly discussed issues in the evolving U.S. landscape. Under COPPA, the requirements are defined clearly into buckets, which then clearly define the scope of the law. The current federal standard in the U.S. is actual knowledge that a service is directed to children. Phyllis cautions that it’s important to note that most new initiatives change this paradigm, and the jury is still out on what the new standard will ultimately entail with COPPA 2.0 and KOSA.
Shanna noted that while many services were developed and deployed prior to legislation going into effect, those services may be brought into scope later. Retrofitting an existing service to address things like parental consent and default settings may require significant design and technical effort, and the process is complicated further as the age of digital consent differs across regions. Shanna stated that engagement by regulatory bodies and issuing of guidance is invaluable to companies trying to comply with these evolving requirements in the tech space.
Pascale added that this is not the first time that the industry has faced technical difficulties like the ones we see today in age assurance and verification. According to Pascale, innovation is a key element to prioritize in each company’s approach because big innovations can guide smaller ones.
We asked a final question to all of our panelists: What do you foresee as the near future of youth privacy policy? What issue should companies or policymakers have top of mind right now?
Phyllis observed that there is a lot on the horizon and that it will be easy for actors to fall behind if they are not intentionally keeping up with youth privacy. It is clear that developments in the U.K. have had an effect on U.S. policy at both the state and federal levels. These initiatives will continue to be momentum to keep an eye on.
Pascale opined that privacy by design is one of the best policy options. While digital education is important to aid in solving these issues, integrating privacy by design at the conception of tech innovation will help to distribute the pressure of protecting youth online.
Michael noted that age assurance is an obvious answer. Additionally, the resolution of First Amendment questions presented in the litigation of the California Age-Appropriate Design Code will be critical. The suit brings up fundamental issues around how to protect data without impacting U.S. constitutional rights that will be an important debate.
Shanna is interested in seeing how companies balance privacy with uses of emerging technologies that improve online safety. She also observed that a variety of laws are currently taking shape around the globe, and there’s an opportunity to improve consistency and clarity of forthcoming guidance so companies can comply effectively.
Each of the panelists shared helpful resources, which we have listed and linked below, along with a few of our own. You can also find the panelist’s presentation slides and additional resources here.
Phyllis H. Marcus’ Recommended Resource:
Pascale Raulin-Serrier’s Recommended Resources:
- Global Privacy Assembly Adoption of an International Resolution on Children’s Digital Rights (2021)
- Personal Data Protection Competency Framework For School Students
- Données & Design Workshops for co-constructing ethical interfaces
- Demonstration of a privacy-preserving age verification process
- CNIL Children & Teenagers Education Resources
Michael Murray’s Recommended Resources:
- UK ICO GDPR Resources
- Best Interests of the Child Self-Assessment
- Information Commissioner’s Opinion: Age Assurance for the Children’s Code
- ‘Likely to be accessed’ by children – FAQs, list of factors & case studies
- Designing data transparency for child
Shanna Pearce’s Recommended Resources:
Additional Future of Privacy Forum Resources of note:
- Infographic: Unpacking Age Assurance: Technologies and Tradeoffs
- Policy Brief: An Analysis of the California Age-Appropriate Design Code
- Policy Brief: Comparing the UK and California Age-Appropriate Design Codes
Coming up soon! You won’t want to miss FPF’s final session in our virtual Immersive Tech Panel Series on December 6 at 11 am ET. The December session will dive into designing immersive spaces with kids and teens in mind. You can register for this event here.
For more information or to learn how to become involved with FPF’s youth privacy analysis and initiatives, please contact Chloe at caltieri@fpf.org. Subscribe here to receive monthly newsletters from the Youth and Education Team.
Penando
Una nuova legge per scriverci cosa? Le leggi non cancellano il male dalla storia, servono a fissare il confine fra il lecito e l’illecito, punendo gli sconfinamenti. Un orribile omicidio ha non soltanto ricordato che il male esiste, che è radicato nell’animo umano, ma ha anche portato alla luce il vaniloquio di chi si lancia verso l’aumento delle pene e di chi si butta su concetti come prevenzione ed educazione. Oltre al dolore per quella giovane vita rubata si deve avere la forza di guardare in faccia la realtà per quella che è, senza bendarsi di pregiudizi.
Le pene come disincentivo al crimine sono una bufala già da secoli riconosciuta come tale. Gli Stati americani con la maggiore presenza di crimini di sangue sono gli stessi in cui c’è la pena di morte. Da noi il problema non sono le leggi (sempre migliorabili, ma senza l’illusione che basti condannare per lasciar credere di cancellare), semmai la giustizia. Ovvero la capacità di punire tempestivamente. Con particolare attenzione ai così detti piccoli reati, che non soltanto non sono piccoli per chi li subisce ma spesso segnano le tappe di una carriera criminale che prima la si stronca meglio è. Da noi il problema è l’esecuzione della pena, talché non si finisca in vincoli prima del processo e magari se ne esca dopo la condanna e affinché non capiti di leggere che chi ha ucciso esca dalla cella perché è ingrassato. A questo servono edifici carcerari adeguati e civili: a che un giudice non ne faccia uscire il condannato perché malandato.
La responsabilità penale è personale non per amore di una rima, ma perché si punisce chi ha scelto di praticare il male. Se si comincia a dire che quel male si spiega con tare sociali o culturali forse non ci se ne rende conto, ma si alleggerisce la posizione del criminale. Che è colpevole in quanto individuo, non in quanto appartenente a un genere o a una etnia.
L’educazione conta, eccome se conta. Ma cos’è l’educazione? Non certo il pistolotto settimanale sul rispetto e sulla bontà. Serve a nulla. L’educazione è trasmettere la capacità di dominare e coartare i propri istinti naturali: se desideri molto una cosa non è un buon motivo per prenderla, se molto la detesti non è un buon motivo per cancellarla. L’educazione non è la sola conoscenza dei diritti, ma la pratica dei doveri. Per questo servono cultura, letteratura, filosofia, storia, capacità di ragionamento analitico, geometrico, matematico. Serve la scuola seria, non la testimonianza di passaggio. Serve insegnare a fare i conti con le sconfitte, con le umiliazioni e con il dolore, non cancellare i voti onde evitare che qualcuno li prenda male.
Se si vuole che ci sia più coscienza collettiva, capace di riconoscere il male, occorre non metterla fuori strada. È irritante leggere i numeri relativi alle donne ammazzate messi in relazione con questo o quel governo. Che sia per condannarli o incensarli è senza senso, perché i governi non c’entrano nulla. È vero che in Italia ci sono meno donne ammazzate della media europea e meno che nei Paesi del Nord Europa ed è vero che diminuiscono (troppo lentamente). Il dato non dev’essere nascosto (noi gli dedicammo uno specifico approfondimento) ma deve essere capito. Perché se la causa fosse il “patriarcato” ne deriverebbe che ce n’è di meno in Italia e in Spagna rispetto ad altri Paesi europei. Quel numero non deve servire a consolare – che anche una sola persona morta ammazzata è già troppo – ma a evitare di abboccare a spiegazioni tanto facili da non spiegare niente.
Una società aperta e paritaria, non soltanto per genere, è una società più esposta ai pericoli che l’esistenza del male comporta. Non è un buon motivo per rinunciare all’apertura, ma per capire che la libertà ha bisogno di responsabilità. Collettiva e individuale. Non serve scriverlo in una legge, serve praticarlo. Specie se si fa politica, se si ha un ruolo pubblico. Specie se si hanno dei figli. Si chiama “esempio”. È penando la fatica della libertà che si migliora il mondo in cui si vive.
La Ragione
L'articolo Penando proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
In viaggio verso i giganti ghiacciati, con Luca Nardi e Fabio Nottebella | AstroSpace
«“Giganti ghiacciati” è uno di quei saggi scientifici da avere nella propria libreria. Perché raccoglie tutte le informazioni finora a nostra disposizione sui due pianeti ghiacciati del nostro Sistema Solare, perché le racconta con passione e con competenza. Ma soprattutto, perché ci ricorda che l’esplorazione dello spazio di anno in anno ci regala una visione sempre più ampia della nostra casa, una conoscenza sempre più approfondita di ogni suo anfratto.»
Less waste, more consumer protection: MEPs adopt ‘Right to repair’ position
Today, the European Parliament adopted its position on the ‘right to repair’ law. The new rules will make it easier for consumers to get their defective products repaired, reducing the need to discard them. MEPs agreed that manufacturers shall be obliged to provide spare parts to independent repairers, and a digital platform shall be set up in each Member State to connect customers and repairers. The legislation also introduces rules to encourage more repairs during the warranty period instead of replacing goods. The text now moves into trilogue negotiations with the Council of the EU and the European Commission.
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:
“Pirates support this initiative because we think users should control the tech they use every day. For IT, the requirement that updates must be reversible and shall not lead to diminished performance will be useful. But we Pirates still believe that the right to repair could go further, and would like to see this implemented in future legislation. Current laws say IT device makers must provide updates for a reasonable period of time, but they’re not required to fix known vulnerabilities quickly. That needs to change to keep us safe. The source code and tools for development of information technology should be made public so the community can take care of them when a manufacturer stops supporting a widely used product. Requiring manufacturers to enable 3D printing of spare parts in case of orphan products, as now proposed by Parliament, is a significant step in the right direction.“
Czech Pirate Party MEP Marcel Kolaja, Quaestor of the European Parliament and Member of the leading Internal Market and Consumer Protection Committee (IMCO), comments:
“The ‘right to repair’ proposal is a milestone on the way to a more circular economy. Nowadays, most of the time, it is easier for consumers to throw away broken goods than to have them repaired, even if it is only a minor damage. The result is both unnecessary spending and tons of waste that burdens the environment. Today, Europeans are estimated to lose up to €12 billion a year by throwing away goods unnecessarily, generating 35 million tonnes of waste. Both are relatively easy to prevent, which we are now aiming to do with this mandate.”
Paola Mastrocola e Luca Ricolfi – Il danno scolastico
Le deportazioni di massa dei rifugiati afghani dal Pakistan
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di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, Anabah, 21 novembre 2023 – Al confine tra il Pakistan e l’Afghanistan, le montagne continuano il racconto della terra in cielo. In questa stagione, le vette si uniscono al colore azzurro con un gesto leggero, che ne fa sbiadire i contorni rocciosi e le confonde con il celeste come in un cinguettio, come se nei millenni di sorveglianza alla frontiera la catena dell’Hindu Kush si fosse convertita alla lingua degli uccelli. Il ghiaccio in questa stagione colora le cime come la punta di un pastello sbriciolata da un temperino.
Le montagne dell’Hindu Kush si rincorrono per oltre 800 chilometri dalle regioni centro-occidentali dell’Afghanistan a quelle nord-orientali del Pakistan. Le più alte superano i 7.000 metri di altitudine – l’Himalaya non è troppo distante, con i suoi scalatori, le sue vertigini, gli scheletri seppelliti lungo i suoi crinali. Ottemperando per millenni al suo lavoro di reggere il cielo come un vestito, l’Hindu Kush ha di volta in volta svelato agli uomini riserve di lapislazzuli azzurri come i suoi ghiacci nella valle di Kowkchech, o di smeraldi nella valle del Panjshir, questo pozzo di luce dove mi trovo e dove sventolano le bandiere di Emergency dal 1999, o, ancora, ha fatto riaffiorare dalle sue radici i gioielli di Alessandro Magno, il re viaggiatore ossessionato dal superamento delle frontiere. La storia ha attraversato questi massicci con valichi e passi che permettessero in ogni direzione il movimento degli uomini, il contatto tra le culture, lo scambio delle merci, delle stoffe, delle spezie, delle lingue. Più che il tempo, è stata la guerra, come sempre, a logorarne tanti: durante l’occupazione militare del Paese a partire dal 2001, gli Stati Uniti sfruttarono molti di questi passi nella montagna per muovere i loro mezzi militari corazzati, rendendone molti, ancora oggi, inagibili.
Oltre che della natura montuosa, il confine tra Afghanistan e Pakistan è opera soprattutto del disegno degli uomini. Si chiama “linea Durand” la frontiera che per 2.640 km separa i due Paesi. Definita a tavolino alla fine dell’’800, aveva lo scopo di delimitare i territori della Corona Britannica in India da tutto quello che si trovava subito a nord, vale a dire un impero russo in espansione verso sud e verso gli sbocchi sul mare. Per frenarlo, quindi, l’allora emiro afghano fu convinto dagli ambasciatori britannici a ratificare questa frontiera. Si divisero ufficialmente, così, i due stati, con una barriera che, inutile dirlo, spaccava in due intere comunità pashtun.
In queste settimane, è lungo questa frontiera che si sta giocando la vita di quasi due milioni di profughi afghani.
Alla vigilia dell’inverno, due mesi fa, le autorità pakistane hanno, infatti, annunciato il nuovo piano di estradizione dal Paese degli immigrati illegali, in prima battuta dei rifugiati afghani senza documento di soggiorno, con un invito a lasciare il Pakistan entro il primo novembre. A partire da quella data, il Ministro degli Interni ha promesso che il governo avrebbe messo in campo tutti i mezzi per deportare i clandestini afghani rimasti. E, di fatto, è con estrema rapidità che la macchina dell’estradizione forzata si è messa in moto e, tra il 15 settembre e l’11 novembre, 327.000 profughi afghani sono già rientrati nel loro Paese d’origine, molti costretti anche sotto la minaccia dell’arresto, mentre un altro milione e settecentomila di loro rischia di affrontare lo stesso destino.
Per decenni, il Pakistan ha ospitato rifugiati dall’Afghanistan, in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni o dalla miseria del loro Paese. Due ondate di migrazioni, in particolare, hanno segnato la diaspora afghana oltre il confine: la prima, nel 1979, ai tempi dell’occupazione sovietica del Paese. La seconda, che coinvolse almeno 800.000 persone, solo due anni fa, quando nell’agosto 2021 i talebani tornarono al potere, a seguito dell’uscita dal Paese delle forze internazionali che avevano occupato l’Afghanistan per oltre vent’anni e che adesso lo lasciavano in maniera caotica, con sagome di disperati aggrappati ai carrelli dei loro aerei di ritorno.
In tutto, il Pakistan sarebbe casa oggi per almeno 3.7 milioni di rifugiati afghani secondo le Nazioni Unite. Una popolazione che le autorità tengono a dividere in due sottogruppi: gli immigrati legali, ovvero i circa 1,3 milioni di rifugiati afghani regolarmente registrati, a cui si aggiungono altri 840.000 afghani in possesso di un altro tipo di documento che ne riconosca l’asilo, temporaneo o meno; e quelli, invece, illegali, che hanno attraversato la frontiera clandestinamente, percorrendo uno dei tanti passi che la traforano per il passaggio di treni merce e bestiame. Questi ultimi, nel giro di pochissimo tempo, sono finiti in cima alle agende del governo di Anwaar-ul-Haq Kakar con una sola risoluzione: la deportazione.
Non basta l’inverno imminente a fermare il piano di creare un improvviso popolo di due milioni di profughi rimpallati da un versante all’altro della frontiera. Profughi nel loro Paese. Per quanto anche questa definizione, per la grande maggioranza di questa massa di persone oggetto della discordia tra Aghanistan e Pakistan, sia inesatta: dal 1979 ad oggi, sono trascorsi 44 anni. Vale a dire una vita. Molti dei rifugiati che il governo pakistano vuole adesso rigettare indietro con un colpo di scopa sono nati in Pakistan, lì sono cresciuti, lì hanno frequentato la scuola, e magari ci si sono innamorati e vi hanno messo su una famiglia e una casa. Buona parte di loro non ha più nessun legame in Afghanistan, meno che mai con il nuovo-vecchio Paese amministrato dal governo de facto dei talebani.
Né l’Afghanistan sarebbe pronto a ricevere questa ondata di persone. La crisi umanitaria, per quanto lontana dai riflettori mediatici, continua a tenere quasi la totalità della popolazione, oltre 24 milioni di abitanti, sotto la soglia di povertà, e a rendere dipendente almeno la metà dall’assistenza internazionale, il cui intervento nel Paese, però, si è drasticamente ridotto dopo il ritorno dei talebani. I quali rigettano la politica pakistana di deportazione dei rifugiati, e annunciano, intanto, l’allestimento dei primi campi profughi transitori per fornire cibo e aiuto temporaneo ai deportati afghani.
Le tensioni tra i due Paesi si inaspriscono di giorno in giorno, ma il Pakistan non accetta intimidazioni e sembra sordo anche alle denunce della comunità internazionale: per il governo pakistano, i rifugiati afghani senza documento sono “un problema di sicurezza” da risolvere con urgenza. Secondo il Ministro degli Interni pakistano Sarfraz Bugti, dei 24 attentati suicidi avvenuti in Pakistan nell’ultimo anno, almeno 14 sarebbero riconducibili a residenti di nazionalità afghana. “Sono attacchi contro di noi da parte dell’Afghanistan e gli afghani sono coinvolti in questi attacchi. Ne abbiamo le prove”, avrebbe aggiunto. Accuse che l’autoproclamatosi Emirato Islamico dell’Afghanistan ha rigettato, dichiarando che l’Afghanistan non può essere colpevolizzato del “fallimento della sicurezza” di altri Paesi nella regione.
Quasi due milioni di persone sono diventate il pericolo da epurare per sbarazzarsi dallo spettro della violenza terroristica nel Paese. Al costo di incrinare definitivamente i rapporti politici ed economici con l’Afghanistan, ma con il beneficio di investire le deportazioni nella propaganda politica per le elezioni annunciate per il mese di febbraio 2024.
Da Ginevra, il 15 novembre scorso l’Alto Commissario per i Diritti Umani Volker Turk si è detto “allarmato” dai report che riferiscono gli abusi, i maltrattamenti, le detenzioni arbitrarie, la distruzione delle proprietà e delle estorsioni che stanno caratterizzando l’ondata di deportazioni condotte dal Pakistan contro i profughi afghani. L’obiettivo è, secondo molte testimonianze, quello di rendere la vita dei profughi afghani impossibile, così da costringerli con la forza a lasciare tutto affrontando il viaggio verso l’ignoto. Raid notturni, sequestro di gioielli e beni di prima necessità, fino alla chiusura di attività commerciali e all’arresto di rifugiati per ore o per giorni. Ferma è arrivata la condanna anche da parte della ONG Amnesty International, che ha chiamato il Pakistan a “fermare le deportazioni”.
“C’è un senso di paura nella comunità afghana, viviamo costantemente in ansia, sigilliamo le porte appena sentiamo le auto della polizia avvicinarsi”, ha raccontato Junaid in un report di Amnesty International.
“Migliaia di rifugiati afghani stanno venendo usati come pedine politiche”, ha denunciato Livia Saccardi, che per la ONG è Regional Director per l’Asia Meridionale, “per essere riportati nell’Afghanistan a guida talebana dove la loro vita e la loro integrità fisica potrebbe essere in pericolo, nel pieno di un crollo dei diritti umani e di una catastrofe umanitaria in corso. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a deportazioni forzate di massa, e il Pakistan dovrebbe ricordare bene i suoi obblighi secondo il diritto internazionale, incluso il principio di non-respingimento”.
Per agevolare le operazioni, il governo pakistano ha costruito 49 centri di detenzione, che preferisce definire “di transito”, con la possibilità di realizzarne di nuovi. Non esiste, tuttavia, un ordinamento legale che regolamenti la gestione dei centri. In almeno di sette di questi, sempre Amnesty ha potuto documentare la totale assenza del rispetto dei diritti umani come il diritto a un avvocato o di comunicare con i familiari, che spesso assistono alla scomparsa di un loro caro senza riceverne più notizie.
Una volta superato il confine, le prime vittime della deportazione sarebbero, poi, senza dubbio le donne e le bambine, strappate da un giorno all’altro alla possibilità di ricevere un’educazione e di avere un lavoro e una vita pubblica.
“Il Pakistan deve assicurare la protezione per gli individui che potrebbero affrontare persecuzioni, torture, maltrattamenti o altri irrimediabili rischi in Afghanistan”, ha dichiarato l’Alto Commissario Turk. “Questo include le donne e le bambine, gli ufficiali e il personale di sicurezza del precedente governo, le minoranze etniche e religione, gli attivisti per i diritti umani e della società civile e gli operatori mediatici”.
“Questi nuovi sviluppi sono un cambio di passo della lunga tradizione pakistana di accogliere, generosamente, rifugiati afghani in vasti numeri”, ha aggiunto Turk. Già tra il 2015 e il 2016, tuttavia, quando le relazioni politiche col governo afghano iniziavano a deteriorarsi, ai profughi afghani in Pakistan era spettato un destino molto simile, con raid e maltrattamenti denunciati da Human Rights Watch e minacce di deportazioni di massa, in molti casi andate a termine. Né i richiami dell’Onu o di Amnesty intimidiscono adesso il governo pakistano, che nella persona del Ministro dell’Informazione Jan Achakzai promette che “tutti i profughi afghani saranno deportati entro la fine di gennaio”.
Il Pakistan non è il solo, del resto, a volersi liberare degli immigrati afghani proprio nel cuore della stagione più fredda. Anche dall’Iran, più in sordina, nella sola scorsa settimana sarebbero stati rimpatriati circa 20.000 rifugiati.
In Afghanistan, intanto, un sole tardivo ancora riscalda, fino al tramonto, e le vette si imbiancano lentamente, una alla volta, come un presagio di futuro dal cielo. Ma il clima secco già spacca le mani e le labbra, e la notte il gelo arriva improvviso sul petto, come una coperta bagnata. La frontiera afghana si prepara incredula a venire attraversata migliaia di volte per consegnare all’inverno più cupo e al freddo più disperato i suoi antichi figli senza più una casa.
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In Cina e Asia – Crisi Medio Oriente, Pechino lavora con i player regionali
I titoli di oggi: Crisi Medio Oriente, Pechino lavora con i player regionali Xi chiede a Macron più investimenti in Cina Mar cinese meridionale, le Filippine propongono un codice di condotta senza la Cina Il nuovo leader argentino Milei minaccia di rivedere le relazioni con la Cina Insurrezione in Myanmar: stranieri e cooperanti trasferiti in territorio protetto Guerra Israele-Hamas: ...
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Golden power su Safran. Perché la cosa riguarda anche i caccia europei
Il governo italiano ha esercitato il suo diritto di Golden power per bloccare l’acquisizione da un miliardo e ottocento milioni da parte di Safran, società francese specializzata nella costruzione di motori a reazione, dell’italiana Microtecnica, filiale della controllata di Raytheon Technologies (Rtx), Collins Aerospace. La motivazione dietro la decisione del governo riguarda la preoccupazione che l’operazione possa influire sulla fornitura di componenti-chiave per il programma Eurofighter, nel quale Roma collabora con Londra, Berlino e Madrid (mentre Parigi preferì perseguire il proprio programma nazionale Rafale). Secondo quanto riportato dal Financial Times, sulla base del documento del governo italiano, la motivazione alla base dell’impiego del Golden power, di cui Roma si sarebbe consultata anche con Berlino, sarebbe che Safran non avrebbe dato “la necessaria priorità alle linee di produzione industriale di interesse per la difesa nazionale”, esprimendo la preoccupazione che l’accordo potesse portare all’interruzione delle forniture di parti di ricambio e servizi per i programmi di caccia Eurofighter e Tornado, necessari per garantire i requisiti operativi della Nato. Di conseguenza, l’Italia ha concluso che l’accordo “rappresenta una minaccia eccezionale agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”.
Lo stop a Safran
Il blocco da parte di Roma di un’acquisizione da parte di una società di un Paese alleato europeo o della Nato è un fatto relativamente raro. Nonostante la dichiarazione dell’amministratore delegato di Safran, Olivier Andriès, secondo il quale le resistenze verso la sua società sarebbero infondate, dato che il gruppo è già fornitore dell’Eurofighter e di altri programmi italiani, la decisione del governo segnala l’attenzione riposta per il settore della Difesa e per il destino delle sue aziende. Se finora la maggior parte degli interventi in questo senso hanno rappresentato il blocco di acquisizioni da parte di aziende cinesi verso realtà italiane in settori strategici, Difesa in primis (ma anche energia e comunicazioni).
Il dossier dei caccia
Il tema, tuttavia, tocca un ambito molto particolare, dove in Europa si muovono da tempo diverse direttrici di tensione che coinvolgono Parigi, Berlino e Roma, quello dei caccia. Il caso di Safran, infatti, verte sul programma congiunto che Italia, Germania, Regno Unito e Spagna hanno portato avanti per la realizzazione di un caccia di quarta generazione. Oggi sta prendendo forma una situazione simile, con l’Italia impegnata ancora una volta con la Gran Bretagna (e il Giappone) per la realizzazione del caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap), mentre Francia e Germania sono impegnate nel progetto parallelo del Fcas. Tuttavia, mentre il Gcap è ormai decollato (si attende a dicembre il vertice tra ministri dei Paesi partner che vedrà la nascita del consorzio responsabile della sua realizzazione), il programma franco-tedesco è paralizzato da una serie di attriti che coinvolgono Eliseo e Cancellierato.
Berlino verso il Gcap?
La condivisione con Berlino della decisione italiana sul Safran, tra l’altro, rimanda all’ipotesi, più volte avanzata (anche se sempre smentita) di un potenziale allontanamento tedesco dal programma Fcas per una possibile adesione al Gcap. Nel corso dell’ultimo anno, infatti, si sono susseguiti attriti e incomprensioni tra Germania e Francia su tutti i programmi d’armamento condivisi, da quello aereo del caccia a quello terrestre del carro armato Main ground combat system (Mgcs). Oltre alle voci degli esperti (una fra tutte, quella del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, generale Luca Goretti, che ha sempre auspicato una convergenza dei due programmi aerei europei) sull’impossibilità per l’Europa di mantenere due progetti paralleli così ambiziosi in un campo avanzato come la sesta generazione di caccia, anche i ritardi del Fcas, messi a paragone con lo slancio del Gcap, potrebbe rappresentare un valido incentivo per Berlino per decidere definitivamente di abbandonare la difficile cooperazione con Parigi, preferendole la più ampia collaborazione con gli altri partner europei.
FPF Offers Input on Massachusetts Student Data Privacy Proposal
On October 30, FPF provided testimony before a hearing of the Massachusetts Joint Committee on Education regarding H.532/S.280, an Act Relative to Student and Educator Data Privacy.
Read our written testimony in full.
Our testimony focused on highlighting relevant FPF resources for policymakers (including a case study on student privacy in Utah, our state student privacy laws tracker, and a series of student data privacy ethics training scenarios), and sharing our thoughts on both things we believe the bill does well, as well as recommendations for changes and improvements.
FPF’s Director of Youth & Education Privacy, David Sallay, discussed his previous experience as chief privacy officer for the Utah State Board of Education and applauded policymakers for calling for the creation of a similar role in H.523/S.280. During the hearing, he also highlighted how the role could help address several of the other bills that were discussed, including providing support to rural schools and to Massachusetts’ educator-to-career data center. By designating privacy-focused personnel and requiring training, Massachusetts has an opportunity to improve structure, transparency, and consistency for schools, districts, and parents.
FPF’s testimony also included several recommendations and improvements, including expanding the bill’s student data privacy training requirements beyond educators, as procurement, IT, and other administrative staff often also have access to covered data. One component of the bill that will likely prove to be controversial is the broad private right of action included in the enforcement provisions. We expect this to be the subject of continued discussion and debate in the legislature. Citing his experience in Utah, David noted that granting the chief privacy officer role the authority to investigate alleged violations of student privacy laws, could help streamline and simplify enforcement.
Read our written testimony and watch the hearing.
Ma quale “attentato alla Costituzione”: i sindacati non hanno letto von Hayek
Affari&Finanza – La Repubblica
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Guerra sottomarina: gli USA stanno perdendo la superiorità sulla Cina
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di Redazione
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Secondo il quotidiano economico statunitense “Wall Street Journal”, Washington sta perdendo la supremazia nella guerra sottomarina, che ha mantenuto per decenni, a causa dei rapidi progressi di Pechino sul fronte delle tecnologie di propulsione e rilevamento.
In un articolo il quotidiano ricorda che all’inizio di quest’anno la Cina ha varato un sottomarino d’attacco con sistema di propulsione a idrogetto. Si tratta del primo utilizzo di tale sistema di propulsione avanzato, che anche gli Stati Uniti stanno introducendo. Alcuni mesi prima del varo, foto satellitari del cantiere per sottomarini a propulsione navale di Huludao aveva mostrato sezioni di un sottomarino di dimensioni senza precedenti in Cina. Pechino – scrive il “Wall Street Journal” – sta rapidamente colmando il divario con gli Stati Uniti in termini di rumorosità dei sistemi propulsivi e capacità di rilevamento sottomarino, che sino ad oggi rendevano i sottomarini d’attacco statunitensi assai superiori a quelli cinesi.
La Cina può inoltre far leva sulla sua capacità manifatturiera per produrre sottomarini a un ritmo superiore a quello degli Stati Uniti, come già sta accadendo per diverse categorie di navi da guerra, inclusi i cacciatorpediniere lanciamissili.
Nel 2021 è stato completato nei cantieri navali di Huludao un secondo complesso per l’assemblaggio, consentendo così al cantiere di lavorare contemporaneamente alla fabbricazione di due sottomarini.
Nel frattempo, il Pacifico sta diventando un teatro sempre più pericoloso per i sottomarini statunitensi: Pechino ha quasi completato la realizzazione di una serie di reti di sensori subacquei nota come “Grande muraglia sottomarina”, destinata a monitorare il Mar Cinese Meridionale e altre regioni chiave al largo delle coste cinesi.
L’Esercito Popolare di Liberazione cinese si sta dotando di ulteriori capacità di contrasto nei confronti dei sommergibili, con l’acquisizione di un maggior numero di aerei ed elicotteri per il pattugliamento marittimo in grado di interagire con le sonoboe collocate in mare.
Il “Wall Street Journal” ricorda che ad agosto le forze armate cinesi hanno effettuato una vasta esercitazione di lotta antisommergibile nel Mar Cinese Meridionale protrattasi per più di 40 ore, col coinvolgimento di decine di aerei da pattugliamento marittimo e lotta antisommergibile Y-8. Secondo il quotidiano statunitense, che nota anche la rapida espansione della flotta cinese di superficie, «l’era di dominio incontrastato degli Stati Uniti nei mari attorno alla Cina sta giungendo al termine». – Pagine Esteri
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GAZA. 12 uccisi nell’ospedale indonesiano, morti e feriti a Jabaliya
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della redazione
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Almeno 12 palestinesi sono stati uccisi e decine feriti nelle ultime ore da spari contro l’ospedale Indonesiano circondato dai carri armati israeliani. Lo denunciano fonti della struttura sanitaria situata nel nord della Striscia di Gaza. Non ci sono stati commenti sino ad ora da parte dell’esercito israeliano sui colpi contro l’ospedale dove si trovano ancora 700 pazienti insieme al personale medico.
L’agenzia di stampa palestinese WAFA riferisce che la struttura nella città di Beit Lahia è stata colpita da colpi di artiglieria e che ci sono stati sforzi frenetici per evacuare i civili in pericolo. Il personale ospedaliero ha negato la presenza di militanti armati nei locali. Come tutte le altre strutture sanitarie nella metà settentrionale di Gaza, l’ospedale indonesiano ha in gran parte cessato le attività, ma continua a ospitare pazienti, personale e residenti sfollati.
L’Indonesia ha condannato “l’attacco di Israele all’ospedale” istituito con suoi finanziamenti, aggoiungendo che lo Stato ebraico ha violato le leggi umanitarie internazionali. Israele sostiene che le sue forze a Gaza attaccano “infrastrutture terroristiche” e ha ordinato l’evacuazione totale del nord, dove però rimangono ancora migliaia di civili, molti dei quali si rifugiano negli ospedali.
Israele non cessa la sua offensiva di terra.
Violenti scontri a fuoco tra militanti armati di Hamas e forze israeliane sono in corso anche nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, in cui vivono 100.000 rifugiati palestinesi. Israele lo considera “un’importante roccaforte militante”. I ripetuti bombardamenti israeliani di Jabalia hanno ucciso molte decine di civili nelle ultime settimane. Video mostrano attacchi aerei e truppe che vanno casa per casa.
Intanto cibo, carburante, medicine e acqua potabile stanno finendo in tutta Gaza sotto l’assedio israeliano che dura da sei settimane. Nel sud, dove si stanno rifugiando centinaia di migliaia di sfollati dal nord, almeno 14 palestinesi sono stati uccisi in due attacchi israeliani contro case a Rafah, secondo le autorità sanitarie di Gaza.
Oggi un gruppo di 28 neonati prematuri evacuati dallo Shifa, il più grande ospedale di Gaza, sono stati portati in Egitto per cure urgenti. Altri neonati sono morti dopo che le loro incubatrici erano state messe fuori uso a causa del collasso dei servizi medici durante l’assalto militare israeliano a Gaza City.
Le forze israeliane hanno sequestrato lo Shifa la settimana scorsa per cercare “una rete di tunnel di Hamas” sotto l’ospedale. Centinaia di pazienti, personale medico e sfollati lo hanno lasciato nel fine settimana. I medici hanno denunciato di essere stati espulsi dalle truppe. Secondo Israele le partenze sono state volontarie. Pagine esteri
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Rigenerata, un racconto sulla libertà e il piacere di andare in bicicletta
Come conclusione ideale di Libriamoci 2023, giornate di lettura a voce alta, vi presento qui in formato audio e in formato testo “Rigenerata” un racconto che parla della libertà e del piacere di andare in bicicletta.
Il racconto si può ascoltare da qui: funkwhale.it/library/tracks/12…
Un grosso grazie va a Cristina Castigliola (cristinacastigliola.it/index.p…), la bravissima attrice e speaker che ci ha regalato il suo tempo e la sua voce.
Il testo è tratto dalla raccolta Fatte di storie curata da Clara Marcolin e realizzata nell'ambito del progetto LibLab presso la biblioteca di Cormano (MI).
Il progetto LibLab, sviluppato tra il febbraio 2018 e il marzo 2019, ha coinvolto cinque biblioteche del CSBNO in un viaggio alla scoperta del Design Thinking e della progettazione partecipata, per rendere gli utenti protagonisti ed ideatori di servizi innovativi.
I testi sono stati scritti e condivisi attraverso la lettura ad alta voce da un gruppo di utenti italiane e straniere della biblioteca di Cormano.
Il testo del racconto si può scaricare da qui: dgxy.link/Rigenerata
L'autrice del testo ha deciso di rimanere anonima firmandosi con lo pseudonimo di Chitta.
Buona lettura e buon ascolto 😀
#bici #bicicletta #cicliste #lettura #podcast #fediverso #funkwhale
@Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋 @macfranc @il_biciclista 🚲 :antifa: 🌈 @Marcos M.
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
🔶 Il MIM al JOB&Orienta 2023.
Ministero dell'Istruzione
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Lorenzo Infantino sul tema “Conoscenza e processo sociale”
Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La settima lezione si svolgerà lunedì 20 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Conoscenza e processo sociale” di Friedrich August von Hayek.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Lorenzo Infantino sul tema “
Settimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La settima lezione si svolgerà lunedì 20 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, in diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Lorenzo Infantino (Ordinario di Metodologia delle Scienze Sociali presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma, nonché Presidente della Fondazione von Hayek – Italia), che relazionerà sull’opera “Conoscenza e processo sociale” di Friedrich August von Hayek.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Cosa cambia con i nuovi velivoli da combattimento senza pilota. L’analisi di Marrone e Calcagno
L’uso dei velivoli senza pilota nelle operazioni militarista subendo una profonda trasformazione. Il conflitto in Ucraina è stato caratterizzato fin dai primi mesi di guerra da un uso massiccio di droni da parte di entrambi gli schieramenti: da apparecchi commerciali e acquistabili a poche centinaia di euro come i DJI Mavic 3 fino a droni armati militari ad ala fissa come il TB-2 Bayraktar turco. Tuttavia, un conflitto tra avversari grossomodo di pari livello in termini di numeri e capacità come quello in Ucraina sta dimostrando quanto i droni tradizionali siano vulnerabili a sistemi di difesa aera avanzati come i SAMP/T italofrancesio gli S-300 e S-400 russi. Se questi sistemi, conosciuti anche come uncrewedaerial systems (Uas), restano del tutto rilevanti in conflitti asimmetrici, risulta necessario lo sviluppo e impiego di sistemi molto più sofisticati e pensati specificamente per operazioni in spazi aerei contesi. Anche per questo motivo in vari Paesi sono in atto programmi volti allo sviluppo dei cosiddetti uncrewed combat aeril systems (Ucas).
Gli Ucas si distinguono in modo sostanziale dai tradizionali Uas in quanto più adatti alla guerra ad alta intensità con avversari quasi alla pari, essendo capaci di trasportare armamenti sofisticati raggiungendo velocità superiori e mantenendo al tempo stesso caratteristiche di bassa osservabilità. Grazie anche a tecnologie legate all’intelligenza artificiale gli Ucas sono perciò destinati ad agire più autonomamente di fronte a minacce aeree e sistemi terrestri di difesa aerea, spesso a fianco di velivoli di quarta, quinta e sesta generazione. Di conseguenza, pur avendo alcuni aspetti in comune con gli odierni droni armati, gli Ucas differiscono sostanzialmente da questi in termini di prestazioni, utilizzo operativo, e costi.
Diversi Paesi nel mondo stanno puntando a dotarsi di questa capacità, di cui si discuterà il 21 novembre nel webinar Iai “Velivoli da combattimento senza pilota, intelligenza artificiale e futuro della difesa”. Gli Usa vantano la gamma più ampia di programmi in questo ambito, con l’obiettivo iniziale di estendere il ‘braccio’ dei velivoli pilotati rendendo gli Ucas dei moltiplicatori di forze. È tuttavia probabile che nel medio e lungo termine questa capacità (negli Usa come altrove) venga vista sempre di più come uno strumento impiegabile anche indipendentemente dagli aerei pilotati. La Us Air Force sta investendo nel programma Collaborative Combat Aircraft (CCA) per mettere in servizio almeno 1.000 Ucas che agiranno in concerto con aerei da combattimento muniti di pilota nel ruolo di loyalwingmen, o adjuncts. La Us Navy invece ha come priorità quella della messa in servizio dell’MQ-25A Stingray, in principio specializzato nel rifornimento in volo per gli aerei da combattimento lanciati dalle portaerei, in seguito con armamenti a bordo.
Nonostante gli sviluppi in Cina in questo settore siano generalmente avvolti nella segretezza, Pechino vanta un programma Ucas abbastanza avanzato. Il Gonji-11 (GJ-11), evoluzione del dimostratore Sharp Sword, che decollò per il suo volo inaugurale nel 2013, sembra essere progettato per operare nel ruolo di supporto aereo e bombardamento tattico. Vari modelli sono stati inoltre presentati dalle industrie cinesi, facendo intendere l’esistenza di altri concetti (se non addirittura programmi) legati allo sviluppo di Ucas sia indipendenti da piattaforme pilotate, come il CH-7, che adjunct, come il Dark Sword.
La Russia ha concentrato i propri sforzi in questo campo nello sviluppo del Su-70 ‘Okhnotnik-B’, un Ucas pesante specializzato in missioni di bombardamento. Secondo le autorità russe il Su-70 dovrebbe operare all’interno di formazioni miste insieme ai velivoli da combattimento a bassa osservabilità Sukhoi Su-57, anche se ci sono vari dubbi sulla validità di questo accoppiamento visto il gap di velocità massima dell’Ucas rispetto al ben più veloce Su-57. La facoltà da parte di un pilota di poter pilotare il proprio velivolo e contemporaneamente controllare uno o più Ucas richiede un alto livello di automazione all’interno dell’abitacolo di modo da minimizzare il più possibile il carico di lavoro. L’industria di Mosca non ha però le capacità necessarie per adattare il Su-70a questo ruolo anche a causa delle sanzioni imposte sul Paese dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022.
L’Europa invece si trova oggi indietro rispetto ai progressi fatti da altri Paesi, ed è urgente riflettere su come recuperare terreno.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta del plesso scolastico “Giovanni Modugno” dell’IC “Modugno-Rutigliano-Rogadeo” di Bitonto, in provincia di Bari, che sarà demolito e ricostruito grazie alla linea di investimento dedicata dal #PNRR alla cost…Telegram
In Cina e Asia – Gaza, delegazione di paesi islamici a Pechino per fermare il conflitto
-Gaza, delegazione di paesi a maggioranza musulmana a Pechino per fermare il conflitto
-L'Apec chiude con la promessa di riformare l'Omc
-Cina, indagini a tappeto negli ospedali dopo lo scandalo del traffico di bambini
-Canada, uno dei "Due Michael" arrestati in Cina sostiene di essere stato usato per spiare la Corea del Nord
-L'Australia accusa la marina cinese di condotta "pericolosa e non professionale"
-Cina, mandato di cattura per i vertici di un'organizzazione di truffe telefoniche
-L'India ospita il Sud globale e organizza un G20 virtuale con Putin
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ARGENTINA. Javier Milei vince e porta il Paese a destra, ma non avrà vita facile
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di Massimo D’Angelo
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Alla fine, l’ultraliberista antisistema Javier Milei ha vinto, confermando i pronostici iniziali e spostando l’Argentina decisamente a destra in un continente sudamericano in cui la sinistra ha riconquistato molto terreno negli ultimi anni. Con oltre il 55 percento dei voti, Milei sarà il nuovo presidente della Repubblica Argentina.
Le elezioni sono state definite le più incerte dal ritorno della democrazia in Argentina, quarant’anni fa, nel 1983.
Durante il primo turno, contrariamente ai pronostici e ai sondaggi, il partito progressista, giustizialista e peronista è arrivato primo, con l’attuale Ministro dell’Economia Sergio Massa che aveva ottenuto il 36,7% dei voti, mentre Milei – favorito da tutti – si era fermato al 30% dei voti.
I risultati del primo turno avevano dunque ribaltato a sorpresa i pronostici, dimostrando quanto fosse ancora vivo e potente l’apparato peronista nel paese. Contro ogni aspettativa, Massa era riuscito a dimostrare una buona capacità di raggiungere le sacche più povere del paese, le periferie e, soprattutto, di non essere l’uomo di Cristina Kirchner, già ex presidente e vicepresidente in carica della Repubblica Argentina. Kirchner, attualmente in attesa di giudizio da parte della Corte di Cassazione, dopo essere stata condannata a sei anni per corruzione dal tribunale di primo grado, è considerata da molti da tempo l’esponente politica più potente del partito. I suoi scontri con l’uscente presidente Fernandez, selezionato da lei stessa in passato, hanno portato alla scelta di un candidato di compromesso come Sergio Massa. Tuttavia, durante la campagna elettorale la ex presidente non ha speso una parola per il candidato del suo partito.
Dall’altro canto, Milei è riuscito a riconfermare l’appoggio del suo elettorato ottenuto durante il primo turno, oltre a conquistare il supporto dell’elettorato della coalizione di centrodestra, che era arrivata terza al primo turno. A poche ore dalle aperture delle urne, l’ex presidente della coalizione conservatrice Mauricio Macri ha dichiarato su X di votare a Milei, invitando l’elettorato di centrodestra a sconfiggere il candidato peronista Sergio Massa. L’Argentina rimane un paese fortemente polarizzato, e l’odio per il peronismo, potente macchina politica che domina il paese da decenni, si è catalizzato premiando il candidato ultraliberista Milei.
Milei si è presentato come il tipico candidato populista di estrema destra. La sua vicepresidente è un’alleata del partito spagnolo di estrema destra Vox. Si è dichiarato favorevole all’abolizione della banca centrale, alla totale dollarizzazione del Paese (nonostante le critiche sostenendo che il paese non disponga di sufficienti riserve di dollari) e a politiche controverse come la legalizzazione della vendita di organi umani. È inoltre contrario all’aborto, da poco legalizzato nel paese. Gli analisti individuano nel suo carisma anticonvenzionale e nella sua promessa di totale cambiamento la ragione del suo successo presso l’elettorato in difficoltà sociale ed economica.
Due i problemi imminenti per il nuovo presidente della repubblica: innanzitutto, occorrerà vedere cosa accadrà a partire da martedì, sui mercati finanziari. Secondo alcuni economisti, se Milei avesse vinto e dovesse insistere sulla dollarizzazione, l’aspettativa di svalutazione sarà così grande che il dollaro non avrà un tetto nel breve termine, a un punto tale da non poter prevedere cosa accadrà. In secondo luogo, Milei sarà costretto a trovare un compromesso politico. Entrerà in carica con soli 39 deputati su un totale di 257, mentre la maggioranza assoluta e il quorum richiedono 129 deputati. Milei avrebbe bisogno di altri 90 deputati per ottenere la maggioranza della camera bassa, una soglia molto alta. Il centrodestra potrebbe aggiungere i suoi 41 deputati, ma la somma ancora non sarebbe sufficiente, e all’amministrazione Milei mancherebbero quindi 49 per il quorum. Guillermo Francos, il principale consigliere politico di Milei, si è già espresso con parole molto conciliatorie: “La politica è dialogo, e lo è ancora di più quando al governo mancano le maggioranze parlamentari”. Al Senato, il rapporto di forza sarà peggiore per Milei perché lì il peronismo avrà la sua propria maggioranza autonoma.
Nonostante le proposte politiche provocatorie di Milei, il nuovo presidente si dovrà confrontare con un paese fortemente polarizzato, una maggioranza assente in parlamento e una situazione finanziaria disastrosa, per la quale sarà necessario aiuto esterno. I rischi sono molti, e perseguire una politica incendiaria potrebbe non favorirlo. Bisognerà capire quali saranno le sue prossime mosse politiche. Chissà che non si avveri il pronostico del suo oppositore Massa, il quale aveva dichiarato in campagna elettorale che se non fosse diventato presidente a questa tornata elettorale, lo sarebbe diventato entro un anno. Pagine Esteri
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La Germania si arma: “dobbiamo prepararci alla guerra”
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Nei giorni scorsi il tribunale di Firenze ha riconosciuto la Germania colpevole di “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità” e ha condannato Berlino a risarcire i familiari di alcune vittime italiane delle forze di occupazione tedesche per crimini compiuti durante la Seconda Guerra Mondiale.
La giudice Susanna Zanda ha deciso un indennizzo di 50.000 euro a favore di Mirella Lotti, 88 anni, per l’assassinio del padre Giuliano Lotti, trucidato insieme ad altre 11 persone nella strage di Pratale compiuta il 23 luglio 1944. La giudice ha inoltre fissato un risarcimento di 25.000 euro, rivalutato con gli interessi a partire dal 1945, per Sergio e Katia Poneti, nipoti di Egidio Gimignani, che fu torturato e ucciso dai nazisti a Tavarnelle val di Pesa il 20 giugno 1944.
“La spina dorsale della sicurezza europea”
A distanza di 80 anni Berlino paga ancora le conseguenze del suo tradizionale militarismo, eppure il governo della Germania – che pure sta facendo i conti con la crisi economica più grave degli ultimi decenni – sta intraprendendo in queste settimane ulteriori passi verso la trasformazione delle sue forze armate in un esercito potente e pronto alla battaglia.
È un obiettivo che, tra stop and go, la Germania persegue da alcuni anni. Subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, nel marzo del 2022, il governo tedesco decise di destinare 100 miliardi di euro al rimodernamento delle sue forze armate, descritte da più parti come una “scatola vuota”.
Ma evidentemente lo stanziamento record di un anno e mezzo fa non è stato ritenuto sufficiente da Berlino che vuole fare di più e più in fretta.
«Oggi nessuno può seriamente dubitare della necessità (…) di una Bundeswehr potente» ha chiarito il 10 novembre il cancelliere tedesco Olaf Scholz partecipando ad una conferenza. La teoria del dirigente socialdemocratico è che «il nostro ordine di pace» sarebbe in pericolo; l’invasione russa dell’Ucraina obbligherebbe la Germania a trasformare il suo esercito in una forza combattente «potente e ben finanziata».
“Dobbiamo abituarci alla guerra in Europa”
«Dobbiamo riabituarci all’idea che in Europa possa esserci il pericolo di una guerra» ha dichiarato durante un’intervista rilasciata all’emittente tv “Zdf” il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius. «Solo una Bundeswehr forte può impedire che accada il peggio» ha aggiunto chiarendo poi: «Abbiamo bisogno di una Bundeswehr che possa difendersi e fare la guerra per difendere la nostra sicurezza e la nostra libertà. Con la Zeitenwende (com’è stato ribattezzato il “grande cambiamento”, ndr) la Germania diventa un Paese adulto in termini di politica di sicurezza».
La nuova dottrina militare tedesca – che sostituisce quella varata nel 2011 – è riassunta in un documento di 19 pagine intitolato “Linee guida per la politica della difesa” redatto da Pistorius e dal capo di Stato maggiore dell’esercito, generale Carsten Breuer, nel quale si afferma: «La guerra è tornata in Europa. La Germania e i suoi alleati devono ancora una volta fare i conti con una minaccia militare. L’ordine internazionale è sotto attacco in Europa e nel mondo. Viviamo a un punto di svolta».
«Come Stato e come società abbiamo trascurato per decenni la Bundeswehr» recita il testo, dimenticando che furono le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale a imporre a Berlino – così come al Giappone– una Costituzione pacifista per impedire al paese di riarmarsi e di diventare nuovamente una minaccia per la pace.
Il nemico è la Russia (e la Cina)
Il documento strategico indica esplicitamente il nemico – «La Federazione Russa rimarrà la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza nell’area euro-atlantica» – ma cita anche la lontana Cina, accusata di «rivendicare in modo sempre più aggressivo la supremazia regionale».
Sembrano passati secoli da quando Berlino considerava Mosca un partner strategico non solo per l’approvvigionamento degli idrocarburi ma anche per la costruzione di un ordine internazionale euro-asiatico stabile.
Ora la nuova dottrina punta alla riduzione delle missioni all’estero – che Berlino aveva intrapreso con entusiasmo negli anni scorsi, alla ricerca di un ruolo e di una proiezione militare internazionale inediti dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale – per concentrarsi sul potenziamento delle proprie forze armate. Per sostenere l’esercito, il governo composto da socialdemocratici, verdi e liberali promette di rafforzare l’industria militare e di accelerare gli appalti militari. «L’azione centrale è il superamento della lentezza organizzativa e burocratica che da anni rallenta le truppe» ha spiegato il cancelliere. Per Pistorius e Breuer occorre rafforzare sia la cooperazione nel settore degli armamenti sia le esportazioni di materiale bellico, puntando in particolare sull’area dell’Indo-Pacifico così da «contenere le ambizioni politiche della Cina (…) che contraddice sempre più i valori e gli interessi» della Germania.
Evoluzione della spesa militare in Germania
Aumenta la spesa militare
Per dotarsi di un esercito “pronto alla guerra” la Germania ha deciso di aumentare la propria spesa militare portandola al 2% del Pil, come richiesto esplicitamente dal Patto Atlantico. «Garantiremo questo 2% a lungo termine, per tutti gli anni ’20 e ’30», ha promesso Scholz.
Come altri paesi della Nato – eclatante è il caso della Polonia – o del sistema di alleanze incentrato su Washington – come nel caso del Giappone– il comparto militare sta risucchiando sempre più risorse, sottratte ovviamente alla spesa sociale, al contrasto del cambiamento climatico, alla lotta contro le diseguaglianze.
Il 20 ottobre il ministero della Difesa tedesco ha informato che il prossimo anno saranno messi a disposizione del comparto già 71 miliardi tra bilancio ordinario e fondo speciale. In un’intervista al quotidiano “Handelsblatt”, Pistorius si è vantato del fatto che il suo dicastero è l’unico ad aver ricevuto un «incremento significativo» di risorse nel bilancio del 2024. Per soddisfare l’obiettivo del 2%, però, le spese per il comparto militare dovranno aumentare dai 50 miliardi attuali a 75 l’anno, perché il “fondo speciale” di 100 miliardi istituito lo scorso anno si esaurirà entro il 2027.
A ottobre la commissione Bilancio del Bundestag ha approvato l’acquisto del sistema di difesa aerea “Arrow 3” prodotto da Israele e dalla statunitense Boeing, per un costo di circa 4 miliardi, e di 4 droni sottomarini.
Entro il 2025 il governo tedesco si è dato l’obiettivo di formare una divisione armata e addestrata al combattimento da mettere a disposizione della Nato. Berlino dovrebbe poi inviare in Lituania una brigata di 4000 uomini, come promesso all’Alleanza Atlantica, ma il suo allestimento è in forte ritardo ed ha rivelato i “gravi problemi strutturali” delle forze armate che Scholz e Pistorius di sono impegnati a superare il prima possibile.
Nel governo Scholz si discute inoltre del ristabilimento di una certa forma di leva obbligatoria – abolita solo nel 2011 – per avere a disposizione un numero più alto di cittadini da mobilitare in caso di crisi bellica.
La competizione con Parigi
Berlino aspira esplicitamente a diventare “la spina dorsale” della difesa europea, mirando ad affiancare gli Stati Uniti all’interno della Nato ed entrando in competizione sul piano militare con Parigi, mentre per decenni si è accontentata di lasciare alla Francia la preminenza militare concentrandosi sullo sviluppo economico.
Recentemente il governo Scholz ha annunciato il raddoppio degli aiuti militari all’Ucraina (che pure è responsabile del sabotaggio del gasdotto Nord Stream) portandoli da 4 a 8 miliardi di euro. Dal 24 gennaio 2022, il governo tedesco ha impegnato 17 miliardi in aiuti militari a Kiev; si tratta di una cifra rilevante, che svetta rispetto ai 7 miliardi stanziati dal Regno Uniti e ai soli 500 milioni della Francia, potendo competere con i 42 degli Stati Uniti. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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ARGENTINA. Javer Milei vince e porta il Paese a destra, ma non avrà vita facile
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di Massimo D’Angelo
Pagine Esteri, 20 novembre 2023 – Alla fine, l’ultraliberista antisistema Javier Milei ha vinto, confermando i pronostici iniziali e spostando l’Argentina decisamente a destra in un continente sudamericano in cui la sinistra ha riconquistato molto terreno negli ultimi anni. Con oltre il 55 percento dei voti, Milei sarà il nuovo presidente della Repubblica Argentina.
Le elezioni sono state definite le più incerte dal ritorno della democrazia in Argentina, quarant’anni fa, nel 1983.
Durante il primo turno, contrariamente ai pronostici e ai sondaggi, il partito progressista, giustizialista e peronista è arrivato primo, con l’attuale Ministro dell’Economia Sergio Massa che aveva ottenuto il 36,7% dei voti, mentre Milei – favorito da tutti – si era fermato al 30% dei voti.
I risultati del primo turno avevano dunque ribaltato a sorpresa i pronostici, dimostrando quanto fosse ancora vivo e potente l’apparato peronista nel paese. Contro ogni aspettativa, Massa era riuscito a dimostrare una buona capacità di raggiungere le sacche più povere del paese, le periferie e, soprattutto, di non essere l’uomo di Cristina Kirchner, già ex presidente e vicepresidente in carica della Repubblica Argentina. Kirchner, attualmente in attesa di giudizio da parte della Corte di Cassazione, dopo essere stata condannata a sei anni per corruzione dal tribunale di primo grado, è considerata da molti da tempo l’esponente politica più potente del partito. I suoi scontri con l’uscente presidente Fernandez, selezionato da lei stessa in passato, hanno portato alla scelta di un candidato di compromesso come Sergio Massa. Tuttavia, durante la campagna elettorale la ex presidente non ha speso una parola per il candidato del suo partito.
Dall’altro canto, Milei è riuscito a riconfermare l’appoggio del suo elettorato ottenuto durante il primo turno, oltre a conquistare il supporto dell’elettorato della coalizione di centrodestra, che era arrivata terza al primo turno. A poche ore dalle aperture delle urne, l’ex presidente della coalizione conservatrice Mauricio Macri ha dichiarato su X di votare a Milei, invitando l’elettorato di centrodestra a sconfiggere il candidato peronista Sergio Massa. L’Argentina rimane un paese fortemente polarizzato, e l’odio per il peronismo, potente macchina politica che domina il paese da decenni, si è catalizzato premiando il candidato ultraliberista Milei.
Milei si è presentato come il tipico candidato populista di estrema destra. La sua vicepresidente è un’alleata del partito spagnolo di estrema destra Vox. Si è dichiarato favorevole all’abolizione della banca centrale, alla totale dollarizzazione del Paese (nonostante le critiche sostenendo che il paese non disponga di sufficienti riserve di dollari) e a politiche controverse come la legalizzazione della vendita di organi umani. È inoltre contrario all’aborto, da poco legalizzato nel paese. Gli analisti individuano nel suo carisma anticonvenzionale e nella sua promessa di totale cambiamento la ragione del suo successo presso l’elettorato in difficoltà sociale ed economica.
Due i problemi imminenti per il nuovo presidente della repubblica: innanzitutto, occorrerà vedere cosa accadrà a partire da martedì, sui mercati finanziari. Secondo alcuni economisti, se Milei avesse vinto e dovesse insistere sulla dollarizzazione, l’aspettativa di svalutazione sarà così grande che il dollaro non avrà un tetto nel breve termine, a un punto tale da non poter prevedere cosa accadrà. In secondo luogo, Milei sarà costretto a trovare un compromesso politico. Entrerà in carica con soli 39 deputati su un totale di 257, mentre la maggioranza assoluta e il quorum richiedono 129 deputati. Milei avrebbe bisogno di altri 90 deputati per ottenere la maggioranza della camera bassa, una soglia molto alta. Il centrodestra potrebbe aggiungere i suoi 41 deputati, ma la somma ancora non sarebbe sufficiente, e all’amministrazione Milei mancherebbero quindi 49 per il quorum. Guillermo Francos, il principale consigliere politico di Milei, si è già espresso con parole molto conciliatorie: “La politica è dialogo, e lo è ancora di più quando al governo mancano le maggioranze parlamentari”. Al Senato, il rapporto di forza sarà peggiore per Milei perché lì il peronismo avrà la sua propria maggioranza autonoma.
Nonostante le proposte politiche provocatorie di Milei, il nuovo presidente si dovrà confrontare con un paese fortemente polarizzato, una maggioranza assente in parlamento e una situazione finanziaria disastrosa, per la quale sarà necessario aiuto esterno. I rischi sono molti, e perseguire una politica incendiaria potrebbe non favorirlo. Bisognerà capire quali saranno le sue prossime mosse politiche. Chissà che non si avveri il pronostico del suo oppositore Massa, il quale aveva dichiarato in campagna elettorale che se non fosse diventato presidente a questa tornata elettorale, lo sarebbe diventato entro un anno. Pagine Esteri
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La Cina e la crisi a Gaza: tra derive "antisemite” e ambizioni globali
Dall’attacco del 7 ottobre la Cina ha cercato di proporsi come un interlocutore super partes tra Palestina e Israele, vantando buoni rapporti un po’ in tutto il Medio Oriente. Oltre il linguaggio felpato della diplomazia, occorre però notare l’esistenza di impercettibili chiaroscuri. Il dibattito online e sui media statali si rivela molto utile per cogliere le sfumature della postura cinese
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AGGIORNAMENTI. GAZA. L’Oms: evacuati 32 neonati dallo Shifa ormai “zona della morte”
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AGGIORNAMENTI 19 NOVEMBRE
ORE 16.30
Fonti giornalistiche di Gaza affermano che sono almeno 15 gli uccisi dai nuovi massicci raid aerei israeliani sui sobborghi a est e a nord est di Gaza city, in particolare a Jabaliya e Zeitun, dove l’esercito dello Stato ebraico ha lanciato un”altra offensiva nelle ultime 24 ore. Queste vittime vanno ad aggiungersi alle decine di morti e feriti nei bombardamenti di ieri sulla scuola dell’agenzia Unrwa (Onu) “Al Fakhoura” e sulla città di Khan Yunis. Il commissario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini ha denunciato che sono circa 200 i civili rimasti uccisi sino ad oggi nelle scuole e nei centri della sua agenzia dove avevano cercato rifugio dai bombardamenti aerei.
ORE 14
L’Organizzazione Mondiale della Sanità e le Nazioni Unite hanno evacuato 32 neonati prematuri dall’ospedale Al-Shifa. Quattro bambini sono morti nei giorni scorsi a causa della mancanza di corrente per le incubatrici. Nell’ospedale restano 25 membri del personale medico e 291 pazienti, due dei quali in terapia intensiva senza ventilazione e 22 sottoposti a dialisi.
Negli ultimi due o tre giorni si sono verificati diversi decessi a causa dell’interruzione forzata dell’assistenza medica.
Ieri un team dell’OMS ha visitato l’ospedale per valutare la situazione e lo ha descritto come una “zona della morte”. Ha potuto però trascorrere solo un’ora all’interno dello Shifa a causa delle restrizioni imposte dall’esercito israeliano che da giorni occupa l’ospedale. Ha riferito tra le altre cose che i corridoi dell’ospedale sono pieni di rifiuti con il rischio di infezioni.
—————————————————————————————————————————-
AGGIORNAMENTI 18 NOVEMBRE
ORE 21.30
Il ministero della sanità a Gaza ha aggiornato a 64 il numero dei palestinesi uccisi nell’attacco aereo su Khan Yunis.
Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha dichiarato di aver ricevuto immagini e filmati “terribili” di decine di palestinesi uccisi e feriti nell’attacco israeliano alla scuola Al Fakhoura nel nord di Gaza. “Questi attacchi non possono diventare un luogo comune, devono finire. Un cessate il fuoco umanitario non può più aspettare”, ha affermato Lazzarini.
Hamas comunica di aver perduto contatto con i suoi uomini responsabili per la sorveglianza degli ostaggi israeliani e stranieri.
Il premier israeliano Netanyahu ha ribadito che le pressioni internazionali non fermeranno Israele e che l’offensiva a Gaza andrà avanti. Ha anche sminuito le notizie che vorrebbero imminente uno scambio tra ostaggi e prigionieri politici palestinesi.
Ore 13.20
Israele bombarda la scuola ONU Fakhoora, nel nord di Gaza, utilizzata come rifugio da centinaia di persone. Le immagini mostrano un grande numero di vittime tra cui molti bambini.
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Ore 12.30
L’ospedale al-Shifa di Gaza è stato quasi completamente evacuato dopo l’ordine che medici e pazienti dichiarano di aver ricevuto dai militari israeliani. L’esercito ha poi negato di aver imposto l’evacuazione ma al momento controlla completamente l’ospedale quasi deserto. All’interno solo qualche medico, i pazienti più gravi, tra i quali i neonati prematuri sopravvissuti e i loro familiari.
Pazienti e sfollati che vi avevano trovato rifugio si stanno spostando a piedi verso sud, secondo le indicazioni che ritengono gli siano state date da Israele. Tuttavia, al Jazeera ha fatto sapere che testimoni oculari hanno dichiarato di aver trovato, lungo la strada principale, indicata come via di evacuazione sicura da Israele, i checkpoint dell’esercito che permetterebbe solamente alle donne di passare e tratterrebbe al nord tutti gli uomini.
della redazione
(foto di archivio, commons.wikimedia)
Pagine Esteri, 18 novembre 2023 – La tv al Jazeera riporta che l’esercito israeliano ha intimato a staff medico, pazienti e sfollati nell’al Shifa di Gaza city di evacuare l’ospedale entro un’ora. L’agenzia di stampa palestinese Wafa aggiunge che 26 persone sono state uccise durante la notte in un attacco israeliano a edifici di Khan Younis nel sud di Gaza. In Cisgiordania cinque palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte in un attacco di droni israeliani nel campo profughi di Balata, contro una edificio usato dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah).
Queste notizie giungono mentre lancia Israele lancia un nuovo avvertimento ai palestinesi della città meridionale di Khan Younis affinché si allontanino subito verso Ovest, indicando così l’intenzione di attaccare nel sud dopo aver già occupato il nord. Una mossa del genere potrebbe costringere centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti a sud dall’assalto israeliano a Gaza City a fuggire nuovamente, insieme ai residenti di Khan Younis, una città di oltre 400.000 abitanti, peggiorando una terribile crisi umanitaria.
Un portavoce militare ha detto che le truppe israeliane dovranno avanzare su Khan Yunis “per cacciare i combattenti di Hamas dai tunnel sotterranei e dai bunker”.
Israele ha bombardato gran parte di Gaza city riducendola in macerie e ordinato lo sfollamento dell’intera metà settentrionale di Gaza lasciando senza casa circa due terzi dei 2,3 milioni di palestinesi della Striscia. Uno sfollamento che potrebbe diventare permanente.
Ieri le autorità sanitarie di Gaza hanno aumentato il bilancio dei palestinesi uccisi a oltre 12.000, 5.000 dei quali bambini. Le Nazioni Unite ritengono credibili queste cifre, anche se ora vengono aggiornate raramente a causa della difficoltà di raccogliere informazioni. Pagine Esteri
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AGGIORNAMENTI. GAZA. L’Oms: evacuati 32 neonati dallo Shifa ormai “zona della morte”
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AGGIORNAMENTI 19 NOVEMBRE
ORE 14
L’Organizzazione Mondiale della Sanità e le Nazioni Unite hanno evacuato 32 neonati prematuri dall’ospedale Al-Shifa. Quattro bambini sono morti nei giorni scorsi a causa della mancanza di corrente per le incubatrici. Nell’ospedale restano 25 membri del personale medico e 291 pazienti, due dei quali in terapia intensiva senza ventilazione e 22 sottoposti a dialisi.
Negli ultimi due o tre giorni si sono verificati diversi decessi a causa dell’interruzione forzata dell’assistenza medica.
Ieri un team dell’OMS ha visitato l’ospedale per valutare la situazione e lo ha descritto come una “zona della morte”. Ha potuto però trascorrere solo un’ora all’interno dello Shifa a causa delle restrizioni imposte dall’esercito israeliano che da giorni occupa l’ospedale. Ha riferito tra le altre cose che i corridoi dell’ospedale sono pieni di rifiuti con il rischio di infezioni.
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AGGIORNAMENTI 18 NOVEMBRE
ORE 21.30
Il ministero della sanità a Gaza ha aggiornato a 64 il numero dei palestinesi uccisi nell’attacco aereo su Khan Yunis.
Philippe Lazzarini, capo dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) ha dichiarato di aver ricevuto immagini e filmati “terribili” di decine di palestinesi uccisi e feriti nell’attacco israeliano alla scuola Al Fakhoura nel nord di Gaza. “Questi attacchi non possono diventare un luogo comune, devono finire. Un cessate il fuoco umanitario non può più aspettare”, ha affermato Lazzarini.
Hamas comunica di aver perduto contatto con i suoi uomini responsabili per la sorveglianza degli ostaggi israeliani e stranieri.
Il premier israeliano Netanyahu ha ribadito che le pressioni internazionali non fermeranno Israele e che l’offensiva a Gaza andrà avanti. Ha anche sminuito le notizie che vorrebbero imminente uno scambio tra ostaggi e prigionieri politici palestinesi.
Ore 13.20
Israele bombarda la scuola ONU Fakhoora, nel nord di Gaza, utilizzata come rifugio da centinaia di persone. Le immagini mostrano un grande numero di vittime tra cui molti bambini.
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Ore 12.30
L’ospedale al-Shifa di Gaza è stato quasi completamente evacuato dopo l’ordine che medici e pazienti dichiarano di aver ricevuto dai militari israeliani. L’esercito ha poi negato di aver imposto l’evacuazione ma al momento controlla completamente l’ospedale quasi deserto. All’interno solo qualche medico, i pazienti più gravi, tra i quali i neonati prematuri sopravvissuti e i loro familiari.
Pazienti e sfollati che vi avevano trovato rifugio si stanno spostando a piedi verso sud, secondo le indicazioni che ritengono gli siano state date da Israele. Tuttavia, al Jazeera ha fatto sapere che testimoni oculari hanno dichiarato di aver trovato, lungo la strada principale, indicata come via di evacuazione sicura da Israele, i checkpoint dell’esercito che permetterebbe solamente alle donne di passare e tratterrebbe al nord tutti gli uomini.
della redazione
(foto di archivio, commons.wikimedia)
Pagine Esteri, 18 novembre 2023 – La tv al Jazeera riporta che l’esercito israeliano ha intimato a staff medico, pazienti e sfollati nell’al Shifa di Gaza city di evacuare l’ospedale entro un’ora. L’agenzia di stampa palestinese Wafa aggiunge che 26 persone sono state uccise durante la notte in un attacco israeliano a edifici di Khan Younis nel sud di Gaza. In Cisgiordania cinque palestinesi sono stati uccisi la scorsa notte in un attacco di droni israeliani nel campo profughi di Balata, contro una edificio usato dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (Fatah).
Queste notizie giungono mentre lancia Israele lancia un nuovo avvertimento ai palestinesi della città meridionale di Khan Younis affinché si allontanino subito verso Ovest, indicando così l’intenzione di attaccare nel sud dopo aver già occupato il nord. Una mossa del genere potrebbe costringere centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti a sud dall’assalto israeliano a Gaza City a fuggire nuovamente, insieme ai residenti di Khan Younis, una città di oltre 400.000 abitanti, peggiorando una terribile crisi umanitaria.
Un portavoce militare ha detto che le truppe israeliane dovranno avanzare su Khan Yunis “per cacciare i combattenti di Hamas dai tunnel sotterranei e dai bunker”.
Israele ha bombardato gran parte di Gaza city riducendola in macerie e ordinato lo sfollamento dell’intera metà settentrionale di Gaza lasciando senza casa circa due terzi dei 2,3 milioni di palestinesi della Striscia. Uno sfollamento che potrebbe diventare permanente.
Ieri le autorità sanitarie di Gaza hanno aumentato il bilancio dei palestinesi uccisi a oltre 12.000, 5.000 dei quali bambini. Le Nazioni Unite ritengono credibili queste cifre, anche se ora vengono aggiornate raramente a causa della difficoltà di raccogliere informazioni. Pagine Esteri
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