Alla FLE confronto su lavoro e intelligenza artificiale con Sbarra e il ministro Abodi. Presentato il libro di Delzio
“Un patto per il lavoro passa inevitabilmente per il rispetto dei ruoli e per la percezione dello scopo, che deve essere la creazione di valore comune, che non è solo valore economico. Mi sono accorto che, aldilà dei centri per l’impiego, manca un luogo dove un giovane può sviluppare le proprie capacità. I giovani sono il nostro futuro e devono essere coinvolti. Sono molto contento che il collega Ministro Valditara mi abbia manifestato l’esigenza di aprire, per la prima volta, la relazione tra la scuola e l’impresa. Non in modo sporadico, ma in modo strutturale. E ne sono felice perché avverto un impianto novecentesco. Purtroppo siamo novecenteschi nei luoghi che dovrebbero raccontare il futuro ma che sono ancorati al passato. Anche io, come ministro, mi auguro di riuscire a smarcarmi dalla configurazione classica”. Lo ha detto il Ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, nel corso della presentazione del libro “L’era del lavoro libero” di Francesco Delzio, che si è svolta questo pomeriggio nella sede della Fondazione Luigi Einaudi.
L’incontro, aperto da Andrea Cangini, Segretario generale della Fondazione Einaudi, a cui ha preso parte anche Luigi Sbarra, Segretario generale della CISL, è stato moderato da Federico Fubini, vicedirettore del Corriere della Sera, e ha prodotto un dibattito interessante tra istituzioni, rappresentanti dei lavoratori ed esperti del settore che si sono confrontati per capire come l’intelligenza artificiale rivoluzionerà il mondo del lavoro e in che modo il governo intende gestire la transizione: sfruttandone i vantaggi per accrescere la competitività della nostra economia, ma al tempo stesso limitandone i rischi.
Andrea Cangini, nel suo intervento, ha sottolineato come oggi occorra “una piccola rivoluzione culturale di cui ancora non si vede traccia. Il fatto siano notevolmente mutate le aspettative personali nei giovani che approcciano al mondo del lavoro, fa si che a un nuovo tipo di domanda, il mercato dia adeguata risposta. Considero interessante”, ha detto Cangini, “il tema della spersonalizzazione nei processi decisionali, mi colpisce che due grandi aziende, come Amazon e Glovo, decidano chi assumere, licenziare, promuovere, come promuovere, sulla base di un curriculum”. Mai come in questo caso, “questo tema richiede un metodo, e il metodo è quello einaudiano: conoscere per poi dibattere per, infine, deliberare. Bisogna avere la forza e il coraggio di confrontarsi con chi la pensa diversamente da noi e bisogna avere una visione, altrimenti rischiamo di danneggiare clamorosamente non solo il nostro presente ma anche il futuro dei nostri giovani”.
“Grazie alla Fondazione Einaudi per questa bella iniziativa e a Francesco Delzio per questo libro”, ha detto il leader della Cisl, Sbarra. “Mai come in questo momento – ha sottolineato – c’è la necessita di aprire una fase nuova, di rigenerazione del rapporto tra capitale e lavoro, tra impresa e lavoratori. Cercando di lasciarci definitivamente alle spalle una logica novecentesca che vede al centro del rapporto tra imprese e lavoratori il conflitto, la contrapposizione. Pensiamo che il tempo sia maturo per dare una forte accelerazione per attuare l’art. 46 della Carta costituzionale che i nostri padri costituenti vollero per garantire ai lavoratori di concorrere alla gestione e agli utili delle aziende. Oggi quando le cose vanno bene nelle aziende utili e profitti vengono spalmati sulla testa di pochi, mentre quando le cose vanno male si procede con i licenziamenti. Apriamo una discussione. Questo è il senso della nostra proposta di iniziativa popolare, una raccolta firme, circa 400mila, partita a giugno e approdata questa mattina negli uffici della Camera”. C’è da prendere atto, ha aggiunto Sbarra, “che in questo Paese ci sono due modelli di sindacato: uno legato al novecento, fatto di massimalismo, di ideologia e di vicinanza alla politica e c’è il sindacato che guido che tende a svolgere la sua funzione con responsabilità, autonomia dalla politica e valorizzazione della contrattazione collettiva”.
Per Francesco Delzio “abbiamo due rivoluzioni in corso e non c’è piena e adeguata consapevolezza di questo: la prima è la rivoluzione della domanda, la seconda rivoluzione è quella dell’offerta. È abbastanza inusuale che ci siano due rivoluzioni che in gran parte si sovrappongono. Inoltre c’è una novità importante: il fatto che i lavoratori abbiano cambiato la loro visione del lavoro. Soprattutto i giovani. Una immagine forte che mi ha guidato nella scrittura del libro – ha aggiunto – è quella rappresentata dalla famosa frase ‘Le farò sapere’, per decenni usata dai datori di lavoro, e che oggi viene utilizzata dai giovani talenti al termine di un colloquio, perché magari l’azienda a cui si sono proposti non li ha convinti perché non è stata in grado di adottare i nuovi modelli di life balance. Oggi i giovani cercano una crescita personale oltre che professionale. Nei prossimi anni vedremo una netta trasformazione del lavoro. La politica ha bisogno di inventarsi strumenti nuovi che possano tutelare quelli che saranno le prime vittime di questa rivoluzione”.
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Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta l’IC n.2 di Sinnai, in provincia di Cagliari, che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al #PNRR. I lavori di demolizione del plesso sono partiti il 22 novembre e dureranno circa un mese.Telegram
È ora di aggiornare la missione in Libano? Crosetto all’Onu
Qualunque escalation nel sud del Libano potrebbe avere conseguenze devastanti. A lanciare l’allarme era stato, pochi giorni fa, il comandante degli oltre diecimila casci blu impegnati nella missione Onu in Libano, Unifil, il generale spagnolo Aroldo Lázaro, che aveva registrato come fosse preoccupato dell’intensificarsi degli scambi di colpi lungo la Blue line. Ed è proprio per affrontare questo tema che il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, si è recato a New York per affrontare il tema del mantenimento e delle modifiche necessarie alla missione Unifil. Il ministro aveva annunciato il suo viaggio nel corso della recente visita in Israele, durante il primo giorno di tregua tra il governo di Tel Aviv e Hamas. La visita del ministro negli States vedrà, oltre all’incontro alle Nazioni Unite, anche una serie di altri impegni istituzionali.
L’agenda nella Grande Mela
Il primo appuntamento in agenda è l’incontro con Jean-Pierre Lacroix, diplomatico francese che dal 2017 è sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le operazioni di pace. Subito dopo, a seguire, il ministro Crosetto, accompagnato dall’ambasciatore Maurizio Massari, incontrerà Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. I colloqui, ha comunicato la Difesa in una nota, offriranno un’importante opportunità per consolidare i rapporti con i vertici delle Nazioni Unite e condividere la posizione dell’Italia sui principali temi dell’agenda internazionale: dal conflitto russo-ucraino alla crisi in Medio-Oriente, da un focus sulla situazione di sicurezza di Unifil/Libano a un giro d’orizzonte sulla situazione di instabilità nel Sahel, sino al supporto alla missione Unsmil in Libia. Il ministro esprimerà inoltre il forte sostegno dell’Italia alla Ministeriale di Accra, finalizzata a rafforzare e modernizzare il Peacekeeping delle Nazioni Unite, prevista per il 5 e 6 dicembre prossimi.
Crosetto all’Onu
Gli obiettivi della visita di Crosetto al Palazzo di vetro, infatti, sono quelli di ingaggiare una serie di colloqui a livello Nazioni Unite che affrontino temi centrali per il mantenimento della missione. La postura dello schieramento presente, le regole di ingaggio, e il futuro stesso della missione. L’Italia, del resto, è il primo Paese contributore di truppe, con circa 1200 militari presenti. “Occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla”, aveva detto il ministro nella sua visita in Israele. Anche in quell’occasione il ministro aveva espresso la richiesta che l’Onu rivedesse le regole di ingaggio, perché “le attuali non danno sicurezze ai contingenti, basta guardare la situazione e gli attacchi di ogni giorno”. “La risoluzione Onu – ha aggiunto Crosetto in Israele – prevede che nella striscia di confine tra Libano e Israele non ci siano nemici, né da una parte né dall’altra; quindi, che non ci sia una presenza israeliana che può minacciare il Libano, ma dall’altra parte ci sono presenze di Hezbollah”. Riflettendo su questo punto, in particolare, il ministro si è domandato “che senso ha mantenere una missione Onu, se non fa nulla per raggiungere l’obiettivo di quella missione?”.
Il ruolo di Unifil
La preoccupazione è che terminato il periodo di tregua il conflitto possa riprendere, e con esso il timore di spillover regionali. In questa prospettiva, naturalmente il confine con il Libano, dov’è presente il contingente di Caschi blu, è quello per il quale si teme maggiormente. Per la sicurezza dei militari, allora, è forse arrivato il tempo di rivedere il modo con cui i soldati internazionali agiscono nella regione, prevedendo un rafforzamento delle misure di sicurezza e auto-protezione. A fine ottobre, tra l’altro, Crosetto aveva visitato il contingente italiano dell’operazione Leonte XXXIV, poco dopo che un missile, deviato, aveva colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana. Attualmente, i militari italiani, strutturati sulla base della brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna, sono presenti nella base militare di Shama, nel sud del Libano, parte dello sforzo Onu per assicurare la stabilità del volatile confine con Israele.
Sforzo internazionale
Tra le prospettive più volte sottolineate dal ministro c’è quella di una concertazione internazionale che spinga per una soluzione pacifica della crisi e che possa avviare i colloqui di pace. Questo sforzo, secondo Crosetto, deve vedere il protagonismo in particolare dei Paesi arabi della regione, a partire dall’Egitto, fino al Qatar, gli Emirati e l’Arabia Saudita. In questo senso, tra l’altro, l’Italia può fare la sua parte in qualità di mediatore, grazie ai rapporti instaurati (e in alcuni casi, recentemente recuperati) con tutte queste nazioni e con gli storici rapporti di amicizia tenuti con Israele.
Gli aiuti italiani
L’Italia si sta prodigando attivamente attraverso l’invio di aiuti umanitari, in particolare attraverso la presenza di nave Vulcano, della Marina militare, con a bordo personale 170 militari, e trenta membri del personale sanitario della Marina. A questi si aggiungerà una ulteriore trentina tra medici e infermieri delle altre Forze armate. La nave è attrezzata per svolgere ogni tipo di attività medica, dalle operazioni alla diagnostica. A bordo, inoltre, saranno trasportati medicinai e aiuti destinati alla popolazione civile. L’intenzione italiana è quella di far seguire alla nave anche un ospedale da campo a terra. Come riportato dal ministero della Difesa, lo Stato maggiore sta attrezzando e coordinando l’invio di una struttura ospedaliera a terra, in accordo con i palestinesi, da impiantare sul terreno di Gaza,” vicino a dove c’è la necessità” aveva spiegato Crosetto.
Bangladesh. Migliaia di arresti e morti prima delle elezioni
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di Redazione
Pagine Esteri, 27 novembre 2023 – Numerose associazioni per i diritti umani locali e internazionali, compresa “Human Rights Watch”, hanno denunciato l’arresto di oltre 10 mila oppositori da parte delle forze di sicurezza del Bangladesh, nell’ambito di una “violenta repressione autocratica” diretta a indebolire l’opposizione in vista delle elezioni generali previste a gennaio.
Secondo HRW, il governo della prima ministra Sheikh Hasina, che punta a ottenere un quarto mandato consecutivo, ha avviato una vasta e violenta repressione delle opposizioni per “eliminare la concorrenza”. Gran parte degli oppositori arrestati sarebbero attivisti del Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp), protagonista della grande manifestazione del 28 ottobre scorso. In un comunicato il BNP ha dichiarato che da ottobre sono stati arrestati almeno 16.625 membri della formazione. Altre decine di migliaia di persone sarebbero state denunciate – e subiranno quindi un processo – o multate; molti dirigenti e attivisti politici e sindacalisi sarebbero dati alla macchia per evitare l’arresto.
Secondo l’ong, nelle violenze che hanno caratterizzato le proteste delle settimane scorse hanno perso la vita 16 persone, inclusi 2 agenti di polizia, e 5.500 persone sono rimaste ferite. «Il governo (del Bangladesh) professa di impegnarsi per elezioni libere ed eque con i partner diplomatici, mentre al contempo le autorità statali stanno riempiendo le prigioni con gli avversari politici della Lega Awami al governo» ha dichiarato Julia Bleckner, ricercatrice senior per l’Asia di HRW. Sulla base di interviste ai testimoni, dell’analisi di video e dei rapporti della polizia, l’ong afferma di aver trovato «prove che le forze di sicurezza sono responsabili dell’uso eccessivo della forza, di arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate, torture e esecuzioni extragiudiziali».
La Commissione elettorale è aperta alla possibilità di riprogrammare le elezioni se il Partito nazionalista del Bangladesh (Bnp) e altre forze politiche decidessero di parteciparvi, ha detto la commissaria elettorale Rashida Sultana in una conferenza stampa tenuta il 20 novembre a Dacca. Le dodicesime elezioni per il rinnovo della Casa della Nazione, il parlamento unicamerale del paese asiatico che conta ormai 170 milioni di abitanti, si dovrebbero tenere il prossimo 7 gennaio; si voterà per eleggere 300 parlamentari in altrettanti collegi (altri 50 sono di nomina e riservati a donne). Ma il Partito nazionalista, la principale forza di opposizione nel Paese, ha contestato il calendario elettorale e si è mobilitato con manifestazioni e scioperi. L’ultimo ciclo di proteste, di 48 ore, è iniziato il 26 novembre e il prossimo, della stessa durata, è stato annunciato a partire da mercoledì. Il Bnp chiede da mesi le dimissioni del governo in carica e l’insediamento di un esecutivo ad interim fino alle elezioni. Il Partito nazionalista ha boicottato le elezioni del 2014 e perso nettamente quelle del 2018 alle quali si è presentato senza la sua presidente, l’ex premier Khaleda Zia, condannata pochi mesi prima a cinque anni di reclusione per appropriazione indebita e a sette anni per abuso di potere. Il Bnp ritiene le condanne politicamente motivate e ne chiede l’annullamento.
Il 28 ottobre a Dacca si sono scontrati manifestanti e forze dell’ordine. Negli scontri sono morti un agente e un attivista. Il giorno seguente il segretario generale del Bnp, Mirza Fakhrul Islam Alamgir, 75 anni, è stato arrestato nell’ambito di un’ondata di centinaia di arresti. Il 30 ottobre le ambasciate in Bangladesh di sette Paesi – Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti – a nome dei rispettivi governi hanno fatto “appello alla moderazione”. In risposta al comunicato il ministro degli Esteri bengalese, Abul Kalam Abdul Momen, ha però imputato le violenze e il tentativo di “fuorviare gli amici stranieri del paese” al Bnp. Pagine Esteri
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Gestire i conflitti: il ruolo dell’Italia dentro e fuori i propri confini
Si svolgerà venerdì 1 dicembre, alle ore 17 presso la Sala Convegni dell’Hotel Sporting a Teramo, la tavola rotonda sul tema “Gestire i conflitti. Il ruolo dell’Italia dentro e fuori i propri confini”, organizzata dalla Fondazione Luigi Einaudi Abruzzo.
“Lo scenario geopolitico attuale sembra essersi incendiato: la guerra in Ucraina, il conflitto in corso tra Israele e Hamas e con essa la repressione dei diritti umani nel Medio Oriente. Sullo sfondo, poi, la tensione militare ed economica tra Usa e Cina, le prime due potenze mondiali. Queste crisi intorno all’Europa e all’Italia ci impongono di non essere indifferenti – si legge nella nota di presentazione dell’evento – ma anzi, di avere uno sguardo attento e approfondito. Dichiarazioni politiche, il ruolo dell’informazione, la difesa e il tema della sicurezza nazionale di fronte a tutta queste instabilità, tanti i settori coinvolti nella gestione di queste crisi. Gli speakers, ognuno in relazione alle proprie specifiche competenze, presenteranno una fotografia dell’attuale stato dell’arte dentro e fuori il nostro Paese”.
Saluti Iniziali
ANDREA CANGINI, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi
ERNESTO DI GIOVANNI, Presidente Associazione Ex Alumni Marie Curie
ALFREDO GROTTA, Responsabile Sede Abruzzo Fondazione Luigi Einaudi
Parteciperanno
PIERLUIGI BIONDI. Sindaco dell’Aquila
CLAUDIA FUSANI, Giornalista presso Tiscalinews e Il Riformista
GIULIOMARIA TERZI DI SANT’AGATA, President IV Commissione – Politiche dell’Unione Europea, già Ministro degli Esteri
Modera
OTTAVIA MUNARI, Junior fellow Fondazione Luigi Einaudi
Rassegna stampa
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Davide Giacalone sul tema “La rivoluzione del merito”
Nono appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La nona lezione si svolgerà lunedì 27 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta da Davide Giacalone (giornalista, scrittore e saggista, direttore del quotidiano “La Ragione – leAli alla Libertà”, nonché Vice Presidente della Fondazione Luigi Einaudi), che relazionerà sull’opera “La rivoluzione del merito” di Luca Ricolfi.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Liberalismo modello per il contemporaneo – Gazzetta del Sud
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Ben(e)detto del 25 novembre 2023
Oggi l’ottava lezione della Scuola di Liberalismo – Gazzetta del Sud
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
🔶 "Educazione alle relazioni", 15 milioni per i percorsi per le scuole.
Ministero dell'Istruzione
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Xu Xiangshun o Alvise Giusti? Quella volta in cui Piero Angela forse si è sbagliato
È morto Xu Xiangshun (Alvise Giusti), da alcuni soprannominato “il contadino cinese dalle origini italiane” e definito da Piero Angela “l’italiano di Wenzhou”. Lo ha annunciato sua figlia il 16 settembre scorso sul suo profilo Douyin. La sua storia, tra Cina e Italia, interseca i grandi eventi del secolo scorso alla personale ricerca di una propria identità culturale, rimasta incompresa ...
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In Cina e Asia – Gaza, Wang Yi va New York per parlare della crisi
Gaza, Wang Yi va New York per parlare della crisi
Cina, Giappone e Corea del Sud lavorano a un vertice trilaterale tra i leader
Belt and road, pronta la roadmap per i prossimi dieci anni
La Cina valuta costruzione di un tunnel sottomarino tra Russia e Crimea
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Eugen Rochko Contro Golia. L'articolo di Johanna Jürgens dal Die Zeit, è su L'Internazionale (con paywall)
internazionale.it/magazine/joh…
Eugen Rochko Contro Golia
È un informatico tedesco. Voleva creare un social network migliore di Twitter, così nel 2016 ha fondato Mastodon. Per rovesciare i rapporti di potere della rete LeggiJohanna Jürgens (Internazionale)
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#laFLEalMassimo – La Povertà delle Nazioni
Apro come sempre con un pensiero alla guerra ancora in corso in Ucraina per via della folle volontà espansionistica di Putin che potrà concludersi solo con la ricacciata dell’invasore entro i propri confini e a cui si è aggiunto di recente una preghiera per le vittime degli orrori in corso nella Striscia di Gaza. Venendo al nostro Paese, mentre il governo Meloni cerca di capitalizzare in termini di consenso il momento favorevole nel quale l’inflazione si riduce per l’azione incisiva della BCE e le tensioni sulla sostenibilità del nostro debito rimangono anestetizzate dagli stimoli del programma Next Generation EU. I segnali del declino economico e sociale dell’Italia restano evidenti a tutti quelli che hanno occhi per vedere e strumenti per capire. L’economista Ugo Panizza ha recentemente evidenziato sul social network X, la vecchia Twitter che, in riferimento a un recente working paper intitolato Welfare Working Nations, l’Italia sia l’unico paese tra quelli analizzati a evidenziare una crescita del PIL scalato per la popolazione in età lavorativa significativamente inferiore agli altri. Che vuol dire questo? Che nei paesi sviluppati la popolazione invecchia e la quota di quelle in età lavorativa si riduce nel tempo.
Guardando a un indicatore che tiene conto di questo fenomeno che rapporta la crescita del PIL alle persone che hanno l’età per lavorare, vediamo che quasi tutti i paesi crescono in modo simile e il quasi è dato dall’Italia che rimane indietro. Lo stesso Panizza nella discussione social segnala come lettura un paper di Pellegrino e Zingales dove leggiamo che a metà degli anni 90 la crescita della produttività italiana subisce una rilevante battuta d’arresto, probabilmente per l’incapacità di sfruttare appieno la l’evoluzione nel settore ICT e per la prevalenza di un sistema poco meritocratico nella selezione e remunerazione dei manager. Nel 2023 la crescita della ricchezza delle nazioni è fortemente collegata con la libertà che gli individui dispongono di assumersi rischi, talvolta fallire, innovare, in qualche caso dare vita a vere e proprie rivoluzioni, come accaduto ieri con Internet e oggi con intelligenza artificiale. L’Italia, su tutti questi fronti rimane drammaticamente indietro, prima per atteggiamento culturale e poi per le necessarie e logiche conseguenze sociali ed economiche.
L'articolo #laFLEalMassimo – La Povertà delle Nazioni proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
L’Europa giochi in Difesa. Ecco cosa dicono Crosetto, Tremonti e Pontecorvo
Secondo Guido Crosetto, ministro della Difesa, “in una futura difesa europea può esserci un esercito, una marina e un’aeronautica europea. Potrebbe esserci se selezionassimo le persone, tra 20 anni, ma non abbiamo 20 anni davanti, siamo in ritardo; quindi, l’unica possibilità è mettere insieme le difese dei vari Paesi, rendendole interoperabili. In questo percorso siamo facilitati perché lo abbiamo iniziato nella Nato”. Nel suo videomessaggio alla conferenza organizzata da Aspen Institute Italia (con la collaborazione con l’Aeronautica Militare, Intesa Sanpaolo, Comune di Pavia, Università degli Studi di Pavia e il contributo di Fondazione Banca del Monte di Lombardia e Leonardo), il ministro ha aggiunto che così l’Europa può diventare “colonna portante della Nato”, dotandosi poi “di forze armate europee a tutti gli effetti”. “È la sfida che abbiamo davanti: l’Europa deve trovare un linguaggio comune, una strategia comune, che ancora non esiste”, ha proseguito.
LA DIFESA E I CONTI
“Soltanto quattro anni fa non avremmo parlato della necessità di raggiungere il 2% di investimenti in difesa, ma avremmo parlato probabilmente di ulteriori tagli”, ma “abbiamo deciso di invertire la tendenza”, ha detto. “La decisione non è più politica, quindi da conteggiare nel Patto di stabilità, ma necessità di sopravvivenza, non possiamo non farlo, non ci è consentito di decidere di non aumentare investimenti in difesa, perché la difesa è diventato il prerequisito della libertà, della democrazia, dello sviluppo”, ha continuato.
Giulio Tremonti, presidente di Aspen Institute Italia e della commissione Affari esteri e Comunitari della Camera, ha ricordato che “nel 2003 il governo italiano propose di emettere eurobond per infrastrutture e difesa europea. All’epoca la proposta fu respinta. Oggi che gli eurobond esistono devono essere applicati anche all’industria della difesa. Terminata l’illusione della pace universale – idea base della globalizzazione, l’ultima utopia del Novecento, torna essenziale dare priorità al sistema della difesa: come diceva Luigi Einaudi ‘per una nazione importa più essere indipendente che essere ricca’. E in un sistema geopolitico caratterizzato dal global disorder con due guerre ai confini europei – Ucraina e Medio Oriente – la difesa torna ad assumere un ruolo altamente strategico”, ha aggiunto
CROSETTO SU ISRAELE
“Abbiamo la libertà, per essere amici della democrazia e di Israele, di dire che dobbiamo distinguerci dai terroristi”, ha dichiarato Crosetto. “Ci sono delle linee che noi in democrazia dobbiamo preservare: il diritto internazionale, le regole di convivenza democratica ci impongono un rispetto anche nella guerra”, ha continuato.
“Anche nella guerra ci sono regole”, ha aggiunto, “e sono quelle che dicono che gli eserciti si possono scontrare ma i civili innocenti che non c’entrano nulla devono essere preservati il più possibile perché quando vengono coinvolti uomini, donne e bambini, che nulla c’entrano con gli scontri militari, noi perdiamo ogni giorno un pezzo della nostra credibilità”.
PONTECORVO SU INVESTIMENTI E AEROSPAZIO
“Il sistema di sicurezza europeo ha bisogno di importanti investimenti nel prossimo futuro: vuoi per riequilibrare il rapporto con gli Stati Uniti vuoi perché non sappiamo da dove arriveranno le minacce future ed a queste minacce bisogna predisporre risposte multilivello”, ha detto Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. “E per queste ragioni sarebbe necessaria un po’ più di lungimiranza e visione da parte delle autorità europee”.
Nel negoziato per la riforma del patto di stabilità, ha ricordato Pontecorvo, l’Italia si sta battendo perché le spese per la Sicurezza vengano stralciate dal calcolo del deficit. “Per fortuna, dalle bozze della riforma sembra emergere l’intenzione di introdurre un diverso sistema di calcolo delle spese per la Sicurezza sul deficit. Ma c’è di più. Oggi Bruxelles è arrivata ad emettere eurobond per finanziare il Next Generation Eu: iniziativa lodevole che fa dell’Europa un Continente all’avanguardia nella salvaguardia dell’Ambiente. Ma c’è – Credo sia necessario un salto di qualità delle policy europee anche per la Difesa”. “Per queste ragioni”, ha proseguito, “non si possono aspettare vent’anni per finanziare gli investimenti con l’emissione di eurobond. Servono subito”, ha spiegato ancora definendo il settore aerospaziale come un “ponte” tra Paesi in quanto, “per sua stessa natura, può svolgere un ruolo di avanguardia nella costruzione di nuove partnership” grazie all’alto tasso di innovazione e all’alta intensità di capitale.
Pontecorvo ha ricordato che la Cina ha speso nel 2022, 292 miliardi di dollari: il 4,2% in più rispetto al 2021, ma il 63% rispetto al 2013. La Russia, in un solo anno, l’ultimo, ha aumentato la propria spesa militare del 9,2%. Per avere un termine di paragone con l’Europa, nel 2022 la spesa militare del Continente è aumentata del 13% rispetto al 2021 ed ha toccato livelli della Guerra fredda. Ma l’incremento rispetto al 2013 è stato del 30%: la metà della Cina.
Così l’Europa può diventare colonna portante della Nato. Cos’ha detto Crosetto a Pavia
Secondo Guido Crosetto, ministro della Difesa, “in una futura difesa europea può esserci un esercito, una marina e un’aeronautica europea. Potrebbe esserci se selezionassimo le persone, tra 20 anni, ma non abbiamo 20 anni davanti, siamo in ritardo; quindi, l’unica possibilità è mettere insieme le difese dei vari Paesi, rendendole interoperabili. In questo percorso siamo facilitati perché lo abbiamo iniziato nella Nato”. Nel suo videomessaggio alla conferenza Aspen di Pavia il ministro ha aggiunto che così l’Europa può diventare “colonna portante della Nato”, dotandosi poi “di forze armate europee a tutti gli effetti”. “È la sfida che abbiamo davanti: l’Europa deve trovare un linguaggio comune, una strategia comune, che ancora non esiste”, ha proseguito.
LA SVOLTA DI CINQUE SECOLI FA
“La battaglia di Pavia del 25 febbraio 1525 è stata la prima battaglia europea”, ha evidenziato il ministro. “Combattuta in modo rivoluzionario, per la prima volta con armi da fuoco”, una “battaglia che segnò un momento decisivo del predominio spagnolo in Italia e dimostrò la schiacciante predominanza della fanteria e della cavalleria”, “il passaggio alle più moderne strategie militari” e il “mutamento della composizione delle truppe, un rinascimento militare” e oggi “viviamo anni che richiedono l’idea di rivoluzione, perché l’idea di un esercito europeo è sicuramente una nuova rivoluzione nel campo della difesa e dell’Ue”, ha spiegato ancora.
INVESTIMENTI E PATTO DI STABILITÀ
“Soltanto quattro anni fa non avremmo parlato della necessità di raggiungere il 2% di investimenti in difesa, ma avremmo parlato probabilmente di ulteriori tagli”, ma “abbiamo deciso di invertire la tendenza”, ha detto. “La decisione non è più politica, quindi da conteggiare nel Patto di stabilità, ma necessità di sopravvivenza, non possiamo non farlo, non ci è consentito di decidere di non aumentare investimenti in difesa, perché la difesa è diventato il prerequisito della libertà, della democrazia, dello sviluppo”, ha continuato.
REGOLE ANCHE IN GUERRA
“Abbiamo la libertà, per essere amici della democrazia e di Israele, di dire che dobbiamo distinguerci dai terroristi”, ha dichiarato Crosetto. “Ci sono delle linee che noi in democrazia dobbiamo preservare: il diritto internazionale, le regole di convivenza democratica ci impongono un rispetto anche nella guerra”, ha continuato. “Anche nella guerra ci sono regole”, ha aggiunto, “e sono quelle che dicono che gli eserciti si possono scontrare ma i civili innocenti che non c’entrano nulla devono essere preservati il più possibile perché quando vengono coinvolti uomini, donne e bambini, che nulla c’entrano con gli scontri militari, noi perdiamo ogni giorno un pezzo della nostra credibilità”.
“Distruzione totale”, Gaza si risveglia dopo 50 giorni di bombe
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di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 25 novembre 2023 – La magnitudine della devastazione di Gaza si comincia a conoscere solo ora, con il cessate il fuoco. In quasi 50 giorni di bombardamenti aerei, cannonate e altro ancora, i giornalisti palestinesi e persone comuni hanno potuto, a rischio della vita, far conoscere al mondo con video, foto e messaggi le conseguenze dell’offensiva militare di Israele in quel piccolo lembo di terra. Ma ieri nel primo dei quattro giorni di tregua tra Israele e Hamas e dello scambio ostaggi-prigionieri politici, i palestinesi hanno avuto la possibilità di girare, osservare e controllare, senza temere di essere disintegrati dalle bombe, l’apocalisse che ha investito la loro terra.
I filmati diffusi dalle persone in queste ultime ore mostrano un paesaggio lunare, centri abitati ridotti in cumuli di pietre, persone che si aggirano come fantasmi tra le rovine di case, edifici pubblici, moschee, scuole, asili. E anche i cadaveri rimasti senza sepoltura, alcuni in avanzato stato di decomposizione, altri carbonizzati, di adulti e di bambini. Ovunque. Sotto i palazzi crollati e nelle strade, anche su quella costiera, coperti dai passanti con cartoni e stracci. La Protezione civile di Gaza passerà i giorni di tregua a recuperare una parte dei corpi delle migliaia di dispersi (7mila?) facendo salire il numero dei palestinesi uccisi già oltre 14mila. Israele lo ritiene gonfiato ad arte «dal ministero della sanità di Hamas». Ma le agenzie umanitarie sanno che è molto vicino alla realtà, se non addirittura sottostimato. La guerra di Gaza non è finita, non si faccia illusioni chi spera che questa tregua di quattro giorni porti a un cessate il fuoco permanente. «Ci sarà una breve pausa e poi continueremo ad operare con piena potenza militare. Non ci fermeremo finché non raggiungeremo i nostri obiettivi, la distruzione di Hamas e la liberazione degli ostaggi», ha assicurato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant al termine ieri dell’incontro con l’omologo italiano Guido Crosetto, uno dei numerosi premier, ministri e uomini politici occidentali giunti in processione a Gerusalemme in queste ultime settimane per ribadire il loro appoggio all’offensiva militare israeliana «contro Hamas», però, se possibile, «con qualche civile ucciso in meno».
Quando ieri mattina alle 7 i boati incessanti delle esplosioni andate avanti per tutta la notte facendo altri morti e feriti, si sono spenti per la prima volta dopo settimane, migliaia di sfollati palestinesi si sono messi in marcia verso i quartieri orientali di Khan Yunis, la fascia Est della Striscia, Gaza city e anche il nord desiderosi di tornare alle loro case e in cerca di un breve momento di normalità. Uomini, donne e bambini, a piedi o a bordo delle poche auto che hanno ancora carburante, alcuni su carretti tirati da asinelli. Altri hanno messo le borse sulle spalle e si sono incamminati. Hanno attraversato scene di immensa distruzione.
Marwa Dabdoub, 37 anni, ha raccontato a un media locale di aver trovato la sua casa a Gaza city distrutta dai bombardamenti. «Eravamo felici di vedere la tregua, ma oggi abbiamo scoperto che la nostra casa non c’è più. Non siamo riusciti a trovare nulla. Ci hanno distrutto tutto», ha detto rovistando tra le macerie dell’abitazione. Come lei altre migliaia di palestinesi non hanno trovato altro che pietre, terra, pilastri di cemento spezzati. Sono 1,7 milioni i palestinesi costretti dalla guerra e dalle intimazioni dell’esercito israeliano a lasciare le proprie case nel capoluogo Gaza city e nel nord della Striscia e che da settimane vivono ammassati in scuole, tende e ospedali nel sud. Le distruzioni sono talmente vaste che la ricostruzione di case e infrastrutture richiederà anni, ammesso che Israele lo permetta. «Sono andato in giro appena è cominciata la tregua» ha scritto su X, Refaat, un abitante di Gaza city. «Distruzione completa, totale. Case edifici, moschee, giardini pubblici, scuole, condutture dell’acqua, pali della luce. Gli invasori israeliani in realtà non cercavano niente e nessuno. Hanno solo provocato caos e attuato una vendetta sui cittadini palestinesi e le loro vite».
Recuperare qualcosa di utile dalle macerie di casa è essenziale per chi non ha più nulla. Così come trovare cibo. Ieri dal valico di Rafah sono entrati a Gaza 200 autocarri carichi di aiuti e altrettanti ne entreranno oggi, domani e lunedì. Ma la quantità di merci resta largamente insufficiente rispetto ai bisogni della popolazione. Le priorità nei carichi restano l’acqua, le medicine e tutto ciò che serve agli ospedali ancora operativi: a Gaza ci sono 35mila feriti. Ieri la Mezzaluna rossa ha evacuato altri feriti e ammalati dall’ospedale Ahli di Gaza city. Cercare i parenti sopravvissuti è un’altra priorità così come dare una degna sepoltura ai membri della famiglia uccisi dagli attacchi israeliani. Alcuni sono stati sepolti in fosse comuni nei giardini e nei terreni agricoli, o sono ancora nelle sacche per cadaveri davanti agli ingressi degli ospedali.
La striscia di sangue si è allungata anche ieri. Perché l’esercito israeliano, dando seguito a quanto aveva scritto in un volantino lanciato due giorni fa sul sud di Gaza, ha impedito alla maggior parte delle persone di tornare al nord. Per fermarle hanno lanciato lacrimogeni, sparato in aria, infine ad altezza d’uomo. Almeno due palestinesi sono stati uccisi, una ventina feriti, hanno riferito le agenzie di stampa. I soldati hanno aperto il fuoco anche nei pressi dell’ospedale Rantisi per fermare chi era sulla via del ritorno. E hanno effettuato un raid nell’ospedale Indonesiano dove, ha riferito il direttore generale del ministero della Sanità, Munir Al-Bursh, hanno ucciso una donna e arrestato tre persone. Reparti corazzati israeliani stazionano in modo permanente sulle strade di collegamento Salah al-Din e Al-Shati. Il presunto «corridoio sicuro» rimarrà aperto durante i giorni della tregua in modo che ai residenti nel nord sia consentito di andare verso sud. Ma non di ritornare. 75 anni fa, andò allo stesso modo.
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In questi giorni al Job&Orienta siete stati tantissimi a venirci a trovare al nostro stand. Vi aspettiamo anche domani!
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Nuove regole per Unifil? Da Tel Aviv, Crosetto lancia la sfida all’Onu
Nel primo dei quattro giorni di tregua stabiliti tra Israele e Hamas, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto visita a Tel Aviv all’omologo israeliano Yaov Gallant. La presenza italiana in Israele in questo momento così delicato del conflitto non è affatto un caso, e anzi riporta quel ruolo da protagonista giocato dal nostro Paese nel processo di mediazione, rimarcato con orgoglio dallo stesso ministro Crosetto, che si è detto “quasi commosso di essere qui in un giorno così importante per Israele e per la pace”. Anche Gallant ha sottolineato l’importanza di quanto sta facendo l’Italia per Israele, una dimostrazione concreta di amicizia e solidarietà in un momento cruciale per lo Stato mediorientale.
La situazione
“Per Israele – ha spiegato Crosetto– il punto finale è rendere Hamas non più un pericolo”. Per il ministro, infatti, Hamas è un’organizzazione terroristica “che ha nello statuto l’eliminazione di Israele e della popolazione ebrea da questa zona del mondo”, per cui non esiste la possibilità di mediazione. Il ministro è tornato a indicare la soluzione di due popoli e due Stati come l’unica in grado di dare una pace duratura, aggiungendo però come l’obiettivo “non sarà facile, non sarà breve”. Per Israele, infatti, è questione di vita o di morte, ha sottolineato Crosetto, aggiungendo come si tratti di una condizione “che noi fatichiamo a capire al sicuro nelle nostre nazioni”. È allora l’obiettivo degli altri Paesi far sì che “le conseguenze, non militari ma quelle civili, siano minori possibili”. Il ministro si è poi detto “convinto che le operazioni dureranno a lungo, ma che ci sarà tutta l’attenzione che è possibile in una guerra per avere meno vittime civili innocenti”. Intanto, la buona notizia è a liberazione dei primi ostaggi: “Mi auguro la liberazione di tutti gli ostaggi”
Gli aiuti italiani
Come ricordato ancora da Crosetto, inoltre, l’Italia si sta prodigando attivamente attraverso l’invio di aiuti umanitari, in particolare attraverso la presenza di nave Vulcano, della Marina militare, con a bordo personale 170 militari, e trenta membri del personale sanitario della Marina. A questi si aggiungerà una ulteriore trentina tra medici e infermieri delle altre Forze armate. La nave è attrezzata per svolgere ogni tipo di attività medica, dalle operazioni alla diagnostica. A bordo, inoltre, saranno trasportati medicinai e aiuti destinati alla popolazione civile. L’intenzione italiana è quella di far seguire alla nave anche un ospedale da campo a terra. “Lo Stato maggiore della Difesa sto attrezzando e coordinando l’invio di una struttura ospedaliera a terra, in accordo con i palestinesi, da impiantare sul terreno di Gaza, vicino a dove c’è la necessità” ha spiegato Crosetto.
Coordinamento internazionale
L’obiettivo sottolineato da Crosetto per arrivare a una soluzione della crisi è muoversi in uniformità con tutti gli altri Paesi, occidentali e arabi, per frenare l’escalation. Lunedì, come da lui stesso anticipato, Crosetto sarà a New York, alle Nazioni Unite, non solo per parlare della missione in Libano. In particolare, ha detto Crosetto, “occorre che le Nazioni Unite decidano: o la missione Unifil ha ancora un senso, oppure bisogna chiedersi se ha senso mantenerla”. L’ipotesi del ministro, allora, è che l’Onu riveda le regole di ingaggio, perché “le attuali non danno sicurezze ai contingenti, basta guardare la situazione e gli attacchi di ogni giorno”. A fine ottobre, tra l’altro, Crosetto aveva visitato il contingente italiano dell’operazione Leonte XXXIV, poco dopo che un missile, deviato, aveva colpito senza nessuna conseguenza il quartier generale della missione Unifil a Naqoura, undici chilometri più a sud rispetto alla base italiana. “La risoluzione Onu – ha aggiunto Crosetto in Israele – prevede che nella striscia di confine tra Libano e Israele non ci siano nemici, né da una parte né dall’altra; quindi, che non ci sia una presenza israeliana che può minacciare il Libano, ma dall’altra parte ci sono presenze di Hezbollah”. Riflettendo su questo punto, in particolare, il ministro si è domandato “che senso ha mantenere una missione Onu, se non fa nulla per raggiungere l’obiettivo di quella missione?”.
C’è stato un tempo in cui un “vagoncino presidenziale” rallentava l’intero traffico ferroviario e nessuno si scandalizzava
Intenti come siamo ad indignarci per le imprese ferroviarie presenti del ministro Lollobrigida, rischiamo di trascurare le delizie del passato. Un passato recente. Si tende a dimenticare, per esempio, che fino alla metà degli anni Novanta a diversi presidenti di organi costituzionali era riservato quello che oggi verrebbe giudicato un inaudito privilegio. Privilegio che mandava in solluccheri Giovanni Spadolini in particolare.
Quando l’allora presidente del Senato doveva affrontare un viaggio in treno, non riservava un posto in prima classe, né prenotava un salottino per sè e per il proprio staff. La sua segretaria telefonava all’apposito servizio di palazzo Madama, che provvedeva ad agganciare al convoglio desiderato la carrozza presidenziale: un vagoncino retrò in stile Orient Express dotato di un lussuoso salottino, una cucina e una cuccetta con lenzuola fresche di bucato per eventuali riposini diurni. Un commesso del Senato vi svolgeva le funzioni del maggiordomo, un cuoco vi cucinava le pietanze gradite.
Raccontano che Giovanni Spadolini adorasse viaggiare così. E pazienza se, essendo stato costruito in tempi in cui i treni forse arrivavano in orario, ma di sicuro erano più lenti, il vagoncino presidenziale obbligava il convoglio cui era agganciato a moderare la velocità, con gran scorno dei viaggiatori comuni e oggettive ricadute sull’intero traffico ferroviario.
Nessuno, allora, avvertiva il problema, essendo (allora) chiaro a tutti che le Istituzioni avessero diritto ai propri spazi, alla propria privacy e al proprio stile. Di sicuro la pensava così il grande Spadolini, il quale, un giorno, dovendo rientrare da Milano a Roma, non essendo disponibile l’amato vagoncino riservò un’intera carrozza di prima classe. Era la primavera del 1994, la legislatura volgeva al termine, e alla stazione di Milano si trovavano anche alcuni parlamentari che come lui dovevano rientrare a Roma. Gli chiesero se potevano prender posto nella “sua” carrozza: sdegnosamente, Spadolini rifiutò.
È opinione diffusa che tale sgarbo gli costò i voti necessari ad essere rieletto presidente del Senato. La spuntò, d’un soffio, Carlo Scognamiglio, uomo d’una eleganza antica, come Spadolini attratto dal lussuoso vagoncino. Mal gliene incolse quando commise la leggerezza di consentire al figlio e ad un gruppo di suoi amici di prender posto sull’ambita carrozza presidenziale per un breve viaggio in Liguria. Scognamiglio si era premurato di pagare un biglietto di prima classe per ciascun ragazzo, ma fatale fu la fermata fuori programma a Ventimiglia per far scendere i giovani viaggiatori. Erano i tempi in cui andava affermandosi la malsana logica dell’«uno vale uno». Lo scandalo fu inevitabile, la campagna stampa al grido di “Il trenino di Carlino” devastante. Da quel momento in poi il vagoncino presidenziale non toccò più binario.
L'articolo C’è stato un tempo in cui un “vagoncino presidenziale” rallentava l’intero traffico ferroviario e nessuno si scandalizzava proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Oggi al #JobOrienta, dopo gli eventi dei giorni scorsi sulla piattaforma UNICA, sulla nuova filiera tecnico-professionale, sulle discipline STEM e sulle Storie di alternanza e competenze, si parlerà d’Istituzione del sistema terziario di Istruzione T…Telegram
Amreo
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
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