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di Enrico Nardelli C’erano state da un po’ di tempo delle avvisaglie. Con l’arrivo degli strumenti di intelligenza artificiale generativa...


Esercito professionale o ritorno della leva? Il bivio spiegato dal gen. Caruso


Tra i tanti interrogativi che la guerra in Ucraina sta portando con sé, uno tra tutti sta alimentando il dibattito sui possibili futuri modelli di difesa. La guerra in corso ha evidenziato una complessa intersezione di sfide strategiche, tecnologiche e ge

Tra i tanti interrogativi che la guerra in Ucraina sta portando con sé, uno tra tutti sta alimentando il dibattito sui possibili futuri modelli di difesa. La guerra in corso ha evidenziato una complessa intersezione di sfide strategiche, tecnologiche e geopolitiche che i Paesi occidentali dovranno affrontare al più presto per garantire la propria sicurezza e difesa. Il conflitto ucraino ha comportato incredibili perdite umane e materiali, evidenziando la brutalità e l’alta intensità dei conflitti moderni. Queste perdite hanno sollevato interrogativi sulla sostenibilità degli attuali eserciti occidentali e sulla necessità di adattare i modelli di difesa per affrontare potenziali minacce future.

Eserciti professionali o coscrizione obbligatoria?

Il dibattito tra mantenere eserciti professionali, piccoli e super specializzati, oppure ritornare alla coscrizione obbligatoria per formare eserciti di massa capaci di sopportare grandi perdite, è diventato sempre più rilevante. La guerra in Ucraina suggerisce che entrambi gli approcci hanno i loro meriti e limitazioni in contesti specifici.

Le recenti dichiarazioni del generale britannico Sir Patrick Sanders, Chief of the General Staff in uscita, e la successiva smentita del primo ministro Rishi Sunak riflettono la tensione e il dibattito in corso sui futuri modelli di difesa. Questo dibattito che si estende oltre il Regno Unito, influenzando le discussioni strategiche in tutta l’Europa e negli Stati Uniti, evidenzia anche una discrasia tra il mondo della politica e quello militare. Parte della politica non è del tutto preparata a gestire i cambiamenti che un rafforzamento delle capacità di difesa mediante riservisti avrebbe sulla società civile e solleva questioni importanti sulle implicazioni di tali politiche di difesa. Questa differenza di opinioni potrebbe avere molteplici effetti, sia a livello di percezione pubblica che di realizzazione pratica delle politiche di difesa.

La lezione ucraina

La guerra in Ucraina ha evidenziato l’importanza della flessibilità strategica, della resilienza, della capacità di adattamento e dell’uso delle nuove tecnologie. Ma ha sancito anche che la quantità è importante tanto quanto la qualità. L’enorme impiego di materiali, equipaggiamenti e munizioni associato ad un impressionante sacrificio di perdite umane, stanno consigliando agli eserciti occidentali di considerare come equilibrare forze specializzate e la capacità di mobilitare rapidamente grandi numeri di truppe.

L’uso di droni, la guerra elettronica e altre tecnologie avanzate hanno sottolineato il ruolo cruciale che la tecnologia gioca nei conflitti moderni. Quali dovrebbero essere gli investimenti che i Paesi occidentali dovrebbero fare nelle nuove tecnologie, nel personale qualificato e contemporaneamente garantirsi quella quantità, umana e materiale, che sembrerebbe tanto necessaria in un conflitto moderno?

In medio stat virtus: verso nuovi modelli di difesa

Se è impossibile pensare di tornare agli eserciti di massa come nel passato – irragionevole pensare di addestrare personale all’impiego di armi con tecnologie avanzate nel breve tempo di una leva obbligatoria –, altrettanto impossibile affidarsi solo a piccoli eserciti professionali che, per quanto preparati, non sopporterebbero un impiego prolungato in un conflitto di lunga durata. Inutile negarlo, l’esercito ucraino non è più quello del 24 febbraio di due anni fa. Decimato dal conflitto in corso, possiamo parlare di un esercito ucraino 2.0, se non addirittura 3.0. Rimpolpato e sostituito con richiami di personale riservista, oppure mobilitato dalla vita civile per combattere una guerra per la sopravvivenza, non ci sono quasi più le stesse persone che iniziarono il conflitto. Ecco perché i Paesi occidentali potrebbero dover esplorare nuovi modelli di difesa che integrino eserciti professionali con capacità di riserva, investendo sia nelle tecnologie avanzate che nella capacità di mobilitare rapidamente forze di massa. Ciò potrebbe includere l’adozione di approcci innovativi per la formazione – per esempio, tecnologie di realtà virtuale e realtà aumentata e addestramento basato su intelligenza artificiale – ma anche la comprensione che la preparazione alla guerra moderna richiede più della semplice competenza fisica e tattica; richiede anche agilità mentale, capacità decisionali avanzate fino ai minimi livelli e una profonda comprensione delle complessità geopolitiche, tecnologiche e umane che definiscono i conflitti contemporanei.

In sintesi, la guerra in Ucraina ha svolto il ruolo di catalizzatore per una riflessione profonda sui modelli di difesa futuri, spingendo i Paesi occidentali a bilanciare diversi approcci per affrontare le minacce emergenti in un panorama geopolitico in rapido cambiamento. La soluzione potrebbe risiedere in una combinazione di forze professionali specializzate e la capacità di mobilizzare rapidamente eserciti di massa, sostenuta da investimenti significativi in tecnologie avanzate e nella preparazione alla guerra elettronica e asimmetrica.

La visione italiana

L’approccio italiano al problema della difesa e della preparazione militare, in particolare alla luce delle recenti tensioni internazionali e del conflitto in Ucraina, è stata chiaramente articolata dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il ministro propone un modello di difesa che preveda l’integrazione di riservisti, evidenziando la necessità per l’Italia di adottare un approccio più flessibile e reattivo alle minacce militari contemporanee. Il ministro sottolinea l’importanza di una forza di riserva addestrata e pronta all’impiego, capace di integrarsi rapidamente con le forze armate regolari in caso di necessità. Questa visione riflette la giusta consapevolezza del fatto che i conflitti moderni richiedono non solo tecnologie avanzate e forze specializzate, ma anche la capacità di mobilitare rapidamente un numero superiore di truppe per rispondere a minacce impreviste o a emergenze.

L’approccio proposto dal ministro mira a rafforzare la resilienza e la capacità di difesa dell’Italia attraverso un sistema di riservisti simile al modello israeliano. Questo sistema permetterebbe di avere a disposizione un’ampia base di personale militare addestrato, che possa essere rapidamente mobilitato in caso di crisi, senza dipendere esclusivamente dalle forze armate regolari. L’introduzione di un sistema di riservisti ben addestrati e pronti all’impiego rappresenta un passo importante verso una maggiore capacità di risposta e resilienza delle forze armate italiane. Lo scopo è di rispondere efficacemente alle mutevoli dinamiche della sicurezza internazionale nel contesto di una strategia di difesa che guarda al futuro senza trascurare le lezioni del passato.

Quali le conseguenze sulla società civile?

L’introduzione o l’espansione di un sistema di riservisti, simile a quello proposto dal ministro Crosetto, richiede non solo una preparazione militare, ma anche un ampio supporto e comprensione da parte della società civile. La mobilitazione di civili come riservisti comporta una significativa trasformazione del rapporto tra i cittadini e le forze armate, con profonde implicazioni per il tessuto sociale, l’identità nazionale e la percezione della sicurezza.

Per superare questa sfida, è essenziale un impegno proattivo nell’educare e coinvolgere la popolazione riguardo le necessità di difesa e le responsabilità civili in contesti di sicurezza nazionale. Questo può includere campagne di informazione pubblica, dibattiti parlamentari trasparenti e iniziative di coinvolgimento comunitario che mirino a costruire un consenso sull’importanza di un sistema di riservisti e sulla sua gestione etica e democratica.

La politica e la consapevolezza del proprio ruolo

La sfida per la politica consiste nel navigare queste acque insidiose, bilanciando la necessità di rafforzare la difesa nazionale con la tutela dei valori democratici e civili. È cruciale che la classe politica nella sua interezza sia capace di comunicare efficacemente i motivi di tali cambiamenti, i benefici per la sicurezza nazionale e le garanzie per i diritti e le libertà individuali. A livello legislativo, è necessario che i politici lavorino per sviluppare un quadro normativo che regoli efficacemente il servizio della riserva, assicurando che sia equo, volontario o basato su principi di giusta mobilitazione, e che rispetti gli obblighi internazionali in materia di diritti umani. Questo richiede una visione politica lungimirante e la capacità di anticipare e affrontare le complesse questioni legali, etiche e sociali che un tale sistema comporta. Mancare anche solo uno di questi passi potrebbe portare a incomprensioni nella società civile, minando il necessario sostegno popolare a queste fondamentali politiche di difesa.

Servizio di leva per i giovani italiani?

I giovani italiani si devono preoccupare di ricevere la famosa cartolina e partire per il servizio di leva? Se il dibattito in corso riflette una tendenza osservata in altri Paesi europei, dove si discute anche del ritorno alla coscrizione obbligatoria, credo che la via italiana punti piuttosto a un’espansione delle forze di riserva come mezzo per affrontare le nuove sfide della sicurezza globale.

Qualsiasi scelta venga fatta, la preparazione della parte politica a gestire l’impatto di un rafforzato sistema di difesa sulla società civile è fondamentale per il successo di tali iniziative. La collaborazione tra settori militari e politici, insieme al coinvolgimento attivo della società civile, è essenziale per costruire una difesa nazionale resiliente migliorandone l’efficacia, l’efficienza e la flessibilità e che garantisca i valori democratici e civili. La sfida sta nel garantire che queste politiche siano attuate in modo che rafforzino non solo la sicurezza nazionale, ma anche la coesione sociale e la fiducia pubblica nelle istituzioni democratiche.


formiche.net/2024/02/esercito-…



Il 15 febbraio scorso ricorrevano i 25 anni dall'arresto, illegale, da parte dei servizi turchi, del leader curdo Abdullah Ocalan. Oggi sabato 17 febbraio sarem


Davide Giacalone – Gli scudi


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Monaco. L’Occidente alla ricerca del “nemico” per tenere insieme i pezzi l Contropiano

"Un nemico come la Russia per un po’ di tempo può aiutare a tenere insieme i pezzi ma a lungo andare potrebbe non funzionare più come catalizzatore di interessi comuni. Proprio un commentatore russo sulla Novosti, più o meno due anni fa, sottolineava che il problema dell’Occidente era il tempo: troppo poco per concludere il conflitto in Ucraina, troppo lungo per alimentarlo. Un problema che la Russia ha dimostrato di non avere."

contropiano.org/news/politica-…



È morto Navalny, già incomincio a leggere le puttanate che dichiarano gli atlantisti europeisti


VERSIONE ITALIANA USA, IL KIDS ONLINE SAFETY ACT OTTIENE UN AMPIO SOSTEGNO IN SENATO I senatori Blackburn e Blumenthal, dopo l’audizione del Senato che ha coinvolto i CEO di alcune Big Tech, hanno annunciato il crescente sostegno al Kids Online Safety Act. Sono stati inseriti nuovi emendamenti per rafforzare la legge e garantire la sua …


di Ufficio Informazione per il Kurdistan Il 15 Febbraio 2024 segna il venticinquesimo anniversario del rapimento di Abdullah Öcalan, catturato a Nairobi, i


in reply to Giovanni Petri

.@leviticoh Here's f(x)=20×x×exp(-x/0.25) interpolated using 20 equally spaced points (blue) and 20 Chebyshev points (red). For your function, Runge's phenomenon is not a problem.


Due cortei, a Roma e a Milano per riaccendere l'attenzione, in questi tempi troppo sopita, su quanto continua ad accadere al popolo curdo, alle minoranze presen


Crescono morti e infortuni sul lavoro l l'interferenza

"Sono anni che il punto di vista assunto sul lavoro è quello delle associazioni datoriali e molti pensano, per combattere morti e infortuni, a una sorta di sistema premiante per le aziende virtuose in materia di salute e sicurezza attribuendo loro ulteriori e massicci sgravi fiscali. Eppure, anni di aiuti alle imprese non sono serviti a salvaguardare l’occupazione e a rendere sicuro il lavoro, siamo allora certi che l’aiuto economico e fiscale sia lo strumento giusto per imporre pratiche e culture della sicurezza?"

linterferenza.info/attpol/cres…



Di tutto si parla, fuorché di Europa


La Commissione europea ha presentato una bozza di riforma della governance economica delle istituzioni comunitarie. Il Parlamento europeo ha approvato la riforma dei Trattati, compreso il famigerato Patto di stabilità. Il consiglio dell’Unione europea e i

La Commissione europea ha presentato una bozza di riforma della governance economica delle istituzioni comunitarie. Il Parlamento europeo ha approvato la riforma dei Trattati, compreso il famigerato Patto di stabilità. Il consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo hanno siglato un nuovo Patto migrazioni e asilo. Mario Draghi ha avuto dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’incarico di mettere a punto un progetto sulla competitività dell’industria comunitaria. La guerra in Ucraina e il possibile disimpegno americano dalla Nato rendono quantomai urgente il tema della Difesa comune europea. Il Green Deal mostra luci e ombre e richiede con tutta evidenza una revisione strategica anche alla luce delle sue implicite conseguenze geopolitiche…

Sono tutti temi recenti. Temi che incombono sul futuro dell’Unione e che toccano direttamente l’interesse nazionale degli Stati membri. Temi che, se la politica fosse una cosa seria, verrebbero sviscerati dai partiti nella campagna elettorale per le elezioni europee di giugno. E invece… Invece, di tutto si parla tranne che di questi argomenti.

Si parla molto di chi, non si parla affatto di cosa. Si attende l’annuncio della candidatura di Giorgia Meloni al pari di quello di Elly Schlein in ossequio ad un antico malcostume che vede i leader politici nazionali concorrere ad incarichi che non andranno a ricoprire. Mentre, ed anche questo è un antico malcostume tipicamente italiano, chi verrà eletto a Bruxelles impegnerà le proprie migliori energie non nell’attuare politiche europee all’europarlamento, ma nel tentativo di rientrare al più presto in patria con la casacca del parlamentare nazionale. La logica è quella domestica. Una logica politicistica, per cui l’unica cosa che conta è la conta. La conta in sé: la conta dei voti che i singoli partiti otterranno e i conseguenti rapporti di forza nelle e tra le coalizioni. I voti intesi come fine ultimo delle elezioni, non come mezzo per realizzare delle politiche precise.

Poi, certo, entrando nel vivo la campagna elettorale si occuperà anche di Europa. Ma c’è da credere che la maggior parte dei leader e dei singoli candidati lo faranno alimentando il latente euroscetticismo dell’elettorato. Soprattutto quello di centrodestra. Si farà così un danno, un danno di immagine, all’Europa e si impedirà all’elettore di esprimere il proprio voto sulla base di un ponderato esame delle singole posizioni relative ai temi imprescindibili oggi al vaglio delle istituzioni europee. Come se non ci riguardassero. Come se l’Europa non fossimo noi.

Formiche.net

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Prosegue senza sosta l’iniziativa del governo Meloni per favorire l’estensione del lavoro precario. È della leghista Tiziana Nisini la manina che ha colto


Raymond Aron, lungimiranza di un liberale realista


Quando, alla fine degli anni ’60, esplose la contestazione studentesca con quel che seguì in tutta Europa, negli ambienti della parigina Rive Gauche era diffuso uno slogan: “Meglio aver torto con Sartre piuttosto che aver ragione con Aron”. Oggi nessuno v

Quando, alla fine degli anni ’60, esplose la contestazione studentesca con quel che seguì in tutta Europa, negli ambienti della parigina Rive Gauche era diffuso uno slogan: “Meglio aver torto con Sartre piuttosto che aver ragione con Aron”. Oggi nessuno vorrebbe sottoscrivere una affermazione del genere. Mentre il ricordo di Jean-Paul Sartre è ridotto al rango di testimonianza delle illusioni delle prime generazioni del dopoguerra, la considerazione per il pensiero di Raymond Aron (1905-83) è andata crescendo e consolidandosi nel tempo, un po’ ovunque. E ciò sia pure attraverso “letture” diverse della sua speculazione.

Come fa notare Agostino Carrino nel recente saggio Raymond Aron (IBL Libri, pagg. 172, euro 14) di “letture” se ne potrebbero individuare almeno tre: neokantiana, neoaristotelica e machiavelliano-tocquevilliana. Ma io credo che al di là delle etichette il carattere immediatamente riconoscibile della speculazione aroniana sia il realismo politico. Egli infatti si è formato sul pensiero dei grandi maestri del realismo, da Machiavelli a Tocqueville fino a Weber. E ciò anche se l’incontro intellettuale per lui più stimolante e denso di conseguenze fu proprio quello con Max Weber (1864-1920), avvenuto nella Germania weimariana dell’inizio degli anni ’30.

Aron era giunto a Berlino da Parigi con un dottorato e un bagaglio di frequentazioni intellettuali – da Sartre a Nizan, da Lagache a Marrou – varie e interdisciplinari. A Berlino scoprì la filosofia tedesca: le sue letture oscillarono attorno a due poli: Husserl e Heidegger da una parte, e i sociologi, la scuola neokantiana, Rickert e Weber, dall’altra parte. Weber, che proveniva dal neokantismo, lo affascinò per la sua visione della storia universale, l’attenzione all’epistemologia, le riflessioni sulla condizione esistenziale dell’individuo. In tarda età, ricordando quell’esperienza, egli avrebbe scritto che “leggendo Max Weber” gli sembra di sentire “i frastuoni, gli scricchiolii della nostra civiltà”.

La lezione weberiana, soprattutto, gli fece scoprire due imperativi ai quali egli, Aron, avrebbe sempre conformato la propria condotta di studioso e di commentatore: da un lato, la volontà di osservare e cogliere la verità nel reale e, dall’altro lato, l’intenzione di agire come uno spectateur engagé. In Germania potè assistere alla fine della Repubblica di Weimar, una repubblica – come si disse allora – senza repubblicani: una repubblica – lo avrebbe scritto nelle sue memorie – dominata da una intellighenzia di sinistra che “odiava troppo il capitalismo e non temeva abbastanza il nazismo” per assumersi la difesa del regime. L’avvento al potere di Hitler cominciò a farlo riflettere: rimase colpito dalla naturalezza o indifferenza con cui i tedeschi accoglievano il brulicare di uniformi brune nella capitale.

A quell’epoca Aron si professava ancora progressista, temeva contatti e collusioni con la destra, continuava a frequentare i colleghi di studio impegnati a sinistra. Poi, a chi gli rimproverava certi ambigui compagni di viaggio, avrebbe risposto: “Si scelgono gli avversari, non si scelgono gli alleati”. Rientrato in Francia, il recupero del patriottismo dell’infanzia e della famiglia in opposizione al pacifismo e al mal definito socialismo era cosa fatta. Gli anni in Germania avevano avuto grande peso nella sua educazione politica perché si era reso conto che la politica è irriducibile alla morale. Il nazismo gli aveva mostrato la “potenza delle forze irrazionali” e Weber gli fece capire che bisognava prestare attenzione non tanto alle “proprie intenzioni” quanto alle “conseguenze delle proprie scelte”.

Nel ’38 Aron pubblicò un libro di grande interesse: Introduzione alla filosofia della storia. Accanto alla teorizzazione del relativismo storico e al rigetto di ogni concezione deterministica del divenire, vi sosteneva una tesi che ne chiarisce le scelte intellettuali. Per poter “pensare politicamente” in una società – osservava – è necessario optare prima fra l’accettazione e il rifiuto del tipo di società nella quale si vive. Aron optò in favore della società democratico-liberale e l’intera sua produzione è divenuta una sorta di filosofia della libertà, un inno alla libertà.

Come ben dimostra Carrino, Aron può essere definito “un liberale realista”, nemico di ogni dogmatismo ideologico. Le sue opere – dal celeberrimo L’oppio degli intellettuali (1953), impietoso saggio di critica al comunismo e alle utopie progressiste, pubblicato un anno prima del discorso di Kruscev al XX congresso del Pcus, fino alle ultime, tra cui mi piace ricordare il bellissimo In difesa di un’Europa decadente (1977) – sottintendono questa scelta di campo in favore della vecchia cara Europa, minacciata dal pericolo di autodistruzione da quando il morbo del “sinistrismo” si era impadronito della sua classe intellettuale impedendole equità e chiarezza di giudizio.

Per Aron l’anticomunismo fu un punto fermo: “lo professo senza rimorsi”, scrisse. Lucido e impietoso analista della politica, Aron in fondo, malgrado la sua vicinanza al gollismo da un certo momento in poi, non svolse mai attività politica vera e propria, neppure come consigliere di un principe. Eppure, il peso delle sue teorie si è fatto sentire e continuerà a farsi sentire.

La schiera dei suoi allievi e continuatori è molto nutrita: da Jean-Claude Casanova, che dirige la bella rivista Commentaire fondata da Aron nel ’76, a Pierre Manent, dal grande storico François Furet ad Alain Besançon sino alla figlia Dominique Schnapper, sociologa e politologa di fama internazionale. Non fu per caso – mi sembra – che Henry Kissinger gli inviò una copia dei suoi ricordi apponendovi questa dedica: “To my teacher”, al mio maestro. Meglio non si sarebbe potuto omaggiare un pensatore come lui che novello Tocqueville ci aiuta non soltanto a penetrare nei recessi più segreti del nostro tempo, ma anche a liberarci dai cascami ideologici del secolo passato.

Il Giornale

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Muoiono pazienti nell’ospedale Nasser, sotto il controllo completo dell’esercito israeliano


Il Ministero della Sanità palestinese ha chiesto l'intervento della comunità internazionale per salvare i pazienti e del personale medico e "prima che sia troppo tardi" L'articolo Muoiono pazienti nell’ospedale Nasser, sotto il controllo completo dell’es

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AGGIORNAMENTI


Ore 12

Il Ministero della Sanità ha fatto sapere che un quinto paziente dell’ospedale Nasser è morto a causa della mancanza di elettricità, che non consente l’utilizzo dei macchinari medici essenziali per la sopravvivenza delle persone in terapia intensiva.


Pagine Esteri, 16 febbraio 2024. L’esercito israeliano ha preso il totale controllo dell’ospedale Nasser a Khan Younis. Sei pazienti di terapia intensiva e tre neonati potrebbero morire da un momento all’altro a causa della mancanza di energia elettrica dovuta all’embargo israeliano durato settimane. Il Ministro della Sanità palestinese ha fatto sapere che i generatori hanno smesso di funzionare e che l’alimentazione elettrica è completamente interrotta. Questo significa che tutti i macchinari, compresi i respiratori e le incubatrici, hanno smesso di funzionare. Sono già quattro, secondo fonti mediche, i pazienti morti questa mattina nel reparto di terapia intensiva a causa della mancanza di ossigeno.

Il Ministero ha aggiunto che ritiene Israele responsabile della vita dei pazienti e dello staff medico, dato che l’ospedale è sotto il completo controllo dell’esercito. Aggiungendo che due donne, in queste ore, hanno partorito in condizioni “disumane”, senza acqua, cibo né supporto medico adeguato, mentre l’esercito sta trasformando l’edificio del reparto maternità in una sala operativa militare, costringendo tutti i pazienti a lasciare l’ala dell’ospedale.

Il Ministero palestinese ha fatto appello alla comunità internazionale, perché “intervenga per salvare i pazienti e i medici dell’ospedale Nasser prima che sia troppo tardi“.

Il portavoce dell’esercito israeliano, Daniel Hagari, ha dichiarato che fino ad ora non sono state trovate prove che dimostrino che Hamas abbia nascosto ostaggi nella struttura sanitaria. In realtà, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, i militari non starebbero cercando persone vive ma solo i corpi di alcuni ostaggi morti a Gaza, secondo informazioni che affermano di aver ricevuto da un prigioniero palestinese sotto interrogatorio.

In tarda mattinata l’esercito ha fatto sapere di aver arrestato decine di persone all’interno dell’ospedale, definendole “terroristi di Hamas”. Tra i fermati ci sarebbero anche medici che lavorano nella struttura.

Hamas ha dichiarato di non aver mai utilizzato l’ospedale a scopi militari e ha sottolineato di aver più volte chiesto all’ONU e alle organizzazioni internazionali di formare una commissione di inchiesta indipendente che potesse verificare le accuse accedendo liberamente al nosocomio. A tale richiesta non sarebbe mai seguita una risposta.

Intanto, nelle ultime 24 ore, sono state 112 le persone uccise nella Striscia di Gaza e 157 i feriti. Il totale delle vittime è salito a 28.775 persone.

LEGGI LE NOTIZIE DELL’ASSEDIO DELL’OSPEDALE NASSER

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In Cina e Asia – Tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia


In Cina e Asia – Tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia
I titoli di oggi: Tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia Finanza, Micheal Burry scommette su big tech cinesi nonostante calo delle azioni Spring festival, per i giovani è l’occasione per cambiare tradizioni Cina, tour di Wang Yi in Europa. Tappe in Germania, Spagna e Francia Capodanno lunare, Shanghai “importa” manodopera dalle zone rurali per sostenere ...

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28 ONG esortano le autorità di protezione dei dati dell'UE a respingere il "paga o va bene" su Meta Il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) emetterà presto quello che probabilmente sarà il suo parere più significativo fino ad oggi Bathtup Pay or Okay


noyb.eu/it/28-ngos-urge-eu-dpa…



Immagina essere trattati come bimbi scemi da un manipolo di criminali usurai che vivono nel lusso a Bruxelles e ci impongono cosa ascoltare o leggere…immagina




L’ingiustizia economica si sta radicando nel mondo arabo


Il Medio Oriente e il Nord Africa sono caratterizzati da disuguaglianze che avranno profonde conseguenze sulla crescita economica, sulla coesione sociale e, in ultima analisi, sulla stabilità politica della regione. L'articolo L’ingiustizia economica si

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di Nur Arafeh* – carnegie-mec.org

(traduzione di Federica Riccardi, foto di Adelita Mead)

Il malcontento socio-economico è aumentato in diversi paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Nel 2019 si è registrata un’ondata di proteste in paesi, tra cui Sudan, Iraq, Libano, Marocco, Giordania e Algeria, che non hanno vissuto le rivolte arabe del 2010-2011. Oltre a rivendicare cambiamenti nei loro sistemi politici, i manifestanti chiedevano una revisione completa dei sistemi economici, denunciando l’impennata dei prezzi, le disparità di ricchezza, l’appropriazione delle risorse e dei flussi di rendita da parte delle élite e l’assenza di giustizia economica.

Il Medio Oriente e il Nord Africa sono caratterizzati da una disuguaglianza economica eccezionalmente elevata rispetto ad altre regioni del mondo. La pandemia COVID-19, la guerra in Ucraina e le conseguenti crisi del debito, del cibo e dell’energia che hanno colpito la regione hanno ulteriormente esacerbato le disparità socioeconomiche. Ciò ha lasciato i segmenti più vulnerabili ed emarginati della popolazione a fronteggiare la scarsità di cibo, le fluttuazioni dei prezzi, l’aumento delle temperature dovuto ai cambiamenti climatici, la scarsità d’acqua, il degrado del territorio e la limitata spesa governativa per i servizi pubblici. La lotta alle disuguaglianze non è stata una priorità dei governi della regione. Tuttavia, dovrebbe esserlo, viste le implicazioni per la crescita economica, la coesione sociale e il potenziale indebolimento delle istituzioni rappresentative e il conseguente consolidamento dei regimi populisti.

LA REGIONE PIÙ DISEGUALE DEL MONDO

La regione del Medio Oriente e del Nord Africa è tra le più diseguali al mondo. Uno studio, che ha cercato di misurare l’entità e l’evoluzione della concentrazione del reddito nella regione tra il 1990 e il 2016, ha rilevato che circa il 64% del reddito totale è andato al 10% dei percettori di reddito, rispetto al 37% dell’Europa occidentale, al 47% degli Stati Uniti e al 55% del Brasile. Nel frattempo, il 50% della popolazione della regione ha ricevuto solo il 9% del reddito complessivo, rispetto al 18% in Europa.

Questi alti livelli di concentrazione del reddito derivano sia dalla disuguaglianza all’interno dei paesi che tra i paesi stessi, in particolare tra gli stati più ricchi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) e altri stati con popolazioni più numerose. Tuttavia, anche escludendo i paesi del CCG dall’analisi, i livelli di disuguaglianza rimangono molto elevati, con il 10% dei percettori di reddito che riceve più del 50% del reddito regionale totale per tutto il periodo 1990-2016. Il divario di reddito è evidente anche se si guarda al coefficiente Gini in Medio Oriente e Nord Africa, che misura il grado di disuguaglianza economica nei paesi. Tra il 2015 e il 2020, il coefficiente Gini è rimasto nell’intervallo tra il 65% e il 75% in diversi paesi arabi, con il 100% che riflette la massima iniquità.

Queste tendenze dei livelli di disuguaglianza sono state associate a una contrazione della classe media nella regione. La dimensione della classe media ha iniziato a diminuire intorno al 2013 ed è scesa al di sotto del 40% negli ultimi anni, mentre i paesi, soprattutto quelli a basso e medio reddito (LMIC), sono alle prese, tra le tante sfide, con ricorrenti crisi del debito, austerità, aumento dei livelli di povertà, servizi pubblici sottofinanziati, distribuzione ineguale delle risorse, conflitti, aumento dell’economia informale, alti tassi di disoccupazione, sistemi fiscali iniqui e cambiamenti climatici.

Queste disuguaglianze si sono ulteriormente aggravate e consolidate durante la pandemia COVID-19, che ha colpito in modo sproporzionato le comunità più vulnerabili, tra cui i poveri, i rifugiati e coloro impegnati nel settore informale. Mentre 16 milioni di persone sono state spinte in condizione di povertà durante la pandemia, facendo salire il numero totale di indigenti nella regione a oltre 116 milioni, la metà più povera della popolazione del Medio Oriente e del Nord Africa ha visto la propria ricchezza ridursi di un terzo. Il residente medio della regione, a sua volta, ha visto una diminuzione della propria ricchezza di circa il 28%.

Nel frattempo, i ricchi della regione hanno aumentato il loro controllo su beni e società finanziarie. Tra il 2019 e il 2022 la loro ricchezza netta è aumentata del 60%, mentre i miliardari hanno beneficiato di un incremento del 22% del patrimonio, a testimonianza dell’acuirsi del divario in Medio Oriente e Nord Africa a seguito della pandemia.

Ad esempio, mentre il crollo economico e finanziario del Libano dal 2019 ha fatto cadere in povertà il 60% della popolazione, la ricchezza netta delle persone più ricche del Paese è quasi raddoppiata tra il 2020 e il 2022. Allo stesso modo, mentre l’Egitto è alle prese con una crisi del debito e del costo della vita, i ricchi hanno visto la loro ricchezza aumentare di oltre la metà nello stesso periodo, proprio come in Giordania. Secondo il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale, i paesi arabi rappresentano la metà dei sedici paesi del mondo che, dopo la pandemia, hanno registrato l’aumento più significativo della disuguaglianza in termini di distribuzione della ricchezza.

L’estremo livello di concentrazione della ricchezza nella regione è evidenziato dal fatto che la ricchezza combinata dei tre individui più facoltosi della regione, pari a 26,3 miliardi di dollari durante la pandemia, ha superato la ricchezza totale dei 222,5 milioni di cittadini più indigenti, pari a 25,5 miliardi di dollari.

Questi alti livelli di iniquità sono ulteriormente aggravati dall’impennata del debito nella regione. A ciò si aggiungono la riduzione dello spazio fiscale, gli alti tassi di inflazione, le svalutazioni monetarie e la crisi del costo della vita, che hanno caratterizzato il Medio Oriente e il Nord Africa (in particolare i paesi a basso reddito) negli ultimi anni, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.

PERCHÉ LA DISUGUAGLIANZA È IMPORTANTE

Affrontare la disuguaglianza dovrebbe essere una preoccupazione cruciale per i paesi della regione, che hanno però ampiamente trascurato il problema. Il motivo per cui è prioritario ridurre le disuguaglianze è che riguardano la giustizia sociale, ma anche perché le disparità socioeconomiche hanno profonde conseguenze economiche, sociali e politiche che influenzeranno lo sviluppo a lungo termine del Medio Oriente e del Nord Africa.

La disuguaglianza economica è un fattore causale strutturale dell’instabilità globale e delle crisi finanziarie. È stato dimostrato che si traduce in strutture economiche instabili e meno efficienti, che soffocano la crescita economica e la partecipazione delle persone al mercato del lavoro. Poiché i ricchi, che detengono una quota maggiore di reddito, tendono a spendere una parte minore del loro reddito rispetto ai poveri, la distribuzione ineguale del reddito finisce per diminuire la domanda aggregata e può quindi ostacolare la crescita economica. La disuguaglianza economica pregiudica anche gli sforzi di riduzione della povertà e porta alla perdita del potenziale produttivo e a un’allocazione inefficiente delle risorse.

Sul fronte sociale, questi divari economici sono riconosciuti per i loro effetti sulla mobilità sociale, portando alla trasmissione di opportunità diseguali da una generazione all’altra. Inoltre, crea trappole della povertà, in cui gli individui che si trovano all’estremità inferiore dello spettro di reddito rimangono intrappolati in un ciclo di indigenza, poiché l’assenza di risorse porta a ulteriori limitazioni delle stesse.

In particolare, in Medio Oriente e Nord Africa, la concentrazione del reddito e della ricchezza nelle mani di pochi ha portato all’emergere di una società duale, in cui una categoria di persone può accedere a servizi privati di buona qualità, come l’istruzione, la sanità e altri servizi di base, mentre un’altra può accedere solo a servizi di base di qualità molto inferiore, solitamente forniti in modo inadeguato dal settore pubblico. Creando scissioni all’interno della società, la disuguaglianza economica erode il senso di comunità, riduce la coesione sociale e alimenta tensioni e conflitti, aprendo la strada alla disintegrazione della società, ai disordini politici e a una generale precarietà.

Combattere l’elevata disuguaglianza è fondamentale anche perché, con le fratture che crea all’interno dell’economia e della società, è stata associata all’emergere di plutonomie, sistemi in cui un piccolo segmento ricco della popolazione beneficia principalmente della crescita economica. Poiché la distribuzione del reddito e della ricchezza determina in larga misura la distribuzione del potere nei sistemi politici, questo porta a due risultati.

In primo luogo, si crea un circolo vizioso in cui la disuguaglianza economica porta alla disuguaglianza politica, permettendo ai ricchi di usare il potere politico per radicare i loro interessi economici nelle istituzioni sociali e proteggere così il loro status, il che non fa che rafforzare ulteriormente le disuguaglianze economiche. Questo fenomeno viene talvolta definito “trappola della disuguaglianza“, che permette di evitare che i ricchi scivolino verso il basso nella scala socioeconomica, impedendo al contempo la mobilità verso l’alto degli indigenti.

Un secondo risultato è che la disuguaglianza politica, in un momento in cui le disparità economiche sono più accentuate, mette sempre più a rischio le istituzioni rappresentative ed erode la fiducia nelle istituzioni pubbliche. Diversi studi hanno infatti dimostrato che la disuguaglianza economica tende a rafforzare il potere autocratico ed è uno dei fattori chiave alla base del malcontento popolare e del crescente populismo nel mondo. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare che in Medio Oriente e in Nord Africa l’aumento della disuguaglianza possa essere un fattore trainante dell’ondata degli uomini forti in politica e del crescente successo di figure populiste che capitalizzano il risentimento e la frustrazione della popolazione.

Senza politiche efficaci, gli attuali alti livelli di disuguaglianza non solo persisteranno, ma molto probabilmente aumenteranno ulteriormente. Il cambiamento climatico rischia di esacerbare questa tendenza, poiché colpirà in modo sproporzionato i poveri e i più vulnerabili, che sopporteranno il peso dell’aumento delle temperature, del degrado dei terreni e dei problemi legati alla disponibilità e ai prezzi del cibo. Anche l’intelligenza artificiale, le tecnologie digitali emergenti e l’automazione potrebbero aggravare le disuguaglianze, in quanto potrebbero aumentare in modo sproporzionato i guadagni dei lavoratori ad alto reddito e dei proprietari di capitali.

Pertanto, è della massima urgenza affrontare la disuguaglianza nella regione intraprendendo serie riforme strutturali radicate nel perseguimento della giustizia economica. Una riforma urgente, tra le tante, prevede l’ampliamento dello spazio fiscale e il potenziamento della mobilitazione delle risorse interne, soprattutto allargando la base imponibile e rendendo il sistema fiscale più progressivo per garantire una struttura fiscale più equa. La diversificazione delle fonti di finanziamento pubblico consentirebbe agli stati di aumentare la spesa per la sicurezza sociale, l’assistenza sociale e l’istruzione, che sarebbero fondamentali per migliorare il benessere sociale e combattere le diverse dimensioni della disuguaglianza.

In assenza di tali riforme, e in presenza di un continuo disinteresse dei governi per il problema della disuguaglianza, si profila all’orizzonte una crisi significativa per la regione.

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carnegie-mec.org/2024/02/02/ec…

*Nur Arafeh è borsista presso il Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center, dove il suo lavoro si concentra sull’economia politica della regione MENA, sulle relazioni tra imprese e Stati, sulle strategie di costruzione della pace, sul nesso sviluppo-sicurezza e sulle questioni tra Palestina e Israele.

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VERSIONE ITALIANA UE, LA COMMISSIONE ESCLUDE ALCUNI PRODOTTI APPLE E MICROSOFT DAL DIGITAL MARKET ACTSecondo la Commissione europea i servizi di messaggistica iMessage di Apple e di ricerca Bing, browser Edge e servizio di pubblicità online di Microsoft non soddisfano i criteri per essere considerati “servizi gatekeeper” secondo quanto stabilito dal Digital Markets Act (DMA), …

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Draghi: “I Paesi europei sono troppo piccoli da soli. Devono capirlo anche gli isolazionisti”. Per cui Draghi, consapevole di questa piccolezza e debolezza, ha fatto di tutto perché l’Europa si impegnasse in uno scontro all’ultimo sangue con la Russia che ha infinite risorse e 6000 testate nucleari. Draghi è un po’ il Zelensky d’Italia: un uomo totalmente incapace di guidare un Paese perché assolutamente non capace di calcolare correttamente i rapporti di forza tra gli Stati.
Ma scusa, caro Draghi, tu sai che l’Europa è piccola e debole e la getti in una guerra a rischio nucleare con la Russia?
A causa della guerra in Ucraina, l'Europa è più debole e piccola di prima.
Alessandro Orsini


Un'agenzia di credito tedesca guadagna milioni grazie alla manipolazione illegale dei clienti L'azienda utilizza disegni manipolativi per impedire alle persone di ottenere una copia gratuita dei loro dati in conformità con la legge SCHUFA Complaint


noyb.eu/it/german-credit-agenc…



Chi è Carmine Masiello, nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito


Sarà il generale Carmine Masiello il nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito. L’avvicendamento con il generale Pietro Serino avverrà nel giro di un paio di settimane, con la scadenza del mandato triennale (fissata al 27 febbraio). La nomina da parte de

Sarà il generale Carmine Masiello il nuovo capo di Stato maggiore dell’Esercito. L’avvicendamento con il generale Pietro Serino avverrà nel giro di un paio di settimane, con la scadenza del mandato triennale (fissata al 27 febbraio). La nomina da parte del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Guido Crosetto. Sulla tabella di marcia di Serino il compito di guidare l’Esercito in un contesto complesso per la Difesa italiana, nel contrasto a minacce in rapida evoluzione, in vista soprattutto del processo di modernizzazione dei sistemi e delle dottrine dell’Esercito per il prossimo futuro, a partire dalla modernizzazione delle piattaforme e dei sistemi d’arma nel nuovo paradigma del multidominio.

Il profilo

Nato il 28 giugno 1963 a Casagiove, in provincia di Caserta, il generale Masiello è sottocapo di Stato maggiore della Difesa. In precedenza è stato vice direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza dal 2018. Dal 2016 al 2018 è stato consigliere militare del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Ufficiale di artiglieria, ha iniziato la sua carriera nel 185º reggimento artiglieria paracadutisti Folgore. Tra gli incarichi svolti, è stato capo Ufficio generale del capo di Stato maggiore dell’Esercito dal 2011 al 2015, e successivamente della Difesa fino al 2016. Tra i ruoli operativi, il generale Masiello ha comandato il Regional Command West in Afghanistan dall’aprile al settembre 2011, e la brigata paracadutisti Folgore, dove in precedenza aveva comandato il 185º Reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi “Folgore”

L’eredità

Serino prenderà il posto del generale Serino, arrivato a palazzo Esercito nel 2021, dopo tre anni come capo di gabinetto del ministro della Difesa da ottobre 2018, con Elisabetta Trenta e poi Lorenzo Guerini. Serino lascerà il vertice della Forza armata in un momento di profonda modernizzazione per l’intera Difesa italiana, e in particolare per la dimensione terrestre. La guerra in Ucraina ha riportato l’attenzione sull’importanza che le forze di terra ancora rivestono all’interno della pianificazione operativa dei conflitti, ma le nuove tecnologie impiegate sui campi di battaglia dell’Europa orientale sottolineano al contempo l’importanza di avere messi terrestri moderni e dotati delle nuove tecnologie all’avanguardia per essere interconnessi e capaci di agire nel multidominio.

Esercito 4.0

Il generale Serino lascia in eredità anche il concept paper Esercito 4.0, presentato a settembre 2022, nel quale si indicano i prossimi passi per l’evoluzione della Forza armata. “Lo scoppio di una guerra convenzionale a poche centinaia di chilometri dai nostri confini ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la rinnovata esigenza di assicurare alla Difesa uno strumento terrestre credibile, efficace, pronto e, se necessario, in grado di combattere in ambienti in continua evoluzione”, spiega infatti l’ex capo di Sme nel teso. Il documento individua cinque macro-aree su cui concentrare risorse e impegno nel medio periodo: manovra a contatto, in profondità e nella terza dimensione, difesa integrata e logistica distribuita. “Tale sviluppo non potrà prescindere dalla consapevolezza dell’ingresso ‘prepotente’ nella condotta delle operazioni dei nuovi domini cyber e spazio, nonché della combinazione di opportunità e insidie che li caratterizza”.

Prossimi programmi

Tra principali programmi che dovranno essere portati avanti dal generale Masiello, spicca quello della modernizzazione della componente da combattimento pesante, dai mezzi corazzati per la fanteria fino ai carri armati. L’Italia, infatti, sta modernizzando i propri carri Ariete e a partire da quest’anno saranno acquistati i carri armati Leopard 2A8. A questo si accompagna il progetto di sviluppo della futura generazione di piattaforme per veicoli blindati, tra le quali l’Mgcs (Main ground combat system) – progetto franco-tedesco dal quale l’Italia è rimasta finora esclusa ma sul quale ci sono da tempo gli interessi della Difesa e dell’industria di settore – nella consapevolezza, più volte segnalata anche dai vertici della Difesa, che nessun Paese europeo può farcela da solo quando si tratta di programmi d’armamento di prossima generazione. Il livello tecnologico raggiunto da tutte le piattaforme, tra cui spicca la necessaria digitalizzazione e integrazione dei singoli sistemi all’interno del più grande e complesso scenario multidominio, richiedono infatti lo sforzo congiunto di più Paesi al fine di avere strumenti efficaci e sostenibili. Questa dimensione, inoltre, per quanto riguarda il settore terrestre, non si limita ai soli carri armati, investendo direttamente anche i veicoli blindati per la fanteria, così come i sistemi di difesa contraerea terrestri e le piattaforme elicotteristiche per il supporto alle forze di terra.

Una “Legge terrestre”

Sul potenziamento della capacità di combattimento pesante dell’Esercito si concentra anche l’ultimo Documento programmatico della Difesa 2023-2025 presentato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto. Quello che emerge dai numeri e dalle impostazioni del Dpp, infatti, è lo sforzo di ammodernamento e potenziamento dello strumento militare, chiamato ad affrontare il ritorno della sfida convenzionale nell’orizzonte delle minacce, e per la quale le Forze armate devono essere messe nelle condizioni di affrontarla. Uno sforzo che segue anni di focus sui conflitti a bassa intensità e operazioni di contro-insorgenza. Tra i principali gap individuati, e da tempo segnalati dall’intero comparto militare, c’è l’adeguamento della componente pesante delle forze di terra in ogni sua parte, che infatti registra la maggior parte dei programmi di previsto avvio (budget complessivo di quattro miliardi e 623 milioni), a cominciare dall’acquisto dei carri armati da battaglia Leopard 2 e dai veicoli da combattimento per la fanteria Aics (Armored infantry combat system), che dovranno sostituire i Dardo. Due programmi che insieme valgono circa dieci miliardi di euro.

Verso un polo terrestre?

Inoltre, il ministro della Difesa ha di recente registrato come proprio nel settore terrestre l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista collaborando con le realtà industriali del Vecchio continente in vista del rafforzamento della difesa europea. Crosetto ha infatti sottolineato come tutti i governi abbiano fatto “interventi che consentono all’Italia di avere un potenziale investimento che permette alla nostra industria di consolidarsi e fare alleanze europee”. Proprio riferendosi alla scelta del carro armato tedesco Leopard, il ministro aveva auspicato la “potenziale creazione di un polo terrestre italo-franco- tedesco”.


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Presentazione del libro “Epicarmo Corbino e le delizie del protezionismo”


INTERVERRANNO ANTONIO MAGLIULO, Università di Firenze ROBERTO RICCIUTI, Università di Verona LUCA TEDESCO, Università Roma Tre MODERA SIMONE MISIANI, Università di Teramo L'articolo Presentazione del libro “Epicarmo Corbino e le delizie del protezionismo

INTERVERRANNO
ANTONIO MAGLIULO, Università di Firenze
ROBERTO RICCIUTI, Università di Verona
LUCA TEDESCO, Università Roma Tre

MODERA
SIMONE MISIANI, Università di Teramo

L'articolo Presentazione del libro “Epicarmo Corbino e le delizie del protezionismo” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



LIBANO. 10 civili, tra cui cinque bambini, uccisi da raid aerei israeliani


"Il nemico pagherà il prezzo di questi crimini", ha minacciato un alto rappresentante di Hezbollah, Hassan Fadlallah. L'articolo LIBANO. 10 civili, tra cui cinque bambini, uccisi da raid aerei israeliani proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.i

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 15 febbraio 2024 – Il movimento sciita Hezbollah ha avvertito oggi che Israele “pagherà il prezzo” dell’uccisione di 10 civili, tra cui cinque bambini, nel sud del Libano, il giorno più sanguinoso per i civili libanesi in quattro mesi di scontri lungo il confine libanese-israeliano. Sette civili sono stati uccisi a Nabatieh ieri sera, quando un attacco israeliano sulla città meridionale ha colpito un edificio a più piani. I morti appartenevano alla stessa famiglia allargata e includevano tre bambini. Altre tre civili, una donna e i suoi figli, erano stati uccisi poco prima a Suwaneh. Almeno tre i militanti di Hezbollah uccisi, tra cui, pare, un comandante militare.

Ieri una militare israeliana era stata uccisa da razzi lanciati dal Libano contro una base dell’esercito a Safed, in Galilea. Altre otto persone erano rimaste ferite.

Poco dopo jet da combattimento israeliani hanno martellato con bombe e missili il Libano del sud, prendendo di mira in particolare Nabatieh e le zone di Jubal Safi, Kfar Dunin, Basliya, Sawana e Adashit Al Qusayr.

“Il nemico pagherà il prezzo di questi crimini”, ha detto oggi un alto rappresentante di Hezbollah, Hassan Fadlallah, aggiungendo che il movimento sciita ha il “diritto legittimo di difendere il suo popolo”.

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In Israele si levano alte le voci che chiedono una guerra aperta al Libano e ad Hezbollah. Il capo del Consiglio regionale di Mateh Asher, Moshe Davidovich, che è anche presidente di un forum delle città al confine settentrionale, ha chiesto al governo “di svegliarsi”. Senza sicurezza, non c’è il nord”, ha aggiunto.

Il capo del consiglio regionale di Merom HaGalil, Amit Sofer, ha invitato le forze armate a colpire con forza Hezbollah “dal confine fino al fiume Litani”. Secondo Sofer è necessario creare una zona smilitarizzata nel sud del Libano.

Hezbollah ieri aveva avvertito che gli attacchi israeliani «non rimarranno senza risposta». Secondo un suo dirigente Hashem Safieddin «Alcuni immaginano di poter raggiungere obiettivi che non sono riusciti a raggiungere, né nel 2006, né tra il 2006 e il 2023». Ma, ha aggiunto Safieddin, «ancora una volta si sbagliano…il nemico non raggiungerà nessuno dei suoi obiettivi perché la Resistenza è e sarà presente, forte e pronta, su tutti i fronti». Si è riferito alle richieste fatte dal gabinetto di guerra israeliano e all’iniziativa francese per riportare la calma al confine tra il Libano e lo Stato ebraico. Tutto questo, spiegava ieri il quotidiano di Beirut, Al Akhbar, vicino a Hezbollah, nascerebbe dall’idea che Israele sia il vincitore del conflitto in corso e che, pertanto, il movimento sciita dovrà fare concessioni perché «sconfitto». Secondo il giornale, la Francia cerca di affermare un suo ruolo di mediazione tra Israele e Hezbollah. In realtà, aggiunge, non farebbe altro che rappresentare le condizioni poste da Tel Aviv.

Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri francese Stephane Sigourney è arrivato a Beirut, portando la proposta di Parigi. Il documento di due pagine dal titolo «Accordi di sicurezza tra Libano e Israele» punta, con un processo in tre fasi, all’applicazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiuse la guerra del 2006 tra Israele ed Hezbollah. In particolare, all’arretramento delle posizioni e delle armi del movimento sciita di 10 chilometri dalla Linea Blu, il confine tra i due paesi, assieme al dispiegamento di 15.000 soldati dell’esercito libanese in ogni zona a sud del fiume Litani. In cambio, Israele cesserebbe i suoi attacchi. Hezbollah vede questa proposta come una «resa totale» alle condizioni del suo nemico e rifiuta l’iniziativa francese e le altre, sostanzialmente simili, presentate da altri paesi occidentali. Pagine Esteri

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The Mourning After - Lately / Quit Bazar 7"


Pronti alla bisogna per assolvere nel migliore dei modi tale irrinunciabile esigenza ecco qui per me e per noi tutti, direttamente da quel di Sheffield, i veterani e collaudatissimi Mourning After ed il loro 7" licenziato in questi giorni dalla Rogue Records.

iyezine.com/the-mourning-after…

#powerpop

@Musica Agorà

Musica Agorà reshared this.



“Mentre smantella l'automotive in Italia Stellantis si mantiene fedele alle peggiori tradizioni della Fiat che fu tristemente nota per licenziamenti politici

ricinch reshared this.

in reply to Rifondazione Comunista

ragazzi un certificato per il sito non farebbe proprio male. son pochi euro


di Roberto Musacchio - Karina Barley è la capolista della SPD alle prossime elezioni europee essendo già oggi vice presidente del Parlamento Europeo. Ha di
in reply to Rifondazione Comunista

siamo andando a tutta velocità verso un muro di cemento e nessuno rallenta anzi stanno col piede sull'acceleratore



Artico, Mediterraneo e non solo. Così il clima impatta sulla Difesa


Quando si parla di cambiamento climatico, la dimensione della difesa non è forse la prima che viene in mente. Tuttavia, gli impatti che l’incrementarsi delle modifiche all’ambiente terrestre hanno in tutti i livelli della sicurezza, da quello strategico f

Quando si parla di cambiamento climatico, la dimensione della difesa non è forse la prima che viene in mente. Tuttavia, gli impatti che l’incrementarsi delle modifiche all’ambiente terrestre hanno in tutti i livelli della sicurezza, da quello strategico fino al tattico, sono sempre più evidenti agli addetti ai lavori. Diffondere questa consapevolezza è stato l’obiettivo della conferenza “Le implicazione del cambiamento climatico sulle politiche di difesa e sicurezza” organizzato dal Centro studi militari aeronautici Giulio Douhet (Cesma) dell’Associazione arma aeronautica. Come registrato dal generale Luca Baione, rappresentante permanente d’Italia presso l’Organizzazione meteorologica mondiale, nella parte introduttiva del Concetto strategico della Nato approvato a giugno 2022 si legge: “Il cambiamento climatico è la sfida che definisce il nostro tempo, con impatti profondi sulla sicurezza alleata”. Come descritto nel documento, il cambiamento climatico ha impatti diretti anche sul modo in cui operano le forze armate, oltre che nello scenario globale. La conferenza è servita dunque ad analizzare questi impatti con una visione multidisciplinare attraverso le relazioni specialistiche del dottor Antonello Pasini, dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Cnr, del dottor Matteo Paonni, del Joint research centre della Commissione europea, e del professor Alberto Pirri, della scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

Secondo le previsioni, nel 2030 quasi un terzo degli otto miliardi e mezzo di umani vivrà in zone prive di accesso all’acqua. Si tratta di oltre due miliardi e mezzo di persone. Questa previsione lascia presagire le complessità che si svilupperanno da questa situazione, tra spinta alla migrazione e lotta per assicurarsi le risorse, fragilità che avranno effetti drammatici soprattutto il quadrante meridionale dello spazio euro-atlantico, con impatti profondi in tutta l’area del Mediterraneo. Dal mare nostrum all’Artico, il disgelo del Polo nord “consentirà l’avvicinamento di potenziali attori malevoli direttamente ai confini della Nato” ha sottolineato Baione, ricordando come anche sul versante tattico-operativo il clima avrà profonde conseguenze: “equipaggiamenti, sistemi e apparati soffriranno un maggiore stress dovuto al surriscaldamento delle aree d’operazione” e comporterà anche “l’esigenza di considerare dei periodi di permanenza dei contingenti militari perché sottoposti a condizioni di stress maggiori”.

Come sottolineato dal direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), l’ambasciatore Elisabetta Belloni, “il nesso fra cambiamento climatico, sicurezza e difesa ormai è un dato acquisito”, tuttavia, ha registrato l’ambasciatore, se “riflettere è certamente importante” è anche il momento di “cominciare a guardare agli strumenti che dobbiamo adottare per cercare di affrontarne le conseguenze”. “L’Intelligence – ha continuato Belloni – ha da tempo posto all’attenzione dei governi europei il tema” e già nel 2008 il rapporto dell’allora Alto rappresentante per la politica estera Javier Solana, sottolineava “l’impatto che il cambiamento climatico avrebbe avuto sulla sicurezza dei Paesi europei”. Naturalmente, l’effetto sui trend migratori è in cima alla lista di fragilità all’attenzione dei servizi di informazione, dato che il cambiamento climatico ha delle profonde implicazioni sulle condizioni di vita di numerose popolazioni che potrebbero costringerle a migrare. “Ma in realtà come Intelligence noi guardiamo moltissimo ad altri temi, ad esempio l’approvvigionamento energetico pulito” ha continuato Belloni, con “la transizione verso energie pulite [che] ci pone di fronte a dei rischi enormi, ad una competizione tecnologica che deve consentire al nostro Paese di essere al sicuro”.

“Sia come gestori della cosa pubblica, sia come gestori di aziende, abbiamo davanti un quadro dei rischi, e ci stiamo accorgendo che la dimensione geoclimatica si aggiunge come un fattore esasperante, perché quello che c’è di nuovo oggi è che i rischi si sovrappongono” ha detto il presidente dell’Ispi, Giampiero Massolo, registrando come ormai le relazioni e le interdipendenze tra Paesi non possano più basarsi esclusivamente sui confini di una cartina politica, ma “sono molto più immateriali di così, riguardano le grandi opere infrastrutturali, le grandi reti di comunicazione (come i cavi sottomarini), e le comunicazioni”. In questo quadro, il cambiamento climatico si inserisce esasperando i rischi. Allora, i Paesi europei si trovano in un momento nella necessità di mitigare i rischi del cambiamento climatico “in un momento in cui i nostri meccanismi tradizionali di meditazione stanno grippando” nel quale “il multilateralismo non è più visto come utile a risolvere le grandi crisi internazionali”. Per quanto riguarda il futuro, allora, “l’incorporazione della dimensione climatica nel discorso della difesa e sicurezza non può che rappresentare un obiettivo a cui tendere” ma rimane un discorso di lungo periodo “ci pensiamo, ma difficilmente a breve potremmo avere dei risultati concreti”.

Di quanto sia importante il ruolo del cambiamento climatico quale moltiplicatore di rischi anche a livello tattico, ne ha parlato il consigliere del ministro della Difesa, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, prendendo in considerazione un elemento cruciale come il meteo, che sarà fortemente modificato dagli effetti della crisi ambientale: “Se n’è accorto Napoleone dopo la battaglia di Waterloo: se avesse avuto un buon servizio metereologico forse avrebbe organizzato in modo diverso la propria tattica quel giorno”. Come ricordato ancora Talò, “è stato menzionato il Concetto strategico della Nato. Nello stesso anno anche l’Unione europea ha redatto e approvato un altro documento, la Bussola strategica. Entrambi stabiliscano quanto sia cruciale tener conto del cambiamento climatico nelle nostre strategie di sicurezza”. Il fattore ambientale per la difesa non è solamente un aspetto geopolitico od operativo, ma rischia di mettere a repentaglio lo stesso strumento della difesa. “Senza difesa e sicurezza – ha ribadito Talò – la nostra crescita economica non è assicurata, [invece] sono il presupposto per la crescita nazionale e internazionale”. In questo senso bisogna investire in sicurezza, ma per farlo bisogna cominciare a tenere conto del quadro reso più complesso dal cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti militari del futuro. “Un camion militare, un carro armato, un aereo militare, una nave” hanno un impatto maggiore rispetto a piattaforme civili “è evidente che ci sono dei costi ambientali, ma senza sicurezza non si va da nessuna parte”. Per questo, in queto quadro, “la politica deve contemperare l’agire con la saggezza”, investendo in maniera corretta, senza però lasciarsi frenare dalle complessità.

Quali sono, allora, i problemi che bisogna tenere a mente per preparare lo strumento militare a quelli che saranno i nuovi paradigmi della difesa e della sicurezza? A porre la domanda è stato il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, il generale Luca Goretti, concludendo la giornata. Alcuni esempi già esistono, come il biocarburante “per vedere se effettivamente siamo in grado di poter produrre carburante che inquini meno” consapevoli che “un aereo per andare per aria ha bisogno di un motore che gira, e per girare ha bisogno di qualche cosa che produca energia”. Altri esempi sono l’uso del fotovoltaico e di sistemi di produzione di energia pulita nelle basi militari, con l’obiettivo di “trasformare tutto il parco infrastrutturale delle Forze armate in un’infrastruttura ecosostenibile”. Quello che i militari possono fare è prepararsi “per consentire ai decisori politici e ai cittadini di essere certi che la difesa nel complesso c’è, e ci sarà anche in futuro, con strumenti utili che serviranno per poter continuare a difendere la nostra libertà”.


formiche.net/2024/02/artico-me…



Trilogue deal: EU extends error-prone bulk chat control scanning of private messages by US internet companies


This morning, the EU Parliament and EU Council reached a trilogue agreement on the extension of the controversial, error-prone voluntary bulk scanning of private messages and photos for suspected content by …

This morning, the EU Parliament and EU Council reached a trilogue agreement on the extension of the controversial, error-prone voluntary bulk scanning of private messages and photos for suspected content by US internet companies such as Meta (Instagram, Facebook), Google (GMail) and Microsoft (X-Box) until April 2026 (so-called chat control 1.0 or interim ePrivacy derogation regulation). The deal is to be approved in a fast-track procedure before the European elections. The EU Parliament majority originally only wanted to extend the regulation by 9 months in order to switch as quickly as possible to targeted surveillance of suspects and a far more effective approach to protecting children, including by safer default settings and design of internet services, proactive searches for freely accessible CSAM, removal obligations and setting up an EU child protection centre. Instead, the EU Parliament today agreed to extend the status quo by more than twice the period of time originally envisaged.



Pirate Party MEP and digital freedom fighter Patrick Breyer, who is taking legal action against Meta’s scanning of direct messages, criticises: 



”The EU Parliament wants to end blanket chat controls that violate fundamental rights, but with today’s deal it is cementing them. The EU Parliament wants a much stronger and court-proof protection against child abuse online, but today’s deal achieves nothing at all to better protect our children. With so little fighting spirit, further extensions of the status quo are likely to follow and a better protection for our children is increasingly becoming unlikely. Victims of child sexual abuse deserve better! 



The EU Commission, EU governments and an international surveillance-industrial network have unfortunately succeeded in scaring the parliamentary majority about a supposed ‘legal gap’ as a consequence of phasing out bulk chat control mass surveillance. In reality, bulk scanning makes no significant contribution to saving abused children or convicting abusers, but instead criminalises thousands of minors, overburdens law enforcement officers and opens the door to arbitrary private justice by internet companies. If, according to the EU Commission, only one in four reports is relevant for the police, this means 750,000 leaked private beach photos, nude images and intimate coversations of Europeans without any law enforcement relevance every year. Our chats and photos are not safe in the hands of unknown moderators abroad and do not belong there. The EU regulation on voluntary chat control is obsolete and violates our fundamental right to privacy: Social networks that classify as ‚hosting services‘ do not need a regulation to screen public posts to begin with. And the error-prone scanning of private communications by Zuckerberg’s Meta group will soon be a thing of the past anyway thanks to the announced introduction of end-to-end encryption.

As a Pirate, I am working to stop the illegal bulk chat control scanning in court. We will be watching every move of the EU Commission which now has more time to find majorities in the EU Council in favour of the extreme dystopia of mandatory chat control 2.0 to destroy digital privacy of correspondence and secure encryption, including by manipulating critical EU states using infamous PR campaigns and misinformation.”

Today‘s agreement still requires approval by the EU Parliament and EU Council. At the beginning of March, the EU interior ministers will once again discuss the EU Commission’s parallel proposal to destroy digital privacy of correspondence and secure encryption (Chat Control 2.0 or permanent child sexual abuse regulation). So far, there has been no agreement between supporters and opponents among the EU governments, meaning that this project is on hold or possibly even dead.


patrick-breyer.de/en/trilogue-…



In Cina e Asia -Il Giappone non è più la terza economia mondiale


In Cina e Asia -Il Giappone non è più la terza economia mondiale giappone
I titoli di oggi: Il Giappone non è più la terza economia mondiale Indonesia, Prabowo annuncia la vittoria Accuse incrociate tra Cina e Taiwan dopo la morte di due pescatori cinesi Capodanno lunare, boom di viaggi ma ancora pochi turisti stranieri India, la protesta degli agricoltori arriva a Nuova Delhi Volkswagen accusata per le operazioni in Xinjiang annuncia colloqui con ...

L'articolo In Cina e Asia -Il Giappone non è più la terza economia mondiale proviene da China Files.



Catania. La scuola pubblica in mimetica normalizza la guerra l Contropiano

"Oltre ad una scuola sempre più aziendalizzata, che plasma il mondo studentesco allo sfruttamento schiavista del lavoro e alla precarietà lavorativa, c’è anche una scuola sempre più militarizzata. Tutto questo si traduce con la normalizzazione della guerra, della militarizzazione dei territori, e delle spese militari senza limiti."

contropiano.org/regionali/sici…



Africa. Cina a caccia di basi militari, Stati Uniti in allarme


La ricerca cinese di nuove basi navali in Africa occidentale allarma Washington. Mosca aumenta la cooperazione con il Sahel che hanno deciso di abbandonare il franco FCA a favore di una propria moneta comune L'articolo Africa. Cina a caccia di basi milit

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 15 febbraio 2024 – Nei mesi scorsi l’amministrazione Biden ha lanciato un’offensiva diplomatica ed economica nel continente africano allo scopo di controbilanciare la penetrazione cinese e russae di approfittare della ritirata francese per consolidare o guadagnare qualche posizione. Alla fine di gennaio il segretario di stato americano Antony Blinken ha compiuto il suo quarto tour africano visitando Capo Verde, l’Angola, la Costa d’Avorio e la Nigeria.

Pechino vuole estendere la presenza militare in Africa
I principali competitori geopolitici di Washington, però, non sono rimasti a guardare. Se la Russia ha scelto da tempo la carta militare per accreditarsi in Africa, sembra che ora anche la Cina voglia capitalizzare la sua enorme influenza economica per conquistare punti anche sul piano militare e dotarsi di infrastrutture stabili. Pechino è alla ricerca, in particolare, di approdi permanenti per la sua flotta da guerra nell’Africa Occidentale dopo averne ottenuto anni fa uno a Gibuti, sul Mar Rosso, cioè dall’altra parte del continente. Una strategia che, neanche a dirlo, impensierisce non poco gli Stati Uniti.

Nei giorni scorsi è stato il Wall Street Journala suonare l’allarme generando una vasta eco sui media d’oltreoceano. Un articolo del quotidiano ha riferito che nell’agosto del 2023 l’allora presidente del Gabon, Ali Bongo Ondimba (al potere dal 2009, succeduto al padre Omar Bongo) aveva confessato al vice consigliere alla Sicurezza Nazionale statunitense Jonathan Finer di aver promesso al leader cinese Xi Jinping la concessione di una postazione militare sulle coste del paese. Finer aveva ovviamente esposto la contrarietà del proprio governo al leader del Gabon che però, poche settimane dopo, era stato deposto da un colpo di stato militare.

La Cina punta su Gabon e Guinea Equatoriale. Le contromisure USA
Nei confronti della giunta golpista, nelle prime settimane, Washington aveva tenuto un atteggiamento prudente e conciliante per poi prendere le distanze dal nuovo regime, con cui le relazioni dei cinesi sono invece rimaste cordiali.
Ora, visto l’attivismo diplomatico, economico e politico di Xi Jinping nell’area, Washington teme che anche il regime militare sia possibilista rispetto alla concessione di una base militare sull’Atlantico alla marina militare cinese che gli Stati Uniti considerano una minaccia diretta alla propria sicurezza nazionale.

La Cina è già il principale partner commerciale del Gabon, paese che può contare sul terzo Pil per importanza dell’Africa grazie alle ingenti riserve petroliferee ai giacimenti di manganese, minerale esportato soprattutto a Pechino dopo il coinvolgimento di Libreville nella “Belt and Road Initiative” o Nuova Via della Seta.

Gli emissari dell’amministrazione Biden avrebbero aumentato le pressioni sui governi africani affinché oppongano un diniego alle richieste della Repubblica Popolare che intanto concentra i suoi sforzi sul Gabon e su un paese limitrofo che pure si affaccia sull’Oceano Atlantico. Le autorità della Guinea Equatoriale, paese in cui Pechino gestisce già un porto commerciale, hanno per ora affermato di non aver intenzione di concedere alla Marina da guerra cinese “l’utilizzo stabile” di una propria base.

Gli USA possono contare all’estero su 750 basi militari
Attualmente, la Cina possiede o gestisce porti e terminali commerciali in un centinaio di località in oltre 50 paesi distribuiti in tutti i continenti, ma a Xi Jinping non basta.

La Cina vuole aumentare le basi militari per difendere i suoi interessi economici e commerciali, per consolidare la sua influenza politica e per avere qualche chance di tener testa agli Stati Uniti in caso di conflitto. Nonostante la crescita del suo ruolo militare, la proiezione militare internazionale della Repubblica Popolare Cinese è ancora insignificante se si considera che Washington può contare su circa 750 infrastrutture militari all’estero tra permanenti e temporanee.

Comunque, secondo un rapporto del Pentagono del 2021, oltre che nel continente africano Pechino starebbe cercando di ottenere infrastrutture militari in Cambogia, Tailandia, Sri Lanka, Pakistan e Indonesia. Inoltre la Repubblica Popolare, negli ultimi anni, avrebbe notevolmente potenziato la propria capacità di realizzare navi da guerra.

Nel gennaio dell’anno da poco iniziato il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha visitato la Costa d’Avorio, l’Egitto, il Togo e la Tunisia, firmando nuovi accordi con i rispettivi governi, il Pentagono sta premendo sui governi del Ghana, della Costa d’Avorio e del Benin per la realizzazione di tre nuove basi militari nei rispettivi paesi, che dovrebbero ospitare altrettante squadriglie di droni ufficialmente destinati al contrasto dell’insorgenza islamista.

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Manifestazione antifrancese in Niger

Mosca aumenta la cooperazione con i paesi del Sahel
Da parte sua la Russia ha aumentato la cooperazione con alcuni dei paesi del Sahel usciti dall’orbita francese dopo i colpi di stato militari degli anni scorsi che hanno destituito i leader vicini a Parigi. In particolare Mosca ha siglato una serie di accordi economici e militari con il Mali e poi con il Burkina Faso. In quest’ultimo paese Mosca si è impegnata a realizzare nei prossimi anni anche una centrale nucleare.

Mentre rafforzano i legami con la Federazione Russa, i regimi militari di Mali, Burkina Faso e Nigerintendono creare una moneta unica regionale. Lo ha annunciato nei giorni scorsi il leader della giunta “di transizione” del Niger, Abdourahamane Tchiani, in una dichiarazione televisiva. «La moneta è un passo fuori da questa colonizzazione» ed «un segnale di sovranità» ha detto il generale. I tre Paesi, che di recente hanno formato l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes), «sono impegnati in un processo di recupero della loro sovranità totale» ha aggiunto, senza però fornire dettagli sulla possibile messa in circolazione di una futura moneta che dovrebbe sostituire il franco Cfa, tradizionale strumento dell’egemonia francese che attualmente costituisce la valuta comune degli otto Paesi membri dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). Inizialmente l’Aes è nata come un patto di difesa tra i tre paesi che hanno deciso di unire le loro risorse militari per combattere i gruppi ribelli o jihadisti e bilanciare la presenza militare francese e statunitense nell’area.

Mali, Burkina Faso e Niger fuori dal franco CFA e dalla CEDEAO
Poi, a novembre, i ministri dell’Economia e delle Finanze dei tre stati hanno raccomandato la creazione di un fondo di stabilizzazione e di una banca di investimento comune. A fine gennaio, infine, Mali, Burkina Faso e Niger si sono già ritirati dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao o Ecowas), un’organizzazione regionale accusata di essere al servizio degli interessi di Parigi.
Dopo i colpi di stato la Cedeao, in evidente “coordinamento” con la Francia, ha imposto pesanti sanzioni economiche prima al Mali e poi al Niger, e nell’agosto del 2023 è giunta a minacciare un intervento militare contro Niamey per reinsediare il presidente Mohamed Bazoum, deposto e arrestato dai militari. Pagine Esteri

12696162* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria

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GAZA. Fuga dall’ospedale Nasser assediato dai cecchini e dai carri armati


Decine di persone provano ad uscire dalla struttura circondata, privata dell'elettricità, dei rifornimenti medici, del cibo e dell'acqua. L'esercito ferma gli sfollati al checkpoint appositamente allestito e si prepara ad entrare nella struttura dove sono

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di Eliana Riva

Pagine Esteri, 14 febbraio 2024. Centinaia di persone provano a uscire dall’ospedale Nasser assediato, circondato dai cecchini, privato dell’elettricità, dei rifornimenti medici, del cibo e dell’acqua. Il più grande ospedale del sud di Gaza, a Khan Yunis, diventato rifugio per centinaia di palestinesi sfollati, sta per essere invaso dai militari israeliani che nelle ultime settimane hanno attaccato in diversi modi la struttura pur di costringere medici, pazienti e famiglie in fuga ad abbandonarla per andare chissà dove.

Sono stati lanciati volantini, poi si sono posizionati i cecchini che per giorni hanno sparato, senza far differenza tra donne, uomini e bambini, a chi cercava di entrare nell’ospedale o di uscirne. Sono numerosi i video diffusi dai giornalisti e dalle persone che si rifugiano nel Nasser o nelle scuole proprio di fronte, che mostrano le persone colpite e lasciate a terra. Una madre con suo figlio, lei morta e il bambino gravemente ferito, un ragazzino di cui non sono riusciti per ore a recuperare il cadavere, a causa dei fucili di precisione sistemati dai soldati sui tetti delle case sgomberate nei dintorni. Mentre il corpo era ancora sull’asfalto, proprio all’ingresso della struttura sanitaria, un piccolo drone è stato mandato dai soldati per ordinare a tutti con un messaggio vocale di andare via. I cecchini, denunciano i medici, hanno iniziato a colpire attraverso le finestre dell’ospedale le persone che si trovano al suo interno. Almeno due bambini sono stati così feriti, e un infermiere, mentre si trovava in sala operatoria.

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Un video mostra un ferito che si trascina all’interno dell’ospedale, con il sangue che si rovescia copioso da una gamba. Un medico prova a strisciare sul pavimento per tirarlo lontano dalla porta. Un giornalista ha ripreso una dottoressa che coraggiosamente si sfila il cappotto per correre con più agilità, cercando di evitare i cecchini e attraversare la strada per portare soccorso a un uomo ferito dai militari.

Decine di persone sono state uccise e molte altre ferite. L’esercito ha ordinato all’amministrazione dell’ospedale di mandar via gli sfollati e trattenere pazienti e personale sanitario.

Il Ministero della Sanità denuncia che la situazione al Nasser di Khan Yunis è “sempre più catastrofica”, mentre l’esercito di occupazione ha ordinato di allontanare le centinaia di sfollati e di trattenere i pazienti, circa 450 persone, e il personale sanitario, 300 tra medici, paramedici e infermieri. Il Ministero della Sanità ha denunciato che i militari hanno sparato sulla folla che cercava di lasciare la struttura, causando diverse vittime.

Le macchine escavatrici dell’esercito hanno spostato e depositato terra e detriti tutto intorno, bloccando l’entrata nord. I palestinesi che erano rifugiati nell’0spedale stanno uscendo in fila, passando tra le colonne di mezzi, sotto il controllo dei militari armati e delle telecamere di riconoscimento facciale montate nel checkpoint allestito all’esterno. Questo significherà, dicono le persone che ci sono già passate in altri luoghi di Gaza ormai distrutti, centinaia di arresti, o “rapimenti”, come li chiamano i palestinesi, non avendo modo di sapere dove vengono portati i propri parenti fermati dall’esercito, né quali siano le accuse, senza garanzie sul trattamento che li attende. Quasi tutti gli arrestati che sono stati poi rilasciati hanno raccontato di aver subito torture, di essere rimasti legati, senza vestiti, di essere stati brutalmente picchiati. Un uomo che, fermato e liberato dall’esercito è riuscito a ricongiungersi con la sua famiglia, ha spiegato che anche alle donne è riservato il trattamento peggiore: lasciate nude insieme agli uomini, ritornano dagli interrogatori spesso con i capelli tagliati e rasati.

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Alcuni sfollati dell’ospedale Nasser sono arrivati a Rafah, dove l’esercito israeliano intende compiere una massiccia operazione militare.

Gli sfollati costretti a lasciare il Nasser sono stati fermati e trattenuti. Tra loro famiglie e numerosi bambini. Alcune persone hanno provato a ritornare nella struttura a causa degli spari e della situazione estremamente pericolosa trovata all’esterno. Altri sfollati sono già arrivati o si stanno dirigendo verso Rafah, secondo le indicazioni dell’esercito israeliano. L’ultima città di Gaza, schiacciata al confine con l’Egitto, con una popolazione pre-guerra di 280.000 abitanti, accoglie già circa 1,4 milioni di persone, per la maggior parte profughi costretti dai militari a spostarsi verso sud. Le persone, che vivono nelle tende o affollano le abitazioni ancora in piedi, sono terrorizzate dall’imminente attacco annunciato dal governo israeliano. Qualcuno ha provato a fuggire, disposto a cercare rifugio tra le rovine delle proprie abitazioni al centro e al nord della Striscia. Ma l’esercito intende fare qualsiasi cosa per evitare il ritorno dei profughi. Anzi, continua a mandare a Rafah anche i nuovi sfollati, in attesa che venga chiuso e approvato un “piano di evacuazione” per la popolazione civile che è la popolazione quasi dell’intera Striscia di Gaza. L’esercito ha presentato varie proposte al gabinetto di guerra: campi profughi lungo la costa, forse. O nelle zone già devastate dai bombardamenti e dalle demolizioni controllate. Una nuova trattativa con l’Egitto, magari. Non è chiaro neanche con quali forze immagina (e se lo immagina) Israele fornire assistenza a quasi 2 milioni di persone, soprattutto intendendo dichiaratamente liberarsi dell’UNRWA e dell’Onu in generale. Ma forse anche della Difesa civile e della Mezzaluna Rossa Palestinese. Con i coloni che sempre più numerosi si affollano ai valichi per impedire ai camion degli aiuti di entrare nella Striscia.

Intanto si è fatta sera e al Nasser sono rimasti solo pochi medici e i pazienti che non possono camminare sulle loro gambe o rinunciare all’ossigeno che rimane. I dottori sono pronti a tutto. E noi non sappiamo più se ci sarà qualcuno che potrà continuare a raccontarci cosa sta succedendo in quel buco nero fuori dal mondo e dalla legge che è diventato l’ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.

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VERSIONE ITALIANA UE, LE COMMISSIONI DEL PE HANNO APPROVATO IL TESTO DELL’AI ACTLe Commissioni del Parlamento Europeo hanno approvato l’accordo provvisorio sulla legge sull’intelligenza artificiale che garantisce la sicurezza e diritti fondamentali. Il testo dovrà essere adottato in una prossima sessione plenaria del Parlamento e approvato dal Consiglio. Il regolamento sarà applicabile tra 24 mesi …


Lotta agli hacker malintenzionati: smantellato il gruppo ransomware Hive ma c’è una nuova taglia su di loro


Circa un anno fa il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato di aver smantellato il gruppo ransomware Hive (tradotto in italiano: alveare), che aveva preso di mira oltre 1.500 vittime in oltre 80 paesi in tutto il mondo. Dalla fine di luglio 2022, l'FBI era penetrata nelle reti informatiche di Hive, catturando le sue chiavi di decrittazione, evitando che le vittime dovessero pagare 130 milioni di dollari di riscatto richiesto.
Gli attacchi ransomware Hive avevano causato gravi interruzioni nelle operazioni quotidiane delle vittime in tutto il mondo e hanno influenzato le risposte alla pandemia di COVID-19. Il gruppo utilizzava un modello ransomware-as-a-service (RaaS) con amministratori, a volte chiamati sviluppatori, e affiliati. RaaS è un modello basato su abbonamento in cui gli sviluppatori o gli amministratori sviluppano un ceppo di ransomware e creano un'interfaccia facile da usare con cui farlo funzionare e quindi reclutano affiliati per distribuire il ransomware contro le vittime.
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È stato utilizzato altresì un modello di attacco definito “a doppia estorsione”. Prima di crittografare il sistema della vittima, l'affiliato avrebbe esfiltrato o rubato dati sensibili. L'affiliato ha quindi chiesto un riscatto sia per la chiave di decrittazione necessaria per de-crittografare il sistema della vittima sia per la promessa di non pubblicare i dati rubati. Gli attori di Hive hanno spesso preso di mira i dati più sensibili nel sistema di una vittima per aumentare la pressione a pagare. Dopo che una vittima aveva pagato, gli affiliati e gli amministratori dividevano il riscatto in percentuali pari a 80/20.
A distanza di poco più di 11 mesi da quando l'FBI ha dichiarato di aver chiuso la rete dell'organizzazione criminale, Il governo degli Stati Uniti ha assegnato una taglia extra di 5 milioni di dollari ai membri della banda di ransomware Hive: la seconda ricompensa del genere in un anno.
Intanto, i criminali online continuano a fare soldi con le loro richieste di estorsione, con dozzine di nuovi arrivati che sono entrati nella mischia solo lo scorso anno.
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Chainalysis, nella sua analisi del 2023 pubblicata questa settimana (leggi qui, in inglese => Ransomware Hit $1 Billion in 2023 (chainalysis.com)), ha stimato che lo scorso anno le squadre di ransomware hanno incassato più di 1 miliardo di dollari in pagamenti estorti in criptovaluta dalle vittime, rispetto ai 567 milioni di dollari del 2022. La società di analisi delle criptovalute ha anche osservato che la rimozione di Hive probabilmente ha avuto un ruolo non banale nel calo dei pagamenti di ransomware nel 2022, che altrimenti sarebbero aumentati dal 2019.
La stima di 130 milioni di dollari dell'FBI "potrebbe non raccontare tutta la storia", osserva il rapporto, perché tiene conto solo dei riscatti direttamente evitati dalle chiavi del decrittatore. Da parte sua, Chainalysis ritiene che il fallimento di Hive abbia probabilmente evitato pagamenti di ransomware per almeno 210,4 milioni di dollari.
"Durante i sei mesi in cui l'FBI si è infiltrata in Hive, il totale dei pagamenti di ransomware per tutti i ceppi ha raggiunto i 290,35 milioni di dollari", ha osservato Chainalysis. "Ma i nostri modelli statistici stimano un totale previsto di 500,7 milioni di dollari durante quel periodo di tempo, sulla base del comportamento degli aggressori nei mesi precedenti e successivi all'infiltrazione, e si tratta di una stima conservativa."