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L’Asia orientale dopo due anni di guerra in Ucraina


L’Asia orientale dopo due anni di guerra in Ucraina xi jinping vladimir putin
Le oscillazioni nel rapporto tra Cina e Russia, i timori di Giappone e Corea del sud, la questione Taiwan, le preoccupazioni di Filippine e Vietnam: come sta l'Asia orientale due anni dopo il 24 febbraio 2022

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Messaggio a tutti gli amministratori del gruppo Chirp (che stanno chiudendo): quali sono le alternative?

@Che succede nel Fediverso?

«Sfortunatamente i gruppi Chirp che ospitano Chirp.social stanno ufficialmente chiudendo. Se gestisci un gruppo Chirp, ora è il momento di spostare i tuoi membri su un'altra piattaforma di gruppo sul Fediverso.

Il manutentore di Chirp consiglia di trasferirsi su Guppe, che è l'host del gruppo Fediverse più popolare. Un'altra opzione è Friendica che ti consente di avere moderatori specifici del gruppo.»

Maggiori informazioni sull'utilizzo dei gruppi Fediverse in una guida all'indirizzo:

➡️ fedi.tips/how-to-use-groups-on…

Post originale di @Fedi.Tips

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Separazione delle carriere, seminario con Benedetto – Il Messaggero


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CantieraBile


Non è possibile che a ogni morto sul lavoro – che messi assieme fanno una strage – si sentano sempre le stesse parole. Forse non c’è altro da dire, ma non è possibile si ripeta che faremo regole più severe e controlli più frequenti. Perché le regole devon

Non è possibile che a ogni morto sul lavoro – che messi assieme fanno una strage – si sentano sempre le stesse parole. Forse non c’è altro da dire, ma non è possibile si ripeta che faremo regole più severe e controlli più frequenti. Perché le regole devono essere ragionevoli e i controlli regolari. Non serve – ha ragione il ministro Nordio – l’ennesima specificazione dell’omicidio. Serve che la sicurezza sia la normalità.

Se in un luogo di lavoro c’è scarsa attenzione al rispetto delle regole è facile che ciò si rifletta anche sulla sicurezza. Ma se quando l’assenza di sicurezza genera incidenti mortali e già le prime indagini mettono in evidenza irregolarità che poco hanno a che vedere con la sicurezza, ne deriva che quelle irregolarità sono molto diffuse. Con il che serve a poco promettere regole più severe, che avrebbero un senso se quelle più lasche fossero state rispettate e si fossero dimostrate inefficaci.

Una delle cose più utili, nel prevenire incidenti, è la formazione dei lavoratori. Non si tratta (soltanto) dei corsi formali, spessissimo vissuti – e non a torto – come perdite di tempo e rotture di scatole. Sia dai datori che dai lavoratori. Si tratta dell’acquisire la consapevolezza dei rischi e delle tecniche, talché si cresca in responsabilità ed esposizione ai potenziali rischi, oltre che in retribuzione, all’acquisizione di maggiori competenze. Il che ha senso se c’è stabilità del posto di lavoro. Se gli operai cambiano di continuo tutto questo diventa solo esercizio parolaio.

Nel disgraziato cantiere fiorentino – sulla cui tragedia è aperta l’inchiesta e si spera che la giustizia non si seppellisca negli anni – sappiamo già della presenza di immigrati irregolari. Non clandestini, almeno per quel che è noto, ma irregolari nel senso che almeno uno di loro aveva chiesto il permesso di soggiorno, gli era stato rifiutato e aveva fatto ricorso. Come si pensa che possa campare, pendente il ricorso? Proverà a lavorare, che è anche la migliore e più onesta delle ipotesi. Ma senza neanche la possibilità di aspirare alla stabilità e all’acquisizione di capacità. È morto. È morto da aspirante regolarizzato. E faremmo bene a sentirla come una colpa collettiva.

Perché li fanno lavorare in quelle condizioni? Intanto perché lavorare è un loro bisogno e poi perché la manodopera scarseggia e quella che c’è la si utilizza come si può. Quindi abbiamo una colpa collettiva per i lasciati appesi nella terra di nessuno dei ricorsi e ne abbiamo un’altra per non avere fatto entrare un numero sufficiente di lavoratori. Perché quelle sono mansioni svolte prevalentemente da immigrati. E se hanno fatto dei lavori edili nel vostro condominio conosco già la vostra obiezione: non prevalentemente, ma esclusivamente. Questa doppia colpa produce una sicura irregolarità in potenzialmente tutti i cantieri. E le irregolarità sono contagiose: una produce l’altra.

Occorrerebbero più controlli? Certamente. Ma se le irregolarità sono diffuse, se le regole stesse finiscono con il produrle, allora i più numerosi controlli o diventano uno strumento punitivo delle imprese o innescano un fenomeno degenerativo dei controllori. E siccome non si può mettere un controllore a controllare l’altro che controlla, non resta che puntare sulla loro responsabilità: sia per i controlli non effettuati che per quelli effettuati con gli occhi appannati. Ma questo ha un senso se si dispone di una macchina giudiziaria che funziona, altrimenti la responsabilità resta uno spauracchio. Un Paese che vara un bonus al 110%, moltiplica le aziende edili, mette sui ponteggi gente che non c’è mai stata, fino a quando finiscono i ponteggi e ci si appende per aria, non rimedia agli scompensi mandando più ispettori, perché dovrebbe prima di tutto farsi ispezionare il sistema legislativo.

Se ci tocca sentire sempre le stesse parole, al ripetersi di ogni tragedia, è perché dove l’irregolarità ha una sua regolare diffusione la pretesa della regolarità diventa o una inutile invocazione o un blocco della produzione. E a ogni morto sul lavoro muore un pezzo di civiltà del diritto e di prosperità produttiva.

La Ragione

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Russia e Cina rafforzano la loro presenza in Libia


La Russia riapre l'ambasciata in Libia e aprirà presto un consolato a Bengasi, mentre un consorzio di aziende cinese si aggiudica un grosso appalto in Cirenaica L'articolo Russia e Cina rafforzano la loro presenza in Libia proviene da Pagine Esteri. htt

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di Redazione

Pagine Esteri, 23 febbraio 2024 – Non è solo la Turchiaa rafforzare la sua presenza nel paese nordafricano. Ieri la Russia ha compiuto un importante passo nel consolidamento delle sue relazioni con la Libia riaprendo la sua ambasciata nella capitale, sette mesi dopo la presentazione delle lettere credenziali dell’ambasciatore russo, Aydar Aghanin, al Consiglio presidenziale libico, organo tripartito che svolge le funzioni di capo di Stato.

Mosca aveva da tempo avviato le procedure per il pieno ripristino della sua missione diplomatica a Tripoli, chiusa nel 2014, e rafforzato le relazioni con il Gun (Governo di Unità Nazionale), l’organo esecutivo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite. L’apertura della sede diplomatica concretizza ora l’avvicinamento tra Mosca e l’amministrazione della Libia occidentale.

Mosca ha fissato anche l’apertura entro il 2024 di un consolato generale a Bengasi, il capoluogo della Libia orientale dove la Russia mantiene già una presenza militare tramite i combattenti dell’ex gruppo Wagner, attualmente dipendenti dal ministero della Difesa russo, e alcune infrastrutture militari.

La cerimonia di apertura dell’ambasciata russa ha visto la partecipazione del ministro del Petrolio e del gas del GUN, Mohamed Aoun, e del ministro della Cultura e dello sviluppo della conoscenza, Mabrouka Toghi. Citato dal quotidiano libico “Al Wasat”, Aoun ha sottolineato che la riapertura dell’ambasciata russa a Tripoli rappresenta un “passo importante” che rafforzerà le relazioni bilaterali e promuoverà la cooperazione tra i due paesi, inviando alla comunità internazionale il “messaggio forte” che la Libia sta consolidando la sua stabilità e sicurezza.

Sempre ieri, il presidente della Camera dei rappresentanti della Libia, Aguila Saleh, ha ricevuto Saleh Attia, il responsabile del consorzio cinese Bfi, e il ministro dell’Economia del cosiddetto Governo di stabilità nazionale (Gsn) non riconosciuto dall’Onu con sede in Cirenaica, nell’est del Paese, Ali al Saidi. Il Bfi è un’alleanza tra imprese guidata dalla China Railways International Group Company.

Al centro dei colloqui gli ultimi sviluppi relativi ai progetti nel campo delle fonti rinnovabili di energia, come la costruzione di centrali di energia solare a Kufra, Al Makhlili e Tamanhint, ma anche delle infrastrutture, come il progetto ferroviario per collegare il capoluogo cirenaico Bengasi alla città mediterranea di Marsa Matrouh, in Egitto, passando per Musaed al confine libico-egiziano.

Già due mesi fa alcune aziende cinesi avevano stretto un accordo con il capo del Fondo per la ricostruzione della Libia, Belkacem Haftar, figlio del comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), Khalifa Haftar, per la ricostruzione della città di Dernae delle altre zone colpite dalle devastanti inondazioni che hanno devastato la regione orientale della Libia a settembre.

A fine ottobre, il ministro “orientale” Al Sidi aveva dichiarato a “Radio France International” che «la Cina è oggi la potenza effettiva che potrebbe costruire ponti, infrastrutture e strade in brevissimo tempo». Pagine Esteri

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Sempre più Italia nell’EuroDrone. Ecco l’avionica made in Pomezia


Dopo il motore, anche l’avionica per l’EuroDrone sarà made in Italy. È quanto previsto dall’accordo tra Northrop Grumman Italia e la società francese Safran, per la realizzazione dei sistemi di bordo del velivolo senza pilota per il Vecchio continente il

Dopo il motore, anche l’avionica per l’EuroDrone sarà made in Italy. È quanto previsto dall’accordo tra Northrop Grumman Italia e la società francese Safran, per la realizzazione dei sistemi di bordo del velivolo senza pilota per il Vecchio continente il cui progetto è guidato da Airbus. Nel panorama militare contemporaneo, infatti, i droni rivestono un ruolo sempre più cruciale, offrendo una vasta gamma di vantaggi strategici e tattici, e una delle componenti fondamentali dei droni militari è rappresentata dai sistemi di navigazione e avionica, cioè tutti quelle tecnologie che permettono al velivolo di conoscere non solo la sua posizione nello spazio (e quindi la direzione del volo), ma anche il proprio assetto di volo, come la quota o il controllo delle superfici di volo.

Il sistema di Northrop Grumman Italia

L’Italia è coinvolta da sempre nel fornire soluzioni avanzate per i droni europei, concentrandosi in particolare sul settore dei sistemi Uav di grandi dimensioni per la sorveglianza e ricognizione e sulla collaborazione con partner internazionali. La società basata a Pomezia fornirà, infatti, il suo sistema di navigazione inerziale Navex-100 in grado di fornire informazioni sull’assetto, la direzione, la posizione e la velocità del velivolo. Per operare sull’Eurodrone è stato aggiornato con l’integrazione di sistemi di geolocalizzazione satellitare Gps e Galileo, forniti da Safran. Il prodotto è nazionale e Itar Free, cioè non soggetto al controllo di export da parte degli Stati Uniti, ed è già impiegato su diversi sistemi Uav. Il tema delle certificazioni, in particolare, è essenziale per garantire la conformità alle normative aeronautiche e la massima affidabilità del sistema. Queste certificazioni assicurano che i sistemi di navigazione e avionica siano in grado di operare in ambienti ostili e affrontare situazioni di emergenza senza compromettere la sicurezza delle operazioni.

Il drone del Vecchio continente

L’EuroDrone è un velivolo a pilotaggio remoto (Uav) di classe Male (Medium altitude long endurance), con capacità versatili e adattabili. Le sue caratteristiche lo rendono la piattaforma perfetta per missioni cosiddette Istar, cioè di Intelligence, sorveglianza, acquisizione obbiettivi e ricognizione e per operazioni di sicurezza nazionale. L’intera filiera produttiva resterà nell’eco-sistema produttivo europeo. Sul programma sono coinvolti gli stabilimenti di Avio Aero in Italia, Polonia e Repubblica Ceca, il GE Aerospace Advanced Technology di Monaco di Baviera e il GE Engineering Design Center di Varsavia. Con la partnership tra Northrop Grumman Italia e Safran, oltre a vedere il coinvolgimento della società di Pomezia, assicura la disponibilità di soluzioni all’avanguardia garantire dal gruppo italiano specializzato proprio in sistemi avionici per le esigenze specifiche del settore militare.

Il motore Catalyst

Oltre all’avionica, sarà made in Italy anche il motore del drone grazie al propulsore Catalyst proposto da Avio Aero, il primo turboelica nella storia dell’aviazione con componenti realizzate tramite additive manufacturing, che assicurano minor peso e maggior efficienza al motore. Grazie al rapporto di compressione di 16:1, il migliore del settore, il Catalyst garantisce una diminuzione dei consumi fino al 20%, una potenza di crociera e una capacità di carico maggiore del 10% e fino a tre ore in più di autonomia in una tipica missione Uav, rispetto ai motori concorrenti nella stessa categoria. Il controllo del motore digitale Fadec (Full authority digital engine control) presente sul Catalyst, inoltre, semplifica l’integrazione tra l’avionica e l’elica, questa realizzata dalla tedesca MT-Propeller.


formiche.net/2024/02/avionica-…



Limitare i mandati dei governatori è questione di principio. Lo diceva anche Salvini


Gira da settimane in Rete il video di un comizio di Matteo Salvini del settembre 2016. Siamo a Pontida, nel cuore dell’immaginario, dell’identità e della strategia leghista. Dal palco, il segretario scolpisce tra gli applausi un concetto chiaro. Un concet

Gira da settimane in Rete il video di un comizio di Matteo Salvini del settembre 2016. Siamo a Pontida, nel cuore dell’immaginario, dell’identità e della strategia leghista. Dal palco, il segretario scolpisce tra gli applausi un concetto chiaro. Un concetto apparentemente granitico: “Serve un limite di due mandati per ogni carica elettiva a cominciare dai parlamentari come c’è per i sindaci. E’ cosa buona e giusta perché dopo dieci anni penso che si possa lasciare spazio a qualcun altro che possa prendere il nostro posto a Bruxelles, a Roma o in Regione”. Salvini ne fece una questione di principio. Lo fa anche oggi, ma difendendo un principio opposto: eliminare il limite dei due mandati sarebbe una questione di democrazia. E’ la tesi enunciata ieri su Repubblica da Roberto Calderoli in difesa nientemeno che della “sovranità popolare”. “Se deve esserci scelta democratica non può esserci limite”, dice Calderoli, ma se c’è un limite per i sindaci e per i presidenti di Regione, “allora per coerenza facciamo come i 5Stelle e introduciamo il limite dei due mandati anche per i parlamentari”. Un limite che lo stesso Calderoli, contraddicendo il Salvini del 2016, dice però di non condividere. Insomma, un caos. Una strabiliante sequenza di contraddizioni utili a comprendere quanto poco i principi animino il dibattito in corso. Un dibattito nato, come è noto, dall’esigenza di Salvini di assicurare alla Lega altri cinque anni di guida della regione Veneto e di non ritrovarsi alle prese con un Luca Zaia disoccupato e pertanto libero di insidiare la leadership nazionale del partito.

Eppure, il limite di due mandati consecutivi per i sindaci di Comuni superiori ai 15mila abitanti fu introdotto nel ’93 proprio in ragione di un’ampia serie di principi. Principi costituzionali che la Consulta ha ben riassunto con la sentenza numero 60 dello scorso anno. Il limite di due anni al mandato dei sindaci, si legge, “costituisce un punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona”. Infatti, “il limite ha lo scopo di tutelare il diritto di voto dei cittadini […] impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi […] che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo” e “serve a favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale”. In sostanza, “la previsione del numero massimo dei mandati consecutivi […] riflette una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali”.

Non c’è democrazia occidentale che non preveda un limite temporale al potere scaturito dalle cariche elettive monocratiche, potere che naturalmente non è paragonabile a quello del singolo parlamentare.

Formiche.net

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Le immagini delle manganellate a studentesse e studenti minorenni poi gettati a terra per l'identificazione sono indegne di un paese democratico. Scene degne d


Il video racconto #NoiSiamoLeScuole è dedicato questa settimana alla Scuola Primaria Su Loi della Direzione Didattica “2° Circolo Capoterra” in provincia di Cagliari.


Netanyahu presenta il suo piano e fa costruire a Gaza un “corridoio strategico” da est a ovest


La costruzione del «corridoio strategico» avviene al costo della distruzione di un gran numero di abitazioni palestinesi e di infrastrutture civili. L'articolo Netanyahu presenta il suo piano e fa costruire a Gaza un “corridoio strategico” da est a ovest

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della redazione

Pagine esteri, 23 febbraio 2024 – Benyamin Netanyahu ha presentato ieri sera il suo piano per Gaza al gabinetto di sicurezza israeliano. Prevede che gli affari civili nella Striscia siano gestiti da “funzionari locali” che hanno “esperienza amministrativa” e non legati, ha detto, a “paesi o entità che sostengono il terrorismo”. L’esercito, secondo il premier israeliano, manterrà la libertà di operare in tutta la Striscia e porterà avanti il ​ progetto già in atto di istituire una zona cuscinetto sul lato palestinese del confine. Netanyahu chiede inoltre che l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi, esca dalla Striscia di Gaza e venga sostituita da altre organizzazioni.

Nel frattempo le forze armate israeliane costruiscono una nuova strada, la numero 749. Si tratta di un «corridoio strategico» che taglia in due la Striscia di Gaza. Corre da est a ovest fino alla costa mediterranea. Otto chilometri percorribili in pochi minuti dai mezzi militari israeliani che in questo modo potranno muoversi ed intervenire anche nel nord e nel sud della Striscia. La costruzione del «corridoio strategico» avviene al costo della distruzione di un gran numero di abitazioni palestinesi e di infrastrutture civili. Il suo completamento, con l’allestimento di posti di blocco e di zone di sicurezza, riguarda la fase successiva all’offensiva in corso, in cui Israele, evidentemente, intende mantenere il controllo di Gaza per un periodo indefinito di tempo. La strada ora sterrata, rimodella la topografia della Striscia e, punto centrale, potrebbe impedire a un milione di palestinesi di tornare nel nord della Striscia. Il progetto si aggiunge alla «zona cuscinetto» larga un chilometro che il gabinetto di guerra israeliano ha ordinato di realizzare lungo il confine, all’interno di Gaza, sottraendo quasi 40 kmq, in buona parte terreni agricoli, al già minuscolo territorio della Striscia (circa 360 kmq).

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Mentre prosegue la sua offensiva – che ha fatto circa 30mila morti e decine di migliaia di feriti -, Israele cerca palestinesi che non siano affiliati ad Hamas per gestire gli affari civili nelle aree di Gaza in cui pensa di fare dei «test» per «sacche umanitarie» per l’amministrazione postbellica dell’enclave. L’ha riferito ieri il giornale Haaretz citando un alto funzionario israeliano. Il piano esclude coloro che sono legati ad Hamas e all’Autorità nazionale palestinese (Anp). Di fatto equivale alla rioccupazione di Gaza. Secondo la tv Canale 12, il sobborgo di Zeitoun, a nord-est di Gaza City, è il primo candidato per l’attuazione del piano, in base al quale commercianti locali ed esponenti della società civile distribuiranno aiuti umanitari alla popolazione. Hamas ha descritto il piano come «destinato al fallimento». Ma anche Wassel Abu Yousef, dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di cui fa parte l’Anp, ha condannato le intenzioni di Israele. Pagine Esteri

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Il #MIM, l'Istituto Nazionale di Astrofisica e Openet Technologies S.p.A. - Matera organizzano la XIII edizione della Scuola nazionale estiva di astronomia "A scuola di Stelle" per la preparazione e la partecipazione ai Campionati di Astronomia.
#MIM



Pirates: Cannabis reform now needed at EU level


Brussels/Berlin, 23/02/2024 – Today, the German Bundestag is expected to adopt the law on the controlled use of cannabis[1]. Among other things, the possession of up to 50 grams in private …

Brussels/Berlin, 23/02/2024 – Today, the German Bundestag is expected to adopt the law on the controlled use of cannabis[1]. Among other things, the possession of up to 50 grams in private spaces and up to 25 grams in public spaces will be legalised. Pirates welcome this long overdue initiative and have also been advocating legislative measures for the decriminalisation and legalisation of private cannabis consumption at EU level.

Pirate Party MEP Patrick Breyer comments:

The ‘war on cannabis’ was never winnable, contradicts the reality of life and has only played into the hands of organised crime. Criminal law is the wrong means of achieving a responsible approach to drugs. It is high time that the established parties put an end to their failed policy of cannabis prohibition. In future, countless hours of police and judicial work can be devoted to important tasks such as the prosecution of domestic burglaries. Although it is long overdue, I am pleased that Germany is leading the way here among the major EU member states. We Pirates can now campaign even more resolutely at European level for a future-oriented and legally secure solution for the responsible use of cannabis.”

Mikuláš Peksa, MEP of the Czech Pirate Party and co-founder of the cross-party interest group in the EU Parliament on personal cannabis use [2], comments:

“The EU must now look to Germany and take a leaf out of its book when it comes to taking the right steps towards cannabis liberalisation. In the European Parliament, my cross-party group is vehemently scrutinizing all options for legalization within the EU legal framework. We are bringing almost all parties to the table and discussing realistic, effective solutions. Because at the moment there is an unacceptable patchwork of regulations in EU countries that puts young people in prison for a “victimless crime”. Private cannabis use is a matter of personal freedom. The current legal provisions also contradict the principles of freedom of movement. EU citizens are used to a certain level of security when crossing borders with other EU Member States and the current state of cannabis legalisation in various Member States undermines these rights.”

Anja Hirschel, lead candidate of the Pirate Party Germany for the 2024 European elections, comments:

“After we Pirates have been demanding it for years, common sense is finally making its way into the Bundestag. Things should now move quickly, and a further delay in legalisation due to an alleged overburdening of the judiciary can easily be avoided: If the political will is there, time limit regulations can provide clarity. What is currently unnecessarily burdening the judiciary with additional work is the fact that there is no uniform approach and public prosecutors are conducting their investigations according to their own criteria. As soon as the criminalisation of cannabis use is ended, previously tied-up capacities will be freed up for these cases. This will therefore also benefit our legal system. At EU level, I would also use my mandate to advocate for legalisation.”

[1] bundestag.de/dokumente/textarc…

[2] european-pirateparty.eu/member…


patrick-breyer.de/en/pirates-c…



In Cina e Asia – Cina, i principali hub minerari indirizzano gli investimenti verso le energie rinnovabili


In Cina e Asia – Cina, i principali hub minerari indirizzano gli investimenti verso le energie rinnovabili
Cina, i principali hub minerari indirizzano gli investimenti verso le energie rinnovabili
Kiribati collabora con la polizia cinese
Fuga di dati rivela dettagli sullo cyberspionaggio cinese
Cina e Usa, nuovi accordi sui panda
La Cina chiede alla Corte dell’Aja di esprimersi sull’occupazione israeliana “illegale”
La Grecia guarda all’India per “sganciarsi” dalla Cina

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La Turchia allunga i suoi tentacoli sul Corno d’Africa


Allarmati dall'accordo tra Etiopia e Somaliland, Somalia e Gibuti siglano un accordo di cooperazione militare con la Turchia che così aumenta sensibilmente la sua influenza nel Corno d'Africa e nel Mar Rosso L'articolo La Turchia allunga i suoi tentacoli

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 23 febbraio 2024 – Non sono soltanto gli Stati Unitiad aver in parte approfittato dello scompiglio e dall’allarme suscitati nel Corno d’Africa dalla richiesta etiope di uno sbocco al mare, perso all’inizio degli anni ’90 con l’indipendenza dell’Eritrea.

Anche la Turchia, uno dei paesi più influenti nel continente africano, sta rafforzando la sua presenza militare nel Corno d’Africa offrendosi come alleato militare e garante dei confini e dello status della Somalia e di Gibuti.

L’accordo tra Etiopia e Somaliland genera allarme
I due paesi hanno reagito con estrema preoccupazione all’intesa siglata a gennaio tra il governo di Addis Abeba e quello del Somaliland, uno stato somalo che da decenni è di fatto indipendente da Mogadiscio, che consente lo sfruttamento di un porto e di una base militare sulle coste del Golfo di Aden.

In base all’accordo, all’Etiopia verranno concessi 20 km di costa del Somaliland per almeno 50 anni e la costruzione di una base militare, in cambio della concessione ad Hargheisa di una quota della compagnia di bandiera etiope Ethiopian Airlines e del riconoscimento, da parte di Addis Abeba, dell’indipendenza del Somaliland.

Con Gibuti e Somalia, negli ultimi giorni, Ankara ha siglato due importanti accordi di cooperazione militare, schierandosi esplicitamente contro le rivendicazioni etiopi e ottenendo così un ruolo di maggiore spicco nel controllo del Mar Rosso.

Anche l’Egitto si è immediatamente schierato al fianco della Somalia, considerando nullo l’accordo tra Somaliland ed Etiopia (paese con cui il Cairo ha un contenzioso sullo sfruttamento delle acque del Nilo) e respingendo ogni «ingerenza negli affari interni della Somalia» e qualsiasi tentativo «di minare la sua integrità territoriale».

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Truppe somale addestrate in Turchia

La Turchia sfrutta la debolezza della Somalia
Nei giorni scorsi, quasi all’unanimità, il parlamento federale della Somalia ha ratificato un accordo di difesa e sicurezza sottoscritto dal governo di Mogadiscio con la Turchia l’8 febbraio. Formalmente il documento mira a «rafforzare le relazioni bilaterali e la stabilità della regione, nonché a combattere il terrorismo e la pesca illegale». «La Somalia avrà ora un vero alleato, un amico e un fratello sulla scena internazionale» ha commentato con toni trionfalistici il primo ministro somalo Hamza Abdi Barre.

In base all’accordo, che avrà una durata di dieci anni, la Turchia fornirà addestramento e attrezzature alla Marina somala – al momento quasi inesistente – per consentire a Mogadiscio di proteggere le sue risorse marine e le acque territoriali da minacce come il terrorismo, la pirateria e le “interferenze straniere”. In cambio la Turchia riceverà il 30% delle entrate provenienti dalla Zona economica esclusiva somala, nota per le sue abbondanti risorse marine, e Ankara avrà un’autorità completa sulla gestione e sulla difesa delle acque della Somalia.

Già nel 2016 Somalia e Turchia avevano firmato un memorandum d’intesa sulla cooperazione energetica e mineraria poco dopo l’autorizzazione concessa da Mogadiscio alle compagnie turche ad effettuare operazioni di perforazione ed esplorazione petrolifera al largo delle sue coste. Nel 2017, poi, la Turchia ha aperto un’importante struttura militare di addestramento a Mogadiscio, Camp Turksom, dove ogni anno 200 consiglieri militari turchi addestrano ogni anno centinaia di soldati somali impegnati nel contrasto alle milizie jihadiste.

Il nuovo accordo consentirà ora alla Turchia, la cui la marina già pattuglia da quattordici anni il Golfo di Aden, di schierare le proprie navi da guerra in uno dei quadranti geopolitici più importanti del pianeta.

Gibuti non vuol perdere il monopolio del commercio etiope
E ora, dopo la Somalia, anche il piccolo ma strategico stato di Gibutiha deciso di serrare i ranghi della cooperazione militare con la Turchia. Nel corso di una cerimonia che si è svolta lunedì ad Ankara, il ministro della Difesa turco, Yasar Guler, e l’omologo gibutino Hassan Omar Mohamed hanno firmato tre accordi relativi all’addestramento militare e alla cooperazione finanziaria. All’incontro ha partecipato anche il comandante delle forze terrestri turche, generale Selcuk Bayraktaroglu.

Nel giugno del 2022, il governo di Erdogan ha già consegnato a Gibuti droni armati Bayraktar TB2. Con una popolazione di meno di un milione di abitanti, il piccolo Paese del Corno d’Africa è un partner strategico per Ankara nel Corno d’Africa, grazie alla sua posizione lungo il Golfo di Aden e il Mar Rosso, vitali per il commercio e la sicurezza globali.

Finora dai porti di Gibuti passa l’85% dell’import/export dell’Etiopia, ma se Addis Abeba ottenesse effettivamente uno sbocco sul mare le merci provenienti o dirette in Etiopia passerebbero dal porto di Barbera, in Somaliland, causando un forte danno economico al piccolo stato. Pagine Esteri

12966407* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto e Berria

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VERSIONE ITALIANA BIG TECH SHOW, STIAMO ANDANDO VERSO LA SORVEGLIANZA DI MASSAIl senatore Barry Ward nel corso dell’episodio di THE BIG TECH SHOW ha discusso dell’introduzione delle bodycam e della tecnologia di riconoscimento facciale nella polizia irlandese. La Garda Síochána ha recentemente indetto una gara d’appalto per l’acquisto di telecamere da indossare sulle uniformi dei …


Operazione internazionale contro il più grande gruppo di ransomware al mondo. Aiuta il portale “No More Ransom”


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In un'azione coordinata supportata da #Eurojust ed #Europol, le autorità giudiziarie e di polizia di 10 paesi diversi hanno colpito #LockBit, l'organizzazione di ransomware più attiva al mondo.

Due membri del team ransomware sono stati arrestati in Polonia e Ucraina.

Inoltre, le forze dell’ordine hanno compromesso la piattaforma principale di LockBit e rimosso 34 server nei Paesi Bassi, Germania, Finlandia, Francia, Svizzera, Australia, Stati Uniti e Regno Unito.

LockBit è emerso per la prima volta alla fine del 2019, inizialmente chiamandosi ransomware “ABCD”. Da allora, è cresciuto rapidamente e nel 2022 è diventato la variante di ransomware più diffusa a livello mondiale. Si ritiene che gli attacchi LockBit abbiano colpito oltre 2.500 vittime in tutto il mondo. Il gruppo operava come "ransomware-as-a-service", il che significa che un team principale crea il proprio malware e gestisce il proprio sito Web, concedendo in licenza il proprio codice agli affiliati che lanciano attacchi.

L'azione congiunta ha permesso alle diverse forze di polizia di prendere il controllo di gran parte delle infrastrutture che permettono il funzionamento del ransomware LockBit, compresa la darknet, e, in particolare, il "muro della vergogna" utilizzato per pubblicare i dati delle vittime che si sono rifiutate di pagare il riscatto. Questa azione ha interrotto la capacità della rete di operare. Le autorità hanno inoltre congelato più di 200 conti di criptovaluta collegati all'organizzazione criminale.

Questa operazione internazionale segue una complessa indagine condotta dalla National Crime Agency del Regno Unito. Supportate da Eurojust ed Europol, le forze dell'ordine di altri nove paesi hanno lavorato su questo caso in stretta collaborazione con l'Agenzia nazionale anticrimine, comprese le autorità di Francia, Germania, Svezia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Svizzera, Australia, Canada e Giappone.


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Il caso è stato aperto presso Eurojust nell’aprile 2022 su richiesta delle autorità francesi. Il Centro europeo per la criminalità informatica (EC3) di Europol ha organizzato riunioni operative per sviluppare le piste investigative in preparazione della fase finale dell’indagine.

La polizia giapponese, la National Crime Agency e il Federal Bureau of Investigation hanno unito le loro competenze tecniche per sviluppare strumenti di decrittazione progettati per recuperare i file crittografati dal ransomware LockBit.

Queste soluzioni sono state rese disponibili gratuitamente sul portale “No More Ransom”, disponibile in 37 lingue.

Finora, più di 6 milioni di vittime in tutto il mondo hanno beneficiato di No More Ransom, che contiene oltre 120 soluzioni in grado di decrittografare più di 150 diversi tipi di ransomware.

Oltre le verie Autorità Giudiziarie dei Paesi interessati, hanno preso parte all'indagine le seguenti autorità di polizia:

Regno Unito: National Crime Agency, South West Regional Organized Crime Unit

Stati Uniti: Federal Bureau of Investigation – Newark

Francia: JUNALCO (National Jurisdiction Against Organized Crime) e Gendarmerie Nationale

Germania: Dipartimento centrale per la criminalità informatica del Nord Reno-Westfalia (CCD), Ufficio statale per le indagini penali dello Schleswig-Holstein (LKA Schleswig-Holstein), Ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt)

Svezia: Centro svedese per la criminalità informatica,

Paesi Bassi: Team Cybercrime Zeeland-West-Brabant, Team Cybercrime Oost-Brabant, Team High Tech Crime);

Australia: Polizia federale australiana Canada: Polizia a cavallo reale canadese

Giappone: Agenzia nazionale di polizia ·     

Svizzera: Polizia cantonale di Zurigo.

_Editato con GoOnlineTools_



Non abbiamo ancora superato lo sconcerto, la rabbia e il dolore per i 5 lavoratori morti nel cantiere Esselunga di Firenze che arriva un’altra mazzata: un alt



“Adam Smith a trecento anni dalla nascita”, del prof. Infantino la prima lezione della Scuola di Liberalismo


Nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi si è svolta questa sera la prima lezione della Scuola di Liberalismo 2024, “Adam Smith a trecento anni dalla nascita. Alle origini delle scienze sociali” a cura del professore Lorenzo Infantino. Nelle quas

Nell’Aula Malagodi della Fondazione Luigi Einaudi si è svolta questa sera la prima lezione della Scuola di Liberalismo 2024, “Adam Smith a trecento anni dalla nascita. Alle origini delle scienze sociali” a cura del professore Lorenzo Infantino. Nelle quasi due ore di lezione di fronte a numerosi partecipanti, in sala e da remoto, il professore ha ripercorso tutta l’opera del filosofo ed economista scozzese.

“Le biblioteche sono piene di scritti dedicati all’opera di Adam Smith”, ha spiegato Infantino. “Il maggior numero di commentatori si è soffermato sulla Ricchezza delle nazioni, molti meno sono stati coloro che hanno rivolto la loro attenzione ai Sentimenti morali, ancor meno sono stati gli studiosi che hanno preso in considerazione i saggi postumi. A proposito di questi ultimi Joseph A. Schumpeter ha scritto: «Oso dire che chi non conosce questi saggi non può avere un’idea adeguata della statura di Smith».”

Smith sosteneva che: “Nessuno può raggiungere i propri scopi senza interagire e senza collaborare con gli altri”. Per il professor Infantino questa è la spiegazione della “società aperta”, che si basa sul presupposto che ogni azione umana intenzionale determini conseguenze in intenzionali. È quella che il filosofo scozzese chiamava “la mano invisibile del mercato”. La teoria della mano invisibile attraversa tutta l’opera di Smith. La pagina in cui l’autore fa ricorso a questa metafora è la più importante della Ricchezza delle nazioni. Essa infatti contiene una premessa senza cui non è possibile avere contezza della funzione del mercato e da cui si giunge a una teoria della limitazione del potere e all’indicazione dell’habitat normativo della Grande Società.

Al termine della lezione è seguito un dibattito con gli iscritti, segno che il professor Infantino ha stimolato la curiosità dei presenti.

L'articolo “Adam Smith a trecento anni dalla nascita”, del prof. Infantino la prima lezione della Scuola di Liberalismo proviene da Fondazione Luigi Einaudi.




Dalla drone diplomacy alla Kaan diplomacy, le ambizioni turche sul nuovo caccia


Mercoledì 21 febbraio, la base aerea di Akinci ha ospitato il primo volo del “Kaan”, il prototipo turco di caccia di quinta generazione. Culmine di un processo avviato nel dicembre 2010, quando Ankara ha aperto il programma di sviluppo del velivolo da com

Mercoledì 21 febbraio, la base aerea di Akinci ha ospitato il primo volo del “Kaan”, il prototipo turco di caccia di quinta generazione. Culmine di un processo avviato nel dicembre 2010, quando Ankara ha aperto il programma di sviluppo del velivolo da combattimento. Nell’agosto 2011 è stato poi firmato un contratto di progettazione concettuale tra il governo e l’azienda Turkish Aerospace Industries, a cui è seguito un contratto di sviluppo firmato nell’agosto 2016. Fino al primo volo di prova di pochi giorni fa, a cui seguirà la costruzione di altri cinque prototipi.

Il programma mira a mettere in campo un aereo da combattimento di quinta generazione per soddisfare i requisiti dell’aeronautica militare turca oltre il 2030 (le previsioni sono quelle di mantenerlo in servizio fino al 2037), sostituendo la flotta di F-16 del Paese. Non a caso, il caccia Kaan dovrebbe incorporare la maggior parte delle caratteristiche di un aereo standard di quinta generazione, come la bassa osservabilità, gli alloggiamenti interni per le armi, la fusione dei sensori, i collegamenti dati avanzati e i sistemi di comunicazione. Tutte presenti nei sistemi F-35, dal cui programma Ankara è però esclusa da Washington, dopo la decisione turca di acquistare i sistemi di difesa antiaerea S-400 prodotti dalla Federazione Russa. Spingendo così la Turchia a sviluppare autonomamente capacità multiruolo di quel calibro.

Un aspetto interessante del progetto Kaan è quello “autarchico”: la Turchia mira a diventare uno dei pochi Paesi a possedere l’intera catena del valore per la produzione di aerei da combattimento avanzati, che comprende tecnologia, infrastrutture, risorse umane e capacità produttive. Un aspetto sempre più importante alla luce della frammentazione geopolitica del mondo odierno, dove la disruption delle supply chain è un evento tutt’altro che improbabile, i cui effetti sono in grado di pesare tantissimo. Soprattutto nel campo dell’industria della difesa. Russia docet.

Ma per Ankara, le connotazioni geopolitiche dietro allo sviluppo di un caccia di quinta generazione non si limitano alla tutela delle linee di rifornimento logistiche dei materiali. Il progetto Kaan è anzi una forte opportunità di proiezione esterna: attraverso l’esportazione di un velivolo dalle simili capacità (anche se ridotte rispetto alla versione originale, come da prassi in alcune versioni di sistemi d’arma destinate all’export) la Turchia potrebbe riuscire ad assicurarsi importanti introiti da reinvestire in nuovi progetti, ma anche a creare o a rafforzare la propria posizione diplomatica con gli altri attori coinvolti.

D’altronde, non sarebbe la prima volta. Il Paese guidato da Recep Tayyip Erdoğan ha già dimostrato di saper sfruttare abilmente le proprie capacità nella dimensione unmanned, portando avanti una vera e propria drone diplomacy che gli ha permesso di sviluppare connessioni con vari attori e posizioni d’interesse in vari teatri. Dalla Libia all’Azerbaigian, arrivando fino all’Ucraina.

Non a caso, la scorsa settimana l’ambasciatore di Kyiv in Turchia ad Ankara Vasyl Bodnar ha dichiarato che il suo Paese sta monitorando da vicino lo sviluppo del caccia di quinta generazione made in Turkey, aggiungendo che: “Noi non solo acquisteremo il caccia Kaan, ma lo utilizzeremo, e sappiamo dove verrà impiegato”.

Ma le ambizioni di Ankara si spingono ancora più a Est, verso il continente asiatico. Agli occhi della Turchia, Paesi come Pakistan, Malesia, Indonesia e Kazakistan (che hanno già acquistato in precedenza materiale militare turco) rappresentano possibili acquirenti del nuovo sistema di caccia multiruolo agli occhi del complesso militare-industriale anatolico. Cercando di proporsi come una valida alternativa a Mosca in quel mercato.


formiche.net/2024/02/drone-dip…



Con riferimento a notizie di stampa, il #MIM precisa che nelle nuove Linee guida sull’educazione alla cittadinanza, che sono in via di elaborazione, sarà contenuta la seguente dizione: “È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone (cellulare) nell…
#MIM


È curioso come i vari Calenda, Renzi, Tajani, ecc, sappiano già tutto sulla morte di Navalny ma nulla sui morti di covid in Italia


A Singapore Pechino mostra il suo nuovo elicottero per l’export


La Cina ha esposto al Singapore airshow 2024 il suo elicottero d’attacco Z-10 Me. È la prima volta che Pechino mostra questa tecnologia al di fuori del suo territorio nazionale. Il fatto che abbia deciso di farlo a Singapore, anche in occasione della limi

La Cina ha esposto al Singapore airshow 2024 il suo elicottero d’attacco Z-10 Me. È la prima volta che Pechino mostra questa tecnologia al di fuori del suo territorio nazionale. Il fatto che abbia deciso di farlo a Singapore, anche in occasione della limitata presenza di prodotti statunitensi all’air show, non è un caso. Il mezzo è stato rivelato in Cina nel 2021 e, a oggi, le Forze armate di Pechino dovrebbero essere dotate di non meno di duecento esemplari.

L’elicottero

Il Z-10 Me è un elicottero d’attacco dotato di una avanzata configurazione di armamenti offensivi e contromisure difensive. Il mezzo può portare une munizionamento esplosivo per il suo cannoncino da 23mm e un serbatoio sganciabile da 280 chili. Il velivolo può essere armato con missili guidati Cr5 e missili aria-aria M-502KG e TY-90, oltre a essere dotato di un sistema radar, un missile approach warning system e sistemi ad infrarossi direzionali che fanno da contromisura peri missili a ricerca di calore.

L’aquila e il dragone

Questa manifestazione è parte delle meccaniche da guerra fredda con cui Pechino sta provando a proporsi come alternativa agli Stati Uniti. Da un lato vogliono diventare più forti nella produzione e nell’esportazione di sistema d’arma. Dall’altro, più velatamente, cercano d proporsi come garante della sicurezza dell’Asia orientale. L’elicottero, in apparenza molto simile al AH-64 Apache americano, potrebbe risultare conveniente per buona parte delle aviazioni asiatiche grazie alla differenza di prezzo con il suo corrispondente americano. A confermare quest’apparenza di guerra di soft power l’unica manifestazione americana all’Airshow è stato un sorvolo ravvicinato con un bombardiere B-52. Non essendo il bombardiere fra i mezzi acquistabili si intuisce la funzione puramente comunicativa dell’evento. Nessun membro della delegazione americana, guidata dal vicesegretario per le acquisizioni dell’aeronautica Andrew Hunter, ha parlato con la stampa, avendo, probabilmente, compreso l’errore strategico di presentarsi alla manifestazione in maniera così poco prorompente.

L’orso e il dragone

Un’altra funzione dell’evento potrebbe essere quella di prendere il posto dell’altro venditore di elicotteri d’attacco, la Russia. Pechino potrebbe stare tentando di sfruttare la finestra di opportunità prodotta dall’ insicurezza del mercato riguardo le armi di Mosca. L’istanza è la conseguenza della performance mediocre delle forze armate russe nel teatro ucraino. Presentandosi come provider alternativo, cosa che sta facendo anche l’Occidente, la Cina potrebbe rafforzare le sue entrate e insieme potenziare la sua posizione in Asia rendendo i paesi della sua area strategica dipendenti da lei nell’autonomia militare. Un esempio di questo meccanismo sono i recenti accordi con le forze armate pachistane che acquisteranno un numero non specificato di elicotteri.


formiche.net/2024/02/soft-powe…



  Altri 5 morti nel cantiere della Esselunga di Firenze che si aggiungono alla tragica sequenza di morti sul lavoro che normalmente sono liquidati come


Al via la seconda edizione dei Campionati Nazionali di Imprenditorialità, organizzata da Junior Achievement - Young Enterprise Italy ETS, in collaborazione con il #MIM.
#MIM


Export militare, arriva l’ok del Senato alla modifica della 185


Arriva dal Senato l’approvazione del disegno di legge del governo che modifica la legge 185 sull’import-export della difesa. Con la decisione a Palazzo Madama, il provvedimento passa ora alla Camera dei deputati, dove dovrà passare la verifica della commi

Arriva dal Senato l’approvazione del disegno di legge del governo che modifica la legge 185 sull’import-export della difesa. Con la decisione a Palazzo Madama, il provvedimento passa ora alla Camera dei deputati, dove dovrà passare la verifica della commissione Difesa prima di passare definitivamente in Aula. La principale riforma vede la reintroduzione presso la presidenza del Consiglio dei ministri del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (Cisd), soppresso nel 1993. L’organo si occuperà di formulare gli indirizzi generali per l’applicazione della stessa legge 185, e in generale delle politiche di scambio nel settore della difesa. Una misura che, come riportato dalla legge stessa, segue “l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti”.

Faranno parte del Cisd, che sarà presieduto direttamente dal presidente del Consiglio, i ministri degli Affari esteri, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle finanze, delle Imprese e del Made in Italy. Le funzioni di segretario saranno svolte dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con funzioni di segretario e alle sue riunioni potranno essere invitati di volta in volta anche altri ministri, qualora interessati al dossier in corso di valutazione.

La misura è stata ripetutamente invocata diverse volte dall’intero settore, con l’obiettivo di portare la responsabilità di una materia delicata come l’import-export militare sotto l’autorità politica più elevata. L’obiettivo di riunire la materia in un comitato di ministri ad hoc è rendere quella che adesso è una responsabilità, anche personale, di una sola figura – nella fattispecie il direttore dell’Uama – una responsabilità invece condivisa a livello politico. Una volta effettuata questa decisione dall’esecutivo, l’Uama potrebbe semplicemente occuparsi di rilasciare le dovute documentazioni e supervisionare la corretta applicazione amministrativa delle misure previste dalla legge.

Al momento, infatti, il ministro plenipotenziario che guida l’Uama ha una responsabilità diretta circa le decisioni da prendere sulla possibilità o meno di esportare (o importare) da un determinato Paese. Spetta a questo funzionario, dunque, una decisione molto delicata e un esame molto approfondito sull’aderenza di potenziali partner commerciali internazionali ai prerequisiti legali previsti dalla legge italiana, primo fra tutto il rispetto dei diritti umani. Compito non facile e potenzialmente foriero di implicazioni enormi.

Una modifica come quella prevista dal nuovo disegno di legge permetterebbe invece di accelerare i procedimenti sui permessi all’esportazione di sistemi d’arma, settore su cui si basa non solo la sostenibilità finanziaria del settore della difesa, ma l’economia stessa del Paese. Quasi il 70% del fatturato industriale del settore, infatti, dipende dall’export, un fatturato che vale 17 miliardi di euro, più o meno un intero punto percentuale di Pil.

L’Italia, inoltre, non è l’unico Paese che sta rivedendo le proprie regole sulle esportazioni della Difesa. Anche Tokyo e Berlino hanno di recente messo mano alle proprie norme, un segnale dell’importanza rivestita dalla materia e, in particolare, dell’impatto che le norme sull’export militare ha sui programmi congiunti internazionali. In particolare, il governo Fumio Kishida ha reso possibile per il Giappone esportare materiale d’armamento, attrezzature militari e tecnologie di difesa prodotte nel Paese del Sol levante sia verso i Paesi proprietari delle licenze, sia verso le Nazioni che si difendono da un’invasione. La decisione ancora non ricomprende il caso di prodotti co-sviluppati con partner internazionali a Paesi terzi, mancando un accordo tra i vari partiti di maggioranza, e in questo senso un progetto come il Global Combat Air Programme per sviluppare, insieme a Italia e Regno Unito, il caccia di sesta generazione resta per ora escluso dalla possibilità di esportazione da parte di Tokyo. Infatti, eliminare il divieto di esportare prodotti co-sviluppati ad altri Paesi rappresenterebbe un boost sostanziale alla sostenibilità dei progetti non solo per il Giappone, ma in generale per lo sviluppo dell’intero programma. Permetterebbe, infatti, al consorzio Gcap di avere nel Giappone un partner cruciale per la sua presenza nell’Indo-Pacifico, diventando una potenziale piattaforma per l’esportazione del sistema a Paesi partner come Australia o Corea del Sud.

Una ratio simile è stata seguita dalla ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, che nel corso della sua visita in Israele aveva rivelato l’intenzione del governo federale di rimuovere il veto che impedisce l’esportazione di Eurofighter all’Arabia Saudita. Una decisione che segnò un importante cambio di passo in generale per il futuro dei progetti congiunti europei. Le restrizioni tedesche, infatti, sono state criticate a lungo dai Paesi partner dei diversi programmi, considerati delle limitazioni all’appetibilità dei sistemi per il timore dei Paesi acquirenti di rischiare di rimanere senza pezzi di ricambio per i propri velivoli, spingendoli potenzialmente ad affidarsi ad altri fornitori. Adesso, con la riapertura da parte di Berlino, i programmi congiunti, a partire dai caccia Eurofighter e Tornado (a cui partecipa anche l’industria italiana), potrebbero vedere allargarsi la lista di ordini, con una nuova spinta sui mercati globali.

Anche in questo caso il tema delle regole sulle esportazioni militari legate ai programmi congiunti riguarda da vicino anche i programmi di prossima generazione, con Berlino che è impegnata, insieme alla Francia, nella realizzazione del caccia di sesta generazione Fcas. Progetti all’avanguardia come Gcap, Fcas o l’Eurofigher richiedono investimenti massicci per essere sviluppati e infine prodotti, e i soli mercati interni dei Paesi partner non basta a ripagare gli investimenti.


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Sono un medico americano a Gaza. Non ho visto una guerra ma l’annientamento


Il racconto del dottor Irfan Galaria: "Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l'intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere chi si sarebbe preso cura di loro o come sarebbero sopravvissuti. L'arti

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di Irfan Galaria* – Los Angeles Times

(Traduzione di Federica Riccardi, foto di archivio)

Pagine Esteri, 22 febbraio 2024 – A fine gennaio ho lasciato la mia casa in Virginia, dove lavoro come chirurgo plastico e ricostruttivo, e mi sono unito a un gruppo di medici e infermieri in viaggio verso l’Egitto con l’organizzazione umanitaria MedGlobal per fare il volontario a Gaza. Ho lavorato in altre zone di guerra. Ma ciò a cui ho assistito nei 10 giorni successivi a Gaza non era una guerra, era l’annientamento. Almeno 28.000 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti di Israele su Gaza.

Dal Cairo, capitale dell’Egitto, abbiamo guidato per 12 ore verso est fino al confine di Rafah. Abbiamo superato chilometri di camion di aiuti umanitari parcheggiati perché non potevano entrare a Gaza. A parte la mia squadra e altri inviati delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, c’erano pochissime altre persone.

Entrare nel sud di Gaza il 29 gennaio, dove molti sono fuggiti dal nord, è sembrato come le prime pagine di un romanzo distopico. Le nostre orecchie erano stordite dal costante ronzio di quelli che mi hanno detto essere i droni di sorveglianza che giravano costantemente. I nostri nasi sono stati investiti dalla puzza di 1 milione di sfollati che vivevano in prossimità senza servizi igienici adeguati. I nostri occhi si sono persi nel mare di tende. Abbiamo alloggiato in una guest house a Rafah. La prima notte è stata fredda e molti di noi non sono riusciti a dormire. Siamo rimasti sul balcone ad ascoltare le bombe e a vedere il fumo che saliva da Khan Yunis.

Quando ci siamo avvicinati all’Ospedale Europeo di Gaza, il giorno dopo, c’erano file di tende che costeggiavano e bloccavano le strade. Molti palestinesi si sono avvicinati a questo e altri ospedali sperando che rappresentassero un rifugio dalla violenza – si sbagliavano.

La gente si è riversata anche all’interno dell’ospedale: ha vissuto nei corridoi, nei vani delle delle scale e persino nei ripostigli. Le corsie, un tempo ampie, progettate dall’Unione Europea per accogliere la circolazione del personale medico, delle barelle e delle attrezzature, erano ora ridotte a un passaggio a fila indiana. Ai lati, coperte appese al soffitto delimitavano piccole aree per intere famiglie, offrendo un briciolo di privacy. Un ospedale progettato per ospitare circa 300 pazienti stava ora lottando per assisterne più di 1.000 con altre centinaia di persone in cerca di rifugio.

Il numero di chirurghi locali disponibili era limitato. Ci è stato detto che molti sono stati uccisi o arrestati, e che non si sa dove si trovino e nemmeno se siano ancora vivi. Altri erano intrappolati nelle aree occupate del nord o in luoghi vicini da dove era troppo rischioso recarsi in ospedale. Era rimasto solo un chirurgo plastico locale, che copriva l’ospedale 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La sua casa era stata distrutta, quindi viveva nell’ospedale ed era in grado di infilare tutti i suoi effetti personali in due piccole borse. Questa storia è diventata fin troppo comune tra il personale dell’ospedale rimasto. Quel chirurgo era fortunato, perché sua moglie e sua figlia erano ancora vive, mentre quasi tutti gli altri erano in lutto per la perdita dei loro cari.

Ho iniziato a lavorare immediatamente, eseguendo da 10 a 12 interventi al giorno, lavorando dalle 14 alle 16 ore di seguito. La sala operatoria tremava spesso a causa degli incessanti bombardamenti, che a volte avvenivano a intervalli di 30 secondi. Abbiamo operato in ambienti non sterili che sarebbero stati impensabili negli Stati Uniti. Avevamo un accesso limitato alle attrezzature mediche più importanti. Ogni giorno eseguivamo amputazioni di braccia e gambe, usando una sega Gigli, uno strumento dell’epoca della Guerra Civile, essenzialmente un segmento di filo spinato. Molte amputazioni si sarebbero potute evitare se avessimo avuto accesso ad attrezzature mediche standard. È stata una lotta cercare di curare tutti i feriti all’interno delle strutture di un sistema sanitario che è completamente collassato.

Ho ascoltato i miei pazienti che mi sussurravano le loro storie, mentre li portavo in sala operatoria per l’intervento. La maggior parte di loro stava dormendo nelle proprie case, quando sono state bombardate. Non potevo fare a meno di pensare che i più fortunati erano morti all’istante, per la forza dell’esplosione o per essere stati sepolti dalle macerie. I sopravvissuti hanno dovuto affrontare ore di interventi chirurgici e diversi passaggi in sala operatoria, mentre piangevano la perdita dei figli e dei coniugi. I loro corpi erano pieni di schegge che dovevano essere estratte chirurgicamente dalla carne, un pezzo alla volta.

Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere Il racconto del dottor Irfan Galaria: “Ho smesso di tenere il conto di quanti nuovi orfani avevo operato. Dopo l’intervento venivano messi da qualche parte in ospedale, senza sapere chi si sarebbe preso cura di loro o come sarebbero sopravvissuti. In un’occasione, un gruppo di bambini, tutti di età compresa tra i 5 e gli 8 anni, sono stati portati al pronto soccorso dai loro genitori. Tutti erano stati colpiti da singoli colpi di cecchino alla testa. Queste famiglie stavano tornando alle loro case a Khan Yunis, a circa 2,5 miglia dall’ospedale, dopo che i carri armati israeliani si erano ritirati. Ma a quanto pare i cecchini erano rimasti indietro. Nessuno di questi bambini è sopravvissuto.

L’ultimo giorno, mentre tornavo alla guest house dove la gente del posto sapeva che alloggiavano gli stranieri, un ragazzino si è avvicinato e mi ha offerto un piccolo regalo. Era un sasso della spiaggia, con un’iscrizione in arabo scritta con un pennarello: “Da Gaza, con amore, nonostante il dolore”. Mentre stavamo sul balcone a guardare Rafah per l’ultima volta, sentivamo i droni, i bombardamenti e le raffiche di mitragliatrice, ma questa volta c’era qualcosa di diverso: I suoni erano più forti, le esplosioni più vicine.

Questa settimana, le forze israeliane hanno fatto irruzione in un altro grande ospedale di Gaza e stanno pianificando un’offensiva di terra a Rafah. Mi sento incredibilmente in colpa per essere riuscito a partire mentre milioni di persone sono costrette a sopportare l’incubo di Gaza. Come americano, penso ai dollari delle nostre tasse che pagano le armi che probabilmente hanno ferito i miei pazienti. Già cacciate dalle loro case, queste persone non hanno un altro posto dove andare. Pagine Esteri

*Irfan Galaria è un medico con uno studio di chirurgia plastica e ricostruttiva a Chantilly, Va.

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In Cina e in Asia – Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Usa


In Cina e in Asia – Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Usa xi biden usa cina
I titoli di oggi: Biden dice stop alla presenza delle gru cinesi nei porti degli Stati Uniti Ucraina, l’Ue annuncia sanziona per la prima volta aziende cinesi Wang Yi chiede a Macron di rafforzare il commercio tra Cina e Francia Nelle aziende cinesi arrivano le milizie armate Il costo per crescere un figlio in Cina è il più alto al ...

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…e di lavoro si muore …ancora di più l La Città di Sotto

"Ufficialmente sono 1.041 le denunce di incidenti mortali sul posto di lavoro arrivate all’Inail in tutto il 2023. Vittime che aumentano a 1.466 se come riferimento prendiamo i dati dell’Osservatorio nazionale di Bologna, una fotografia indipendente che monitora e registra tutti i morti sul lavoro in Italia, anche quelli che non dispongono di un’assicurazione."

lacittadisotto.org/2024/02/22/…



L’ONG croata Gong ha indagato sull’uso di Facebook da parte dell’HDZ e ha giudicato che i suoi bot ingannano i cittadini e manipolano l’opinione pubblica – una valutazione problematica nell’anno delle “super elezioni” in Croazia, quando si svolgeranno le elezioni...


Riciclaggio da Riga a Berlino attraverso Malta. Perquisizioni anche in Italia


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Oltre 100 perquisizioni in un'operazione su larga scala contro una rete criminale russo-eurasiatica e un istituto finanziario con sede a Malta presumibilmente coinvolto in servizi di riciclaggio di denaro svolte dalle autorità nazionali di Lettonia, Germania, Francia, Italia e Malta hanno effettuato. Per l'Italia hanno svolto le attività la Procura della Repubblica di Roma e la Guardia di Finanza - Nucleo Polizia Economica e Finanziaria di Roma. Quattro i sospetti che sono stati arrestati durante la giornata di azione sostenuta da #Eurojust ed #Europol. Potenziali sospettati e testimoni sono stati interrogati anche in Lettonia, Germania, Estonia e Malta.

Nel corso delle azioni sono stati impiegati oltre 460 agenti di polizia per effettuare le perquisizioni. La Germania ha inoltre schierato quattro agenti per supportare le indagini e le perquisizioni in Lettonia e Malta. Oltre agli arresti sono stati sequestrati diversi conti bancari e proprietà.

Dalla fine del 2015 l'istituto finanziario maltese ha riciclato almeno 4,5 milioni di euro in procedimenti criminali. La somma totale del denaro riciclato potrebbe ammontare a decine di milioni di euro. L'istituto finanziario e il gruppo criminale organizzato dietro di esso offrivano servizi di riciclaggio di denaro attraverso una rete di false imprese e individui che erano amministratori registrati, senza svolgere alcuna attività commerciale reale.

Il gruppo criminale organizzato operava principalmente da Riga e Berlino. Le indagini sono state avviate nel 2021 dalle autorità lettoni dopo aver notato trasferimenti di denaro insoliti dalla Lettonia all'istituto finanziario maltese. Contemporaneamente le autorità tedesche avevano avviato indagini su flussi di denaro sospetti che coinvolgevano lo stesso istituto finanziario.

Durante la giornata dell’azione, Europol ha inviato un esperto di riciclaggio di denaro in Lettonia e ha allestito un ufficio mobile presso il centro di coordinamento di Eurojust per supportare l’operazione. Da dicembre 2021 Europol sostiene le indagini fornendo analisi operative e finanziarie e competenze operative. L'Agenzia ha inoltre sostenuto la squadra investigativa comune e ha fornito sostegno finanziario al caso.

#GuardiadiFinanza



VERSIONE ITALIANA AI GENERATIVA, COME TRASFORMERA’ LA SCIENZA E IL SUO IMPATTO SULLA SOCIETA’L’intelligenza artificiale generativa sta mostrando, in questo ultimo anno, il suo grande potenziale anche nell’ambito della ricerca scientifica. Oltre a supportare nuove ipotesi e scoperte scientifiche, l’IA generativa può permettere ai ricercatori di seguire gli sviluppi mondiali nel loro campo. Università, finanziatori, …

Gabriele Orlando reshared this.



Diamo i casi ai fenomeni della UE, risolveranno tutto...


Il #MIM ha sottoscritto oggi il #Contratto collettivo nazionale integrativo sulla mobilità del personale della #scuola per l’anno scolastico 2024/2025.


Oggi #21febbraio, nella Giornata nazionale del Braille, prosegue l’attività della Biblioteca “Luigi De Gregori” del #MIM per la valorizzazione dei testi scritti con il rivoluzionario alfabeto per non vedenti e ipovedenti.


Stefano Galieni*   Bouzekri Rachimi, 56 anni, è stato l’ultimo corpo ad essere recuperato. Prima di lui erano stati estratti dalle macerie di un ca


Assange non ha nulla in comune con Navalny né col giornalismo


Spiace non poter solidarizzare con un uomo solo costretto metaforicamente in catene, ma i paragoni, parlando di Julian Assange, non reggono. Non regge, per cominciare, il paragone con Alexei Navalny. Navalny si è spontaneamente consegnato alla finta giust

Spiace non poter solidarizzare con un uomo solo costretto metaforicamente in catene, ma i paragoni, parlando di Julian Assange, non reggono. Non regge, per cominciare, il paragone con Alexei Navalny. Navalny si è spontaneamente consegnato alla finta giustizia di uno Stato autocratico (la Russia) per tutelare la libertà altrui, mentre Assange si sottrae alla giustizia di uno Stato democratico (gli Stati Uniti) per tutelare la propria, personale libertà. E non regge il paragone fatto da molti, soprattutto nel mondo grillino, con i tanti giornalisti che rischiano la prigione per aver legittimamente esercitato la libertà di stampa. Il paragone non regge per il semplice fatto che Julian Assange non è un giornalista, ma un attivista politico e non utilizza gli strumenti del mestiere di giornalista, ma quelli dell’agente di un servizio di intelligence ostile.

Assange non ha diffuso informazioni ricevute da una fonte compiacente, le ha sottratte illegalmente. L’accusa, infatti, è di hackeraggio. Cioè di aver aiutato l’ex militare americano Chelsea Manning a decrittare le password del Pentagono e di altre agenzie statunitensi per mettere le mani su informazioni classificate: 250mila documenti segreti la quasi totalità dei quali non svelava alcun misfatto né alcuna illegalità. È stata una colossale opera di disvelamento di fonti riservate della Cia e di dispacci diplomatici segreti che è servita (quasi) solo a mettere a repentaglio operazioni in corso e relazioni diplomatiche, oltre che la vita di un numero ragguardevole di agenti americani e, soprattutto, di loro collaboratori afghani e iracheni. Un’operazione che ha il sapore dell’offensiva spionistica. Un gusto certificato dalla successiva collaborazione tra WikiLeaks e l’hacker russo Guccifer2.0, al soldo dei servizi segreti militari del presidente Vladimir Putin. Un’operazione che, giova ricordarlo oggi, fu realizzata ai tempi della campagna per le presidenziali americane, quando a competere erano Donald Trump e Hillary Clinton. Un’operazione evidentemente volta a screditare l’antagonista del magnate americano, notoriamente sintonico con gli interessi della Russia putiniana.

Spiace non poter solidarizzare con un uomo solo costretto metaforicamente in catene, ma i paragoni non reggono. Julian Assange non è un martire e non è un giornalista: è un attivista politico e molto lascia credere che la sua attività sia stata se non concordata di certo incoraggiata dagli apparati russi al solo scopo di mettere in difficoltà il paese capofila del fronte liberal-democratico occidentale a cui Vladimir Putin ha dichiarato guerra: gli Stati Uniti d’America.

Huffington Post

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Kilonove, fabbriche di metalli pesanti l MEDIA INAF

"Secondo gli astronomi, nei giorni successivi a un evento di fusione, l’evoluzione della kilonova è essenzialmente caratterizzata dal decadimento radioattivo degli elementi più pesanti del ferro, sintetizzati durante la fusione."

media.inaf.it/2024/02/21/kilon…