PODCAST. Le liste nere di Trump: Washington cancella il diritto di viaggiare anche degli italiani
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Esiste un sistema che, ben oltre i confini degli Stati Uniti, limita il transito, l’ingresso e la libertà di movimento di persone ritenute indesiderate perché sostengono Paesi sanzionati da Washington, come il
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Sextortion e responsabilità delle piattaforme: quando il danno diventa prevedibile
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Meta e Match citate in giudizio in due casi diversi: il contenzioso punta a qualificare i danni come esito prevedibile di scelte di prodotto, procedure e priorità aziendali. Ecco perché si contesta la responsabilità delle piattaforme digitali
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Ecuador, l’arcipelago delle carceri: stragi, tubercolosi e la responsabilità dello Stato
@Notizie dall'Italia e dal mondo
Dal 2021 al 2025 almeno 816 persone sono morte violentemente nelle carceri ecuadoriane, mentre centinaia sono decedute per fame e tubercolosi. Tra stragi, militarizzazione e abbandono istituzionale, il sistema penitenziario si è
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La Russia sta preparando l’escalation ibrida
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Di fronte al declino delle capacità convenzionali e ai costi crescenti della guerra tradizionale, il Cremlino è pronto a puntare sempre più sulla guerra ibrida come principale strumento di escalation. L'analisi di Francesco D’Arrigo estratta dal libro “Minacce Ibride” (Paesi Edizioni).
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SigCore UC: An Open-Source Universal I/O Controller for the Raspberry Pi
Recently, [Edward Schmitz] wrote in to let us know about his Hackaday.io project: SigCore UC: An Open-Source Universal I/O Controller With Relays, Analog I/O, and Modbus for the Raspberry Pi.
In the video embedded below, [Edward] runs us through some of the features which he explains are a complete industrial control and data collection system. Features include Ethernet, WiFi, and Modbus TCP connectivity, regulated 5 V bus, eight relays, eight digital inputs, four analog inputs, and four analog outputs. All packaged in rugged housing and ready for installation/deployment.
[Edward] says he wanted something which went beyond development boards and expansion modules that provided a complete and ready-to-deploy solution. If you’re interested in the hardware, firmware, or software, everything is available on the project’s GitHub page. Beyond the Hackaday.io article, the GitHub repo, the YouTube explainer video, there is even an entire website devoted to the project: sigcoreuc.com. Our hats off to [Edward], he really put a lot of polish on this project.
If you’re interested in using the Raspberry Pi for input/output you might also like to read about Raspberry Pi Pico Makes For Expeditious Input Device and Smart Power Strip Revived With Raspberry Pi.
youtube.com/embed/jJMRukokuP8?…
Quando il cybercrime cade: Uomo ucraino colpevole di attacchi ransomware negli USA
Un uomo ucraino coinvolto in una serie di attacchi ransomware è stato riconosciuto colpevole negli Stati Uniti. Questi crimini informatici hanno colpito aziende di diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Canada e Australia. I danni causati dalle azioni degli aggressori ammontano a milioni di dollari.
Artem Aleksandrovych Stryzhak, cittadino ucraino di 35 anni, è stato arrestato a Barcellona nel 2024 ed estradato negli Stati Uniti in primavera. Si è dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata alla frode informatica. Il suo processo si sta svolgendo nel distretto orientale di New York, dove la sentenza è stata fissata per maggio 2026. Strizhak rischia fino a dieci anni di carcere.
Secondo l’accusa, Strizhak si è unito all’organizzazione criminale informatica a metà del 2021. Ha quindi ottenuto l’accesso al malware noto come Nefilim e ha accettato di cedere ai suoi sviluppatori una parte del riscatto. Il gruppo ha preso di mira grandi aziende con un fatturato annuo superiore a 100 milioni di dollari. Le loro azioni hanno causato non solo perdite finanziarie dirette, ma anche danni significativi alle infrastrutture delle organizzazioni colpite.
Tra le vittime figuravano aziende operanti nei settori dell’aviazione, dell’ingegneria, della chimica, delle assicurazioni, dell’energia e di altri settori. Gli operatori di Nefilim operavano non solo in Nord America, ma anche all’estero, ricorrendo a un duplice metodo di estorsione : prima bloccando l’accesso ai sistemi e poi minacciando di divulgare i dati rubati.
L’indagine è in corso e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti rimane interessato agli altri membri del gruppo. Particolare attenzione è rivolta a Volodymyr Tymoshchuk, che l’accusa identifica come uno degli organizzatori del piano criminale. Una ricompensa di 11 milioni di dollari è ancora in palio per informazioni che portino alla sua posizione.
Secondo il fascicolo, Tymoshchuk non solo supervisionava le attività di Nefilim, ma era anche associato ad altri programmi ransomware, come LockerGoga e MegaCortex.
Dalla fine del 2018 all’autunno del 2021, sarebbe stato responsabile di attacchi a centinaia di organizzazioni negli Stati Uniti e in Europa. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti stima che il danno totale subito superi le decine di milioni di dollari. Tra gli incidenti più noti c’è stato l’attacco alla società norvegese Norsk Hydro nel 2019.
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Muri Digitali. Quando la sicurezza diventa isolamento: il caso WhatsApp in Russia
Come sempre riportiamo su queste pagine, le nazioni stanno spingendo alla realizzazione di dispositivi software ed hardware domestici, ovvero tecnologie realizzate all’interno della nazione più facilmente controllabili dal punto di vista della sicurezza nazionale.
Se di per se possano sembrare delle ottime iniziative a livello economico e nazionale, portano con se gravi rischi per il futuro di internet e della “globalizzazione”.
Il fatto di erigere “Muri Digitali”, evitando tecnologie condivise, crea divisioni digitali che isolano le nazioni, limitando la collaborazione e lo scambio tecnologico su scala globale (scopri di più nell’articolo di Massimiliano Brolli).
Questo approccio, pur garantendo un maggiore controllo sulla sicurezza interna, rischia di frammentare il panorama tecnologico, ostacolando l’innovazione e aggravando le tensioni geopolitiche. La corsa alla sovranità digitale “può portare a un mondo in cui ogni nazione costruisce i propri muri tecnologici, generando conflitti e disuguaglianze nel lungo termine”.
Il Roskomnadzor della federazione Russa ha affermato che WhatsApp continua a violare la legge russa e, pertanto, impone costantemente misure restrittive nei confronti dell’app di messaggistica.
Il Roskomnadzor sostiene che WhatsApp venga utilizzata per organizzare e compiere attacchi terroristici nel Paese, reclutare terroristi e commettere frodi e altri reati contro i cittadini.
L’autorità di regolamentazione ha chiarito che le restrizioni verranno introdotte gradualmente per consentire agli utenti di passare ad app di messaggistica alternative e ha raccomandato di passare ai servizi nazionali.
Il Roskomnadzor ha inoltre sottolineato che le restrizioni su WhatsApp continueranno e che, se non verrà rispettata la legge russa, il servizio di messaggistica potrebbe essere completamente bloccato.
Nelle prime ore del mattino del 22 dicembre, gli utenti in Russia si sono lamentati in massa di WhatsApp. Secondo il servizio di monitoraggio SBOY.RF, nelle ultime 24 ore sono state registrate 1.283 segnalazioni e un grafico degli ultimi 14 giorni ha mostrato un forte aumento delle segnalazioni alla fine del periodo.
Il maggior numero di segnalazioni di indisponibilità ed errori di connessione è arrivato da Mosca, seguita da San Pietroburgo e dalla regione di Mosca.
Secondo il feedback degli utenti, alcuni utenti non sono riusciti a inviare messaggi e la versione web e l’app desktop non sono riuscite a connettersi. Tuttavia, la versione mobile ha continuato a funzionare per alcuni, a volte solo tramite VPN .
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MongoDB colpito da una falla critica: dati esfiltrabili senza autenticazione
Una vulnerabilità critica è stata individuata in MongoDB, tra le piattaforme di database NoSQL più utilizzate a livello globale.
Questa falla di sicurezza, monitorata con il codice CVE-2025-14847, permette agli aggressori di estrarre dati sensibili dalla memoria del server senza necessità di effettuare l’accesso.
La vulnerabilità ha una portata enorme e colpisce quasi tutte le versioni supportate (e non supportate) di MongoDB Server degli ultimi anni. L’avviso elenca impatti che vanno dalla moderna serie 8.2 fino alla versione 3.6.
Questo problema riguarda le versioni di seguito elencate:
- MongoDB dalla versione 8.2.0 alla 8.2.3
- MongoDB dalla versione 8.0.0 alla 8.0.16
- MongoDB dalla versione 7.0.0 alla 7.0.26
- MongoDB dalla versione 6.0.0 alla 6.0.26
- MongoDB dalla versione 5.0.0 alla 5.0.31
- MongoDB dalla versione 4.4.0 alla 4.4.29
- Tutte le versioni di MongoDB Server v4.2
- Tutte le versioni di MongoDB Server v4.0
- Tutte le versioni di MongoDB Server v3.6
La debolezza è legata alla gestione della compressione dei dati da parte del server MongoDB, in particolare all’implementazione della libreria zlib. Come indicato nell’avviso, un exploit sul lato client della implementazione zlib del server può causare il rilascio di memoria heap priva di inizializzazione.
La vulnerabilità, con un punteggio CVSSv4 di 8,7, viene classificata come di “Gravità elevata”, costituendo un rischio considerevole per le distribuzioni non aggiornate, in particolare poiché non richiede autenticazione per essere sfruttata.
In termini di sicurezza informatica, questo bug viene spesso definito “memory leak” o “information disclosure”. Inviando una richiesta appositamente predisposta, un client malintenzionato può ingannare il server inducendolo a rispondere con blocchi di dati dalla sua memoria interna (heap).
Fondamentalmente, il rapporto sottolinea che questo può essere ottenuto “senza autenticarsi al server”. Ciò significa che un aggressore non ha bisogno di un nome utente o di una password; gli basta l’accesso di rete alla porta del database per raccogliere potenzialmente frammenti di dati sensibili, che potrebbero includere qualsiasi cosa, dalle query recenti alle credenziali memorizzate nella cache, residenti nella RAM del server.
I responsabili della manutenzione hanno rilasciato versioni corrette e prive del bug in questione che sono le seguenti:
- 8.2.3
- 8.0.17
- 7.0.28
- 6.0.27
- 5.0.32
- 4.4.30
Esistono soluzioni temporanee per team che non possono interrompere i propri database per un aggiornamento immediato. Un’opzione possibile è disabilitare completamente la compressione zlib, come suggerito dall’avviso, ad esempio avviando mongod o mongos con un’opzione net.compression.compressors che esplicitamente omette zlib.
Tra le alternative sicure per la compressione figurano “snappy” o “zstd“. Un’altra opzione potrebbe essere quella di eseguire il processo con la compressione disabilitata, in attesa di poter applicare la patch.
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Smart TV sotto accusa: “Vi guardano mentre guardate”. La Privacy è a rischio!
Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha accusato cinque importanti produttori di televisori di aver raccolto illegalmente dati degli utenti utilizzando la tecnologia di riconoscimento automatico dei contenuti (ACR) per registrare ciò che i proprietari guardano.
Le accuse riguardano Sony , Samsung e LG nonché i produttori cinesi Hisense e TCL Technology Group Corporation.
L’ufficio del Procuratore Generale ha specificamente sottolineato le “serie preoccupazioni” circa le aziende cinesi, tenute a rispettare la legge cinese sulla sicurezza nazionale, consentendo potenzialmente al governo cinese di accedere ai dati degli utenti americani.
Secondo le cause legali intentate presso i tribunali del Texas, i produttori di TV utilizzano la tecnologia ACR per acquisire screenshot ogni 500 millisecondi. Questa tecnologia traccia l’attività degli utenti in tempo reale e trasmette le informazioni raccolte ai server delle aziende (all’insaputa o senza il consenso dei proprietari dei dispositivi). Le informazioni raccolte vengono poi vendute alle aziende che pagano di più per la pubblicità mirata.
“Le aziende, soprattutto quelle legate al Partito Comunista Cinese, non hanno il diritto di registrare illegalmente i dispositivi degli americani all’interno delle loro case”, ha affermato Paxton. “Tali azioni costituiscono un’invasione della privacy, sono ingannevoli e illegali. Il diritto fondamentale alla privacy sarà tutelato in Texas, perché possedere un televisore non significa cedere informazioni personali a giganti della tecnologia o avversari stranieri”.
Vale la pena notare che questa non è la prima volta che i produttori di smart TV vengono accusati di spiare gli utenti.
Ad esempio, nel 2017, il produttore di TV Vizio (di proprietà di Walmart) ha pagato 2,2 milioni di dollari per chiudere le accuse mosse dalla Federal Trade Commission statunitense e dall’ufficio del Procuratore Generale del New Jersey.
È stato poi rivelato che Vizio aveva raccolto dati di visualizzazione da 11 milioni di dispositivi all’insaputa o senza il consenso dei proprietari attraverso la sua funzione Smart Interactivity. Da febbraio 2014, Vizio e un’azienda correlata avevano lanciato sul mercato delle “smart TV” (e aggiornato da remoto i modelli più vecchi con il software necessario) che registravano informazioni dettagliate sui contenuti visualizzati.
I dati raccolti sono stati collegati a informazioni demografiche quali sesso, età, reddito e istruzione degli utenti e poi venduti a terze parti per mostrare pubblicità mirate.
Inoltre, nel 2024, un gruppo di ricercatori aveva già accusato i produttori di smart TV (tra cui Samsung e LG) di utilizzare la suddetta tecnologia di riconoscimento automatico dei contenuti (ACR), simile a Shazam.
Secondo un rapporto preparato da ricercatori dell’University College di Londra, dell’Università della California, Davis e dell’Università Carlos III di Madrid, il sistema di tracciamento funziona anche quando i televisori vengono utilizzati come display esterni, ovvero quando sono collegati ad altri dispositivi tramite HDMI. In questo modo, ACR può intercettare i contenuti provenienti da console di gioco o laptop collegati al televisore.
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SharePoint e DocuSign come esca: il phishing che ha provato ad ingannare 6000 aziende
I ricercatori di Check Point, pioniere e leader globale nelle soluzioni di sicurezza informatica, hanno scoperto una campagna di phishing in cui gli attaccanti si fingono servizi di condivisione file e firma elettronica per inviare esche a tema finanziario camuffate da notifiche legittime.
Il mondo iperconnesso ha reso più facile che mai per aziende e consumatori scambiarsi documenti, approvare transazioni e completare flussi di lavoro finanziari critici con un semplice clic. Le piattaforme di condivisione di file digitali e di firma elettronica, ampiamente utilizzate nel settore bancario, immobiliare, assicurativo e nelle operazioni commerciali quotidiane, sono diventate essenziali per il funzionamento veloce delle organizzazioni moderne. Questa comodità crea anche un’opportunità per i criminali informatici.
In questa campagna, i dati della telemetria Harmony Email di Check Point mostrano che nelle ultime settimane sono state inviate oltre 40.000 e-mail di phishing che hanno preso di mira circa 6.100 aziende.
Tutti i link malevoli sono stati convogliati attraverso l’indirizzo https://url.za.m.mimecastprotect.com/feed, aumentando la fiducia degli utenti grazie alla riproduzione di flussi di reindirizzamento a loro familiari.
Abuso della funzione di riscrittura dei link sicuri di Mimecast,
Poiché Mimecast Protect è un dominio affidabile, questa tecnica aiuta gli URL malevoli a eludere sia i filtri automatici che i sospetti degli utenti. Per aumentare la credibilità, le e-mail copiavano le immagini ufficiali del servizio (loghi dei prodotti Microsoft e Office), utilizzavano intestazioni, scritte a piè di pagina e pulsanti “Rivedi documento” in stile servizio e nomi visualizzati contraffatti come “X tramite SharePoint (Online)”, “eSignDoc tramite Y” e “SharePoint“, che ricalcavano in modo fedele i modelli di notifica autentici.
Immagine 1: esempio di e-mail di phishing
Oltre alla grande campagna SharePoint/e-signing, i ricercatori hanno identificato anche un’operazione più piccola ma correlata, che imita le notifiche DocuSign. Come l’attacco principale, questa impersona una piattaforma SaaS affidabile e sfrutta un’infrastruttura di reindirizzamento legittima, ma la tecnica utilizzata per mascherare la destinazione malevola è significativamente diversa.
Nella campagna principale, il reindirizzamento secondario agisce come un reindirizzamento aperto, lasciando visibile l’URL di phishing finale nella stringa di query nonostante sia racchiuso in servizi affidabili. Nella variante a tema DocuSign, il link passa attraverso un URL Bitdefender GravityZone e poi attraverso il servizio di tracciamento dei clic di Intercom, con la vera pagina didestinazione completamente nascosta dietro un reindirizzamento tokenizzato. Questo approccio nasconde completamente l’URL finale, rendendo la variante DocuSign ancora più elusiva e difficile da rilevare.
Immagine 2: Esempio di e-mail di phishing dalla variante in stile DocuSign
La campagna ha preso di mira principalmente organizzazioni negli Stati Uniti (34.057), in Europa (4.525), in Canada (767), in Asia (346), in Australia (267) e in Medio Oriente (256), concentrandosi in particolare sui settori della consulenza, della tecnologia e dell’edilizia/immobiliare, con ulteriori vittime nei settori sanitario, finanziario, manifatturiero, dei media e del marketing, dei trasporti e della logistica, dell’energia, dell’istruzione, della vendita al dettaglio, dell’ospitalità e dei viaggi e della pubblica amministrazione. Questi settori sono obiettivi appetibili perché scambiano regolarmente contratti, fatture e altri documenti transazionali, rendendo la condivisione di file e l’usurpazione di identità tramite firme elettroniche molto convincenti e con maggiori probabilità di successo.
Perché è importante
Si è già scritto di campagne di phishing simili negli anni passati, ma ciò che rende unico questo attacco è che mostra quanto sia facile per gli aggressori imitare servizi di condivisione di file affidabili per ingannare gli utenti, e sottolinea la necessità di una consapevolezza continua, soprattutto quando le e-mail contengono link cliccabili, dettagli sospetti sul mittente o contenuti insoliti nel corpo del messaggio.
Cosa dovrebbero fare le organizzazioni
Anche le organizzazioni e gli individui devono adottare misure proattive per ridurre il rischio. Alcuni modi per proteggersi includono:
- Approcciare sempre con cautela i link incorporati nelle e-mail, soprattutto quando sembrano inaspettati o urgenti.
- Prestare molta attenzione ai dettagli delle e-mail, come discrepanze tra il nome visualizzato e l’indirizzo effettivo del mittente, incongruenze nella formattazione, dimensioni dei caratteri insolite, loghi o immagini di bassa qualità e qualsiasi cosa che sembri fuori posto.
- Passare il mouse sui link prima di cliccarci sopra per verificare la destinazione reale e assicurarsi che corrisponda al servizio che presumibilmente ha inviato il messaggio.
- Aprire il servizio direttamente nel browser e cercare il documento direttamente, piuttosto che utilizzare i link forniti nelle e-mail.
- Istruire regolarmente i dipendenti e i team sulle tecniche di phishing emergenti, in modo che comprendano quali sono i modelli sospetti.
- Utilizzare soluzioni di sicurezza come il rilevamento delle minacce e-mail, i motori anti-phishing, il filtraggio degli URL e gli strumenti di segnalazione degli utenti per rafforzare la protezione complessiva.
La campagna di attacco descritta da Check Point ha sfruttato servizi di reindirizzamento URL legittimi per nascondere link dannosi, non una vulnerabilità di Mimecast. Gli aggressori hanno abusato di infrastrutture affidabili, tra cui il servizio di riscrittura URL di Mimecast, per mascherare la vera destinazione degli URL di phishing. Si tratta di una tattica comune in cui i criminali sfruttano qualsiasi dominio riconosciuto per eludere il rilevamento.
“I clienti Mimecast non sono suscettibili a questo tipo di attacco“, afferma un responsabile di Mimecast. “I motori di rilevamento di Mimecast identificano e bloccano questi attacchi. Le nostre funzionalità di scansione degli URL rilevano e bloccano automaticamente gli URL malevoli prima della consegna, dopodiché, il nostro servizio di riscrittura degli URL ispeziona i link al clic, fornendo un ulteriore livello di protezione che intercetta le minacce anche quando sono nascoste dietro catene di reindirizzamento legittime. Continuiamo a migliorare le nostre protezioni contro le tecniche di phishing in continua evoluzione. I clienti possono consultare la nostra analisi del 2024 su campagne simili al link https://www.mimecast.com/threat-intelligence-hub/phishing-campaigns-using-re-written-links/. Apprezziamo che Check Point abbia condiviso i propri risultati attraverso una divulgazione responsabile“.
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An HO Model Power Bogie For Not A Lot
For people who build their own model trains there are a range of manufacturers from whom a power bogie containing the motor and drive can be sourced. But as [Le petit train du Berry] shows us in a video, it’s possible to make one yourself and it’s easier than you might think (French language video with truly awful YouTube auto-translation).
At the heart of the design is a coreless motor driving a worm gear at each end that engages with a gear on each axle. The wheelsets and power pickups are off-the-shelf items. The chassis meanwhile is 3D printed, and since this is an ongoing project we see two versions in the video. The V5 model adds a bearing, which its predecessor lacked.
The result is a pretty good power bogie, but it’s not without its faults. The gear ratio used is on the high side in order to save height under a model train body, and in the version without a bearing a hard-wearing filament is required because PLA will wear easily. We’re guessing this isn’t the last we’ll see of this project, so we hope those are addressed in future versions.
We like this project and we think you will too after you’ve watched the video below the break. For more home-made model railway power, how about a linear motor?
youtube.com/embed/X7C90o_rN9Q?…
iCloud, Mega, and as a torrent. Archivists have uploaded the 60 Minutes episode Bari Weiss spiked.#News
High-Speed Pocket Hot Dog Cooker
Few of us complain that hot dogs take too long to cook, because we buy them from a stand. Still, if you do have to make your own dog, it can be a frustrating problem. To solve this issue, [Joel Creates] whipped up a solution to cook hot dogs nearly instantaneously. What’s more, it even fits in your pocket!
The idea behind this build is the same as the classic Presto hot dog cooker—pass electricity through a hot dog frank, and it’ll heat up just like any other resistive heating element. To achieve this, [Joel] hooked up a lithium-polymer pack to a 12-volt to 120-volt inverter. The 120-volt output was hooked up to a frank, but it didn’t really cook much. [Joel] then realized the problem—he needed bigger electrodes conducting electricity into the sausage. With 120 volts pumping through a couple of bolts jammed into either end of the frank, he had it cooked in two minutes flat.
All that was left to do was to get this concept working in a compact, portable package. What ensued was testing with a variety of boost converter circuits to take power from the batteries and stepping it up to a high enough voltage to cook with. That, and solving the issue of nasty chemical byproducts produced from passing electricity through the sausages themselves. Eventually, [Joel] comes up with a working prototype which can electrically cook a hot dog to the point of shooting out violent bursts of steam in under two minutes. You’d still have to be pretty brave to eat something that came out of this thing.
The biggest problem with hot dogs remains that the franks are sold in packs of four while buns are sold in packs of six. Nobody’s solved that problem yet, except for those hateful people who inexplicably have eleven friends. If you solve that one, don’t hesitate to notify the tipsline. Don’t forget, either, that the common hot dog can make for an excellent LED tester. Video after the break.
youtube.com/embed/0-OKW5CsKkU?…
Rapido 904. La strage (dimenticata) di Natale
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/rapido-…
C’è una strage spesso dimenticata tra quelle che hanno insanguinato l’Italia dal 1969 (Piazza Fontana) ed è quella del Rapido 904, ribattezzata la strage di Natale. L’attentato al treno che il 23 dicembre 1984 era partito dalla stazione di
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Christmas Ornament Has Hidden Compartment, Clever Design
If you need something clever for a gift, consider this two-part 3D-printed Christmas ornament that has a small secret compartment. But there’s a catch: the print is a challenging one. So make sure your printer is up to the task before you begin (or just mash PRINT and find out).Want a challenging print that’s also useful? This two-piece ornament has a small gift area inside, and prints without supports.
This design is from [Angus] of [Maker’s Muse] and it’s not just eye-catching, but meticulously designed specifically for 3D printing. In fact, [Angus]’s video (embedded under the page break) is a great round-up of thoughtful design for manufacture (DFM) issues when it comes to filament-based 3D printing.
The ornament prints without supports, which is interesting right off the bat because rounded surfaces (like fillets, or a spherical surface) facing the build plate — even when slightly truncated to provide a flat bottom — are basically very sharp overhangs. That’s a feature that doesn’t generally end up with a good surface finish. [Angus] has a clever solution, and replaces a small section with a flat incline. One can’t tell anything is off by looking at the end result, but it makes all the difference when printing.
There are all kinds of little insights into the specific challenges 3D printing brings, and [Angus] does a fantastic job of highlighting them as he explains his design and addresses the challenges he faced. One spot in particular is the flat area underneath the hang hole. This triangular area is an unsupported bridge, and because of its particular shape, it is trickier to print than normal bridges. The workable solution consists of countersinking a smaller triangle within, but [Angus] is interested in improving this area further and is eager to hear ideas on how to do so. We wonder if he’s tried an approach we covered to get better bridges.
Want to print your own? 3D files are available direct from [Angus]’s site in a pay-what-you-like format. If your 3D printer is up to it, you should be able to make a few before Christmas. But if you’d prefer to set your sights on next year with something that uses power and hardware, this tiny marble machine ornament should raise some eyebrows.
youtube.com/embed/Oyy16lbpe_c?…
Calibrating a Printer with Computer Vision and Precise Timing
[Dennis] of [Made by Dennis] has been building a Voron 0 for fun and education, and since this apparently wasn’t enough of a challenge, decided to add a number of scratch-built improvements and modifications along the way. In his latest video on the journey, he rigorously calibrated the printer’s motion system, including translation distances, the perpendicularity of the axes, and the bed’s position. The goal was to get better than 100-micrometer precision over a 100 mm range, and reaching this required detours into computer vision, clock synchronization, and linear algebra.
To correct for non-perpendicular or distorted axes, [Dennis] calculated a position correction matrix using a camera mounted to the toolhead and a ChArUco board on the print bed. Image recognition software can easily detect the corners of the ChArUco board tiles and identify their positions, and if the camera’s focal length is known, some simple trigonometry gives the camera’s position. By taking pictures at many different points, [Dennis] could calculate a correction matrix which maps the printhead’s reported position to its actual position.
Leveling the bed also took surprisingly deep technical knowledge; [Dennis] was using a PZ probe to detect when the hotend contacted the bed in various places, and had made a wiper to remove interfering plastic from the nozzle, but wasn’t satisfied by the bed’s slight continued motion after making contact (this might have introduced as much as five micrometers of error). To correct for this, he had the microcontroller in the hotend record the time of contact and send this along with the hit signal to the Raspberry Pi controller, which keeps a record of times and positions, letting the true contact position be looked up. This required the hotend’s and the printer’s microcontrollers to have their clocks synchronized to within one microsecond, which the Pi managed using USB start-of-frame packets.
The final result was already looking quite professional, and should only get better once [Dennis] calibrates the extrusion settings. If you’re looking for more about ChArUco boards, we’ve covered them before, as well as calibration models. If you’re looking for high-precision bed leveling, you could also check out this Z sensor.
youtube.com/embed/8DvygwWloCc?…
Thanks to [marble] for the tip!
Ask Hackaday: What Goes Into A Legible Font, And Why Does It Matter?
American and British patents, for comparison.
There’s an interesting cultural observation to be made as a writer based in Europe, that we like our sans-serif fonts, while our American friends seem to prefer a font with a serif. It’s something that was particularly noticeable in the days of print advertising, and it becomes very obvious when looking at government documents.
We’ve brought together two 1980s patents from the respective sources to illustrate this, the American RSA encryption patent, and the British drive circuitry patent for the Sinclair flat screen CRT. The American one uses Times New Roman, while the British one uses a sans-serif font which we’re guessing may be Arial. The odd thing is in both cases they exude formality and authority to their respective audiences, but Americans see the sans-serif font as less formal and Europeans see the serif version as old-fashioned. If you thought Brits and Americans were divided by a common language, evidently it runs much deeper than that.
But What Makes Text Easier To Read?
Is this legible enough for you?
We’re told that the use of fonts such as Arial or Calibri goes a little deeper than culture or style, in that these sans-serif fonts have greater readability for users with impaired vision or other conditions that impede visual comprehension. If you were wondering where the hack was in this article it’s here, because many of us will have made device interfaces that could have been more legible.
So it’s worth asking the question: just what makes a font legible? Is there more to it than the presence or absence of a serif? In answering that question we’re indebted to the Braille Institute of America for their Atkinson Hyperlegible font, and to Mencap in the Uk for their FS Me accessible font. It becomes clear that these fonts work by subtle design features intended to clearly differentiate letters. For example the uppercase “I”, lowercase letter “l”, and numeral “1” can be almost indistinguishable in some fonts: “Il1”, as can the zero and uppercase “O”, the lowercase letters “g”, and “q”, and even the uppercase “B” and the numeral “8”. The design features to differentiate these letters for accessibility don’t dominate the text and make a font many readers would consider “weird”.
Bitmap Fonts For The Unexpected Win
The typeface used in the Commodore 8-bit machines. User:HarJIT, Public domain.
It’s all very well to look at scaleable fonts for high resolution work, but perhaps of more interest here are bitmap fonts. After all it’s these we’ll be sending to our little screens from our microcontrollers. It’s fair to say that attempts to produce smooth typefaces as bitmaps on machines such as the Amiga produced mixed results, but it’s interesting to look at the “classic” ROM bitmap fonts as found in microcomputers back in the day. After years of their just flowing past he eye it’s particularly so to examine them from an accessibility standpoint.
Machines such as the Sinclair Spectrum or Commodore 64 have evidently had some thought put into differentiating their characters. Their upper-case “Ii” has finials for example, and we’re likely to all be used to the zero with a line through it to differentiate it from the uppercase “O”. Perhaps of them all it’s the IBM PC’s code page 437 that does the job most elegantly, maybe we didn’t realise what we had back in the day.
So we understand that there are cultural preferences for particular design choices such as fonts, and for whatever reason these sometimes come ahead of technical considerations. But it’s been worth a quick look at accessible typography, and who knows, perhaps we can make our projects easier to use as a result. What fonts do you use when legibility matters?
Header: Linotype machines: AE Foster, Public domain.
OSINT e Anti-Terrorismo: Il Monitoraggio dei Canali Pubblici per isolare Minacce e Proselitismo
L’Open Source Intelligence (OSINT) ha assunto un ruolo centrale nelle strategie di intelligence antiterrorismo moderne, trasformandosi da semplice strumento di supporto a pilastro fondamentale per la sicurezza nazionale e globale.
Il teatro operativo è cambiato radicalmente: non si limita più a cave remote o cellule isolate, ma si è spostato nel vasto e caotico ecosistema del web, dove l’ideologia estremista si diffonde, si radicalizza e recluta indisturbata, sfruttando la democratizzazione delle piattaforme di comunicazione.
Trasformare il rumore di fondo in segnali
L’efficacia dell’OSINT in questo ambito risiede nella sua capacità unica di trasformare il rumore di fondo dei canali pubblici – social media, forum di discussione, dark web e servizi di messaggistica criptata accessibili in parte – in segnali d’allarme precoci e attuabili.
La sfida maggiore per le agenzie di sicurezza è districare il proselitismo dalla semplice espressione di opinioni radicali, e identificare i punti di flesso che indicano il passaggio dall’ideazione teorica alla pianificazione operativa.
È qui che l’OSINT, potenziata dall’analisi comportamentale e dai tool di analisi semantica basati sull’intelligenza artificiale, eccelle. Non si tratta semplicemente di intercettare una minaccia esplicita, ma di tracciare la kill chain cognitiva: il monitoraggio inizia con l’analisi dei contenuti propagandistici (OSINF), passa all’identificazione dei canali di reclutamento, e culmina nel profiling degli individui che mostrano un’escalation di interesse, una crescente adesione a linguaggi codificati o la ricerca di informazioni operative specifiche (es. know-how su esplosivi, tecniche di occultamento).
I limiti legali del monitoraggio dei canali pubblici
Il monitoraggio dei canali pubblici, tuttavia, si scontra con limiti legali ed etici ancora più stringenti rispetto ad altre forme di OSINT. La ricerca di informazioni su larga scala, volta a identificare potenziali terroristi o simpatizzanti, implica inevitabilmente il trattamento massivo di dati personali, spesso sensibili, di individui che non sono (ancora) sospettati formalmente. In contesti europei regolati dal GDPR, le agenzie devono dimostrare che il trattamento è strettamente necessario e proporzionato al perseguimento di un obiettivo di sicurezza pubblica e anti-terrorismo, invocando spesso la deroga di “interesse pubblico essenziale” o la direttiva sul trattamento dei dati personali a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati. È un terreno insidioso dove l’eccesso di zelo può facilmente sfociare in sorveglianza indiscriminata.
L’uso di tecniche di clustering e analisi delle reti sociali (Social Network Analysis – SNA) è fondamentale per mappare le relazioni tra username, identificare leader carismatici e scoprire come si formano le cellule virtuali. L’analista OSINT cerca qui le anomalie nel comportamento comunicativo: cambiamenti repentini nei pattern di messaggistica, migrazione da piattaforme pubbliche a servizi criptati dopo un evento specifico, o l’utilizzo di cryptocurrency per il finanziamento. Questi indizi, se aggregati correttamente, possono fornire un quadro predittivo dell’attività operativa.
La tentazione di sbirciare oltre il dovuto
Tuttavia, anche in questo campo delicatissimo, la tentazione di “sbirciare oltre il cancello” è forte. L’uso di tecniche come l’infiltrazione passiva (sock puppets non coinvolti in social engineering attivo) o l’utilizzo di vulnerabilità di configurazione per accedere a gruppi di messaggistica pseudo-privati, pur essendo strumenti investigativi potenti, devono essere rigorosamente autorizzati e giustificati.
La linea rossa non è solo legale, ma di affidabilità: se i metodi di raccolta violano sistematicamente le normative o l’etica, l’intelligence prodotta rischia di essere inutilizzabile in un procedimento giudiziario, compromettendo l’intero sforzo investigativo.
L’analista antiterrorismo deve agire con la consapevolezza che ogni dato raccolto deve non solo prevenire un attacco, ma anche superare il vaglio della legittimità giuridica, rendendo l’etica e il rispetto della legge non optional, ma elementi essenziali della metodologia OSINT stessa. In definitiva, l’efficacia contro il terrore si misura nella capacità di bilanciare la ricerca aggressiva con la tutela dei diritti fondamentali, trasformando l’OSINT da strumento di sorveglianza di massa in un faro chirurgico puntato solo sulle minacce più concrete.
La zona grigia e l’etica personale
L’evoluzione tecnologica impone una riflessione costante sulla natura del “pubblico” e del “manifestamente reso pubblico”. Mentre la giurisprudenza fatica a tenere il passo con l’evoluzione dei social media e delle piattaforme effimere, l’analista si trova a operare in una zona grigia in continua espansione.
Consideriamo, ad esempio, le piattaforme di gaming online o i forum di nicchia. Se un canale di gaming viene cooptato e utilizzato per la diffusione di messaggi cifrati o l’organizzazione logistica, l’OSINT deve necessariamente spingersi in questi ambienti. Il dato lì presente, sebbene teoricamente “aperto” a tutti i partecipanti, gode di una ragionevole aspettativa di riservatezza tra gli utenti.
L’estrazione massiva di log di chat o l’analisi dei metadati dei profili in questi contesti, senza un mandato specifico, solleva seri dubbi sulla proporzionalità e sulla minimizzazione dei dati. L’obiettivo primario di salvare vite umane non può essere un assegno in bianco per ignorare i diritti civili; al contrario, richiede una metodologia impeccabile che prevenga abusi e garantisca la sostenibilità democratica dell’attività di intelligence.
Intelligenza artificiale e steganografia
Inoltre, il ruolo dell’Intelligenza Artificiale (AI) nel filtering e nell’analisi predittiva aggiunge un ulteriore strato di complessità etica e legale. I modelli di machine learning, addestrati su enormi dataset di comunicazioni estremiste e pubbliche, possono generare score di rischio o identificare potenziali reclutatori. Tuttavia, questi modelli sono intrinsecamente soggetti a bias algoritmici. Se i dataset di addestramento riflettono bias sociali preesistenti (ad esempio, sovra-rappresentando determinate etnie o gruppi socio-culturali come “a rischio”), l’AI potrebbe portare a un profiling ingiusto e discriminatorio di innocenti. Le agenzie devono quindi implementare non solo misure di privacy by design, ma anche di equity and fairness by design, sottoponendo i modelli predittivi a rigorosi audit per la trasparenza e la non discriminazione. L’OSINT basata sull’AI è potente, ma il suo output non può essere accettato ciecamente come “verità operativa”; deve essere sempre affiancato e convalidato dall’analisi umana e dall’incrocio con intelligence di tipo tradizionale (HUMINT o SIGINT).
Un’altra sfida operativa è rappresentata dal data void creato dalla crescente consapevolezza del nemico. Le organizzazioni terroristiche sono ormai esperte in OPSEC (Security of Operations); utilizzano tecniche di steganografia (nascondere messaggi all’interno di immagini o video innocui), migrano continuamente tra piattaforme, e impiegano linguaggi crittografati o allusivi per eludere i keywordtrigger.
L’OSINT, in questi casi, deve evolvere oltre la semplice ricerca testuale. Richiede l’impiego di analisti altamente specializzati nel cultural intelligence e nell’analisi linguistica, capaci di decodificare il simbolismo, l’umorismo di nicchia o i riferimenti storici specifici utilizzati per la comunicazione interna. L’uso dei metadati (geolocalizzazione, tempi di pubblicazione, pattern di accesso) diventa in questi casi più prezioso del contenuto stesso, consentendo di ricostruire la rete relazionale e logistica anche in assenza di comunicazioni esplicite.
Conclusioni
Infine, l’OSINT gioca un ruolo cruciale nella fase di de-radicalizzazione. Comprendendo i canali e le narrative che portano alla radicalizzazione (il come e il perché), le agenzie e le organizzazioni possono sviluppare contronarrative mirate da diffondere attraverso gli stessi canali aperti. Questo aspetto dell’OSINT, volto alla prevenzione sociale piuttosto che alla repressione, dimostra la sua valenza più etica e costruttiva.
Non si limita a identificare la minaccia, ma aiuta a neutralizzare l’ideologia alla fonte. Per chi opera in questo settore, l’OSINT non è solo una metodologia di raccolta dati, ma un complesso sistema di responsabilità sociale e legale. Solo garantendo che ogni passo, dalla raccolta all’analisi, sia eticamente ineccepibile e legalmente sostenibile, la comunità cyber e di intelligence potrà mantenere la fiducia del pubblico e la legittimità delle proprie operazioni essenziali per la sicurezza globale. La vera vittoria sull’estremismo, in questo teatro digitale, non è solo l’arresto, ma la salvaguardia delle libertà che si intende proteggere.
L'articolo OSINT e Anti-Terrorismo: Il Monitoraggio dei Canali Pubblici per isolare Minacce e Proselitismo proviene da Red Hot Cyber.
Sottovalutare la sicurezza informatica. Oggi parliamo di “La sicurezza rallenta il business”
Sottovalutare la sicurezza informatica oggi è quasi una posa. Un’abitudine.
Si parla ancora di sicurezza come di qualcosa che frena, che rallenta, che mette sabbia negli ingranaggi del business. Un’idea ripetuta così tante volte da sembrare vera. Ma resta un riflesso pigro, più che una valutazione reale.
Nel racconto aziendale, la sicurezza viene spesso dipinta come un costo secco. Un controllo in più. Una password lunga. Un passaggio che “fa perdere tempo”. Nessuno dice mai apertamente che la sicurezza sia inutile, ma il sottotesto è quello. Se serve correre, la sicurezza può aspettare. Tanto non succede niente.
O almeno non oggi.
Il falso dilemma tra velocità e protezione
Il punto è che questo conflitto è in gran parte inventato.
Sicurezza contro produttività, come se fossero due forze opposte. Come se una dovesse per forza mangiarsi l’altra. È un modo comodo di semplificare una questione più scomoda: progettare processi che funzionino davvero e con sicurezza.
Quando la sicurezza manca, o è trattata come un accessorio, il business non accelera. Si espone.
E prima o poi si ferma.
Non per mezz’ora, non per una call saltata.
Si ferma sul serio. Giorni. Settimane.
Reparti interi bloccati, sistemi irraggiungibili, persone che non sanno cosa fare se non aspettare. Altro che rallentamento.
Quando il blocco è reale, non teorico
Ci sono aziende che hanno smesso di operare per settimane intere. Produzione ferma. Logistica paralizzata. Clienti che chiamano e nessuno che può rispondere davvero. Non perché qualcuno avesse imposto troppi controlli, ma perché quei controlli non c’erano. O c’erano solo sulla carta, in qualche policy dimenticata.
In quei momenti il business scopre una cosa fastidiosa: la sicurezza non era un freno, era una cintura di sicurezza. Invisibile finché serve, fondamentale quando serve. E quando manca, il botto non è elegante. È caotico, rumoroso, costoso. E lascia strascichi lunghi, anche dopo il ripristino.
Il costo che nessuno mette nei fogli Excel
La narrativa del “la sicurezza rallenta” ignora sempre i costi indiretti. Il tempo perso dopo. Le decisioni prese di fretta. Le deroghe improvvisate. Le persone che aggirano i sistemi perché tanto “ora dobbiamo lavorare”. È lì che il business perde velocità vera, non quando implementa un controllo sensato.
E c’è anche un altro dettaglio, spesso trascurato: quando un’azienda è ferma per un incidente serio, non decide più nulla. Subisce. Ogni scelta è reattiva, confusa, sotto pressione. Non è produttività, è sopravvivenza.
E nemmeno fatta bene. Quella si chiama Crisis management.
La sicurezza come condizione, non come optional
Trattare la sicurezza come qualcosa che viene dopo, se avanza tempo, significa non aver capito il contesto attuale. Non è una questione morale, né ideologica. È operativa. Senza sicurezza minima, il business moderno non scorre. Si inceppa, e prima o poi si ferma. Traaaaaaaaaaak!
Le aziende che funzionano non sono quelle senza controlli, ma quelle in cui i controlli sono pensati per stare dentro il lavoro reale. Non contro. Non sopra. Dentro.
È meno spettacolare di quanto sembri, e forse per questo se ne parla male.
Un’idea dura a morire
Eppure il mantra resta. “La sicurezza rallenta”.
Lo si sente ancora dire, magari a bassa voce, magari in riunioni chiuse. È una scorciatoia mentale, comoda. Poi arriva lo stop, quello vero, e nessuno parla più di rallentamenti.
E si scopre che il problema non era la sicurezza, ma l’averla trattata come un intralcio invece che come una condizione di partenza.
Un errore semplice, quasi banale. Eppure da molti fatto ancora oggi.
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RansomHouse rilascia Mario! Il ransomware si evolve e diventa più pericoloso
Il gruppo dietro RansomHouse, uno dei più noti servizi di distribuzione di ransomware, ha rafforzato le capacità tecniche dei suoi attacchi. Secondo gli esperti, i criminali informatici hanno aggiunto al loro arsenale uno strumento di crittografia aggiornato, caratterizzato da un’architettura più complessa e funzionalità ampliate.
Le modifiche hanno interessato sia l’algoritmo di elaborazione dei file sia i metodi che ne complicano l’analisi successiva. RansomHouse è attivo dalla fine del 2021, inizialmente con fughe di dati e poi con l’uso attivo di ransomware negli attacchi.
Il servizio si è sviluppato rapidamente, incluso il rilascio dell’utility MrAgent per il blocco di massa degli hypervisor VMware ESXi. Uno degli incidenti più recenti noti ha riguardato l’uso di diverse varianti di ransomware contro la società di e-commerce giapponese Askul
Un recente rapporto dell’Unità 42 di Palo Alto Networks descrive una nuova variante del ransomware chiamata “Mario“. A differenza della versione precedente, che utilizzava un’elaborazione monofase, la modifica aggiornata utilizza un approccio a due fasi con due chiavi: una chiave primaria da 32 byte e una chiave secondaria da 8 byte.
Ciò aumenta significativamente la potenza della crittografia e complica i tentativi di recupero dei dati.
Un’ulteriore protezione è fornita da un meccanismo di elaborazione dei file riprogettato. Invece di uno schema lineare, viene utilizzata la suddivisione dinamica dei blocchi, con una soglia di 8 GB e crittografia parziale.
Le dimensioni e il metodo di elaborazione di ciascun file dipendono dalle sue dimensioni e vengono calcolati utilizzando complesse operazioni matematiche. Questo approccio complica l’analisi statica e rende il comportamento del crittografo meno prevedibile.
Anche la struttura di gestione della RAM è stata modificata: ora vengono utilizzati buffer separati per ogni fase di crittografia. Ciò aumenta la complessità del codice e riduce la probabilità di rilevamento durante l’analisi. Inoltre, la nuova versione fornisce informazioni più dettagliate durante l’elaborazione dei file, mentre in precedenza si limitava a un messaggio sul completamento dell’attività.
I file delle macchine virtuali, che ricevono l’estensione “.emario” dopo la crittografia, rimangono il bersaglio degli attacchi. In ogni directory interessata viene lasciato un messaggio con le istruzioni su come ripristinare l’accesso ai dati (ransom note).
Gli specialisti dell’Unità 42 sottolineano che questa evoluzione del ransomware RansomHouse è un segnale d’allarme. La maggiore complessità ostacola la decrittazione e complica notevolmente l’analisi dei campioni, suggerendo una strategia ben ponderata, focalizzata non sulla scala, ma sull’efficienza e sulla segretezza.
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l'UE sempre più "mazzolata", ma bomber Pfizer & c pensano a giocare alla guerra.
Cina: dazi sui prodotti caseari UE
A partire da domani la Cina imporrà dazi dal 21,9% al 42,7% sui prodotti lattiero caseari dell’Unione Europea. Lo ha annunciato il ministro del Commercio cinese, che ha spiegato che la misura sarà temporanea e avrà lo scopo di compensare le perdite del settore in Cina. «I prodotti lattiero-caseari importati provenienti dall’UE ricevono sussidi», ha detto il ministro. «L’industria lattiero-casearia nazionale cinese ha subito danni sostanziali ed esiste un nesso causale tra i sussidi e il danno», ha aggiunto.
Device Code Phishing: la minaccia che non ruba password, ma compromette gli account utente
@Informatica (Italy e non Italy 😁)
Il phishing del codice dispositivo provoca la compromissione dell’account, l’esfiltrazione di dati e molto altro ancora. Ecco come proteggersi dal Device Code Phishing, la forma di phishing che non ruba la password, ma si
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Andiamo a dire #NO a questo nuovo tentativo di spallata antidemocratica
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/andiamo…
Tutto sbagliato. Innanzitutto non sono tutti gli avvocati di Siena a dire Sì ma soltanto (com’è scritto nell’articolo a differenza del titolo) quelli che
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Lo sgombero di Askatasuna e il ruolo dello Stato
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/lo-sgom…
Il punto non è quanto ci piaccia o meno Askatasuna, quanto ci entusiasmino presupposto ideologico, finalità, obiettivi e metodi. Il punto è cosa deve tentare di fare la politica di fronte ad un fatto sociale così rilevante,
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Da un anno non mi rinnovano la tessera stampa turca. Perché?
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/da-un-a…
“È da circa un anno che non ho ottenuto il rinnovo della mia tessera stampa turca, necessaria per la mia attività giornalistica, pubblica, in Turchia in qualità di corrispondente di Radio
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Libertà di stampa, dal rapporto Unesco il peggior arretramento globale degli ultimi decenni
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/liberta…
Secondo il World Trends in Freedom of Expression and Media Development 2022–2025 dell’Unesco la
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La Cisl Scuola Torino Canavese a fianco di Alberto Trentini
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/la-cisl…
“Da oggi simbolicamente Alberto sarà con noi in ogni iniziativa. Abbiamo scelto che una sua immagine sia presente in tutte le nostre attività sindacali. Un gesto semplice che serve a non far mai
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Sistema politico
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/sistema…
Il XXVIII Rapporto “Gli Italiani e lo Stato” 2025, realizzato da Demos & Pi, ha analizzato le percezioni degli italiani su istituzioni e politica, evidenziando trend preoccupanti come la scomparsa della classe media (solo il 45% si sente tale) e un crescente consenso verso soluzioni autoritarie, con il 30% che non
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Flock left at least 60 of its people-tracking Condor PTZ cameras live streaming and exposed to the open internet.#Flock
“Gli zar della Casa Bianca”. L’ultimo libro Antonio Di Bella ci aiuta a leggere l’America di oggi
@Giornalismo e disordine informativo
articolo21.org/2025/12/gli-zar…
Stravagante, imprevedibile, un unicum. Così è stata definita la presidenza Trump. Ma, per quanto non manchino gli aspetti nuovi, come la confluenza di interessi personali e pubblici o
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The Music of the Sea
For how crucial whales have been for humanity, from their harvest for meat and oil to their future use of saving the world from a space probe, humans knew very little about them until surprisingly recently. Most people, even in Herman Melville’s time, considered whales to be fish, and it wasn’t until humans went looking for submarines in the mid-1900s that we started to understand the complexities of their songs. And you don’t have to be a submarine pilot to listen now, either; all you need is something like these homemade hydraphones.
This project was done as part of a workshop in Indonesia, and it only takes a few hours to build. It’s based on a piezo microphone enclosed in a small case. A standard 3.5 mm audio cable runs into the enclosure and powers a preamp using a transistor and two resistors. With the piezo microphone and amplifier installed in this case, the case itself is waterproofed with a spray and allowed to dry. When doing this build in places where Plasti-Dip is available, it was found to be a more reliable and faster waterproofing method. Either way, with the waterproofing layer finished, it’s ready to toss into a body of water to listen for various sounds.
Some further instructions beyond construction demonstrate how to use these to capture stereo sounds, using two microphones connected to a stereo jack. The creators also took a setup connected to a Raspberry Pi offshore to a floating dock and installed a set permanently, streaming live audio wirelessly back to the mainland for easy listening, review, and analysis. There are other ways of interacting with the ocean using sound as well, like this project, which looks to open-source a sonar system.
Thanks to [deathbots] for the tip!
Internet-Connected Consoles Are Retro Now, And That Means Problems
A long time ago, there was a big difference between PC and console gaming. The former often came with headaches. You’d fight with drivers, struggle with crashes, and grow ever more frustrated dealing with CD piracy checks and endless patches and updates. Meanwhile, consoles offered the exact opposite experience—just slam in a cartridge, and go!
That beautiful feature fell away when consoles joined the Internet. Suddenly there were servers to sign in to and updates to download and a whole bunch of hoops to jump through before you even got to play a game. Now, those early generations of Internet-connected consoles are becoming retro, and that’s introduced a whole new set of problems now the infrastructure is dying or dead. Boot up and play? You must be joking!
Turn 360 Degrees And Log Out
The Xbox 360 was a console that had online gaming built in to its very fabric from the outset. Credit: author
Microsoft first launched the Xbox 360 in 2005. It was the American company’s second major console, following on from the success of the Xbox that fought so valiantly against the Sony PlayStation 2 and the Nintendo GameCube. Where those sixth generation consoles had been the first to really lean in to online gaming, it was the seventh generation that would make it a core part of the console experience.
The Xbox 360 liked to sign you straight into Xbox Live the moment you switched on the console. All your friends would get hear a little bling as they were notified that you’d come online, and you’d get the same in turn. You could then boot into the game of your choice, where you’d likely sign into a specific third-party server to check for updates and handle any online matchmaking.
The Xbox 360 didn’t need to be always online, it just really wanted you to be. This was simply how gaming was to be now. Networked and now highly visible, in a semi-public way. Where Microsoft blazed a trail in the online user experience for the console market, Sony soon followed with its own feature-equivalent offering, albeit one that was never quite as elegant as that which it aimed to duplicate.Boot up an Xbox 360 today, and you might find it rather difficult to log into your Xbox Live account—even if you do remember your password! Credit: author
Fire up an Xbox 360 today, and you’ll see that console acting like it’s still 2008 or something. It will pleasantly reach out to Microsoft servers, and it will even get a reply—and it will then prompt you to log in with your Xbox Live or Microsoft account. You’ve probably got one—many of us do—but here lies a weird problem. When you try to log in to an Xbox 360 with your current Microsoft account, you will almost certainly fail! You might get an error like 8015D086 or 8015D000, or have it fail more quietly with a simple timeout.
It all comes down to authentication. See, the Internet was a much happier, friendly place when the Xbox 360 first hit the shelves. Back then, a simple password of 8 characters or more with maybe a numeral or two was considered pretty darn good for login purposes. Not like today, where you need to up the complexity significantly and throw in two-factor authentication to boot. And therein lies the problem, because the Xbox 360 was never expecting two-factor authentication to be a thing.
Today, your Microsoft account won’t be authorized for login without it, and thus your Xbox 360 won’t be able to log in to Xbox Live. In fairness, you wouldn’t miss much. All the online stores and marketplaces and games servers were killed ages ago, after all. However, the 360 really doesn’t like not being online. It will ask you all the time if you want to sign in! Plus, if you wanted to get your machine the very last dashboard updates or anything like that… you need to be able to sign into Xbox Live.
Thankfully, there is a workaround. Community members have found various solutions, most easily found in posts shared on Reddit. Sometimes you can get by simply by disabling two-factor authentication and changing to a low-complexity password due to the 360’s character limit in the entry field. If that doesn’t work, though, you have to go to the effort to set up a special “App Password” in your Microsoft account that will let the Xbox 360 authenticate in a simpler, more direct fashion.Plenty of modern video games are built with online features that rely on the publisher-hosted servers. When those shut down, parts of the game die. Credit: author
Pull all this off, and you’ll hear that famous chime as your home console reaches the promised land of Xbox Live. None of your friends will be online, and nobody’s really checking your Gamerscore anymore, but now you can finally play some games!
Only, for a great many titles on the Xbox 360, there were dedicated online servers, too. Pop in FIFA 16, and the game will stall for a moment before it reports that it’s failed to connect to EA’s servers. Back in the day, those servers provided a continual stream of minor updates to the game, player rosters, and stats, making it feel like almost a living thing. Today, there’s nothing out there but a request that always times out.
This would be no issue if it happened just once, but alas… you’ll have to tangle with the game doing this time and again, every time you boot it up. It wants that server, it’s so sure it’s out there… but it never phones back from the aether.
Many games still retain most of their playability without an Internet connection, and most consoles will still boot up without one. Nevertheless, the more these machines are built to rely on an ever-present link to the cloud, the less of them will be accessible many years into the future.
Not Unique
It’s much harder to join the fun than it used to be. Credit: author
This problem is not unique to the Xbox 360. It’s common to run into similar problems with the PlayStation 3, with Sony providing a workaround to get the old consoles online. For both consoles, you’re still relying on the servers remaining online. It’s fair to assume the little remaining support for these machines will be switched off too, in time. Meanwhile, if you’re playing Pokemon Diamond on the Nintendo DS, you’ve probably noticed the servers are completely gone. In that case, you’re left to rely on community efforts to emulate the original Nintendo WFC servers, which run with varying levels of success. For less popular games, though there’s simply nothing left—whatever online service there was is gone, and it’s not coming back.
These problems will come for each following console generation in turn. Any game and any console that relies on manufacturer-run infrastructure will eventually shut down when it becomes no longer profitable or worthwhile to run. It’s a great pity, to be sure. The best we can do is to pressure manufacturers to make sure that their hardware and games retain as much capability as possible when a connection isn’t available. That will at least leave us with something to play when the servers do finally go dark.
Apple: multa di 115 milioni di dollari dal Garante della Concorrenza e del Mercato italiano
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCM) ha imposto una sanzione significativa ad Apple. La sanzione ammonta a 98,6 milioni di euro, ovvero circa 115 milioni di dollari. ed è relativa a al presunto abuso di posizione dominante nel mercato delle app mobili.
Secondo l’autorità di regolamentazione italiana, l’azienda ha limitato gli sviluppatori di app di terze parti, violando le norme europee sulla concorrenza. Il caso riguarda l’informativa sulla privacy dell’App Tracking Transparency (ATT) introdotta nel 2021, in base alla quale Apple richiede agli sviluppatori un consenso separato agli utenti per raccogliere dati e utilizzarli a fini pubblicitari.
La notifica corrispondente non viene generata dagli sviluppatori stessi, ma da Apple stessa, e solo secondo uno scenario stabilito dall’azienda.
L’agenzia ritiene che questo approccio crei condizioni di disparità per gli operatori di mercato e violi i principi di proporzionalità. Afferma che la politica di raccolta dati è imposta unilateralmente, ostacola il pieno funzionamento dei partner commerciali ed è incompatibile con le normative sulla protezione dei dati personali.
Particolare attenzione è stata prestata al fatto che gli sviluppatori terzi erano costretti a duplicare le richieste di consenso, costringendo di fatto gli utenti a ripetere la stessa procedura più volte.
Ciò, secondo l’autorità di regolamentazione, ha comportato ulteriori complicazioni e ha messo le aziende che utilizzano l’App Store in una posizione vulnerabile.
L’indagine è iniziata nella primavera del 2023.
Le autorità italiane hanno sottolineato che l’indagine è stata condotta in stretta consultazione con la Commissione Europea e le autorità antitrust di altri Paesi. Apple non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali in merito alla decisione.
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Preparatevi alla distruzione dei dati! Se non paghi, la pubblicazione non basta. Entrano in scena i wiper
Secondo BI.ZONE, entro il 2026, gli aggressori opteranno sempre più per la distruzione totale dell’infrastruttura aziendale anziché per la crittografia.
Questo si riferisce a scenari in cui, dopo essere penetrati in una rete, gli aggressori utilizzano wiper, strumenti distruttivi che cancellano i dati e possono disabilitare le apparecchiature di rete. Questo approccio aumenta i danni e complica il ripristino: le aziende devono affrontare non solo tempi di inattività, ma anche la perdita di componenti critici.
Nel 2025, le aziende del settore retail sono state le più frequenti richiedenti di indagini su incidenti informatici gravi, rappresentando il 31% di tutte le richieste. BI.ZONE rileva inoltre che il settore retail è diventato il principale responsabile delle violazioni dei dati, rappresentando quasi il 40% dei casi.
Le cause principali includono problemi comuni: infrastrutture IT obsolete e scarsa segmentazione della rete, che consentono agli attacchi di diffondersi più rapidamente lungo il perimetro e di colpire più sistemi.
Il settore IT si è classificato al secondo posto in termini di numero di indagini, con una quota del 26%. Anche le piccole aziende IT sono attraenti per gli aggressori, poiché spesso lavorano come appaltatori per grandi clienti. Di conseguenza, la compromissione di un’azienda appaltatrice viene utilizzata come gateway per infrastrutture più sicure. BI.ZONE stima che nel 2025 il 30% degli incidenti altamente critici fosse collegato ad attacchi tramite terze parti. Un anno prima, questa percentuale era la metà, al 15%.
Il terzo posto in termini di numero di indagini è condiviso da aziende di trasporto, telecomunicazioni e organizzazioni governative, ciascuna responsabile dell’11% dei casi. BI.ZONE descrive la tendenza generale come una crescente sofisticatezza e distruttività degli attacchi, mentre le motivazioni di base rimangono le stesse: il guadagno finanziario rimane dominante e il phishing rimane il metodo più comune di penetrazione iniziale. Tuttavia, l’enfasi si sposta di anno in anno: nel 2022, defacement e campagne di hacktivisti sono stati prominenti, nel 2023, fughe di notizie e dump di dati di massa, nel 2024, la crittografia attiva delle infrastrutture e nel 2025 l’uso di wiper è stato registrato con frequenza significativamente maggiore.
BI.ZONE rileva anche un aumento del tempo necessario agli aggressori per rimanere inosservati nell’infrastruttura. Nel 2024, la media era di 25 giorni, per poi salire a 42 giorni nel 2025. Tuttavia, la differenza rimane significativa: il tempo minimo di sviluppo dell’attacco dalla penetrazione alla crittografia nel 2025 era di 12,5 minuti, mentre il massimo era di 181 giorni.
Il ripristino da tali incidenti richiede ancora molto tempo.
Nel 2025, le aziende colpite hanno impiegato in media tre giorni per ripristinare i sistemi critici necessari alla ripresa delle operazioni aziendali. Il ripristino completo dei processi aziendali ha richiesto in media 14 giorni.
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Macché autonomia e ricarica, il problema è l'assistenza - Vaielettrico
Macché autonomia e ricarica, il problema delle auto elettriche è l'assistenza. Il racconto di Renato con la sua Tesla.Redazione (Vaielettrico)
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