La situazione di allarme in cui si trovava l’Italia era iniziata già nel 1968
La prima volta che l’onorevole Aldo Moro aveva parlato della strategia dell’attenzione nei confronti del Partito comunista italiano era stato il 21 febbraio del 1969, in una riunione della Direzione della Democrazia cristiana, quando aveva proposto l’inizio di un rapporto nuovo con l’opposizione comunista, basato su «reciproca considerazione» e «dialettica democratica». Le motivazioni che spinsero Moro a formulare questa strategia furono fondamentalmente tre: la prima, di lungo periodo, può essere rintracciata in uno dei capisaldi della cultura politica di Moro, cioè la sua convinzione della necessità di allargare le basi e il consenso dello Stato democratico; le altre due, di breve periodo, sono invece da ricondurre alla percezione che Moro aveva di una profonda crisi del centro-sinistra e alla sua peculiare analisi dei tempi nuovi e dei movimenti in atto nella società italiana <2.
Gli anni Settanta si aprirono così con l’ipotesi, sempre più concreta, del “compromesso storico”, mai approvato dall’ala destra del partito democristiano, rappresentata, tra gli altri, da Giulio Andreotti, che dichiarò che: «Il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica e storica» (3. Ciò che realmente preoccupava Andreotti era l’ingresso del comunismo in quell’area di governo che per circa un trentennio aveva fatto, proprio dell’anticomunismo, il proprio baluardo.
L’idea di uno stretto rapporto con la Democrazia cristiana, avanzata dal neo-segretario Enrico Berlinguer nei primi anni Settanta, non allettava neanche le file del Partito comunista. Il problema era il superamento di quella conventio ad excludendum come ultimo passo nel quadro di un disegno interno al sistema politico nato alle origini della Repubblica <4. Riaffermare la propria piena legittimazione nel sistema politico italiano era diventato un compito prioritario per i comunisti: una legittimazione che solo la Dc, partito egemone del sistema, era in grado di concedere. All’inizio degli anni Settanta, dunque, Berlinguer aveva una strategia ben precisa da perseguire: ottenere quella legittimazione governativa che il Pci non era in grado di procurarsi autonomamente ma poteva raggiungere esclusivamente grazie ad un rapporto privilegiato con il suo storico antagonista. Dal punto di vista sistemico, la debolezza degli esecutivi, già emersa nel corso della V legislatura, basata su maggioranze costituite da Psi, Psdi, Pri e Dc, testimoniava l’urgenza di abbattere le barriere tra maggioranza e opposizione, avviando una fase di consociazione che si traducesse in una coalizione di governo allargata anche ai comunisti: una situazione di emergenza necessitava di un provvedimento eccezionale ma necessario <5.
La situazione di allarme in cui si trovava l’Italia era iniziata già nel 1968, quando le università e le piazze italiane erano diventate teatro di proteste della società civile, degli studenti prima e degli operai poi. Come il sistema istituzionale, anche i movimenti politici estremisti che nacquero in quegli anni seguivano matrici politiche differenti: dai gruppi sovversivi distaccatisi dal Movimento sociale italiano, alle formazioni giovanili del Psi e del Pci, ai gruppi cattolici, alle associazioni degli studenti universitari. Questi ultimi, in particolare, sarebbero diventati i protagonisti della contestazione contro le strutture sociali, del lavoro e dell’istruzione, e le regole che le governavano, ritenute vecchie e inadeguate a soddisfare le esigenze di una generazione nuova, cresciuta in un’epoca di relativa pace e benessere <6. L’oltranzismo di questo movimento aveva portato alla nascita di veri e propri gruppi extraparlamentari di estrema sinistra, come, tra gli altri, Movimento operaio, Lotta continua e Il Manifesto. L’obiettivo di questi gruppi era quello di attuare quel salto rivoluzionario teorizzato da Marx ed Engels che i comunisti non erano riusciti a realizzare, prediligendo la revisione politica e ideologica indicata da Togliatti nella sua idea di “democrazia progressiva”: la costruzione, cioè, di una democrazia organizzata, articolata, caratterizzata da una forte democratizzazione della società e dello Stato, che quindi mettesse da parte gli interessi di classe per soddisfare quelli “collettivi” del paese <7. Il Sessantotto italiano fu, così, il risultato di un malessere radicato nella società, dovuto a quel boom economico degli anni Sessanta che aveva visto la borghesia come principale protagonista. Alle proteste studentesche presto si affiancarono gli scioperi degli operai nelle fabbriche, fino ad arrivare, nel 1969, allo scoppio di quello che è conosciuto come l’autunno caldo. In questo contesto sarebbero emersi i germi di quella che sarebbe stata definita «strategia della tensione» <8: il periodo, cioè, segnato dal susseguirsi di attentati terroristici che avrebbero avuto inizio il 25 aprile 1969 con l’esplosione di due bombe alla Fiera campionaria e alla stazione di Milano sino all’episodio più grave della bomba presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre.
Gli atti terroristici continuarono per tutti gli anni Settanta con impressionante regolarità: solo fino alla metà del 1972 si contarono 271 esplosioni dinamitarde. Il 28 maggio 1974 l’esplosione di una bomba in Piazza della Loggia a Brescia rappresentò uno dei momenti più cruenti nella lotta contro lo Stato. La «strategia della tensione» favorì un radicamento più profondo e tenace nella società italiana del terrorismo di sinistra <9. All’interno degli stessi gruppi dell’estrema sinistra venne a determinarsi una dialettica per la quale il ricorso alla violenza divenne il modo stesso di esistere e di affermarsi rispetto ai gruppi concorrenti. Se, infatti, la responsabilità della strage di Piazza Fontana venne inizialmente attribuita alla sinistra, qualche anno più tardi sarebbe, al contrario, emersa la matrice neofascista di quell’attentato. Si creò così una spirale, un reciproco coinvolgimento e probabilmente anche una qualche forma di collaborazione fra i due estremismi che avrebbero avuto il loro culmine con i tragici eventi del ’78 <10. La formazione di nuclei di potere occulto fu favorita certamente dalla debolezza e dalla fragilità del sistema politico italiano che, a partire dall’inizio degli anni Settanta, preannunciava una crisi della democrazia dei partiti.
[NOTE]2 Giovanni Mario Ceci, Moro e il PCI, Roma, Carocci, 2014.
3 Oriana Fallaci, intervista a Giulio Andreotti nel dicembre 1973, Intervista con la storia, Milano, Rizzoli, 1974.
4 Pietro Scoppola, Una crisi politica e istituzionale, in G. De Rosa e G. Monina, a cura di, L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, sistema politico e istituzioni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.
5 Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, Bari-Roma, Laterza Editori, 1998.
6 Ibidem.
7 Alexander Hobel, La “democrazia progressiva” nell’elaborazione del Partito comunista italiano, «Historia Magistra», n. 18, 2015.
8 Pietro Scoppola, La repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1997.
9 Ivi, p.385.
10 Ibidem.
Il governo Spadolini varò il disegno di legge «dei pentiti»
2018-2019
Gli assassinii di Roberto Peci e dell’Ingegner Taliercio, come anche il sequestro dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo, mostravano come, nel 1981, la minaccia terroristica delle Brigate Rosse non fosse scongiurata, bensì fosse perdurante.
Il nuovo presidente del Consiglio era consapevole di come, nonostante l’attuazione della legislazione d’emergenza (legge Reale e Cossiga tra tutte) avesse costituito, negli anni precedenti, una risposta istituzionale tutto sommato positiva (quanto dibattuta), la ripresa della sfida terroristica aveva contribuito «a rendere più evidenti l’inadeguatezza e la frammentarietà della risposta giurisdizionale» <135. Nello specifico Spadolini indicava in una giustizia in grave crisi, «messa - tra l’altro - in condizione di non poter offrire risposte pronte ed efficaci alla richiesta di chiarezza e di tempestività di tutti i cittadini» <136, il vulnus principale a quel principio ordinatore della stessa democrazia rappresentato dalla certezza del diritto.
A questa minaccia bisognava rispondere attraverso i rimedi giurisdizionali ma soprattutto tramite un raccordo sinergico tra Governo e Parlamento. Questi dovevano essere i pilastri per giungere, innanzitutto, all’approvazione di un nuovo codice di procedura penale «destinato ad eliminare le bardature di un processo inquisitorio e segreto, che la società non accetta più» <137. In Italia era, infatti, ancora in vigore il codice penale fascista del 1930. L’inerzia legislativa aveva così generato non pochi contrasti tra la legge fondamentale e disposizioni del codice in netto contrasto con essa. Seppure delle pronunce della Corte Costituzionale avessero condotto alla soppressione di alcune leggi dal contenuto autoritario, in un clima d’instabilità civile come quello degli anni Settanta, questa discrasia «si era tramutata in varie occasioni emotive in un modo di legiferare incoerente e, per così dire, a passo di gambero» <138.
Il richiamo da parte di Spadolini a una materia così delicata si concretizzò con l’importante modifica operata con la legge del 24 novembre 1981 numero 689, alla quale si aggiunse l’approvazione della legge 743 del 18 dicembre dello stesso anno, che consisteva in una delega al presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto per una serie di reati minori. La legge numero 689, in particolare costituì per il sistema penale una fondamentale riforma che cercò di andare incontro a due esigenze: «far diminuire, con l’introduzione dell’istituito del “patteggiamento”, la durata dei processi - e - ridurre l’affollamento delle carceri, con la depenalizzazione di una serie di reati minori, per i quali si prevedeva la sostituzione delle pene detentive con altre misure». <139
All’impegno per la riforma del codice penale, si aggiunse quello per le cosiddette riforme “senza spese”, tra cui quella sul segreto istruttorio e quella sull’istituto della comunicazione giudiziaria, entrambe oggetto nel tempo di molte distorsioni.
Un versante fu, fra tutti, quello sul quale il governo Spadolini riuscì a ottenere i migliori risultati: «mi riferisco all’offensiva contro i cosiddetti “pentiti” e i loro familiari» <140. L’obiettivo principale dell’esecutivo fu quello di incoraggiare la dissociazione dai gruppi terroristici e favorire il recupero sociale degli elementi che avessero collaborato con l’autorità giudiziaria.
A questo scopo il governo varò il disegno di legge «dei pentiti» il quale, approvato dalle Camere il 29 maggio 1982, prevedeva incentivi e protezione a chi si fosse dissociato dalla lotta armata. La legge, innanzitutto, introduceva la non punibilità per coloro che avessero commesso, per scopi terroristici, il reato di associazione o banda armata, ma avessero poi o disciolto l’associazione o si fossero consegnati senza opporre resistenza. «In secondo luogo, si concedevano le attenuanti per i medesimi reati, con la riduzione della pena fino al massimo di un terzo, o in caso di dissociazione ovvero di collaborazione con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria» <141.
Il governo si dimostrò solerte anche per quanto riguarda la lotta alla mafia: venne infatti varata la cosiddetta «legge La Torre», la quale approvata nel 1982, introdusse con il nuovo articolo 416-bis del codice penale, la figura dell’associazionismo di tipo mafioso. Con essa fu inoltre prevista l’istituzione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, la quale «doveva rappresentare un momento di coordinamento e di indagine su un fenomeno che, specie negli ultimi tempi, aveva colpito al cuore le istituzioni» <142.
L’impegno profuso dal governo Spadolini nei confronti dell’emergenza civile e terroristica, in definitiva, risultò a conti fatti decisivo. Seppure vadano rilevate alcune contraddizioni riguardanti l’utilizzo di una legislazione di emergenza tanto criticata dallo stesso presidente del Consiglio, il merito della definitiva sconfitta delle BR è ascrivile soltanto all’operato del governo Spadolini e ai suoi provvedimenti. A tal proposito, sottolinea in particolare Ascheri che «la sconfitta delle Br in tempi brevi è stata solo opera dello strumento legislativo creato dal governo Spadolini: la legge “dei pentiti, appunto» <143. Un successo tra l’altro coronato dalla liberazione, da parte delle forze dell’ordine, del generale americano della NATO James Lee Dozier rapito dalle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981. Lo stesso Spadolini, intervenuto al Senato nell’aprile 1983 ribadirà con orgoglio: «la democrazia italiana ha certamente realizzato un grande successo: la vittoria politica sul terrorismo. La più grave minaccia sull'avvenire delle nostre libere istituzioni, cioè il partito armato, è stata politicamente debellata: grazie all'impegno efficace delle forze dell'ordine, grazie alla solidarietà operante del mondo del lavoro e delle sue proiezioni politiche, grazie alla linea della fermezza, contro inammissibili tentazioni trattativiste, non meno che alla sagacia e all'accortezza degli strumenti legislativi predisposti, a cominciare dalla legge sui pentiti» <144.
[NOTE]135 C. Ceccuti, Giovanni Spadolini. Discorsi Parlamentari, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 175.
136 Ibidem.
137 Ibidem.
138 G. Ascheri, Giovanni Spadolini: prima presidenza laica, Editalia, Roma, 1988, p. 151.
139 R. Aureli, «L’attività legislativa dei Governi Spadolini», in U. La Malfa (a cura di), Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Volume XVI, Unicopli, Milano, 2001, p. 133.
140 C. Ceccuti, Giovanni Spadolini. Discorsi Parlamentari, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 178.
141 R. Aureli, «L’attività legislativa dei Governi Spadolini», in U. La Malfa (a cura di), Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Volume XVI, Unicopli, Milano, 2001, p. 132.
142 Ivi, p. 131.
143 G. Ascheri, Giovanni Spadolini: prima presidenza laica, Editalia, Roma, 1988, p. 153.
144 senato.it/service/PDF/PDFServe…
Mattia Gatti, Una rilettura dei governi Spadolini nel quadro della crisi del sistema politico italiano, Tesi di Laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico
Hi everyone! It’s been a few months since last time, so let’s dive into another status update. The big new projects and features we’ve been working on are elsewhere or still baking, so it’s mostly smaller additions and bug fixes, but there’s still plenty of good stuff.
- On the fediverse, we now try to deliver replies to all upstream authors in the thread. This is complicated, and varies by ActivityPub implementation, but we now more closely match common inbox delivery and notification conventions, so fediverse users should now see and get notified of bridged replies more often.
- Hopefully fixed a persistent issue where replies, likes, reposts, and quotes sometimes wouldn’t get bridged to Bluesky if they post they depended on hadn’t finished bridging yet. Another complicated one, still keeping an eye on it for now.
- Web UI on fed.brid.gy:
- Made login UX more forgiving
- We now refresh profiles on login
- Improved OAuth compatibility with more old versions of Mastodon
- Fixed a bug in the activity logs on user pages
- Fixed a bug with follower/following counts on networks where the user is no longer bridged
- Added support for fediverse admins to opt in users at the instance level, including automatic custom Bluesky handles. More details.
- For fediverse developers: added FEP-ffd proxy links to ActivityPub objects. More background.
- Made ATProto custom domain handles more case-insensitive
- ActivityPub: after
Delete
,Create
orUpdate
now undeletes - Fixed Misskey and Sharkey interop for users with pinned posts
- Improved GoToSocial interop (thanks GtS!)
- Improved error messages for DM invitations
As usual, feel free to ping us with feedback, questions, and bug reports, and please support us on Patreon! You can follow the now label on GitHub to see what we’re currently focusing on. See you on the bridge!
Account lookup/search issue
An account bunfuu.bsky.social seems to be bridged and is still mutually following bridgyfed, and does not appear to be blocking bridgy, but I can't seem to bring it up on fedi (example: https://sak...ygg2 (GitHub)
reshared this
Got another new post! Bridging identity with account links. They’re a simple, modular way to connect your various accounts and posts across the open social web. Bridgy Fed supports them, and we’d love to see other apps and platforms adopt them too.
Feedback is welcome. And support us on Patreon!
Bridging identity with account links
One of the most common questions we get here is, “can you help me connect all my different accounts?” You’re on Bluesky, and Instagram, and Mastodon, you make a video series on YouTube, you have a blog, sometimes you post on Reddit, and a while back …Ryan (A New Social)
reshared this
Ma Gianluca likes this.
New blog post! Bridging vs cross-posting. They’re similar, but bridged conversations tend to be more unified across networks, while cross-posting ends up more fragmented.
Feedback is welcome! And friendly reminder, if you appreciate what you do here, feel free to check out our Patreon!
Bridging vs cross-posting
When we talk about what we do here, one topic that comes up often is bridging vs cross-posting. They’ve both been around for a long time, and they’re similar, but they’re different in some important ways.Ryan (A New Social)
reshared this
Regalare ai poveri olandesi il sole e il cielo mediterranei
Regalare ai poveri olandesi il sole e il cielo mediterranei
Foto: Silvana Maccario Foto: Silvana Maccario Vallecrosia (IM): Via Don Bosco A Vallecrosia in via Don Bosco negli anni Sessanta, come racco...aspettirivieraschi.blogspot.com
Ma questa donatrice è in pessime acque
Ma questa donatrice è in pessime acque
Fonte: Sanremo Storia e Tradizioni Due casi emblematici: il Premio Mediterraneo e il Premio San Remo Nato nella primavera del 1932 entro la ...aspettirivieraschi.blogspot.com
Io mi sono mangiata le quattro banane davanti al doganiere
Camporosso (IM): uno scorcio di Piazza Garibaldi Pierina A Camporosso veniva l'ambulante a vendere e a comprare e ogni volta che veniva c'er...aspettirivieraschi.blogspot.com
Inseguito dai tedeschi riuscii a nascondermi rannichiandomi dietro una roccia grupposbarchi.wordpress.com/20…
Il 30 marzo 1944 le SS italiane arrivano a Cumiana
A None, in provincia di Torino, il marchese Cordero di Pamparato viene coinvolto nella sua prima azione da quando è salito con i partigiani (Guido Quazza ne data l’arrivo il 15 marzo nonostante lo sviluppo dell’azione il 8 marzo) <34 tentando di effettuare un colpo alla Todt in un magazzino pieno di munizioni e materiali utili per reggere l’inverno <35.
È lo stesso tenente ad addestrare i 21 uomini scelti per la missione: tra questi il giavenese Ugo Giai Merlera, futuro comandante della ‘Campana’.
L’azione non ottiene i risultati sperati: i tedeschi, probabilmente allertati da una spia, rispondono al fuoco; cadono quattro uomini tra l’8 e i giorni successivi, numerosi sono i feriti che, insieme ai superstiti, battono in ritirata e sanciscono il fallimento dell’azione.
Il processo di Torino, le condanne a morte
Il processo di Torino, svoltosi a partire dal 2 aprile 1944, coinvolge due figure importanti per la Val Sangone, seppur non entrambe direttamente coinvolte con il territorio: Giuseppe Perotti e Silvio Geuna. Giuseppe Perotti, classe 1895, residente in provincia di Cuneo, è descritto come “uno dei capi più attivi ed intelligenti della organizzazione militare dei partigiani” <36; coordinatore del CmrP, è arrestato il 31 marzo. Assieme a lui è arrestato Silvio Geuna, classe 1903, tenente di complemento degli alpini, descritto da Valdo Fusi come un “giovane con barba e baffi neri, piccolino, vispo, occhi che bucano, atletico” <37. È uno degli organizzatori delle bande cattoliche nelle montagne di Cumiana; seppur non inserita all’interno del contesto della Divisione Autonoma Val Sangone, la Banda Cattolica di Geuna funge come rifugio ai bandi di reclutamento imposti da Salò, reclutando, fin dagli esordi, un considerevole numero di sbandati: anticomunista, “i risultati della Banda Cattolica sono pressoché ininfluenti nel panorama più vasto di quelle formazioni che nello stesso settore Chisone-Sangone si oppongono ai tedeschi.” <38
Essi appartengono all’organismo che sostituisce il generale Operti (e il maggiore Torchio, suo inviato in valle): il Comitato Militare Regionale Piemonte, che sblocca l’impasse data dall’attesismo di Operti e imprime alla guerra partigiana una caratteristica di lotta senza alcun compromesso o armistizio con gli occupanti e i loro collaboratori.
Sul banco degli imputati finiscono 15 antifascisti: il collegio, presieduto dal generale Umberto Rossi <39 si esprime su quattro imputazioni: attentati all’integrità della Repubblica Sociale Italiana, favore ad operazioni del nemico, promozione di insurrezione armata e concorso in atti di guerra civile ostacolando la pubblica difesa. Il processo, seguito da Mussolini in persona, intende rievocare i fasti del Tribunale speciale durante il ventennio fascista <40: è un processo istruito dai fascisti che reclamano anche il possesso dei detenuti al carcere ‘Le Nuove’ di Torino; uno degli imputati, il professor Paolo Braccini si stupisce di come, per la portata degli imputati, essi non confluiscono nel braccio del carcere gestito dai tedeschi <41.
Il processo contro “Perotti ed altri” <42 si conclude con la condanna a morte per Perotti ed altri 7 imputati, l’ergastolo per Geuna ed altri 3 mentre due sono assolti ed uno condannato a due anni.
Il generale, prima di morire, scrive l’ultima lettera alla moglie in cui cita ripetutamente i figli; così si rivolge a lei qualche ora prima di morire, il 5 aprile del 1944, al poligono del Martinetto di Torino, per mano di un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana: “L’unico testamento spirituale che lascio a te ed ai miei figli adorati è di affrontare con serena sicurezza le avversità della vita adoperandosi in modo perché la propria coscienza possa sempre dire che ha fatto tutto il possibile. Se il risultato sarà buono compiacersene con modestia; se sarà cattivo trovare sempre la forza di riprendere con buona lena senza lasciarsi abbattere e senza chiamare in causa il destino. Anche le azioni che ci sono nocive hanno una loro ragione di essere e noi dobbiamo accettarle come una dura ma indispensabile necessità”. <43
L’eccidio di Cumiana
Cumiana, nel 1936, è un piccolo borgo agricolo di quasi 5000 abitanti il cui svuotamento progressivo è dovuto dalla progressiva crescita dell’industria a discapito del settore primario. <44
A Cumiana operano sia le brigate valsangonesi sia quelle della Val Chisone, comandate dall’alpino Maggiorino Marcellin oltre alla già citata, seppur ridotta, Banda Cattolica comandata da Silvio Geuna.
Dal racconto di don Felice Pozzo <45 i partigiani scendono dalle montagne armati in Cumiana già dal febbraio 1944 <46. In un borgo in cui i partigiani svolgono azioni nel centro abitato manca una figura mediatoria: il podestà di Cumiana, Giuseppe Durando, si trasferisce a Torino lasciando i civili in balia degli scontri tra nazifascisti e partigiani. La casa del podestà, abitata da un genitore, è oggetto il 10 marzo di razzie da parte dei partigiani, che prelevano merce di diversa tipologia <47.
Il 30 marzo le SS italiane arrivano a Cumiana <48, rastrellano 79 uomini in età di leva, li portano a Torino, li interrogano. Alcuni vengono deportati, alcuni rispediti in valle, altri rimangono a disposizione dei tedeschi. Due giorni prima i tedeschi arrestano altri 5 cumianesi accusati di connivenza con i partigiani <49.
Il 30 le SS sono ancora nel paese quando subiscono un attacco dei partigiani della ‘De Vitis’ che catturano 32 SS italiane e due sottufficiali tedeschi, uccidono un milite e ne feriscono 18 <50 ma lasciano sul terreno due partigiani: ad uno di questi, Lillo Moncada, viene successivamente dedicata una brigata valsangonese.
I prigionieri vengono dirottati su Forno di Coazze mentre dopo qualche ora in paese giungono numerosi reparti di repubblichini e di nazisti: i tedeschi catturano 158 uomini; il naturale ruolo svolto da Zanolli a Giaveno non viene svolto da Durando a Cumiana: le trattative sono intavolate dal medico cumianese Ferrero insieme a don Pozzo <51.
Quando le trattative si sbloccano l’ordine di esecuzione è eseguito per 58 uomini, 7 dei quali si salvano: di questi 51 nessuno risulta combattente nelle file partigiane, il più giovane è nato nel 1927 e il più anziano nel 1874.
La strage, secondo l’Atlante delle Stragi Nazifasciste si sviluppa su due momenti: nel primo i condannati vengono mitragliati in gruppi da tre per sette turni <52, successivamente il gruppo degli ostaggi si ribella costringendo le SS di guardia a sparare. Il motivo scatenante della rivolta dei condannati è la vista del cadavere di un ostaggio <53 che scatena in loro ribellione di fronte a morte certa.
Il giorno dopo riaprono le trattative per il rilascio degli ostaggi delle SS e dei 100 cumianesi ancora prigionieri dei tedeschi: l’accordo riesce, i 34 SS sono liberati in mattinata, nella serata sono liberati i 100 cumianesi. Il generale Hansen, dopo l’eccidio, promette al comandante Nicoletta che Cumiana verrà risparmiata per i prossimi mesi di conflitto, il cardinale Fossati promette a don Pozzo massima tempestività nel caso di nuove minacce per i cumianesi <54.
[NOTE]34 Quazza G. La Resistenza Italiana: Appunti e Documenti. Giappichelli; 1966. p 173
35 Comello M., Martoglio G., Covo Di Banditi: Resistenza a Cumiana tra Cronaca e Storia. Alzani; 1998. p 61
36 Rapporto della Questura di Torino contro i membri del Comitato militare piemontese in Archivio Istoreto, fondo Isrp. Fondi originari: Prima sezione [IT-C00-FD17369] foglio 2
37 Fusi V., Galante Garrone A., Fiori Rossi al Martinetto: Il Processo di Torino: Aprile 1944. Mursia; 1975. p. 46
38 Comello M, Martoglio G. Covo Di Banditi : Resistenza a Cumiana tra Cronaca e Storia. Alzani; 1998. p. 35
39 MEM memora.piemonte.it/beni/regpie… consultato il 16 02 24
40 Battaglia R. Storia Della Resistenza Italiana : 8 Settembre 1943-25 Aprile 1945. Einaudi; 1963. p 291
41 Fusi V., Galante Garrone A., Fiori Rossi al Martinetto: Il Processo di Torino: Aprile 1944. Mursia; 1975. p 86
42 MEM memora.piemonte.it/beni/regpie…
43 Malvezzi P., Mann T., Pirelli G., Lettere dei Condannati a Morte della Resistenza Europea. 4. Einaudi; 2006 p 508
44 Comello M., Martoglio G., Covo di Banditi, cit. p 20
45 Don Felice Pozzo (1904-1956) parroco a Cumiana
46 Florio M., Resistenza e Liberazione nella Provincia Di Torino (1943-’45). Gribaudo; 1993. p 338
47 Comello M., Martoglio G., Covo di Banditi, cit. p 55
48 Rende Francesco, ‘Mario Greco e la resistenza in Val Sangone’ tesi di laurea AA 2016-2017 relatore prof. Mauro Forno p 30
49 Comello M., Martoglio, G. Covo di Banditi, cit p 73
50 ASN straginazifasciste.it/?page_id… consultato il 19 02 24
51 Oliva G., Quazza G. La Resistenza, cit. pp 170 171
52 ASN straginazifasciste.it/?page_id… consultato il 19 02 24
53 Oliva G., Quazza G., La Resistenza alle Porte di Torino. F. Angeli; 2004. p 175
54 Florio M., Resistenza e Liberazione, cit. p340
Alessandro Busetta, La resistenza in Val Sangone e la divisione Campana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2022-2023
La mattina del 1° aprile [1944] a Cumiana i partigiani attaccano alcuni reparti delle SS italiane, giunte in paese il giorno prima. Colte di sorpresa, queste lasciano sul campo un morto e diciotto feriti, mentre trentadue militi e due sottufficiali vengono presi prigionieri dai partigiani. Alle 14 dello stesso giorno uomini delle SS italiane e della Wehrmacht partono in rastrellamento. Cumiana viene occupata da tedeschi e repubblicani provenienti da Torino e da Pinerolo. In questo primo giorno tutti gli uomini presenti – circa centocinquanta – vengono rastrellati e portati al Collegio salesiano mentre le case da cui i partigiani hanno sparato sono incendiate. I tedeschi chiedono la restituzione dei prigionieri pena la fucilazione degli ostaggi. Il 2 aprile il tenente della Wehrmacht Renninger dà l’ultimatum: entro le 18 del 3 aprile i prigionieri devono essere liberati. Quando però gli ambasciatori tornano a Cumiana per comunicare l’esito positivo delle trattative, l’ordine è già stato eseguito. Cinquantuno dei cinquantotto uomini prelevati sono stati fucilati (secondo alcune fonti alle 14, secondo altre alle 16) dietro la cascina Riva d’Acaia che si trova appena fuori dal paese. Sembra che uccisi i primi ventuno (sette gruppi in fila per tre mitragliati da un sottoufficiale tedesco che i testimoni descrivono ubriaco), gli altri tentino la fuga e siano trucidati. Ne sopravvivono per ragioni diverse sette. Il 4 aprile i comandanti partigiani della Val Sangone consegnano i prigionieri al generale Hansen. Il giorno dopo termina l’operazione. Negli anni Novanta il giornalista di Repubblica Alberto Custodero avvia un’inchiesta sull’eccidio, individua in Renninger il responsabile della strage e lo intervista: nel 1999 il procuratore militare di Torino Pier Paolo Rivello e il magistrato Paolo Scafi aprono un procedimento penale a suo carico. Il processo viene interrotto a causa della morte per infarto di Renninger, che si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda.
Barbara Berruti, Episodio di Cumiana, 03.04.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia
#1944 #AlessandroBusetta #Aprile #BarbaraBerruti #Chisone #CMRP #ComitatoMilitareRegionalePiemonte #Cumiana #fascisti #GiuseppePerotti #GNR #italiane #Martinetto #marzo #partigiani #Piemonte #Sangone #SilvioGeuna #SS #strage #tedeschi #Torino #Valle
La strage del Martinetto | Storia minuta
"Qui caddero fucilati dai fascisti i martiri della Resistenza Piemontese. La loro morte salvò la vita e l'onore d'Italia. 1943-1945".Queste le parolestoriaminuta (Storia minuta)
reshared this
A Bologna, dal maggio 1944 la lotta crebbe
Con gli scioperi di marzo [1944] ci fu in tutta la regione [l’Emilia Romagna] un’ulteriore saldatura tra la città e la campagna, perché portarono avanti istanze che appartenevano anche alla popolazione contadina e la coinvolsero.
Dal punto di vista nazionale gli scioperi rappresentarono il tentativo di unire lotte sociali e lotta armata, oltre a permettere l’affermarsi del Partito Comunista come forza trainante di entrambe. <170
Si possono notare infatti numerose differenze tra l’andamento degli scioperi nelle altre grandi città italiane, come Milano, Torino o Genova, e quelli dell’Emilia Romagna: se nel resto d’Italia i Gap erano in progressivo declino dopo un inverno denso di azioni e furono in grado di offrire solo una minima difesa alle masse operaie in sciopero, al contrario, in Emilia Romagna gli scioperi e l’azione partigiana a sostegno rappresentarono la prima fase di una penetrazione capillare all’interno della società. <171
Ovviamente, questa collaborazione tra campagne e movimento resistenziale non nacque dal nulla ma dipese dal particolare contesto socio-economico della zona: i bassi salari, la disoccupazione, la chiamata alle armi dei giovani (che determinava una mancanza di manodopera), i conferimenti agli ammassi, le violenze e i rastrellamenti furono senza dubbio alcuni dei fattori che determinarono lo scoppio della lotta sociale. <172
Inoltre, un altro dei fattori determinanti per l’ingrossarsi delle fila partigiane furono senza alcun dubbio i vari bandi fascisti per il reclutamento, o gli appelli agli sbandati che sarebbero stati perdonati se fossero tornati a casa entro il 25 maggio. Notizie chiare e affidabili sull’effettiva risposta dei giovani a questi appelli non fu mai data, basti pensare che nel Notiziario della GNR del 28 maggio vi era scritto che si erano presentati in città solo otto sbandati. Probabilmente il numero fu maggiore a Bologna così come in altre città italiane, spinti probabilmente dalla paura di rappresaglie contro le proprie famiglie, salvo poi tornare dopo poco tempo presso le proprie formazioni di montagna, spesso anche con le armi. L’esito tutt’altro che positivo dei bandi inoltre creò problemi all’interno dello stesso fascismo repubblicano, acuendo la tensione tra partito ed esercito, accelerando così il progetto di Pavolini della militarizzazione del partito e la costituzione delle “bande nere”. <173
A Bologna, dal maggio 1944 la lotta crebbe e vi erano anche più attacchi al giorno: a quelli contro i militari fascisti e nazisti continuano ad affiancarsi le azioni di sabotaggio delle vie di comunicazione e di rifornimento verso il fronte, quindi attacchi alle linee ferroviarie, attentati contro i camion di rifornimenti tedeschi, attacchi dinamitardi contro i tralicci dell’alta tensione. <174
Inoltre, una volta decaduti gli ultimatum e gli appelli fascisti, che tra l’altro furono seguiti da appelli partigiani agli sbandati, alla polizia ausiliaria, ai carabinieri ma persino ai soldati tedeschi, cessò ogni distinzione, da parte partigiana, tra i diversi gradi di responsabilità, cosicché poi dal giugno le proporzioni della guerriglia crebbero a dismisura, aiutate anche dalla crescente sfiducia che la popolazione aveva nei confronti del governo fascista repubblicano. <175
A inizio estate la brigata era costituita, tra città e provincia, da sei distaccamenti: Bologna “Temporale” comandato da Nazzareno Gentilucci (Nerone) e da Lorenzo Ugolini (Naldi); Anzola Emilia (Tarzan) comandato prima da Vittorio Bolognini e poi da Sugano Melchiorri; Medicina comandato da Mario Melega (Ciccio), da Vittorio Gombi (Libero) e poi da Giuseppe Bacchilega (Drago); quello di Castel Maggiore comandato da Franco Franchini (Romagna) e infine da Arrigo Pioppi (Bill); il distaccamento di Castenaso comandato da Carlo Malaguti (Nino) e poi da Oddone Sangiorgi (Monello); quello d’Imola, il Ruscello, comandato da Dante Pelliconi (Ragno). <176
Anche a Modena in primavera vi era una situazione di grande fermento: nell’aprile ’44 avvennero varie azioni contro infrastrutture o contro militi fascisti, come l’uccisione di un membro della GNR l’8 aprile, mentre tornava in caserma.
Sul finire di aprile e l’inizio di maggio vi fu un intensificarsi di azioni di sabotaggio ad opera dei Gap modenesi, che rese necessari nuovi servizi di vigilanza da parte delle istituzioni locali; a questo scopo vennero utilizzati anche i civili. Infatti, già da tempo, il comando tedesco aveva iniziato a imporre delle pene pecuniarie ai comuni in cui avvenivano sabotaggi, nonostante questi non avessero alcun modo di mettere in piedi un servizio di sorveglianza tale da impedirli. <177
Il 29 aprile, invece, fallì un tentato attacco al bar del teatro comunale di Carpi, ritrovo di fascisti, e furono arrestati due giovani gappisti, giustiziati poi a Bologna l’11 giugno. <178
Dalla seconda metà di maggio, e così per tutto giugno, si verificò un ulteriore aumento del numero di attentati e sabotaggi nel modenese. Il questore nella sua relazione affermò che nel solo mese di giugno furono compiuti ben dodici attacchi contro le linee telefoniche e telegrafiche della pianura, tra i quali possiamo ricordare quelli, particolarmente riusciti, del 6 e 8 giugno, il primo a Soliera e il secondo nei dintorni di Modena. <179
Quest’intensa attività da parte del gappismo modenese, nonostante non avesse ancora raggiunto il proprio massimo sviluppo, mise in allarme le autorità tedesche e fasciste: per prevenire le azioni partigiane in città, dal 5 giugno furono organizzati posti di blocco su undici strade tramite le quali si poteva entrare nel capoluogo. <180
[NOTE]170 S. Peli, La Resistenza in Italia cit., p.61.
171 C. Lusuardi, Gappisti di pianura cit., p. 58.
172 Ibidem.
173 L. Bergonzini, La svastica a Bologna cit., p.107.
174 M. De Micheli, 7a GAP cit., p. 98.
175 L. Bergonzini, La svastica a Bologna cit., p.109.
176 storiaememoriadibologna.it/7a-… consultato il 03/06/2021 h. 18:07
177 C. Lusuardi, Gappisti di pianura cit., pp. 59-60
178 C. Silingardi e M. Montanari, Storia e memoria della Resistenza modenese cit., p. 68.
179 C. Lusuardi, Gappisti di pianura cit., pp. 60-61.
180 C. Silingardi, Una provincia partigiana cit., p. 318.
Marco Prosperi, Il detonatore della lotta armata: origini e sviluppo del gappismo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2020-2021
[…] ITALIANI!
Sappiatelo: la via della resistenza e della lotta è quella della salvezza e della vittoria. Non piegate ai voleri dei tedeschi e dei fascisti traditori! Rifiutatevi di partire per la Germania; partire, vuol dire andare alla morte sotto i bombardamenti aerei; lasciarsi arruolare nell’esercito repubblicano vuol dire avviarsi in una impresa vergognosa e mortale. Andate con i partigiani; la loro lotta nelle città e nelle campagne affretterà l’ora della liberazione e della salvezza per tutti.
OPERAI ED OPERAIE, TECNICI ED IMPIEGATI!
Non lasciatevi sfruttare dai padroni collaborazionisti, non lasciatevi affamare dai tedeschi e dai fascisti! Chiedete l’aumento delle razioni e dei salari adeguati all’aumentato costo della vita! Sabotate le fabbriche e le macchine che lavorano per i tedeschi, rovinate la produzione ad essi destinata! Non un uomo né una macchina in Germania!
GIOVANI!
L’Italia aspetta molto dal vostro entusiasmo e dal vostro eroismo. Siate i più arditi combattenti delle nostre unità partigiane! Organizzate nelle fabbriche, nelle caserme e nelle unità repubblicane il sabotaggio e la diserzione in massa! Siate nelle file dei GAP il terrore di tutti i traditori e degli odiati nazisti!
DONNE!
Date ai vostri mariti e ai vostri figli consigli e incitamenti di lotta e di eroismo e non di viltà! La vostra divisa sia: Meglio essere la moglie di un eroe che di un vile! Strappate come già avete fatto a Forlì, a Parma, a Modena e in molte altre città, i patrioti dalle mani degli assassini fascisti!
CONTADINI!
Non date niente agli ammassi, non date niente a tedeschi! Difendete i vostri prodotti, le vostre bestie, le vostre case con le armi alla mano! Chiedete l’aiuto dei partigiani contro i podestà e gli agenti dei raduni! Non pagate le imposte a chi vi sfrutta e vi vende al nemico!
INDUSTRIALI, POSSIDENTI, BENESTANTI!
Un dovere vi incombe: quello della solidarietà nazionale con tutto il popolo che si batte e si sacrifica per la patria. Aiutate chi rifiuta di andare in Germania, chi diserta! Aiutatelo a nascondersi e a mantenere la sua famiglia! Aiutate chi resiste al tedesco e si batte per la libertà e l’indipendenza nazionale. Partecipate voi stessi alla lotta! Non collaborate con il nemico; sabotate i suoi piani, rovinate la produzione ad esso destinata! […]
Appello del Partito Comunista Italiano – Data presunta: terza decade maggio 1944 – Stampato; cm. 21,9 x 31; p. 1. Pubblicato in Luigi Arbizzani, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti. Vol. IV, Istituto per la Storia di Bologna, 1975
#1944 #aprile #Bologna #CarpiMO_ #comunista #Emilia #fascisti #GAp #LuigiArbizzani #maggio #MarcoProsperi #marzo #Modena #partigiani #partito #province #Resistenza #tedeschi #WalterTabacchi
reshared this
Un traditore di partigiani al servizio della banda Carità a Padova
Giungiamo quindi alla vicenda, molto lunga da raccontare, di Mario Santoro che gioca il ruolo di finto partigiano. Il fascicolo si apre con un protocollo dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo (Alto commissariato aggiunto per l’epurazione) Delegazione provinciale di Padova che trasferisce cinque testimonianze al procuratore presso la Corte Straordinaria d’Assise, CAS <194. Queste cinque testimonianze sono di estrema importanza perché provengono dai capi della Resistenza padovana e cioè dal Prof. Adolfo Zamboni, l’Ing. Luigi Martignoni, Umberto Avossa, l’Ing. Attilio Casilli e per finire don Giovanni Apollonio. Figura di primaria importanza è però il Prof. Zamboni che spicca per personalità e per la molta influenza esercitata a Padova. Tanto per capire la sua importanza: “Dopo l’Armistizio di Cassibile, partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file delle brigate Giustizia e Libertà della Brigata “Silvio Trentin”, inoltre aiuta la rete formata dall’ufficiale dell’aeronautica Armando Romani e padre Placido Cortese di aiuto agli ebrei. Nel novembre del 1944, viene arrestato e trasferito a Villa Giusti a Padova, sede della Banda Carità, comandata da Mario Carità, dove interrogato, torturato per mesi, ritrova in cella molti dei suoi allievi anche loro operanti nella Resistenza; al suo fianco ebbe il suo assistente Giovanni Apollonio sacerdote, insegnante nel seminario maggiore di Padova”.
Le carte ritrovate all’Archivio di Stato di Padova si riferiscono proprio a questo ultimo evento. Vista la lunghezza delle testimonianze in questione cercheremo in questa sede di riassumerle il più possibile. La dichiarazione del Prof. Zamboni, datata 1 agosto 1945, ricorda che alla fine del 1943, in una riunione di tipo militare, svoltasi a casa sua, presenti alcuni capi della resistenza padovana (il Colonnello Marziano, il dott. Busonera, i cugini Todesco e il Trevisan) gli fu presentato Mario Santoro che poco tempo dopo entrò a far parte del comitato militare provinciale. <195 Le altre testimonianze, più sopra ricordate (quelle dell’Ing. Luigi Martignoni <196, di Umberto Avossa <197, dell’Ing. Attilio Casilli <198 e per finire di don Giovanni Apollonio <199), collocano temporalmente la conoscenza con il Santoro in momenti e occasioni differenti del 1944. Lo Zamboni continua raccontando come il loro rapporto si facesse più stretto nei mesi successivi: non dubita mai di lui che gli racconta di essere sfollato e di avere preso residenza in Via San Francesco a Padova, non gli fa mai richieste insolite fino all’ottobre 1944 quando racconta che una banda di comunisti, visitata la sua casa mentre egli era assente, l’aveva depredata di ogni bene per circa duecentomila lire. Alla richiesta di denaro lo Zamboni avvia una istanza al cassiere del CLN che riesce a procuragli una prima tranche di venticinque mila lire che vengono consegnate al Santoro. Ma la somma è troppo esigua e lo Zamboni, su invito del Santoro, chiede all’Ing. Casilli, rappresentante del Partito d’Azione, di procedere tra i compagni alla raccolta di altro denaro fino ad una cifra di centomila lire. Anche le altre testimonianze ricordano questo episodio con alcune discrepanze sul valore dei beni sottratti, che per il Casilli sarebbe stato di trecentomila lire (ma ricorda che in casa del Santoro vennero sequestrate quattrocentomila lire dalla Banda Carità al momento della perquisizione, rilevando probabilmente che il Santoro avrebbe chiesto denaro ad altre persone non essendone quindi sprovvisto come voleva far credere). Evidentemente il Santoro aveva approfittato dell’episodio, reale o inventato che fosse, per arricchirsi. Dopo questo evento Zamboni ricorda il suo arresto avvenuto il 18 novembre 1944 ad opera della Banda Carità, che lo
rinchiude nella caserma delle SS sita in via San Francesco a Padova presso Palazzo Giustiniani.
Qui, le vicende dei testimoni si fanno molto più differenziate seppure si concludano con uno stesso triste esito. Lo Zamboni ricorda cinquanta giorni di vessazioni, poi aggravate nella intensità della violenza in seguito a una testimonianza fatta al maggiore Carità da parte di una signorina collaboratrice del CLN che avrebbe confermato i rapporti tra lo Zamboni, il Prof. Egidio Meneghetti (uno dei capi della resistenza padovana), l’Ing. Pighin e il Castelli (pseudonimo con cui si faceva chiamare all’epoca il Santoro). Dopo un ennesimo interrogatorio, andato a vuoto, condotto dal Maggiore Carità in persona, il Professore venne a sapere che il Castelli era stato arrestato. Pochi giorni dopo un nuovo interrogatorio piuttosto violento e la sorpresa di trovarsi il Castelli/Santoro ad invitarlo a raccontare della sua attività partigiana di fronte ai membri della banda Carità. Dapprima lo Zamboni resta attonito; non sa darsi spiegazione di quel totale voltafaccia. Forse le torture, le minacce o uno sconvolgimento di cervello lo hanno spinto ad un comportamento tanto vile. Poi deve constatare comunque che “le rivelazioni da lui fatte sull’attività militare, che in ultima analisi mettevano capo a me come rappresentante politico finirono per rovinarmi” <200. Infatti, continua a raccontare lo Zamboni, la notte tra il 5 e il 6 dicembre diventa per lui letteralmente infernale. Il Castelli/Santoro viene slegato dalle manette (cosa che fa insospettire lo Zamboni) e viene portato via. La tortura con le scariche elettriche continua per tutta la notte. Passato anche questo interrogatorio, viene a sapere dalla signorina citata più sopra che il Castelli era uomo noto alle Brigate Nere, cosa che gli viene confermata da un altro incontro avvenuto con lo stesso Santoro/Castelli la notte del 6 gennaio. Castelli, poco tempo prima aveva cercato di far catturare il Pighin che, la sera stessa, è colpito a morte dalle stesse Brigate nere dopo un tentativo di fuga.
Uscito dall’interrogatorio vede di persona che molti altri membri della Resistenza, compresi gli autori delle testimonianze richiamate in apertura, sono stati arrestati, cosa che lo fa dubitare ancora di più sul ruolo giocato dal Santoro alias Castelli nella vicenda. I suoi dubbi saranno confermati pochi giorni dopo per bocca dell’Ingegner Martignoni che conferma che il Castelli, a conoscenza di uno dei luoghi segreti dove convenivano gli incontri della Resistenza padovana, ci ha condotto la Banda Carità per catturarlo. Zamboni, in chiusura della sua testimonianza e documento di accusa si pone una serie di domande: “Che bisogno aveva il Castelli di arrivare a simili rivelazioni? Quali mezzi usò il famigerato Carità per indurlo a causare tanta rovina?… Otello Renato Pighin; Egli non doveva finire così tristemente: per tradimento <201”. Questa la testimonianza dello Zamboni.
Restano comunque alcune zone d’ombra che altre versioni degli eventi, raccontate dagli altri testimoni, possono aiutarci a rendere più chiare.
Cominciamo proprio dalla testimonianza del Martignoni <202 che arricchisce la vicenda di alcuni interessanti particolari, confermando innanzitutto di avere condotto il Santoro, nel periodo della loro frequentazione, in maniera avventata in uno dei suoi nascondigli, luogo dove fatalmente sarebbe stato la sera dell’arresto e dove il Santoro avrebbe condotto i membri della banda Carità per arrestarlo. Il Martignoni ricostruisce poi le ragioni che avrebbero portato al tradimento del Santoro: la sera dell’arresto, sarebbe stato caricato di bastonate e non avrebbe retto più di tanto, raccontando della sua attività partigiana a delle persone con cui collaborava. Questo avrebbe portato all’uccisione dell’ingegner Pighin, più sopra ricordata, all’arresto del Prof. Palmieri, partigiano, e del già citato Prof. Meneghetti, del Prof. Ponti e dell’ing. Casilli nonché delle segretarie, una delle quali è stata più sopra nominata e del figlio dodicenne del prof. Ponti (i fatti sono avvenuti il 7 gennaio intorno alle ore 19). Quindi il Santoro conduce la banda Carità a casa del Martignoni che viene sorpreso nel sonno. Già al suo primo interrogatorio, smentendo di essere il comandante Virgilio, viene invitato dal Santoro a raccontare la verità, aggiungendo particolari gravissimi di incontri avuti tra di loro. Ma il ruolo del Santoro si aggrava; il nostro testimone ricorda come lo avesse visto condurre più interrogatori a favore della banda Carità, questo perlomeno fino al mese di gennaio 1945, quando sparisce da Palazzo Giusti. Si scopre poi che, su richiesta dello stesso Santoro, sarebbe stato trasferito in Germania poiché terrorizzato dalla sicura vendetta dei partigiani. Il Martignoni infine ricorda che, comunque, grazie alla propria capacità di resistere alle sevizie, riuscì a salvare molti altri partigiani tacendo i loro nomi agli aguzzini e giocando sul fatto che il Santoro non li conosceva.
La testimonianza di Umberto Avossa <203, pur ripetendo i racconti dei testimoni precedenti, aggiunge delle informazioni che confermano che forse da principio il Santoro non fece parte integrante dell’attività contro i partigiani. Infatti, l’Avossa ricorda che, al momento dell’arresto dello Zamboni, il Santoro si trovava proprio in casa di quest’ultimo e si sarebbe giustificato con i ceffi della banda Carità dicendo di essersi recato lì per pagare un conto pendente alla Signora Zamboni. Comunque sia, anche quest’ultima testimonianza conferma la partecipazione del Santoro agli interrogatori degli arrestati con un ruolo attivo.
C’è poi il resoconto dell’Ing. Attilio Casilli <204, che già nel titolo del rapporto esordisce inquadrando il Santoro come “falso partigiano Castelli”. Dal rapporto di Casilli cogliamo un forte disappunto per i soldi consegnati al Santoro in occasione del furto presso la sua abitazione da lui denunciato ai partigiani e per il fatto che la ragguardevole somma, raccolta da parte del gruppo dirigente padovano dei partigiani, era giunta alla cifra di 400.000 lire (era stata carpita la buona fede dei partigiani per arricchimento personale). Inoltre, anche il Casilli ricorda la partecipazione da parte del Santoro agli interrogatori della banda Carità, come d’altronde era avvenuto anche con lui. Ricorda inoltre di aver saputo che il Santoro stesso avrebbe condotto alcuni componenti della banda Carità presso l’abitazione del Martignoni “… e disgrazia volle che il Martignoni quella sera fosse in casa e così anch’egli venne arrestato per esclusiva opera del Santoro”. Riporta poi il racconto di una delle segretarie arrestate, tale Maria Fiorotto, di cui si è già detto sopra, che riferisce “… che il Santoro il giorno prima del nostro arresto [della segretaria e del Martignoni] si era recato da lei [la segretaria] perché le procurasse un incontro con Pighin…”. Ciò aveva condotto agli esiti mortali di cui si è parlato più sopra. Il Casilli conclude la testimonianza ricordando che “…il Santoro,
arrestato non so in base a quali indizi, nei primi giorni del 1945, sottoposto ad interrogatorio da parte del Maggiore Carità, bastonato dai suoi agenti, spaventato dalle minacce di fucilazione e dal trattamento avuto, si decise a fare ampia confessione e a impegnarsi a passare al servizio delle SS – Reparto Carità”. Pertanto aveva agito senza pentimenti nei confronti dei membri del CLN; ma di lì a poco, si sarebbe fatto trasferire in Germania col grado di ufficiale per essere addetto alla sorveglianza in un campo di internamento o per la propaganda tra gli italiani.
Infine la testimonianza di don Giovanni Apollonio non fa altro che confermare, in maniera ancora più risoluta, il ruolo del Santoro nelle responsabilità della retata. Ricorda infatti che la sera del 5 gennaio del 1945 il Santoro si presentò al collegio dove il sacerdote risiedeva in compagnia di un membro della banda Carità, il Corradeschi, insistendo particolarmente per avere un appuntamento con l’Ing. Pighin (il sacerdote fungeva da collegamento con molti elementi della Resistenza padovana). Ritornò più volte anche il giorno successivo con la medesima richiesta alla quale aggiunge anche il desiderio di un incontro con altri componenti del CLN padovano; subito dopo venne arrestato dal Corradeschi che dapprima lo condusse in macchina alla Curia di Padova dove Santoro cerca don Francesco Frasson con la medesima intenzione di farlo arrestare; e successivamente a Palazzo Giusti dove fu interrogato dallo stesso Santoro ma riuscì a nascondere alcune informazioni importanti. Il resto sono notizie che già conosciamo.
Il fatto che il Santoro si fosse spostato in Germania ci viene confermato da una serie di documenti in coda al fascicolo. In particolare <205 vi è un documento con oggetto “situazione internati politici” presso il campo militare tedesco di Braunschweig nel quale ha operato il Santoro e nel quale egli stesso racconta la sua versione dei fatti di Padova. Prima di tutto si difende <206 riportando di essere stato catturato a Padova, dalla Banda del Maggiore Mario Carità, nelle retata di partigiani il 3 gennaio 1945, con il Prof. Meneghetti, l’ing. Pighin e altri; racconta di aver subito tre giorni di torture ma di non aver rivelato i nomi degli organizzatori confermando solo quanto confessato dagli
altri prigionieri. Veniva poi inviato con altre trentadue persone a Berlino da dove era tradotto al campo per internati di Braunschweig sotto sorveglianza di ufficiali collaborazionisti italiani, tenenti Baldini e Biagini. Rivela poi che in virtù di qualche persona generosa gli era riservato un trattamento particolarmente umano da parte dei tedeschi che lo lasciavano girare in borghese e lavorare dove desiderava all’interno del campo, con il solo obbligo di non rivelare nulla del suo passato ai connazionali e con quello di raccontare di essere un commerciante in cerca di materiali vari. Con enfasi racconta la sua storia da partigiano valoroso che dopo l’otto settembre del 1943 passa armi e bagagli al comando di duecento fedelissimi soldati al servizio della Resistenza. A Padova incontra il Prof. Meneghetti, capo del Partito d’Azione, col quale collabora fattivamente. E’ il destinatario di lanci di armi e munizioni e materiali di sabotaggio effettuati da aerei in volo e grazie ai quali procede ad azioni tra Padova e provincia. Compie atti di sabotaggio in molte zone della provincia padovana sui tronchi ferroviari, sulle strade a colonne di autocarri, contro enti fascisti e tedeschi. Nel complesso vanta di aver comandato fino a tremilacinquecento uomini suddivisi in 5 Brigate partigiane (“Brigata Italia”, “Brigata Silvio Trentin”, “Brigata Luigi Pierobon”, “Brigata Autonoma Italia Libera”, “Brigata Mario Todesco”). Alla fine del racconto dei propri meriti partigiani il Santoro si rivolge al Comando italiano per vedere definita la sua posizione di chi “più ha fatto ed ha lottato per la liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti e per collaborare con la causa Alleata”.
In realtà, possiamo confermare quanto detto dai testimoni richiamati più sopra anche alla luce di una serie di documenti in coda al fascicolo. Già tra i primi documenti rinveniamo un foglio senza data, comunque collocabile nel periodo in cui Santoro fu in Germania, steso a Braunschweig, in cui vengono segnalate alcune persone che svolgono attività di propaganda fascista <207, tra le quali compare il nome di Mario Santoro, di Michele, Classe 1911. Seguono poi ben sette testimonianze, tutte collocabili nel marzo del 1945, che confermerebbero che il Santoro e le due persone che egli cita poco sopra come due suoi controllori, Baldini e Biagini, in realtà sarebbero stati due suoi sodali nell’opera di propaganda a favore del fascismo in Germania nei confronti degli internati italiani ivi residenti. Il fatto poi che forti dubbi sussistessero sulla attività in Germania sono confermati da una dichiarazione resa da Antonio Gabella, dipendente dell’Ufficio Assistenza Italiano in Germania <208, che testimonia come alla costituzione dell’Ufficio Assistenza Italiano presso Braunschweig avvenuto subito dopo la liberazione (12 aprile 1945), Santoro e i suoi due sodali, avrebbero richiesto a più riprese, e anche con metodi aggressivi, di essere ricompresi tra gli “internati civili” per poter usufruire dei benefici della posizione. Il Gabella, avvertito della loro pericolosità da molte persone che li conoscevano, si rifiutò fermamente di esaudire le loro richieste salvo, alla fine, accettarle con riserva, procurandosi delle deposizioni, che abbiamo poco fa citato, da trasferire in fascicolo in Italia. A queste testimonianze possiamo aggiungerne altre due raccolte in occasione del supplemento di denuncia fatta a suo carico dopo la denuncia in sede di Corte d’Assise Straordinaria. Una è quella del Professor Giovanni Ponti, Sindaco di Venezia <209, che riporta che: “il giorno 7 febbraio 1945 fui arrestato a Villa Palmieri in Padova. Il Santoro mi riconobbe e durante l’interrogatorio fattomi dal Carità, intervenne arrogantemente chiedendomi se facevo parte del CLN”. La seconda testimonianza è del Professor Egidio Meneghetti <210, esponente del movimento Giustizia e Libertà del Veneto, che dopo l’Armistizio di Cassibile assieme al comunista Concetto Marchesi, a Mario Saggin democristiano e Silvio Trentin azionista fonda il CLN Veneto. La sua testimonianza è assimilabile dal punto di vista dei contenuti alle testimonianze degli arrestati dalla Banda Carità. Quello che interessa qui mettere in risalto sono due dichiarazioni chiarificatrici sul personaggio Mario Santoro. La prima la offre lo stesso Carità al Meneghetti mentre viaggiano insieme in treno verso Bolzano l’uno come carceriere l’altro come prigioniero. Allora il maggiore Carità rivolto al Meneghetti dice: “Io lotto contro di voi e se posso vi mando in prigione e vi gonfio di cazzotti; però io disprezzo i traditori molto di più. Ne faccio uso perché questo è il mio mestiere, ma poi non do loro un centesimo e quando mi è possibile li mando in Germania. Così ho fatto anche con Santoro, che vi ha tradito. Me lo sono levato dai piedi perché mi faceva schifo”. C’è poi un giudizio complessivo sul Santoro fatto dallo stesso Meneghetti, che a dire il vero non viene dato in maniera particolarmente pesante; colloca comunque il Santoro nella platea dei traditori: “Il mio giudizio complessivo sul Santoro è questo: entrò nell’organizzazione clandestina per sfuggire al servizio militare repubblicano o a quello tedesco. Non fu un traditore fin dal primo giorno; fin dal primo giorno fu uno che cercò di far vedere di avere una attività molto superiore a quella che ebbe e cioè in buona parte vendette fumo, così come mentì quando affermò di essere capitano e di essere laureato in legge. Sperava avidamente di farsi qualche merito senza troppo pericolo, così da ricavarne frutto dopo l’attesa liberazione. Arrestato dalla banda Carità, ai primi maltrattamenti crollò… promise di dire molte cose e di mettere nelle mani della banda Carità Renato Pighin e altri capi della organizzazione. Non v’ha dubbio che così fece… Verso altre figure minori non si comportò come un traditore… La figura del Santoro è quella di un meschino delatore, preoccupato solo di se stesso…”. Con la notizia di trasferimento a Padova del Santoro, per essere processato, si chiude il fascicolo <211. Non vi sono altri documenti che ci testimoniano cosa sia successo dopo.
[NOTE]194 Protocollo dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo – delegazione provinciale di Padova al Procuratore del Regno, data illeggibile.
195 Esposto dattiloscritto del Prof.Adolfo Zamboni contro Mario Santoro, Padova, 1 agosto 1945.
196 Esposto di Luigi Martignoni alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 20 dicembre 1945.
197 Esposto di Umberto Avossa alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 19 dicembre 1945.
198 Rapporto sull’attività di Mario Santoro (falso partigiano “Castelli”) di Attilio Casilli, 28 dicembre 1945.
199 Esposto alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, s.d.
200 Esposto dattiloscritto del Prof. Adolfo Zamboni contro Mario Santoro, Padova, 1 agosto 1945.
201 Ibidem.
202 Esposto di Luigi Martignoni alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 20 dicembre 1945.
203 Esposto di Umberto Avossa alla delegazione provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, 19 dicembre 1945.
204 Rapporto sull’attività di Mario Santoro (falso partigiano “Castelli”) di Attilio Casilli, 28 dicembre 1945.
205 Busta b-1, fascicolo 8, comunicazione di Casilli all’Alt Commissariato per le sanzioni contro il fascismo Delegazione provinciale di Padova, 28 dicembre 1945.
206 Situazione internati politici al Comando militare generale alleato presidio militare di Braunschweig, 2 maggio 1945.
207 Comunicazione all’Ufficio Assistenza Italiano da Braunschweig – Rathaus (municipio), s.d.
208 Dichiarazione di Gabella Antonio all’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo Delegazione provinciale di Padova sul conto di Mario Santoro, Baldini Pietro e Biagini Mario, 26 gennaio 1946.
209 Testimonianza del Professor Giovanni Ponti alla Delegazione Provinciale di Padova dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il fascismo, 1 febbraio 1946.
210 Testimonianza del Professor Egidio Meneghetti all’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo presso il Tribunale di Padova, 26 gennaio 1946.
211 Comunicazione della Delegazione per l’Epurazione di Padova circa le sorti del Santoro, 31 gennaio 1946.
Fabio Fignani, L’epurazione in Veneto. Alcuni casi di studio, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno Accademico 2015-2016
#1943 #1944 #1945 #1946 #AdolfoZamboni #AttilioCasilli #banda #Braunschweig #BrigateNere #Cas #Castelli #CLN #ConcettoMarchesi #dicembre #don #ebrei #epurazione #FabioFignani #fascisti #gennaio #GiovanniApollonio #GiovanniPonti #Giusti #lager #LuigiMartignoni #MarioCarità #MarioSantoro #novembre #Padova #partigiani #Resistenza #SilvioTrentin #tedeschi #testimonianze #traditore #UmbertoAvossa #Villa
Ci sono 14 scope, cioè 14 prigionieri | Storia minuta
Eravamo una famiglia numerosa: avevamo quattro fratelli prigionieri. A casa eravamo quattro sorelle. Dopo l’8 settembre era pericolo fare qualcosa, mastoriaminuta (Storia minuta)
reshared this
like this
informapirata ⁂ reshared this.
Arriviamo così alla conosciutissima cittadina di Bordighera
Bordighera (IM): una vista su Ospedaletti 7a TAPPA - venerdì 29 marzo 2019 SANREMO - VENTIMIGLIA - Km. 17 Partiti h.7.30 - Arrivati h.12.20 ...aspettirivieraschi.blogspot.com