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I tedeschi avanzarono per le direttrici Pigna-Langan grupposbarchi.wordpress.com/20…


I tedeschi avanzarono per le direttrici Pigna-Langan

Il centro urbano di Pigna (IM) visto da un’altura di Castelvittorio
La collaborazione civili-partigiani, che si concretizzò tante volte nel corso della lotta di Liberazione, fu determinante nei primi giorni di luglio 1944 a Castelvittorio (IM). Il paese rientrava nell’ambito di una vasta operazione di rastrellamento dei tedeschi, che tentarono in questo caso con ingenti mezzi lo sfondamento delle linee partigiane nel tentativo di creare una grande sacca in cui chiudere tutte le formazioni garibaldine e privarle, in tal modo, d’ogni via di fuga verso i territori piemontesi. Il 2 luglio i nazisti requisirono la preziosa farina, suscitando una reazione d’orgoglio in numerosi abitanti, che, come ricordava il parroco don Caprile, imbracciarono le armi con la parola d’ordine di difendere il paese. Iniziata la sparatoria, per circa 5 ore borghesi, armati di fucili di ogni specie, resistettero ad un contingente tedesco ben armato. Il giorno dopo il nemico trovò gli abitanti intenzionati a dare di nuovo battaglia. Erano schierate fianco a fianco più generazioni del paese. Tra i più maturi vi erano Mario Tucin [Mario Alberti, nato a Castelvittorio, classe 1896], Giuan Grigiun [anche Tumelin, Giovanni Orengo, nato a Castelvittorio, classe 1890], l’Acidu [Giuseppe Verrando, nato a Castelvittorio, classe 1886] e U Sociu [Giuseppe Caviglia, nato a Castelvittorio, classe 1892, morto il 16 dicembre a Castelvittorio in seguito a malattia contratta in servizio], buoni montanari, per lo più sulla cinquantina o sulla sessantina e vecchi combattenti dell’altra guerra mondiale, tutti tiratori infallibili per la loro lunga esperienza di cacciatori. Infine, i tedeschi se ne andarono, anche se gli abitanti di Castelvittorio furono tristemente consapevoli che quelli avrebbero fatto ritorno, come in effetti accadde nel mese di ottobre dello stesso anno.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945) – Tomo I, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Vittò [n.d.r.: anche Ivano, Giuseppe Vittorio Guglielmo] assunse il comando della V Brigata.
“Il raduno a Cima Marta del mese di luglio [1944] aveva maturato molte situazioni. Vittò aveva potuto vagliare i suoi uomini e capì che era giunto il momento di una organizzazione efficace dettata dalla esperienza di tante battaglie. Si profilava indispensabile l’unità di comando e il coordinamento delle singole azioni per un risultato non solo migliore, ma veramente fruttuoso, meta di una preparazione e di una azione, che erano il risultato di un piano previsto e preparato. L’incontro di tutti i comandanti delle bande aveva portato ad un colloquio realista e sincero. Innegabilmente tutti gli uomini di Vittò riconoscevano in lui il Comandante, la guida, l’incitatore, il personaggio capace di incentrare il sogno comune e l’esecutore riconosciuto di progetti e di azioni. Si studiò la possibilità di una organizzazione con quadri precisi e con una circoscrizione territoriale ben definita, autonoma, sotto il suo comando. Tutti riconoscevano in lui il capo, l’organizzatore, la guida ed attendevano da lui ordini precisi con dichiarazione di obbedienza e di fidata collaborazione. […] Vittò in quella circostanza realizzava in pieno il suo sogno. Seppe stringere intorno a sé tutti i suoi uomini e soprattutto seppe dare fiducia a tutti i comandanti dei distaccamenti. Anche gli ufficiali di Triora, del gruppo di Zoli, che non volevano essere legati a nessuno, compresero le intenzioni serie di Vittò, che galvanizzavano tutti i suoi uomini, ed aderirono incondizionatamente al movimento partigiano”. <38
Tornando al 3 luglio [1944], in seguito agli scontri avvenuti a Rocchetta Nervina e a Castelvittorio, i tedeschi si diressero verso Langan. Il loro intento era quello di accerchiare tutte le forze garibaldine della val Nervia e della valle Argentina. La linea difensiva partigiana era praticamente costituita dalla IV e dalla V Brigata. A quel punto Vittò chiamò a raccolta tutti i comandanti dei vari distaccamenti e comunicò loro che era in corso un grande rastrellamento da parte delle forze nemiche. Fece presente l’ingente impiego di uomini e di armi <39 da parte dei nazifascisti, fermamente intenzionati a mettere la parola fine sul movimento partigiano della zona. Nel corso della riunione, il comandante Ivano chiese a tutti di esprimere il loro parere sulle misure da adottare. Quasi tutti concordarono sulla necessità di dar vita a uno sganciamento momentaneo dalle posizioni per fare in modo che il nemico non riuscisse a mettere in atto la sua tattica. A quel punto Vittò diede disposizione di ripiegare dietro Langan [n.d.r.: nel comune di Castelvittorio (IM)], verso colle Melosa e Cima Marta. I tedeschi avanzarono per le direttrici Pigna-Langan, Loreto-Triora, Drego-Andagna e Taggia-Badalucco-Molini di Triora. Vittò comandava il reparto formato da circa 150 uomini che si trovava sulla linea difensiva di Carmo Langan e si estendeva dal valico della rotabile Pigna-Molini fino a Carmo Binelli, per una lunghezza di circa un chilometro e mezzo.

[NOTE]38 Ermando Micheletto (Dal diario di “Domino nero”), La V Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”, Edizioni Micheletto, Arma di Taggia, 1973, pagg. 152-153.
39 Oltre alle armi pesanti e ai mortai, furono impiegati anche i cannoni.
Romano Lupi, Vittò. Giuseppe Vittorio Guglielmo, Quaderni sanremesi, Sanremo, 2011, pp. 141,142

Infatti il 4 e il 5 luglio 1944 l’avanzata tedesca riprese e si concluse.
Non avevano deciso per quel tempo un rastrellamento fino agli alti monti. Considerata la situazione, Leo [Vittorio Curlo], non conoscendo l’esatta posizione dei luoghi che portavano a Cima Marta, dove era stato stabilito il raduno, preferì ripiegare su Melosa, Belenda, Goletta, Gerbontina. Passò quindi in Valle Argentina, arrivò sino a Verdeggia e puntò deciso verso Piaggia [Frazione di Briga Alta, in provincia di Cuneo]. Aveva così potuto constatare la percorribilità delle zone. Gli giunse subito la notizia del ritiro dei tedeschi e ritornò. Con lui, tra gli altri, ricordo che c’erano Panatum, Seccatore, Ormea. don Ermando Micheletto, La V Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

#1944 #CarmoLangan #CastelvittorioIM_ #fascisti #GiuseppeVittorioGuglielmo #luglio #partigiani #PignaIM_ #RomanoLupi #tedeschi #Vittò


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Will investigate, feel free to follow github.com/snarfed/bridgy-fed/… for details.

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L’importanza di “Autoritratto” risiede nella sua capacità di ridefinire il rapporto tra critico e artista adrianomaini.altervista.org/li…





Nei giorni successivi la formazione partigiana passa al comando di Stefano Carabalona grupposbarchi.wordpress.com/20…


Nei giorni successivi la formazione partigiana passa al comando di Stefano Carabalona

Rocchetta Nervina (IM): uno scorcio
Arturo Borfiga portò 12 russi al Dst. di Leo e un’altra volta un mulo con 2 mitragliatrici, di cui aveva infilato le canne nei pantaloni. Leo sgozzò l’ufficiale repubblichino che dai pressi del cimitero di Camporosso faceva sparare su Rocchetta Nervina. Quando a Vallecrosia il giorno del suo ferimento aprì la porta agli uomini dell’UPI era riuscito a mettere la mano sulla pistola del nemico, deviando il colpo partito nella colluttazione. Stefano “Leo” Carabalona era nato a Rocchetta Nervina (IM) il 10 gennaio del 1918. Dopo aver conseguito la maturità classica a Mondovì (CN), nell’imminenza della guerra fu chiamato alle armi ed inviato a Pola presso l’allora esistente scuola allievi ufficiali di complemento dei bersaglieri. Quale sottotenente dei bersaglieri partecipò alla campagna di Albania ed alla guerra in Grecia, dove venne decorato con una medaglia di bronzo al V.M. Promosso per merito straordinario tenente ed infine ferito più volte in combattimento, in seguito alle lesioni riportate nell’ultima delle ferite (schegge all’occhio sinistro) venne rimpatriato a Firenze presso l’ospedale militare. Congedato al termine della convalescenza, tornò a Rocchetta Nervina, ma nel 1941 in vista della campagna di Russia si arruolò volontario quale ufficiale di fanteria ed assegnato alla divisione celere “Legnano”. Rientrò in Italia a piedi con pochi superstiti della compagnia di cui era comandante. Nel 1943 si sottrasse alla chiamata della R.S.I.: per vendetta fu incendiata la casa di famiglia in Rocchetta Nervina, ma fortuite circostanze impedirono al fuoco di propagarsi e la casa si salvò. Sono rimaste sul pavimento di una stanza, visibili a tutt’oggi, le tracce di quelle fiamme. Massimo Carabalona, figlio di Stefano Carabalona, email del 23 dicembre 2021

Nella Valle Nervia alcuni ufficiali cercarono rifugio e sicurezza a Rocchetta Nervina, dove il tenente Stefano Carabalona [“Leo“], residente in loco, cercava di organizzare gli sbandati e di procurare il maggior numero di armi possibili. don Ermando Micheletto, La V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni” (Dal Diario di “Domino nero” – Ermando Micheletto), Edizioni Micheletto, Taggia (IM), 1975

L’8° distaccamento giunge a Rocchetta Nervina verso il 20 giugno [1944]. È comandato da Alfredo Blengino (Spartaco) che il giorno 23 dello stesso mese, lancia un proclama alla popolazione del paese ringraziandola per la solita buona accoglienza fatta ai partigiani ed invitandola ad appoggiare, nella maggior misura possibile, l’azione di chi combatte per la libertà […] Gli uomini della formazione ammontano ad una ventina, ma, in pochi giorni, il numero degli effettivi è pressocchè raddoppiato mentre viene notevolmente migliorata l’organizzazione del distaccamento. L’armamento consiste in fucili e moschetti. L’8° distaccamento opera nella Val Roja, procurando notevoli difficoltà al traffico delle truppe nazi-fasciste. Nei giorni successivi la formazione passa al comando di Stefano Carabalona (Leo) che si trova subito impegnato in un durissimo combattimento.
Carlo Rubaudo, Storia della Resistenza Imperiese (I Zona Liguria) – Vol. II. Da giugno ad agosto 1944, edito a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, p. 154

[…] il mese di luglio si aprì con un rastrellamento tedesco a largo raggio, essenzialmente rivolto verso Rocchetta Nervina (IM), Castelvittorio, Molini di Triora e Langan.
La difesa di Rocchetta Nervina, che si protrasse dal 1° al 4 luglio 1944, ebbe luogo soprattutto ad opera dell’8° Distaccamento della IX^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Felice Cascione”, che da circa una settimana era attestato nel paese. […] Per alcune ore il combattimento si protrasse con alterne vicende ed alle 12 i nazifascisti si ritirarono, accusando la perdita di un centinaio di uomini.
La difesa del paese venne fiaccata il giorno successivo, 4 luglio 1944, ad opera di 800 uomini di truppa che, occupato il paese, lo saccheggiarono. Alla sera rimase sul selciato un ingente numero di vittime.
Rocco Fava di Sanremo (IM), La Resistenza nell’Imperiese. Un saggio di regestazione della documentazione inedita dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia (1 gennaio – 30 Aprile 1945), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Trieste, Anno Accademico 1998-1999

Ma il tedesco pagò ben caro il suo successo, perché non meno di 180 uomini furono messi fuori combattimento… Fra coloro che maggiomente si distinsero sono da ricordare il vecchio “Notu” che, benché fosse rimasto ferito due volte, continuò a lottare fino all’esaurimento delle sue munizioni, Longo [Antonio Rossi], Falce [G.B. Basso], Colombo, Filatri [Gennaro Luisito Filatro, nato il 24 giugno 1917 a Civita (CS), già sergente maggiore del Regio Esercito, ufficiale addetto alle operazioni di distaccamento, passò poi in Francia al seguito di Carabalona], il giovanissimo Arturo [Arturo Borfiga] ed il prode Lilli [Fulvio Vicàri], che doveva più tardi immolare la sua giovane esistenza per la causa della liberazione.
Stefano Carabalona (Leo) in Mario Mascia, L’epopea dell’esercito scalzo, A.L.I.S., 1946, ristampa del 1975 a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia

Il rastrellamento di luglio [1944] da parte dei nazifascisti non fu lungo. ll Comandante Vitò [Giuseppe Vittorio Guglielmo] aveva ordinato ed organizzato una ritirata di emergenza e dava ordini precisi ai vari comandanti dei distaccamenti di attendere i suoi ordini. Radunò lo Stato Maggiore e studiò nei minimi particolari un attacco alla caserma di Pigna (IM)
[…] Il distaccamento di Stefano Leo Carabalona [poco tempo dopo comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] dalla parte di Rocchetta Nervina (IM), con Lolli [Giuseppe Longo, poco tempo dopo vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato], doveva vegliare con i suoi uomini la strada Dolceacqua-Pigna.
don Ermando Micheletto, Op. cit.

Verso la fine d’agosto 1944, in concomitanza con l’avanzata degli eserciti alleati sbarcati in Provenza, la V^ Brigata Garibaldi, forte ormai di oltre 950 uomini, iniziò un’azione convergente su Pigna, tenuta da un centinaio di militi repubblicani e centro delle difese nazi-fasciste della zona di montagna… In quei giorni si distinsero i distaccamenti di Gino (Gino Napolitano), di Leo (Stefano Carabalona), e di Moscone [Basilio Mosconi]. Alla fine il nemico rinunciò a difendere le sue posizioni di Pigna: evacuò il paese e si ritirò su posizioni più arretrate (Isolabona – Dolceacqua), abbandonando nella fuga precipitosa armi e munizioni che furono recuperate dai nostri e che andarono ad arricchire l’esiguo armamento di cui la brigata era provvista. Venne occupata Pigna, dove si stabilì il comando dei partigiani, si nominò un’amministrazione provvisoria e si provvide a munire la difesa della zona sia per poter riprendere gli attacchi verso la costa ed in direzione del fronte francese che si andava spostando verso est, sia per far fronte ad eventuali contrattacchi nemici. Infatti il I° distaccamento prese posizione su Passo Muratone alla destra dello schieramento per impedire puntate provenienti da Saorge (Francia); il V° distaccamento, al comando di Leo, occupò la stessa Pigna, posta al centro dello schieramento, distaccando una squadra di venti uomini a Gola di Gouta a guardia della strada. […] A Pigna, nel frattempo, era giunta una missionecomposta, di numerosi ufficiali “alleati”, accompagnati da un corrispondente di guerra canadese.
La missione studiata la zona, avrebbe dovuto proseguire per la Francia passando attraverso le maglie delle linee tedesche fra Gramondo e Sospel.
Mario Mascia, Op. cit.

Durante il periodo di attesa a PIGNA il comandante dei Partigiani della zona noto come LEO ci parlò della possibilità di passare in FRANCIA in barca da VENTIMIGLIA e suggerì di inviare uno dei suoi uomini sulla costa per fare delle indagini… I pescatori ci portarono vogando, senza ulteriori incidenti, in 3 ore e mezza a Monte Carlo [Monaco Principato] dove sbarcammo [quindi, approssimativamente alle ore 4 del 9 ottobre 1944, data in ogni caso indicata da Brooks Richards, Secret Flotillas, Vol. II, Paperback, 2013] e ci arrendemmo alla guarnigione F.F.I. La mattina seguente guidammo fino a Nizza e facemmo rapporto al Maggiore H. GUNN delle Forze Speciali … A Nizza informammo il Colonnello BLYTHE del quartier generale della task force della settima armata americana…
capitano G. K. Long, artista di guerra, documento britannico Mission Flap

Ad ogni modo presi contatto con Leo, che era appunto sbarcato in Francia in quel tempo… [parole del capitano Robert Bentley, ufficiale alleato di collegamento con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] Mario Mascia, Op. cit.

Il maresciallo Reiter fece accompagnare da due agenti in borghese la staffetta Irene [in questa versione dei fatti la persona, costretta dai nazisti a fare da esca per attirare in trappola i due partigiani] verso la casa di Vallecrosia, dove “Leo” e “Rosina[Luciano Mannini], ignari, aspettavano il ritorno di chi li aveva traditi [in altre versioni della narrazione di questo tragico evento emerge, invece, una casuale scoperta di collegamenti clandestini da parte degli apparati nazisti di controllo]
Leo [responsabile, al momento cui si riferisce la presente testimonianza, dell’Ufficio Informazioni Militari della V^ Brigata d’Assalto Garibaldi “Luigi Nuvoloni”] restò gravemente ferito [era il giorno 8 febbraio 1945]. Ma anche i due agenti nemici versarono in fin di vita. “Leo” e “Rosina” fuggirono per vie diverse eludendo anche il successivo rastrellamento tedesco. “Leo” trovò rifugio nella clinica Moro sulla via Romana, dove venne medicato ma non ricoverato. Il partigiano Lotti, probabilmente avvisato da “Rosina”, o non so come, avvisò il nostro CLN di Bordighera che “un agente americano” era stato ferito e si trovava alla clinica Moro. Insieme a Renzo Biancheri “U Longu”, prelevammo “Leo” dalla Clinica Moro [n.d.r.: che era stata trasferita dal 2 gennaio 1944 a Villa Poggio Ponente di Vallecrosia] e lo portammo all’ospedale di Bordighera. Riuscimmo a ricoverarlo con un tragico stratagemma. Per i ricoveri con ferita i medici dovevano dichiarare se la ferita era stata causata da scheggia di bomba o da colpo d’arma da fuoco. All’ospedale “Leo” venne curato da due medici che conoscevo bene, il dr. Giribaldi e il dr. Gabetti, e assistito dalla caposala, infermiera Eva Pasini. Il dr. Gabetti mi disse che difficilmente “Leo” sarebbe sopravvissuto e che quindi conveniva ricoverarlo come “ferito da colpo d’arma da fuoco” e non rischiare la vita quando la polizia fascista avesse preso conoscenza del referto. Così fu fatto: “Leo” fu ricoverato e gli vennero prestate le prime cure. La Pasini mi prese da parte e mi disse che “Leo” si sarebbe potuto salvare; e che se non era morto fino ad allora sarebbe potuto sopravvivere e a quel piìunto avrebbe dovuto subire l’inevitabile interrogatorio dei nazifascisti. Il pericolo era grave e serio: “Leo” era a conoscenza di importanti particolari della struttura dei servizi di informazione. Io e Renzo Biancheri, “Rensu u Longu”, accompagnammo “Leo” giù per le scale dell’ospedale e sulla canna della mia bicicletta lo portai a casa di Renzo, dove lo nascondemmo in cantina.
Avvisammo il dr. De Paolis, che si prese cura di “Leo”: lo curai con delle flebo che gli iniettavo nelle cosce perché non ero capace di infilare l’ago nel braccio.
All’interno del CLN il fatto suscitò scalpore e innestò una approfondita discussione, che evidenziò la urgente necessità di cautelarsi con le forze alleate della vicina Francia per una maggior collaborazione e soprattutto coordinamento. Curammo “Leo” come era possibile, ma le sue condizioni permanevano critiche. Con il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia predisponemmo una barca per il trasporto in Francia. Il Gruppo Sbarchi era stato creato dal nostro CLN, che mi incaricò ufficialmente, con tanto di credenziali dell’Alto Comando, di rappresentare la Resistenza Italiana presso il comando alleato e di coordinare le loro azioni alle nostre esigenze. Alla sera convenuta imbarcammo “Leo” e Luciano “Rosina” Mannini; con Renzo “U Longu”
[Biancheri] iniziammo a remare verso la costa francese. Il dr. De Paolis, viste le condizioni ormai gravi di “Leo”, mi aveva incaricato di iniettargli una fiala di adrenalina: con questa adrenalina in corpo “Leo” affrontò il viaggio. Giungemmo nel porto di Monaco, dove fummo subito presi in consegna dalle sentinelle algerine e portati all’Hotel de Paris, sede del comando francese. Riuscimmo a far ricoverare “Leo” a Nizza, ma per il resto insistetti non poco per contattare il comando inglese o quello americano, che erano gli autori della missione in Italia di “Leo”. Renzo ”Stienca” Rossi in Gruppo Sbarchi Vallecrosia, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia <Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)> di Giuseppe Mac Fiorucci]

26 febbraio 1945 – Dal C.L.N. di Bordighera, prot. n° 2 al comandante Curto [Nino Siccardi, comandante della I^ Zona Operativa Liguria] – Informava che il Comitato era entrato in contatto con il garibaldino Leo [Stefano Carabalona, già comandante di distaccamento partigiano e protagonista di eroici episodi, quali il suo contributo alla valorosa, ancorché vana difesa di Rocchetta Nervina (IM) e di Pigna (IM); artefice del ritorno da Ventimiglia (IM) via mare, con l’intervento finale di Giulio “Corsaro/Caronte” Pedretti e di Pasquale Pirata Corradi (detto anche Pascalin), ma con l’aiuto di molte altre persone, alle loro fila di alcuni ufficiali della missione alleata Flap; responsabile, al momento cui si riferisce la presente testimonianza, della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] del Secret Service [OSS statunitense] inviato a Vallecrosia dagli americani per avere notizie sulla 28^ linea; che Leo era poi stato ferito da agenti dell’U.P.I. [Ufficio Politico Investigativo della Repubblica di Salò] in seguito a una delazione del suo radiotelegrafista; che Leo era riuscito a fuggire dall’ospedale di Bordighera; che era stato prelevato da uomini del C.L.N. e ricoverato in luogo segreto in attesa di essere trasferito in Francia; che Leo aveva riferito di essere passato il 10 dicembre 1944 in Francia, che Leo aveva scritto una lettera, allegata al documento in parola, per il comandante Curto, lettera in cui Leo aveva scritto: “Era mia intenzione di recarmi presso di te per poterti dire qualche cosa che interessava sia te personalmente, sia il complesso di tutta la Divisione [II^ Divisione “Felice Cascione”]. Io sono partito per la Francia il 10 dicembre; giunto colà presi contatto con il Comando Americano di Nizza con il quale già ero in relazione da circa due mesi; presi pure contatto con il capitano inglese Bentley, il quale volle sapere da me vita e miracoli di tutti i capi: io dissi il più poco possibile e per quello che riguardava il colore politico andai coi piedi di piombo. In quei giorni prese contatto con il Comando Inglese il dott. Kanheman il quale si sbottonò facendo 53 profili per iscritto di tutti i capi dell’allora Divisione “F. Cascione”. Appena io sentii le sue bellicose intenzioni, da buon garibaldino, lo incontrai e misi in luce a lui e a quanti erano con lui (gli altri erano bravi figlioli e furono subito d’accordo con me) quanto di poco simpatico stessero facendo. D’allora stetti più in guardia. In ogni modo so con precisione che di parecchi capi ha dato giudizi un po’ avventati di Simon [Carlo Farini, Ispettore Generale al Comando Operativo della I^ Zona Liguria], Vittò [Giuseppe Vittorio Guglielmo, comandante della II^ Divisione], Orsini [Agostino Bramè, commissario della V^ Brigata “Luigi Nuvoloni” della II^ Divisione] ed altri. Insomma ho creduto bene che tu sappia che questo signore si è presentato agli inglesi come l’anima e il cervello della Divisione, critico di tutto e di tutti, tu stesso non escluso. Io e Lolly [Giuseppe Longo, vice comandante della Missione Militare (dei Partigiani Garibaldini) presso il Comando Alleato] in compenso abbiamo scritto parecchio sulla 2a Divisione Garibaldina e sul suo comandante e sono convinto che chiunque leggerà quelle modeste righe di modesti eroismi non potrà che meravigliarsi. I francesi parlano sovente di occupare fino a S.Remo, e siccome hanno sul fronte qualche battaglione potrebbero anche farlo; ad evitare ciò basterebbe l’occupazione fatta Mezz’ora prima dai garibaldini. Noi avevamo a che fare con gli americani che comandano questo fronte. Per conto mio, sono molto migliori degli inglesi, con noi poi vanno molto d’accordo. Giorni fa è arrivato in Francia il fratello di Kanheman (il fratello maggiore è andato a Roma) il quale dev’essere andato in Francia per dire agli inglesi che qui il patriottismo è divenuto banditismo, ecc… Ti prego di dire a Vittò che mi tenga sempre presente come suo garibaldino perché tutto il lavoro che faccio, l’ho fatto e lo continuerò a fare come Garibaldino della 2a Divisione Garibaldi. Io tornerò in Francia fra una decina di giorni anche perché la mia ferita me lo impone (non sono riusciti a prendermi, però mi hanno ferito allo stomaco) e se sia tu o Simon o qualche altro vuol darmi qualche incarico sarò ben lieto di rendermi utile Ti saluto caramente tuo Leo” . 10 marzo 1945 – Dal CLN di Sanremo, prot. n° 410, al CLN di Bordighera – Invitava ad “intrattenere maggiori rapporti tra i due Comitati, mediante staffette che portino notizie riguardanti movimenti di truppa e segnalino eventuali bombardamenti”. Segnalava che il Comando Operativo della I^ Zona Liguria desiderava inviare alcuni documenti in Francia tramite “Leo” [Stefano Carabalona, che, ferito, dal 5 marzo era già stato portato in salvo in Costa Azzurra] e di conseguenza chiedeva la data in cui fosse stato disponibile “Leo”. Comunicava che 6 uomini dovevano varcare il confine. 12 marzo 1945 – Dal CLN di Sanremo, prot. n° 424, a “Capitano Roberta” [Robert Bentley, capitano del SOE britannico, ufficiale di collegamento alleato con i partigiani della I^ Zona Operativa Liguria] – Comunicava che… quel giorno stesso il CLN di Bordighera aveva avvertito che “Leo” e “Rosina” [Luciano Mannini], accompagnati da altri due partigiani [Renzo Biancheri e Renzo Rossi], erano, nella notte tra il 5 ed il 6 marzo partiti per la Francia; che “Leo” era sempre ferito; che il suo passaggio in Francia era stato affrettato. Da documenti IsrecIm in Rocco Fava,Op. cit.

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MAMbo è molto attivo nella costruzione e nel mantenimento di una fitta rete di relazioni con altri musei adrianomaini.altervista.org/ma…




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La dottrina comunista non ha avuto un rapporto lineare con la categoria “imperialismo” adrianomaini.altervista.org/la…







Adriano Maini ha ricondiviso questo.


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As a part of that, we also wanted to share where our funding is currently coming from and what community funding can help lead to for the future of Bridgy Fed & Bounce.

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in reply to Bridgy Fed for Bluesky

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Due scrittori che con Berio e con le sue idee di fusione parola-musica hanno avuto tanto a che fare adrianomaini.altervista.org/du…




La situazione di allarme in cui si trovava l’Italia era iniziata già nel 1968


La prima volta che l’onorevole Aldo Moro aveva parlato della strategia dell’attenzione nei confronti del Partito comunista italiano era stato il 21 febbraio del 1969, in una riunione della Direzione della Democrazia cristiana, quando aveva proposto l’inizio di un rapporto nuovo con l’opposizione comunista, basato su «reciproca considerazione» e «dialettica democratica». Le motivazioni che spinsero Moro a formulare questa strategia furono fondamentalmente tre: la prima, di lungo periodo, può essere rintracciata in uno dei capisaldi della cultura politica di Moro, cioè la sua convinzione della necessità di allargare le basi e il consenso dello Stato democratico; le altre due, di breve periodo, sono invece da ricondurre alla percezione che Moro aveva di una profonda crisi del centro-sinistra e alla sua peculiare analisi dei tempi nuovi e dei movimenti in atto nella società italiana <2.
Gli anni Settanta si aprirono così con l’ipotesi, sempre più concreta, del “compromesso storico”, mai approvato dall’ala destra del partito democristiano, rappresentata, tra gli altri, da Giulio Andreotti, che dichiarò che: «Il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica e storica» (3. Ciò che realmente preoccupava Andreotti era l’ingresso del comunismo in quell’area di governo che per circa un trentennio aveva fatto, proprio dell’anticomunismo, il proprio baluardo.
L’idea di uno stretto rapporto con la Democrazia cristiana, avanzata dal neo-segretario Enrico Berlinguer nei primi anni Settanta, non allettava neanche le file del Partito comunista. Il problema era il superamento di quella conventio ad excludendum come ultimo passo nel quadro di un disegno interno al sistema politico nato alle origini della Repubblica <4. Riaffermare la propria piena legittimazione nel sistema politico italiano era diventato un compito prioritario per i comunisti: una legittimazione che solo la Dc, partito egemone del sistema, era in grado di concedere. All’inizio degli anni Settanta, dunque, Berlinguer aveva una strategia ben precisa da perseguire: ottenere quella legittimazione governativa che il Pci non era in grado di procurarsi autonomamente ma poteva raggiungere esclusivamente grazie ad un rapporto privilegiato con il suo storico antagonista. Dal punto di vista sistemico, la debolezza degli esecutivi, già emersa nel corso della V legislatura, basata su maggioranze costituite da Psi, Psdi, Pri e Dc, testimoniava l’urgenza di abbattere le barriere tra maggioranza e opposizione, avviando una fase di consociazione che si traducesse in una coalizione di governo allargata anche ai comunisti: una situazione di emergenza necessitava di un provvedimento eccezionale ma necessario <5.
La situazione di allarme in cui si trovava l’Italia era iniziata già nel 1968, quando le università e le piazze italiane erano diventate teatro di proteste della società civile, degli studenti prima e degli operai poi. Come il sistema istituzionale, anche i movimenti politici estremisti che nacquero in quegli anni seguivano matrici politiche differenti: dai gruppi sovversivi distaccatisi dal Movimento sociale italiano, alle formazioni giovanili del Psi e del Pci, ai gruppi cattolici, alle associazioni degli studenti universitari. Questi ultimi, in particolare, sarebbero diventati i protagonisti della contestazione contro le strutture sociali, del lavoro e dell’istruzione, e le regole che le governavano, ritenute vecchie e inadeguate a soddisfare le esigenze di una generazione nuova, cresciuta in un’epoca di relativa pace e benessere <6. L’oltranzismo di questo movimento aveva portato alla nascita di veri e propri gruppi extraparlamentari di estrema sinistra, come, tra gli altri, Movimento operaio, Lotta continua e Il Manifesto. L’obiettivo di questi gruppi era quello di attuare quel salto rivoluzionario teorizzato da Marx ed Engels che i comunisti non erano riusciti a realizzare, prediligendo la revisione politica e ideologica indicata da Togliatti nella sua idea di “democrazia progressiva”: la costruzione, cioè, di una democrazia organizzata, articolata, caratterizzata da una forte democratizzazione della società e dello Stato, che quindi mettesse da parte gli interessi di classe per soddisfare quelli “collettivi” del paese <7. Il Sessantotto italiano fu, così, il risultato di un malessere radicato nella società, dovuto a quel boom economico degli anni Sessanta che aveva visto la borghesia come principale protagonista. Alle proteste studentesche presto si affiancarono gli scioperi degli operai nelle fabbriche, fino ad arrivare, nel 1969, allo scoppio di quello che è conosciuto come l’autunno caldo. In questo contesto sarebbero emersi i germi di quella che sarebbe stata definita «strategia della tensione» <8: il periodo, cioè, segnato dal susseguirsi di attentati terroristici che avrebbero avuto inizio il 25 aprile 1969 con l’esplosione di due bombe alla Fiera campionaria e alla stazione di Milano sino all’episodio più grave della bomba presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre.
Gli atti terroristici continuarono per tutti gli anni Settanta con impressionante regolarità: solo fino alla metà del 1972 si contarono 271 esplosioni dinamitarde. Il 28 maggio 1974 l’esplosione di una bomba in Piazza della Loggia a Brescia rappresentò uno dei momenti più cruenti nella lotta contro lo Stato. La «strategia della tensione» favorì un radicamento più profondo e tenace nella società italiana del terrorismo di sinistra <9. All’interno degli stessi gruppi dell’estrema sinistra venne a determinarsi una dialettica per la quale il ricorso alla violenza divenne il modo stesso di esistere e di affermarsi rispetto ai gruppi concorrenti. Se, infatti, la responsabilità della strage di Piazza Fontana venne inizialmente attribuita alla sinistra, qualche anno più tardi sarebbe, al contrario, emersa la matrice neofascista di quell’attentato. Si creò così una spirale, un reciproco coinvolgimento e probabilmente anche una qualche forma di collaborazione fra i due estremismi che avrebbero avuto il loro culmine con i tragici eventi del ’78 <10. La formazione di nuclei di potere occulto fu favorita certamente dalla debolezza e dalla fragilità del sistema politico italiano che, a partire dall’inizio degli anni Settanta, preannunciava una crisi della democrazia dei partiti.

[NOTE]2 Giovanni Mario Ceci, Moro e il PCI, Roma, Carocci, 2014.
3 Oriana Fallaci, intervista a Giulio Andreotti nel dicembre 1973, Intervista con la storia, Milano, Rizzoli, 1974.
4 Pietro Scoppola, Una crisi politica e istituzionale, in G. De Rosa e G. Monina, a cura di, L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta, sistema politico e istituzioni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003.
5 Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica 1943-2006, Bari-Roma, Laterza Editori, 1998.
6 Ibidem.
7 Alexander Hobel, La “democrazia progressiva” nell’elaborazione del Partito comunista italiano, «Historia Magistra», n. 18, 2015.
8 Pietro Scoppola, La repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1997.
9 Ivi, p.385.
10 Ibidem.



Il governo Spadolini varò il disegno di legge «dei pentiti»


2018-2019

Gli assassinii di Roberto Peci e dell’Ingegner Taliercio, come anche il sequestro dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo, mostravano come, nel 1981, la minaccia terroristica delle Brigate Rosse non fosse scongiurata, bensì fosse perdurante.
Il nuovo presidente del Consiglio era consapevole di come, nonostante l’attuazione della legislazione d’emergenza (legge Reale e Cossiga tra tutte) avesse costituito, negli anni precedenti, una risposta istituzionale tutto sommato positiva (quanto dibattuta), la ripresa della sfida terroristica aveva contribuito «a rendere più evidenti l’inadeguatezza e la frammentarietà della risposta giurisdizionale» <135. Nello specifico Spadolini indicava in una giustizia in grave crisi, «messa - tra l’altro - in condizione di non poter offrire risposte pronte ed efficaci alla richiesta di chiarezza e di tempestività di tutti i cittadini» <136, il vulnus principale a quel principio ordinatore della stessa democrazia rappresentato dalla certezza del diritto.
A questa minaccia bisognava rispondere attraverso i rimedi giurisdizionali ma soprattutto tramite un raccordo sinergico tra Governo e Parlamento. Questi dovevano essere i pilastri per giungere, innanzitutto, all’approvazione di un nuovo codice di procedura penale «destinato ad eliminare le bardature di un processo inquisitorio e segreto, che la società non accetta più» <137. In Italia era, infatti, ancora in vigore il codice penale fascista del 1930. L’inerzia legislativa aveva così generato non pochi contrasti tra la legge fondamentale e disposizioni del codice in netto contrasto con essa. Seppure delle pronunce della Corte Costituzionale avessero condotto alla soppressione di alcune leggi dal contenuto autoritario, in un clima d’instabilità civile come quello degli anni Settanta, questa discrasia «si era tramutata in varie occasioni emotive in un modo di legiferare incoerente e, per così dire, a passo di gambero» <138.
Il richiamo da parte di Spadolini a una materia così delicata si concretizzò con l’importante modifica operata con la legge del 24 novembre 1981 numero 689, alla quale si aggiunse l’approvazione della legge 743 del 18 dicembre dello stesso anno, che consisteva in una delega al presidente della Repubblica per la concessione di amnistia e di indulto per una serie di reati minori. La legge numero 689, in particolare costituì per il sistema penale una fondamentale riforma che cercò di andare incontro a due esigenze: «far diminuire, con l’introduzione dell’istituito del “patteggiamento”, la durata dei processi - e - ridurre l’affollamento delle carceri, con la depenalizzazione di una serie di reati minori, per i quali si prevedeva la sostituzione delle pene detentive con altre misure». <139
All’impegno per la riforma del codice penale, si aggiunse quello per le cosiddette riforme “senza spese”, tra cui quella sul segreto istruttorio e quella sull’istituto della comunicazione giudiziaria, entrambe oggetto nel tempo di molte distorsioni.
Un versante fu, fra tutti, quello sul quale il governo Spadolini riuscì a ottenere i migliori risultati: «mi riferisco all’offensiva contro i cosiddetti “pentiti” e i loro familiari» <140. L’obiettivo principale dell’esecutivo fu quello di incoraggiare la dissociazione dai gruppi terroristici e favorire il recupero sociale degli elementi che avessero collaborato con l’autorità giudiziaria.
A questo scopo il governo varò il disegno di legge «dei pentiti» il quale, approvato dalle Camere il 29 maggio 1982, prevedeva incentivi e protezione a chi si fosse dissociato dalla lotta armata. La legge, innanzitutto, introduceva la non punibilità per coloro che avessero commesso, per scopi terroristici, il reato di associazione o banda armata, ma avessero poi o disciolto l’associazione o si fossero consegnati senza opporre resistenza. «In secondo luogo, si concedevano le attenuanti per i medesimi reati, con la riduzione della pena fino al massimo di un terzo, o in caso di dissociazione ovvero di collaborazione con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria» <141.
Il governo si dimostrò solerte anche per quanto riguarda la lotta alla mafia: venne infatti varata la cosiddetta «legge La Torre», la quale approvata nel 1982, introdusse con il nuovo articolo 416-bis del codice penale, la figura dell’associazionismo di tipo mafioso. Con essa fu inoltre prevista l’istituzione della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, la quale «doveva rappresentare un momento di coordinamento e di indagine su un fenomeno che, specie negli ultimi tempi, aveva colpito al cuore le istituzioni» <142.
L’impegno profuso dal governo Spadolini nei confronti dell’emergenza civile e terroristica, in definitiva, risultò a conti fatti decisivo. Seppure vadano rilevate alcune contraddizioni riguardanti l’utilizzo di una legislazione di emergenza tanto criticata dallo stesso presidente del Consiglio, il merito della definitiva sconfitta delle BR è ascrivile soltanto all’operato del governo Spadolini e ai suoi provvedimenti. A tal proposito, sottolinea in particolare Ascheri che «la sconfitta delle Br in tempi brevi è stata solo opera dello strumento legislativo creato dal governo Spadolini: la legge “dei pentiti, appunto» <143. Un successo tra l’altro coronato dalla liberazione, da parte delle forze dell’ordine, del generale americano della NATO James Lee Dozier rapito dalle Brigate Rosse il 17 dicembre 1981. Lo stesso Spadolini, intervenuto al Senato nell’aprile 1983 ribadirà con orgoglio: «la democrazia italiana ha certamente realizzato un grande successo: la vittoria politica sul terrorismo. La più grave minaccia sull'avvenire delle nostre libere istituzioni, cioè il partito armato, è stata politicamente debellata: grazie all'impegno efficace delle forze dell'ordine, grazie alla solidarietà operante del mondo del lavoro e delle sue proiezioni politiche, grazie alla linea della fermezza, contro inammissibili tentazioni trattativiste, non meno che alla sagacia e all'accortezza degli strumenti legislativi predisposti, a cominciare dalla legge sui pentiti» <144.

[NOTE]135 C. Ceccuti, Giovanni Spadolini. Discorsi Parlamentari, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 175.
136 Ibidem.
137 Ibidem.
138 G. Ascheri, Giovanni Spadolini: prima presidenza laica, Editalia, Roma, 1988, p. 151.
139 R. Aureli, «L’attività legislativa dei Governi Spadolini», in U. La Malfa (a cura di), Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Volume XVI, Unicopli, Milano, 2001, p. 133.
140 C. Ceccuti, Giovanni Spadolini. Discorsi Parlamentari, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 178.
141 R. Aureli, «L’attività legislativa dei Governi Spadolini», in U. La Malfa (a cura di), Annali dell’Istituto Ugo La Malfa, Volume XVI, Unicopli, Milano, 2001, p. 132.
142 Ivi, p. 131.
143 G. Ascheri, Giovanni Spadolini: prima presidenza laica, Editalia, Roma, 1988, p. 153.
144 senato.it/service/PDF/PDFServe…
Mattia Gatti, Una rilettura dei governi Spadolini nel quadro della crisi del sistema politico italiano, Tesi di Laurea, Università Luiss "Guido Carli", Anno accademico




La formazione partigiana sarebbe comunque stata pronta per dare il suo contributo finale alla liberazione dei comuni di Massarosa e Camaiore da parte del Corpo di Spedizione Brasiliano collasgarba2.altervista.org/la…