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Estate 2025, la stagione delle vongole sulla spiaggia di Jinhu – 金Chill演唱會.


Un’iniziativa culturale e turistica per valorizzare l’area di Jinhu.

La Stagione delle Vongole sulla Spiaggia di Jinhu 2025 è ufficialmente decollata con un successo straordinario! Lo scorso 20 luglio, il concerto JinChill (金Chill演唱會), tenutosi presso il caposaldo E-082B di Jinhu, ha attirato quasi diecimila spettatori entusiasti, creando un’atmosfera vivace e contagiosa che ha reso questa serata un evento memorabile.

L’energia è stata alle stelle fin dall’inizio, grazie alla brillante presentazione del DJ Yuanyuan e del carismatico Mei Xianzhi. L’apertura è stata affidata al talentuoso gruppo di danza KDC, che ha infuso ritmo e vitalità nella serata estiva. Il pubblico non ha potuto resistere: tutti ballavano e cantavano, immersi in un’atmosfera di festa che ha riempito l’aria con gioia e allegria.

Il cast di artisti presente era di tutto rispetto, anche se ai lettori italiani i nomi diranno ben poco (ma anche a me). Si sono esibiti An Yuchen, Li Jieming, Chen Xinyue, Zeng Peici, Xiao Bingzhi e Lou Junshuo / 婁峻碩, regalando al pubblico emozioni con brani che spaziavano dalle ballate delicate ai ritmi travolgenti del rock e del rap. Con le classiche trekking lite in mao, gli spettatori hanno creato un vero e proprio spettacolo di luci, rendendo il momento romantico ma al contempo carico di energia giovanile, perfetto per le calde notti di Jinhu.

Ma il JinChill non si è fermato solo alla musica! I partecipanti hanno potuto esplorare un mercatino vivace e accattivante, assaporando specialità locali tra i profumi dei piatti tipici di Kinmen, il tutto sotto un cielo stellato e una dolce brezza marina. Ogni angolo del caposaldo E-082B si è trasformato in un palcoscenico magico, pieno di luci, risate e momenti indimenticabili.

Il sindaco di Jinhu, Chen Wengu, ha sottolineato l’importanza della Stagione delle Vongole nel promuovere i temi di “mare, cultura e turismo” del distretto. Ha descritto come questo evento sia riuscito a mescolare musica, mercatini e turismo, attirando visitatori da Taiwan e oltre mare, creando così un evento culturale che celebra la bellezza di Jinhu. L’obiettivo? Lasciare un ricordo profondo e positivo della località attraverso esperienze varie: concerti, gastronomia e momenti da immortalare, condividendo il lato più “chill” dell’estate di Kinmen (io vorrei vederci una sessione DJ di Moroder…).

Inoltre, il sindaco ha evidenziato come il concerto stimoli l’economia locale e incentivi il ritorno dei giovani nel paese, augurandosi una continua crescita di questa manifestazione come brand estivo di Kinmen, aperto a tutta la comunità e ai visitatori.

Mentre il “JinChill” si è concluso in un clima festoso, la Stagione delle Vongole 2025 proseguirà con un ricco calendario di eventi nei prossimi giorni, tra cui attività interattive per famiglie, show, musica, esperienze locali e molto altro. Non mancherà la finale del concorso “Piccoli angeli delle Vongole”, invitando tutti a unirsi alle celebrazioni estive sul mare.

Il Comune di Jinhu invita calorosamente residenti e visitatori a continuare a scoprire il caposaldo E-082B, un luogo ideale per scattare foto, che normalmente ospita un’esposizione sugli uomini rana di Jinmen, come potete vedere dal link che rimanda all’articolo di questo sito riguardo al caposaldo in questione.

Va notato come il comune di Jinhu, sia piuttosto esteso, tuttavia la parte orientale è solitamente considerata poco sviluppato dal punto di vista turistico, ed anche il meno attraente per i giovani; già Jinmen non è certo Taipei (e questo non è necessariamente un male), ma l’area est di Jinhu rispetto alle altre offre meno soluzioni abitative per i turisti, meno eventi, ed è quindi poco attrattiva per i giovani. In compenso la notte è molto silenziosa… Ad ogni modo eventi come JinChill costituiscono una grande occasione sia per i locali che per i turisti per fare un po’ di baldoria insieme e respirare l’accattivante atmosfera estiva dell’arcipelago.


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‘compostxt’ e ‘ponte bianco’: post (relativamente) recenti


compostxt:

compostxt.blogspot.com/2025/07…5q

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pontebianco:

pontebianco.noblogs.org/post/2…

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103 / michele marinelli. 2025


registro, allungo, (più giovane), è ferro,

ruggine, bordo, cave canem cave me, nessuno passa, due ombre, o era una, non importa – nulla cambia se non visto –

l’ultima riga sul dorso Keine Antwort dice nulla dies sine linea ma linea spezza — 0 — 3 — 7 — nesso sintattico obbligato scrive / strappa / mastica il resto non tradotto scritto in controluce erase me corrimano Inutilis inciso sul gradino una parola in cirillico — неважно — «stop talking stop naming» cade / replay (il taglio non è profondo, è ancora aperto) in calce: mai scritto un verso. — password incorrecte — je suis l’erreur fatale numéro 8 [unread message] do not open the box

*** data corruption @ corridor_07

il bambino di stagno canta versi dalle ginocchia, chi ha rubato l’errore, ERROR 410 gone gone ATTENTION — la parola ha smesso di funzionare – nigdy się nie narodziłem awaiting signal… [riavviare il sistema nervoso centrale] <> the walls are listening le pareti sanno già le pareti mormorano i tuoi backup <> tempus sedet – press F to forget.

#micheleMarinelli #post2025


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L’unica guerra accettabile è quella dei poveri contro i ricchi.

pepsy.noblogs.org/2025/07/20/c…

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Uno degli esiti del boom della scolarizzazione è il forte divario culturale che si viene a creare tra vecchie e nuove generazioni


L’utilizzo del termine “giovani” non ha un carattere neutrale né universalmente stabilito o definito a priori. Esso – così come la categoria di classe sociale, del resto – rientra nell’ambito di quella nomenclatura di cui gli storici si avvalgono in relazione allo studio del passato, che segmentano ed etichettano per meglio dotarlo di senso e, quindi, per conferirgli la capacità di essere oggetto di narrazione. In tale orizzonte rientra anche il concetto di “generazione”, sulla cui utilità ha insistito fra gli altri lo storico Marc Bloch18, e che ha avuto notevole fortuna storiografica in anni più recenti <19.
Una ricognizione storica che voglia avvalersi della categoria di gioventù non può prescindere dal provare a darne una sia pur succinta chiarificazione, essendo la classificazione per fasce d’età suscettibile di declinazioni le più varie: non in tutte le società né in tutte le culture, in termini tanto sincronici quanto diacronici, si diventa giovani – ammesso che lo stesso concetto esista – nel medesimo istante, così come varia il raggiungimento della “maturità” e l’inizio dell’età adulta. C’è chi ha parlato di invenzione della gioventù <20, in riferimento alle trasformazioni avvenute nei paesi occidentali nel secondo dopoguerra, consistenti nell’affermazione di società affluenti, caratterizzate da un sistema di mercato improntato alla massificazione dei consumi, improntate a un sistema politico democratico basato sulla larga partecipazione della popolazione ai meccanismi di decisione politica per mezzo degli strumenti della delega e della rappresentanza. In questo contesto la dimensione giovanile acquista una specificità propria, che si esprime in termini socioculturali, nell’adozione di mode, costumi e modelli di consumo specifici, in forme particolari dell’agire politico <21.
Per convenzione le statistiche ufficiali sono solite operare le proprie ricognizioni mediante l’uso di varie disaggregazioni per classi di età, la più comune delle quali raggruppa le fasce 15-19 anni, 20-24 e 25-29, in ciò allineandosi con i principali orientamenti sociologici in termini di aggregato giovanile. Una prima definizione di gioventù può quindi darsi a partire dalla sua collocazione nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 29 anni <22, che è poi quella in cui rientrano, con qualche approssimazione, gli studenti delle scuole medie superiori e dell’università, fino ai primi anni di ingresso nel mercato del lavoro. Nel caso che qui interessa sarà inoltre opportuno coniugare alla riflessione sul soggetto giovanile la categoria di generazione, in particolare in riferimento al confronto fra i “giovani del ’68” e quelli del ’77, laddove con generazione non si indica la dimensione puramente anagrafica, ma si rimanda alla partecipazione di un gruppo di persone di età diverse (grosso modo comprese nel range individuato per la categoria di giovani, ma comprendente anche i trentenni) a un dato evento storico <23.
Nel corso degli anni settanta il riferimento ai soggetti giovanili assume toni più cupi di quelli, principalmente moralistici e denigratori, utilizzati nei confronti dei “capelloni” che acquistano visibilità pubblica nel corso del decennio precedente. Due fattori, legati fra loro, hanno nel frattempo modificato il quadro: l’aumento dei tassi di scolarizzazione e la crisi economica con il suo portato di disoccupazione, in special modo per le fasce più giovani della società. Nel periodo compreso tra l’inizio degli anni cinquanta e la metà dei settanta, per effetto dei più complessivi processi di modernizzazione che hanno investito il paese, si è difatti avuto un aumento consistente e costante delle iscrizioni agli istituti di formazione secondaria superiore (a partire da dati iniziali estremamente bassi, pari nel 1951 al 10% sul totale della popolazione con età scolastica corrispondente), anche in virtù della riforma che nel 1962 introduce la scuola media unica e eleva l’obbligo scolastico a 14 anni. Nell’arco di un ventennio il numero di iscritti praticamente quadruplica, raggiungendo il tasso del 50% sul totale della leva demografica corrispondente (vedi tabella 2).

Un tale incremento incide necessariamente anche sul tasso di immatricolazioni all’università, che cresce anch’esso in maniera cospicua dando all’istituzione caratteristiche compiutamente di massa, senza che una riforma organica ne abbia peraltro rivisto i meccanismi di funzionamento – e un discorso simile può essere fatto per il mondo della scuola -, malgrado nel corso di tutti gli anni sessanta una serie di provvedimenti legislativi intervenga sulle barriere all’accesso, liberalizzando di fatto le iscrizioni, fino a quel momento riservate nella quasi totalità dei casi a coloro che provengono dal liceo classico <25. Al giro di boa del decennio settanta le matricole sono di quattro volte superiori quelle registrate all’inizio degli anni cinquanta (vedi tabella 3).

Come si vede, il tasso di laureati rimane molto basso sul totale degli iscritti per tutto il periodo considerato (registrando anzi una flessione percentuale nell’anno accademico 1976-77): ciò dipende da una struttura accademica ancora arretrata, che non consente che al boom delle immatricolazioni corrisponda un’effettiva possibilità anche per i meno abbienti di proseguire con profitto gli studi. Inoltre, la massificazione dell’istituzione universitaria raggiunge il suo apice proprio nel momento in cui la crisi economica restringe notevolmente le possibilità di lavoro per una manodopera peraltro sempre più scolarizzata e qualificata. Notano Cavalli e Leccardi che “uno degli esiti del boom della scolarizzazione, accanto alle difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro per un numero crescente di giovani in possesso di un titolo di studio medio/superiore, è il forte divario culturale che si viene a creare tra vecchie e nuove generazioni. De Mauro, definendo «drammatico» questo divario, sottolinea come le generazioni più giovani, nel corso degli anni settanta, risultino per la prima volta nel nostro paese, «quattro, cinque volte più istruite, più colte nel senso tradizionale scolastico del termine, delle generazioni più anziane». Questi elevati livelli di istruzione, mentre tendono a creare difficoltà di comunicazione e conflitti con le figure familiari adulte, funzionano anche, in parallelo, come potente fattore di omogeneizzazione culturale del mondo giovanile” <27.
Il quadro che risulta tratteggiato dal sommarsi di disoccupazione intellettuale e non, ampio ricorso al lavoro nero e sottopagato <28 ed elevati livelli di conflittualità sociale rende la “questione giovanile” uno dei temi centrali di questi anni. Essa, nell’assumere risvolti di critica antisistema e di rivolta violenta all’ordine delle cose, accresce nei commentatori, negli analisti, nelle classi dirigenti e nelle letture politiche dei partiti di massa la percezione dell’avvento di una nuova “classe pericolosa”, da esorcizzare e convertire in “classe laboriosa” <29.

[NOTE]19 Per un’utile rassegna storiografica cfr. Francesco Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, Roma 2013, pp. 57-77 (voce «Generazioni»).
20 Vi è chi, d’altronde, retrodata le origini del fenomeno alla fine dell’Ottocento (Jon Savage, L’invenzione dei giovani, Feltrinelli, Milano 2009) o, addirittura, ai riti d’iniziazione del Cinquecento (Patrizia Dogliani, Storia dei giovani, Bruno Mondadori, Milano 2003). In questa sede, sebbene l’affacciarsi di ragazzi e ragazze sulla scena pubblica si sia realizzato in fasi diverse e anche molto più remote, si privilegia la considerazione del carattere eccezionale che riveste l’individuazione della gioventù nella seconda metà del ’900: obiettivi privilegiati del mercato di consumo, oggetto di studi e, soprattutto, di opere d’ingegno ad essi dedicate (dalla narrativa al cinema, alla musica ecc.), si può approssimativamente sostenere che i giovani inizino a riconoscersi in quanto tali in questo periodo, rivendicando – con pose, culture, stili, idiomi propri – l’appartenenza a una generazione più definita nei suoi contorni rispetto al passato.
21 Cfr. G. Crainz, Il paese mancato, cit., pp. 190-200. Cfr. inoltre S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, cit., p. 272 («Quando esibiscono la maglietta, i blue-jeans [corsivo nell’originale] e il giaccone di cuoio, i giovani diventano un gruppo, una classe, una categoria […]») e pp. 322-25 per l’aspetto culturale del fenomeno.
22 Si veda Alessandro Cavalli e Carmen Leccardi, Le culture giovanili, in F. Barbagallo et al. (progetto e direzione), Storia dell’Italia repubblicana, cit., vol. 3, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, 2. Istituzioni, politiche, culture, pp. 707-800, in particolare pp. 710-11.
23 Per un confronto fra le due generazioni cfr. A. De Bernardi, I movimenti di protesta e la lunga depressione, cit.
24 A. Cavalli e C. Leccardi, Le culture giovanili, cit., p. 714.
25 Cfr. A. Lepre, Storia della prima Repubblica, cit., p. 223. Si veda anche, per una panoramica più complessiva, Giuseppe Tognon, La politica scolastica italiana negli anni Settanta. Soltanto riforme mancate o crisi di governabilità?, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, cit., vol. 2, Fiamma Lussana e Giacomo Marramao (a cura di), Culture, nuovi soggetti, identità, pp. 61-87.
26 A. Cavalli e C. Leccardi, Le culture giovanili, cit., p. 719.
27 Ivi, p. 777.
28 L’occupazione illegale e occasionale è stimata al 13-14% della forza lavoro complessiva nel periodo considerato: i giovani costituiscono il 70% di tale fenomeno, e un terzo di essi vanta alti livelli di scolarità. Cfr. Paolo Bassi e Antonio Pilati, I giovani e la crisi degli anni Settanta, Editori Riuniti, Roma 1978, p. 33.
29 Cfr. P. Dogliani, Storia dei giovani, cit., p. 4.
Salvatore Corasaniti, Quando parla Onda Rossa. I Comitati autonomi operai e l’emittente romana alla fine degli anni settanta (1977-1980), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, Anno accademico 2017-2018

#1968 #1977 #anni #Cinquanta #generazioni #giovani #Italia #SalvatoreCorasaniti #scuola #Sessanta #Università


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La popolazione del Molise non avrebbe resistito ancora a lungo con le semplici preghiere


Il 6 ottobre [1943] la banda Porfirio assaltò sul ponte Tufillo sul Trigno «una piccola colonna vettovagliamento uccidendo due tedeschi, altri tre morti il nemico li subì a Pietracupa (Campobasso) ed un altro a Colle della Calcara (Trivento)» <4076. Il 14 ottobre, mentre gli alleati entravano a Campobasso <4077, gli uomini della Porfirio si scontrarono con pattuglie nemiche a Montagano e la sera stessa dopo che nel paese era sopraggiunta una «Compagnia Americana» che li rifornì «di mitragliatrici ed indumenti» <4078, riuscirono a respingere un assalto nemico facendo 2 prigionieri tra i tedeschi, e non riportando alcuna perdita tra le proprie fila <4079.
Al contempo la banda riuscì ad organizzare un più che valido servizio informazioni a favore degli alleati «per far bombardare autocolonne Tedesche» grazie a cui il 22 ottobre tre «Spitfire» <4080 operarono la distruzione di un grosso autocarro carico di munizioni a Montelungo <4081 ed il bombardamento di un accampamento tedesco vicino Agnone <4082 facendo parecchi morti <4083. Ancora grazie alle informazioni dei partigiani, nella relazione si riferì di due incursioni aeree alleate su postazioni tedesche: una il 18 ottobre contro «una batteria 149 Tedesca mimetizzata alla “Pinciara” del Limosano, sinistra del Biferno» causando «12 uomini fuori combattimento»; e l’altra contro «una batteria tedesca piazzata nel torrente di Fossalto di fronte al ponte sul Biferno» provocando al «nemico due morti e qualche ferito» <4084.

[NOTE]4076 Relazione del reparto partigiano Porfirio di Porfirio Giovanni del 10 settembre 1946.
4077 Cfr. Ada Trombetta, 1943 1944 …e fu guerra anche in Molise, cit., p. 116; Nicola Felice, Quando Campobasso divenne Canada Town, Arti Grafiche La Regione, Ripalimosani, 2003, p. 26; Roberto Colella, Canada Town: rapporti tra la società civile e i «liberatori», in Giovanni Cerchia (a cura di), Il Molise e la guerra totale, cit., p. 291.
4078 Secondo la dichiarazione del Partito Comunista, sezione di Trivento, del 16 ottobre 1948, «gli alleati (Americani) rifornirono la formazione di fucili automatici, bombe a mano, migliaia di cartucce e due mitragliatrici». Oltre a ciò, «da questo momento si ebbe con le forze alleate un continuo contatto per le informazioni militari-strategiche sia per l’artiglieria che per l’aviazione», ACS, Ricompart, Abruzzo, Banda Porfirio.
4079 Cfr. ivi, relazione delle attività svolte dalla banda Porfirio di Porfirio Giovanni del 27 novembre 1947. Dell’episodio riferì anche la dichiarazione del Partito Comunista, sezione di Trivento, del 16 ottobre 1948, per cui il «Porfirio prese il comando delle forze italiane ed alleate e respinsero l’attacco dopo quattro o cinque ore di combattimenti», ivi.
4080 Ibidem. Secondo la stessa dichiarazione, l’incursione dell’aviazione alleata causò cinque feriti tra i tedeschi. Inoltre si legge anche di un’azione alleata «alla Pinciara (agro di Limosano C.Basso)» in cui furono inflitti tre morti e sette feriti al nemico, e di un’altra incursione a Vivara (Trivento) «che fu fatta da due formazioni di aerei americani», ibidem.
4081 Cfr. ivi, relazione delle attività svolte dalla banda Porfirio di Porfirio Giovanni del 27 novembre 1947.
4082 Nella frazione Tre Termini del comune di Agnone.
4083 Cfr. ibidem.
4084 Ibidem.
Fabrizio Nocera, Le bande partigiane lungo la linea Gustav. Abruzzo e Molise nelle carte del Ricompart, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2017-2018

Dopo la catastrofe del 10 settembre 1943, come ricorda nel suo libro anche la scrittrice molisana, Ada Trombetta, che visse in prima persona quei tragici giorni di terrore e di disumanità, e dei quali il papà Alfredo fu bravo interprete con la sua instancabile macchina fotografica, si invocava continuamente il Signore per riportare la pace nelle terre martoriate. Anche lo scrittore isernino e poi giornalista sportivo, nel suo sopravvivere sotto le bombe, implorò la salvezza attraverso la preghiera: “…Te solo invocammo, mentre i vivi morivano ed i morituri sopravvivevano. E Tu solo confortasti le agonie, Tu solo soccorresti le rinascite”. (A. Trombetta, 1943-1944… e fu guerra anche nel Molise, Editrice Arti Grafiche «La Regione», Campobasso, 1993, p. 44). Non bastavano più le preghiere esistenti, ne vennero coniate anche delle altre. Sulle pressioni perseveranti della Chiesa che chiedeva ai fedeli di recitare, in ogni momento del giorno e della notte, le preghiere e il Santo Rosario, perché solo così sarebbe tornata la pace, si improvvisano continue invocazioni ogni giorno per richiamare l’attenzione di ogni tipo di Santo, così come racconta anche l’autore Roberto Violi nel suo libro “Religiosità e identità collettive”. “La Preghiera della madre alla Vergine dell’Arco per il figlio soldato contiene – scrive Violi – l’invocazione che si affretti il trionfo della patria ed è incentrata sul tormento di un cuore materno che chiede soprattutto che il proprio figlio esca indenne da ogni pericolo, affinché, compiuto il proprio dovere, possa presto tornare a casa. La Preghiera alla Vergine dell’Arco per i soldati esalta l’esposizione eroica ai pericoli e ai nemici, da cui i soldati vanno protetti, chiede che ogni soldato sia un eroe, che ogni battaglia sia vinta e ogni combattimento risulti un trionfo, ma che tutti possano ritornare. I caduti siano dalla Vergine assistiti e sia dato conforto, anche in questo caso, a madri, padri, spose e figli che vivono nella trepidazione. La Preghiera del soldato alla Vergine dell’Arco, infine, chiede forza per combattere per la propria bella patria e insiste sull’assistenza della Vergine nel dolore e nella morte, invocando per i familiari speranza o rassegnazione ai voleri divini e orgoglio di aver dato il sangue di un congiunto all’Italia” (R. Violi, Religiosità e identità collettive. I santuari del Sud tra fascismo, guerra e democrazia, Studium, Roma, 1996, pp. 103-104).
Ma la preghiera quanto poteva essere efficace contro le armi?
[…] i sacerdoti invocavano più amore per le stesse chiese chiamando i fedeli ad incontrarsi in quei luoghi sacri e spesso chiedendo anche offerte per la loro ristrutturazione e il loro sostentamento, non senza rimarcare, a sostegno del popolo, la funzione altamente sociale che ogni parrocchia rivestiva. Un esempio si ha con il Convento di San Giovanni a Campobasso. Durante l’occupazione anglo-americana era vietato costituire libere associazioni e i coltivatori diretti del Molise furono appoggiati, nelle loro azioni, dal Padre Superiore del Convento, che concesse loro i locali della chiesa per le proprie assemblee. Mentre chi doveva difendere veramente i lavoratori, come in questo caso doveva fare l’Unione Provinciale Fascista, se ne lavò le mani, come risulta evidente dalla documentazione in nostro possesso a denuncia del questore di Campobasso che rimprovera lo scarso interesse nei confronti
del settore agricolo per il quale ci doveva essere un’attenzione superiore rispetto al resto, essendo l’agricoltura, per i molisani, la principale fonte di sostentamento
[…] La guerra, difatti, modificò fortemente gli uomini intaccando ogni sfera della loro vita, sia nel privato che nel sociale. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e tutti gli anni di durata del conflitto determinarono lo sconcerto delle attività ordinarie ed uno stato di forte depressione morale, economica e spirituale reiterato nel tempo […]
In poche righe, nei pensieri e nelle sensazioni di chi visse in prima persona un tormento, come quello che suscita una guerra, è possibile, oggi, incontrare e captare situazioni contrastanti, in un tutt’uno. Leggere e scoprire, adesso, quelle testimonianze, lasciateci dai nostri predecessori, quelli che, malamente, a loro spese hanno dovuto convivere con gli avvenimenti bellici e mortali della Seconda Guerra Mondiale, sacrificando la propria vita o quella dei propri cari, fa capire, ancor di più il desiderio di pace che si diffondeva negli animi di tutti e la voglia di pregare e di credere in qualcosa di molto più grande <11
[…] Dal canto loro, i sacerdoti della Diocesi di Campobasso – Bojano invocavano ripetutamente e negli anni, con continui ringraziamenti pubblici, la Madonna del Monte, che, dall’alto dei suoi monti, vigilava su Campobasso, per aver salvato la città dalle distruzioni belliche che erano state progettate proprio per radere al suolo la cittadina <12.
[…] A distanza di alcuni mesi, entrati nel nuovo anno, siamo nel 1945, l’Italia era ancora in guerra e la situazione continuava ad essere grave. Il tempo sembrava essersi fermato e le situazioni si ripetevano, inverosimilmente, allo stesso modo, con sconforto, paura, amarezza per il futuro e per una pace che tardava ad arrivare nonostante si pregasse, nonostante si seguissero tutte le invocazione della Chiesa nel rispetto di Gesù Cristo e della fede cristiana
[…] La religione, in questo momento, non poteva però limitarsi ad essere solo dispensatrice di rassegnazioni e di conforto ma doveva saper offrire proposte, riscuotere consensi e promuovere impegni concreti nei confronti della popolazione che non avrebbe resistito ancora a lungo con le semplici preghiere sperando di ricevere la grazia della pace che avrebbe sancito la fine del conflitto.

[NOTE]11 Libro Cronistorico del Convento S. Cuore di Campobasso, Oggetto: Chiusura dell’anno 1943-1944.
12 Libro Cronistorico del Convento S. Cuore di Campobasso, Oggetto: Festa della Madonna del Monte, 28-31 maggio 1944.
Marcella Tamburello, La Guerra e la Chiesa, le armi e le preghiere: come il Molise visse la Seconda Guerra Mondiale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, Anno Accademico 2011-2012

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gaza, esami


Eliana Riva: facebook.com/share/1FQ8UVuTUg/

Ieri a Gaza centinaia di studenti hanno sostenuto gli esami di maturità, i primi dall’inizio dell’attacco israeliano alla Striscia. Nelle tende attrezzate, nei punti internet o nei caffè con connessione, ragazzi e ragazze hanno percorso anche chilometri, tra le macerie e le bombe, per provare a riprendersi il proprio futuro.

https://ilmanifesto.it/esami-fra-le-rovine-la-prima-maturita-a-gaza-dal-7-ottobre

Nonostante migliaia di studenti vivano da sfollati nelle classi scolastiche in cui avrebbero dovuto seguire le lezioni, in 1.500 si sono iscritti alla piattaforma tramite computer o applicazione per smartphone. Prima dei bombardamenti a Gaza erano circa 40mila a completare ogni anno gli esami finali per garantirsi l’accesso all’università.

Israele ha distrutto il 95 per cento delle infrastrutture educative nella Striscia.

#ElianaRiva #esami #esamiDiMaturità #Gaza #genocidio #ilManifesto #maturità #scuola

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Risultati UFC 318: Holloway vs. Poirier 3 (con Marvin Vettori vs Brendan Allen)


UFC 318: Holloway vs. Poirier 3 è un evento di MMA organizzato da UFC il 19 luglio 2025 presso lo Smoothie King Center di New Orleans, Louisiana, Stati Uniti. L’evento segna il ritorno della promozione nella città dopo oltre dieci anni, dall’ultima visita

UFC 318: Holloway vs. Poirier 3 è un evento di MMA organizzato da UFC il 19 luglio 2025 presso lo Smoothie King Center di New Orleans, Louisiana, Stati Uniti. L’evento segna il ritorno della promozione nella città dopo oltre dieci anni, dall’ultima visita con UFC Fight Night: Boetsch vs. Henderson nel giugno 2015.

Vettori vs Allen prometteva scintille e così è stato. Match della serata, un risultato (30-27) che non racconta quanto vicino sia stato il risultato. Io da fan non commento, ma anche negli USA sono tutti concordi nel dire che Marvin ha vinto qualche round.

Come è andato l’ultimo match di Marvin Vettori (UFC 318)?


Brendan Allen vince su Marvin Vettori per decisione unanime (30–27, 30–27, 29–28) – bonus match della serata


Main card


  • Max Holloway vince su Dustin Poirier per decisione unanime (48–47, 49–46, 49–46) — incontro pesi leggeri
  • Paulo Costa vince su Roman Kopylov per decisione unanime (30–27, 30–27, 29–28) — incontro pesi medi
  • Daniel Rodriguez vince su Kevin Holland per decisione unanime (29–28, 29–28, 29–28) — incontro pesi welter
  • Patrício Pitbull vince su Dan Ige per decisione unanime (29–28, 29–28, 29–28) — incontro pesi piuma
  • Michael Johnson vince su Daniel Zellhuber per decisione unanime (29–28, 29–28, 29–28) — incontro pesi leggeri

Preliminary card


  • Vinicius Oliveira vince su Kyler Phillips per decisione unanime (29–28, 29–28, 29–28) — incontro pesi gallo
  • Brendan Allen vince su Marvin Vettori per decisione unanime (30–27, 30–27, 29–28) — incontro pesi medi
  • Nikolay Veretennikov vince su Francisco Prado per decisione non unanime (28–29, 29–28, 29–28) — incontro pesi welter
  • Ateba Abega Gautier vince su Robert Valentin per TKO (pugni) al minuto 1:10 del Round 1 — incontro pesi medi

Early prelims


  • Islam Dulatov vince su Adam Fugitt per KO (pugni) al minuto 4:06 del Round 1 — incontro pesi welter
  • Jimmy Crute finalizza Marcin Prachnio al minuto 4:41 del Round 1 — incontro pesi massimi-leggeri
  • Ryan Spann finalizza ?ukasz Brzeski al minuto 2:37 del Round 1 — incontro pesi massimi
  • Brunno Ferreira finalizza Jackson McVey al minuto 3:35 del Round 1 — incontro pesi medi
  • Carli Judice vince su Nicolle Caliari per TKO (ginocchiata e pugni) al minuto 1:30 del Round 3 — incontro pesi mosca femminili


Bonus serata


  • Performance della serata: Ateba Abega Gautier, Islam Dulatov, Carli Judice
  • Fight of the Night: Brendan Allen vs. Marvin Vettori

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103 / michele marinelli. 2025


registro, allungo, (più giovane), è ferro,

ruggine, bordo, cave canem cave me, nessuno passa, due ombre, o era una, non importa – nulla cambia se non visto –

l’ultima riga sul dorso Keine Antwort dice nulla dies sine linea ma linea spezza — 0 — 3 — 7 — nesso sintattico obbligato scrive / strappa / mastica il resto non tradotto scritto in controluce erase me corrimano Inutilis inciso sul gradino una parola in cirillico — неважно — «stop talking stop naming» cade / replay (il taglio non è profondo, è ancora aperto) in calce: mai scritto un verso. — password incorrecte — je suis l’erreur fatale numéro 8 [unread message] do not open the box

*** data corruption @ corridor_07

il bambino di stagno canta versi dalle ginocchia, chi ha rubato l’errore, ERROR 410 gone gone ATTENTION — la parola ha smesso di funzionare – nigdy się nie narodziłem awaiting signal… [riavviare il sistema nervoso centrale] <> the walls are listening le pareti sanno già le pareti mormorano i tuoi backup <> tempus sedet – press F to forget.

#micheleMarinelli #post2025


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brazil will join the genocide case brought by south africa against israel at the icj


“In a significant diplomatic escalation, Brazil has announced its intention to join the genocide case brought by South Africa against Israel at the International Court of Justice (ICJ), becoming the sixth Latin American nation to do so. The move reflects growing international concern over the humanitarian crisis in Gaza—and Latin America’s increasingly assertive voice on the global stage.
In comments reported by Brazilian media, Foreign Minister Mauro Vieira stated that “Brazil is currently working to complete the necessary procedures to join the case, and an official announcement will be made soon.” He emphasised that Brazil had, for months, worked to push for a peaceful settlement and a ceasefire in Gaza, but the continued escalation of violence has prompted the Lula government to take a more definitive legal stance.”

Read the full article here: middleeastmonitor.com/20250719…

#bambini #Brasile #Brazil #children #colonialism #Gaza #genocide #genocidio #ICC #icj #IDF #InternationalCourtOfJustice #invasion #IOF #israelcriminalstate #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #Lula #massacri #MauroVieira #Palestina #Palestine #sionismo #sionisti #SouthAfrica #starvingcivilians #starvingpeople #warcrimes #zionism

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ig, nel caso


chi non volesse usare telegram o whatsapp per tenersi aggiornato su quello che fanno i miei vari spazi (a partire da slowforward), può ripiegare su ig: instagram.com/channel/AbbgJ-8r…

#gammm #Instagram #slowforward #Telegram #whatsapp

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Le BR si affermarono sulla scena proprio alla Pirelli, a Milano


Per conoscere la genesi delle Brigate Rosse «è indispensabile rivolgere alla facoltà di sociologia di Trento, dove crebbero politicamente e si imposero come quadri dirigenti Margherita Cagol e Renato Curcio, una particolare attenzione. Non solo perché il carattere di questa città può spiegare l’origine della cosiddetta componente cattolica delle BR (troppe volte ricordata, e spesso a sproposito), ma soprattutto perché il Movimento studentesco di Trento per le sue correlazioni con le lotte analoghe in altri paesi europei e per il suo carattere fortemente anticipatorio, rimane esemplare per tutto il movimento studentesco italiano» (Soccorso Rosso 1976, p. 26).
Le lotte studentesche del ’68 «producono come primo effetto il diffondersi in fabbrica di nuove forme di lotta, violente e illegali» (Soccorso Rosso 1976, p. 35). A partire dal ’69, si assiste alla nascita di numerosi gruppi, partiti o collettivi che si pongono il problema dell’organizzazione. Uno di questi è il Collettivo Politico Metropolitano (CPM) nato a Milano e formato dal CUB Pirelli, dai gruppi di studio di Sit-Siemens e IBM, da alcuni collettivi di lavoratori-studenti, da gruppi di lavoratori provenienti dall’Alfa Romeo, dalla Marelli, da militanti del Movimento studentesco e, infine, da militanti senza un organizzazione di riferimento (Soccorso Rosso 1976).
È proprio il CPM che costituirà il nucleo iniziale da cui, attraverso varie trasformazioni, nasceranno e si svilupperanno le Brigate Rosse. L’obiettivo del CPM è l’abbattimento violento del sistema; la rivoluzione. Secondo il Collettivo, il processo rivoluzionario si presenta come «globale, politico e “culturale” insieme» <6 e il terreno della lotta è «essenzialmente urbano». Nel documento si legge: «la città è oggi il cuore del sistema, il centro organizzatore dello sfruttamento economico-politico, la vetrina in cui viene esposto “il punto più alto”, il modello che dovrebbe motivare l’integrazione proletaria. Ma è anche il punto più debole del sistema: dove le contraddizioni appaiono più acute, dove il caos organizzato che caratterizza la società tardo-capitalistica, appare più evidente. È qui, nel suo cuore, che il sistema va colpito. La città deve diventare per l’avversario, per gli uomini che esercitano oggi un potere sempre più ostile ed estraneo all’interesse delle masse, un terreno infido: ogni loro gesto può essere controllato, ogni arbitrio denunciato, ogni collusione tra potere economico e potere politico messa allo scoperto. Il sistema può opporre soltanto il peso della sua oppressione, dei suoi ricatti, della sua corruzione. Con queste armi nessun sistema è mai riuscito a sopravvivere» <7.
La storia della principale organizzazione politica clandestina italiana – scrivono Gian Carlo Caselli e Donatella Della Porta (1990) – «affonda le sue radici nel movimento degli studenti del 1968 e nell’autunno caldo del 1969» e ne ha influenzato la struttura, l’azione e le scelte strategiche. Le Brigate Rosse non nascono da subito come gruppo armato strutturato, ma lo diventano nel corso degli anni e in risposta all’intensificarsi dello scontro con lo stato e le forze dell’ordine. È per tale ragione che, in questa sede, la ricostruzione dei mutamenti e delle evoluzioni strutturali nonché delle strategie d’azione via via adottate, avverrà parallelamente all’analisi del percorso storico dell’organizzazione.

[NOTE]6 “Il Collettivo”, n. unico, gennaio 1970, documenti del “Collettivo”, Lotta sociale e organizzazione nella metropoli
7 Ibidem
Santina Musolino, Donne e Violenza Politica: il caso delle Brigate Rosse in Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi “Roma Tre”, 2016

Nel novembre del 1969, in una riunione del collettivo a Chiavari, e successivamente con l’incontro a Costaferrata (frazione di Pecorile nei pressi di Reggio Emilia) nell’agosto 1970, si posero le basi per la creazione dell’organizzazione armata delle Brigate Rosse: più che una riunione con intenti programmatici, quello di Pecorile è una assemblea che pone in nuce il passaggio dalle spranghe, dei servizi d’ordine dei nuclei collettivi di fabbrica, alle armi da fuoco di un nucleo ben organizzato, capace di intervenire in varie città, lì dove lo scontro avesse richiesto una presenza dura. <9 Questi nuclei dovevano operare su un piano di semiclandestinità in alcune delle più importanti aziende milanesi come Pirelli, Siemens, Marelli ecc. <10 Si trattava di avanguardie armate in grado di coniugare la politica con la guerra rivoluzionaria, ovvero di preparare e sostenere una guerra politica e civile di lunga durata. <11 Donatella Della Porta sottolinea come le BR si affermarono sulla scena proprio alla Pirelli, a Milano, dove lotte operaie e studentesche agivano a più stretto contatto, sfociando spesso in episodi di violenza. <12 Sarebbe stato proprio questo uso della violenza, quindi, a indirizzare la futura attività delle BR.
La città di Milano giocò poi un ruolo fondamentale nella nascita delle BR, anche in quanto città simbolo del nuovo capitalismo alienante. In questa città, che Margherita Cagol paragonava a un “mostro feroce” <13 e Mario Moretti a un “orribile termitaio” <14, l’individuo, soprattutto se proveniente da diverse realtà italiane, si ritrovava completamente straniato e isolato, perdendo ogni suo punto di riferimento.
Il panorama della violenza terroristica in Italia fu dominato senz’altro dai gruppi di estrema sinistra, e in particolare dalle BR, che fecero la loro comparsa nel 1970 facendo esplodere dei bidoni di benzina contro il box del direttore della Sit Siemens. Precedenti all’azione delle BR furono però alcune organizzazioni di sinistra come il Gruppo XXII Ottobre, il primo gruppo armato genovese, fondato nel 1969 da alcuni militanti di formazione marxista leninista, e i Gruppi di azione partigiana di Feltrinelli (che comparirono nel 1970 e si presentarono come delle specie di avanguardie autonome rispetto ai movimenti di massa internazionali). C’erano poi i NAP (Nuclei Armati Proletari), separatisi da Lotta Continua quando questa rinunciò definitivamente al ricorso alla violenza, e Autop (Autonomia Operaia), un’organizzazione la cui mira era quella di guidare una globale sollevazione della classe operaia. <15
In questo periodo le azioni brigatiste non furono particolarmente violente, ma nel 1972 si giunse, con un’escalation di violenza che porterà dal sequestro e all’omicidio a un definitivo punto di rottura con movimenti sessantottini. Tale rottura coincise con il rapimento del dirigente Sit Siemens Macchiarini, e soprattutto con la decisione di entrare in clandestinità. Questa condizione di illegalità e di forzata segretezza portò i militanti delle Brigate Rosse a estraniarsi sempre più dalla realtà e a perdere ogni possibilità di dialogo e di confronto con quella classe che pretendevano di rappresentare. <16
La “missione” delle Brigate Rosse divenne sempre più un fatto quasi trascendentale, una sorta di vocazione che andava al di là dei singoli individui e dei singoli scontri sociali, e pertanto il fine cominciò tragicamente a giustificare i mezzi. <17 Da notare è però come, per un certo periodo, l’azione punitiva delle BR fu vista quasi con favore da grosse porzioni dell’opinione pubblica, e questo fatto non fece altro che render ancor più legittimo, agli occhi dei brigatisti, il nuovo ruolo che si proponevano di assumere. L’organizzazione brigatista era passata, infatti, a mostrare un volto del tutto differente rispetto agli inizi, spostandosi da una linea difensiva a una aggressivamente offensiva. Le BR non si limitavano più a una semplice reazione nei confronti dello Stato, ma miravano ora a sostituirsi a esso.
E’ l’inizio della lotta armata. E’ l’inizio della “violenza rivoluzionaria” cioè di quella pratica organizzata armata necessaria, sistematica e continua dello scontro di classe. <18 Cominciava l’attacco al cuore dello Stato che durerà oltre 10 anni. <19
“Il movimento operaio, che si sta sviluppando nelle grandi fabbriche, manifesta un bisogno tutto politico di potere: la lotta contro l’organizzazione del lavoro, il cottimo, i ritmi, i “capi”. Per questo si muove al di fuori delle strutture tradizionali del movimento operaio, come sono il PCI e i sindacati. Il bisogno di potere lo porterà inevitabilmente a uno scontro violento con le istituzioni, anche con il PCI e il sindacato. È indispensabile quindi formare una avanguardia interna a questo movimento che possa rappresentare e costruire questa prospettiva di potere. Ma questa avanguardia deve sapere unire la “politica” con la “guerra” perché lo Stato moderno, per affermare il suo potere, usa contemporaneamente la “politica” e la “guerra”. Diventa quindi inattuale e non proponibile la strategia leninista dell’insurrezione che presuppone una fase politica di agitazione e propaganda sostanzialmente pacifica, seguita poi dalla “spallata finale”, dell’“ora X”, cioè dalla fase propriamente militare. Occorre invece preparare la “guerra civile di lunga durata” in cui il “politico” è, da subito, strettamente unito al “militare”. È Milano, la grande metropoli, vetrina dell’impero, centro dei movimenti più maturi, la nostra giungla. Da lì e da ora bisogna partire” <20 Le parole di Renato Curcio evidenziano il pathos di quella visione intima e politica delle BR e la mission del brigatista come artefice di quella trasformazione radicale sociale, di rivolgimento dalle fondamenta che porterà gli uomini ad essere liberi da ogni forma di sofferenza e di infelicità, attraverso una serie di battaglie che si concretizzeranno in una continua lotta armata, in una rivoluzione sociale per costruire una società comunista. <21
A sottolineare questo natura apocalittica dell’azione delle BR sulla società sono le parole della brigatista Barbara Graglia, la quale afferma che la lotta portata avanti dai brigatisti trova giustificazione nel riscatto dell’umanità, in una rivoluzione gnostica che anela un mondo assolutamente perfetto privo di ingiustizie sociali tipiche di quella società borghese e capitalistica <22: “I problemi sono a monte, come si diceva in quegli anni, ed è a monte che bisogna risolverli, l’idea di lottare per una trasformazione della società è per me immediatamente idea di trasformazione radicale, di rivolgimento dalle fondamenta”. <23
Dagli interventi del convegno di Pecorile emergono tre anime: la prima, più movimentista, privilegia lo scontro di massa su larga scala, tutto interno al movimento e senza una guida organizzata; la seconda, sponsorizzata da Curcio, e che risulterà vincente, ipotizza un graduale passaggio alla resistenza armata a partire dalle fabbriche, attraverso nuclei ristretti ma sempre collegati con la massa e le realtà di base; la terza prevede un’ulteriore, immediata militarizzazione dei gruppi che prelude alla clandestinità, anche rompendo i rapporti col movimento.
Renato Curcio, Alberto Franceschini, Margherita Cagol, Mario Moretti, Mario Galesi, Nadia Desdemona Lioce, Barbara Graglia e molti altri furono l’anima di questa organizzazione animata da una feroce determinazione ideologica e da una azione politica violenta ed omicida che si basa su un processo socio-psicologico che spoglia la vittima della sua umanità e che trasforma il carnefice in un giustiziere collettivo e che vede nell’azione della lotta armata la liberazione della società schiava di dinamiche neocapitalistiche. Questa azione, oltre a dare alla violenza una dignità ermeneutica, conoscitiva, la legittima sul piano morale in quanto dà un senso a tutta una serie di sofferenze dell’individuo; perché la scelta della lotta armata diventa lo strumento di trasformazione sociale in un processo educativo, pedagogico dell’intolleranza del nemico. Questo gruppo scelse la lotta armata pensando che il sacrificio di vite umane possa servire a salvarne molte altre, inscrivendo le ingiustizie della società ad un sistema che utilizza l’uso della lotta armata continua nella contrattazione politica, venendolo quasi “umanizzato”. La violenza, dunque assume un ruolo centrale da coincidere con la politica stessa.

[NOTE]9 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario, Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, n. 26 p.31.
10 CLEMENTI M., Storia delle brigate rosse, Odradek, Roma, 2007, p. 18 ss.
11 Ibidem
12 DELLA PORTA D., Il terrorismo di sinistra, cit. in ROBERT LUMLEY, Dal ’68 agli anni di piombo pag. 268
13 Lettera di Mara Cagol alla madre (cit. in ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse, Rubettino, Catanzaro 2009, pag. 28.
14 MARIO MORETTI, Brigate rosse. Una storia italiana, cit. in ALESSANDRO ORSINI, Anatomia delle Brigate Rosse op. cit., p. 161.
15 CECI G. M., Il terrorismo italiano Carocci, Roma 2013, pp 145 147 e COLARIZI S., Storia politica della Repubblica. Partiti, movimenti e istituzioni. 1943-2006. Ed. Laterza, Roma Bari, 2007, pp. 210-213.
16 MANCONI L., Terroristi italiani. Le brigate rosse e la guerra totale 1970 2008 Rizzoli, Milano, 2008, p. 67.
17 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario, Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, p.23 e ss.
18 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario op. cit., p.31 e ss.
19 FRITTOLI E., Agosto 1970: l’alba delle Brigate Rosse, Rivista settimanale, Panorama/lifestyle, Milano, 27 agosto 2015.
20 Lo scopo del Convegno appare chiaro fin dall’intervento introduttivo di Renato Curcio in CURCIO R., A viso aperto intervista di Mario Scialoja, Mondatori, Milano, 1993, p. 33 34.
21 ORSINI A., Anatomia delle Brigate Rosse. Le radici ideologiche del terrorismo rivoluzionario Rubbettino, Catanzaro (Soveria Mannelli), 2010, p.14.
22 Ibidem p. 13.
23 Ibidem nota 18 p.14.
Camilla Ranieri, Cause che hanno determinato la sconfitta del terrorismo delle Brigate rosse, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2022-2023

#1969 #1970 #1972 #armata #BR #BrigateRosse #CamillaRanieri #clandestinità #CPM #DonatellaDellaPorta #fabbriche #facoltà #lotta #milano #opeari #SantinaMusolino #sociologia #Trento


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pignaggio grafico non ufficialmente concesso (non esiste emoji della pigna…)


La settimana scorsa (che sento come fosse l’altro giorno, e infatti stavo per dire così… ops?), quando cercavo di mettere in fretta Pignio online, e quindi non c’era il tempo di creare un’icona vera (anche se comunque poi sarebbe servita), cercavo almeno l’emoji della pigna, da usare come finta favicon, come faccio sempre… e ho scoperto che non esiste. Eppure giurerei su qualsiasi cosa che io me la ricordo benissimo, e negli stili di diversi vendor per giunta… ma no, è un’allucinazione della mia memoria, a quanto pare. 😱😨

Se non fosse una battuta scontata, direi che ci sono rimasta completamente di pigna… ma qui non c’è nulla da scherzare in realtà; questa cosa è una fottuta tragedia!!! E, come sempre, non so se gioire di non essere sola a soffrire, oppure se concludere che la situazione è ancora più grave di quanto mi aspettassi, ma sembra proprio che io non sia la sola a fare i conti con questa triste realtà. Magari farò un danno anche alla vostra integrità spirituale con questo post, chissà. 💔

Comunque, per quanto sempre in fretta e furia perché io non ho pazienza, alla fine l’icona per la app l’ho fatta e… caspita se sarebbe stata meglio la pigna. Ho chiesto a gipiti di fare una cosa, e (…dopo 3 passaggi) ok… ma mi sa che poi, con le mie modifiche manuali, concesse dalle mie smisurate competenze in bitmap editing, l’ho peggiorata. A parte spostare il colore leggermente su un magenta, ho tolto lo sfondo quadrato e reso quindi l’icona trasparente… ma mi sa che non è troppo il caso, tra contrasto potenzialmente basso su sfondi diversi e forma della pigna che così sembra troppo alta. 😩
Icona generata da ChatGPT a confronto con la mia versione modificata in produzione
Vabbé, per ora questa qui la considererò temporanea, che comunque è meglio di niente… però mah, mi sa che vorrei qualcosa di più texturato… Tipo, cosa accadrebbe se questa emoji della pigna (?!?!?!) in PNG, non ufficiale (…uffa), che un po’ ricorda lo stile grafico di Haiku, si fondesse con una puntina, come già succede nel design attuale? (E, forse forse, una pigna che non è color pigna è una pigna marcia, quindi mi sa che ‘ste tinte rosse manco vanno bene…) 🍂

#design #EffettoMandela #emoji #icon #icona #MandelaEffect #pigna #Pignio #pinecone


Pignio pignatico si rende superpignastico per pignare cose e cosine


L’altro giorno mi è venuta l’idea pazza che più pazza non si può etc etc… solito andazzo. Ma, per quanto l’andazzo sia sempre lo stesso del cazzo, il risultato delle mie macchinazioni è anche stavolta originale, e la primissima versione utilizzabile di esso è già in produzione da ieri sera. Occhi aperti sul nuovissimo gnammifico pezzo di software che è Pignio.octt.eu.org!!! (Che per poco non rischiava di chiamarsi Octterest…) 💣💫💥
Schermata home della app, che mostra i pin più recenti da tutti gli utenti in vista mattoneria
Questo coso spunta fuori dal fatto che, negli ultimi tempi, stava uscendo sempre più la necessità per me di avere un merdino per salvare ed organizzare elementi come link singoli o file multimediali, anche e soprattutto al volo, e potenzialmente renderli accessibili al pubblico… non so: memini, reference, cose da stampare, forse roba PDF file, tutto sotto il mio controllo a prova di sparizione. Ovviamente, una cartella con varie sottocartelle (magari sincronizzata su una repo Git pubblica), che in altri casi sarebbe l’opzione più ovvia, nel complesso qui non va bene, perché l’agilità va a farsi benedire… ma, io sono pur sempre una ragazza magica, dunque non devo accontentarmi delle soluzioni esistenti!!! 😍

In effetti, di software specializzati per salvare cose ce ne sono a bizzeffe… ne hosto io stessa da anni uno per link e articoli dal web, Shiori… però, non so, manca in tutti quella cosa in più per questo caso d’uso… Tra cui, il fatto che è bello facile a salvare elementi singoli dentro tutti quei robi, ma se io ipoteticamente (…e praticamente) avessi cartelle già piene di roba sul PC, che stracavolo dovrei fare? Quindi, beh, semplicemente ho progettato Pignio per operare direttamente sul file system, pescando e salvando sia file che metadati da e su file nella cartella del server, e ho fuso insieme quei due universi che mai devono toccarsi, rispettivamente della banalità informatica e dell’alta informaticain altre parole, è flat-file, e sono negativamente stupita del fatto che non esista alcun altro software lato server per questo scopo qui ma con questa caratteristica. 🤥

Ora è davvero nelle fasi iniziali, e funziona bene… bisognerà vedere poi quanto regge, soprattutto con decine o centinaia di migliaia di file multimediali da trovare sul disco, con altrettanti file INI messi affianco da cui vengono letti i metadati (e quanto sarà l’overhead sul disco avendo tutti questi file da poche centinaia di byte ciascuno), ma la struttura del file system (per gli elementi creati dalla app stessa, identificati da un ID Snowflake, non i file tirati da fuori) penso di averla architettata bene. Sarà davvero la prova definitiva per l’architettura flat-file, se davvero finisco per riempire il sistema con questo passo… ma, in compenso, una repo Git sarà perfetta per fare il backup di tali questi miei preziosi dati (cosiddetto “mio tessoro“), non avendo blob di database. 🤤

Lo stile dell’interfaccia, e a breve anche il sistema di raggruppamento di elementi in collezioni, vabbé, l’ho copiato spudoratamente da Pinterest, e mi sembra ben ovvio… ma, differenza di Pinterest, Pignio ha vantaggi molto tosti… in primis è mio, quindi posso sistemarlo per non avere tutti i bug di merda (Pinterest ne ha infiniti!), poi è self-hostabile, quindi i dati sono già sempre fisicamente in mano a me; e, in più, funziona senza JavaScript, e quindi anche su browser vecchi (pur se con un layout mezzo rotto su quelli, per via del framework che ho usato, UIKit)… figurarsi se io trascuravo proprio una cosa del genere. 😤

Il lavoro da fare è ancora tantino però (e te pareva), perché, a parte le collezioni, ci sono cose solo da sistemare. Cose piccole, come l’importazione automatica di elementi da feed RSS esterni (…ed implementare i feed della roba dalla app stessa)… ma poi anche cose grosse ma assolutamente necessarie, come avere un OCR automatico sulle immagini, o più in generale il riconoscimento dei contenuti per fare tagging automatico, così da ottimizzare la ricerca e potenzialmente avere un algoritmo di suggerimento utile in un’istanza con più utenti. A proposito… ancora non ho nemmeno finito di implementare i permessi per gli utenti, quindi non posso invitare ancora nessuno a provare la mia istanza… però, ho reso pubblico il codice già da ieri (nonostante inizialmente pensavo di aspettare un po’, perché potrei cambiare alcune cose della struttura dati… ma francamente non freca): gitlab.com/octospacc/Pignio. GODETE!!! 😈😳

#Dev #FlatFile #media #Pignio #Pinterest #selfhost #sviluppo #webapp #webdev


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in reply to minioctt

sono stata pignata dalle mie stesse ambizioni…


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napoli centrale, 1975


youtube.com/playlist?list=PL2M…

#JamesSenese #music #musicA_ #NapoliCentrale

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La borsa bruciacchiata di Paolo Borsellino


Il 30 giugno, con una solenne cerimonia alla presenza delle più alte cariche dello Stato, è stata esposta in una teca del Transatlantico del Parlamento italiano la borsa bruciacchiata del giudice Paolo Borsellino. Vi rimarrà fino al 30 ottobre.

Viene da chiedersi il senso di questa esposizione, considerando che sulla strage di via D’Amelio si naviga ancora a vista: a oltre trent’anni […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/19/la-b…

#agendaRossa #GiovanniTinebra #LaBarbera #PaoloBorsellino #strageDiViaDAmelio


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Ma la stampa resistenziale savonese contava altresì su un certo numero di testate di carattere più limitato e settoriale


Un lettera indirizzata dal Centro alla Federazione Comunista di Savona il 2 gennaio 1945. Fonte: Fondazione Gramsci

Fu proprio all’inizio di aprile [1945] che il locale Comando di Sottozona [Savona] ricevette finalmente la qualifica ufficiale di Comando di Zona <1, pur avendone svolto tutte le mansioni fin dall’estate precedente. Ormai forte dell’appoggio di decine di volontari giovani e meno giovani tra cui molte donne, l’organismo che da mesi guidava la Resistenza in gran parte della provincia in un primo tempo aveva reso conto del proprio operato alla Delegazione ligure delle Brigate d’Assalto Garibaldi, poi, quando la situazione politica fu meglio definita, al CLN provinciale e al relativo Comitato militare <2. In aprile alla testa del Comando della Seconda Zona ligure si trovava il colonnello “Carlo Testa” (Rosario Zinnari), che aveva “Penna” (Guido Caruzzo, destinato a sostituire “Enrico” al comando della divisione “Bevilacqua”) quale vice; commissario era “Marcello” (Vincenzo Mistrangelo) poi rimpiazzato da “Renna” (Armando Botta), proveniente dalla “Bevilacqua”, in contemporanea con la sostituzione del comandante “Enrico”; capo di stato maggiore era “Ernesto” (Edoardo Zerbino) ed intendente l’abile “Tullio” (Federico Torresan), che grazie all’aiuto di numerosi collaboratori era stato in grado di far pervenire qualcosa ai partigiani anche nei momenti più neri. Tra gli ispettori del Comando di Zona spiccava il nome di Giovanni Gilardi “Andrea” ❤, che dopo lo scioglimento formale (31 marzo) della Delegazione ligure delle Brigate Garibaldi in seguito al riconoscimento del Corpo Volontari della Libertà quale esercito unitario della Resistenza <4 rappresentava gli occhi e le orecchie del PCI a Savona.
Sempre in aprile il CLN, che aveva molto patito a causa degli arresti di Speranza, Bruzzone e Allegri, era composto dall’avv. Arnaldo Pessano per il Partito Repubblicano, dal dott. Leopoldo Fabretti per la DC, dal dott. Emilio Lagorio per il PCI, da Giovanni Clerico per il PSIUP, Erodiade Polano per il Partito d’Azione ed Ercole Luciano per il Partito Liberale. Il repubblicano Antonio Zauli manteneva come sempre la carica di segretario <5.
Quanto alla divisione SAP “Gramsci”, essa aveva raggiunto il suo schieramento definitivo: otto brigate per ben oltre un migliaio di volontari. Il problema della cronica carenza di armi aveva indotto i comandanti sapisti a creare durante l’inverno in seno ad ogni brigata delle “squadre di punta” dotate del massimo volume di fuoco disponibile ed in grado di agire militarmente per procurare altre armi, mentre altre squadre più o meno disarmate si dedicavano a compiti di collegamento e propaganda <6. Le azioni sapiste tra marzo e aprile non si erano discostate dagli schemi consueti: lanci di bombe a mano contro le sedi del PFR e delle polizie fasciste, minacce, disarmi. Tuttavia la sera del 5 aprile l’organizzazione subì la grave perdita dell’ispettore di divisione “Maurizio”, l’operaio Carlo Aschero. Dopo uno scontro nell’abitato di Vado costato la vita a due “marò” “Maurizio” venne bloccato da alcuni brigatisti neri che, perquisitolo, gli trovarono addosso delle munizioni. Secondo le testimonianze, Aschero avrebbe detto: “Sono un partigiano. Se volete ammazzarmi fatelo subito”. I fascisti non si fecero pregare due volte, e restarono a vigilarne il cadavere per tre giorni in attesa che qualcuno lo reclamasse <7. Come tutti gli eventi in qualche misura epici della lotta di liberazione, anche la fine dignitosa dell’operaio sapista Carlo Aschero fu debitamente pubblicizzata, oltre che dal tam-tam popolare, anche dalla stampa resistenziale di cui proprio le SAP curavano la diffusione in collaborazione con i Gruppi di Difesa della Donna e il Fronte della Gioventù.
Vale la pena di soffermarsi un attimo per una panoramica di questi fogli clandestini. Su tutti emergevano gli organi nazionali del PCI, vale a dire “L’Unità” edizione savonese e “La Nostra Lotta”, che, molto diffusi nelle fabbriche del capoluogo e tra i sapisti, costituirono per molti, già sordi alla propaganda di regime, una sorta di abbecedario dell’educazione politica destinato a segnarne il pensiero e lo stile di vita negli anni a venire. Indubbiamente positivo fu il ruolo rivestito dall’”Unità” nello spingere alla compattezza del fronte antifascista, sia pure per i noti motivi tattici del momento. Ai primi di aprile il quotidiano comunista pubblicò un appello della Federazione savonese del PCI che recitava: “Tutte le forze antifasciste e progressive devono essere unite nella lotta, al di sopra di ogni partito politico, di ogni fede religiosa. Ognuno senta che è giunta l’ora suprema in cui il popolo italiano è chiamato a combattere per il suo onore, per la sua dignità, per la liberazione e la libertà del paese, per riscattare l’Italia dall’ignominia in cui il fascismo la ha gettata” <8. Si noti l’ecumenismo paradossalmente simile a quello dei vani appelli fascisti all’unità patriottica contro l’invasione angloamericana.
Ma la stampa resistenziale savonese contava altresì su un certo numero di testate di carattere più limitato e settoriale. Il lettore clandestino, sapista, partigiano o civile che fosse, poteva così trovarsi tra le mani la “Voce dei Giovani”, organo del FdG che usciva abbastanza regolarmente da un anno e raggiungeva le sei pagine ciclostilate, fitte di appelli alla ribellione; “Noi Donne”, scritto e pubblicato dalle resistenti dei GDD e specificamente dedicato al pubblico femminile (del quale si stimolavano a dovere gli istinti affettivi verso fratelli, figli, mariti e fidanzati alla macchia per spingerlo all’azione); “Savona Proletaria”, battagliero portabandiera della riottosa classe operaia locale; “Il Volontario della Libertà”, opera dei garibaldini imperiesi e savonesi e diffuso in tutti i distaccamenti, il cui primo numero risaliva a luglio; il già citato “Noi Venturi”, curato dal distaccamento “Revetria” con l’aiuto del FdG e delle donne di Calizzano, e che aveva ripreso le pubblicazioni dopo i rastrellamenti; “Pioggia e Fango”, il settimanale della Sesta Brigata “Nino Bixio”; “Il Solco”, periodico destinato ai contadini, senza il cui aiuto, non va dimenticato, i partigiani non avrebbero potuto resistere. Un foglio di maggiore spessore culturale era “Democrazia”, redatto e ciclostilato da professionisti ed intellettuali antifascisti del capoluogo; non mancavano inoltre apporti delle vicine formazioni genovesi e piemontesi, come “Il Partigiano”, organo dei resistenti della Sesta zona ligure (Genova), che raggiungeva talvolta i reparti dislocati a levante di Savona, o “Il Tricolore”, giornale della Sesta Divisione Garibaldi Langhe, diffuso in Val Bormida <9.
Da parte nazifascista non ci si poteva più fare illusioni sull’andamento della guerra. Sintomi di disgregazione dell’apparato repubblicano erano in qualche modo percettibili, anche se meno evidenti di quanto ci si potesse aspettare; tra i militari, alcuni ripresero le trattative con i partigiani, ed altri le intavolarono. Anche le diserzioni aumentavano, ma la maggioranza dei “marò” di Farina avrebbe tenuto duro fino alla fine. Particolare stupore desta ancor oggi la disciplina dei tedeschi, se si tiene conto che all’inizio di aprile i russi erano sull’Oder e gli americani a Francoforte sul Meno; mentre il loro Paese veniva conquistato dal nemico, essi si preparavano non già a rientrarvi per l’estrema difesa, bensì ad un metodico ripiegamento sulla linea Ticino-Po come previsto dal piano Kuenstlicher Nebel. Inoltre, tale ritirata non sarebbe dovuta avvenire che in caso di sfondamento delle linee da parte alleata: la Wehrmacht non aveva alcuna intenzione di lasciare il Nord Italia di propria iniziativa. Si poneva comunque il problema di “ripulire” le retrovie per consentire il ripiegamento, e le numerose e drastiche azioni militari volte a questo scopo spiegano le pesanti perdite subite dalle unità partigiane più esposte, in particolare gli autonomi della divisione “Fumagalli”, che minacciavano le vie di fuga verso il Piemonte. Tuttavia c’era ancora chi non si rassegnava a lasciare il Savonese: erano elementi locali (brigatisti neri, poliziotti, funzionari del PFR e della RSI) che speravano di resistere fino all’arrivo degli americani, dai quali potevano attendersi un trattamento umano. A spalleggiare questo sentimento strisciante si aggiunse lo stesso comandante della divisione “San Marco”, il generale Amilcare Farina, che in quei giorni propose alle massime autorità della Repubblica Sociale di creare una ridotta da difendere ad oltranza nella zona compresa entro la linea Arenzano-Tiglieto-Acqui Terme-Ceva-Albenga: guarda caso l’area difesa dalla “San Marco”. La proposta, certamente dettata dalla volontà di mettersi in mostra piuttosto che dal buonsenso militare, venne subito rigettata in favore di quella, appena un po’ meno peregrina, della “ridotta valtellinese” perorata da Pavolini e dal suo entourage detto “il Granducato di Toscana”. Dopotutto la Valtellina confinava con la neutrale Svizzera, dove molti fascisti previdenti avevano depositato le ricchezze accumulate e talora inviato le famiglie: a questi scopi la zona di Savona sembrò decisamente inadatta. Resta comunque il fatto che Farina mostrava di avere verso i suoi sottoposti una fiducia che alla fine, complice il clima da caccia all’uomo, non si dimostrò mal riposta.

[NOTE]1 M. Calvo, op. cit., p. 363.
2 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 741.
3 M. Calvo, op. cit., pp. 364 e 366.
4 Le Brigate Garibaldi…cit., vol. III, pp. 552 – 553. Anche la qualifica di “commissario politico” era stata sostituita da quella, politicamente più neutra, di “commissario di guerra”: vedi G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p.779.
5 R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 286.
6 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 341.
7 Cfr. R. Badarello – E. De Vincenzi, op. cit., p. 272 e G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 352.
8 G. Gimelli, op. cit., ed. 1985, vol. II, p. 352.
9 Ibidem, ed. 1985, vol. II, p. 352.
Stefano d’Adamo, Savona Bandengebiet. La rivolta di una provincia ligure (’43-’45), Tesi di Laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1999-2000

#1945 #AlbengaSV_ #Aprile #Bormida #CalizzanoSV_ #CLV #fascisti #Liguria #partigiani #PCI #provincia #Resistenza #SAP #Savona #stampa #StefanoDAdamo #tedeschi #Valle


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ogni patologia ha il suo orizzonte


ogni patologia ha il suo orizzonte: una delle mie ha l’orizzonte dell’orizzontalità, nel senso sì della distensione pigra ma soprattutto dell’estensione non verticale (=non monocanale, non da wannabe influencer) bensì dilagante negli spazi in rete. (meaning: relativamente pochi contatti ma su molti canali).

per cui, a mo’ di alternativa alterità, un po’ come stato entropico ulteriore e rilassato rispetto a slowforward, ho preso gusto da pochissimo a materializzare robe brevi brevi su marcogiovenale.wordpress.com/.

annotate, take note.

quindi la domanda non è “è patologico”? (certo che sì). semmai è: “dove e come posso seguire quest’ultima sfolgorante meraviglia”?

la risposta è nel link sopra citato, sapendo poi che ogni post viene ribloggato agli indirizzi (per adesso solo due ma cresceranno)
mastodon.uno/@differx e facebook.com/slowforwarddiffer…

follow the mad hatter path

#blog #diario #diarioinpubblico #dip

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rottanza sprecanza e la mattina nel gran cesso


Ancora non comprendo quale sia la logica universale che ogni tanto (anzi, ogni molto) porta la stabilità della mia anima a sfaldarsi pesantemente, ma, comunque sia, stamattina è successo un’altra volta… E continua tutt’ora nel pomeriggio, anche se, vabbè, ora ci sono le varie cose da fare, e quindi la marciscenza non attecchisce più di tanto; ma questo non è affatto un motivo per gioire, è utile soltanto ad evitare di abbattermi ulteriormente.

Complessivamente, ed è incredibile, ma più passa il tempo, e più mi sento davvero relativamente inutile (anche se non è per forza oggettivamente vero), poiché sono apprezzata in misura veramente misera (e questo invece è un fatto oggettivo, almeno per la misura in cui posso compararmi ad altri)… e questa in realtà è una lamentela per un’altra volta, perché adesso di per sé non c’entra, ma chiaramente anche questa è una cosa che va a ficcarsi nel cervello, a cui poi gli spiriti delle pareti durante la notte si vanno ad agganciare per prosciugarmi sempre più energie vitali, e di conseguenza finisco precisamente così…

Stamattina penso di aver stabilito un nuovo record personale di bedrotting, perché sono rimasta lì (tra sopra e dentro, un po’ a caso, tutta storta, sotto e di lato, disperandomi oltre ogni misura) per tipo un’ora e mezza (~1:30), che è più dell’ultimissima volta. Avevo la sveglia verso quasi le 11… e l’ho spenta, perché essendo già tardi non avevo voglia di alzarmi, tanto a quel punto a che cazzo serve. Ovviamente, 8 ore le avevo dormite, dunque a quel punto il sonno era passato, quindi non mi sono riaddormentata… ma sono semplicemente rimasta lì, nel vuoto pratico, la mia mente sotto il giogo degli influenzatori… e in effetti anche il corpo, perché in certi momenti mi sentivo pesantissima e particolarmente tirata verso il letto, non ironicamente come se la forza di gravità fosse raddoppiata; riuscivo a muovermi, anche a cadere per terra, però veramente non ad alzarmi in piedi. Stranamente, sete e fame le ho sentite solo quando alla fine sono effettivamente riuscita a sosarmi… ma la cosa davvero strana è come la mia inquietudine potesse essere talmente forte da non avermi fatto provare noia (e quindi voglia di alzarmi) per 90 fottuti minuti, con la motivazione di alzarmi che ovviamente sfumava sempre di più con ogni minuto che passava. E, di questo passo, c’è il rischio che la cosa continui a ripetersi, perché (più di altri casi) quando la sera mi metto a programmare perdo completamente la cognizione del tempo, quindi vado a letto sempre più tardi, e quindi mi sveglio sempre più tardi… la mia fine!!! 😭🤯😰😫😤
Hey guys do you everfeel like your a waste of time energy molecules atoms and oxygen on earth. You dont deserve your life, or the people around you. Like youre never good enough? You can barely get good grades, youre horrible at communication, etc. and the thing is so many people went through much more than you. Youre just ungrateful and weak. And you're also a horrible person because you act so dramatic, rude, and sensitive to everything. Youre sick of life and living. Its also worse when you like people that dont care about you.Or is it just me?pignio.octt.eu.org/item/719732…pinterest.com/pin/307370743338…
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Circa alcuni agenti nazisti reclutati dai servizi segreti americani


Il segretario di Stato dette il suo assenso e nel mese di maggio [1947] le autorità militari decisero di trasferire Dollmann nella zona di occupazione statunitense nella Germania dell’Ovest, considerando che lì avrebbe potuto svolgere compiti di maggiore utilità rispetto a quanto avrebbe potuto fare se fosse espatriato in America Latina, come ipotizzato inizialmente da Angleton <362. Il 22 ottobre da Washington il direttore dell’Office of Special Operations, l’agenzia coordinata con il CIG che si occupava delle operazioni clandestine all’estero, ordinò che Dollmann rimanesse in Germania e che per nessun motivo fosse permesso agli italiani di ottenerne la custodia: “Dollmann e Wenner non devono essere consegnati all’Italia né ora né nel prevedibile futuro. Se vanno in Italia saranno arrestati, interrogati, esposti, e facilmente accusati di essere criminali di guerra. Non si ritiene che possano avere alcuna possibile copertura adeguata considerando i rischi e ciò che sta dietro a questo caso. (…) Preferisco altamente che rimangano nell’AmZone in Germania” <363. Per circa un anno l’ex-gerarca nazista rimase quindi nella sua terra d’origine, un periodo durante il quale iniziò un rapporto di attiva collaborazione per l’intelligence americana: la sezione del CIC di Monaco gli affidò l’incarico di redigere rapporti settimanali. Nel 1948 i vertici della sezione OSO, l’Office of Special Operations, valutarono che era pronto per iniziare la sua attività di collaborazione per lo spionaggio in Italia e lo inviarono presso la sede del CIC di Milano <364.
La linea di azione messa in campo nell’immediato dopoguerra da Angleton e dai vertici dell’intelligence statunitense, tesa ad aggirare ogni tipo di legalità e di sovranità nazionale dei paesi allo scopo di salvare – e poi utilizzare – grossi personaggi nazisti e repubblichini, mostra come le dinamiche della guerra fredda abbiano investito pesantemente fin dall’inizio la ricostituzione post-bellica del paese. Il quadro complessivo che emerge, in cui si inseriscono queste vicende, è quello in cui nella sfera dei servizi segreti l’obiettivo del contenimento del comunismo, e quindi la salvaguardia degli interessi geopolitici statunitensi, si legava alla convinzione che l’importanza dei fini potesse giustificare l’adozione di qualsiasi mezzo <365.
[…] La stessa logica utilizzata da Angleton in Italia per Borghese e Dollmann, si ritrova del resto in un’operazione dello stesso tipo che fu messa a punto in Germania, dove il generale Reinhard Gehlen, capo del Fremde Heeren Ost, la sezione del servizio segreto militare nazista che si occupava del fronte orientale, venne immediatamente assunto nelle fila dell’intelligence americana, pochi giorni dopo la resa incondizionata dichiarata dalla Germania. Nei primi mesi del 2002 il governo americano ha declassificato i documenti relativi al reclutamento di Gehlen insieme alla sua rete di agenti nazisti da parte dei servizi segreti americani, acquisiti dal National Archives and Records Administration l’8 maggio 2002 <366. In questi rapporti ufficiali si legge che nel giugno del ’45, dopo il collasso della Germania nazista, Gehlen fu ingaggiato dall’U.S. Army per continuare il suo lavoro di intelligence, ma questa volta per l’America. A tal fine Gehlen nelle settimane successive fece assumere moltissimi membri delle Ss, ricostituendo così il suo intero gruppo di lavoro originario con il quale aveva operato per il Führer. Uno dei direttori della sezione dell’intelligence Usa in Germania, Crosby Lewis, nel settembre del ’46 tira le fila dell’operazione “Keystone” in un lungo documento top secret. Dal suo racconto dettagliato apprendiamo informazioni fondamentali e sconcertanti relative all’evoluzione di tutta l’operazione che riguardava Gehlen e la sua rete. Il generale Gehlen “era negli Stati Uniti”, scrive Crosby Lewis, fin dalle prime settimane dopo la fine del conflitto, “essendo stato portato lì dal G-2, War Department, (…) insieme a personale della Fremde Heere Ost” <367. Gehlen era rimasto per molto tempo con i suoi collaboratori negli Stati Uniti, fino alla primavera-estate del ’46. Lewis rivela anche come riguardo agli elementi dell’organizzazione di spionaggio nazista non fosse mai stato redatto alcun rapporto di interrogatorio, poiché “tutto questo personale della Fremde Heere Ost, che era stato catturato dagli americani, non è mai stato interrogato” <368. Nonostante si trattasse dei vertici dello spionaggio nazista, dunque, la decisione di assumerli in blocco nell’intelligence Usa aveva fatto sì che addirittura non gli fosse stata posta alcuna domanda relativa alle loro conoscenze o alle operazioni che avevano portato avanti, procedura senza dubbio anomala. Lewis venne in seguito in contatto con uno dei dirigenti della Fremde Heeren Ost, di nome Oberst Baun, per accordarsi in merito alla costruzione di una sezione di intelligence Usa in Germania che avrebbe dovuto essere gestita direttamente dal comandante nazista, con tutti i suoi ex-collaboratori, il cui “obiettivo finale” doveva essere “l’Unione Sovietica” <369. A questo proposito Lewis racconta un dettaglio che lo aveva colpito: “Quando arrivai a Oberursel – la sede dell’SSU – scoprii che Baun non era trattato come un prigioniero normale, ma più come un ‘ospite’, e che non era suscettibile di interrogatorio”. L’operazione di assunzione di Gehlen e di tutta la sua rete di agenti nei ranghi dell’Oss, come emerge dai documenti, fu considerata un grande successo dagli agenti americani: “Alla metà di luglio 1945, eravamo riusciti a ricostituire lo staff e le persone chiave della rete del generale Gehlen, con tutti i suoi importanti documenti, ed eravamo molto coscienti della miniera d’oro che avevamo trovato. <370 Uno dei fattori che resero Gehlen e i nazisti della sua rete molto importanti per gli interessi strategici americani fu la loro esperienza e le loro conoscenze di intelligence maturate nella guerra contro l’Urss: tutto il lavoro di raccolta di informazioni e di penetrazione nel territorio, insieme alla conoscenza dei servizi segreti sovietici, e tutta la documentazione da loro raccolta, si rivelavano ora preziosi per gli Stati Uniti. Il generale Gehlen, dopo essere stato per quattro anni alle dipendenze dell’esercito statunitense, nel 1949 passò direttamente sotto il controllo della Cia, la quale aveva deciso di subentrare come “Gehlen’s main patron” <371.
Anche il maggiore delle Ss Karl Hass, condannato all’ergastolo per l’eccidio delle Fosse Ardeatine per aver partecipato attivamente al massacro, fu reclutato dagli agenti statunitensi immediatamente dopo la fine del conflitto. Nei giorni della Liberazione era stato arrestato dagli Alleati e tenuto sotto custodia americana: poco tempo dopo però anche a lui fu proposta la collaborazione, da un ufficiale del servizio di controspionaggio statunitense <372. Egli stesso – come è emerso dai lavori della Commissione Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti – interrogato nel luglio del 1996 dai carabinieri del Ros ha confermato tale ricostruzione, affermando anche che in seguito alla collaborazione i servizi di informazione statunitensi gli consentirono, come era avvenuto per Dollmann, di cambiare identità, e di vivere poi indisturbato in Italia, evitando in questo modo che fosse catturato dalle forze dell’ordine che lo ricercavano <373.

[NOTE]362 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma per il segretario di Stato datato 8 maggio 1947.
363 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma segreto del direttore della sezione Special Operation del CIG, datato 22 ottobre 1947, per il capo della stazione dell’intelligence in Germania Heidelberg.
364 NARA, RG 263, Entry ZZ-18, Box 27, telegramma per il capo della stazione CIG in Germania datato 6 maggio 1949: “Il soggetto – si legge nel telegramma – è stato fatto entrare di nascosto in Italia da Innsbruck passando per il passo del Brennero all’inizio del 1948, tramite un trasporto speciale effettuato in accordo con il soggetto dal maggiore Bell, USFA Liaison Officer ad Innsbruck”.
365 Sottolineano a questo proposito gli autori del volume U.S. Intelligence and the Nazis: “L’utilizzo da parte americana dei criminali di guerra fu un errore grossolano sotto diversi aspetti. (…) Non c’era alcuna ragione irresistibile per iniziare il periodo del dopoguerra con l’assistenza di alcuni di coloro che erano associati ai peggiori crimini della guerra. La mancanza di sufficiente attenzione per la storia – e ad un livello personale, al carattere e alla moralità – stabilirono un cattivo precedente, specialmente per le nuove agenzie di intelligence. Ciò inoltre portò all’interno delle organizzazioni di intelligence uomini e donne incapaci a priori di distinguere tra le loro convinzioni politiche/ideologiche e la realtà. Come risultato, essi non riuscirono e non poterono produrre buona intelligence. Alla fine, poiché le loro nuove «convinzioni democratiche» erano quantomeno incerte ed il loro passato poteva essere utilizzato contro di loro, alcuni di essi avrebbero potuto essere ricattati dalle agenzie di intelligence comuniste. E dunque rappresentarono un potenziale problema per la sicurezza”. R. Breitman e N. J. Goda, U.S. Intelligence
and the Nazis, cit., p. 7.
366 Il gruppo di documenti declassificati della CIA relativi all’ingaggio di Gehlen si chiama Nazi War Crimes Disclosure Act. Alcuni di questi documenti sono stati pubblicati sul sito ufficiale dello U.S. National Archives and Records Administration
367 NARA, RG 226, Entry 210, Box 349, Folder 1. Il documento, intitolato proprio Keystone Operation e datato 22 settembre 1946, fa parte di un’altra serie di documenti Cia, declassificati successivamente alla serie Nazi War Crimes Disclosure Act, su particolare richiesta dell’archivio nazionale: le entries 210-220.
368 Ibidem, c. 1.
369 Ibidem.
370 Documento intitolato Report of Initial Contacts with General Gehlen’s Organization, compilato dall’agente John R. Boker e datato 1 maggio 1952. Il documento fa parte del report Forging an Intelligence Partnership: CIA and the Origins of the BND, 1945-1949. A Documentary History, stilato dal CIA History Staff, Center for the Study of Intelligence, European Division, Directorate of Operations nel 1999, declassificato nel 2002. Opening of CIA Records under Nazi War Crimes Disclosure Act, U.S. National Archives and Records Administration, pubblicato a cura del National Security Archive della George Washington University, alla pagina gwu.edu/~nsarchiv. Questo documento fa parte della serie Nazi War Crimes Disclosure Act.
371 Ibidem. Contemporaneamente all’inserimento di Gehlen nelle fila dell’intelligence statunitense, venivano arruolati dall’Oss anche cinque stretti collaboratori di Adolf Eichmann, l’uomo che aveva concepito e portato avanti la politica di sterminio degli ebrei; Otto von Bolschwing, ufficiale della Gestapo che aveva pianificato in Austria l’espropriazione dei beni degli ebrei, fu aiutato a nascondersi dalla polizia austriaca, per poi farlo entrare negli States nel 1953, dove lo assunsero con contratto regolare; Theodor Saeveche, che aveva ricoperto la carica di alto ufficiale delle Ss a Milano durante la Repubblica di Salò, occupandosi tra le altre cose dell’annientamento dei partigiani, fu reclutato con il compito di effettuare attività di spionaggio nella Germania Ovest. Il caso del capitano Saeveche in particolare, è stato attentamente analizzato dalla Commissione parlamentare d’Inchiesta sulle cause dell’occultamento dei crimini nazifascisti, che ha riscontrato come fosse stato assunto nei ranghi dell’intelligence Usa nonostante ai suoi stessi reclutatori fosse “noto che egli era ancora convinto della bontà dei principi del nazional-socialismo” (Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., p. 217). Nel corso degli interrogatori condotti dalle autorità alleate nelle settimane successive alla fine del conflitto Saeveche aveva confessato ad esempio la responsabilità nell’eccidio di partigiani di piazzale Loreto, e la responsabilità della fucilazione di massa di civili scelti a caso, in risposta all’uccisione di un tedesco avvenuta pochi giorni prima, effettuata a Corbetta nell’estate del ’44. In seguito all’avvenuto reclutamento, l’intelligence di fatto aveva impedito al tribunale italiano di giudicarlo per questi crimini. Cfr. Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., pp. 217-218.
372 Cfr. i lavori della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, XIV legislatura, doc. XXIII, n. 18-bis, relazione cit., pp. 206-211.
Siria Guerrieri, Obiettivo Mediterraneo. La politica americana in Europa Meridionale e le origini della guerra fredda. 1944-1946, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno accademico 2009-2010

Ulteriori informazioni sembrano confermare un collegamento più che occasionale tra golpisti e istituzioni statunitensi. Per indicazioni dello stesso Borghese, egli avrebbe costituito il Fn su espressa indicazione di James Jesus Angleton, dirigente della Cia, da cui era stato incoraggiato a imprimere una svolta nella politica italiana che bloccasse la penetrazione comunista <891. Infine, Adriano Monti, implicato nel golpe e successivamente assolto, ha dichiarato di aver fatto parte della rete Gehlen, con il nome in codice Siegfried, nella quale servizi americani ed ex nazisti avrebbero seguito passo dopo passo i preparativi del golpe.
891 A. Giannuli, Il noto servizio, cit. p. 146.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020

E molti degli agenti nazisti che avevano operato in Italia furono poi riciclati dai servizi statunitensi nella costituzione di un servizio attivo in funzione anticomunista, la Rete Gehlen, che prese il nome dall’ex capo del controspionaggio nazista nell’Est Europa, il generale Reinhard Gehlen, arruolato proprio da Dulles.
Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

#1947 #agenti #America #anticomunismo #ClaudiaCernigoi #criminali #Dollmann #Germania #guerra #JamesJesusAngleton #KarlHass #LetiziaMarini #nazisti #OSS #Ovest #ReinhardGehlen #segreti #servizi #SiriaGuerrieri #spionaggio



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La Germania Ovest spiava l’Ungheria


L’inizio degli anni Cinquanta vide l’ODEUM Roma [cellula del servizio segreto tedesco occidentale dell’epoca presente a Roma] al centro di una serie di pesanti critiche interne, provenienti dalle file della stessa Organisation Gehlen [servizio segreto tedesco occidentale dell’epoca], che riguardavano l’attività del gruppo romano volta a contrastare i paesi del futuro Patto di Varsavia. A tal riguardo bisogna tuttavia sottolineare come la ricostruzione dell’attività generale dell’ODEUM Roma contro i paesi della zona d’influenza sovietica non risulti impresa facile. Infatti i report inviati periodicamente da Johannes tra il novembre del ’47 e l’ottobre del ’48 non contengono accenni significativi ad attività antisovietiche del gruppo romano e sembrano invece concentrarsi soprattutto sull’infiltrazione nello SMOM [Sovrano Ordine Militare di Malta con sede a Roma]. Tuttavia l’iniziale scarsità di accenni ad attività spionistiche rivolte contro i paesi del blocco orientale non significa automaticamente che non vi sia stato un impegno dell’ODEUM Roma in tal senso, come avrebbe dimostrato la vicenda qui di seguito descritta dell’ “affare dei report” sull’Europa dell’Est. resoconti “incriminati”, inoltrati dall’ODEUM Roma alla centrale di Pullach riguardavano una serie di notizie in primo luogo su presunti spostamenti di armi e veicoli militari in Ungheria nel ’52 <490.
È ovvio che, a causa della loro prossimità geografica rispetto ai paesi del Patto Atlantico, paesi come l’Ungheria erano di grande interesse per l’Organisation Gehlen e la CIA. La Repubblica Popolare d’Ungheria, guidata allora dal primo ministro István Dobi, aveva svolto un ruolo centrale nei piani staliniani per il consolidamento dell’influenza sovietica nell’Europa dell’Est sin dal biennio ’44-‘45, centralità che sarebbe ulteriormente accresciuta dopo la rottura tra l’URSS e la Jugoslavia di Tito nel ’48. Infatti nei primi anni Cinquanta il cosiddetto “terrore staliniano” con i suoi processi fasulli e le purghe sanguinose nei confronti di alcuni esponenti della “vecchia guardia” comunista, ora accusati di tradimento, si sarebbe rapidamente esteso dall’URSS ai suoi paesi satellite <491, comportando picchi di nervosismo e tensione anche nei paesi occidentali. Quanto l’Ungheria comunista fosse stata ormai influenzata dalla paranoia del dittatore sovietico lo dimostrarono, tra l’altro, i processi contro membri del clero cattolico ungherese nel ‘51, così come il caso clamoroso di László Rajik, ex ministro dell’Interno della repubblica magiara, processato pubblicamente nel ’49 e poi condannato a morte, in quanto presunto “nemico del regime” <492. Contemporaneamente in tutti i paesi del futuro Patto di Varsavia stava crescendo a vista d’occhio l’influenza dei servizi segreti nazionali e sovietici.
La vicenda Csaszar: un esempio di tentata infiltrazione nell’Ungheria comunista
Di fronte al rafforzarsi del sistema dittatoriale sovietico e della sua influenza sull’Europa dell’Est non sorprende dunque che l’intelligence occidentale sia stata, tra il ’48 e il ’53, particolarmente interessata a tenere d’occhio soprattutto quei paesi più vicini agli stati dell’Europa centrale, come, appunto l’Ungheria. L’eventuale spostamento di un numero significativo di truppe e armi ungheresi o sovietiche verso i confini con l’Austria e la Jugoslavia doveva essere riconosciuto con largo anticipo per poter poi avvertire i comandi militari competenti. L’ODEUM Roma, pur operando al centro della penisola italiana senza diretto accesso al territorio ungherese, avrebbe offerto all’Organisation Gehlen un canale “indiretto” per poter ricavare informazioni preziose sulla situazione militare del paese comunista, grazie al reclutamento di informatori proprio a Roma. A tal proposito è ben documentato il tentativo di Johannes di reclutare tra il ’48 e il ’49 l’ungherese Ede Csazsar, allora internato in un campo di prigionia italiano a Lipari <493. I documenti provano che l’ex fisico nucleare aveva l’intenzione di ottenere il permesso del ministero dell’Interno italiano di trasferire Csazsar in un campo dell’IRO (International Refugee Organisation) <494, da dove sarebbe poi dovuto tornare in Ungheria nelle vesti d’informatore del servizio segreto tedesco <495. Stando alle carte BND, Csazsar era stato individuato per tale incarico in quanto «specialista di aeroporti e piste di atterraggio», in grado dunque di tenere sotto osservazione gli spostamenti di aerei sovietici da e per l’Ungheria comunista, così come eventuali movimenti dell’esercito ungherese <496. I documenti provano inoltre che Johannes sia venuto in contatto con Csazsar, grazie al suo collegamento con lo SMOM <497. Infatti durante il periodo di attività al servizio di von Thun-Hohenstein, l’ex fisico nucleare era stato frequentatore abituale dei campi di rifugiati politici e di prigionieri di guerra supervisionati dall’Ordine <498, terreno fertile per ogni professionista d’intelligence in cerca di nuovi informatori. Nonostante tutti gli sforzi fatti per liberare l’informatore ungherese dalla prigionia, tuttavia, nell’ottobre del ’49 tale processo si sarebbe interrotto a causa dello “scandalo SMOM” e del venir meno dei legami tra l’ODEUM Roma e via Condotti <499. Nonostante il fallimento della missione, il caso Csazsar prova quanto per l’Organisation Gehlen, nei tardi anni Quaranta, fosse fondamentale il monitoraggio dell’attività militare in Ungheria, soprattutto riguardo agli aeroporti militari.
L’“affare dei report”: premesse, contenuti, giudizi
Tale interesse, come dimostrano le carte BND, continuò ad aumentare all’inizio degli anni Cinquanta, coinvolgendo nuovamente l’ODEUM Roma. E ciò sarebbe stato evidenziato proprio dalla già menzionata serie di report indirizzata dal gruppo romano alla centrale di Pullach sulla situazione in Ungheria del febbraio 1952. Come emerge da uno dei suddetti resoconti, grazie al reclutamento di un nuovo informatore, un operaio ungherese conosciuto solo come “Fevar”, l’11 febbraio Johannes e il suo gruppo avrebbero scoperto alcuni movimenti allarmanti presso l’aeroporto di Szekesfehervar, a soli 206 chilometri da Vienna <500. Stando all’informatore, in quel momento l’aeroporto era «occupato dall’aviazione sovietica» <501. Sempre secondo Fevar, presso la struttura aeroportuale si sarebbero trovati in quel momento «230 bombardieri pesanti, 105 cacciatori», parzialmente parcheggiati presso «spazi sotterranei, coperti da uno strato di cemento armato spesso circa 4 metri» <502.
In seguito all’invio di tale resoconto non tardò ad arrivare una risposta dall’ufficio “Analisi” dell’Organisation Gehlen. È infatti probabile che il suddetto documento dell’ODEUM Roma, a differenza dei report mandati da Johannes al fratello Reinhard tra il ’47 e il ’48, sia dovuto necessariamente passare per mano di terzi, a causa della potenziale importanza delle sue informazioni per la sicurezza dei paesi occidentali <503. La valutazione finale dell’ufficio “Analisi”, datata 15 febbraio 1952, avrebbe tuttavia rappresentato un duro colpo per il gruppo romano. Dal documento emerge, infatti, che le informazioni inoltrate da Johannes riguardo l’aeroporto di Szekesfehervar erano da considerarsi «non credibili» e addirittura «errate» <504. In primo luogo, secondo il personale del suddetto ufficio , sulla base di notizie precedentemente confermate, l’aeroporto ungherese in questione era usato dall’aviazione militare ungherese e non da quella sovietica. In secondo luogo, si legge nella citata valutazione, le dimensioni della struttura militare non avrebbero minimamente permesso il parcheggio di ben 335 aerei da combattimento, anche perché l’aeroporto non disponeva di una pista di decollo, presupposto necessario per giustificare lo stazionamento di un tale numero di aerei. Un aeroporto delle dimensioni di quello di Szekesfehervar, invece, secondo i responsabili della valutazione, avrebbe potuto ospitare un massimo di 120 aerei da combattimento. Infine, si concludeva, «il fatto che la struttura aeroportuale disporrebbe anche di spazi sotterranei dimostra la mancante credibilità dell’intero report» <505. Stando a quanto affermato dall’ufficio “Analisi”, infatti, nonostante simili voci girassero nella stampa ormai da tempo, l’esistenza di tali strutture sotterranee «non è mai stata provata» <506.
L’esito della suddetta valutazione avrebbe gravemente messo in dubbio la credibilità del gruppo romano. Ora che un report dell’ODEUM Roma era stato inoltrato direttamente agli uffici dell’Organisation Gehlen, piuttosto che passare per la “corsia preferenziale” del canale di comunicazione diretto tra i fratelli Gehlen, l’operato del gruppo romano sembrava infatti ormai messo in discussione. Chiaramente, come emerge dalla succitata valutazione, Johannes e i suoi collaboratori sembravano aver fatto affidamento su informatori inaffidabili, senza preventivamente verificare le informazioni pervenute da inoltrare alla centrale di Pullach. Tuttavia, come si vedrà, la valutazione del 15 febbraio sarebbe stata solo uno di una lunga lista di pareri negativi espressi dall’ufficio “Analisi” nei confronti dell’ODEUM Roma nel 1952.
Infatti un ulteriore documento, risalente al 14 febbraio dello stesso anno, getta luce sulla reale dimensione dei problemi legati ai report sull’Ungheria inviati da Johannes e dal suo gruppo. L’aspetto interessante del suddetto documento è che sembrava trattarsi di una lista appositamente redatta dall’ufficio “Analisi” di Pullach che raccoglieva le singole valutazioni di tutti i report sull’Europa dell’Est inviati dall’ODEUM Roma nel febbraio del ’52. In tale documento si legge, ad esempio, come il gruppo romano avesse precedentemente allertato la centrale di Pullach sull’istituzione di uno «Stato maggiore sovietico presso Miskolc», una città ungherese in prossimità del confine orientale del paese, che nel report dell’ODEUM Roma veniva descritta come «il più grande centro militare d’Ungheria» <507. La valutazione dell’ufficio “Analisi” non lasciava spazio a interpretazioni: «L’esistenza di uno “Stato maggiore” presso Miskolc non è per nulla credibile» <508. Inoltre, «l’affermazione secondo cui Miskolc sarebbe il “più grande centro militare” d’Ungheria è sbagliata» <509. Dopo aver elencato un totale di sei report del gruppo romano sui paesi dell’Europa dell’Est, ognuno dei quali veniva puntualmente screditato, il documento passava a una serie di riflessioni conclusive che esprimevano appieno la preoccupazione che le notizie provenienti da Roma sembravano aver destato presso l’ufficio “Analisi” dell’Organisation Gehlen: “1) Das Material ist in seiner Gesamtheit restlos unbrauchbar. 2) Die Verfasser der Berichte sind auf mil.[itärischem] Gebiet völlige Laien und besitzen nicht die geringsten Kenntnisse über das derzeitige Lagebild in Ungarn und Rumänien. 3) Die Existenz der angeführten Unterquellen wird hier stark angezweifelt. Setzt man sie aber voraus, so kann die äußerst mangelhafte Berichterstattung auch mit fehlender Schulung nicht ausreichend erklärt werden. 4) Alle Behauptungen des Meldungsinhaltes sind völlig unbewiesen. […] 5) […] Es handelt sich sicherlich um Produkte aus unseriösen ND-Kreisen […], die […] wegen ihrer Minderwertigkeit und falschen Angaben auf den ersten Blick als Schwindel entlarvt werden konnten” <510.
Le cause dei report e le conseguenze dell’“affare”
È chiaro, sullo sfondo di quanto appena detto, che un simile giudizio negativo dell’ufficio “Analisi” non sarebbe rimasto a lungo senza conseguenze. Nel descrivere le informazioni dei report dell’ODEUM Roma come «del tutto infondate» e, complessivamente, come «imbroglio», gli impiegati del suddetto reparto avevano infatti innescato un processo che avrebbe, da lì a breve, provocato l’ennesimo intervento di Reinhard Gehlen a favore del fratello maggiore e del gruppo romano. Secondo la già menzionata analisi dello stesso BND, condotta nel ’69 per gettare luce in retrospettiva sull’operato dell’ODEUM Roma e del suo capo e basata sulle suddette valutazioni, l’ufficio “Analisi” aveva allora messo in atto «una ribellione energica contro i report fasulli provenienti dalla rete di informatori legata a B.H. [Bruder Hans]» <511. Infatti sembra che la succitata lista del 14 febbraio, che, come già detto, riportava ben sei report dell’ODEUM Roma, insieme alle rispettive valutazioni negative, sia stata redatta dall’ufficio “Analisi” proprio allo scopo di convincere Reinhard dei risultati deludenti del lavoro dell’ODEUM Roma nell’ambito dell’intelligence sull’Europa dell’Est. Anche se non è possibile stabilire quando esattamente il capo dell’Organisation Gehlen abbia preso visione di tale lista, i documenti BND rivelano nondimeno che Reinhard l’abbia ricevuta nella tarda primavera del ‘52. Secondo Karl-Eberhard Henke, autore della valutazione interna condotta dal BND nel ’69, Reinhard Gehlen «non ha reagito bene di fronte agli esiti inequivocabili delle analisi condotte sui report di B.H. [Johannes]» <512. Come era già accaduto altre volte, sia nel caso dello “scandalo SMOM” sia in quello del “caso Krause”, il fratello minore dei Gehlen sarebbe venuto a soccorrere quello maggiore. Infatti l’unica conseguenza che i succitati report “fasulli” sembrano aver comportato per l’ODEUM Roma era che, a partire dalla primavera del ’52, il gruppo romano e il suo capo sarebbero tornati nuovamente sotto il controllo diretto ed esclusivo di Reinhard, senza l’intromissione di altri uffici o impiegati <513. Johannes e i suoi collaboratori sarebbero stati quindi posti nuovamente in una sorta d’“isolamento” rispetto al resto dell’Organisation Gehlen. Ciò è anche confermato dal fatto che, dalla primavera del ’52 in poi, né l’ufficio “Analisi” né la CIA, come si vedrà, avrebbero avuto più notizie sull’attività dell’ODEUM Roma <514.

[NOTE]490 Handschriftliche Stellungnahme, Karl-Eberhard Henke, 8 ottobre 1969, BND-Archiv, 220816, cfr. T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., pp. 427-428.
491 M. Mazower, Der dunkle Kontinent. Europa im 20. Jahrhundert, Alexander Fest, Berlin 2000, pp. 374-377.
492 Ivi, pp. 376-377.
493 Ede Czaszar, Befreiung aus der Internierung, 17 dicembre 1948, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000287. La località di Lipari è erroneamente trascritta come “Pipari”.
494 Per un’analisi dell’umanitarismo internazionale e della tutela dei diritti dei profughi agli inizi della guerra fredda cfr. S. Salvatici, Senza casa e senza paese. Profughi europei nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2008; Id., Nel nome degli altri. Storia dell’umanitarismo internazionale, Il Mulino, Bologna 2015.
495 Intervention für Ede Csazsar bei der Ausländer-Abteilung des italienischen Innenministeriums, 8 febbraio 1948, BND-Archiv, 228014_OT, doc. 000284.
496 Ede Czaszar, Befreiung aus der Internierung, 17 dicembre 1948, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000287.
497 Meldung an S-1933, Betr.: Ede Csazsar, 3 ottobre 1949, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000274.
498 E. Schmidt-Eenboom, T. Wegener Friis, C. Franceschini, Spionage unter Freunden, cit., pp. 56-57, cfr. Meldung, Betr.: Besprechung mit S-1933 am 9. September 48, 14 settembre 1948, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000411.
499 Meldung an S-1933, Betr.: Ede Csazsar, 3 ottobre 1949, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000274.
500 Ungarn, Flugplatz von Szekesfehervar, 11 febbario 1952, BND-Archiv, 220816, doc. 622.
501 Ibidem.
502 Ibidem.
503 Per una mancanza di fonti, è tuttavia possibile stabilire se l’invio di report all’ufficio “Analisi”, da parte dell’ODEUM Roma, abbia costituito il modus operandi “standard“ del gruppo romano sin dall’entrata in scena della CIA, oppure se con i report sull’Europa dell‘Est si fosse trattato di un caso eccezionale.
504 Endgültige Beurteilung, 15 febbraio 1952, BND-Archiv, 220816, doc. 624.
505 Ibidem.
506 Ibidem.
507 Endgültige Beurteilung, 14 febbraio 1952, BND-Archiv, 220816, doc. 619.
508 Ibidem.
509 Ibidem.
510 Ibidem. “1) Il materiale nel suo complesso è totalmente inutile. 2) Gli autori dei report sono dei completi dilettanti in materia mil.[itare] e non hanno le minime conoscenze della situazione attuale in Ungheria e Romania. 3) Si mette fortemente in dubbio l’esistenza di presunti informatori secondari. Ma anche se ci fossero, la scadente qualità dei resoconti non potrebbe essere sufficientemente giustificata da un mancante addestramento in ambito d’intelligence. 4) Tutte le affermazioni contenute nei report sono completamente prive di un qualche fondamento. […] 5) […] Si tratta sicuramente di prodotti di ambienti d’intelligence poco affidabili […], che […] si sono potuti smascherare a prima vista come imbroglio, a causa della loro scadente qualità e delle informazioni false”.
511 Handschriftliche Stellungnahme, Karl-Eberhard Henke, 8 ottobre 1969, BND-Archiv, 220816, doc. 615.
512 Ibidem.
513 Meldung, 2 maggio 1952, BND-Archiv, 220816, doc. 618.
514 Ibidem; T. Wolf, Die Entstehung des BND, cit., p. 428.
Sarah Anna-Maria Lias Ceide, ODEUM Roma. L’Organisation Gehlen in Italia agli inizi della guerra fredda (1946-1956), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2022

#1952 #BND #CIA #EdeCsazsar #Federale #Germania #JohannesGehlen #Odeum #OrganisationGehlen #Ovest #ReinhardGehlen #Roma #SarahAnnaMariaLiasCeide #spionaggio #Ungheria #URSS


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blocco dei trasporti a uso militare diretti al porto di anversa e destinati a izrahell


da ‘L’Espresso’ (facebook.com/share/14w6Drjx2e/):

Un tribunale di Bruxelles ha stabilito ieri – giovedì 17 luglio – che il governo fiammingo deve bloccare immediatamente il transito verso Israele di tutte le merci che possono essere utilizzate per scopi militari. La decisione è arrivata dopo che quattro Ong belghe hanno intrapreso un’azione legale contro il governo locale. La denuncia è arrivata in seguito al fermo, per un’ispezione, di container contenente componenti destinati all’azienda del comparto militare israeliano Ashot Ashkelon. L’accusa rivolta al governo fiammingo è di non rispettare gli obblighi previsti dal diritto internazionale riguardo al trasferimento di materiale militare proveniente da altri Paesi attraverso il porto di Anversa.

Uno degli snodi principali del commercio internazionale, dal porto di Anversa transita ogni giorno una quantità enorme di merci. Tra queste anche i cuscinetti a rulli conici che, secondo una di queste organizzazioni (Vredesactie), vengono utilizzati nella produzione dei carri armati Merkava e dei veicoli blindati Namer, impiegati a Gaza dall’esercito israeliano. Sempre secondo Vredesactie, ogni mese cinque navi salpano da Anversa verso Israele, il sospetto è che trasportino materiale militare.

Il tribunale ha deciso di vietare “il transito verso Israele di prodotti legati alla difesa e altri materiali utilizzabili per scopi militari per i quali non vi è una garanzia concreta che siano destinati esclusivamente a un uso civile”. In caso di violazione dell’ordinanza, il governo fiammingo rischia una multa di 50 mila euro. “Questa decisione storica riconosce la pesante responsabilità legale del governo fiammingo per aver facilitato missioni militari in uno Stato che commette crimini di guerra, persino genocidio. Il tribunale afferma ciò che i politici si rifiutano di riconoscere”, hanno dichiarato le organizzazioni in un comunicato stampa.

#Anversa #bambini #Bruxelles #children #colonialism #Gaza #genocide #genocidio #IDF #invasion #IOF #israelcriminalstate #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #massacri #ONG #Palestina #Palestine #portoDiAnversa #sionismo #sionisti #starvingcivilians #starvingpeople #warcrimes #zionism

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van gogh / alberto nacci. 2010


youtu.be/GdAwNYudsUo?si=OLlWLo…

#AlbertoNacci #music #musicA_ #VanGogh

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daniele luttazzi smonta le ennesime bugie israeliane

cliccare per ingrandire
.

#bugieIsraeliane #DanieleLuttazzi #debunking #Gaza #genocidio #iraele #Palestina

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Quella volta che Superman portò in orbita Hubble

edu.inaf.it/approfondimenti/sc…

Nella prima pagina di Action Comics 419 del 1972 vediamo uno shuttle che rilascia in orbita un satellite che assomiglia al telescopio spaziale Hubble: scopriamo come questo albo ha aiutato il famoso telescopio ad andare nello spazio!

#CaryBates #CurtSwan #LymanSpitzer #NancyGraceRoman #PeteSimmons #spaceShuttle #Superman #telescopioSpazialeHubble


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una recensione a cui rubo alcune righe, per sintesi


[…] Ma è soprattutto l’azione della P2 a bloccare l’Italia: rileggendo il Piano di Rinascita Democratica trovato nei documenti della figlia di Licio Gelli, è chiaro che l’egemonizzazione da parte degli USA della società italiana si afferma in questi anni e produce l’Italia in cui viviamo. Com’è ormai noto per le sentenze e le ricostruzioni dei movimenti di capitali che transitano per i conti di Gelli, la P2 agisce orchestrando una campagna di terrore con manovalanza neofascista che da Piazza Fontana all’omicidio di Aldo Moro segue una strategia che è stata studiata ormai in molti dettagli […]
il Piano di Rinascita Democratica ha vinto: siamo governati da eredi di Gelli e della destra fascista […].
Affermazione degli Usa in Italia: Le bombe da noi le han messe negli anni ‘70. Se le prospettive che erano ancora reali negli anni settanta sono diventate oggi utopiche, è perché la nostra vita sociale, collettiva, è rientrata nell’amministrazione ordinaria di una provincia americana […]

da doppiozero.com/il-male-gli-ann…
(Enrico Palandri, doppiozero, 16 lug. 2025)

#AldoMoro #anniSettanta #Cia #destraEversiva #destraFascista #Doppiozero #EnricoPalandri #fascismo #Gelli #LicioGelli #neofascismo #P2 #PianoDiRinascitaDemocratica #PiazzaFontana #stragismo #USA

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israele e la persecuzione dei palestinesi


“Lo smantellamento del diritto internazionale da parte del governo di Israele, che fa quello che vuole nel silenzio della comunità internazionale, provocherà conseguenze inimmaginabili per l’ordine mondiale. È dal 1948 che gli israeliani vogliono eliminare non i cristiani ma il popolo palestinese, come ha detto anche monsignor Shomali, vicario patriarcale per Gerusalemme e Palestina, in occasione dell’aggressione contro la comunità cristiana di Taybeh in Cisgiordania da parte dei coloni. È così dal 1948, così è stato fatto a Gaza e così ora vogliono fare in Cisgiordania: questi tre passaggi sono parte di un unico progetto.”

Don Nandino Capovilla, dalla Palestina, intervistato dal ‘manifesto’

#1948 #apartheid #bambini #children #colonialism #DonNandinoCapovilla #Gaza #genocide #genocidio #IDF #invasion #IOF #israelcriminalstate #israelestatocriminale #israelterroriststate #izrahell #massacri #Palestina #Palestine #puliziaEtnica #sionismo #sionisti #starvingcivilians #starvingpeople #Taybeh #warcrimes #zionism

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Cozzo Matrice, un sito archeologico da valorizzare. Lo facciano i tecnici, non i politici


Un sito archeologico poco noto al grande pubblico, ma ricco di testimonianze suggestive di grande valore, è oggi al centro di una polemica tra chi pretende di essere autore del suo recupero e chi ritiene che sia stata avviata una operazione di protagonismo politico condotta da personale non adeguatamente specializzato.

Parliamo di Cozzo Matrice in territorio di Enna, un piccolo gioiello con […]

Leggi il resto: argocatania.it/2025/07/18/cozz…

#archeologia #CodiceDeiBeniCulturaliEDelPaesaggio


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il romanzo in “oggettistica”. una lettura di gilda policastro


youtube.com/shorts/R6uNoRyLIxc…

qui il link al post originale di GP, che ringrazio: instagram.com/reel/DMIFnYVoE7l…

#GildaPolicastro #lettura #Oggettistica #reading #Tic #TicEdizioni

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Giro di prove


Certo che quando provo con Betta Amor scortese è sempre impegnativa l’occupazione dello spazio.

Ragionavamo che in questa maniera non riusciremo mai a portare questo programma all’estero in aereo.

Questa voce è stata modificata (3 giorni fa)

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pignastico aggiornamento sulla via della persistente miglioranza! (aggiornamenti Pignio)


È incredibile e pazzesco quanto in questi giorni sto migliorando infinitamente il mio Pignio, anziché marcire spiritualmente (…per quanto continuando a farlo fisicamente perché, se pur posso programmare in giro, è chiaramente più comodo e produttivo farlo a casina). Soprattutto, penso di aver risolto diversi problemi in un colpo solo stavolta, quindi miao!!! Poi oh, certamente Pignio non mi libererà in maniera magicamente definitiva dalla brama profonda che avrei per il ficcarmi un coltello in gola, però finché dura è la distrazione migliore che ho; mi salvo le mie immaginette perverse, e da stamattina pure i video, e faccio finta che vada tutto bene. 👻

Per prima cosa… cercavo, già da quando la settimana scorsa ho iniziato a sviluppare, un metodo per rendere l’esperienza di navigazione del sito più simile ad una SPA, cioè quelle webapp moderne tutte lato client che da anni vanno tanto di moda e non funzionano su nessun cazzo di browser se non le ultime 3 versioni major dei 3 browser esistenti… ma, ovviamente, tenendo il cuore della app sempre lato server. Ecco, la conseguenza di ciò è già in produzione, ma io ancora non riesco a credere che, alla base, sia stato così semplice: ho trovato questo coso chiamato Unpoly (cioè, Copilot me lo ha detto, ops), ed è bastato aggiungere il suo bundle JavaScript al mio HTML, + 3 righe di setup, per avere la navigazione senza refresh della pagina… sia i link che i form vengono gestiti infinitamente più velocemente, perché il browser non deve distruggere e ricreare tutto il DOM e gli affarini connessi ogni volta. 😳

Dovrò sistemarlo meglio nei giorni a venire, soprattutto perché di default non ha animazioni, ma è fantastico che alla base funzioni già completamente da solo… senza né cambi alla marcatura HTML, né l’aggiunta di codice sul server; cosa che quindi lo rende completamente plug and play, a differenza di (se ho capito bene) HTMX, un’altra libreria per fare questo tipo di fancy (e mi sa che, se le cose stanno così, implementerò questa libreria anche sui miei siti statici). L’unica cosa per cui dovrò aggiungere degli attributi HTML specifici (e solo quelli, nient’altro!) è per il caricamento progressivo nelle pagine degli elementi… che comunque è qualcosa che, se avessi fatto con codice custom, avrebbe richiesto ben più dell’aggiunta di 2 attributi HTML, quindi non c’è proprio niente di cui lamentarsi. Per ora l’ho fatto solo sulla home, che era la sezione più urgente su cui implementare una qualche paginazione, e così ho modo di testare se ho fatto le cose per bene, prima di passare alla ricerca e alle collezioni. (Spoiler: NON le ho fatte per bene; c’è un bug lieve che, ovviamente, ho scoperto solo in produzione…) 🐌
Codice Unpoly evidenziato per le due funzioni elencate a sinistra, lavagna progetto di GitHub a destra
E, nel frattempo… sto provando anche ad usare la funzione di gestione dei progetti di GitHub, per evitare di perdermi le cose da fare per strada (cosa che, ahimè, succede spesso)… e per evitare di perdere il mio spirito per strada, perché credo che la lavagna kanban, con le cose che si accumulano da una parte per poi spostarsi via via dall’altra man mano che si completano, sia segretamente soddisfacente. Forse è anche un’arma a doppio taglio, perché, casomai finirò con task arretrate di mesi (e, statisticamente, succederà), queste staranno lì belline, e la gente potrà rinfacciarmelo… ma pazienza, la tabella resta comunque pubblica per chi vuole spoilerarsi le prossime schifezze (o, non sia mai, contribuire con codice o documentazione a quello che è un progetto open-source, non sia mai!!!): github.com/octospacc/Pignio/pr…. 🦿

Boh, comunque sia, per chi ancora non ha goduto e sente l’impellente bisogno di farlo (adesso ben più di prima) ricordo che l’applicazione è su pignio.octt.eu.org Con anche il manifest PWA e tutto, tra l’altro, con cui si aggiunge per bene come webapp su Chromium… ma non su Firefox, perché ancora non ho un’icona pronta… e pure questa è una questione da risolvere velocemente, perché altrimenti ho difficoltà a trovare la app sulla mia stessa schermata home del telefono. (“Se tornate ancora indietro vi do un pignio!”) 😤

#frontend #OpenSource #Pignio #Unpoly #webdev


Pignio pignatico si rende superpignastico per pignare cose e cosine


L’altro giorno mi è venuta l’idea pazza che più pazza non si può etc etc… solito andazzo. Ma, per quanto l’andazzo sia sempre lo stesso del cazzo, il risultato delle mie macchinazioni è anche stavolta originale, e la primissima versione utilizzabile di esso è già in produzione da ieri sera. Occhi aperti sul nuovissimo gnammifico pezzo di software che è Pignio.octt.eu.org!!! (Che per poco non rischiava di chiamarsi Octterest…) 💣💫💥
Schermata home della app, che mostra i pin più recenti da tutti gli utenti in vista mattoneria
Questo coso spunta fuori dal fatto che, negli ultimi tempi, stava uscendo sempre più la necessità per me di avere un merdino per salvare ed organizzare elementi come link singoli o file multimediali, anche e soprattutto al volo, e potenzialmente renderli accessibili al pubblico… non so: memini, reference, cose da stampare, forse roba PDF file, tutto sotto il mio controllo a prova di sparizione. Ovviamente, una cartella con varie sottocartelle (magari sincronizzata su una repo Git pubblica), che in altri casi sarebbe l’opzione più ovvia, nel complesso qui non va bene, perché l’agilità va a farsi benedire… ma, io sono pur sempre una ragazza magica, dunque non devo accontentarmi delle soluzioni esistenti!!! 😍

In effetti, di software specializzati per salvare cose ce ne sono a bizzeffe… ne hosto io stessa da anni uno per link e articoli dal web, Shiori… però, non so, manca in tutti quella cosa in più per questo caso d’uso… Tra cui, il fatto che è bello facile a salvare elementi singoli dentro tutti quei robi, ma se io ipoteticamente (…e praticamente) avessi cartelle già piene di roba sul PC, che stracavolo dovrei fare? Quindi, beh, semplicemente ho progettato Pignio per operare direttamente sul file system, pescando e salvando sia file che metadati da e su file nella cartella del server, e ho fuso insieme quei due universi che mai devono toccarsi, rispettivamente della banalità informatica e dell’alta informaticain altre parole, è flat-file, e sono negativamente stupita del fatto che non esista alcun altro software lato server per questo scopo qui ma con questa caratteristica. 🤥

Ora è davvero nelle fasi iniziali, e funziona bene… bisognerà vedere poi quanto regge, soprattutto con decine o centinaia di migliaia di file multimediali da trovare sul disco, con altrettanti file INI messi affianco da cui vengono letti i metadati (e quanto sarà l’overhead sul disco avendo tutti questi file da poche centinaia di byte ciascuno), ma la struttura del file system (per gli elementi creati dalla app stessa, identificati da un ID Snowflake, non i file tirati da fuori) penso di averla architettata bene. Sarà davvero la prova definitiva per l’architettura flat-file, se davvero finisco per riempire il sistema con questo passo… ma, in compenso, una repo Git sarà perfetta per fare il backup di tali questi miei preziosi dati (cosiddetto “mio tessoro“), non avendo blob di database. 🤤

Lo stile dell’interfaccia, e a breve anche il sistema di raggruppamento di elementi in collezioni, vabbé, l’ho copiato spudoratamente da Pinterest, e mi sembra ben ovvio… ma, differenza di Pinterest, Pignio ha vantaggi molto tosti… in primis è mio, quindi posso sistemarlo per non avere tutti i bug di merda (Pinterest ne ha infiniti!), poi è self-hostabile, quindi i dati sono già sempre fisicamente in mano a me; e, in più, funziona senza JavaScript, e quindi anche su browser vecchi (pur se con un layout mezzo rotto su quelli, per via del framework che ho usato, UIKit)… figurarsi se io trascuravo proprio una cosa del genere. 😤

Il lavoro da fare è ancora tantino però (e te pareva), perché, a parte le collezioni, ci sono cose solo da sistemare. Cose piccole, come l’importazione automatica di elementi da feed RSS esterni (…ed implementare i feed della roba dalla app stessa)… ma poi anche cose grosse ma assolutamente necessarie, come avere un OCR automatico sulle immagini, o più in generale il riconoscimento dei contenuti per fare tagging automatico, così da ottimizzare la ricerca e potenzialmente avere un algoritmo di suggerimento utile in un’istanza con più utenti. A proposito… ancora non ho nemmeno finito di implementare i permessi per gli utenti, quindi non posso invitare ancora nessuno a provare la mia istanza… però, ho reso pubblico il codice già da ieri (nonostante inizialmente pensavo di aspettare un po’, perché potrei cambiare alcune cose della struttura dati… ma francamente non freca): gitlab.com/octospacc/Pignio. GODETE!!! 😈😳

#Dev #FlatFile #media #Pignio #Pinterest #selfhost #sviluppo #webapp #webdev


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in reply to minioctt

Ocio che nessuna licenza equivaleva a "tutti i diritti riservati" ossia è software proprietario, ogni copia che non autorizzi esplicitamente è illecita!
in reply to Paolo Redaelli

@paoloredaelli @paoloredaelli Lo so lo so, e per questo non mi va bene 🤣 Sennò che lo metto a fare pubblico il sorgente, per bellezza? In genere quando inizio nuovi progetti impiego sempre fin troppi giorni a sistemare il README e caricare una licenza, ma prima o poi lo faccio sempre, anche per questo.

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Paolo Borsellino: un eroe di ieri di cui l’oggi ne ha bisogno impellente

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“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. ”


Il rapporto tra la mafia contemporanea e i giovani è un tema complesso e di grande attualità. Oggi le organizzazioni mafiose (come Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, e altre realtà emergenti) continuano ad adattarsi ai cambiamenti sociali, economici e culturali, e purtroppo riescono ancora a coinvolgere i giovani in vari modi.

Come la mafia coinvolge i giovani oggi


1. Reclutamento nei quartieri disagiati
In molte aree ad alta marginalità sociale, la mafia offre ai giovani una “scorciatoia” per ottenere soldi, status e potere. Viene sfruttata la mancanza di opportunità lavorative e l’assenza dello Stato.

2. Lavori illegali e microcriminalità
I ragazzi possono essere coinvolti in attività come spaccio di droga, estorsioni, furti, e usura. Spesso iniziano con piccoli incarichi, per poi essere progressivamente integrati nella struttura mafiosa.

3. Uso dei social media
Alcune mafie stanno usando TikTok, Instagram e Facebook per mostrare una vita di lusso, ostentare ricchezza e potere, e attrarre giovani in cerca di riconoscimento o rispetto.

4. Coinvolgimento indiretto
Altri giovani, pur non essendo affiliati, sono “consumatori” del sistema mafioso: comprano droga, frequentano locali controllati dalla mafia, oppure accettano “favori” in cambio di silenzio.

Cosa attira i giovani verso la mafia


Mancanza di alternative: lavoro, cultura, tempo libero
Modelli negativi: l’idea del “boss” come vincente
Assenza di fiducia nelle istituzioni
Fascinazione per il potere e il denaro facile

Come si potrebbe contrastare il fenomeno


1. Educazione alla legalità
Progetti scolastici, testimonianze di vittime o pentiti, iniziative di antimafia sociale e culturale sono fondamentali per formare coscienze critiche.

2. Lavoro e inclusione sociale
Offrire vere opportunità (borse di studio, sport, cultura, impresa giovanile) è il modo migliore per togliere manodopera alla criminalità.

3. Esempi positivi
Testimoni come don Luigi Ciotti (Libera), associazioni, cooperative sui beni confiscati dimostrano che un’alternativa è possibile.

Paolo Borsellino: un eroe di ieri, di cui l’oggi ne ha bisogno impellente


Paolo Borsellino è stato un magistrato italiano, nato a Palermo il 19 gennaio 1940 e assassinato dalla mafia il 19 luglio 1992 in via D’Amelio, sempre a Palermo. È considerato, insieme a Giovanni Falcone, uno dei simboli più importanti della lotta alla mafia in Italia.
Paolo Borsellino

Chi era Paolo Borsellino?


Professione
Magistrato, giudice istruttore, poi procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo.
Impegno: Si è dedicato con determinazione al contrasto di Cosa Nostra, l’organizzazione mafiosa siciliana.

Collaborazione con Falcone: Faceva parte del cosiddetto “pool antimafia”, insieme a Falcone e altri magistrati, che avviò importanti indagini sui vertici mafiosi.
La vita privata di Paolo Borsellino era semplice, riservata e profondamente segnata dal senso del dovere, dalla famiglia e dalla fede. Nonostante fosse un uomo pubblico per il suo impegno contro la mafia, nella sfera personale rimase sempre molto discreto e legato agli affetti più intimi.

Famiglia
Moglie: Paolo Borsellino era sposato con Agnese Piraino Leto, figlia di un magistrato. I due si conobbero da giovani e si sposarono nel 1968.
Figli: Ebbero tre figli: Lucia Borsellino, ex assessore alla Sanità in Sicilia, oggi impegnata in progetti legati alla legalità.
Manfredi Borsellino, funzionario di Polizia, oggi Dirigente della Polizia di Stato. Fiammetta Borsellino, attivista per la verità sulle stragi del ’92, molto impegnata nella memoria del padre.

Vita quotidiana
Borsellino viveva a Palermo, in una condizione di grande pressione: la sua vita era sotto costante sorveglianza a causa delle minacce della mafia.
Era molto legato alla madre, che abitava in via D’Amelio – proprio dove avvenne l’attentato.
Nonostante il lavoro impegnativo, cercava di preservare momenti di normalità con la sua famiglia, spesso anche con ironia e umanità.

Fede e valori
Paolo Borsellino era una persona di profonda moralità e valori cattolici. Aveva un forte senso dello Stato, della giustizia, della responsabilità. Si dichiarava credente e viveva il proprio lavoro come una missione civile e morale.

Credeva nella forza dell’esempio, soprattutto verso i giovani.

Era descritto da chi lo conosceva come: Gentile, educato, molto riflessivo. Dotato di ironia sottile e forte autocontrollo. Un uomo di pochi amici intimi, ma fedeli.
Aveva una passione per la lettura e la storia, in particolare quella del Risorgimento e della Costituzione italiana.

Vita sotto scorta


Dopo l’assassinio di Falcone (maggio 1992), la sua vita cambiò radicalmente: Dormiva poco. Era consapevole di essere “un morto che cammina”, come disse ad amici e familiari.
Continuava comunque a lavorare con determinazione e coraggio, dicendo:
“Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.”

Il Maxi Processo


Tra i principali risultati del suo lavoro c’è il Maxi Processo di Palermo (1986-1992), il più grande processo penale mai celebrato contro la mafia, che portò a centinaia di condanne.
Il processo si basava anche sulle rivelazioni di Tommaso Buscetta, primo grande “pentito” di Cosa Nostra.
Il Maxi Processo di Palermo (1986–1992) è stato il più grande processo penale della storia italiana contro la mafia, in particolare contro Cosa Nostra, l’organizzazione criminale siciliana. È considerato una pietra miliare nella lotta alla mafia e un capolavoro di diritto e coraggio, voluto e portato avanti da magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e altri membri del pool antimafia.

Cos’è stato il Maxi Processo?


Luogo: Palermo, all’interno dell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, costruita appositamente per motivi di sicurezza.
Inizio: 10 febbraio 1986
Fine: 30 gennaio 1992 (con la sentenza definitiva della Cassazione)
Durata: 6 anni
Imputati: 475 mafiosi
Capi d’accusa: Omicidio, traffico di droga, estorsione, associazione mafiosa, e altri reati gravi.

Protagonisti principali


Magistrati del pool antimafia: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta

Collaboratori di giustizia fondamentali:


Tommaso Buscetta, il primo vero “pentito” di Cosa Nostra, che rivelò l’organizzazione piramidale della mafia e i rapporti interni tra le famiglie.
Salvatore Contorno, altro pentito che confermò le rivelazioni di Buscetta.

Perché fu un processo storico?


Per la prima volta, la mafia fu trattata come un’organizzazione unica e strutturata, non come sommatoria di singoli reati. Si applicò l’articolo 416-bis del codice penale, introdotto nel 1982, che riconosce l’associazione mafiosa come reato specifico. Venne accertata l’esistenza della “Cupola”, cioè una struttura di vertice di Cosa Nostra.

Le sentenze


Primo grado (1987): 19 ergastoli
2665 anni di carcere complessivi
Appello (1990): alcune condanne ridotte
Cassazione (30 gennaio 1992):
Conferma quasi totale delle condanne
Presidente della Corte: Corrado Carnevale, inizialmente sostituito per sospette simpatie verso ambienti mafiosi
Il Maxi Processo si concluse con la conferma definitiva della sentenza: fu una vittoria storica dello Stato contro la mafia.

Le conseguenze


Totò Riina e i boss di Cosa Nostra non accettarono la sconfitta.
Pochi mesi dopo la sentenza definitiva, nel 1992, Falcone e Borsellino furono assassinati.
Le stragi furono viste come vendetta e intimidazione verso lo Stato.

Eredità


Il Maxi Processo dimostrò che la mafia si può combattere con le leggi e la giustizia. Ha ispirato nuove generazioni di magistrati, studenti e cittadini a credere nella legalità. Ancora oggi è un esempio studiato in tutto il mondo per come è stato organizzato, difeso e concluso.

L’attentato di via D’Amelio


Il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino fu ucciso da un’autobomba parcheggiata sotto casa della madre. Nell’attentato morirono anche cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Solo 57 giorni prima, anche Falcone era stato assassinato con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta nella strage di Capaci.
L’attentato di via D’Amelio, in cui fu assassinato Paolo Borsellino, è uno degli episodi più tragici e controversi della storia della lotta alla mafia in Italia. Avvenne il 19 luglio 1992, a Palermo, 57 giorni dopo la strage di Capaci, in cui era stato ucciso l’amico e collega Giovanni Falcone.

L’attentato: cosa accadde il 19 luglio 1992


Alle ore 16:58, una Fiat 126 imbottita con circa 100 kg di esplosivo saltò in aria in via Mariano D’Amelio, sotto casa della madre del magistrato. Paolo Borsellino stava andando a trovare la madre, accompagnato dalla sua scorta. L’esplosione fu devastante: il magistrato morì sul colpo, insieme a 5 agenti della scorta.

Le vittime:


Paolo Borsellino, 52 anni, Agostino Catalano, capo scorta, Emanuela Loi, 24 anni (prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli
L’unico agente sopravvissuto fu Antonio Vullo, che era rimasto in macchina.

La dinamica e i misteri


Come fu organizzato: La mafia fece parcheggiare la Fiat 126 sotto casa della madre di Borsellino giorni prima. L’auto fu rubata e preparata a Palermo con un telecomando a distanza. L’attentato fu pianificato con cura e precisione da Cosa Nostra, in particolare dal boss Totò Riina.

I misteri irrisolti:


Chi sapeva i movimenti di Borsellino? Solo pochi conoscevano i suoi spostamenti.
La sparizione dell’agenda rossa: nella borsa di Borsellino ritrovata integra non c’era il suo diario personale, sparito misteriosamente (vedi sopra).
Presenze “anomale” sulla scena del crimine: diversi testimoni parlarono di uomini in abiti civili o divise che presero oggetti dalla macchina.

Ipotesi sulla trattativa Stato-Mafia


Negli anni successivi, molti hanno ipotizzato che Borsellino fu ucciso perché sapeva troppo su una presunta “trattativa” tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, in cui si cercava un accordo per fermare le stragi in cambio di benefici per i mafiosi detenuti. Borsellino forse aveva scoperto qualcosa, e stava indagando. Questo potrebbe averlo reso ancora più pericoloso agli occhi della mafia – e forse anche di settori deviati delle istituzioni.

Conseguenze e memoria


Lo shock dell’attentato spinse migliaia di cittadini a scendere in piazza, specialmente i giovani. Nacquero movimenti antimafia, come quello delle Agende Rosse fondato dal fratello Salvatore Borsellino.
Ancora oggi, la verità completa su via D’Amelio non è mai stata chiarita del tutto

Simbolo di coraggio


La strage di via D’Amelio ha trasformato Paolo Borsellino in un simbolo eterno della legalità e della lotta alla mafia. Le sue parole, le sue azioni e il suo sacrificio continuano a ispirare generazioni.
Oggi Paolo Borsellino è considerato un eroe nazionale.
Viene ricordato ogni anno, specialmente il 19 luglio, in eventi pubblici, scuole e manifestazioni civili.
A lui sono intitolate scuole, piazze, vie, e biblioteche in tutta Italia.
La sua figura è centrale nel racconto dell’Italia contro la mafia.

Libri consigliati:
“Gomorra” di Roberto Saviano
“Io non ho paura” Ammaniti
“La mafia spiegata ai bambini: l’invasione degli scarafaggi” di Marco Rizzo
“La mafia spiegati ai ragazzi” di Antonio Nicasio

#Borsellino #capaci #mafia #strage

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Prospettiva cosmica

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video del convegno “e-lit. letteratura elettronica: il futuro della letteratura, la letteratura del futuro”, università di cagliari, 29 mag. 2025


youtube.com/embed/DTfTECO76bc?…

eLIT, letteratura elettronica: il futuro della letteratura, la letteratura del futuro,
registrazione del convegno organizzato dalla Università di Cagliari, dalla rivista Erbafoglio e dalla community LEI (Letteratura elettronica Italia) – giovedì 29 maggio 2025 – Facoltà di studi umanistici – Aula Magna Motzo

Moderatore:
Duilio Caocci: ricercatore – Dipartimento di lettere, lingue e beni culturali

Interventi:
Elisabetta Gola: direttrice del Dipartimento di pedagogia, psicologia e filosofia
Emiliano Ilardi: professore ordinario – Dipartimento di scienze politiche e sociali
Roberta Iadevaia: ricercatrice indipendente – autrice del libro Per una storia della letteratura elettronica italiana (Mimesis, 2021) e fondatrice di letteratura-elettronica.it/LEI…
Fabrizio Venerandi: scrittore, poeta e programmatore, autore di Necronomicon, primo videogioco letterario online italiano,
Marco Giovenale: scrittore, editor, autore di vari progetti dedicati anche alla eLIT, tra cui gammm.org, Asemic e Slowforward
Arnaldo Pontis: informatico, musicista, redattore della rivista ‘Erbafoglio’, autore del progetto «Ipertesto Poetico 4D»
Antonello Zanda: direttore della rivista Erbafoglio e della Cineteca sarda


*
(chi fosse interessato all’intervento di MG, laterale rispetto alla quantità e qualità di materiali trattati dagli altri relatori, può ascoltare da 2h 09′ 44”, oppure cliccare direttamente qui)

#AntonelloZanda #ArnaldoPontis #asemic #CinetecaSarda #convegno #DuilioCaocci #ElisabettaGola #eLIT #EmilianoIlardi #Erbafoglio #FabrizioVenerandi #IpertestoPoetico4D #laLetteraturaDelFuturo #LEI #LEILetteraturaElettronicaItalia #letteratura #letteraturaElettronica #letteraturaElettronicaIlFuturoDellaLetteratura #MarcoGiovenale #Necronomicon #PerUnaStoriaDellaLetteraturaElettronicaItaliana #RobertaIadevaia #simposio #UniversitàDiCagliari

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L’immagine del Potere nell’era digitale


L’immagine-Trump come simbolo del Potere è fortemente legata all’avvento dei nuovi media e delle nuove immagini digitali.

In Pictorial Trump (2025)[1], lo studioso Andrea Rabbito prende in esame la costruzione dell’immagine-Trump osservando come vi sia una linea di continuità tra la sua vecchia immagine di imprenditore immobiliare e la sua immagine di politico. Non a caso, per la sua ascesa politica, Trump ha recuperando lo slogan “Let’s Make America Great Again” in auge nell’America reaganiana degli anni Ottanta, quando si prodigava a vendere sogni insieme ai lussuosi palazzi marchiati, come fossero bestiame, con il suo nome. L’immagine-Trump come simbolo del Potere è, secondo Rabbito, fortemente legata all’avvento dei nuovi media e delle nuove immagini digitali, contraddistinte da particolari modalità di produzione, circolazione e fruizione. Se parte del fascino di Trump deriva dal suo aver saputo costruire un’immagine di sé capace di presentarlo come realizzatore di sogni, a renderlo attraente è anche la sua propensione ad una condotta all’insegna dell’esagerazione, dell’insolenza, delle spavalderie e del disinteresse per le consuetudini e le buone maniere.

Ogni volta che vede vacillare la sua immagine di successo, come un giocatore d’azzardo, Trump rilancia, senza mai ammettere l’errore o il fallimento. Non a caso dallo studio di Rabbito sull’immagine di Trump emerge anche un punto di svolta, che però, anziché indicare una rottura con il passato, assume l’aspetto di un rilancio che lo proietta in avanti aumentando la posta in palio. Tutto ciò risulta evidente nel confronto tra il ritratto ufficiale scelto da Trump per il suo primo mandato, che intende mostrare il volto sorridente e compiaciuto di chi ha saputo replicare in politica i successi imprenditoriali, e il ritratto scelto per il secondo mandato, in cui compare il volto minaccioso di un politico che, dopo aver sostenuto persino l’azzardo dello sguaiato assalto a Capitol Hill, sembra intenzionato a regolare i conti con tutti coloro che considera nemici suoi, dunque del Paese. In questa logica di contino rilancio pur di non andare a vedere le carte, il Presidente sembra voler/dover mostrare che stavolta intende fare sul serio, come dimostra la violenta ed infame caccia ai migranti irregolari immortalata dalle immagini trasmesse con compiacimento dai canali ufficiali.

Le modalità con cui Trump si presenta ai media, dunque agli Stati Uniti e al resto del mondo, manifestano il desiderio di palesare la rottura dei protocolli e delle consuetudini. Pur non mancando occasioni in cui il Presidente statunitense parla ai giornalisti in piedi, dietro a un leggio o, più facilmente, senza di esso, colpiscono le tante occasioni in cui si esibisce seduto, a volte dalla scrivania, altre riposto sguaiatamente su una sedia in mezzo a una stanza, solo o in compagnia di qualche stretto collaboratore o ospite.

A questa ultima modalità appartengono due casi in cui sono state allestite delle vere e proprie imboscate nei confronti degli ospiti internazionali: l’incontro alla Casa Bianca con Zelensky, letteralmente umiliato pubblicamente da Trump e da Vance, e il ricevimento del presidente sudafricano Ramaphosa, improvvisamente accusato da Trump – con tanto di ricorso a un video a suffragio di quanto sostenuto – di tollerare il genocidio degli agricoltori bianchi perpetrato dalla popolazione di colore del paese africano. In tali circostanze la scenografia composta da sedie isolate dal resto del mobilio ha conferito agli eventi le sembianze di un crudo “palcoscenico-tribunale del popolo” stile western in favore di telecamere e macchine fotografiche. Riemerge in questi casi l’immagine torva del volto di Trump che campeggia sul ritratto ufficiale del suo secondo insediamento, derivata del resto da una sua vecchia foto segnaletica: l’espressione è quella di chi ha perso la pazienza, di chi non vuole più essere trattenuto da lacci e lacciuoli, da etichette e consuetudini. Si è aperta l’era in cui le cose vanno risolte in maniera rude e diretta, senza tentennamenti e formalismi, da veri cowboy privi di scrupoli.

Tra i casi di messe in scena dei protagonisti seduti su sedie pressoché isolate dal resto dell’ambiente, si possono ricordare l’incontro tra Zelensky e Trump all’interno della Basilica di San Pietro in occasione dei funerali del pontefice Francesco – con un patetico Macron che si è visto rifiutare l’ammissione a quella che, anche alla luce del luogo, ha assunto le sembianze di una confessione informale – e diversi incontri tra Trump e Meloni sia alla Casa Bianca, espressamente in favore dei media, sia in situazione più informale, ma che si concede altrettanto volontariamente agli obiettivi, su una panchina di legno al Pomeroy Kananaskis Mountain Lodge, a margine del G7 canadese. Eventi, questi ultimi, accomunati della Presidente del Consiglio italiana costretta a sporgersi in maniera innaturale per avvicinarsi ossequiosamente alla figura più distaccata e piegata in avanti del tycoon statunitense.

Alla tipologia in cui Trump se ne sta informalmente seduto dietro la scrivania di fronte ai media appartengono i tanti incontri in cui ha mantenuto in piedi al suo fianco uno o più collaboratori – si pensi ai casi di Musk, con tanto di figlioletto al seguito, in tenuta da creativo, con cappellino in testa e t-shirt informale sotto la giacca – o al surreale ricevimento di alcuni rappresentanti della squadra di calcio torinese di Elkann, in cui Trump discuteva di scenari di guerra con i media mantenendo i calciatori in piedi alle sue spalle in evidente imbarazzo. In tutti i casi riportati è evidente l’intenzione del Presidente statunitense di celebrare il proprio potere mettendo al contempo a disagio gli interlocutori, palesemente ridotti a ruoli di subalternità.

Una delle messe in scena dal maggior impatto iconico è ben descritta da Rabbito nel suo libro e riguarda l’immagine dello Studio Ovale nel momento della presentazione del White House Faith Office con cui il Presidente pare quasi assumere simbolicamente l’inedito ruolo di guida religiosa. «Trump appare, infatti, avvolto da un’aura divina; si offre come pilastro su cui gli uomini e le donne di fede trovano appoggio e sicurezza spirituali; su di lui, sulle sue spalle, sulle sue braccia, poggiano la propria mano i predicatori, nel mentre sono tutti raccolti in preghiera, con occhi chiusi e capo chino, come fossero ispirati da lui, trasportati altrove grazie a lui, e a lui si affidassero. Trump, in questo modo, non solo trasmette conforto e speranza, ma appare anche medium per una comunicazione con il trascendente»[2].

Sapendo sfruttare le potenzialità dei nuovi media e delle nuove immagini digitali, attraverso condotte e parole votate all’eccesso e alle tante immagini continuamente postate sui profili istituzionali che lo vedono protagonista tanto della realtà sempre più grottesca che mette in scena (dai berrettini MAGA stile baseball indossati senza badare al dress code imposto dall’etichetta alle insolite ambientazioni orchestrate in ambienti e occasioni istituzionali), quanto di scenari creati digitalmente (si pensi al video su Gaza città del divertimento, alle immagini che lo mostrano nei panni di un supereroe stile Marvel ecc.). Indubbiamente Trump ha costruito un’immagine di sé coincidente con l’immagine del potere destinata ad incidere sull’immaginario soprattutto, ma non solo, statunitense, destinata a lasciare postumi ben al di là del suo secondo mandato alla Casa Bianca.

Per Codice Rosso, Max Renn

[1] Andrea Rabbito, Pictorial Trump. Il ruolo politico delle nuove immagini, Introduzione di Ruggero Eugeni, Postfazione di Roberto Revello, Mimesis, Milano-Udine, 2025

[2] Ivi, p. 98.

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[r] _ carmelo bene e goffredo fofi conversano


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fonte: youtu.be/D7nHT3bADmg
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