Il 18 gennaio 1945 prese avvio la missione Morristown
Durante il mese di agosto ‘44, precisamente il 4, prese avvio la battaglia di Firenze, che durò fino al primo giorno del mese successivo. In tale occasione, le truppe dell’OSS operarono in diretto contatto con le forze partigiane locali.
Oltre ad aiutare la resistenza, l’OSS ebbe tra gli obiettivi anche quello di recuperare molta documentazione tedesca, per analizzare lo “stato dell’arte” dei nazisti, prima che venisse distrutta dagli stessi nazisti.
In un incontro con Donovan, Corvo suggerì al fondatore dell’agenzia di intelligence di iniziare a raccogliere materiale e documentazione in chiave antisovietica.
Inoltre, Corvo, vista la grande presenza di documentazione in Italia in quanto ex alleata della nazione nipponica, intraprese anche una raccolta di informazione nei confronti del Giappone.
Ad agosto prese avvio anche la missione Mangosteen, la quale divenne il contatto ufficiale con il Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia.
A questa missione venne affidato il Tenente Icardi, accompagnato da Tullio Lussi, un italiano appartenente all’ORI con il compito di far da guida al tenente statunitense. Lussi venne scelto per il suo ottimo rapporto di amicizia con Enzo Boeri che, nel mentre, era divenuto vicecapo del CLNAI. Alla missione Mangosteen venne incorporata l’operazione Chrysler, la quale avrebbe dovuto paracadutare le forze degli Operational Group, nella stessa area della prima missione. A capo della missione Mangosteen-Chrysler fu posto il capitano Holohan.
In generale, tra l’agosto 1944 e il successivo mese di dicembre, vennero create numerose missione da parte dell’Office of Strategic Service in Nord Italia, queste, che analizzeremo in un capitolo apposito, furono la dimostrazione di come si fossero evolute rapidamente le politiche e i ruoli all’interno del comando Alleato.
L’OSS tramite il suo apporto fondamentale nella liberazione del Centro-Sud Italia si era dimostrata pronta e all’altezza in tutte le situzioni nella quale si era ritrovata, alimentando e accrescendo – di conseguenza – il proprio rispetto all’interno dell’Alto Comando.
L’apporto della Moral Operation Branch fu determinante per rendere più efficaci le missioni nel Nord Italia. Peraltro, ricordiamolo ancora una volta, il ruolo di questa sezione fu determinante anche per la liberazione di Roma dove giocò un ruolo fondametale.
Il mezzo principale di divulgazione delle notizie venne individuato nei partigiani, soprattutto nelle donne e nei bambini, poiché, nell’immaginario tedesco e fascista, destavano meno attenzione.
Ottenuti i giornali falsi e i volantini di propaganda tramite lanci alleati, questi ultimi, li facevano circolare lasciandoli “casualmente” in osterie, bar, tram, latrine e luoghi pubblici ben frequentati.
In aggiunta all’azione partigiana prendeva al via l’operazione Cornflaxe, richiamata nel capitolo precedente, che mise in seria difficoltà il sistema postale nazi-fascista.
Il rapporto dell’Office of Strategic Service a riguardo recità così:
“He [Tassinari] personally smuggled a copy of the plans in the soles of his shoes to the OSS in Siena, and from there the plans were rushed to General Clark’s G-2. The plans showed that the weakest spot in Kesselring’s defenses was at Il Giogo Pass, at the juncture of his Tenth and Fourteenth Armies. Clark therefore shifted the main attack of his II Corps eastward to the area indicated by the partisan intelligence. If Clark were to break through to the foot of thev mountains, he would be in position to trap and destroy Kesselring’s forces by cutting the flatland Route 9 from Bologna to Milan.” <88
Queste informazioni, considerate le migliori a disposizione, vennero implementate anche da delle riprese eseguite con una cinepresa nei pressi della zona, che il 17 settembre 1944, sarebbe poi divenuta quella di attacco.
Per le fonti di cui abbiamo consocenza, questo evento, individua la prima volta nella storia dove una missione militare è stata pianificata anche grazie all’ausilio di immagini, andando così a rivoluzionare il metodo di preparazione e pianificazione della stessa guerra.
Nonostante le numerose missioni, verso la fine dell’autunno del ’44, gli Alleati trovarono nuove difficoltà nello sfondare le linee nemiche. Per tale motivo, insieme alla volontà della riorganizzazione generale delle forze Alleate, il generale Harold Alexander, il 13 novembre, diramò su Radio Italia Combattente un messaggio nel quale, pur esprimendo forti ringraziamenti alla resistenza italiana per l’aiuto nella lotta contro le truppe nazifasciste, considerate le cattive condizioni meteo tipiche del Nord Italia, durante i mesi invernali, le missioni di approvvigionamento si sarebbero interrotte per poi riprendere alla fine dell’inverno.
Bisogna sottolineare come la dichiarazione di Alexander si limitasse alle sole missioni di approvigionamento estese, lasciando invece proseguire tutte le missioni dietro le linee nemiche già in atto, poiché utile strumento per destabilizzare le truppe nemiche in un momento di “pausa”.
Per tale motivo, tra il 15 e il 30 novembre, furono paracadutati nuovi ingenti rifornimenti in buona parte del Nord Italia, rifornimenti recuperati dagli agenti dell’OSS e dai gruppi partigiani.
La prima missione di approvvigionamento delle truppe dietro le linee nemiche, dopo il blocco del mese di dicembre precedente, fu fatta il 16 gennaio, per rifornire la missione Lobo. Il 18 gennaio prese avvio la missione Morristown, la quale venne paracadutata per distruggere alcuni obbiettivi della missione precedente Orange nell’area piemontese.
Il sostegno dell’OSS ai partigiani e ai propri agenti fu enorme, basti pensare che solamente nel mese di febbraio e indipendentemente dal credo politico dei gruppi partigiani, vennero paradutate ben 778.990 libbre, circa 400 tonnellate, di beni dietro tutte le linee nemiche.
Il primo aprile Corvo e Scamporino si incontrarono con il generale Cadorna <89 e Ferruccio Parri <90 a Roma. Lo scopo di tale incontro fu quello di stabilire il ruolo del CLNAI dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Parri e Cadorna tennero un incontro simile quattro giorni dopo con i rappresentati del SOE. Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, a partire dal 26 aprile, prese il ruolo di organo di Governo straordinario del Nord Italia. Nel febbraio del 1946 il CLN centrale assunse i doveri del CLNAI fino al 21 giugno 1946, quando l’organizzazione venne sciolta, lasciando spazio al nuovo governo.
Le missioni dell’OSS terminarono in Italia subito dopo il 25 aprile, quando le numerose missioni alleate e il gran numero di partigiani, si unirono in un insurrezione generale portando alla ritirata delle truppe naziste e fasciste.
Donovan stesso, appena finito il conflitto, donò due aerei di medicinali al CLNAI così da potersi “sdebitare” visto l’enorme aiuto conferito durante la guerra.
La presenza dell’OSS in Italia cessò definitivamente il 24 maggio, quando tutti gli uffici furono posti in disuso e la maggior parte delle truppe era già rientrata in patria. Il 24 maggio i due direttori sul campo della Sezione Italiana del ramo Secret Intelligence dell’Office of Strategic Service, Max Corvo e Vincent Scamporino, rientrarono a Washington.
[NOTE]88 Egli [Tassinari] personalmente trasportò di nascosto una copia dei piani nelle suole delle scarpe all’OSS di Siena, e da lì i piani furono inviati in tutta fretta al G-2 del generale Clark. I piani mostravano che il punto più debole delle difese di Kesselring era il Passo del Giogo, all’incrocio tra la Decima e la Quattordicesima Armata. Clark spostò quindi l’attacco principale del suo II Corpo d’Armata verso est, nell’area indicata dai partigiani. Se Clark fosse riuscito a sfondare fino ai piedi delle montagne, sarebbe stato in grado di intrappolare e distruggere le forze di Kesselring, tagliando la strada pianeggiante n. 9 da Bologna a Milano.
89 Raffaele Cadorna (1889-1973) è stato un generale e un politico italiano, figlio del generale Luigi Cadorna. Fu il comandante del Corpo Volontari della Libertà durante il Secondo conflitto mondiale.
90 Ferruccio Parri (1890-1981) è stato un partigiano italiano e il primo Presidente del Consiglio dei ministri (21 giugno 1945-10 dicembre 1945).
Matteo Paglia, Ex pluribus unum. Come l’Office of Strategic Service ha rivoluzionato il sistema d’intelligence statunitense, Tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2024-2025
Come sopra visto, tra la fine del ’43 e gli inizi del ‘44, lo spionaggio americano in Italia sviluppò elementi più spiccatamente diplomatici, mentre attenuò quelli militari. In particolare, il prestigio del SI dell’OSS che collaborò con l’Intelligence Division (G-2) della V Armata americana, nella trasmissione al XV Gruppo d’Armate e all’AFHQ di significativi rapporti sulle missioni compiute dietro le linee nemiche, crebbe, mentre la Research & Analysis (R & A) redasse interessanti rapporti sugli sviluppi della situazione economica e politica in Italia. La Morale Operations Branch (MO), altresì, pose in essere una massiccia campagna volta a minare il morale delle truppe dell’Asse in Italia e
incrementare la simpatia per la causa alleata presso i civili italiani. L’OSS intensificò, così, i suoi contatti in Italia, reclutando agenti ovvero instaurando contatti con informatori occasionali di varia estrazione sociale e politica, da alcuni esponenti di spicco dei sei partiti antifascisti che composero il CLN di Roma, quali Pietro Nenni, storico segretario del Partito Socialista (PSI) e editore dell’”Avanti!”, Giuseppe Romita, leader socialista, che a Roma, nel luglio 1942, aveva rifondato il PSI; Emilio Lussu, fondatore e leader del movimento Giustizia e Libertà, il repubblicano Ugo La Malfa, il repubblicano Randolfo Pacciardi, il liberalsocialista e azionista Prof. Guido Calogero, a ministri e sottosegretari dei Governi Bonomi, a cominciare dallo stesso Primo Ministro, a Francesco Cerabona, ministro delle Comunicazioni e socialdemocratico, a Benedetto Croce, filosofo e liberale nonché ministro del primo governo Bonomi, a Marcello Soleri, liberale e ministro del Tesoro, a Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista (PCI) e ministro senza portafoglio, a Giuseppe Saragat, leader socialista e ministro senza portafoglio e, ancora, Guido De Ruggiero, azionista e ministro dell’Educazione, Stefano Siglienti, azionista e ministro delle Finanze, Umberto Tupini, cristiano-democratico e ministro della Giustizia, Alcide de Gasperi, leader del partito della Democrazia Cristiana (DC), Renato Morelli, liberale e sottosegretario per gli italiani all’estero, Carlo Sforza, ministro senza portafoglio, Alberto Cianca, azionista e ministro senza portafoglio, Visconti-Venosta, sottosegretario agli Affari Esteri, Antonio Pesenti, comunista e sottosegretario alle Finanze, Mario Palermo, comunista e sottosegretario alla Guerra, Pietro Mancini, ministro dei Lavori Pubblici, nonché dirigenti sindacali, quali Giuseppe Di Vittorio, elemento comunista del Direttorio della CGIL, Oreste Lizzadri, membro socialista del direttorio della CGIL, Achille Grandi, membro cristiano-democratico della CGIL, a esperti economici e finanziari, quali il Dott. Ugo Baffi, direttore dell’ufficio Ricerca della Banca d’Italia e, infine, funzionari e ufficiali civili dell’Allied Control Commission (ACC) e della Psychological War Branch (PWB) dell’OSS.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012
Roosevelt impiegò pochi mesi per organizzare l’OSS mettendovi a capo un suo uomo di fiducia, il colonnello W. J. Donovan <101. Ben presto l’OSS costituì quel canale politico ed operativo rappresentato in tempo di pace dal Dipartimento di Stato e dalle ambasciate, ed operò come corpo separato anche se legato a doppio filo al centro del potere decisionale. Questa libertà di azione era tale che alla fine della guerra Truman preferì sciogliere l’organizzazione.
Strutturato come un super dipartimento di stato attrezzato per la guerra, l’OSS era diviso in innumerevoli sezioni, con 13mila uomini in servizio permanente, un bilancio da svariati milioni di dollari e con l’unico obbligo di riferire genericamente al Joint Chief of Staff (l’organo supremo di controllo militare) <102. Donovan proveniva da una famiglia della ricca borghesia e aveva riempito l’OSS dei più bei nomi della buona società e di Wall Street oltre che di elementi dotati di notevole talento (come lo storico H. Stuart Hughes o il filosofo Herbert Marcuse). Quel mixer di personalità e di culture non era improvvisato o casuale anzi giocava a tutto vantaggio dell’organizzazione e della sua elasticità. Donovan aveva intuito che i suoi uomini dovevano essere in grado di destreggiarsi in ogni situazione. Per questo aveva distribuito nelle varie sezioni elementi di idee politiche opposte <103.
Per tutta la guerra l’OSS costituirà per Roosevelt il canale informativo e al tempo stesso operativo più importante, al punto che la sua attività riuscirà a fornire rapporti, dati e le previsioni necessarie agli Stati Uniti per lo sbarco in Africa e per l’avanzata in Europa.
[NOTE]101 L’organizzazione antecedente l’OSS e con funzioni analoghe è il COI (Office of the Coordinator of Information), che all’inizio del 1942, dopo aver fatto confluire la sezione propaganda all’interno dell’OWI (Office of War Information), si trasforma appunto in OSS. L’OSS verrà disciolto dal presidente Truman alla fine del 1945 e smembrato in varie sezioni che passeranno o sotto il dipartimento di stato o sotto i servizi militari. Ricostruito nel 1946, su suggerimento iniziale dello stesso Donovan, il nuovo servizio verrà chiamato CIG (Central Intelligence Group), per divenire nel 1947 l’attuale CIA (Central Intelligence Agency). Il primo campo d’azione della CIA sarà l’Europa e in particolare proprio l’Italia, in vista delle cruciali elezioni del 1948. M. Fini – R. Faenza, op. cit., p. 2.
102 Cfr., M. Fini – R. Faenza, op. cit., p. 3.
103 In Italia per trattare con i comunisti o i socialisti venivano scelti uomini che potessero godere della loro fiducia. Uomini come Peter Tompinks inviato prima ad Algeri e poi in Italia tenterà più volte di conquistare a fiducia di Velio Spano (in Tunisia) e Giorgio Amendola (a Roma), entrambi leader del PCI, senza riuscirvi. Nell’ambiente vicino ai socialisti Tompinks riceverà informazioni sopratutto da Francesco Malfatti, in seguito alto funzionario del ministero degli Esteri e in seguito ambasciatore italiano in Francia. Lo stesso accadeva se si doveva collaborare con gli anticomunisti o con il SIM (Servizio Informazioni Militari), i servizi segreti del governo italiano. Cfr., M. Fini – R. Faenza, op. cit., p. 5. Sull’argomento si vedano i giudizi di Peter Tompinks, L’Altra Resistenza la liberazione raccontata da un protagonista dietro le linee.
Vincenzo Aristotele Sei, Italia e Stati Uniti, l’alleato ingombrante, Tesi di laurea, Università degli Studi della Calabria, 2014
#1943 #1944 #1945 #alleati #americani #Chrysler #fascisti #Firenze #Italia #Lobo #Mangosteen #MatteoPaglia #MaxCorvo #MichaelaSapio #missione #Morristown #OfficeOfStrategicService #Orange #ORI #OSS #partigiani #Piemonte #Resistenza #tedeschi #VincentScamporino #VincenzoAristoteleSei
La Missione Chrysler Mangosteen ed il lago dei misteri | Storia minuta
La spiegazione ufficiale che gli Alleati diedero alla diminuzione, nel numero e nel quantitativo, degli aviorifornimenti per l’Italia nei mesi distoriaminuta (Storia minuta)
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[r] _ mg: appunti personali su “esiste la ricerca”
Esiste la ricerca (giugno 2022, marzo 2023, settembre 2023, settembre 2024, settembre 2025) è un esperimento in più momenti, tentativi, occasioni, in cui ci si confronta, orizzontalmente e non accademicamente, sulle nuove o nuovissime scritture di ricerca.
Non si tratta di un luogo di visibilità: all’allestimento degli spazi manca un palco, manca una cattedra. Non c’è una regia in senso stretto, né dei “panel” di discussione. La discussione si sviluppa sul momento. Dal 2023 non ci sono microfoni né registrazioni. (Il microfono può eccezionalmente servire in casi particolari, dove si presentino speciali difficoltà acustiche dovute a echi e strutture dei luoghi ospitanti).
Esiste la ricerca è in definitiva un contesto per raccogliere – misurando tempi e voce – le diverse percezioni che oggi si hanno delle scritture sperimentali, complesse e di ricerca, e le pratiche artistiche e critiche che con queste entrano (a vario titolo, anche conflittualmente) in relazione.
L’impianto gerarchico del “convegno” è escluso o viene tendenzialmente decostruito. Semmai, Esiste la ricerca prova a riprendere, valorizzare e rendere usuale e sistematico un modus operandi minore, tuttavia rintracciabile in tutti gli incontri letterari, di tutti i tipi. Ovvero: in tutti gli incontri letterari, di tutti i tipi, dopo i momenti ufficiali più o meno paludati, le letture, le relazioni critiche, i convenevoli e la diplomazia, si rompono le righe e (prima che venga imbandito il buffet) i presenti chiacchierano tra loro, esprimono dubbi e persuasioni. Senza microfono e senza grandi filtri. Esiste la ricerca vuole ritagliare precisamente le prassi di questi momenti interstiziali, informali, e farne il centro di un (anti)discorso: con fini di confronto e conoscenza. Eliminati i tavoli rialzati e le pedane, tolti gli interventi scritti o a braccio, cancellato il climax oratorio, rimangono le persone e le interazioni che le coinvolgono.
Si tratta in definitiva di incontri pubblici senza convenevoli e retorica accademica prima, né buffet=dispersione dopo. Rimane quella che potrebbe essere la sostanza del letterario, ascoltabile.
Tutto questo – anche e soprattutto – come ascolto transgenerazionale, e attenzione agli autori più giovani.
Sempre con focus sulla ricerca letteraria, e in particolare su quella ricerca chegammm.orgsta da quasi vent’anni seguendo, traducendo, attuando, promuovendo. (Con tutte le derive e derivazioni che appunto i più giovani hanno innestato su quelle linee testuali).
da tumblr.com/louxosenjoyables/72…
*
Esiste la ricerca non è un evento canonizzante. Chi partecipa non vince niente, non resta nella storia, semmai contribuisce a conoscere e capire il presente immediato.
Esiste la ricerca non è un’antologia, gli assenti non sono dimenticati (il loro ascolto potrebbe essere solo rinviato alla prossima occasione), i presenti non diventano stelle.
L’incontro non “legittima” i partecipanti né “delegittima” chi manca. (Con quale autorità poi lo farebbe? E: legittimare o delegittimare a fare che?). Non costruisce storia ma – insisto – crea le condizioni per il verificarsi di quelle conversazioni informali e interstiziali che sono in verità il senso migliore di incontri altrimenti ingabbiati nel cerimoniale accademico o simil-accademico.
A Esiste la ricerca si è invitati per partecipare a un contesto, non a un contest. A Esiste la ricerca si parla per alzata di mano e non per titoli.
#antigerarchia #cambioDiParadigma #confronti #confrontiOrizzontali #confronto #conversazioniInformali #conversazioniInterstiziali #decostruzioneDellaGerarchia #dialogo #discussione #discussioni #ewwà #gammm #gammmOrg #MG #momentiInterstiziali #orizzontalità #ricercaLetteraria #scritturaComplessa #scritturaDiRicerca #scrittureComplesse #scrittureDiRicerca #scrittureSperimentali #senzaCattedra #senzaMicrofono #senzaPalco #sperimentazioneLetteraria #testiDiMgInRete #testoDiMgOnline
roma, 16 giugno: la ricerca letteraria sdrammatizza
incontro/confronto sulle scritture di ricerca nel (drammatico) contesto della poesia recenteslowforward
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Buon vento Global Sumud Flotilla
C’è chi ha parlato di 15 mila persone, presenti a Catania alla manifestazione contro il genocidio e per supportare la partenza della Global Sumud Flotilla. Comunque, i partecipanti erano veramente tanti, quando la testa del corteo aveva raggiunto piazza San Placido, la coda era ancora ferma davanti al porto. Per entrare, e riempire, piazza Federico di Svevia (Castello Ursino) il corteo ha […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/04/buon…
#ComitatoDiSolidarietàPerLaPalestina #FreedomFlotilla #Gaza #Palestina
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Terza tranche dibattito del 15.8.2025 alla Festa Rossa: Conflitti, sanzioni e riarmo
Tra rallentamento economico, crisi industriale e perdita di potere d’acquisto dei salari dove ci stanno portando l’Ue e la Nato?
________________
La scellerata politica sanzionatoria dell’Unione Europea
La rottura dell’ordine internazionale
Come abbiamo riportato in chiusura della parte precedente di questa relazione, gli eventi di fine febbraio del 2022 hanno determinato uno storico spartiacque nelle relazioni intraeuropee e internazionali a causa della creazione di una profonda frattura geopolitica nell’Europa Orientale. Conseguentemente si è aperta una nuova fase geopolitica caratterizzata da: forti tensioni, instabilità, aumento dei conflitti anche armati, politiche di riarmo e sensibile incremento delle spese militari.
Oltre all’ambito geopolitico-militare, significative ripercussioni si sono registrate anche nella sfera economica e in particolare: nelle relazioni geoeconomiche internazionali, nella dinamica e nella struttura produttiva dell’economia mondiale.
Ripercussioni si sono verificate anche nel ciclo economico, nell’andamento delle produzioni industriali e nei bilanci statali degli stati coinvolti direttamente nel conflitto, dei cosiddetti “cobelligeranti” e anche di quelli che hanno mantenuto una posizione neutralista, non comminando sanzioni alla Russia, sovente ricavandone benefici.
In questo quadro generale sono risultati i paesi dell’Europa centro occidentale, a causa dell’effetto boomerang della scellerata politica delle sanzioni contro Mosca, ad aver registrato le più significative ricadute economiche negative a seguito dell’elevata interconnessione dell’economia di Bruxelles con quella di Mosca, con bassa crescita generalizzata e recessione della Germania nell’ultimo biennio, crisi industriali, ripresa dell’inflazione, rialzo dei tassi di interesse, perdita di potere d’acquisto dei salari e ulteriore, significativa spinta alle politiche riarmiste e all’esborso militare[1].
La frattura geopolitica e geoeconomica
Nel contesto delle relazioni geopolitiche si è determinata una marcata frattura interna all’Europa delimitata dai confini occidentali di Russia e Bielorussia provocata, non tanto dalla votazione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 3 marzo 2022 di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina, approvata da 141 Paesi su 193, quanto dall’introduzione delle misure restrittive promosse dagli Stati Uniti ai danni di Mosca e adottate da parte di altri 36 Paesi (pari a solo il 19% del totale) appartenenti al cosiddetto Occidente globale, vale a dire i Paesi Nato e i loro più fidati “alleati” nello scacchiere Asia-Pacifico (carta 1).
Carta tematica 1: i 37 Paesi che hanno imposto le sanzioni alla Russia
La rottura dell’ordine precedente si è quindi concretizzata fra i Paesi dell’Occidente globale, da un lato, e Russia e Bielorussia, dall’altro, con i restanti Stati del panorama mondiale che hanno mantenuto i rapporti politici ed economici con Mosca, espandendoli e approfondendoli in non pochi casi. In particolare Cina, India, Iran, Arabia Saudita e la maggior parte dei Paesi africani, mediorientali e latinoamericani.
Il boomerang delle sanzioni alla Russia sul ciclo economico dell’eurozona
L’Unione Europea Martedì 20 maggio scorso, nonostante il parere contrario di Trump, aveva approvato il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia accompagnato dalle solite dichiarazioni enfatiche dei suoi vertici in merito alla loro efficacia.
L’ennesimo atto coercitivo adottato contro Mosca ha, tuttavia, sollevato perplessità e critiche, fra le associazioni imprenditoriali e nell’opinione pubblica europea, ancora maggiori rispetto ai 16 antecedenti, sia per motivazioni di carattere economico che di strategia geopolitica.
Le precedenti tranche di sanzioni introdotte da Bruxelles, su pressione dell’amministrazione Biden, hanno, infatti, determinato, secondo il Fondo Monetario Internazionale[2], un forte rallentamento dell’economia dell’eurozona nel 2023 e nel 2024 (+0,4% e +0,9%) e spinto in recessione (-0,3% e -0,2%) quella tedesca, mentre Mosca è cresciuta in entrambi gli anni del +4,1%. Gli Stati Uniti, i promotori delle sanzioni, avevano mantenuto un buon tasso di crescita nel biennio considerato (2,9% e 2,8%), anche grazie all’aumento dell’export di Gnl proprio verso l’Unione Europea.
La crisi industriale di Germania e Italia
A ciò va aggiunta la pesante contrazione della produzione industriale dell’Unione Europea, in particolare di Germania, Francia e Italia, principali tre economie dell’Eurozona, che accusano nell’ordine oltre -9%, -5% e -3,5% fra il 2029 e il 2024, con il Portogallo a -7% (cartogramma 1)[3].
Cartogramma 1: variazione della produzione industriale dei paesi Ue fra il 2019 e il 2024. P.s: la didascalia del cartogramma realizzato dall’Ispi riporta “produzione manifatturiera” ma in realtà nel testo dell’articolo è riportato “produzione industriale” quindi da intendersi complessiva
Per quanto riguarda il nostro paese, dopo aver accusato il 26esimo mese consecutivo (da febbraio 2023 a marzo 2025) di riduzione calcolata su base tendenziale[4] con due picchi del -6,7% ad aprile 2023 e a dicembre 2024 (grafico 1), ha registrato una lieve variazione positiva ad aprile per poi tornare nuovamente in contrazione tendenziale a maggio (-1%) e a giugno (0,9%), portando il totale a 28, seppur non consecutivi, da febbraio 2023. Addirittura, i mesi di riduzione tendenziale non consecutivi, partendo da settembre 2022 salgono a 32. In pratica la produzione industriale italiana si è contratta, anno su anno, tutti i mesi salvo gennaio 2023 (+2,6%) e aprile 2025 (+0,1%). Una vera e propria crisi strutturale la cui risoluzione non viene certamente agevolata dalla politica tariffaria imposta da Trump all’Ue, con dazi introdotti nella misura generalizzata del 15%, ma con acciaio e alluminio al momento ancora gravati da ben un più pesante 50%, nonostante le misure doganali accomodanti adottate proprio in queste giorni a favore dei prodotti statunitensi dalla Commissione Europea e ora in attesa di approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio[5].
Grafico 1: variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale dell’Italia negli ultimi 3 anni, giugno 2022 – giugno 2025. Fonte Istat.
La Germania segue da vicino il nostro paese con il 25esimo mese consecutivo, da giugno 2023 a giugno 2025 compresi (grafico 2), di riduzione tendenziale della produzione industriale con un picco massimo del -7,4% maggio 2024. Una crisi, quella tedesca, che sembra avvitarsi su se stessa[6], considerato che a giugno scorso, ultimi dati disponibili, hanno evidenziato una caduta del -3,6%.
Grafico 2: variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale della Germania negli ultimi 3 anni, giugno 2022 – giugno 2025. Fonte Destasis
Considerando che il comparto principale, quello manifatturiero, corrispondente peraltro al 79% della produzione industriale complessiva tedesca, per le caratteristiche intrinseche dei propri processi industriali, ha innescato significative ricadute sull’indotto e sul tasso di disoccupazione, salito infatti dal 5% del maggio 2022 al 6,3% attuale. Mentre i fallimenti aziendali, in sensibile crescita a partire dal 2023, che hanno raggiunto, a seguito di un trend rialzista triennale, le 11.900 unità nel primo semestre di quest’anno (grafico 3), interessando soprattutto le aziende medio- piccole tipologie che non casualmente caratterizzano proprio il settore dell’indotto[7].
Grafico 3: il numero di fallimenti aziendali nei primi semestri del periodo 2020-2025 in Germania
Flessione e ripresa della produzione industriale russa
Le prime tranche di sanzioni adottate sin dal 23 febbraio 2022, hanno creato un immediato impatto negativo sulla produzione industriale russa, tant’è che dal picco di +9,1% di aumento tendenziale di gennaio dello stesso anno, è precipitata a -1,7% nell’aprile successivo, per restare in campo negativo fino a febbraio 2023. Mantenendosi, peraltro, sempre al di sopra della soglia del -2,0%, salvo dicembre (-2,2%) e gennaio (-2,9%) (grafico 4).
Tramite l’adozione di contromisure di natura monetaria, commerciale ed economica[8], Mosca, dopo la crisi economico-produttiva del 2022, è riuscita a invertire la fase di contrazione e a intraprendere quella espansiva, grazie a un significativo incremento della spesa pubblica, soprattutto verso la produzione di armamenti e l’esborso militare in generale. Quest’ultimo, secondo il Sipri, passato da una stima di 86,4 miliardi di dollari del 2022 a 149 miliardi del 2024.
La dinamica della variazione della produzione industriale tendenziale in Russia ha avuto un andamento opposto rispetto a quello italiano. Infatti, mentre il nostro paese scendeva in campo negativo a partire dal febbraio del 2023, Mosca usciva dalla fase di contrazione tendenziale proprio il mese successivo, per poi intraprendere senza soluzione di continuità una lunga striscia espansiva, arrivata a giugno 2025 al 28esimo mese consecutivo di incremento, con punte di +8,1% a febbraio 2014 e +8,2% a dicembre dello stesso anno.
Nonostante alcuni organi d’informazioni[9] continuino a ventilare una imminente crisi della Russia, la produzione industriale è cresciuta del +1,8% a maggio e del +2,0% a giugno 2025.
Grafico 4: variazione della produzione industriale mensile su base tendenziale della Russia negli ultimi 5 anni, giugno 2020 – giugno 2025. Fonte Federal State Statistic Service of Russia – Rosstat
Crisi economica e miopia geopolitica dell’Unione Europea
La crisi industriale dell’Eurozona secondo le organizzazioni datoriali, Confindustria in primis, è principalmente causata dall’aumento del costo dell’energia e del gas in particolare, provocata dalla decisione dell’Unione Europea di rinunciare alle convenienti forniture di gas russo via conduttura, sostituendole con quelle di Gnl, in primis statunitense, ben più costose.
In sostanza le sanzioni si sono rivelate un pesante boomerang pagato dai cittadini comunitari in termini di aumento del costo del gas e della corrente elettrica, di inflazione, di rialzo dei tassi di interesse, di riduzione dei salari reali e di crisi industriale.
Per quanto riguarda l’aspetto geopolitico, le recenti decisione di Bruxelles hanno assunto una linea divergente rispetto all’orientamento strategico di Trump che mira a porre fine al conflitto in Ucraina. Infatti, mentre l’amministrazione statunitense sta profondendo un significativo sforzo in tale direzione, sfociato nel vertice con Putin del 15 agosto in Alaska, in Europa è stata data vita alla sedicente “Coalizione dei volonterosi”, per proseguire la guerra a oltranza, oltre a esser stati pure adottati il 17° e il 18° pacchetto di sanzioni, non introdotte invece da Washington, e che in questi giorni ha annunciato il 19° per bocca della sua Alta Rappresentante per gli Affari Esteri, l’estone Kaja Kallas.
Una classe politica che affossa la propria economia e impoverisce i propri cittadini, tramite le sanzioni e che è intenzionata a proseguire il conflitto fino alla remota possibilità di sfinimento della Russia, mentre gli Stati Uniti stanno riallacciando le relazioni diplomatiche e commerciali con Mosca, mostra tutta la propria inadeguatezza al ruolo che riveste, anche alla luce dell’incapacità di interpretazione della fase geopolitica in atto.
Andrea Vento
30 agosto 2025
Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati
NOTE:
- Vedi saggi Giga della serie Economia di guerra oggi:Parte X – Cronaca di un disastro annunciato. Le ripercussioni delle sanzioni alla Russia e del piano REPowerEU sulla dinamica economica, commerciale, sociale e salariale dell’Italia nel 2022 codice-rosso.net/economia-di-g…Parte XI: Le sanzioni funzionano..sì ma ai danni dell’Unione Europea codice-rosso.net/economia-di-g…Parte XII La crisi industriale alla base della stagnazione economica della Ue codice-rosso.net/economia-di-g… ↑
- I dati della dinamica del Pil citati nel testo sono tratti dal data mapper del Fondo Monetario Internazionale https://www.imf.org/external/datamapper/NGDP_RPCH@WEO/WEOWORLD ↑
- ispionline.it/it/pubblicazione… ↑
- La variazione tendenziale viene calcolata rispetto al corrispondente mese dell’anno precedente, mentre quella congiunturale nei confronti del mese precedente ↑
- ansa.it/canale_motori/notizie/… ↑
- Vedi Saggi Giga della serie: Economia di guerra oggiParte XIII – Crisi Germania: industria a picco, recessione possibile anche nel 2024 codice-rosso.net/economia-di-g… parte XIV – La crisi industriale europea è legata al differenziale del costo del gas con gli Usa che a inizio 2025 è ancora di 3,5 volte superiore . Confindustria: il costo del gas e dell’energia alla base della crisi industriale italiana codice-rosso.net/economia-di-g… ↑
- scenarieconomici.it/crisi-germ… ↑
- Vedi la serie dei saggi del Giga “Economia di guerra oggi”Le politiche di gestione della valuta in un contesto di economia di guerra: il caso del rubloParte III codice-rosso.net/leconomia-di-…– L’economia di guerra nei paesi direttamente coinvolti nel conflitto in UcrainaParte IV- 2023 l’economia di guerra parziale russa tiene mentre l’eurozona rallenta e la Germania scende in recessione codice-rosso.net/leconomia-di-…Parte XXI – Le diverse tipologie di economia di guerra di Russia e Ucraina codice-rosso.net/economia-di-g… ↑
- Fra cui anche il Manifesto vedi articolo “Il minilateralismo e lo stallo delle trattative” del 25/5/2025, nel quale l’autore, un insigne docente di una Scuola di formazione superiore per eccellenze che plasma brillanti studenti universitari al pensiero neoliberista, e non si capisce quale sia la sua attinenza col pensiero di Pintor, Magri, Parlato e Rossanda, afferma che “In realtà, a ben guardare, il rublo e l’economia russa stanno accusando il colpo”. Il lettore tuttavia non sa dove “ben guardare” visto che l’improvvida affermazione non è supportata da alcun dato economico.ilmanifesto.it/il-minilaterali… ↑
Il «minilateralismo» e lo stallo nelle trattative | il manifesto
Ucraina (Commenti) Uno scambio di centinaia prigionieri di guerra senza precedenti fra Russia e Ucraina, mentre droni e missili si abbattono su Kyiv.Giulia Filpi (il manifesto)
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oggi, 4 settembre, a roma (piazza vittorio): proiezione di “no other land” / in memoria di awdah hathaleen
NO OTHER LAND
Giovedì 4 settembre proiezione speciale all’Arena
Notti di Cinema a Piazza Vittorio
in memoria di Awdah Hathaleen
youtube.com/embed/XUsgLip_eoY?…
Giovedì 4 settembre alle ore 20:30, Notti di Cinema a Piazza Vittorio ospiterà la proiezione di No Other Land, vincitore dell’Oscar 2025 come Miglior Documentario. Ad introdurre la proiezione saranno: Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, l’organizzazione per i diritti umani che ha dato il patrocinio al documentario, e Massimo Righetti, in rappresentanza di ANEC AGIS Lazio.
L’evento vuole ricordare il coraggio e il sacrificio di Awdah Hathaleen, co-autore e protagonista del film, brutalmente ucciso il 28 luglio scorso da un colono israeliano, colpevole solo di difendere pacificamente la propria terra.
La sua uccisione è parte di uno sterminio senza fine, che viola sistematicamente ogni diritto umano previsto anche dal codice Internazionale.
No Other Land è oggi più che mai un’opera necessaria per contrastare lo sterminio del popolo Palestinese e lo fa attraverso lo sguardo diretto di chi, come Hathaleen, non ha mai smesso di credere nel potere del dialogo e del confronto pacifico.
Padre di tre figli, insegnante, giornalista ex attivista politico, Hathaleen era un punto di riferimento per tutta la sua comunità. La sua vita – e la sua tragica morte – incarnano le tematiche centrali del documentario: la resistenza, il conflitto multigenerazionale, l’ingiustizia sistemica e il potere della testimonianza.
L’obiettivo della serata è offrire uno spazio pubblico di memoria, denuncia e consapevolezza, per restituire dignità alla figura di Awdah Hathaleen e non permettere che la sua voce sia messa a tacere. Un’occasione anche per riflettere, insieme, sul significato profondo di No Other Land e sull’urgenza di trasformare lo sdegno in responsabilità.
Un grido di dolore per dire BASTA FERMATEVI!!!!
Maggiori informazioni su: www.cinevillageroma.it
NOTTI DI CINEMA A PIAZZA VITTORIO, è un progetto realizzato da ANEC Lazio con il contributo di Regione Lazio, Arsial e Camera di Commercio di Roma, con il sostegno di: Roma Capitale – Assessorato alla Cultura ed ACEA; In collaborazione con Agis Lazio Srl e CNB Comunicazione; con il patrocinio di ENPAM; con il supporto di: Associazione Piazza Vittorio APS; Mobility partner ATAC; Media partner: Radio Core de Roma, Radio Centro Suono, Antenna 1, Mymovies.it, Radio Roma (Radio Roma News e Radio Roma TV).
#AmnestyInternational #AmnestyInternationalItalia #apartheid #AwdahHathaleen #BaselAdra #cinema #Cisgiordania #film #genocidio #HamdanBallal #MassimoRighetti #NoOtherLand #occupazione #Palestina #proiezione #puliziaEtnica #RachelSzor #RiccardoNoury #YuvalAbraham
Cinevillage Roma - Grandi film e incontri d'autore sotto le stelle
Viviamo insieme l'estate romana con Cinevillage Roma 2025: le emozioni del cinema, incontri dal vivo con registi e attori, danza, letteratura e ristorazione.info@wondersite.it (Cinevillage)
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l’amore 2d e gli oggetti orientifici, ma quello che accade non fa divertire (test e valutazioni prestazioni OOP su Love2D)
Visti gli imprevisti con HaxeFlixel che non ho ancora avuto il tempo di elaborare qui, stavo (ri)considerando il basato Love2D che, ultimamente mi sono (ri)accorta, gira su talmente tante piattaforme da rendere inutile anche fare degli esempi qui. La cosa seccante di quel coso, però, è che non è esattamente un motore di gioco, quanto più un framework multimediale… e quindi, a differenza di Flixel e altri robini, non ha tutte le varie utilità che è bene avere per poter sviluppare qualcosa senza partire dallo zero assoluto… e quindi, l’idea sarebbe di creare una specie di motorino per esso per gestire cose comuni come sprite, fisica, boh, queste cose (non) belle. 🤥
Ovviamente, il problema inevitabile è sorto immediatamente dopo una giornata di lavoro iniziale — a dire il vero, fatta per fortuna con le pinze, perché ero sotto sotto pronta a vedere cose storte accadere — e cioè che, con una dose di OOP in realtà nemmeno troppo grossa per gli standard comuni, le prestazioni sono crollate così tanto a picco che, per un semplice giochino di Breakout (la demo di HaxeFlixel, che ho adattato strada facendo per testare), da un lato su PC l’uso di CPU si aggirava attorno al 10-15% (che è tipo il quintuplo di cosa fa la stessa demo in HaxeFlixel)… mentre, su piattaforme pazzurde come il 3DS era letteralmente ingiocabile, facendo 5 secondi a frame (e pensare che io ho il new, che è più veloce). 💀
Ho fatto un po’ di ricerca e — per quanto fosse a me comunque ovvio che una programmazione ad oggetti basata principalmente sull’ereditarietà rende un programma più lento, perché i sassi elettronici sono fatti per eseguire istruzioni sequenziali e lavorare con memoria quanto più continua possibile, che è il contrario di cosa succede con tutte quelle classi che estendono classi che estendono il mercato che mio padre comprò — non immaginavo che su Lua il calo prestazionale fosse tale da essere non solo evidente, ma proprio fuori scala in certi casi. E ora, dunque, i problemi sono grossissimi. 😤
Anche stavolta ho raccolto molti link a riguardo di questa ennesima causa di sofferenza per me, e in realtà ancora non ho capito bene la questione, ma un grande problema sembra essere causato dagli accessi a tabelle nidificate, e alle chiamate di funzioni fatte più del necessario anche per operazioni altrimenti veloci… e nel mio caso certamente una buona parte di overhead in questo senso sarà causata dal fatto di non scrivere Lua nativo, bensì usare Haxe (o in alternativa, TypescriptToLua) per traspilare a Lua, ma sentivo che il problema non poteva essere solo il codice bloattato generato da questi affari… 🧨
E infatti, scrivendo in Lua puro un piccolo benchmark (battezzato al volo solo per dare un titolo al memo: “Love2D fucking rectangles“, genera innumerevoli rettangoli e li fa muovere calcolando le collisioni), prima in modo classico e poi con un minimo di OOP, ed eseguendolo oltre i limiti del ragionevole, ho visto le cose brutte: la versione OOP è in effetti più lenta. Non tanto più lenta, e comunque dipende dalle opzioni con cui la si fa girare, ma solo perché è comunque molto semplice… a differenza del motorino che tanto vorrei creare per replicare la API di HaxeFlixel in Love2D per quanto possibile (evidentemente, non molto possibile). 😭
Dopo ben 4 (quattro) immagini non so se ho voglia di elaborare oltre… Ma, in sostanza: in una modalità, il programma genera solo X (200mila) rettangoli all’avvio, mentre nell’altra ne genera X (200) a frame, andando all’infinito, calcolando sempre le collisioni… e quindi con la prima si esclude una lentezza dovuta alla continua istanziazione di oggetti, mentre la seconda da modo di vedere come un programma rallenta nel tempo rispetto all’altro (generando meno oggetti a parità di tempo). 💥
Nella prima modalità, il carico è basato principalmente sull’accesso alla chiamata draw, quindi non potevo limitare il numero di quadrati effettivamente visibili, e quindi ho potuto eseguirla solo su PC, dove si nota in media un rallentamento di circa il doppio per la versione OOP, che accede a svariate proprietà nidificate per fare il disegno… Mentre, nella seconda la prova il carico era più il resto, quindi ho deciso di limitare il numero di rettangoli visibili a schermo ad ogni frame agli ultimi X (500), e questo mi ha permesso di eseguire il programma pure sul 3DS senza che crashasse (credo ci siano limiti di VRAM lì), ma sia su PC che su 3DS si vede che la versione non-OOP riesce a generare in media 1,2 sprite in più per delta di tempo, differenza che nel corso di minuti diventa di migliaia di sprite. 😵
Incredibile, spassoso, magicante, ma… e adesso??? Boh! Dovrò ingegnarmi pesantemente per creare un motorino sufficientemente generalizzato da poter essere usato come comoda libreria per molti giochi Love2D, ma che allo stesso tempo sia efficiente… ma qui casca l’asino, perché per implementare concetti come uno sprite, che oltre ai classici dati come posizione X e Y ha un oggetto “disegnabile”, che può essere un’immagine o una forma geometrica, che quindi richiede chiamate della API Love2D completamente diverse dietro le quinte, non vedo alternativa non incasinata se non l’OOP; ma non basterà usare più la composizione che l’ereditarietà, bensì per sconfiggere l’overhead serviranno mosse di design interne talmente scomode che ho davvero tanta paura anche solo a pensare di scriverle… 😱
#benchmark #development #LOVE2D #Lua #test #testing
Memo by ██▓▒░⡷⠂𝚘𝚌𝚝𝚝 𝚒𝚗𝚜𝚒𝚍𝚎 𝚞𝚛 𝚠𝚊𝚕𝚕𝚜⠐⢾░▒▓██
TypeScriptToLua, A generic TypeScript to Lua transpiler: + https://typescripttolua.github.io + https://github.com/TypeScriptToLua/TypeScriptToLua Memos
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Mikey Musumeci: un altro “facile” main eventi in UFC BJJ?
Quando Mikey Musumeci ha debuttato al UFC BJJ 1 contro Rerisson Gabriel, le critiche non sono mancate. Gabriel, grappler quasi esclusivamente da kimono, è stato messo di fronte a uno dei più forti specialisti al mondo di No-Gi. Il risultato? Una passeggiata. Vittoria netta di Mikey, pubblico annoiato, meme sui social.
Per il secondo atto ci si aspettava un correttivo: magari un nome pesante del circuito No-Gi, qualcuno che potesse davvero testare il campione. Invece no. La UFC ha appena annunciato il main eventi di UFC BJJ 3 (2 ottobre) e sarà ancora Mikey, questa volta contro Kevin Carrasco.
Con tutto il rispetto per Carrasco che mi impacchetta con una mano…ma la domanda è inevitabile: cosa ci fa un atleta relativamente sconosciuto, con un curriculum discreto ma legato soprattutto al Gi, in un mondiale No-Gi targato UFC?
Perché la UFC insiste?
Qui sta il punto: all’UFC non interessa la logica sportiva. Non serve costruire ranking credibili o dare match equilibrati. L’obiettivo oggi è un altro:
- creare un campione imbattibile,
- fare views con il pubblico generalista,
- avere una narrativa chiara e semplice.
Chi guarda da fuori non si chiede quanto è forte l’avversario. Vuole vedere un volto riconoscibile, un campione che “non perde mai”. È la stessa logica che ha costruito leggende in altri sport da intrattenimento: più che l’equilibrio competitivo, conta la percezione di invincibilità.
Mikey ci guadagna due volte
E Mikey? Zero problemi. Lui incassa:
- cash facile, senza rischi reali,
- fanbase raddoppiata, perché la UFC lo espone a un pubblico enorme,
- brand personale in crescita: ogni match lo consolida come “Mr. UFC BJJ”.
In altre parole, Musumeci si è trovato nella posizione perfetta: attrae i fan hardcore (che lo conoscono già) e allo stesso tempo diventa una faccia riconoscibile anche per chi non distingue una guardia invertita da un double leg.
Il pubblico hardcore non abbocca
La contraddizione è questa: chi segue seriamente il grappling vede chiaramente il livello degli avversari e si stufa di match fotocopia. Non basta più il nome UFC sopra al poster. La community vuole sfide vere, non repliche camuffate.
Ma il pubblico casual, quello che muove i numeri, non ha questo problema. Per loro conta lo spettacolo lineare: un campione che continua a vincere. E in questo equilibrio precario la UFC sembra aver scelto da che parte stare.
La vera domanda
Alla fine il dubbio è: questa strategia fa bene al grappling o solo alla UFC?
- Se l’obiettivo è la crescita del brand UFC BJJ, forse funziona: i casual entrano, Mikey diventa il volto simbolo, i numeri salgono.
- Se l’obiettivo è far crescere lo sport, la scelta è discutibile: chi è già dentro non si sente rispettato e chi si avvicina rischia di scoprire, prima o poi, che le sfide reali sono altrove.
My two cents
Per ora Mikey si gode la posizione: vincite facili, sponsor che bussano, visibilità enorme. Ma la vera partita si giocherà più avanti: quando il pubblico vorrà un test autentico e la UFC dovrà decidere se proteggere ancora il suo “golden boy” o lasciarlo correre rischi veri.
Fino a quel momento, la domanda resta sospesa: stiamo assistendo a sport o a un reality costruito per views?
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windows cercante nell’intera galassia tranne il dove mi serve
Guarda se non bisogna bestemmiare già a prima mattina… poi dicono che la colpa è mia che mi incazzo, e non di Windows che ce la mette tutta per far perdere la pazienza! Ma è possibile che io premo Start sulla tastiera per cercare app, e inizio a digitare “f” perché voglio avviare il mio fottuto browser web, e questo affare mi propone come “migliore corrispondenza“ in cima alla lista non le mie app tra cui Firefox, bensì due risultati da Bing, tra cui il primo è Facebook, ma il secondo è fottutamente Firefox… ma come ricerca web, e non come applicazione da lanciare, che è ancora più sotto??? Cioè, secondo lui è più probabile che io stia cercando per il concetto di Firefox attraverso il web, che non per il fottuto eseguibile residente su disco da avviare per l’applicazione rappresentata da quel nome??? 😭😭😭
Ora, a dire la verità, questa merdata sembra farla solo dopo un riavvio, perché, se adesso o più tardi ci riprovo, la sezione app è in cima, e quindi Firefox è immediatamente selezionato (così come altre app che iniziano con “f” ma continuano diversamente), mentre i risultati di ricerca completamente inutili di Bing sono più in fondo… E sarebbe una cosa che giustificherei pure, se fosse dovuta al fatto che, non lo so, subito dopo il riavvio non fa in tempo a caricarsi la cache delle app installate, e quindi lui va sparato con la ricerca pur di evitare di mostrare un caricamento… e invece non è così, perché le app sono apparse in questo caso, il problema è che sono apparse sotto. E ovviamente, non so quante volte ho frugato nelle impostazioni, ma non c’è un cazzo di modo per disattivare la ricerca web attraverso questa casella di merda, così da farla funzionare, non dico molto, ma come il menu Start di qualsiasi altro sistema operativo desktop degno di questa Terra!!! (Come GNOME, XFCE, KDE, Cinnamon, solo file ed applicazioni, e #mannaggia!) Ma ci sarà una soluzione che non sia installare OpenShell, per caso? 💔
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una raggiera di link – per la ricerca, la sperimentazione, la scrittura complessa (aggiorn. 2025)
(sor)ridendo & celiando, ma pure seriamente, sono passati circa 36 anni dalle mie prime collaborazioni a riviste letterarie (“Babele”, per esempio, 1989-90), praticamente 22 dalla nascita di slowforward (marzo 2003), 20 esatti dal primo differx (differx.blogspot.com, agosto 2005), e 19 dalla fondazione di gammm.org (fine giugno 2006)… e in tutto questo tempo credo di aver attraversato – come ospite o lettore – parecchi dei blog e siti linkati qui.
nel post ora citato si trovano spazi web solo italiani. ce ne sono tuttavia dozzine – in lingua inglese e (in misura minore) francese – con cui sono stato in dialogo soprattutto negli anni tra 2005 e 2013.
oggi, ri-riflettendo su alcuni di questi, ho pensato di aggiungerne pochi (ma per me personalmente significativi) – da inserire nel network possibile delle sperimentazioni che avevo ipotizzato nel 2012 e che pian piano si accresce.
più o meno sovrapponibili, sono poi i link rintracciabili in questa pagina, oppure nella sidebar di slowforward (scrollare verso la fine).
e voglio anche citare con un tot di energia, stando ai materiali messi in rete, ai siti e blog inventati e realizzati, tre sodali italiani con cui è stata architettata la gran parte dei malestri sperimentali mandati a segno nei decenni: Luca Zanini, Michele Zaffarano e Roberto Cavallera. (e il lavoro continua).
infine, mescolando siti, blog e social, mi sono accorto di quanto lunga è la firma che da qualche tempo chiude le mail che spedisco, e allora la replico qui (proprio come firma, non prima di aver annotato che tutti i miei / non-miei link sono sintetizzati su linktree):
slowforward
differx noblogs (gemello eterozigote di slowforward)
mastodon e friendica
slow telegram
slow instagram
slow whatsapp
slow tumblr
slow @ archive.org
+
GAMMM (con Mariangela Guatteri, Andrea Raos, Michele Zaffarano)
ESISTE LA RICERCA (con Antonio Syxty e Michele Zaffarano)
COMPOSTXT (di Roberto Cavallera)
PONTE BIANCO (con Roberto Cavallera)
AHIDA (rubrica ‘post-poetica’, con A.Syxty, R.Cavallera, F.Pelli, F.Scapecchi, J.Scialpi, M.Zaffarano))
CENTROSCRITTURE(di Valerio Massaroni)
NEUTOPIA
PUNTOCRITICO2 (con vari collaboratori)
SCRIPT (di Quimby Melton)
+
marco / instagram
marco / threads
marco / twitter
un diario @ ko-fi (per sostenere il lavoro)
un diario @ wp
un diario @ noblogo
mg @ academia
mg @ archive.org
+
differx / tumblr
differx / blogspot (il primo blog di esperimenti, flarf & googlism)
differx / instagram
differx / bluesky
pod al popolo
differx / soundcloud
_
#111 #Babele #blog #gammm #gammmOrg #link #links #LucaZanini #MicheleZaffarano #networkPossibileDelleSperimentazioni #nps #raggieraDiLink #ricercaLetteraria #RobertoCavallera #scritturaComplessa #scritturaDiRicerca #scritturaSperimentale #scrittureComplesse #scrittureDiRicerca #scrittureSperimentali #siti #slowForward #slowforward #spaziWeb #sperimentazioneLetteraria #sperimentazioni
link
Antinomie Benway Series bina blunder Casa Editrice Gigante CentroScritture compostxt Diacritica [dia•foria du-champ Esiste la ricerca GAMMM La Camera Verde la morte per acqua lucazanini Mannaggia l…slowforward
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poesismi
L’INGV, istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, registra ormai da molti molti mesi uno sciame sismico originato da sfrantecamento gonadico, la cui causa credo sia da scientificamente rintracciare senza filo di dubbio veruno nella perenne citazione e riperticazione delle poemíe di dario bellezza.
#testiDiMgInRete #testiDiMgOnline
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tana libera tutti (rinnovo l’exortatio)
tutti fuori da #faceboook e dai #social generalisti.
fuori dal gabbio. tutti su #mastodon, forza!
o su #friendica. (magari entrambi).
e aprite dei #blog, dei #siti vostri (con #wordpress, #tumblr, su #noblogo, su #noblogs, dove volete insomma), come è successo a me con slowforward.net, mettete lì le cose a cui tenete, e magari fate in modo che i post vengano replicati come #link nei vari social (anche generalisti, non importa: tanto poi chi trova lì i link ne esce per vedere quel che fate sul vostro sito, e abbandona il social!).
su facebook lasciamo qualche #gruppo o #pagina, al limite, e – ripeto – mettiamo solo post e link che portano FUORI da questo #carrozzone #monnezzone.
stessa cosa per #X, #threads e altri aggeggi.
#SocialNetwork
#FEDIVERSO
#socialindipendenti
post scriptum che rimanda a un post più lungo dello scriptum:
il 10 agosto 2025, nel pieno della cappa di afa di roma totalmente zombificata, gettavo alte grida da usci e finestre, riprendendo su differx/noblogs un post già ‘passato’ due volte su slowforward. ossia ripetevo che bisogna correre ai ripari, urge. la situazione è allarmante: differx.noblogs.org/2025/08/10…
#blog #carrozzone #differx #differxNoblogs #facebook #faceboook #FB #FEDIVERSO #friendica #gruppo #link #Mastodon #monnezzone #noblogo #noblogs #pagina #siti #social #socialNetwork #socialindipendenti #SocialNetwork #spaziIndipendenti #threads #tumblr #web #WordPress #X
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La formazione professionale sulle violazioni dei diritti umani in atto in Palestina è indigesta
Abbiamo assistito in questi giorni con progressivo stupore ed indignazione all’evolversi delle polemiche e delle decisioni succedutesi intorno all’evento organizzato dal Consiglio Nazionale Forense e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura titolato “La violazione dei diritti umani a Gaza e nei territori occupati”, in programma il 4 settembre, con il riconoscimento di 3 crediti formativi, inizialmente in presenza (e online) e con la partecipazione dell’avv. Francesco Greco, Presidente CNF, dell’avv. Giampaolo Brienza, consigliere CNF e Vice Presidente SSA, intervento introduttivo dell’avv. Leonardo Arnau (Presidente della Commissione Diritti Umani del CNF e dell’OIAD) e in qualità di relatrici della “Special Rapporteur on the Palestinian territories occupied since 1967” del “UN Human Rights Council” Francesca Albanese e dell’avv. Barbara Spinelli, componente della Commissione Diritti Umani del CNF, nostra iscritta e Copresidente di ELDH.
Le polemiche, aperte dall’AGE (Associazione giuristi ebrei) con la contestazione sostanzialmente basata sulla “parzialità” dell’evento e la pretesa di annullamento dello stesso o di “integrazione del contraddittorio” (quasi si trattasse di una tribuna elettorale), hanno raggiunto livelli davvero preoccupanti e inaccettabili e sono state ovviamente rinfocolate e fatte proprie dalla stampa più reazionaria.
La scelta del CNF è stata quella di assecondarle, di fatto, con l’integrazione degli interventi programmati affidata a due soggetti indicati dalla lobby avversa all’evento: un sedicente storico e un esponente politico di Forza Italia (ex europarlamentare e vicepresidente della Delegazione per le relazioni con Israele, avvocato in materia di commercio e piccole imprese). Ciò che è peggio, con revoca dei crediti formativi precedentemente riconosciuti, a maggior riprova, se necessario, dello snaturamento dell’evento di fatto non più connotato in chiave giuridico-formativa bensì storico-politica.
Questa decisione è stata accolta con sbigottimento da molti avvocati e avvocate e dalle loro associazioni, tra cui la nostra; sono in corso ancora in queste ore comunicati e adesioni a mozioni di protesta per l’avvenuto, che attestano la sensibilità dei giuristi rispetto ai temi legati alla salvaguardia dei diritti umani internazionalmente riconosciuti, del diritto internazionale umanitario cosi come del diritto internazionale penale. Cionnonostante, Francesca Albanese aveva risposto con grande correttezza e dignità a queste modifiche imposte e non concordate, anteponendo alla doverosa indignazione per il trattamento nei confronti della sua figura istituzionale “il rispetto per l’avvocatura italiana e la necessità di dar voce a ciò che accade in Palestina…”.
Giunge ora l’ultimo aggiornamento, per cui l’evento si svolgerà solo in forma telematica e non in presenza, “per motivi di ordine pubblico”. Ecco, se servisse ancora una riprova della pretestuosità delle polemiche dell’AGE e dei suoi sostenitori, e della drammatica erroneità della decisione di assecondarle, crediamo si sia raggiunta: la presenza di una rappresentante più che qualificata di un organismo dell’Onu che riveste il ruolo di Special Rapporteur dal 2022, in un seminario giuridico sui diritti umani diventa problema di ordine pubblico, e le autorità di P.S. ritengono evidentemente di non essere in grado di assicurarne l’incolumità dai contestatori (certo non dai Colleghi e Colleghe che si erano iscritte a un evento formativo molto importante). Insomma, una resa totale.
È una vicenda invero inquietante, che si inserisce in una complessiva ignavia istituzionale non scevra da ricadute drammatiche, evidenti al mondo intero, nella difesa dei diritti umani in Palestina e nei Territori occupati. Una inazione ingiustificabile alla luce delle decine di migliaia di civili uccisi dall’esercito israeliano, dalla carestia indotta, dalle pretese di deportazione e di annessione contro cui il nostro governo si limita a balbettare che forse è ora di fare qualcosa (cosa?) contro i coloni più violenti, ma in sede europea si oppone alla sospensione dei trattati commerciali con l’Israele del criminale di guerra Netanyahu. Silenti, mentre Trump (come Orban, e ovviamente il governo israeliano) arrivano a osteggiare apertamente l’Onu e i suoi rappresentanti (come la Corte Penale Internazionale, d’altra parte) addirittura sanzionandoli.
Quella stessa inattività istituzionale che a tutt’oggi, nonostante le decisioni del Tribunale di Roma, impedisce a cittadini palestinesi a cui è stato riconosciuto il diritto all’ingresso nel nostro paese di esercitarlo e che nulla oppone alle minacce del ministro Ben Gvir di arresto e detenzione dura nei confronti dei solidali della Global Sumud Flottilla.
Il diritto internazionale umanitario è morto, dice qualcuno. Sicuramente non gode di buona salute, così come peraltro la democrazia alla quale sono riconducibili le regole che discendono dall’accettazione dei valori di libertà ed eguaglianza e poi di dignità e solidarietà, oggi ricompresi nel complesso sistema dei diritti umani. Occorre perciò uno sforzo imponente per riaffermare la cogenza e l’attualità di queste e per difendere i principi che sono alla base del legame tra democrazia e diritto. Noi ci siamo e ci saremo il 4 settembre a sostenere l’importanza della conoscenza e dell’azione giuridica a difesa dei diritti umani in Palestina.
2 settembre 2025
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI
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(esiste, la ricerca)
slowforward.net/2025/09/02/esi…
https://mobilizon.it/events/cd4c6dab-6357-4460-846b-8ea148fcef56
#scritturadiricerca #scritturediricerca #esistelaricerca #ricercaletteraria #sperimentazioneletteraria #scritturasperimentale #scritturesperimentali #scritturacomplessa #scritturecomplesse #studiocampoboario #elr
#ELR #ELREsisteLaRicerca #EsisteLaRicerca #esistelaricerca #ricercaletteraria #scritturaComplessa #scritturaDiRicerca #scritturaSperimentale #scritturacomplessa #scritturadiricerca #scritturasperimentale #scrittureComplesse #scrittureDiRicerca #scrittureSperimentali #scritturecomplesse #scritturediricerca #scritturesperimentali #sperimentazioneLetteraria #sperimentazioneletteraria #StudioCampoBoario #studiocampoboario
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Demetrious Johnson se la gufa da solo
giusto settimana scorsa Demetrious Johnson durante il famoso dibattito Craig Jones vs Mikey Musumeci ha detto che i leg lock sono una menata per un amatore, che rischiano di fare dei danni giganti per non avere nulla in contro partita. Arrivando a proporre di eliminare gli heel hook.
Sembra che in qualche modo se la sia gufata.
Breve passo indietro World Masters IBJJF 2025
l viaggio di Demetrious “Mighty Mouse” Johnson al World Masters IBJJF 2025 di Las Vegas è durato un solo incontro.
L’ex campione UFC e ONE nei pesi mosca, leggenda viva delle MMA, aveva deciso di mettere alla prova la sua cintura nera nella categoria Master 2 featherweight.
Il primo round lo supera senza combattere: Pedro Eduardo non si presenta. Avanti a tavolino.
Nel secondo, però, trova subito un ostacolo vero: Takuto Kako, più volte campione IBJJF in Asia. Match tirato, zero punti sul tabellone, Johnson avanti solo per un vantaggio. A meno di un minuto dalla fine, Kako aggancia il piede, chiude il foot lock, e costringe la leggenda a battere. Fine della corsa.
Storia che si ribalta
L’anno scorso era andata al contrario: al World Masters 2024 Johnson aveva battuto Kako ai punti. E il video della sua sportività, mentre consolava l’avversario sconfitto, era diventato virale.
Le sue parole erano rimaste impresse:
“Va bene lo stesso. Ci sarà l’anno prossimo. È per divertimento. La vita non cambia per questo. Torni a casa, ti alleni, hai tua moglie, i figli, il lavoro. C’è molto di più nella vita che vincere, te lo prometto.”
Quest’anno i ruoli si sono invertiti. Kako porta a casa il bronzo, battendo Eric Joseph Ceballos e fermandosi solo in semifinale contro Ermilio Lucas Ferreira.
La cornice che conta più della medaglia
Per Johnson non è mai stato davvero questione di medaglie. La sua carriera è già scritta nei libri, e al World Masters non cercava conferme: cercava gioco, confronto, stimolo.
Paradossalmente, è proprio questa leggerezza a rendere potente il messaggio. In un ambiente spesso ossessionato da podi e titoli, un campione come lui ricorda che la pratica vale più del risultato.
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Locomotore Isolato (LIS) E652.089 in transito a Castagneto Carducci (20/02/2024)
youtube.com/embed/ZMlAAExLf3c?…
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unghie schifose piegate nel dentro dell’anima persa
Ieri sera ho avuto un attimino di tempo per tagliarmi le unghie dei piedi, ma per il resto sono completamente intrappolata… dentro un IDE, al punto che nell’immediato non ho nulla di interessante da poter scrivere, rest in maccheroni. Quindi, anche stamattina sono costretta a parlare semplicemente di un altro piccolo fattore dello schifo speciale che mi riguarda come nessuno lo ha mai visto. (Se questo blog fosse ospitato su Geocities, e fosse quindi a tutti gli effetti in un quartiere di una città, direi che è importante fare questo tipo di post per tenere l’affitto basso…) 😇
Stavolta, per qualcosa di non-gnam (sono cheratina, non si mangia, non è il caso), ecco le unghie dei piedi leggermente incurvate… e anche qui, è una visione tanto semplice quanto per me incomprensibile. Innanzitutto, perché mai hanno deciso di incurvarsi proprio adesso, in estate, dove per gran parte del tempo ho i piedi completamente scalzi, e quindi l’unghia non dovrebbe avere problemi a crescere dritta pure se troppo lunga, visto che non ha ostacoli davanti? …O, forse, si sono piegate ultimamente a furia di mettere calzini e scarpe, non per lunghissimo tempo ma comunque con una frequenza rilevante? 💔
Ovviamente, NON avrete i miei piedi in tutto questo; a costo di aver impiegato noiosi minuti a censurarli, perché volevo far vedere la cosa prima e dopo aver tagliato, è importante mantenere la concentrazione sulle unghie!!! Ma la cosa bella è che non è nemmeno la prima volta che parlo delle unghie dei piedi qui… l’ho già fatto un’altra volta, sempre ovviamente con buona ragione di incazzarmi. Però stavolta è proprio boh… messe in fila, alcune si notano proprio come sono piegate verso il sotto, e come lo siano in modo sempre leggermente irregolare; se almeno ci fosse un senso, si potrebbe pensare siano strane ma intriganti… ma così fanno schifo e basta, mannaggia! (Quindi è fondamentale immortalarle.) 👹
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Mali, tornano a Timbuctu i famosi scritti patrimonio UNESCO
Nel 2012, la minaccia rappresentata dal gruppo islamista radicale Ansar Eddine aveva spinto le autorità maliane a prendere una decisione cruciale: il trasferimento di oltre 27mila antichi manoscritti dalle biblioteche e archivi di Timbuctu alla capitale, Bamako. Questa operazione, riconosciuta anche dall’UNESCO per il suo significato storico e culturale, si era resa necessaria per proteggere questi testi dall’imminente rischio di distruzione. Nonostante gli sforzi del governo, circa 4mila manoscritti sono andati perduti a causa delle azioni devastanti della milizia islamistaDi Elias Altmimi – EurAstro : Mission to Mali, Pubblico dominio
Negli anni successivi, pur in un contesto di conflitto prolungato, le autorità locali hanno ripetutamente richiesto il ritorno dei manoscritti a Timbuctu, evidenziando l’importanza di questi documenti non solo come patrimonio culturale, ma anche come simbolo identitario della città, che ha storicamente rappresentato un centro nevralgico per la cultura e l’istruzione nell’Africa occidentale.
I manoscritti, risalenti al Tredicesimo secolo, coprono vari ambiti del sapere umano, dai testi religiosi alle scienze naturali, dall’astronomia alla medicina, fino ad opere di poesia e grammatica. La loro scrittura in lingue locali, tra cui il fulani e il songhai, con l’uso della grafia araba, ravviva il legame tra lingua e cultura, mentre la presenza di testi in ebraico sottolinea la pluralità intellettuale di Timbuctu.
La città ha svolto un ruolo fondamentale nel commercio e nella diffusione del sapere, fungendo da crocevia culturale nel deserto del Sahara. Per questo motivo, nel corso dei secoli, gli abitanti di Timbuctu hanno messo in atto varie strategie di salvaguardia dei manoscritti, nascondendoli per evitarne la cattura o la distruzione. L’operazione di trasferimento nel 2012 si è svolta in gran segreto, con bibliotecari e custodi disposti ad affrontare notevoli rischi pur di preservare il patrimonio culturale della città, similmente a quanto accadde in Afghanistan con l’arrivo dei talebani. Essi furono trasportati presso la capitale in condizioni precarie e rischiose, sia dal punto di vista della sicurezza che per quanto riguarda la conservazione; nascosti in sacchi, mescolati a vivande come il riso, oppure all’interno di barili vuoti di carburante, trasportati dagli asini.
Recentemente, la giunta militare al potere ha annunciato l’inizio del ritorno dei manoscritti a Timbuctu, un’azione che non solo mira a recuperare il prezioso patrimonio culturale, ma si propone anche di garantire una migliore conservazione dei manoscritti, dati i vantaggi ambientali che la regione arida offre rispetto all’umidità di Bamako. È stato altresì avviato un processo di digitalizzazione per preservare ulteriormente questi testi, assicurandone così la salvaguardia per le generazioni future.
Fonti: ilpost.it, iltirreno.it
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esiste la ricerca, quinto incontro: a roma, 5-6-7 settembre 2025 @ studio campo boario
R.S.V.P.: slowforward.net/contact/
§
Venerdì 5 e sabato 6 settembre 2005, dalle 10 alle 18
– e domenica 7, dalle 10 alle 14
a Roma, presso lo Studio Campo Boario
Viale del Campo Boario 4/a
METRO B – Fermata Piramide
ESISTE LA RICERCA
quinto incontro (2025):
IL GIOCO DELLE COMUNITÀ: rapporti e costruzioni
Esiste la ricerca torna, grazie all’ospitalità di Alberto D’Amico, nel suo luogo di nascita, lo Studio Campo Boario, per una nuova – quinta – occasione di dialogo e confronto. Le modalità sono invariate: un libero estemporaneo scambio di idee e formazione di ipotesi, senza microfoni, senza registratori o videocamere, e senza gerarchie, a partire da alcune tracce fondamentali. Sarà insomma un dialogo aperto e orizzontale in cui potranno prendere la parola sia le persone invitate sia il pubblico. È importante sottolineare che tutti sono benvenuti ad ascoltare e intervenire, a prescindere dalla propria collocazione nel campo letterario.
Il tema o questione di fondo sarà stavolta IL GIOCO DELLE COMUNITÀ, su cui ci si interrogherà collettivamente nei primi due giorni, per riservare invece la mattina della domenica ad alcune letture/discussioni non programmate (che si definiranno il giorno stesso).
Le comunità, gli ensemble, i gruppi, le correnti, i laboratori, i siti, le riviste, le tante libere unioni di persone nel mondo delle lettere (delle arti, più in generale) sottolineano e marcano i propri confini o li disegnano come linee spezzate, tratteggiate, aperte? Quanto conta – e come – il contesto storico-politico in cui si trovano a nascere? Quali sono le influenze di cui risentono e le identità che esprimono? Con che quota di libertà? Cosa fanno, di cosa parlano, cosa materialmente & virtualmente fabbricano? Come si costruiscono al loro interno? Come articolano o disarticolano le categorie attraverso le quali in generale leggono sé stesse e le opere che in un dato periodo compaiono?
Il 5 settembre si parlerà di RAPPORTI interni ed esterni alle comunità, mentre il 6 ci si concentrerà più sulla loro COSTRUZIONE. Ma l’ordine degli addendi può essere variato senza che il risultato cambi, oppure uno dei giorni può sconfinare nell’altro, e i percorsi delle discussioni alterare il programma, che non è rigido. Il 7 settembre, infine, alcune LETTURE – e relativo dialogo/commento/confronto con chi in sala ascolta – segneranno la conclusione dell’incontro.
Come sempre, alcuni editori e collane saranno invitati e sarà dunque possibile sfogliare e acquistare le opere di cui si parla. Non mancheranno inoltre copie del n.19 del tabloid gratuito «La scuola delle cose» (Lyceum/Mudima, aprile 2025), interamente dedicato alla scrittura di ricerca.
R.S.V.P.
slowforward.net/contact
PDF del comunicato stampa:
ESISTE LA RICERCA 2025 – il gioco delle comunità
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Nel 1956 il numero di emigrati italiani verso paesi esteri superò le 200.000 unità
Con il passare del tempo però, si ripresentarono negli ambienti di governo preoccupazioni e perplessità riguardo il futuro del paese. Si cominciarono a ripresentare motivi di forte instabilità; nel giugno del 1953 fallì la legge elettorale maggioritaria, intesa a premiare i partiti della coalizione governativa, e contemporaneamente la figura di De Gasperi venne a mancare, colui che aveva fermamente guidato il paese sulla via della democrazia. Ci si domandò fino a quando avrebbero continuato ad agire alcuni fattori che resero possibile la ricostruzione economica e la restaurazione delle finanze pubbliche; se non si fosse ormai esaurita la spinta nei confronti dell’economia italiana dal recupero nell’epoca post conflitto degli impianti non totalmente utilizzati, dalla ripresa dell’agricoltura e dall’aiuto straordinario apportato dai prestiti americani. A contribuire fortemente a destare perplessità e preoccupazioni era il disavanzo della bilancia commerciale, che registrava saldi positivi solo nei confronti della Germania occidentale e la Svizzera.
Frutto di queste perplessità fu lo “Schema Vanoni”, una politica di piano condivisa alla fine del 1954. Lo Schema varato mirava al raggiungimento di alcuni fondamentali obiettivi nel corso di un decennio e sulla base di una crescita media annua del prodotto interno lordo del 5 per cento. ❤❤ Gli obiettivi fondamentali si possono riassumere nella creazione di quattro milioni di nuovi posti di lavoro nei settori extragricoli, la riduzione del divario fra Nord e Sud del paese e il raggiungimento dell’equilibrio nella bilancia dei pagamenti. Per raggiungere tali obiettivi si rendeva necessario un ingente volume di capitali per favorire l’aumento degli investimenti industriali tramite la formazione di importanti risparmi. Il tutto era particolarmente improbabile, per questo si fece leva sull’espansione dell’edilizia e dei lavori pubblici come principale elemento propulsivo al fine di aumentare l’occupazione, nonché su un massiccio intervento dello Stato al fine di diversificare l’allocazione territoriale delle risorse e di imprimere un impulso agli investimenti. Nel contempo, si sottovalutarono l’incidenza che avrebbero avuto gli aumenti della produttività del lavoro, gli effetti del progresso tecnologico e organizzativo e le economie di scala che si sarebbero generate dallo sviluppo della domanda. <34 Lo Schema Vanoni promuoveva perciò un processo di graduale evoluzione.
In quegli anni l’economia italiana giovò del cambiamento politico-economico, a ragione di chi riteneva che il Paese sarebbe cresciuto vertiginosamente con l’intensificazione degli sforzi a favore di un maggiore accesso a una più vasta area di scambi. La transizione dall’economia autarchica ereditata dal periodo fascista, ad un tipo di economia liberista improntata agli scambi commerciali con gli altri paesi, si stava gradualmente compiendo.
I benefici della liberalizzazione degli scambi
Analizzando la decisione italiana di procedere verso un tipo di economia aperta da un punto di vista puramente teorico, i benefici ricercati, come dimostrato nel corso degli anni, erano sostanzialmente quattro: libero scambio ed efficienza, economie di scala nella produzione, incentivi all’innovazione e all’apprendimento, e intensificazione della concorrenza. Come visto, i dati di crescita dell’economia italiana furono più che positivi, questo perché analizzando il primo beneficio, lo spostamento da un equilibrio con dazi, ad uno con liberi scambi, elimina la perdita di efficienza e accresce il benessere nazionale. Vedendo nello specifico il secondo punto, l’Italia beneficiando di economie di scala, oltre ad aver aumentato la quantità di scambi internazionali, poté giovare di una maggiore disponibilità di varietà a prezzi inferiori. Aumentando gli scambi esteri, l’industria italiana, ebbe la possibilità di misurarsi con le migliori economie occidentali, e ciò ovviamente portò indubbi incentivi all’innovazione e all’apprendimento. Inoltre, gli imprenditori locali sono stimolati a ricercare nuovi mercati per le proprie esportazioni e a difendersi dalla concorrenza delle esportazioni. Questi vantaggi del libero scambio sono spesso chiamati “dinamici”, dato che un’intensificazione della concorrenza e del ritmo di innovazione può richiedere più tempo per manifestare i propri effetti, rispetto all’eliminazione delle distorsioni nella produzione e nel consumo. <35
Vedendo nello specifico il caso italiano, l’età degasperiana, nel 1953, finì insieme al modificarsi dello schema di politica economica temperata che l’aveva contraddistinta. Subentrò a De Gasperi come presidente del Consiglio, in seguito alla sconfitta elettorale della Democrazia cristiana nelle elezioni politiche del 7 giugno 1953, Giuseppe Pella. Pella, molto vicino a Luigi Einaudi, era un forte sostenitore del principio di libertà economica e, perciò, contrario all’interventismo statale, senza però disprezzare qualche lavoro pubblico dovuto ai sovrappiù prodotti dalle aziende. Da un certo punto di vista si potrebbe definire Pella un “monetarista”, in quanto assertore della teoria secondo cui con il controllo dell’offerta di moneta si sarebbe potuto controllare l’aumento del livello generale dei prezzi; i medesimi orientamenti erano condivisi anche da Donato Menichella, divenuto governatore della Banca d’Italia, in seguito all’elezione di Einaudi come presidente della Repubblica nel 1948.
Questo il quadro politico italiano. Italia che tra il 1955 e il 1963 conobbe una fase espansiva senza precedenti, anche se si ritiene che lo sviluppo industriale cominciò già dal 1953. Gli investimenti nell’industria manifatturiera fermi in media al 4,5 per cento del reddito nazionale lordo, salirono nel 1956 al 5,2 per cento, per poi culminare al 6,3 per cento tra il 1962 e il 1963. Il valore aggiunto passò invece nel decennio successivo al 1953, dal 20,6 per cento al 27,6 per cento. <36 Il prodotto dell’industria complessivamente si avvicinò a un indice pari al 47 per cento nella formazione del prodotto lordo privato, mentre il reddito nazionale crebbe con un saggio di aumento annuo del 5,8 per cento.
La bilancia dei pagamenti precedentemente in notevole disavanzo, registrò notevoli miglioramenti; da un disavanzo di 343 milioni di dollari nel 1952 si passò a un avanzo di 745 milioni nel 1959.
Attraverso questi miglioramenti ed altri fattori chiave nel processo di sviluppo industriale, l’Italia si inserì nel movimento ascendente dell’economia europea. Sul finire dell’anno 1962 il saggio di sviluppo italiano era inferiore solo a quello tedesco ed ampiamente superiore ai tassi di crescita di ogni altro paese dell’Europa occidentale. Già negli anni precedenti l’Italia aveva dato segnali di superbi miglioramenti, tant’è che nel decennio fra il 1950 e il 1961 il prodotto lordo nazionale registrò un aumento medio del 6,7 per cento. L’Italia grazie a questa miracolosa fase espansiva riuscì a ridurre sensibilmente il divario rispetto alle maggiori economie occidentali; ridusse il distacco di partenza che perdurava da fine Ottocento con l’Inghilterra, la Germania e la Francia, e superò economie migliori come quelle belga, olandese e svedese. Nel 1962, siderurgia, meccanica, chimica ed elettricità, i quattro settori principali del paese, rappresentavano in Italia il 16,1 per cento dell’offerta finale complessiva rispetto al 23,3 per cento in Germania e al 19,3 per cento in Francia.
Furono molti i fattori ad incidere in questa straordinaria espansione, avvenuta in una situazione di profitti crescenti, senza sensibili movimenti inflazionistici, e con un costante aumento del saldo dei conti con l’estero. Probabilmente il fattore dominante, al quale attribuire l’avvio del processo di rapido sviluppo degli anni Cinquanta, nonostante opinioni contrastanti, fu l’espansione veloce delle esportazioni, agevolata dalla progressiva liberalizzazione degli scambi. L’effetto trainante delle esportazioni, secondo alcuni invece, si vide in misura massiccia solo dopo il 1955. Tali esperti, come Silva, Targetti e Rey, osservarono che tale effetto appunto, agì solo su un numero limitato di settori produttivi (l’industria automobilistica, i prodotti petroliferi, alcuni prodotti tessili, le calzature, la gomma). Secondo questa teoria, a trascinare l’Italia sarebbe stata la spesa pubblica, soprattutto in agricoltura, nell’edilizia e nei trasporti. Negli anni più recenti, invece, esperti come Kregel e Grilli hanno osservato come l’andamento favorevole della bilancia dei pagamenti italiana, che rese possibile un veloce aumento degli investimenti senza creare un disavanzo nei conti con l’estero, fosse connesso all’andamento più che positivo delle ragioni di scambio internazionali, che dava all’economia italiana la possibilità di acquisire materie prime e semilavorati a costi reali decrescenti. Secondo Castronovo invece, il fattore trainante fu la presenza simultanea di condizioni favorevoli quali salari bassi, ampie possibilità di autofinanziamento, bassa conflittualità operaia e un forte arretramento tecnologico, che consentì rapidi aumenti di produttività. Rimanendo su questa teoria, è facile notare come l’industria italiana fece leva su una rilevante ed elastica offerta di braccia per contenere, o calmierare di volta in volta, la domanda salariale e per tenere comunque sotto controllo le vertenze sindacali. <37 Non mancarono, ovviamente, in quegli anni alcuni miglioramenti nell’assetto delle retribuzioni; ma in termini reali gli indici dei salari rimasero pressoché stazionari fra il 1950 e il 1954 e fra il 1956 e il 1961, e a livelli in ogni caso inferiori agli aumenti di produttività. <38 Secondo i calcoli della Banca d’Italia, a un incremento dei salari pari fra il 1953 e il 1961 al 46,9 per cento corrispose una crescita media della produttività dell’84 per cento. Stando alle stime dell’economista americano Stern, l’incremento delle esportazioni italiane fra il 1955 e il 1963 fu dovuto, per quasi il 60 per cento, alla maggiore competitività resa possibile soprattutto dallo scarto fra aumento della produttività e aumento dei costi di lavoro. <39
Nonostante idee e teorie differenti il tema delle esportazioni rimane centrale. La struttura della produzione italiana si ritrovò forzata a seguire l’orientamento che le imprimeva la domanda proveniente dai paesi europei in fase di avanzata industrializzazione. La domanda proveniente dai paesi con un’elevata industrializzazione era un tipo di domanda caratterizzata da beni di consumo di massa e da beni di lusso. Questo tipo di domanda, propria di società caratterizzate da livelli di reddito elevati, forzò l’Italia a fare largo spazio alla produzione di beni di consumo di massa e beni di lusso.
Contemporaneamente mentre l’industria italiana entrò a far parte di quel sistema di economie caratterizzate dalla produzione di massa di beni di consumo durevoli, le altre economie europee e i loro sistemi industriali passarono a produzioni ancora più avanzate. La modernizzazione servì sostanzialmente a mantenere inalterato il distacco dalle altre economie avanzate; nel frattempo nel quadro dell’industria mondiale, le produzioni italiane continuarono a ruotare attorno ai settori con una tecnologia relativamente semplice.
L’apertura degli scambi con l’estero connessa alla necessità di sviluppare una corrente di esportazioni orientata verso i mercati dei paesi industrializzati, diede luogo alla formazione di una struttura produttiva suddivisa in due settori ben distinti; si trattava di due settori caratterizzati ognuno da tecnologie proprie, il primo settore era rappresentato dalle industrie esportatrice, mentre il secondo da attività produttive orientate prevalentemente verso il mercato interno.
Il reddito nazionale subì una vertiginosa crescita, come detto; l’espansione degli investimenti ne fu la componente più dinamica, crescendo a tassi elevati in tutti i settori. <40 Fra il 1951 e il 1962 il tasso di aumento degli investimenti globali a prezzi correnti sfiorò il 10 per cento annuo. La distribuzione dei redditi cambiò a favore dei redditi d’impresa rispetto a quelli da lavoro, con la conseguenza che l’incremento degli investimenti non diede luogo a un uguale aumento della domanda globale. Perciò la propensione media ai consumi da parte della società si ridusse, essendo i percettori di redditi da lavoro i più inclini al consumo, a differenza dei percettori di redditi d’impresa. La diretta conseguenza di tale situazione fu la contrazione dei consumi collettivi, avendo meno frazioni di reddito coloro che erano portati a consumare di più rispetto a coloro che erano portati a consumare meno. In sostanza la pressione della domanda globale diventò minore di quella che l’aumento degli investimenti avrebbe potuto sostenere. Il risultato fu che si evitò il pericolo d’inflazione per eccesso di domanda e che il sistema mantenne un’ottima stabilità monetaria. La lira, oltre a non svalutarsi rispetto alle merci più di quanto non si svalutassero le altre monete, si deprezzò meno, tanto che nel 1958 le fu attribuito l’”Oscar” delle valute, risultando la moneta più stabile fra i paesi occidentali. Invero, i prezzi al consumo crescevano mediamente del 3-4 per cento, fenomeno comune anche ad altri paesi, ma i prezzi all’ingrosso tendevano a rimanere su valori stazionari, salvo oscillazioni ampiamente compensate. Tale stazionarietà dei prezzi contribuì positivamente, favorendo le esportazioni italiane. Contemporaneamente la competitività fece crescere la produzione nei comparti dinamici, mentre in quelli non dinamici, in quanto non orientati all’esportazione ma al mercato interno, la produttività subì un andamento inversamente proporzionale rispetto ai salari.
La necessità di aumentare la produzione e l’efficienza nei comparti esportatori portò al formarsi di numerosi nuovi posti di lavoro e al polarizzarsi della crescita industriale soprattutto in tre regioni: Lombardia, Piemonte e Liguria. Questa concentrazione diede vita a un notevole flusso migratorio dalle regioni del Mezzogiorno e del centro-nord meno sviluppate (il Friuli ad esempio), verso quel polo conosciuto come “triangolo industriale”. La forza lavoro non assorbita a livello nazionale, si spostò verso l’estero; il fenomeno della migrazione esterna non riguardò più le Americhe come ad inizio secolo, bensì gli altri paesi europei. Nel 1956 il numero di emigrati verso paesi esteri superò le 200.000 unità.
Complessivamente quasi due milioni di persone abbandonarono il sud-Italia, pari al 12 per cento, per spostarsi verso il nord del paese o verso altri stati. Non tutti gli emigrati meridionali trovarono impiego presso le industrie, infatti una parte considerevole di essi fu assorbita dal settore terziario come i servizi, la distribuzione commerciale o il pubblico impiego.
Il progresso che l’economia italiana compì tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta, fu di tale portata che la crescita del prodotto interno lordo, la produttività totale dei fattori e il prodotto per addetto risultarono i più alti e stabili nella storia del Paese. Nel 1963 gli investimenti fissi lordi raggiunsero in media il 25 per cento del reddito nazionale lordo, mentre il tasso di crescita del Pil superò il 7 per cento. L’Italia fu così paragonata per impatto alla Germania in Europa al Giappone nel mondo. Di pari passo il commercio internazionale subì una brusca impennata, registrando le esportazioni, tra il 1958 e il 1962, un tasso annuo di crescita prossimo al 16 per cento.
Non meno importante fu il cambiamento nella struttura economica nazionale; l’agricoltura cessò di essere il settore dominante e nonostante nel 1950 impiegasse ancora il 40 per cento della forza lavoro e fornisse il 25 per cento dell’intero valore aggiunto, nel 1963 fu superato dal settore industriale e da quello dei servizi.
Tutto ciò influì sulla dilatazione dei consumi e sul progressivo affermarsi di un nuovo stile di vita; un ibrido a metà tra la nuova cultura americana e la cultura italiana. Le città assunsero una nuova fisionomia, in particolare le grandi “capitali” del Nord industriale, con la nascita di interi quartieri popolari, ma anche con la costruzione dei primi grattacieli. La stagione espansiva volgeva così al termine portando con sé cambiamenti strutturali profondi.
[NOTE]33 Si vedano V. Valli, L’economia e la politica economica italiana (1945-1975), Etas libri, Milano, 1977, pp. 109-110; B. Bottiglieri, La politica economica dell’Italia centrista (1948-1958), Ediz. Comunità, Milano, 1984, pp. 254-255.
34 Si veda al riguardo N. Andreatta, Fattori strategici dello sviluppo tecnico dell’industria italiana, in N. Andreatta et al., Il progresso tecnologico e la società italiana. Effetti economici del progresso tecnologico sull’economia italiana, Giuffrè, Milano, 1962. Invece sui vantaggi assicurati dall’ammodernamento degli impianti, si veda anche S. Leonardi, Schema di interpretazione dello sviluppo italiano in questo dopoguerra, in Critica marxista, luglio-ottobre 1968.
35 Per approfondire le ragioni a favore del libero scambio, e quelle a favore di un tipo di economia chiusa, consultare P. Krugman, M. Obstfeld, a cura di R. Helg, Pearson, 2007.
36 Si veda al riguardo A. Campolongo, Dinamica dell’investimento in Italia 1951-1967, in Moneta e credito, secondo trimestre 1968.
37 Si vedano al riguardo A. Triola, Contributo allo studio dei conflitti di lavoro in Italia, in Economia e lavoro, 1971; A. Cova, Movimento economico, occupazione, retribuzioni in Italia dal 1943 al 1955, in A. Cova et al., Il sindacato nuovo. Politica e organizzazione del movimento sindacale in Italia negli anni 1943-1945, Franco Angeli, Milano, 1981
38 Confrontare con A. Vannutelli, Occupazione e salari dal 1861 al 1961, in A. Fanfani, L’economia italiana dal 1861 al 1961, Milano, Giuffrè, 1961.
39 Si veda R. M. Stern, Composizione merceologica, distribuzione geografica e competitività nel commercio estero italiano nel periodo 1955-1963, in Moneta e credito, 1965.
40 Al riguardo non va trascurato il ruolo del credito a medio e lungo termine praticato da alcune banche specializzate, come la Banca di credito finanziario (Mediobanca), fondata nel 1946 dalle tre banche d’interesse nazionale ( Commerciale, Credito italiano, Banco di Roma), per l’esercizio appunto del credito a medio termine, poi esteso al lungo termine, da effettuarsi per il tramite dei loro sportelli; la Banca centrale di credito popolare (Centrobanca), istituita, essa pure nel 1946, dalle banche popolari per il finanziamento a medio e a lungo termine di imprese commerciali e industriali; l’Istituto centrale per il credito a medio termine a favore delle medie e piccole industrie (Mediocredito centrale), sorto nel 1952 con capitali forniti in prevalenza dallo Stato e con il compito di finanziare i Mediocrediti regionali.
Emanuele Zema, Come l’economia italiana si apre al mondo dopo la ricostruzione, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno Accademico 2017-2018
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oggi, 2 settembre, h. 14, radio onda rossa: mahmoud darwish, “stato d’assedio” – lettura di lino musella
L’attore Lino Musella presenta la lettura di
STATO D’ASSEDIO
di Mahmoud Darwish
in streaming su Radio Onda Rossa 87.9 fm,
oggi, martedì 22 settembre 2025, ore 14:00
ondarossa.info/player-ror.html
un’intervista all’attore (a cura di Federico Raponi) qui:
youtu.be/jfrbzCtxUbs
Scritta da Mahmoud Darwish – scrittore e giornalista palestinese scomparso nel 2008, considerato tra i maggiori poeti in lingua araba – quest’opera nasce dalle ferite della Storia, una lunga memoria dell’esilio come atto poetico di fronte a una realtà storica molto
complessa.
È la poesia ad avere il compito di curare le ferite del ‘luogo’, di guardare oltre; è la poesia a essere votata alla resistenza; è la poesia a dover essere più forte dell’assedio. A portare speranza di vita. È un testo elaborato a Ramallah nel gennaio 2002, nelle settimane in cui la città era assediata dalle truppe israeliane di Ariel Sharon: Darwish, che a Ramallah viveva, si è trovato perciò nella hala, ossia nella ‘condizione’ di assediato. Lo ‘stato d’assedio’ nei versi del poeta va aldilà della condizione di vita nella quale si trovano le moltitudini di cui il poeta è portavoce, di queste esprimendo sentimenti e pensieri.
Gli oggetti della riflessione sono la poesia nel suo farsi, la storia, il ‘luogo’, ossia lo spazio del pensiero, la forza che è impressa nell’affermazione della propria identità. Il dolore collettivo che tormenta quel ‘luogo’ per molti versi rimanda al futuro la soluzione dei risvolti personali.
info
festambiente.it/stato-dassedio…
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Stato d’assedio con Lino Musella. Dai testi di Mahmoud Darwish • Legambiente Festambiente
Stato d'assedio di Mahmud Darwish, scrittore e giornalista palestinese scomparso nel 2008, unanimemente considerato tra i maggiori poeti in lingua araba; sarà l’occasione per conoscere un’opera che nasce dalle ferite della Storia, una lunga memoria d…Legambiente Festambiente
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il ‘multiperso’ accetta (a breve) nuove proposte di testi
dal 9 settembre sarà nuovamente possibile proporre testi al Multiperso, spazio web a cura di Carlo Sperduti: multiperso.wordpress.com/vuoi-…
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Da martedì 9 settembre 2025 sarà di nuovo possibile inviare proposte al multiperso. Ecco alcune semplici regole: I testi devono essere inviati in formato .doc o .docx, non devono superare le 2000 b…multiperso
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Catania, dal sogno di Meloni al disastro Trantino
Catania avrebbe dovuto essere il fiore all’occhiello di Giorgia Meloni: l’unica grande città guidata da un sindaco di Fratelli d’Italia, Enrico Trantino. Il 2025 doveva essere l’anno della consacrazione. Si sta rivelando, invece, un calvario.
Città fuori controllo
L’anno era iniziato con i fuochi d’artificio: il concertone di Capodanno in diretta su Mediaset proiettava la città […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/02/cata…
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BJJ Italia – National Teams No-gi Adults & Kids agli europei IBJJF di Roma e Berlino
I National Teams No-Gi Adult e Kids parteciperanno, spesati da BJJ ITALIA, agli Europei No-Gi IBJJF.
Il National Team Adult No-Gi, che parteciperà all’Europeo No-Gi Adult a Roma dal 29 ottobre al 2 novembre, sarà composto dai seguenti Atleti, primi classificati nei Ranking ( Ranking lists – Smoothcomp ):
NERE: Alessandro Ardini (Luta Livre Italia) e Francesco Bartolotta (Luta Livre Italia).
MARRONI: Matteo Xavier Pandolfi (Gracie Barra) e Raluca Bianca Rosca (Luta Livre Italia/Vanguard Martial Arts).
VIOLA: Leonardo La Francesca (Flow) e Antonella Bianchi (Jiu Jitsu Magenta).
BLU: Damiano Grillo (Aeterna jiu jitsu) e Silvia Miglionico (Asd Wcra).
DTN: Andrea Lavaggi.
Il National Team Kids No-Gi, che parteciperà all’Europeo No-Gi Kids a Dublino il 9 novembre, sarà composto dai seguenti Atleti, primi classificati del Ranking ( NO-GI – Ranking Kids – Cinture Colorate – Smoothcomp ):
- Priscilla Cardano (Rilion Gracie Novara)
- Matteo Montinaro (Matside jiu jitsu)
- Lorenzo Bugni (Greca Team)
- Dario Formento (Carlson Gracie Alessandria)
- Julia Corvino (MMA Academy Frosinone)
- Giuseppe Girone (Wcra)
- Sophia Luca (Athlon Savona)
- Rachele Casagrande (Rilion Gracie Novara)
- DTN: Luca Cardano.
- Vincono la divisa del National Team:
- Giovanni Basano Neto (Waza)
- Francesco De Maio (Luta Livre Italia)
- Melissa Martone (Rilion Gracie Novara)
- Maria Berruti (Waza)
Un ringraziamento particolare a ERWIN che fornirà il materiale ai nostri atleti.
Alle prossime gare nazionali – https://bjjitalia.it/calendario-gare/ -, verranno selezionati i National Teams ADULT e KIDS (Gi e No-Gi), che parteciperanno, spesati da BJJ ITALIA, agli Europei IBJJF.
BJJ ITALIA è una organizzazione non profit che reinveste interamente i propri utili nello sport ed è l’unica organizzazione italiana che spesa Rappresentative Nazionali complete che partecipano alle gare internazionali dell’IBJJF.
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Sean O’Malley, Snoop Dogg e l’arte di riconoscere chi ti porta più in alto
C’è un dettaglio che separa i fighter che restano meteore da quelli che diventano icone: la capacità di capire che nessuno fa il salto da solo.
Sean O’Malley lo sa benissimo. Al contrario di un Dillon Danis che si prende ogni merito, si autoincensa e costruisce un personaggio basato solo sull’ego, O’Malley ha sempre avuto un’intelligenza sociale superiore. Riconoscere chi ti ha dato una mano non ti toglie nulla: ti aggiunge carisma.
Il colpo che ha acceso la miccia
Era il 2017. Dana White aveva appena lanciato il Tuesday Night Contender Series, vetrina per i giovani con il sogno UFC. Sean O’Malley, allora un ragazzino con la chioma sparata e l’aria da outsider, mise KO Alfred Khashakyan con una precisione spietata nel primo round.
Il colpo era già materiale da highlight. Ma la storia non sarebbe esplosa così senza un elemento imprevisto: la voce di Snoop Dogg.
Durante quella stagione inaugurale la UFC aveva affiancato una telecronaca alternativa — la SnoopCast — con il rapper al microfono accanto a Urijah Faber. La reazione di Snoop a quel KO fu pura benzina sul fuoco: urla, hype, e soprattutto la potenza di un profilo social da milioni di follower che condivise il video back-to-back.
O’Malley stesso lo ammette:
“Il knockout sarebbe diventato virale comunque. Ma con Snoop è stato assolutamente folle. Mi ha postato due volte di fila, e tutto è esploso.”
Il clip oggi ha oltre un milione di visualizzazioni su YouTube, senza contare le onde d’urto su Instagram e Twitter.
Riconoscere chi ti apre la porta
Quello fu l’inizio della sua ascesa. O’Malley entrò nel roster UFC, costruì un seguito tra i più fedeli del panorama, arrivò a prendersi la cintura bantamweight prima di perderla contro Merab Dvalishvili. Ma quando guarda indietro, non cancella mai quel momento: ringrazia.
Ed è qui che si nota la differenza.
Danis si racconta come l’unico artefice del proprio successo, come se fosse nato già pronto. O’Malley invece sa che il talento va amplificato, e che servono voci, contesti, alleati.
Non è solo un fatto di umiltà. È strategia di lungo periodo: chi riconosce gli altri, crea reti più forti. Chi si prende tutto il merito, brucia i ponti.
Visione e realtà che si incontrano
Per O’Malley, quel momento con Snoop Dogg non fu solo una clip virale: fu la conferma che la sua “visione” aveva preso forma. Quello che sentiva dentro — posso diventare una star — si stava materializzando sotto i suoi occhi.
E il paradosso è che a far esplodere quella visione fu la voce di un rapper, non di un telecronista ufficiale. Segno che spesso i salti di qualità arrivano da direzioni impreviste, da legami laterali che non puoi pianificare.
Una lezione che resta
Oggi, mentre O’Malley continua a muoversi tra luci e ombre del suo percorso, la lezione resta chiara: il carisma non nasce solo dal talento o dalle vittorie. Nasce dalla capacità di riconoscere chi ti ha spinto in avanti.
E questo divide le star che restano simpatiche, anche quando perdono, dai personaggi che finiscono per isolarsi nel rumore del proprio ego.
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E dalla Mostra del cinema di Venezia, come stronzi, restarono a guardare
L’indifferenza e la pochezza culturale che avvolgono il nostro presente fanno capolino anche in quella che si dovrebbe definire come cultura cinematografica: basta leggere le dichiarazioni di alcuni registi e attori italiani presenti a Venezia per la Mostra del cinema che definiscono come stronzate, inutili e scadenti gli appelli per Gaza. Qualcuno di loro ha distrattamente firmato una petizione, probabilmente più per conformismo con la categoria che per altro, salvo poi pentirsene o accorgersi che questa, strada facendo, ha avuto l’ardire di chiedere di starsene a casa a chi pubblicamente ha sostenuto e sostiene la deportazione e lo sterminio per armi e per fame del popolo palestinese. Un vero e proprio atto di “censura”, per carità! Non sia mai.
Altri sono al Lido per passeggiare sul tappeto rosso e per farsi vedere a qualche patetico ricevimento sponsorizzato indossando il vestito buono sulla barba di tre giorni e i capelli un po’ spettinati – che fa sempre tanto “gente di cinema” – per promuovere il loro nuovo filmettino senza nemmeno preoccuparsi che esca nelle sale, confidando al massimo, quando sarà il momento, in qualche autoreferenziale Donatello di consolazione per soddisfare l’ego artistico. Ma in cosa si sta trasformando la Mostra del Cinema? In un sovraffollato centro commerciale di una domenica di fine estate, in cui le opere in concorso sono trattate alla stregua di oggetti di consumo, di merci esposte pronte per essere apprezzate dal primo ricco acquirente, mentre ai confini d’Europa si sta consumando un terribile genocidio? Ma sì, certo, cosa importa ai ricchi e colti ‘artisti’ bianchi europei e italiani dello sterminio del popolo palestinese? Il menefreghismo e l’indifferenza hanno una parte considerevole nel nuovo assetto colonialista, fatto di un intangibile e violento dominio culturale e ideologico nell’epoca dei social.
Poi ci sono quelli che il problema è sempre “più complesso” e che manco si sporcano le mani per firmare petizioni che poi li costringono a confrontarsi con una marmaglia di colleghi invidiosi, incagabili, presuntuosi, incapaci e concorrenti. Registi e attori non sono gente che può compatirsi di annacquarsi nel mucchio indistinto del mondo del cinema – potrebbero perfino esserci comparse, tecnici e attrezzisti, perdio –, figurarsi poi mescolarsi con emeriti sconosciuti in una manifestazione pubblica ove potrebbe esserci davvero di tutto. La massa indistinta va bene soltanto sotto forma di pubblico in sala o sul divano di casa. Il genio creativo deve essere libero di correre in solitaria. Altri ancora, in preda ad irrisolti sdoppiamenti di personalità, si barcamenano nel distinguere ciò che possono affermare da privati cittadini da quanto sentono di poter dire da personaggi pubblici.
Certo, molti di questi signori ci tengono a chiarire che sono ben consapevoli che in Palestina è in atto un genocidio e che è davvero una “cosaccia”, ma tutto ciò non ha nulla a che fare con l’arte cinematografica, con la libertà di espressione, con i tappeti rossi e le cene eleganti del Lido (non di Arcore, per carità: il cinema italiano è signorile per davvero, mica cose da nani e ballerine!). Ci teniamo qui a ricordare quanto ha scritto il grande regista Andrej Tarkovskij nel suo saggio Scolpire il tempo (1985): “Una qualsiasi arte nasce sempre grazie a un’esigenza spirituale e gioca un ruolo speciale nell’impostazione dei profondi problemi che le sorgono dinanzi nella propria epoca” (A. Tarkovskij, Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema, Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij, Firenze, 2015, p. 79) ribadendo che “il cinematografo si è presentato come lo strumento del nostro secolo tecnologico necessario all’umanità per un’ulteriore conoscenza della realtà” (ibid.). Ma l’atteggiamento prevalente alla Mostra del cinema sembra quello di nascondere la testa sotto la sabbia dinanzi ai “profondi problemi” della nostra epoca, se si può chiamare “problema” il genocidio di un popolo. E quale “realtà” mai ambiranno a conoscere, questi cinematografari, oltre a quella delle patinate manifestazioni ufficiali?
Poi ci sono i giornalisti accreditati, rigorosamente distinti in caste dai pass che danno diritto a questa o quella proiezione e l’accesso a questo o quel rinfreschino, costretti a guardarsi qualche film tra un evento mondano e l’altro. Se persino i loro colleghi che si occupano del mondo fuori dallo schermo riescono a ridurre i meeting internazionali inerenti le carneficine belliche in corso a disquisizioni sul dress code e sulle posture in favore di telecamera dei protagonisti, ci sta che quella che si fregia di essere la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica venga trattata come il festival sanremese, dunque che si guardi più all’eleganza della mise delle attrici che alla “mise en scène” delle opere proiettate. E per buttar giù due righe sui film bastano e avanzano i patinati pressbook in cui i nostri accreditati trovano anche le rispostine preconfezionate alle domandine di circostanza che farebbero a registi e attori.
È questa l’intellighenzia cinematografica italiana? Una torre d’avorio che pensa solo a realizzare i suoi filmetti, al successo, al red carpet? E alcuni di questi registi avrebbero la pretesa di farsi chiamare intellettuali? Intellettuali dell’indifferenza e del “che ce frega”. Viene da domandarsi cosa differenzi la spocchia e l’ignavia di questi signori dalla meschinità di chi ha definito “gondolieri di Hamas” quanti hanno manifestato a Venezia contro un genocidio in corso.
Da queste vergognose, più ancora che imbarazzanti, dichiarazioni emerge un fatto: l’indifferenza propugnata dall’alto, da una fascistizzazione generalizzata della cultura che sta avvenendo in questo Paese che si estende ben oltre il governo di destra e che si palesa anche nel mondo del cinema. Nessuno aveva chiesto film sul genocidio palestinese, nessuno pretendeva chissà quale presa di posizione militante. Non ci si attendeva quello che nei fatti la Mostra veneziana non poteva essere, non ci si aspettava di certo il Sessantotto in Laguna, ma un minimo di dignità sì.
Il mondo del cinema veneziano avrebbe potuto sfruttare i riflettori per lanciare qualche messaggio significativo per “smuovere le coscienze”, sarebbe potuto uscire dalla sempre più patetica torre d’avorio delle sale festivaliere e manifestare lo sdegno per ciò che sta accadendo in Palestina. Ed invece si è assistito a un grottesco gioco ai distinguo, al “non è questa la sede”, alla pretesa autonomia dell’arte cinematografica dalla rude realtà. Un universo che si fregia di “fare arte e cultura” che si mostra del tutto simile al mondo dello sport, altrettanto silente, altrettanto ipocrita.
L’asfalto del disimpegno degli anni Ottanta e Novanta ha colpito duro. Se questi sono i registi e gli attori che ci ritroviamo, cosa possiamo attenderci dal loro cinema, dai loro film che magari pretendendo pure di irridere il vuoto patinato dei nostri tempi, salvo poi crogiolarsi in un vuoto estetismo, o che magari, intendendo denunciare le miserie di una sinistra che si è persa per strada, non si accorgono nemmeno che stanno in realtà parlando di sé stessi. Meglio allora sfruttare i personaggi che si sono costruiti per realizzare spot televisivi o trascinarsi nella finta autoironia di qualche serie autoreferenziale sulle piattaforme sul piccolo schermo.
Di certo spendere qualche parola di denuncia a proposito del genocidio mediorientale sotto i riflettori della Mostra non avrebbe redento il mondo del cinema italiano dalla pochezza culturale che lo contraddistingue, ma almeno avrebbe permesso a qualche suo protagonista di mostrarsi meno indifferente di quel che è. Magari, un giorno, folgorati sulla via di Damasco, alcuni di loro si chiederanno se di fronte a un genocidio avrebbero potuto almeno dire qualcosa sfruttando la loro notorietà e si vergogneranno per non averlo fatto. Vorrà dire che faranno i conti con la loro coscienza, ma sappiano sin da ora che nessun ravvedimento cancellerà la codardia di cui hanno dato prova.
Nel frattempo continuino pure con i loro film furbini, scadenti, inutili e ipocriti. A noi viene alla mente un efficace titolo di un film di alcuni anni fa diretto e interpretato da Pif: E noi come stronzi rimanemmo a guardare. Già, i protagonisti del cinema italiano – con qualche lodevole eccezione di cui non ci dimenticheremo –, di fronte a un genocidio, come stronzi sono restati a guardare. Anche di questo ci ricorderemo.
Per Codice Rosso, Max Renn e Guy van Stratten
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Dillon Danis vuole la corsia preferenziale verso la UFC
Dillon Danis vuole la UFC. Non è un mistero, non lo è mai stato. Ma sa bene che la strada standard – quella dei preliminari, del Contender Series, dei match di costruzione lenta – non fa per lui. Danis è convinto di dover trovare una corsia preferenziale. E ci sta provando.
Sabato scorso, a Misfits Boxing 22, ha centrato la terza vittoria da professionista in MMA sottomettendo Warren Spencer in 15 secondi netti. Spencer era al debutto, il divario tecnico era imbarazzante: un pugno, un clinch, una ghigliottina, fine. Un incontro da highlight più che da curriculum.
Eppure per Danis il punto non era il livello dell’avversario. Il punto era dimostrare che lui vende. Che quando entra in gabbia, lo show funziona.
“Appena l’ho colpito sapevo che stava andando giù. Ha provato a stringere e da lì non importa se è collo o braccio: quando mi agganci, sei finito.”
Il setup e il messaggio
Per molti, questo era un setup fight. Un match da imbastire, consumare e dimenticare. Ma per Danis era un segnale: non gli interessa accumulare record, gli interessa convincere i matchmaker della UFC a dargli la scorciatoia.
Non vuole il Contender Series, non vuole le selezioni. Vuole saltare la fila, entrare nel roster principale e generare rumore. In un certo senso, sta usando lo stesso approccio che ha portato influencer e YouTuber sul ring: bypassare il merito tecnico e puntare tutto sull’attenzione.
E qui c’è la sua scommessa.
L’intrattenitore travestito da fighter
Negli ultimi anni Danis ha fatto più rumore fuori dalla gabbia che dentro. Una sola apparizione, ma una pioggia di tweet velenosi, provocazioni, risse verbali e incursioni nel circo dell’influencer boxing.
La narrativa che cerca di costruire è chiara: “La UFC è noiosa, sta morendo. Io posso portare intrattenimento, pacchetto completo.”
Non è un caso che citi Kevin Holland, Leon Edwards, Michael Page: non come rivali tecnici, ma come pedine per dimostrare che lui vende più di loro. La qualità del grappling è innegabile – background da élite mondiale – ma Danis vuole far passare un altro messaggio: il suo ingresso non è un affare sportivo, è un affare mediatico.
La corsia preferenziale
Danis non cerca di costruire una carriera, cerca di forzare una porta. Sa che il percorso lineare non gli spetta, che in UFC ci sono decine di fighter più solidi, più costanti, più meritevoli. Ma lui scommette sullo shortcut: farsi notare, creare hype, diventare “il nome” che non puoi ignorare.
È un gioco rischioso, ma coerente col personaggio. Nel frattempo, cavalca anche l’opzione Misfits: lo stesso evento ha visto Tony Ferguson battere Salt Papi, e Danis sogna già un duello con lui – un classico “fight-spettacolo” che allinea guadagni e storyline.
“Tony ha vinto, sono contento. Ci siamo parlati, ci siamo detti: andiamo a prenderci i soldi. Io ho detto no a GFL, meglio Misfits. Ma so che lui ci pensa ancora.”
La domanda vera
Non è se Danis possa stare in UFC sul piano tecnico – il grappling ce l’ha, e questo è indiscutibile. La domanda è se la UFC ha ancora bisogno di personaggi come lui, di schegge mediatiche che cercano l’ingresso laterale.
In un’epoca in cui la promotion spinge su star globali e mercati nuovi, Danis cerca di posizionarsi come “quello che accende le luci”. Se riuscirà a convincere Dana e i matchmaker, non sarà per i 15 secondi di Las Vegas. Sarà perché avrà reso impossibile ignorarlo.
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l’incontro di esiste la ricerca anche su mobilizon (e fb)
ESISTE LA RICERCA
5-6-7 settembre, Studio Campo Boario,
viale del Campo Boario 4/a, Roma
Evento su Mobilizon:
mobilizon.it/events/cd4c6dab-6…
Evento fb:
facebook.com/events/1527943968…
#ELR #ELREsisteLaRicerca #EsisteLaRicerca #eventi #evento #FB #incontro #Mobilizon #reading #StudioCampoBoario
5-6-7 settembre, Roma: ESISTE LA RICERCA, quinta edizione_ Allo Studio Campo Boario
Venerdì 5 e sabato 6 settembre 2005, dalle 10 alle 18 – e domenica 7, dalle 10 alle 14 a Roma, presso lo Studio Campo Boario Viale del Campo Boario 4/a _ (Metro B – fermata Piramide) ESISTE LA RICERCA quinto incontro (2025): IL GIOCO DELLE COMU…mobilizon.it
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C’era poi una terza corrente che faceva riferimento al pensatore Julius Evola
Non è possibile utilizzare la categoria di destra nell’Italia del secondo dopoguerra senza fare i conti con «“l’invasione” del concetto di destra da parte del fascismo» <1. È quella che è stata più volte rilevata come l’anomalia della destra italiana: antiliberale, antisistema e antimoderna, tanto che essa stessa è arrivata a rifiutare l’etichetta di destra, che dall’evento fondativo della modernità – la rivoluzione francese – aveva tratto origine <2. L’accostamento di destra e (neo) fascismo ha avuto l’effetto di rimuovere la destra dal circuito della legittimità politica. Una riprova in questo senso è la mancata separazione di destra ed estrema destra ❤. Condannati nel ghetto dell’illegittimità, missini e monarchici stentavano a sopravvivere agli albori dell’Italia repubblicana e antifascista. La condanna, però, lungi dall’essere meramente imposta dal sistema, era paradossalmente cercata. Il rapporto tra identità e legittimità costituisce un’utile cartina di tornasole per comprendere le ragioni degli esclusi. È stata la stessa identità a generare illegittimità, che a sua volta li ha relegati ai margini della competizione politica. Tale marginalità ha rilanciato l’orgoglio della diversità e ha alimentato la spirale dell’identità illegittima <4.
Nel 1948 le urne non avevano dato grandi soddisfazioni ai partiti di destra, se si esclude l’effimero successo dell’Uomo Qualunque <5. Tuttavia, alla trascurabile rappresentanza parlamentare non corrispondeva la medesima diffusione nella società. Solo in parte, infatti, la presenza della destra in parlamento rendeva ragione dell’ampiezza della destra nella società e nel mondo imprenditoriale e culturale in senso lato.
Alla luce di queste considerazioni, la riduzione della categoria di destra a neofascismo non è esaustiva. Sia perché il neofascismo aveva ancoraggi culturali e ideologici anche a sinistra e sia, soprattutto, perché non permette di capire l’Italia degli anni Cinquanta, periodo privilegiato per indagare la consistenza e il seguito della destra – sia in Parlamento che nella società – nel nostro Paese.
È necessario, a questo proposito, non cedere alla tentazione di identificare la destra con il fascismo né con il neofascismo. E allargare l’orizzonte a quella che è stata felicemente definita destra “impolitica” o “carsica”. Una destra, cioè, che non solo non si identificava coi due terminali partitici all’estremità dello schieramento politico – Pnm e Msi – ma era anzi assai critica nei loro confronti. Distanziandosi dalla “iper-politicità” delle due formazioni, presentava non di rado spiccate venature di antipolitica e di scetticismo nei confronti del sistema parlamentare in quanto tale. Ciò premesso, il riferimento al fascismo di questa seconda declinazione della destra si presentava piuttosto sfumato. La nostalgia dei “bei tempi andati”, siano essi identificati col Duce o con la Corona, rimaneva nell’alveo di un generico conservatorismo, piuttosto distante da Salò e da contenuti programmatici aggressivi. Era un fronte sociale eterogeneo «sempre pronto a palpitare per generiche cause nobili ma restio a mobilitarsi davvero nell’agone politico» <6. Alla critica per certi versi acuta e formidabile nei confronti del sistema politico non seguiva mai un programma organico e credibile. Tanto era profonda la distanza dai missini, quanto era generica l’attesa delle “forze sane” che avrebbero dovuto soppiantare il tanto vituperato “ciellenismo”. Si trattava di un’attesa che univa industriali di vari settori a intellettuali come Indro Montanelli. Accomunati dal rifiuto del nascente sistema partitocratrico, avevano individuato distorsioni che si sarebbero approfondite nel tempo. Con ogni probabilità, le più preoccupanti erano l’eccessivo potere dei partiti e lo sconvolgimento di credenze consolidate. Ma erano uniti più contro qualcosa che per un progetto comune, eccezion fatta per l’esperienza di Edgardo Sogno. In altri termini, il collante delle varie famiglie e personalità della destra nell’Italia degli anni Cinquanta era l’avversione al comunismo <7. Oltre a dover sopportare, a volte giustamente e altre meno, il fardello del fascismo, l’altro dato strutturale delle destre era, appunto, l’anticomunismo.
È utile passare in rassegna più nel dettaglio le destre in Italia all’indomani del conflitto mondiale, tenendo ben presente anche il contesto internazionale. Fin dalla fondazione, nel dicembre ’46, vari furono i problemi che dovette affrontare il Movimento sociale italiano. Il partito riunì numerosi gruppi e associazioni che erano sorti spontaneamente dopo la guerra. Già durante il conflitto, stando all’attento lavoro di Parlato, si erano poste le basi, con la collaborazione dell’Oss (Office of strategic services) e di alcuni settori del Vaticano <8, per la nascita di un soggetto politico del genere. Dopo la guerra, e in particolare in occasione del referendum del ’46, anche Pci e Dc, con interessi e finalità diverse, si impegnarono a trattare col neofascismo <9. Inoltre, i missini cavalcarono le proteste sorte in seguito alle condizioni di pace e si presentarono come gli unici veri interpreti della nazione italiana <10.
Risolto il problema della sopravvivenza, anche grazie all’amnistia <11, l’altra battaglia era quella della scelta legalitaria rispetto alla clandestinità. Tale scelta, tutt’altro che unanime, suscitò i malumori dei giovani e dei reduci che avevano attivamente partecipato alla Rsi. Era, in termini più generali, la spia della presenza di due anime: una di “sinistra”, repubblicana, antioccidentale e terzaforzista che intendeva combattere il regime ciellenista traditore dello spirito di Salò, e l’altra, più pragmatica, nazional-conservatrice in campo sociale e religioso, filomonarchica e filoatlantica, che voleva inserirsi nel sistema politico parlamentare <12. Principali interpreti della tendenza legalitaria erano Romualdi e Michelini. Per estendere l’area di influenza del partito e far fronte alla sfida comunista, puntavano a trasformare il neofascismo «da fenomeno di conventicole perdenti in forza politica in grado di parlare a molti, se non a tutti» <13. Tuttavia, la strategia del “Senato” missino era destinata a rimanere sulla carta e ad essere soppiantata dall’attivismo di Almirante. Da gennaio ’47 alla vigilia delle elezioni politiche del ’48, la struttura del Msi venne modificata sia a causa di una serie di eventi – arresti, uccisioni e allontanamenti – che misero fuori gioco esponenti del “partito di Romualdi”, sia per la strategia almirantiana. L’approccio di Almirante comportava un radicamento sul territorio prima sconosciuto. Dai comizi nelle piazze al “giornale parlato”, il Msi acquisiva un metodo e una visibilità completamente nuovi <14.
Alla decisiva scadenza elettorale del 18 aprile 1948 il partito si presentava con un programma comprendente la critica serrata alla Costituzione, il rilancio di alcuni nodi irrisolti della politica estera, la socializzazione del lavoro e la valorizzazione della necessaria opposizione nazionale al governo e ai socialcomunisti <15. Il Msi, sulla base di un programma decisamente “sociale”, raccolse però voti soprattutto tra i notabili e i grandi proprietari terrieri del Sud. Eleggendo sei deputati e un senatore, tutti nelle circoscrizioni meridionali, il partito della Fiamma concludeva la fase della clandestinità ma non poteva evitare di fare i conti con l’inattesa geografia dei consensi e con la difformità tra elettori potenziali ed effettivi. Si trattava della forbice tra dirigenti e militanti da una parte ed elettori dall’altra. Una forbice la cui presenza era fisiologica in ogni partito, ma che nel Msi assurgeva a vero e proprio carattere distintivo a causa della grande distanza – nello stesso tempo geografica, storica e ideale – tra attivisti ed elettori. Tale aspetto, ampiamente rilevato dalla storiografia, ha obbligato i dirigenti a retrocedere dalle «originarie velleità barricadiere e ribellistiche» <16, pena la scomparsa del partito stesso. Come ha efficacemente sottolineato Tarchi, «per il Mezzogiorno il fascismo aveva rappresentato un fenomeno di promozione e di accelerazione della mobilità sociale verso l’alto, che non aveva avuto riscontro nella parte più sviluppata del Paese» <17.
Non era certo sufficiente la rappresentanza parlamentare a garantire il crisma della legittimità. Da parte sua, il Msi continuava ad agire in maniera quasi schizofrenica: da un lato riaffermava la propria identità di partito di nicchia, dall’altro si poneva come partito-nazione e «accreditandosi come titolare di una investitura quasi sacrale» <18 si contrapponeva agli altri partiti. In cima all’agenda politica dei missini c’erano battaglie <19. Dal punto di vista interno costituivano una priorità la collocazione del partito nello spazio politico e la conseguente strategia di alleanze, la battaglia contro l’epurazione, i diritti dei combattenti della Rsi e la politica sociale. Da quello internazionale l’adesione al Patto Atlantico, il ruolo dell’Italia come potenza coloniale e la questione di Trieste erano gli argomenti principali.
Questi temi furono oggetto di discussione al secondo congresso, che ebbe luogo a Roma nel 1949 e vide consolidarsi la presenza delle due anime antitetiche su pressoché tutte le questioni sollevate. C’era poi una terza corrente, più culturale e meno politica, che faceva riferimento al pensatore Julius Evola, tradizionalista, antililiberale, antimoderno, anticristiano e fautore di un “razzismo spirituale”. <20 Tale confronto, con diverse sfumature, incontri e scontri più o meno decisivi, ha scandito tutte le fasi della storia del Movimento sociale italiano. <21
[NOTE]1 G. Parlato, La cultura internazionale della destra tra isolamento e atlantismo (1946-1954), in G. Petracchi (a cura di), Uomini e nazioni. Cultura e politica estera nell’Italia del Novecento, Gaspari editore, Udine, 2005, p. 134. Si vedano anche: E. Galli della Loggia, Intervista sulla destra, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 134-135; R. Chiarini, La destra italiana. Il paradosso di una identità illegittima, «Italia contemporanea», n. 185, dicembre 1991, p. 585.
2 M. Revelli, La destra nazionale. Un manuale per capire, un saggio per riflettere, Il Saggiatore, Milano, 1996, p. 63.
3 A titolo di esempio, Ginsborg ha scritto che «le perdite democristiane del 1953 erano andate a vantaggio dell’estrema destra», P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006, p. 192. Tra gli altri autori che associano la destra all’estremismo si segnalano F. Ferraresi (a cura di), La destra radicale, Feltrinelli, Milano, 1984, p. 13 e P. Di Loreto, La difficile transizione. Dalla fine del centrismo al centrosinistra 1953-1960, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 55 n. Anche Bobbio ha espresso le sue perplessità su una distinzione semantica che non è secondaria. Distinguendo «una destra eversiva da una destra moderata, cui dall’altra parte corrisponderebbero una sinistra moderata e una eversiva, si otterrebbe il duplice vantaggio di non forzare il linguaggio e di non usare un criterio di distinzione sbilanciato», N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma, 1994, p. 63.
4 R. Chiarini, Destra italiana. Dall’Unità d’Italia a Alleanza Nazionale, Marsilio, Venezia, 1995, p. 12.
5 Sull’Uomo Qualunque si vedano: S. Setta, L’Uomo Qualunque 1944-1948, Laterza, Roma-Bari, 1975; S. Setta, La Destra nell’Italia del dopoguerra, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 13-18; G. Parlato, La nazione qualunque. Riformismo amministrativo ed europeismo in Guglielmo Giannini, «Storia contemporanea», a. XXV, n. 6, dicembre 1994.
6 R. Chiarini, Destra italiana, cit., pp. 64-65 e 76-77.
7 Si veda soprattutto D. Cofrancesco, Destra e sinistra. Per un uso critico di due termini chiave, Bertani, Verona, 1984, p. 47.
8 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Il Mulino, Bologna, 2006. Il ruolo della Chiesa cattolica non va però esagerato. Parlato ritiene infatti (p. 304) «sbrigativa – e, soprattutto, indimostrata – l’affermazione di Murgia secondo la quale “il Movimento Sociale Italiano nasce con la benedizione del Vaticano”», si veda P.G. Murgia, Il vento del Nord, Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1945-1950), Sugarco, Milano, 1975, p. 295.
9 Si vedano P. Buchignani, Fascisti rossi. Da Salò al Pci, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-1953, Mondadori, Milano, 2007; P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino, Bologna, 1989,
p. 24.
10 Utile in proposito la riflessione di Neglie: «La Nazione diventò così il terreno eletto per giocare la partita della propria sopravvivenza politica, in un paese ancora preda di fremiti rivoluzionari, di desideri di vendetta, bisognoso di chiarezza e unità di intenti», P. Neglie, Il Movimento Sociale Italiano tra terzaforzismo e atlantismo, «Storia contemporanea», a. XXV, n. 6, dicembre 1994, p. 1170. Si vedano anche M. Revelli, La destra nazionale, cit., pp. 70-71; P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo. Da Salò ad Almirante. Storia del Msi, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 39.
11 Si veda M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Mondadori, Milano, 2006.
12 Si vedano S. Finotti, Difesa occidentale e Patto Atlantico: la scelta internazionale del Msi (1948-1952), «Storia delle relazioni internazionali», a. VI, n. 1, 1988, p. 88; M. Tarchi, Cinquant’anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Intervista di A. Carioti, Rizzoli, Milano, 1995, p. 32; P.G. Murgia, Ritorneremo! Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1950-1953), Sugarco, Milano, 1976, p. 98. Per una dettagliata analisi dei vari movimenti, tra cui i Far, e personaggi che rifiutarono l’opzione moderata si veda G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., pp. 255-269.
13 G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., p. 250.
14 Sulla nuova strategia missina si veda G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, cit., pp. 269-280; P.G. Murgia, Ritorneremo!, cit., p. 88-92.
15 Sul programma del ’48 si vedano M. Revelli, La destra nazionale, cit., p. 23; G. Roberti, L’opposizione di destra in Italia 1946-1979, Gallina, Napoli, 1988, p. 40. Ignazi lo ha definito un «programma orientato a sinistra», P. Ignazi, Il polo escluso, cit., p. 46.
16 M. Tarchi, Cinquant’anni di nostalgia, cit., p. 32. Si veda anche P. Neglie, Il Movimento Sociale Italiano tra terzaforzismo e atlantismo, cit., p. 1174.
17 M. Tarchi, ibidem, p. 33.
18 R. Chiarini, «Sacro egoismo» e «missione civilizzatrice». La politica estera del Msi dalla fondazione alla metà degli anni Cinquanta, «Storia contemporanea», a. XXI, n. 3, giugno 1990, p. 457.
19 Per un’analisi delle sfide che deve fronteggiare il Msi dal 1949 si veda P. Ignazi, Il polo escluso, cit., pp. 54-59; M. Tarchi, Cinquant’anni di nostalgia, cit., pp. 48-50; P. Rosenbaum, Il nuovo fascismo, cit., p. 197. Sulla situazione dei giovani missini si veda A. Carioti, Gli orfani di Salò. Il “sessantotto nero” dei giovani neofascisti nel dopoguerra 1945-1951, Mursia, Milano, 2008, cap. 4, pp. 118-150.
20 M. Revelli, La destra nazionale, cit., p. 20. Si veda anche D. Lembo, Fascisti dopo la liberazione. Storia del fascismo e dei fascisti nel dopoguerra, dalla Repubblica Sociale al Movimento Sociale Italiano 1945-1956, MA.RO. Editrice,
Copiano (Pv), 2007, pp. 113-116, e A. Jellamo, J. Evola, il pensatore della tradizione, in F. Ferraresi, (a cura di), La destra radicale, cit., pp. 215-252.
21 Si veda P. Ignazi, Il polo escluso, cit., p. 59.
Federico Robbe, Gli Stati Uniti e la Destra italiana negli anni Cinquanta, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 2009-2010
#1947 #1948 #1949 #amnistia #anticomunismo #antipolitica #Congresso #destra #elezioni #FedericoRobbe #GiorgioAlmirante #JuliusEvola #legalitaria #Meridione #MSI #neofascismo #OSS #Sociale #StatiUniti #tendenza #Vaticano
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schifezze della mi band nascoste creano il marcio
Probabilmente, forse, anche se non so in che modo, dovrei prendere l’abitudine di pulire il cinturino di gomma della Mi Band (e il retro della band stessa, che forse sotto sotto è pure peggio a guardare), perché tempo una manciata di settimane che non lo si fa ed ecco che questo diventa ricoperto di questa tale assurda monnezza dappertutto, nelle parti un minimo a contatto con la pelle… 👻
…Una monnezza che, però, ha un certo stile. Innanzitutto, è indubbiamente un po’ misteriosa: di che tipo di sostanza sarà fatto, questo tale schifo? È questo marrone beige che facilmente si sfalda, e forse sotto sotto anche gnammy (ma NON lo assaggerò, stavolta), però è alquanto criptico… penserei sia sudore inmerdato, ma boh. Poi, come si fa ad incrostare, oltre che sulla parte liscia grande, anche dentro i buchini dell’aggancio, veramente non capisco, perché ci finisce (e poi esce) veramente molta materia relativamente a quanto poca (quasi niente) sembra che ce ne sia ad occhio. 🤭
Vabbé, fa schifo, ma queste sono le mie assolutissime vibe. Ogni tanto è bene raccontare anche queste cose intriganti molto piccole sulla mia vita e il mio destino, così evitiamo preventivamente che boh, eventuali bavosi che si annidano su Internet si fissino in maniera sconveniente su di me. Questo è lo spirito del girlrotting e… in effetti, questa è una delle applicazioni pratiche non troppo dannose di esso: non potrò permettermi di farmi crescere la muffa sugli arti, ma un pochino di essi in spirito viene comunque via e diventa schifo, in un miscuglio di pelle morta, acqua sporca e sali minerali… ❤️
#MiBand #schifo #sporco #wristband
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per ‘la finestra di antonio syxty’, incontro su “moscografie”, di anna papa e silvia tebaldi
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il libro: biblionedizioni.it/prodotto/mo…
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Moscografie - Biblion edizioni
di Anna Papa e Silvia Tebaldi (La mosca ci guarda guarda la mosca che ci sta guardando. La mosca ci studia guarda la mosca che ci sta studiando. La mosca cospira guarda la mosca che sta cospirando.Biblion Edizioni
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L’anglocrazia e gli anglicismi (che schiavi degli Usa zio Sam ci creò)
Di Antonio Zoppetti
“Agosto, lingua mia non ti conosco”, si potrebbe concludere dopo il delirium anglicus con cui i mezzi di informazione ci hanno lavato il cervello. In latino non maccheronico si direbbe delirium anglicum, al neutro, ma chissenefrega, tanto il latino è stato dismesso da decenni come modello formativo e ormai c’è solo l’inglese. Il fenomeno non è però balneare, ma ormai strutturale: dopo la sciacquatura dei cenci in Arno per modernizzare la lingua ottocentesca, con buona pace del Manzoni nel nuovo millennio i nuovi ceti colti lavano i panni nell’Hudson River più che nel Tamigi.
Tra i titoli in itanglese puro della rassegna stampa che ho raccolto, mi ha colpito: “Malpensa, 26enne appicca il fuoco vicino al check in e prende a martellate i desk: evacuato il Terminal 1″.
Non poteva poi che impazzare l’overtourism, neanche a dirlo, visto che i giornalisti sembrano incapaci di esprimersi in italiano attraverso parole come sovraffollamento o sovraturismo.
Tra le chicche dell’estate, segnalo un pezzo che introduce il modernissimo, internazionalissimo e intraducibilissimo concetto di superager: “Ecco perché il cervello di alcuni ottantenni funziona come quello dei cinquantenni”, ma allo stesso tempo: ecco come il cervello di alcuni giornalisti italiani funziona come quello degli angloamericani di cui sono i collaborazionisti e la cassa di risonanza.
Che schiavi degli Usa zio Sam ci creò
L’anglocrazia, di cui il nostro apparato mediatico coloniale è l’espressione, non si limita a diffondere pappagallescamente in inglese – invece che in italiano – i concetti che si rubano dalla cultura superiore; si spinge a introdurre nella nostra società persino i neologismi introdotti dai dizionari inglesi, come quello di Cambridge che ha registrato una parola come “skibidi”, una scelta davanti alla quale – invece di reagire con un bel chissenefrega come avviene per i neologismi dei vocabolari francesi, spagnoli o tedeschi – i giornali la trasformano in una notizia eclatante da introdurre anche nel nostro lessico. Come se fossimo una provincia dell’anglosfera in cui ci si deve adeguare alle direttive della casa madre, in un ponderato progetto di anglificazione culturale dove gli anglicismi sono introdotti e diffusi per educarci alla lingua dei padroni e dello zio Sam.
E così nel Bresciano il cambiamento climatico (forse climate change sarebbe più appropriato, ma nessuno è perfetto) si combatte con il breeding, mentre il mais nano diviene smart corn che fa pendant (mi si perdoni il francesismo) con il popcorn (in cui forse si trasformerà una volta raccolto e lavorato), ma anche con lo smart working dell’era di smart city, smart card, smartphone, smart tv, smartwatch, smartglass… (ad libitum sfumando e sfogliando i dizionari dell’”italiano” moderno). Intanto i tour operator introducono il glamping accanto alle vacanze pet friendly, mentre sticker dopo aver soppiantato la parola adesivo si trasforma in cerottino “anti-brufoli” (da notare che il titolista mette le virgolette su anti-brufoli, mica su sticker).
Passando dalle idiozie che servono a riempire le pagine dei quotidiani in periodo di ombrelloni alle cose serie e alle notizie vere, spicca il fatto che ormai si parli solo di Gaza City, invece che di Gaza o della città di Gaza, come fosse una tipica denominazione araba. Sembra insomma che non basti radere al suolo la città con tank e raid (parole che fanno apparire tutto in modo più soft rispetto a carro-armati e bombardamenti), né sterminare la popolazione composta prevalentemente da minori in un ponderato progetto politico che però non si deve certo chiamare “genocidio”, perché le parole sono importanti (ma solo quando fa comodo)! E infatti – mentre anche la Cisgiordania rischia di diventare la West Bank occupata dagli israeliani in modo sempre più ufficiale – in attesa di trasformare la Striscia in un villaggio turistico pieno di resort per ricchi tycoon ripulito dagli abitanti-terroristi sopravvissuti alle bombe e alla carestia provocata da criminali con il distintivo, sarà bene cominciare almeno ad anglicizzare la toponomastica, sovrapponendo le denominazioni in inglese a quelle italiane (e anche a quelle autoctone arabe, ci mancherebbe altro!).
L’anglocrazia, che la Treccani definisce la “posizione di predominio della lingua inglese in ambito internazionale”, a dire il vero da noi si ripercuote anche sul piano interno, e si vede anche da questi piccoli particolari linguistici, che non sempre sono consapevoli, perché in un contesto anglomane sempre più prepotente diventano degli automatismi istintivi. Le conseguenze dell’anglocrazia tutta italiana sono pesanti: se i giornali parlano solo di Gaza city in modo ossessivo e martellante che cosa possono fare i cittadini se non ripetere questa espressione che diventa una soluzione terminologica ufficiale?
Dalle italianizzazioni forzate del fascismo alla dittatura dell’inglese
Davanti alla decisione di Google Maps di affiancare la storica denominazione di Golfo del Messico a quella di Golfo d’America per compiacere i capricci trumpiani, torna in mente la politica del fascismo per italianizzare La Thuile in porta Littoria o Sauze d’Oulx in Salice d’Ulzio. Eppure gli intellettuali che con la bava alla bocca ridicolizzano la politica linguistica del fascismo facendola coincidere solo con la guerra i barbarismi (in una revisione della storia), davanti all’anglicizzazione di Gaza City e West Bank tacciono. A nessuno o quasi viene in mente di denunciare la dittatura dell’inglese, anzi, la nuova egemonia culturale sta anglicizzando ogni aspetto della nostra società in modo decisamente più ampio e profondo rispetto alle italianizzazioni di regime.
E così l’anglocrazia regna dalla Sicilia, che ha inaugurato la campagna di promozione turistica denominata See Sicily (tra i See Sicily Voucher e i Discover Messina), alla Lombardia dove a Milano i nuovi quartieri – divenuti district – sono denominati in inglese (da City Life al Nolo: North of Loreto). E il nostro presidente del Consiglio, che prima di esserlo firmava le proposte di legge contro gli anglicismi, non appena eletto si è presentato come un underdogche ha immediatamente creato il Ministero del Made in Italy, mica del prodotto italiano, ma allo stesso tempo ha scelto di definirsi “il” presidente, con il maschile inclusivo, il che è tutto lecito, ma aiuta a riflettere sul ruolo della politica e delle istituzioni nel dare un’impronta alla lingua, visto che in Italia circola leggenda che sia un processo spontaneo e ingovernabile.
L’italianizzazione forzata ai tempi del fascismo a suon di tasse e divieti fa ridere rispetto all’attuale anglicizzazione imposta dall’alto a partire dalle istituzioni, dai mezzi di informazione, dal gergo lavorativo, tecnico, scientifico e culturale e dalla nostra intelligentissima egemonia culturale che insegue la cultura e la terminologia che viaggia insieme all’espansione delle multinazionali d’oltreoceano. Se i sostitutivi della Reale Accademia d’Italia riguardavano meno di 2.000 parole (perlopiù francesi), gli attuali sostitutivi in inglese registrati nei dizionari sono almeno il doppio, e quelli non ufficiali che circolano sulla stampa sono di un ordine grandezza superiore.
Certo, anglicismi governativi come stepchild adoption, ticket, caregiver, jobs act, cashback e tutti gli altri sono presentati come “scelte” libere degli italiani, ma l’ipocrisia celata sotto questa insopportabile tiritera è quella di far credere che l’evoluzione della lingua sia un processo “democratico” che arriva dal basso. Si tratta di una balla insostenibile da acchiappagonzi, visto che basta studiare un po’ di storia (non solo della lingua) per rendersi conto che al contrario deriva dall’alto, dalle classi dirigenti che vengono prese poi come modello che si propaga nelle masse. E questa lingua classista ha poco a che vedere con la democrazia e con il modo di esprimersi del popolo.
Lo avevano capito e spiegato perfettamente intellettuali come Gramsci o Pasolini, che forse proprio perché non erano linguisti in senso stretto riuscivano a vedere un po’ più in là di una categoria che pensa con arroganza di possedere l’esclusiva sull’argomento senza riuscire a produrre riflessioni in grado di spiccare e incidere sulla società, a parte casi sporadici. Anche un non linguista come George Orwell aveva perfettamente compreso che l’affermazione di una lingua non è affatto un processo democratico, ma avviene “grazie all’azione consapevole di una minoranza”. Nel suo 1984, immaginava proprio come il Grande Fratello cercasse di imporre la Novalingua sulla Veterolingua, perché la lingua è potere, e il suo controllo è strategico.
Se ai tempi del purismo e poi del fascismo circolava il motto di Machiavelli “a ognuno puzza questo barbaro dominio”, oggi pare che sia l’italiano a emanare un certo afrore tra la classe dirigente anglomane. Dunque, se negli anni Venti del secolo scorso la mobilitazione dell’intellighenzia e dei linguisti di regime in nome dell’italianità riuscì a creare un certo consenso nelle masse, negli anni Venti del nuovo millennio i nuovi intellettuali del nuovo regime anglocratico hanno gli occhi puntati solo sull’anglosfera. E la loro newlingua orwelliana finisce per instaurare un analogo (benché antitetico) clima culturale totalitario dove tutto ciò che è nuovo si esprime in inglese.
In questo compiaciuto suicidio linguistico, a proposito di governance sul sito della Crusca si legge che se una parola di origine straniera è ormai divenuta italiana non si pone il problema del suo uso istituzionale, e tra gli esempi di questo “italiano” spicca anche quello di computer, come se l’italianità di simili voci dipendesse dalla loro diffusione e accettazione e non dalla loro pronuncia e della loro ortografia che è fuori dall’italiano (dove la “u” non si legge “iu” e “nans” non si scrive “nance”). Un simile giudizio – che fa accapponare la pelle – si basa sulle frequenze d’uso, non certo sul fatto che vocaboli del genere siano compatibili con il nostro sistema linguistico. Una volta ho letto persino la riflessione di un bizzarro personaggio che si chiedeva dopo quanto tempo una parola inglese diventasse “italiana”, come se il punto non fosse la sua pronuncia, il suo suono o l’adattamento al sistema linguistico in cui viene inserita, bensì una sorta di traguardo che si ottiene mettendosi in lista di attesa, come per le case popolari.
Forse certi linguisti dovrebbero ripassare la lezione settecentesca di Alessandro Verri che, nella sua Rinunzia al Vocabolario della Crusca dalle pagine del Caffè, si rivolgeva contro l’arcaicità e lo strapotere dell’Accademia gridando a squarciagola che avrebbe utilizzato persino le parole arabe, turche o sclavone se “italianizzandole” avessero portato nuovi e utili contributi.
Ma oggi, i discendenti dei puristi di cui un tempo la Crusca rappresentava il baluardo, si sono modernizzati, e chissà, forse darebbero del purista anche a Verri, visto nell’articolo succitato sulla governance la possibilità di italianizzare con governanza è respinta come una soluzione antiquata, invece di essere auspicata. Dunque si legittima la forma straniera in un’imbarazzante confusione tra italiano e inglese, come fossero la stessa cosa, facendo appunto di tutta l’erba un fascio.
Questo descrittivismo estremizzato, nel proclamare “italiane” le voci angloamericane, non può che trasformarsi in un anarchismo metodologico dove tutto va bene (anything goes, per gli anglomani che faticano a praticare la lingua di Dante). Seguendo questa prospettiva, se un giorno finiremo per parlare direttamente in inglese come hanno deciso di fare in certi atenei universitari, per usare l’italiano come fosse un dialetto nei contesti informali, si potrà sempre dire che in realtà parleremo ancora in italiano, se “italiano” è ciò che sgorga dalle bocche e dalle penne di chi abita nello Stivale indipendentemente da tutto il resto.
I linguisti da barzelletta – o da nuovo regime – che bollano come “purista” o “fascista” chi pone la questione della salvaguardia dell’italiano schiacciato dall’inglese come fosse una questione di principio, invece che di numeri e di dati oggettivi, non sono solo tendenziosi e scorretti, ma soprattutto miopi.
Davanti all’attuale dittatura dell’inglese, non resta che prendere atto che siamo in un nuovo regime dove l’inglese e l’itanglese rappresentano la nuova lingua di classe che viene imposta al popolo. Rispetto al fascismo, l’attuale anglocrazia dominante in epoca di democrazie a dire il vero sempre più traballanti è in fondo molto più subdola, perché non è esplicitata e dichiarata a viso aperto, ma di fatto impone a tutti espressioni come Gaza city, overtourism, lockdown e tutte le altre cancellazioni dell’italiano non più con le multe e i divieti, ma sposando un’anglomania compulsiva che punta alla sostituzione del lessico italiano con un inglese venduto come qualcosa di volta in volta più moderno, solenne o internazionale.
Legittimare e accettare questo sistema, invece di denunciarlo e stigmatizzarlo, non rende certi linguisti “descrittivi” o neutrali, ma complici e collaborazionisti di un nuovo colonialismo linguistico planetario che rischia di fare tabula rasa di ogni altra cultura in nome del pensiero e della lingua unica dei popoli dominanti.
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La politica linguistica del fascismo e la guerra ai barbarismi [PARTE II]
Le censure del Minculpop e le liste della Reale Accademia d’Italia (RAI) minculpopCon la proclamazione dell’autarchia e la preparazione alla guerra di Etiopia, parlare l’idioma del nemico era…Diciamolo in italiano
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Risultati CJI 2 – Giorno 2 — Semifinali, Finali e Superfight (31 agosto 2025)
Team Semifinals
New Wave vs. Atos
• Kaynan Duarte vs. Vagner Rocha — pareggio
• Lucas Barbosa vs. Mica Galvao — pareggio
• Luke Griffith finalizza Diego Pato (rear naked choke)
• Felipe Pena finalizza Luke Griffith (armbar)
• Felipe Pena vs. Dorian Olivarez — pareggio
• Giancarlo Bodoni finalizza Ronaldo Junior (armbar)
Risultato finale: New Wave vince su Atos
B Team vs. Team Australasia
• Chris Wojcik vs. Lucas Kanard — pareggio
• Nick Rodriguez vs. Kenta Iwamoto — pareggio
• Ethan Crelinsten vs. Declan Moody — pareggio
• Victor Hugo finalizza Fabricio Andrey (arm triangle choke / katagatame)
• Victor Hugo finalizza Belal Etiabari (arm triangle choke / katagatame)
Risultato finale: B Team vince su Team Australasia
Finale torneo a squadre
B Team vs. New Wave
• Chris Wojcik vs. Mica Galvao — pareggio
• Victor Hugo vs. Vagner Rocha — pareggio
• Ethan Crelinsten vs. Dorian Olivarez — pareggio
• Jozef Chen vs. Giancarlo Bodoni — pareggio
• Nick Rodriguez vs. Luke Griffith — pareggio
Risultato finale: pareggio 47 47 su tutte le board;
B Team vince per criterio di spareggio (Rodriguez def. Griffith) per 10 8 nell’ultimo match <- risultato che fa discutere.
Superfight
• Craig Jones finalizza Chael Sonnen via buggy choke (seconda finale ripetuta)
Finale torneo femminile openweight
• Helena Crevar finalizza Sarah Galvao con un straight ankle lock al Round
Craig Jones Invitational 2 in numeri
Bonus serata
• Finalizzazioni premiate con 50 000 $: Victor Hugo (due submission), Craig Jones (doppia finalizzazione), Helena Crevar
Premio complessivo
• Torneo a squadre: B Team (1 milione $)
• Torneo femminile: Helena Crevar (100 000 $)
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La prima formazione partigiana a essere colpita è quella di Nicoletta
L’operazione Habicht si inserisce in un contesto più ampio di rastrellamento sull’intera regione montana dell’Italia nord-occidentale. L’operazione, condotta dal generale delle SS Tensfeld, <55 intende distruggere i nuclei del partigianato particolarmente attivi nelle vallate torinesi. La Val Sangone, interessata dall’operazione, viene coinvolta dai primi giorni di maggio 1944.
I partigiani valsangonesi hanno la soffiata dell’ufficiale Ernst von Pappenheim, in servizio a Rivoli, relativa a un’operazione di rastrellamento che dovrebbe aver luogo di lì a tre giorni, mettendo nelle condizioni i partigiani di potersi preparare strategicamente all’arrivo dei tedeschi. <56
Le avanguardie tedesche arrivano da Orbassano e Avigliana ma anche dalle montagne valsusine e valchisonesi, <57 circostanza che lascia impreparati i reparti partigiani, accerchiati e annientati.
Le prime bande partigiane a subire l’attacco sono le brigate Nino-Carlo, la ‘Sergio’ comandata da Sergio De Vitis, e la banda Giulio, comandata da Giulio Nicoletta.
La prima formazione a essere colpita è quella di Nicoletta, stanziata alla Maddalena, da un numero di attaccanti non superiore alle 2000 unità.
La banda di Nicoletta, accerchiata, riesce a contenere le perdite ma lascia al nemico le poche riserve di armi a sua disposizione. <58
Alla ‘De Vitis’ va peggio poiché lasciano sguarnito il versante montano dello schieramento; dallo stesso versante parte l’attacco delle formazioni naziste (con anche un battaglione russo) che decima la formazione, rimasta appena orfana del vicecomandante Sandro Magnone. Vi sono numerosi dispersi, morti e feriti, tra cui Giuseppe Falzone e Pietro Curzel, futuri comandanti della brigata ‘Magnone’.
La banda ‘Nicoletta’ viene attaccata sempre alle prime ore del mattino del 10 maggio. Il primo a cadere è la sentinella siciliana ventiduenne Liborio Ilardi, poi i partigiani si chiudono a Villa Sertorio nell’attesa della fine dell’attacco, con munizioni esigue ma utili a far desistere i tedeschi dal proseguire l’assedio <59.
Dall’attacco non viene risparmiata nemmeno la banda ‘Genio’, comandata da Eugenio Fassino, che opera al confine tra Val Susa e Val Sangone e che strutturalmente consta di 300 uomini suddivisi in 12 plotoni da 25 <60: la manovra di sganciamento dall’assedio risulta loro più facile, stante la capacità di respingimento dei primi attacchi tedeschi sferrati all’alba.
Successivamente, vista la sproporzione di forze in campo, la ‘Genio’ si disperde. <61
L’unica banda che non partecipa agli scontri con i tedeschi è la ‘Campana’ di Felice Cordero di Pamparato: così ricorda Carlo Pollone, rivaltese, militante nella formazione appena citata: “Arriva il 10 maggio il rastrellamento e la Val Sangone è una vallata che si arriva da tutte le parti, è pericolosissima e poi non eravamo mica in tanti, saremo stati quattro o cinquecento. Campana mi dice: ‘Vai fino al Col del Bes a vedere se vengono su di là’, perché non ci avevano ancora attaccati, eravamo più spostati. Allora io parto con 2 o 3 uomini e gli altri, Remo Ruscello e Ugo Giai Merlera sono andati ad attaccarli nella zona di Ponte Pietra. Si sono messi lì sulla montagna e sparavano ai camion che andavano su fermandoli.” <62
La tesi secondo cui la ‘Campana’ non subisce sostanziali perdite è confermata da Oliva dal momento che gli uomini sono rifugiati in una posizione in cui, i rastrellatori, non riescono a raggiungerne le postazioni poiché non visibili sia dalla pianura che dalla montagna. <63
La giornata del 10 maggio si conclude con un forte tributo di sangue da parte dei partigiani, aggravata dalle numerose stragi a danno dei prigionieri catturati nel rastrellamento.
[NOTE]55 Oliva G., La Grande Storia Della Resistenza: 1943-1948. UTET; 2018. p 307
56 Biffi R, Bruno E, Canale E, Grandis Vigiani C. Testimonianze Sulla Resistenza in Rivoli : Fatti Degli Anni 1943-45 Narrati Dai Protagonisti. Consiglio regione Piemonte; 1985. p 119
57 Adduci N, Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Torino 1938-45 : Una Guida Per La Memoria. Città di Torino; 2010 fascicolo Val Sangone p 8
58 Sonzini M., Abbracciati Per Sempre: Il rastrellamento del Maggio ’44 in Val Sangone e L’eccidio Della Fossa Comune Di Forno Di Coazze. Gribaudo; 2004. p 34
59 Ibid.
60 Fornello M., La Resistenza in Val Sangone. Tesi datt. Università degli studi; 1962. p 65
61 Sonzini M. Abbracciati Per Sempre, cit p 47
62 Testimonianza di Carlo Pollone contenuta in Antoniello D,. Rivalta Partigiana. Comune di Rivalta di Torino, 2001. p 22
63 Oliva G, Quazza G., La Resistenza, cit p 198
Alessandro Busetta, La resistenza in Val Sangone e la divisione Campana, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2022-2023
#10 #1944 #AlessandroBusetta #Campana #CarloPollone #divisione #fascisti #Habicht #maggio #operazione #partigiani #Piemonte #provincia #Resistenza #Sangone #tedeschi #Torino #Valle
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fondazione baruchello: “terra”, 2025-2026
La Fondazione Baruchello, insieme alla presidente Carla Subrizi, ha festeggiato l’anniversario della nascita di Gianfranco Baruchello (Livorno, 29 agosto 1924 – Roma, 14 gennaio 2023).
Siamo lieti di annunciare in quest’occasione che la programmazione della stagione 2025–2026 sarà dedicata al tema della “terra” attraverso un percorso annuale di ricerca, studio, sperimentazione artistica e mostre. La “terra” è considerata come terreno, materia e madre, coltivazione e cultura, elemento, fango, suolo e sottosuolo, stratificazione, habitat sociale e politico, lavoro e trasformazione, paesaggio, territorio, confine e attraversamento, scoperta, spazio, topos e utopia, spazio del possibile, terra di nessuno.
A inaugurare le attività espositive e di ricerca sarà la proiezione di quattro film di Gianfranco Baruchello, venerdì 3 ottobre 2025 dalle ore 18:00 in Via del Vascello 35: Il grado zero del paesaggio (1963), Ballade (1996), Le lieu (2010), Simulacrum (2011). Il ciclo di proiezioni si concluderà alla fine di dicembre.
Gianfranco Baruchello, “Mud Sling Equipment”, 2017 (detail), Fondazione Baruchello
Fondazione Baruchello, together with its president Carla Subrizi, celebrated the anniversary of the birth of Gianfranco Baruchello (Livorno, 29 August 1924 – Rome, 14 January 2023).
We are pleased to announce on this occasion that the 2025–2026 season will be dedicated to the “earth” theme through a year-long program of study, research, artistic experimentation and exhibitions. “Earth” will be considered as land, matter and mother, cultivation and culture, element, mud, soil and subsoil, stratification, social and political habitat, work and transformation, landscape, territory, border and crossing, discovery, space, topos and utopia, possibility’s space, no man’s land.
Inaugurating the exhibition and research activities will be the screening of four films by Gianfranco Baruchello on Friday, October 3, 2025 from 6 p.m. at Via del Vascello 35: Il grado zero del paesaggio (1963), Ballade (1996), Le lieu (2010), Simulacrum (2011. The screening cycle will conclude at the end of December.
#announcement #art #arte #CarlaSubrizi #exhibits #film #FondazioneBaruchello #GianfrancoBaruchello #mostre #ricerca #sperimentazioneArtistica #studio #video
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[r] _ “the reappearing pheasant”; italian and american authors in n.y., 2022
a New York, nell’inverno 2022, a circa trent’anni dalla prima esperienza collettiva di reading/dialogo/confronto di autrici e autori italiani e statunitensi (The Disappearing Pheasant), si è tenuto un nuovo incontro, sempre a cura di Luigi Ballerini, che ha visto molti poeti, critici e scrittori coinvolti.
gli atti di quelle giornate sono ora stati pubblicati da Agincourt Press: https://www.agincourtbooks.com/opuntia#/moscardi-dethomasis-the-acts-of-the-reappearing-pheasant/https://www.agincourtbooks.com/opuntia#/moscardi-dethomasis-the-acts-of-the-reappearing-pheasant/
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Francesco Muzzioli sui giorni del 2022: francescomuzzioli.com/2022/11/…
video completi: slowforward.net/2022/11/18/the…
dépliant e informazioni: slowforward.net/2022/10/27/the…
#acts #AgincourtPress #atti #IuriMoscardi #LuigiBallerini #SandroAngeloDeThomasis #TheReappearingPheasant
Opuntia Books — Agincourt Press
The Opuntia series publishes books on literary criticism, philosophy of language, poetics, and their intersection with political science.Agincourt Press
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No Ponte Awards, anche Argo tra i premiati
In un clima allegro nonostante il tema sia molto serio, mercoledì 27 agosto, a Torre Faro, là dove dovrebbe essere costruito il pilone siciliano del Ponte sullo Stretto, si è svolta la terza edizione dei No Ponte Awards, organizzata dal Comitato No Ponte Capo Peloro.
Sono stati assegnati premi e menzioni speciali a chi si è distinto a sostegno della causa No Ponte, ma anche […]
Leggi il resto: argocatania.it/2025/09/01/no-p…
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l’astratto del segno / differx. 2025
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#abstract #abstrasemic #asemic #astratto #differx #lAstratto #scritturaAsemica #segno
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CANZONE ITALIANA – Speciale Questione Meridionale 1971-1982
Flavio Scutti
istitutografico.com/articoli/a…
La Questione Meridionale è l’argomento politico su cui forse si è discusso di più dall’Unità d’Italia, ha generato emigrazione, lotte sociali e un sentimento radicato di appartenenza che è diventato anche espressione artistica. In questa selezione proviamo a descrivere cosa ha prodotto in musica, con quindici brani di incredibile bellezza che raccontano la storia del Paese
#canzoneitaliana #questionemeridionale
CANZONE ITALIANA - Speciale Questione Meridionale 1971-1982
La Questione Meridionale è l'argomento politico su cui forse si è discusso di più dall'Unità d'Italia, ha generato emigrazione, lotte sociali e un sentimento radicato di appartenenza che è diventato anche espressione artistica.ISTITUTO GRAFICO
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VIAGGIO ANALOGICO
Martina Vernile
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Per Martina la fotografia analogica è una fotografia lenta e meditativa.
Si avvicina alle tecniche più antiche, allo sviluppo e alla stampa all’argento, a calotipia e cianotipia sperimentando un linguaggio molto personale.
Nell’articolo trovate un racconto del suo lavoro e una selezione dei lavori più belli
#fotografia #fotografiaanalogica #calotype #calotipia #stampaaisalidargento #martinavernile #avezzano #fucino #marsica #abruzzo #istitutografico
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Archivio Come Eravamo
La fotografia di Gianfranco Torossi
istitutografico.com/articoli/a…
Fotografie inedite di un’Italia tra gli anni ’40 e ’70 che descrivono magistralmente il Paese. Qui in una selezione di Gianfilippo De Rossi che ci racconta il suo lavoro di valorizzazione dell’archivio
#fotografia #fotografiaanalogica #pellicola #ferrania #kodak #adox #roma
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minioctt
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