Leone XIV: ai giovani, “non sciupare la vita”
“I santi Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis sono un invito rivolto a tutti noi, soprattutto ai giovani, a non sciupare la vita, ma a orientarla verso l’alto e a farne un capolavoro”.
Leone XIV: “due santi dei nostri giorni innamorati di Gesù”, Frassati “una luce per la spiritualità laicale”
"Un giovane dell’inizio del Novecento e un adolescente dei nostri giorni, tutti e due innamorati di Gesù e pronti a donare tutto per lui”. Così il Papa ha definito Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che oggi diventano santi.
Frassati: card. Semeraro, “fede profonda, pagò il suo coinvolgimento nell’associazionismo cattolico”. Letta la biografia in apertura del rito - AgenSIR
“Ricevette l’abito del Terz’Ordine domenicano col nome di fra Girolamo”. Con queste parole, tratte dalla biografia ufficiale, il card.Riccardo Benotti (AgenSIR)
Oltre le sbarre, il fratello
Figura di riferimento e di provocazione per cattolici e non credenti dai tempi dell’antifascismo e della Resistenza, don Primo Mazzolari continua a parlare con voce chiara e profetica. Questo volume, curato da don Bruno Bignami e don Umberto Zanaboni, illumina un aspetto meno noto ma straordinariamente attuale del suo pensiero: la riflessione sul carcere e sulla dignità di chi ha sbagliato. In questi testi – articoli, pubblici interventi e omelie –, don Mazzolari ci guida in un viaggio scomodo, ma necessario: ci invita a guardare oltre le sbarre per riconoscere nei carcerati, prima della colpa, la persona. Non il «detenuto», non il «reo», ma il «fratello», anticipando un tema e un percorso complementare al processo, oggi presente anche nella recente riforma con l’introduzione dei princìpi della giustizia riparativa, nella convinzione che «la giustizia è nelle mani di pochi, la misericordia è nelle mani di tutti» (p. 31).
La scelta del linguaggio non è mai neutra; è una dichiarazione teologica e politica che interpella la coscienza credente e quella civile: «Chi non crede alla redimibilità di una creatura umana non è cristiano» (p. 45). Una posizione lineare e per molti aspetti rivoluzionaria, che pone al centro del discorso sulla giustizia non la punizione, bensì la possibilità del pentimento e del riscatto.
Don Mazzolari non era un cappellano delle carceri (il carcere l’aveva conosciuto subendo due arresti nel 1944, con l’accusa di aver favorito l’attività partigiana), eppure il suo sguardo verso chi è detenuto è intriso di empatia e misericordia, radicate nel Vangelo (cfr Mt 25,36) e alimentate dalla consapevolezza che ogni uomo, anche il più lontano, rimane figlio di Dio. Al termine della Seconda guerra mondiale, è emblematica la sua scelta di recarsi a celebrare la Messa in un carcere dove sono rinchiusi molti fascisti, esprimendo «la sua fraternità verso le persone che fino a poche settimane prima sarebbero state disposte ad arrestarlo e a ucciderlo» (p. 15). La giustizia che egli invoca è una giustizia «fraterna», che non si esaurisce nella pena, ma guarda alla possibilità di redenzione, con la consapevolezza che tutto ciò può implicare rischi e impopolarità.
Il libro è in piena sintonia con l’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, dove la fraternità è proposta come fondamento di ogni relazione sociale e politica. La Chiesa, secondo don Mazzolari, deve essere non solo madre, ma anche casa di riconciliazione, capace di accompagnare chi ha sbagliato verso una nuova possibilità di vita. In questo senso, conserva tutta la sua attualità la riflessione che il parroco di Bozzolo propone sul destino dei detenuti dopo la loro scarcerazione. Una volta scontata la pena, questa sembra proseguire in un contesto sociale in cui risulta molto difficile un reinserimento: «E, se nessuno l’accoglie, quando egli fa ritorno nel mondo, se non gli facciamo posto nella casa, nel lavoro, in chiesa, se lo respingiamo ai margini della società, perché una volta ha sbagliato, poiché nessuno rimane solo quaggiù, dove egli andrà?» (p. 82).
I Curatori del libro offrono una guida chiara alla lettura dei testi, valorizzando l’impatto spirituale e sociale delle parole di don Mazzolari. Parole dirette, profetiche e profondamente umane di un pastore appassionato, che non teme di criticare istituzioni e consuetudini quando queste tradiscono il Vangelo.
Il libro contiene un invito alla conversione dello sguardo: è un appello rivolto a credenti e non credenti a non cedere alla tentazione dell’indifferenza o della condanna definitiva. In un tempo in cui le carceri restano luoghi di sofferenza, marginalità e talvolta di oblio, la testimonianza di don Mazzolari, incentrata su un Vangelo mai edulcorato, si mantiene incisiva e drammaticamente attuale, invitando a tornare a credere nella forza trasformatrice della misericordia.
The post Oltre le sbarre, il fratello first appeared on La Civiltà Cattolica.
Agostiniani: p. Barba, “lo sguardo della speranza genera vera novità”. L’omelia nella messa della quinta giornata - AgenSIR
“Solo da Gesù, bellezza sempre antica e sempre nuova, possiamo ricevere uno sguardo rinnovato sulla realtà”.Riccardo Benotti (AgenSIR)
Breve storia (d’amore) dell’ebraico
Lo studio della lingua della Torah riserva continue sorprese nell’esegesi della Scrittura, nella preparazione all’Eucaristia domenicale e nella meditazione sui Salmi. Gesù parlava aramaico – lingua affine all’ebraico, un vernacolare elegante, si potrebbe dire, più parlato che scritto – e respirava l’atmosfera della sinagoga, e in particolare assimilò perfettamente la didattica farisaica.
La storia d’amore che Elena Loewenthal (che è stata docente allo ISS dell’Università di Pavia) narra in riferimento a una lingua, l’ebraico, per la quale ella ha speso una vita di studi, saggi e traduzioni, non intende costituire né un compendio di grammatica, né un sintetico manuale, né una storia della letteratura, ma vuole testimoniare la passione per una lingua scarna e densa di rivelazioni, ruvida e a volte invece dolcissima. Una lingua senza vocali, inflessibile nell’evitare di nominare un Dio irrappresentabile, e assieme feconda di proposte per aggirare il divieto e collegare il Signore dell’alleanza con le vite di chi ha creduto alla sua promessa.
L’antichissima lingua ebraica, lingua «sacra» per antonomasia, non è mai morta, anche se per molto tempo non è stata praticata ufficialmente. Essa obbliga il neofita italiano a un ribaltamento visuale (si legge da destra a sinistra) e a una concentrazione lessicale inconsueta, dato che la radice consonantica va integrata con suoni vocalici appresi sia per regola sia per uso. Eppure, l’A. afferma che «ogni volta, ogni sacrosanta volta che ho visto l’italiano e l’ebraico incontrarsi – sulla pagina, nella voce –, è puntualmente successo che le due lingue si sono regalate qualcosa a vicenda: una sfumatura di significato, un’accoppiata di suoni ben riuscita, una costruzione della frase mai tentata prima» (p. 9).
Alcuni accostamenti sono folgoranti. La lingua di studio si dice Ivrit e il patriarca Abramo è il primo a essere chiamato Avraham haivri (cfr Gen 14,13), ossia «colui che sta dall’altra parte», che passa, oltrepassa, nella fiducia all’appello che si è sentito rivolgere: “Esci dalla tua terra…”» (p. 33). Colpisce la somiglianza del ritmo della lingua con la voce di Dio. Dio è infatti «voce» in quel passo di 1 Re 19,12 in cui dona a Elia una «voce: silenzio sottile» (qol demamah daqah).
Mentre ci introduce alle consonanti, alle contaminazioni d’uso e ai grandi letterati, l’A. distingue la safah dal leshon haqodesh. La prima è la tollerante lingua praticata, che gli ebrei utilizzavano accanto – e a volte ibridandola – alle altre lingue della loro travagliata diaspora. Il secondo è il lessico santo, intangibile, con cui Dio ha creato il mondo e dettato la Torah a Mosè sul Sinai.
Loewenthal regala un divertente «allegato» ai nostri primi manuali di apprendimento e ci invita a una strana libertà di interpretazione: le tavole della Legge sono «incise» (cherot) nella pietra, ma un maestro raccomandava di leggere, proprio in quel termine, cherut, cioè «libertà», nel senso che lo stesso spazio bianco può dire qualcosa di nuovo a chi medita una narrazione o una preghiera così antica di cui nessun glossario o nessuna grammatica può indicare il significato definitivo. L’obbedienza si accompagna alla creatività.
«Eccomi» (Hinneh), dice pregando colui che crede nel Dio di Gesù Cristo, ricordando la vicenda di Samuele. Dio ci chiama e noi rispondiamo: «Mi hai chiamato, eccomi». E poi, in modo più maturo: «Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta». Ascoltiamo dunque la vibrazione di una parola, che si inscrive in una storia d’amore. Cifrata, come ogni storia d’amore.
The post Breve storia (d’amore) dell’ebraico first appeared on La Civiltà Cattolica.
Tg del 5 Settembre 2025
Coordinamento: Giacomo Basile Conduzione Valerio Francesco Silenzi Ticker: Clara Lacorte e Flavia Falduto Digiwall: Greta Giglio Collegamento: Leonardo Macciocca In redazione: Filippo Saggioro Marco Bertolini Antonio Fera Alessi Garzina Pietro…
L'articolo Tg del 5 Settembre 2025 su Lumsanews.