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Nigeria: vescovo di Kontagora a Fides, “gli ostaggi liberati sono in viaggio per riunirsi con le loro famiglie”
“I 100 ragazzi liberati si stanno dirigendo da Minna, la capitale dello Stato del Niger a Papiri per potere così riunirsi alle loro famiglie”, dice all’Agenzia Fides Bulus Dauwa Yohanna, vescovo di Kontagora, la diocesi dove il 21 novembre 315 person…
Cultura digitale: Soukup (La Civiltà Cattolica), «Chiesa può imparare da sua cultura, linguaggio e modi di espressione»
Il mondo online, “con la sua varietà, le sue opportunità e le sue sfide, è divenuto una matrice culturale per l’impegno della Chiesa nel mondo”. Lo scrive Paul A. Soukup nel numero di dicembre de La Civiltà Cattolica (quaderno n. 4.200), considerando la partecipazione ecclesiale alla cultura digitale sotto due aspetti: il resoconto del Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici dello scorso luglio, e una riflessione sul mondo digitale alla luce di quattro temi chiave del Sinodo.
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Gli incommensurabili
Dopo aver regalato ai lettori, con La terra liquida, una narrazione fascinosamente enigmatica, la viennese Raphaela Edelbauer ci propone un’incursione nella grande storia. Dal momento che Gli incommensurabili si svolge nella capitale austriaca durante un solo giorno: quel 30 luglio del 1914 in cui Austria, Germania e Russia proclamarono la mobilitazione generale. L’indomani, con il deflagrare della Prima guerra mondiale, nulla sarebbe stato più come prima.
E tutto sarebbe cambiato anche per i tre protagonisti del romanzo: per Hans, stalliere diciassettenne, alto quasi due metri, che parte all’alba dal Tirolo per raggiungere Vienna; per Klara, leggiadra studiosa di matematica, che sta preparando la tesi di dottorato proprio sui numeri incommensurabili; per Adam, giovane aristocratico, destinato a combattere per il suo Paese, ma votato alla musica da camera e allo studio della viola. Accomunati dal possesso di un singolare «dono», i tre si incontrano e trascorreranno insieme le successive 36 ore nel viavai incessante della metropoli che, come un torrente in piena, li travolge, facendoli entrare in contatto con gli individui e gli ambienti più disparati: dalle cene con lo Stato maggiore dell’esercito ai concerti nei quali viene eseguita la «scandalosa», apparentemente informe, musica di Arnold Schönberg; dagli scontri tra nazionalisti e suffragette alle bevute in vari locali sotterranei fino ai combattimenti a mani nude.
Il romanzo ci trasmette l’inquietudine e l’euforia avvertite nella capitale di un Impero in cui si vive inconsapevolmente la fine di un’epoca. Scrive al riguardo l’A.: «Da quella mattina, ogni individuo aveva un nuovo valore. Ogni bicchiere di vino bevuto o boccone di cibo mangiato era adesso una faccenda di Stato, in quanto testimoniava solidarietà o diserzione. E gli organi popolari incaricati del giudizio erano lì davanti a loro, sull’attenti» (p. 269).
Si tratta di un testo che, alla luce degli edifici a perdita d’occhio, delle ciminiere fumanti, delle grida, delle carrozze scampanellanti, dei sordidi bassifondi, pone la città di Vienna tra i protagonisti della narrazione: una sorta di mostro brulicante, che sembra in grado di assumere mille diverse sembianze e di schiacciare senza pietà la schiera formata dai tanti singoli individui.
Colpiscono – sotto il profilo stilistico – la scorrevolezza della prosa, il ritmo incalzante, il plurilinguismo, la stratificazione del linguaggio, i dialoghi calibrati ed efficaci, la varietà dei registri espressivi, che passano con disinvoltura dall’ironico al grottesco, dal mordace al tenero, dal deformante al burocratico. Va poi messo in rilievo come Edelbauer possegga un formidabile senso dell’umorismo: elemento, questo, che contribuisce a rendere assai vivace il flusso della narrazione e a renderne gradevolissima la lettura.
Le pagine dedicate alla geografia dell’Impero morente, all’urbanistica viennese, alle intuizioni della matematica e della psicologia, alla dirompente potenza delle avanguardie sembrano destinate a rimanere impresse nella nostra memoria: segni di un mondo in rapida trasformazione che, negli anni successivi, avrebbe assistito a rivolgimenti ancora più profondi e radicali. Uno Stato multietnico si sarebbe dissolto, le diverse nazionalità avrebbero vissuto il proprio trionfo, la stolidità degli uomini avrebbe gettato i semi di future catastrofi, l’individuo si sarebbe sempre più messo al servizio della massa, annullandosi. Il Novecento – fra totalitarismi di varia tipologia, guerre, deportazioni, genocidi – avrebbe mostrato ben presto tutta la sua ferocia.
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Almeno credo
«Scusate se lo dico, ma proprio noi cattolici italofoni […] ci siamo permessi di commettere un errore esiziale, imperdonabile. Siamo diventati tremendamente noiosi, abulici […], noi che in un fazzoletto di terra abbiamo la concentrazione più imponente di storia cattolica e cristiana, di chiese e monasteri, di opere stupefacenti per grandezza e bellezza trasudanti secoli di fede indomita» (p. 193). Questa amara constatazione anima le pagine del libro, che vuole essere un omaggio alla bellezza del cristianesimo, non solo per la ricchezza culturale e artistica cui ha dato vita nel corso dei secoli, ma soprattutto perché l’A. è convinta che la fede in Gesù Cristo fornisca una marcia in più nel percorso della vita, un plusvalore tanto prezioso quanto immeritato, perché gratuito: proprio per questo chi lo ha ricevuto ha il dovere di farlo conoscere.
Zuccarini ne parla affrontando con ironia e intelligenza problematiche universali che la vita prima o poi presenta: insoddisfazione, abbandoni, fallimenti, tragedie, morte ecc. Ma pur riguardando ogni persona, queste situazioni possono essere vissute in maniera differente, e forse è questa la questione davvero decisiva: «Il vero discrimine tra ricchi e poveri non sono i soldi. In fondo non ci sono uomini più poveri di quelli che non sanno di avere un Dio Padre a tenergli una mano sopra la testa» (p. 153). In tutti infatti c’è il desiderio di essere degni di amare ed essere amati, ed è questo a essere davvero in gioco, specie quando le cose si mettono male: «Senza un Padre Buono (per davvero) a tracciare la via precedendoci col Suo esempio, amare è una grossa faticaccia, e la vita diventa una corsa senza safety car» (p. 22).
L’A. cerca di mostrarlo con l’aiuto di testimoni che hanno preso sul serio l’incontro con questo Padre, affrontando una morte dolorosa con una serenità inspiegabile. Come è accaduto, ad esempio, alle «tre C» (Chiara Corbella, Chiara Luce, Maria Chiara Mangiacavallo): «Non vengono risparmiate da crisi e incertezze, stanno in croce pure loro, però consapevolmente rivolte verso la gioia. Forse vivere e morire credendoci sul serio, in quel Dio fatto uomo, vale la pena davvero» (p. 75). Lo mostra anche la vicenda di Carlo Acutis, morto a 15 anni per una leucemia fulminante. Carlo lascia in eredità il segreto della sua esistenza vissuta in pienezza fino all’ultimo, «la raccomandazione di adottare l’Eucaristia e il Santo Rosario come armi più potenti per fronteggiare il male» (p. 169).
Nel corso delle pagine vengono presentati anche episodi ordinari, incontri con amiche, conoscenti, compagni di scuola, dove a un certo punto emergono puntualmente le domande fondamentali, indipendentemente dall’età, dallo status sociale, dal percorso di vita, domande che riconducono puntualmente alla questione decisiva: per cosa vale la pena vivere?
Il libro presenta la testimonianza di fede di una donna, sposata e madre di famiglia, che nella quotidianità cerca di trasmettere con gioia e intelligenza la bellezza del credere, in ogni situazione. La cosa importante, che è insieme la più facile e la più difficile, è saper cedere il «posto di guida» e lasciare che il buon Dio faccia il suo mestiere, con il suo stile, i suoi tempi e i suoi segni, tanto imprevedibili quanto efficaci: «Non c’è fretta allora, ogni conversione a suo tempo. Ieri una madre centro italica disagiata, domani un sacerdote illuminato che spiazza col sorriso disarmante, dopodomani la frase di un giovane beato. Dio si fa strada così nella nostra vita, senza effetti pirotecnici. Tra le cose di ogni giorno: parole, incontri, letture. Con la pazienza di uno scalpellino, frantuma le difese dei cuori sofferenti» (pp. 169 s).
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