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+++ SIONISTI VANDALIZZANO TARGA COMMEMORATIVA DEL RETTORE DI GAZA: RETTRICE POLIMENI CONDANNI L’ACCADUTO - DOMANI PRESIDIO ORE 12 AL PIAZZALE DEL MARCONI +++

@Universitaly: università & universitari

Il comunicato del Collettivo di Fisica della Sapienza

A poca distanza dal presidio delle tende contro il genocidio, una squadraccia di fasciosionisti ha vandalizzato la targa affissa la scorsa settimana per ricordare Sufyan Tayeh, rettore dell’Università Islamica di Gaza ucciso in un bombardamento a dicembre.

Non possiamo accettare quella che è più di una provocazione: l’impunità di cui godono gli stessi che il 25 aprile hanno tirato sassi e bombe carta sullə manifestanti, oggi ha concesso loro di inneggiare ad Israele sulle stesse mura su cui la comunità accademica ricordava le vittime del genocidio in atto con complicità del nostro Paese.

La Rettrice Antonella Polimeni deve condannare la violenza sionista che oggi è stata lasciata libera di sfogarsi, e riaprire immediatamente il dibattito sul sostegno, vergognoso, che attraverso i numerosi accordi con le università israeliane l’ateneo fornisce al progetto genocida di Israele.

Dal presidio delle tende alle aule delle nostre facoltà non ci lasceremo intimorire dalle minacce dei sionisti, che agiscono certi della copertura fornitagli dalle istituzioni. Continueremo a tenere alta l’attenzione e a impegnarci nella solidarietà al popolo palestinese e alla sua resistenza.

Collettivo Fisica Sapienza


7 ottobre 2023 – 7 aprile 2024. Sei mesi di morte e distruzione


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della redazione

Pagine Esteri, 7 aprile 2024 – Sono passati sei mesi dall’attacco di Hamas nel sud di Israele e dall’inizio dell’offensiva militare dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza. Israele non mostra alcun segno di fermarsi e i colloqui in Egitto e Qatar non indicano ancora alcuna possibilità di un cessate il fuoco definitivo. La guerra a Gaza, dice Israele, è una rappresaglia per gli attacchi sul suo territorio da parte di gruppi armati, guidati dalle Brigate Qassam di Hamas, che hanno ucciso circa 1.200 persone e ne hanno fatte prigioniere circa 250. Ma il costo di questa ritorsione senza fine è stato eccezionalmente alto per tutta la popolazione di Gaza.

Almeno 33.137 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti aerei e dall’offensiva di terra di Israele, riferisce il Ministero della Sanità di Gaza. Altre migliaia di persone risultano disperse e si presume siano morte sotto le macerie di case ed edifici distrutti.

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Bambini e donne costituiscono la stragrande maggioranza delle persone uccise. Save the Children denuncia che sono stati uccisi più di 13.800 bambini. La Mezzaluna Rossa Palestinese afferma che circa 1.000 bambini hanno perso una o entrambe le gambe. L’UNICEF stima che almeno 17.000 minori palestinesi siano attualmente non accompagnati o siano stati separati dai loro genitori. Migliaia sono gli orfani. Oltre 75 mila persone sono rimaste ferite e non possono essere assistite perché il sistema sanitario di Gaza è in gran parte distrutto o danneggiato.

La situazione umanitaria a Gaza è peggiorata notevolmente nel 2024 poiché l’esercito israeliano limita l’arrivo degli aiuti alla popolazione, in particolare nel nord della Striscia. L’Unrwa, la principale e meglio organizzata delle agenzie delle Nazioni Unite che operano a Gaza, non riesce a svolgere il suo ruolo perché boicottata e ostacolata da Israele che la accusa di essere “collusa” con Hamas. 2,3 milioni di persone, perciò, rischiano la fame: l’Onu avverte che la carestia si diffonderà in varie parti di Gaza entro maggio. Una trentina di persone, in prevalenza neonati e bambini, sono già morte per disidratazione e malnutrizione. Diverse organizzazioni e centri per i diritti umani accusano Israele di usare la fame come arma di guerra.

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La condizione degli sfollati, l’80% della popolazione, è drammatica. L’esercito israeliano ha intimato agli abitanti del nord della Striscia di andare al sud già all’inizio dell’offensiva di terra. Da allora nessuno è più stato in grado di tornare alle proprie case poiché l’esercito israeliano ha creato un corridoio militare che da est e ovest taglia a metà la Striscia. La maggior parte degli sfollati si trova in installazioni delle Nazioni Unite come scuole e ospedali o in tendopoli a Rafah, la città più meridionale di Gaza, al confine con l’Egitto, che Israele minaccia di invadere come le altre città palestinesi, allo scopo, afferma il premier Netanyahu di eliminare “l’ultimo bastione di Hamas”. Molti degli sfollati vivono in strada o e in edifici distrutti solo in parte.

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Gli attacchi aerei, di terra e anche dal mare hanno danneggiato o distrutto circa il 62% di tutte le case di Gaza lasciando più di un milione di persone senza un tetto. Ad oggi ci sono 26 milioni di tonnellate i detriti e le macerie che dovranno essere rimosse prima di poter avviare la ricostruzione se e quando terminerà la guerra. I danni stimati dalla Banca Mondiale e dalle Nazioni Unite sono di 18,5 miliardi di dollari. Colpite anche le infrastrutture pubbliche. Oltre al nord, i danni più gravi si registrano nel capoluogo Gaza city e a Khan Younis, nel sud, dove gli attacchi israeliani hanno distrutto migliaia di case e infrastrutture civili. Otto scuole su dieci a Gaza sono danneggiate o distrutte. Oltre 625mila studenti non hanno accesso all’istruzione.

14318294Solo 10 dei 36 ospedali, cliniche e centri sanitari sono in grado di funzionare parzialmente, in condizioni di eccezionale difficoltà. La maggior parte dei pazienti non può ricevere ricevere cure adeguate per la carenza di medicine e attrezzature e per la stanchezza degli operatori sanitari esausti dopo sei mesi di lavoro incessante. Molte operazioni e amputazioni sono state eseguite senza anestesia. Di recente, un assedio durato due settimane dentro e intorno all’ospedale Shifa di Gaza city, il più grande di Gaza, ha lasciato il complesso sanitario in gran parte distrutto. L’esercito israeliano ha ucciso almeno 400 persone nello Shifa durante l’assedio e ne ha arrestate altre centinaia.

Infine gli attacchi militari hanno ucciso il maggior numero di operatori dell’informazione di qualsiasi conflitto moderno. Il Comitato per la Protezione dei Giornalisti stima in 90 il numero di reporter e cameraman uccisi. L’Ufficio stampa governativo di Gaza parla di 140 giornalisti uccisi. Pagine Esteri

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AFRICA. Trent’anni fa, il genocidio in Ruanda


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di Geraldina Colotti

Pagine Esteri, 6 aprile 2024 – L’aereo privato su cui il 6 aprile 1994 viaggiavano il presidente ruandese Juvenal Habyarimana e il suo omologo burundese, Cyprien Ntaryamira – un jet Falcon 50 regalo del primo ministro francese, Jacques Chirac – fu abbattuto da un missile mentre stava atterrando all’aeroporto di Kigali, capitale del Ruanda. Insieme ai due presidenti, di etnia hutu, morirono anche il capo dell’esercito ruandese e i 12 passeggeri. Tempo prima, Habyarimana aveva chiesto aiuto all’allora presidente di Francia, François Mitterrand per far fronte all’offensiva tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr), che attaccava dall’Uganda.

La Francia era il grande alleato di Habyarimana, figlio di una ricca famiglia hutu, andato al potere con un colpo di stato nel 1973: lo considerava un baluardo contro le mire espansionistiche statunitensi nella regione. Parigi sosteneva il governo degli hutu contro il “complotto anglofono” che, dall’Uganda, intendeva creare un “Tutsi-land” di lingua inglese che ne riducesse l’influenza. Per questo, dal 1990, intervenne per fermare l’avanzata dei tutsi e si adoperò per armare e addestrare l’esercito ruandese. Nel 1993, sotto l’egida delle Nazioni unite, erano stati firmati gli Accordi di Arusha tra il Fpr e Habyarimana, contestato anche all’interno dell’hutu power per aver assunto un atteggiamento più moderato.

L’abbattimento dell’aereo, attribuito ai tutsi, innescò 100 giorni d’inferno. Fino al 19 luglio, quando il Fronte Patriottico Ruandese, guidato da Paul Kagame, prese il potere, venne massacrato circa un milione di tutsi, e anche di hutu moderati: un genocidio, durante il quale il mondo rimase a guardare. Si può valutare la proporzione del massacro, considerando che il Ruanda, piccolo stato dell’Africa centrale che si trova nella regione dei Grandi Laghi. è un territorio poco più grande della Sicilia. Allora era abitato da circa 7,5 milioni di persone, appartenenti a tre gruppi etnici: i Twa (circa l’1% della popolazione), di ceppo pigmoide, gli hutu (tra l’85 e il 90%), provenienti dal ceppo bantù, e i tutsi o watussi (meno del 14%), del ceppo nilotico.

Quello che venne descritto come la conseguenza incontrollata di un odio interetnico (quindi dell’incapacità dei popoli africani di governarsi da soli), fu invece principalmente un retaggio della dominazione coloniale (e anche dell’”evangelizzazione”), alimentato ad arte nel contesto dello scontro fra potenze per la rapina del continente dopo la caduta del muro di Berlino.

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foto wikimedia commons

Come hanno provato documenti declassificati, l’Operation Turquoise, ufficialmente una missione “umanitaria” francese per proteggere i propri cittadini, servì a coprire (o a foraggiare) l’azione di due gruppi paramilitari principalmente responsabili del massacro, le milizie Interahamwe e gli Impuzamugambi. Nonostante l’allarme sull’incombere del genocidio, preparato dagli incitamenti all’odio razziale lanciati dalla Radio delle Mille Colline, fossero già arrivati alle istituzioni internazionali, nulla di tutto questo giunse, pare, sulla scrivania dell’allora presidente socialista François Mitterrand.

Eppure la Francia, unica potenza oltre agli Usa a mantenere una forte influenza sul continente africano anche dopo la caduta dell’Urss, dal 1959 aveva firmato oltre 60 accordi di cooperazione militare che interessavano 24 nazioni. Otto di questi accordi, obbligavano Parigi a intervenire qualora avesse riscontrato una minaccia. Un potere di cui la Francia, tra il 1959 e il 1996, ha fatto uso per 28 volte: 14 per difendere i governi in carica da “minacce interne”, 7 per “aggressioni esterne”, e 7 per “motivi umanitari”, come l’Operation Turquoise, o nel quadro di operazioni multilaterali.

I prodromi del genocidio in Ruanda vanno rintracciati nella spartizione dell’Africa e nelle conseguenze prodotte dalla creazione di frontiere artificiali decise alla Conferenza di Berlino del 1885; e nell’imposizione di concetti politici, istituzioni e norme sociali tarate su visioni esterne, avulse dalle strutture preesistenti nel continente africano.

Come hanno rilevato diversi storici africani (Ki-Zerbo, M’Bokolo, Kagabo…), e come si ricava dalle testimonianze dei primi esploratori europei, popolazioni appartenenti a differenze etnie convivevano all’interno di società feudali dotate di strutture anche sofisticate, condividendo usanze e religioni. Come hanno analizzato, in Italia, gli studi di Michela Fusaschi (ripresi anche da Alberto Sciortino), la società ruandese della cosiddetta epoca dei regni (tra il XV e il XVI secolo) mostrava una complessa scala gerarchica del potere.

Al vertice c’era un mwami, che regnava mediante famiglie vassalle tutsi a cui distribuiva la terra. I capi del suolo e del bestiame esistenti in ogni provincia erano sia hutu che tutsi. Il re, che possedeva tutto il bestiame e tutto il suolo, era anche garante dell’unità del popolo, mentre un collegio di abiiru, a sua volta composto sia da hutu che da tutsi, garantiva la trasmissione delle funzioni reali. Nel vicino Burundi, altro teatro del genocidio di trent’anni fa, non c’era scontro tra pastori e contadini per l’uso della terra, erano diffusi i matrimoni misti fra hutu e tutsi, e gli stessi tutsi erano divisi al loro interno in due classi sociali.

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foto di Gil Serpereau

Dopo la Conferenza di Berlino, chiamata a dirimere forti rivalità fra potenze coloniali per il controllo delle risorse, ai regni del Ruanda e dell’Urundi (come veniva chiamato allora l’odierno Burundi) toccò essere dominati dal colonialismo tedesco. I diversi livelli di accettazione o resistenza ai regimi coloniali avranno la loro influenza anche in futuro quando, durante la Prima guerra mondiale, con un mandato dell’allora Società delle Nazioni, Ruanda e Urundi verranno poi consegnati al Belgio, nel 1919.

Le potenze coloniali, specialmente l’impero britannico, usavano un sistema amministrativo di governo indiretto per dominare i popoli sottomessi mediante le loro istituzioni. A differenza dei tedeschi che avevano sostanzialmente lasciato inalterato sia il potere tradizionale che la gerarchizzazione sociale ruandese in cambio dell’accettazione del loro Protettorato, i belgi applicarono a modo loro l’indirect rule: senza delegare completamente neanche una parte del governo locale ai capi tradizionali, si riservarono di ratificare ogni decisione.

Occorre ricordare che, nel 1885, il re Leopoldo II del Belgio era riuscito a impossessarsi del Congo, un territorio immenso grande 76 volte il Belgio, rendendosi protagonista del genocidio di circa 10 milioni di persone nell’arco di un ventennio. Uno sterminio abilmente mascherato sotto la patina della ricerca scientifica, del progresso e della filantropia, e della lotta ai mercanti di schiavi arabi.

Dieci anni dopo la morte di Leopoldo II, con il mandato fiduciario ricevuto dalla Società delle Nazioni, il Belgio si trovò ad amministrare sia l’allora Congo belga che i due piccoli regni di Ruanda e Urundi, unificati sotto il comando di un Governatore generale e di un Consiglio generale con sede a a Bujumbura, odierna capitale del Burundi.

Fu l’amministrazione coloniale belga a dare una connotazione etnica alle differenze sociali fra tutsi e hutu. E fu sempre il colonialismo a usare quelle disuguaglianze per fini politici, sia nella fase dell’indipendenza che in quella successiva. Dal 1928, venne imposta e istituzionalizzata la superiorità del gruppo tutsi, anche attraverso gli insegnamenti nelle scuole “d’elite” gestite dai missionari, orientati a convertire quelle élite per “convertire l’intero Ruanda”. I contadini hutu erano sottoposti al lavoro forzato.

Gli archivi di quel periodo riportano alcune dichiarazioni del vescovo francese Léon Classe, il quale, nel 1930, manifestava il timore che, se il governo belga avesse eliminato “la casta tutsi”, questo avrebbe portato il paese “verso l’anarchia e il comunismo odiosamente antieuropeo”. Alla fine degli anni Venti sulle carte di identità comparve allora l’appartenenza etnica. Dove l’aspetto non consentiva una distinzione sicura, si decise che chi possedeva più di dieci vacche veniva catalogato tutsi, chi ne aveva meno, era hutu.

Nel mix di oppressione di classe e oppressione coloniale, la crisi economica mondiale, iniziata nel 1929, esacerbò le contraddizioni anche in Ruanda e in Burundi. Per evitare che le aspirazioni indipendentiste incendiassero le élite tutsi, più istruite, le autorità coloniali pigiarono sul pedale delle differenze etniche cambiando le pedine. E appoggiarono gli hutu nell’esplosione sociale del 1959, che porterà all’indipendenza del 1962.

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foto di Pierre-Yves Beaudouin / Wikimedia Commons / CC BY-SA 4.0

La prima rivolta dei contadini hutu, nel 1959, trovò base in un “manifesto”, redatto da un gruppo di intellettuali vicini alla chiesa cattolica, anch’essa dedita a una svolta “politica”. Un testo che costituirà poi, con successivi aggiornamenti, un punto di partenza per le politiche di repressione contro i tutsi. In quella temperie, gli hutu formarono il Mouvement Démocratique Républicain, Parti pour l’émancipation du Peuple Hutu, e l’Association pour la Promotion de la Masse, che avevano come obiettivo principale quello di liberarsi dall’oppressione interna.

I tutsi fondarono l’Union National du Rwanda (che appoggiava la monarchia, ma si definiva di orientamento marxista) e il Rassemblement Démocratique du Rwanda, la cui priorità era la lotta di liberazione anticoloniale.

Allora, nel contesto del mondo diviso in due blocchi, una gran parte d’umanità si organizzava dietro le bandiere del comunismo e alimentava le speranze della rivoluzione bolscevica del 1917. Fra il 13 marzo e il 7 maggio del 1954, l’esercito popolare vietnamita, guidato dal mitico generale Vo Nguyen Giap, aveva sconfitto le forze coloniali francesi nella battaglia di Ðiện Biên Phủ.

Una vittoria che determinò la fine del dominio francese in Indocina e pesò sugli accordi di pace firmati durante la conferenza di Ginevra il 21 luglio del 1954. Una vittoria di importanza storica, che ha simboleggiato la sconfitta irreversibile del colonialismo occidentale nel cosiddetto Terzo mondo. E in quell’anno cominciò anche la guerra di liberazione algerina, condotta dal Fronte di Liberazione Nazionale (Fln).

Il vento delle indipendenze stava spirando con forza, influenzato dal contesto della “guerra fredda” fra Stati Uniti e Unione sovietica. Il colonialismo belga cercava di interferire nelle spinte indipendentiste, e di pesare, imponendo il modulo già usato dalla Francia con Haiti. Nel 1804, Haiti diventò la prima repubblica di schiavi liberi. Uno schiaffo a cui la Francia, per “compensare” la perdita di entrate determinate dal suo sistema schiavista e dalle piantagioni di zucchero e caffè, rispose imponendo alla repubblica, sotto la minaccia di un intervento armato, un debito di 150 milioni di franchi d’oro, equivalente al bilancio annuale della Francia dell’epoca.

Il governo haitiano dovette persino chiedere in prestito denaro alle banche francesi, pagando un alto tasso di interesse, riuscendo a saldare il “debito” solo intorno al 1950, a scapito del proprio sviluppo interno. Anche il Congo, la cui indipendenza diventerà effettiva il 30 giugno del 1960, sarà obbligato a pagare il debito estero del Belgio e a rimborsare un prestito mai ricevuto, in cambio dell’indipendenza. E il grande Patrice Lumumba, dirigente anticolonialista e Primo ministro della Repubblica democratica del Congo verrà ucciso nel 1961 con la complicità dell’ex potenza coloniale.

Ruanda e Burundi divennero indipendenti nel 1962. Tra il 1959 e il ’62, circa 500.00 tutsi vennero obbligati a fuggire, prevalentemente in Uganda, dove prese forma il Fronte Patriottico Ruandese, composto da tutsi e hutu moderati. Da allora, la dominazione coloniale nel continente africano continuò con altre forme.

Il dopo ’89 ha fatto emergere nuove rivalità fra potenze e nuovi intrecci di interesse. A distanza di trent’anni, il genocidio in Ruanda resta un “paradigma”. Nel 2006, la parlamentare statunitense, Cynthia Mc Kinney, che fu inviata speciale del presidente Bill Clinton in Africa, dichiarò in una intervista: “Quanto successo in Ruanda non è un genocidio pianificato dagli hutu. È un cambiamento di regime. Un colpo di stato terrorista perpetrato da Kagame con l’aiuto di forze straniere. Scrissi personalmente a Bill Clinton per dirgli che la sua politica era un fallimento in Africa”.

Il 6 aprile del 1992, con la “guerra umanitaria” contro l’allora Jugoslavia era iniziato il processo di “balcanizzazione del mondo”, che avrebbe visto il ruolo dei media e degli apparati ideologici di controllo occidentale, attori sempre più presenti nei conflitti. Il genocidio in Ruanda, preparato a lungo nei circoli di potere e alimentato dai media che hanno soffiato sul conflitto etnico, appare oggi come un “laboratorio” di quella strategia del “caos controllato” con cui l’imperialismo costellerà di massacri il sud globale.

Il 15 luglio del 2024, in Ruanda – un paese dove almeno il 40% della popolazione è povero – vi saranno le elezioni presidenziali. Paul Kagame, che guida il Fronte Patriottico Ruandese dalla vittoria armata del 1994, si candida per il quarto mandato consecutivo, dopo aver vinto le elezioni nel 2003, nel 2010 e nel 2017 con oltre il 90% dei voti. Nell’ambito degli accordi per inviare i migranti in Ruanda, all’inizio dell’anno Kagame ha incontrato anche il premier israeliano Netanyahu: per accogliere migliaia di palestinesi cacciati dalla Striscia di Gaza, previo un generoso finanziamento. “Non c’è altra soluzione per i residenti di Gaza se non l’emigrazione – hanno affermato i rappresentanti di Israele -. Non hanno nessun posto dove tornare oggi. Gaza è distrutta e non ha futuro perché rimarrà così”.

Il Ruanda sta vivendo un boom nel settore edile, a prezzo dell’espulsione massiccia della popolazione povera dalle vecchie abitazioni, ma deve far fronte a una carenza di manodopera. L’arrivo di migliaia di palestinesi viene quindi visto come una possibile soluzione. Anche il presidente del Ciad, Mahamat Idriss Déby, a sua volta in ottimi rapporti con Tel Aviv, ha mostrato attenzione alla proposta. Il Ciad, la cui popolazione è musulmana sunnita per il 60%, ha stabilito relazioni diplomatiche con Israele nel 2019 e Benjamin Netanyahu si è recato lì per l’occasione. Nel febbraio dello scorso anno è stata la volta del presidente ciadiano di ricambiare, recandosi in Israele.

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Yellen in Cina, sulle tracce di Deng Xiaoping


Yellen in Cina, sulle tracce di Deng Xiaoping 14283095
La segretaria al Tesoro americana inizia il suo viaggio da Guangzhou e rievoca lo storico viaggio del 1992 con cui Deng Xiaoping diede nuovo impulso alle riforme. Un messaggio per Xi Jinping, che un recente ciclo di contenuti di Xinhua ha paragonato proprio al "piccolo timoniere"

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In Cina e Asia – La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, in Cina


In Cina e Asia – La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, in Cina yellen cina
I titoli di oggi: La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Corea del Sud: pessimismo tra i medici dopo i colloqui con Yoon Cina, revisioni delle politiche dei prestiti auto per stimolare la domanda Delegazione cinese a Tonga per instaurare una cooperazione tra forze di polizia La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, arriva in Cina Giovedì ...

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«Nulla può aiutare l’Ucraina». Kiev rischia il collasso


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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 5 aprile 2024 – «Più a lungo va avanti la guerra, più territorio guadagnerà la Russia… anche Odessa cadrà» ha vaticinato nei giorni scorsi il Tycoon statunitense Elon Musk.

Dopo aver preso atto del fallimento della controffensiva delle forze armate ucraine, che tante aspettative aveva generato, l’inverno scorso il presidente Zelensky aveva ordinato la fortificazione della linea del fronte per impedire l’avanzata russa, ma a distanza di alcuni mesi le operazioni procedono speditamente soltanto a nord, mentre a est e a sud sono in forte ritardo. Nei primi tre mesi del 2024 le truppe di Mosca hanno così conquistato circa 400 kmq di territori ucraini, soprattutto nel Donbass.

La Russia avanza
La pressione delle forze armate russe sulle linee e sulle città ucraine è continua e a Kiev neanche il forzato ottimismo di Zelensky – sempre più alternato a cupe profezie di sventura – riesce più a contrastare il fatalismo non solo della popolazione ma anche di politici e militari.

I due paesi continuano a lanciare droni e missili contro obiettivi avversari, causando danni ingenti e vittime. Il 22 e 29 marzo due massicci attacchi russi hanno gravemente danneggiato cinque centrali termoelettriche, riducendo la produzione di elettricità dell’80%. Nei giorni scorsi, ondate di bombardamenti sono state lanciate contro diverse infrastrutture – e obiettivi civili – da Kharkiv a Sumy fino ad Odessa.

L’Ucraina continua a voler coinvolgere i territori russi nei combattimenti, ed ha colpito nei giorni scorsi alcuni impianti industriali, tra i quali una fabbrica di droni e una grande raffineria di petrolio, nella lontana repubblica del Tatarstan, a quasi 1200 km di distanza dal confine. Ma difficilmente la crescente capacità ucraina di colpire ripetutamente obiettivi nemici così in profondità invertirà l’andamento del conflitto se i paesi occidentali non riusciranno a riprendere presto e in maniera massiccia i rifornimenti di armi e munizioni.

La Nato vuole un fondo da 100 miliardi
Mentre su iniziativa della Repubblica Ceca i paesi europei si stanno impegnando nell’acquisto collettivo di 1,5 milioni di munizioni, il vertice dei Ministri degli Esteri della Natoa Bruxelles si è concentrato sulla proposta avanzata dal segretario generale Jens Stoltenberg di dar vita ad un fondo pluriennale da 100 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina.

L’intento dell’iniziativa, neanche troppo celato, è vincolare gli Stati Unitia finanziare lo sforzo bellico nei prossimi cinque anni anche nel caso in cui le prossime elezioni presidenziali dovessero essere vinte da Donald Trump, che non ha mai fatto mistero di considerare prioritario lo scontro con la Cina piuttosto che con la Russia. Occorrerà attendere il vertice dell’Alleanza Atlantica previsto a Washington dal 9 all’11 luglio per capire se la proposta sarà approvata e se diventerà operativa in tempi celeri. Ma, ammessoche nelle prossime settimane si trovi un accordo, potrebbe essere troppo tardi.

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La linea del fronte al 2 aprile 2024

«Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina»
Tra gli alti ufficiali di Kiev, in particolare tra quelli che hanno servito il comandante delle forze armate Valery Zaluznhy prima che a febbraio Zelensky lo rimuovesse, si diffonde il timore che il fronte possa cedere da un momento all’altro, quando i comandi di Mosca decidessero di concentrare l’offensiva su un settore delle attuali linee ucraine. «Non c’è nulla che possa aiutare l’Ucraina adesso perché non esistono tecnologie in grado di compensare Kiev per la grande massa di truppe che la Russia scaglierà contro di noi. Noi non disponiamo di queste tecnologie e neanche l’Occidente le possiede in numero sufficiente» hanno affermato le fonti militari interpellate dal giornalista di “Politico” Jamie Dettmer.

Se anche il Congresso di Washington riuscisse finalmente ad approvare, bypassando il blocco eretto dai repubblicani, il pacchetto da 60 miliardi di finanziamenti per Kiev, i massicci aiuti non consentirebbero comunque all’Ucraina di invertire la tendenza sul campo, favorevole ormai da mesi a Mosca grazie alla netta superiorità russa in fatto di truppe e mezzi. Le truppe russe continuano da mesi, seppur lentamente, a rosicchiare terreno agli avversari che difficilmente Kiev potrà recuperare, ma la lenta avanzata di Mosca potrebbe rappresentare solo il prologo, la rincorsa di un disastroso sfondamento.

Anche la consegna a Kiev, prevista in estate, di una dozzina di caccia F-16, sicuramente non sarà risolutiva; «ogni arma ha il suo momento giusto. Gli F-16 erano necessari nel 2023; non saranno adatti per il 2024» secondo un alto ufficiale ucraino citato da Politico.

A Kiev mancano truppe fresche
Anche se, dopo un anno di scontri e polemiche, Zelensky ha finalmente firmato la legge che abbassa l’età della coscrizione obbligatoria da 27 a 25 anni, difficilmente il presidente e il suo governo premeranno l’acceleratore sulla mobilitazione delle truppe, anche se secondo Zaluznhy a Kiev servirebbero almeno 500 mila nuovi combattenti. Si tratta infatti di una misura fortemente impopolare e gli attuali vertici dello stato ucraino non vogliono perdere troppi consensi sbattendo al fronte un consistente numero di giovani.

Non a caso il provvedimento firmato da Zelensky prevede che si possa essere arruolati già a 25 anni ma che fino ai 27 non si possa essere inviati a combattere, mentre un’altra legge, che riduce i casi in cui i richiamati hanno diritto all’esenzione, rimane impantanata alla Rada sotto una valanga di 4 mila emendamenti.

La scorsa settimana il generale Oleksandr Syrsky – che ha sostituito Zaluznhy al vertice degli apparati militari – ha addirittura affermato che l’Ucraina non ha bisogno di un numero consistente di truppe fresche e che può “arrangiarsi” spostando al fronte qualche migliaio di militari e di volontari finora impiegati in ruoli amministrativi o non combattenti, seppur dopo un addestramento intensivo che non può durare meno di quattro mesi.

I comandi militari ucraini temono il collasso
La sortita del nuovo pupillo di Zelensky ha suscitato lo sconcerto e la rabbia di una parte dei comandi militari di Kiev, convinti che il fronte rischi di collassare già nelle prossime settimane non solo a causa della scarsità dei rifornimenti – soprattutto di munizioni per l’artiglieria e di sistemi di difesa antiaerea – ma anche della mancanza di rimpiazzi per i soldati impegnati nei combattimenti, in certi casi anche da due anni, falcidiati da varie decine di migliaia di caduti e da un numero ancora maggiore di feriti.

Se alla fine di marzo il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin aveva affermato che la Russia era in difficoltà a causa dell’alto numero di perdite tra le proprie truppe, nei giorni scorsi il vicesegretario di Stato Kurt Campbell ha invece assicurato che Mosca ha «quasi completamente ricostituito» le proprie forze armate. Pagine Esteri

14252099* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria

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“Lavender”: La macchina di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti di Israele su Gaza


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Di Yuval Abraham – +972 Local Call 3 aprile 2024

(traduzione di Federica Riccardi)

Nel 2021, un libro intitolato “The Human-Machine Team: How to Create Synergy Between Human and Artificial Intelligence That Will Revolutionize Our World” (Come creare una sinergia tra intelligenza umana e artificiale che rivoluzionerà il nostro mondo) è stato pubblicato in inglese dietro lo pseudonimo di “Brigadier General Y.S.”. In esso l’autore – un uomo che, come abbiamo confermato, è l’attuale comandante dell’unità d’élite israeliana 8200 – sostiene la necessità di progettare una macchina speciale in grado di elaborare rapidamente enormi quantità di dati per generare migliaia di potenziali “bersagli” da colpire in guerra. Tale tecnologia, scrive, risolverebbe quello che ha descritto come un “collo di bottiglia umano sia per la localizzazione dei nuovi obiettivi che per il processo decisionale di approvazione degli stessi”.

Una macchina del genere, a quanto pare, esiste davvero. Una nuova inchiesta di +972 Magazine e Local Call rivela che l’esercito israeliano ha sviluppato un programma basato sull’intelligenza artificiale noto come “Lavender”, svelato qui per la prima volta. Secondo sei ufficiali dell’intelligence israeliana, che hanno tutti prestato servizio nell’esercito durante l’attuale guerra contro la Striscia di Gaza e sono stati coinvolti in prima persona nell’uso dell’IA per generare obiettivi da assassinare, Lavender ha svolto un ruolo centrale nei bombardamenti senza precedenti contro i palestinesi, soprattutto durante le prime fasi della guerra. Infatti, secondo le fonti, la sua influenza sulle operazioni militari è stata tale da indurre i militari a trattare i risultati della macchina IA “come se si trattasse di una decisione umana”.

Formalmente, il sistema Lavender è progettato per contrassegnare tutti i sospetti operativi delle ali militari di Hamas e della Jihad islamica palestinese (JIP), anche quelli di basso rango, come potenziali obiettivi di attentati. Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, durante le prime settimane di guerra, l’esercito si è affidato quasi completamente a Lavender, che ha registrato ben 37.000 palestinesi come sospetti militanti – e le loro case – per possibili attacchi aerei.

Durante le prime fasi della guerra, l’esercito diede ampia approvazione agli ufficiali per l’adozione delle liste di bersagli di Lavender, senza alcun obbligo di verificare a fondo il motivo per cui la macchina aveva fatto quelle scelte o di esaminare i dati di intelligence grezzi su cui si basavano. Una fonte ha dichiarato che il personale umano spesso serviva solo come “timbro di garanzia” per le decisioni della macchina, aggiungendo che, di solito, dedicava personalmente solo “20 secondi” a ciascun obiettivo prima di autorizzare un bombardamento – solo per assicurarsi che l’obiettivo contrassegnato da Lavender fosse di sesso maschile. Questo nonostante si sappia che il sistema commette quelli che vengono considerati “errori” in circa il 10% dei casi, e che è noto per contrassegnare occasionalmente individui che hanno solo un legame debole con i gruppi militanti, o nessun legame.

Inoltre, l’esercito israeliano ha sistematicamente attaccato le persone prese di mira mentre si trovavano nelle loro case – di solito di notte, mentre erano presenti tutte le loro famiglie – piuttosto che durante le attività militari. Secondo le fonti, questo avveniva perché, da quello che consideravano un punto di vista di intelligence, era più facile localizzare gli individui nelle loro case private. Altri sistemi automatizzati, tra cui uno chiamato “Where’s Daddy?” (Dov’è papà?), anch’esso rivelato qui per la prima volta, sono stati utilizzati specificamente per rintracciare gli individui presi di mira ed effettuare attentati quando erano entrati nelle loro residenze familiari.

Il risultato, come testimoniato dalle fonti, è che migliaia di palestinesi – la maggior parte dei quali donne e bambini o persone non coinvolte nei combattimenti – sono stati spazzati via dagli attacchi aerei israeliani, soprattutto nelle prime settimane di guerra, a causa delle decisioni del programma di IA.

“Non ci interessava uccidere gli operativi [di Hamas] solo quando si trovavano in un edificio militare o erano impegnati in un’attività militare”, ha dichiarato A., un ufficiale dell’intelligence, a +972 e Local Call. “Al contrario, l’IDF li ha bombardati nelle loro case senza esitazione, come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il sistema è costruito per cercarli in queste situazioni”.

La macchina Lavender si aggiunge a un altro sistema di intelligenza artificiale, “The Gospel”, le cui informazioni sono state rivelate in una precedente indagine di +972 e Local Call nel novembre 2023, oltre che nelle pubblicazioni dell’esercito israeliano. Una differenza fondamentale tra i due sistemi è nella definizione del bersaglio: mentre il Gospel contrassegna gli edifici e le strutture da cui, secondo l’esercito, operano i militanti, Lavender contrassegna le persone – e le inserisce in una lista di obiettivi da uccidere.

Inoltre, secondo le fonti, quando si trattava di colpire i presunti militanti junior segnalati da Lavender, l’esercito preferiva usare solo “dumb bombs”, comunemente noti come bombe non-guidate (in contrasto con le bombe di precisione “intelligenti”), che possono distruggere interi edifici con i loro occupanti e causare vittime significative. “Non si vogliono sprecare bombe costose per persone non importanti – è molto costoso per il Paese e c’è una carenza [di queste bombe]”, ha detto C., uno degli ufficiali dell’intelligence. Un’altra fonte ha dichiarato di aver autorizzato personalmente il bombardamento di “centinaia” di case private di presunti agenti minori segnalati da Lavender, con molti di questi attacchi che hanno ucciso civili e intere famiglie come “danni collaterali”.

In una mossa senza precedenti, secondo due delle fonti, l’esercito ha anche deciso durante le prime settimane di guerra che, per ogni giovane agente di Hamas contrassegnato da Lavender, era permesso uccidere fino a 15 o 20 civili; in passato, l’esercito non autorizzava alcun “danno collaterale” per l’assassinio di militanti di basso rango. Le fonti hanno aggiunto che, nel caso in cui l’obiettivo fosse un alto funzionario di Hamas con il grado di comandante di battaglione o di brigata, l’esercito ha autorizzato in diverse occasioni l’uccisione di più di 100 civili per l’assassinio di un singolo comandante.

La seguente indagine è organizzata secondo le sei fasi cronologiche della produzione di bersagli altamente automatizzati da parte dell’esercito israeliano nelle prime settimane della guerra di Gaza. In primo luogo, spieghiamo la macchina Lavender stessa, che ha marcato decine di migliaia di palestinesi utilizzando l’intelligenza artificiale. In secondo luogo, riveliamo il sistema Where’s Daddy? , che traccia questi obiettivi e segnala all’esercito quando entrano nelle case famigliari. In terzo luogo, descriviamo come sono state scelte le bombe non-guidate per colpire queste case.

In quarto luogo, spieghiamo come l’esercito abbia ampliato il numero di civili che potevano essere uccisi durante il bombardamento di un obiettivo. In quinto luogo, notiamo come un software automatico abbia calcolato in modo impreciso la quantità di non combattenti in ogni famiglia. In sesto luogo, mostriamo come in diverse occasioni, quando una casa è stata colpita, di solito di notte, l’obiettivo individuale a volte non era affatto all’interno, perché gli ufficiali militari non verificano le informazioni in tempo reale.

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FASE 1: GENERAZIONE DI OBIETTIVI

Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.

Nell’esercito israeliano, il termine “bersaglio umano” si riferiva in passato a un agente militare di alto livello che, secondo le regole del Dipartimento di diritto internazionale dell’esercito, può essere ucciso nella sua casa privata anche se ci sono civili nei dintorni. Fonti dell’intelligence hanno riferito a +972 e a Local Call che durante le precedenti guerre israeliane, poiché si trattava di un modo “particolarmente brutale” di uccidere qualcuno – spesso uccidendo un’intera famiglia insieme al bersaglio – questi obiettivi umani erano contrassegnati con molta attenzione e solo i comandanti militari di alto livello venivano bombardati nelle loro case, per mantenere il principio di proporzionalità previsto dal diritto internazionale.

Ma dopo il 7 ottobre – quando i militanti guidati da Hamas hanno lanciato un assalto mortale contro le comunità israeliane meridionali, uccidendo circa 1.200 persone e sequestrandone 240 – l’esercito, secondo le fonti, ha adottato un approccio radicalmente diverso. Nell’ambito dell’operazione “Iron Swords”, l’esercito ha deciso di designare tutti gli operativi dell’ala militare di Hamas come obiettivi umani, indipendentemente dal loro grado o dalla loro importanza militare. E questo ha cambiato tutto.

La nuova politica ha posto anche un problema tecnico all’intelligence israeliana. Nelle guerre precedenti, per autorizzare l’assassinio di un singolo obiettivo umano, un ufficiale doveva passare attraverso un complesso e lungo processo di “incriminazione”: controllare le prove che la persona fosse effettivamente un membro di alto livello dell’ala militare di Hamas, scoprire dove viveva, I suoi contatti e infine sapere quando era a casa in tempo reale. Quando l’elenco dei bersagli era composto solo da poche decine di alti funzionari, il personale dell’intelligence poteva gestire individualmente il lavoro necessario per incriminarli e localizzarli.

Tuttavia, una volta che l’elenco è stato ampliato per includere decine di migliaia di agenti di grado inferiore, l’esercito israeliano ha pensato di doversi affidare a software automatizzati e all’intelligenza artificiale. Il risultato, testimoniano le fonti, è stato che il ruolo del personale umano nell’incriminare i palestinesi come agenti militari è stato messo da parte e l’IA ha svolto la maggior parte del lavoro. Secondo quattro delle fonti che hanno parlato con +972 e Local Call, Lavender – che è stato sviluppato per creare obiettivi umani nella guerra in corso – ha contrassegnato circa 37.000 palestinesi come sospetti “militanti di Hamas”, la maggior parte dei quali giovani, da assassinare (il portavoce dell’IDF ha negato l’esistenza di tale lista di obiettivi da uccidere in una dichiarazione a +972 e Local Call).

“Non sapevamo chi fossero i giovani operativi, perché Israele non li rintracciava abitualmente [prima della guerra]”, ha spiegato l’ufficiale superiore B. a +972 e Local Call, spiegando la ragione dietro lo sviluppo di questa particolare macchina di bersagli per la guerra in corso. “Volevano permetterci di attaccare [gli agenti minori] automaticamente. Questo è il Santo Graal. Una volta che si passa all’automatismo, la generazione dei bersagli impazzisce”.

Le fonti hanno detto che l’approvazione per l’adozione automatica degli elenchi di uccisioni di Lavender, che in precedenza era stato usato solo come strumento ausiliario, è stata concessa circa due settimane dopo l’inizio della guerra, dopo che il personale dell’intelligence ha controllato “manualmente” l’accuratezza di un campione casuale di diverse centinaia di obiettivi selezionati dal sistema di intelligenza artificiale. Quando tale campione ha rilevato che i risultati di Lavender avevano raggiunto un’accuratezza del 90% nell’identificare l’affiliazione di un individuo ad Hamas, l’esercito ha autorizzato l’uso generalizzato del sistema. Da quel momento, le fonti hanno detto che se Lavender decideva che un individuo era un militante di Hamas, veniva chiesto loro di trattarlo essenzialmente come un ordine, senza alcun obbligo di verificare in modo indipendente perché la macchina avesse fatto quella scelta o di esaminare i dati grezzi di intelligence su cui si era basata.

“Alle 5 del mattino, [l’aviazione] avrebbe bombardato tutte le case che avevamo contrassegnato”, ha detto B.. “Abbiamo fatto fuori migliaia di persone. Non le abbiamo esaminate una per una – abbiamo inserito tutto in sistemi automatici, e non appena uno [degli individui contrassegnati] era in casa, diventava immediatamente un obiettivo. Abbiamo bombardato lui e la sua casa”.

“È stato molto sorprendente per me che ci sia stato chiesto di bombardare una casa per uccidere un soldato semplice, la cui importanza nei combattimenti era così bassa”, ha detto una fonte sull’uso dell’IA per marcare presunti militanti di basso rango. “Ho soprannominato questi obiettivi “bersagli spazzatura”. Tuttavia, li trovavo più etici degli obiettivi che bombardavamo solo per “deterrenza”: torri residenziali evacuate e abbattute solo per causare distruzione”.

I risultati mortali di questo allentamento delle restrizioni nella fase iniziale della guerra sono stati sconcertanti. Secondo i dati del Ministero della Sanità palestinese a Gaza, su cui l’esercito israeliano ha fatto affidamento quasi esclusivamente dall’inizio della guerra, Israele ha ucciso circa 15.000 palestinesi – quasi la metà del bilancio delle vittime finora – nelle prime sei settimane di guerra, fino a quando non è stato concordato un cessate il fuoco di una settimana il 24 novembre.

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Più informazioni e varietà ci sono, meglio è”.

Il software Lavender analizza le informazioni raccolte sulla maggior parte dei 2,3 milioni di residenti della Striscia di Gaza attraverso un sistema di sorveglianza di massa, quindi valuta e classifica la probabilità che ogni particolare persona sia attiva nell’ala militare di Hamas o della JIP. Secondo le fonti, la macchina assegna a quasi ogni singola persona di Gaza un punteggio da 1 a 100, esprimendo la probabilità che sia un militante.

Lavender impara a identificare le caratteristiche degli operativi noti di Hamas e della JIP, le cui informazioni sono state fornite alla macchina come dati di addestramento, e poi a individuare queste stesse caratteristiche tra la popolazione generale, hanno spiegato le fonti. Un individuo che presenta diverse caratteristiche incriminanti raggiunge un punteggio elevato e diventa automaticamente un potenziale bersaglio per l’assassinio.

In “The Human-Machine Team”, il libro citato all’inizio di questo articolo, l’attuale comandante dell’Unità 8200 sostiene la necessità di un sistema di questo tipo senza fare riferimento a Lavender. (Anche il comandante stesso non viene nominato, ma cinque fonti dell’8200 hanno confermato che il comandante è l’autore, come riportato anche da Haaretz). Descrivendo il personale umano come un “collo di bottiglia” che limita la capacità dell’esercito durante un’operazione militare, il comandante si lamenta: “Noi [uomini] non possiamo elaborare così tante informazioni. Non importa quante persone siano incaricate di produrre obiettivi durante la guerra: non si riesce comunque a produrre abbastanza obiettivi al giorno”.

La soluzione a questo problema, dice, è l’intelligenza artificiale. Il libro offre una breve guida alla costruzione di una “macchina per obiettivi”, simile nella descrizione a Lavender, basata sull’IA e su algoritmi di apprendimento automatico. La guida contiene diversi esempi delle “centinaia e migliaia” di caratteristiche che possono aumentare il rating di un individuo, come l’appartenenza a un gruppo Whatsapp con un militante noto, il cambio di cellulare ogni pochi mesi e il cambio frequente di indirizzo.

“Più informazioni e più varie sono, meglio è”, scrive il comandante. “Informazioni visive, informazioni cellulari, connessioni ai social media, informazioni sul campo di battaglia, contatti telefonici, foto”. Mentre gli esseri umani selezionano queste caratteristiche all’inizio, continua il comandante, col tempo la macchina arriverà a identificarle da sola. Questo, dice, può consentire alle forze armate di creare “decine di migliaia di obiettivi”, mentre la decisione effettiva se attaccarli o meno rimarrà umana.

Il libro non è l’unica occasione in cui un comandante israeliano di alto livello ha accennato all’esistenza di macchine per identificare obiettivi umani come Lavender. +972 e Local Call hanno ottenuto il filmato di una conferenza privata tenuta dal comandante del centro segreto di Data Science e IA dell’Unità 8200, il “Colonnello Yoav”, alla settimana dell’IA dell’Università di Tel Aviv nel 2023, di cui hanno parlato i media israeliani.

Nella conferenza, il comandante parla di una nuova e sofisticata macchina bersaglio utilizzata dall’esercito israeliano che individua “persone pericolose” in base alla loro somiglianza con le liste esistenti di militanti noti su cui è stata addestrata. “Usando il sistema, siamo riusciti a identificare i comandanti delle squadre missilistiche di Hamas”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, riferendosi all’operazione militare israeliana del maggio 2021 a Gaza, quando la macchina è stata usata per la prima volta.

Le diapositive di presentazione della conferenza, ottenute anche da +972 e Local Call, contengono illustrazioni di come funziona la macchina: viene alimentata con dati su operativi di Hamas esistenti, impara a notare le loro caratteristiche e poi valuta altri palestinesi in base a quanto sono simili ai militanti.

“Classifichiamo i risultati e determiniamo la soglia [per attaccare un obiettivo]”, ha detto il “Col. Yoav” nella conferenza, sottolineando che “alla fine sono le persone in carne e ossa a prendere le decisioni”. Nel settore della difesa, dal punto di vista etico, poniamo molta enfasi su questo aspetto. Questi strumenti sono pensati per aiutare [gli agenti dell’intelligence] a rompere le loro barriere”.

In pratica, tuttavia, le fonti che hanno utilizzato Lavender negli ultimi mesi dicono che la capacità umana e la precisione sono state sminuite per la creazione di bersagli di massa e l’aumento della letalità.

Non c’era una politica di “zero errori”.

B., un ufficiale superiore che utilizzava Lavender, ha dichiarato a +972 e Local Call che nella guerra in corso gli ufficiali non erano tenuti a rivedere in modo indipendente le valutazioni del sistema di intelligenza artificiale, per risparmiare tempo e consentire la produzione di massa di obiettivi umani senza ostacoli.

“Tutto era statistico, tutto era ordinato – era molto asciutto”, ha detto B.. Ha osservato che questa mancanza di supervisione è stata permessa nonostante i controlli interni mostrassero che i calcoli di Lavender erano considerati accurati solo il 90% delle volte; in altre parole, si sapeva in anticipo che il 10% degli obiettivi umani destinati all’assassinio non erano affatto membri dell’ala militare di Hamas.

Ad esempio, le fonti hanno spiegato che la macchina Lavender a volte segnalava erroneamente individui che avevano modelli di comunicazione simili a quelli di operativi noti di Hamas o della JIP – tra cui lavoratori della polizia e della protezione civile, parenti di militanti, residenti che avevano un nome e un soprannome identici a quelli di un operativo e gazawi che usavano un dispositivo appartenuto ad un operativo di Hamas.

“Quanto deve essere vicina una persona ad Hamas per essere [considerata da una macchina IA come] affiliata all’organizzazione?”, ha chiesto una fonte critica dell’imprecisione di Lavender. “È un confine vago. Una persona che non riceve uno stipendio da Hamas, ma che lo aiuta in ogni genere di cose, è un agente di Hamas? Una persona che ha fatto parte di Hamas in passato, ma che oggi non ne fa più parte, è un operativo di Hamas? Ognuna di queste caratteristiche – caratteristiche che una macchina segnalerebbe come sospette – è inaccurata”.

Problemi simili esistono per quanto riguarda la capacità delle macchine di valutare il telefono utilizzato da un individuo segnalato per l’assassinio. “In guerra, i palestinesi cambiano continuamente telefono”, ha detto la fonte. “Le persone perdono i contatti con le loro famiglie, danno il loro telefono a un amico o alla moglie, magari lo perdono. Non c’è modo di affidarsi al 100% al meccanismo automatico che determina quale numero [di telefono] appartiene a chi”.

Secondo le fonti, l’esercito sapeva che la minima supervisione umana in atto non avrebbe scoperto questi difetti. “Non c’era una politica di ‘zero errori’. Gli errori venivano trattati statisticamente”, ha detto una fonte che ha usato Lavender. “A causa della portata e dell’ampiezza, il protocollo prevedeva che anche se non si è sicuri che la macchina sia precisa, si sa che statisticamente va bene. Quindi si va avanti”.

“Si è dimostrato valido”, ha detto B., la fonte più anziana. “C’è qualcosa nell’approccio statistico che ti impone una certa norma e un certo standard. C’è stata una quantità illogica di [attentati] in questa operazione. A mia memoria, non ha precedenti. Ho molta più fiducia in un meccanismo statistico che in un soldato che ha perso un amico due giorni fa. Tutti, me compreso, hanno perso delle persone il 7 ottobre. La macchina lo ha fatto freddamente. E questo ha reso tutto più facile”.

Un’altra fonte dell’intelligence, che ha difeso l’utilizzo delle liste di uccisioni di sospetti palestinesi generate da Lavender, ha sostenuto che valeva la pena investire il tempo di un ufficiale dell’intelligence solo per verificare le informazioni se l’obiettivo era un alto comandante di Hamas. “Ma quando si tratta di un giovane militante, non si vuole investire manodopera e tempo”, ha detto. “In guerra, non c’è tempo per incriminare ogni obiettivo. Quindi si è disposti ad accettare il margine di errore dell’uso dell’intelligenza artificiale, rischiando danni collaterali e la morte di civili, rischiando di attaccare per errore, e a conviverci”.

  1. ha detto che la ragione di questa automazione era una spinta costante a generare più obiettivi da assassinare. “In un giorno senza obiettivi [il cui rating era sufficiente per autorizzare un attacco], abbiamo attaccato a una soglia più bassa. Ci facevano costantemente pressione: ‘Portateci più obiettivi’. Ci urlavano davvero contro. Abbiamo finito di [uccidere] i nostri obiettivi molto rapidamente”.

Ha spiegato che quando si abbassava la soglia di valutazione di Lavender, questo segnava un maggior numero di persone come obiettivi per gli attacchi. “Al suo apice, il sistema è riuscito a generare 37.000 persone come potenziali obiettivi umani”, ha detto B. “Ma i numeri cambiavano in continuazione, perché dipende da dove si fissa la soglia della determinazione di chi fosse un agente di Hamas. Ci sono stati momenti in cui un agente di Hamas è stato definito in modo più ampio, e poi la macchina ha iniziato a portarci tutti i tipi di personale della protezione civile, ufficiali di polizia, su cui sarebbe un peccato sprecare bombe. Aiutano il governo di Hamas, ma non mettono in pericolo i soldati”.

Una fonte che ha lavorato con il team di analisti militari che ha addestrato Lavender ha detto che nella macchina sono stati inseriti anche i dati raccolti dai dipendenti del Ministero della Sicurezza Interna gestito da Hamas, che lui non considera militanti. “Mi ha infastidito il fatto che, quando Lavender è stato addestrato, hanno usato il termine ‘agente di Hamas’ in modo generico, includendo nel set di dati dell’addestramento anche persone che lavoravano nella difesa civile”, ha detto.

La fonte ha aggiunto che, anche se si ritiene che queste persone meritino di essere uccise, l’addestramento del sistema basato sui loro profili ha reso più probabile che Lavender selezioni per errore i civili quando i suoi algoritmi vengono applicati alla popolazione generale. “Poiché si tratta di un sistema automatico che non viene gestito manualmente dagli esseri umani, il significato di questa decisione è drammatico: significa che si stanno includendo molte persone con un profilo civile come potenziali obiettivi”.

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Abbiamo solo controllato che l’obiettivo fosse un uomo”.

L’esercito israeliano respinge categoricamente queste affermazioni. In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha negato l’uso dell’intelligenza artificiale per incriminare gli obiettivi, affermando che si tratta solo di “strumenti ausiliari che assistono gli ufficiali nel processo di incriminazione”. La dichiarazione ha proseguito: “In ogni caso, è necessario un esame indipendente da parte di un analista [dell’intelligence], che verifichi che gli obiettivi identificati siano obiettivi legittimi da attaccare, in conformità con le condizioni stabilite dalle direttive dell’IDF e dal diritto internazionale”.

Tuttavia, le fonti hanno detto che l’unico protocollo di supervisione umana in vigore prima di bombardare le case dei sospetti militanti “junior” contrassegnati da Lavender è stato quello di condurre un unico controllo: assicurarsi che l’obiettivo selezionato dall’IA sia maschio e non femmina. Il presupposto nell’esercito era che se l’obiettivo era una donna, la macchina aveva probabilmente commesso un errore, perché non ci sono donne tra i ranghi delle ali militari di Hamas e della JIP.

“Un essere umano doveva [verificare l’obiettivo] solo per pochi secondi”, ha detto B., spiegando che questo è diventato il protocollo dopo aver capito che il sistema Lavender “ci azzeccava” la maggior parte delle volte. “All’inizio facevamo dei controlli per assicurarci che la macchina non si confondesse. Ma a un certo punto ci siamo affidati al sistema automatico e ci siamo limitati a controllare che [il bersaglio] fosse un uomo: era sufficiente. Non ci vuole molto tempo per capire se qualcuno ha una voce maschile o femminile”.

Per effettuare il controllo maschio/femmina, B. ha affermato che nella guerra in corso “investirei 20 secondi per ogni obiettivo in questa fase, e ne potrei fare decine ogni giorno. Non avevo alcun valore aggiunto come essere umano, se non quello di dare un timbro di approvazione. Si risparmiava un sacco di tempo. Se [l’agente] si presentava nel meccanismo automatico, e io controllavo che fosse un uomo, avrei avuto il permesso di bombardarlo, previo esame dei danni collaterali”.

In pratica, secondo le fonti, ciò significava che per gli uomini civili segnalati per errore da Lavender, non esisteva alcun meccanismo di supervisione per rilevare l’errore. Secondo B., un errore comune si verificava “se l’obiettivo [di Hamas] dava [il suo telefono] a suo figlio, a suo fratello maggiore o a un uomo a caso. Quella persona sarà bombardata in casa sua con la sua famiglia. Questo accadeva spesso. Questi erano la maggior parte degli errori causati da Lavender”, ha detto B..

FASE 2: COLLEGARE GLI OBIETTIVI ALLE CASE DELLE FAMIGLIE

La maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.

La fase successiva della procedura di assassinio dell’esercito israeliano consiste nell’identificare dove attaccare gli obiettivi generati da Lavender.

In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, il portavoce dell’IDF ha affermato, in risposta a questo articolo, che “Hamas colloca i suoi operativi e i suoi mezzi militari nel cuore della popolazione civile, usa sistematicamente la popolazione civile come scudi umani e conduce i combattimenti dall’interno di strutture civili, compresi siti sensibili come ospedali, moschee, scuole e strutture delle Nazioni Unite. L’IDF è vincolato e agisce secondo il diritto internazionale, dirigendo i suoi attacchi solo verso obiettivi militari e operativi militari”.

Le sei fonti con cui abbiamo parlato hanno fatto in parte eco a questo, affermando che il vasto sistema di tunnel di Hamas passa deliberatamente sotto ospedali e scuole; che i militanti di Hamas usano le ambulanze per spostarsi; e che innumerevoli mezzi militari sono stati situati vicino a edifici civili. Le fonti hanno sostenuto che molti attacchi israeliani uccidono civili a causa di queste tattiche di Hamas – una caratterizzazione che, come ammoniscono le organizzazioni per i diritti umani, eluderebbe la responsabilità di Israele nel causare le perdite.

Tuttavia, in contrasto con le dichiarazioni ufficiali dell’esercito israeliano, le fonti hanno spiegato che una delle ragioni principali del numero di vittime senza precedenti dell’attuale bombardamento israeliano è il fatto che l’esercito ha sistematicamente attaccato gli obiettivi nelle loro case private, insieme alle loro famiglie – in parte perché era più facile, dal punto di vista dell’intelligence, contrassegnare le case delle famiglie utilizzando sistemi automatizzati.

In effetti, diverse fonti hanno sottolineato che, a differenza dei numerosi casi di operativi di Hamas impegnati in attività militari da aree civili, nel caso di attacchi sistematici di assassinio, l’esercito ha regolarmente fatto la scelta consapevole di bombardare sospetti militanti all’interno di case civili da cui non si svolgeva alcuna attività militare. Questa scelta, hanno detto, è un riflesso del modo in cui è stato progettato il sistema di sorveglianza di massa di Israele a Gaza.

Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che, poiché ogni persona a Gaza ha una casa privata a cui può essere associata, i sistemi di sorveglianza dell’esercito possono facilmente e automaticamente “collegare” gli individui alle case di famiglia. Per identificare in tempo reale il momento in cui gli agenti entrano nelle loro case, sono stati sviluppati diversi software automatici aggiuntivi. Questi programmi tracciano migliaia di individui simultaneamente, identificano quando sono in casa e inviano un allarme automatico all’ufficiale di puntamento, che poi contrassegna la casa per il bombardamento. Uno di questi software di tracciamento, rivelato qui per la prima volta, si chiama Dov’è papà?.

“Si inseriscono centinaia di obiettivi nel sistema e si aspetta di vedere chi si può uccidere”, ha detto una fonte a conoscenza del sistema. “Si chiama caccia ampia: si fa copia-incolla dalle liste che il sistema di obiettivi produce”.

La prova di questa politica è evidente anche dai dati: durante il primo mese di guerra, più della metà delle vittime – 6.120 persone – apparteneva a 1.340 famiglie, molte delle quali sono state completamente spazzate via mentre si trovavano all’interno delle loro case, secondo i dati delle Nazioni Unite. La percentuale di intere famiglie bombardate nelle loro case nell’attuale guerra è molto più alta rispetto all’operazione israeliana del 2014 a Gaza (che è stata in precedenza la guerra più letale di Israele sulla Striscia), suggerendo ulteriormente la prevalenza di questa politica.

Un’altra fonte ha detto che ogni volta che il ritmo degli assassinii diminuiva, venivano aggiunti altri obiettivi a sistemi come Where’s Daddy? per individuare gli individui che entravano nelle loro case e che quindi potevano essere bombardati. Ha detto che la decisione di chi inserire nei sistemi di localizzazione poteva essere presa da ufficiali di grado relativamente basso nella gerarchia militare.

“Un giorno, di mia spontanea volontà, ho aggiunto qualcosa come 1.200 nuovi obiettivi al sistema [di tracciamento], perché il numero di attacchi [che stavamo conducendo] era diminuito”, ha detto la fonte. “Per me aveva senso. A posteriori, sembra una decisione seria quella che ho preso. E tali decisioni non venivano prese ad alti livelli”.

Le fonti hanno detto che nelle prime due settimane di guerra, “diverse migliaia” di obiettivi sono stati inizialmente inseriti in programmi di localizzazione come Where’s Daddy? Tra questi c’erano tutti i membri dell’unità d’élite delle forze speciali di Hamas, la Nukhba, tutti gli operativi anticarro di Hamas e chiunque fosse entrato in Israele il 7 ottobre. Ma in breve tempo la lista delle vittime è stata drasticamente ampliata.

“Alla fine si trattava di tutti coloro che erano stati contrassegnati da Lavender”, ha spiegato una fonte. “Decine di migliaia. Questo è successo poche settimane dopo, quando le brigate [israeliane] sono entrate a Gaza, e c’erano già meno persone non coinvolte [cioè civili] nelle aree settentrionali”. Secondo questa fonte, anche alcuni minorenni sono stati contrassegnati da Lavender come obiettivi per i bombardamenti. “Di solito gli agenti hanno più di 17 anni, ma questa non era una condizione”.

Lavender e sistemi come Where’s Daddy? sono stati quindi combinati con effetto letale, uccidendo intere famiglie, secondo le fonti. Aggiungendo un nome dagli elenchi generati da Lavender al sistema di localizzazione domiciliare Where’s Daddy? , ha spiegato A., la persona contrassegnata sarebbe stata posta sotto sorveglianza continua e avrebbe potuto essere attaccata non appena avesse messo piede nella propria abitazione, facendo crollare la casa su tutti coloro che vi si trovavano all’interno.

“Diciamo che si calcola [che ci sia un] agente di Hamas più 10 [civili in casa]”, ha detto A.. “Di solito, questi 10 sono donne e bambini. Quindi, per assurdo, si capisce che la maggior parte delle persone uccise erano donne e bambini”.

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FASE 3: LA SCELTA DELL’ARMA

Di solito eseguivamo gli attacchi con “bombe non-guidate””.

Una volta che Lavender ha contrassegnato un bersaglio per l’assassinio, che il personale dell’esercito ha verificato che si tratta di un uomo e che il software di localizzazione ha individuato l’obiettivo nella sua casa, la fase successiva è la scelta della munizione con cui bombardarlo.

Nel dicembre 2023, la CNN ha riportato che, secondo le stime dell’intelligence statunitense, circa il 45% delle munizioni utilizzate dall’aviazione israeliana a Gaza erano bombe non-guidate, note per causare più danni collaterali rispetto a quelle guidate. In risposta al rapporto della CNN, un portavoce dell’esercito citato nell’articolo ha dichiarato: “Come esercito impegnato a rispettare il diritto internazionale e un codice di condotta morale, stiamo dedicando vaste risorse per ridurre al minimo i danni ai civili che Hamas ha costretto al ruolo di scudi umani. La nostra guerra è contro Hamas, non contro la popolazione di Gaza”.

“È stato così con tutti gli obiettivi junior”, ha testimoniato C., che ha utilizzato diversi programmi automatizzati nella guerra in corso. “L’unica domanda era: è possibile attaccare l’edificio in termini di danni collaterali? Perché di solito eseguivamo gli attacchi con bombe non-guidate, e questo significava distruggere letteralmente l’intera casa insieme ai suoi occupanti. Ma anche se un attacco viene evitato, non ci si preoccupa: si passa immediatamente all’obiettivo successivo. Grazie al sistema, gli obiettivi non finiscono mai. Ce ne sono altri 36.000 in attesa”.

FASE 4: AUTORIZZARE LE VITTIME CIVILI

Attaccavamo quasi senza considerare i danni collaterali

Una fonte ha affermato che quando si attaccavano gli agenti minori, compresi quelli contrassegnati dai sistemi di intelligenza artificiale come Lavender, il numero di civili che potevano uccidere insieme a ciascun obiettivo era fissato, durante le prime settimane di guerra, a un massimo di 20. Un’altra fonte ha affermato che il numero indicato era fino a 15. Questi “livelli di danni collaterali”, come li chiamano i militari, sono stati applicati in modo ampio a tutti i sospetti militanti minori, hanno detto le fonti, indipendentemente dal loro rango, importanza militare ed età, e senza un esame specifico caso per caso per soppesare il vantaggio militare di ucciderli rispetto al danno previsto per i civili.

Secondo A., che è stato ufficiale in una sala operativa durante l’attuale guerra, il dipartimento di diritto internazionale dell’esercito non ha mai dato una “approvazione così ampia” per I livelli di danni collaterali. “Non è solo che si può uccidere qualsiasi persona che sia un soldato di Hamas, il che è chiaramente permesso e legittimo in termini di diritto internazionale”, ha detto A.. “Ma loro ti dicono direttamente: ‘Ti è permesso ucciderli insieme a molti civili’.

“Ogni persona che indossava un’uniforme di Hamas nell’ultimo anno o due poteva essere bombardata con 20 [civili uccisi come] danno collaterale, anche senza un permesso speciale”, ha continuato A.. “In pratica, il principio di proporzionalità non esisteva”.

Secondo A., questa è stata la politica per la maggior parte del tempo in cui ha prestato servizio. Solo in seguito i militari hanno abbassato il livello di danni collaterali. “In questo calcolo, potevano essere anche 20 bambini per un agente junior… In passato non era proprio così”, ha spiegato A.. Alla domanda sulle motivazioni di sicurezza alla base di questa politica, A. ha risposto: “Letalità”.

Il livello di danni collaterali predeterminato e fisso ha contribuito ad accelerare la creazione di massa di obiettivi utilizzando la macchina Lavender, hanno detto le fonti, perché ha fatto risparmiare tempo. B. ha affermato che il numero di civili che potevano essere uccisi nella prima settimana di guerra per ogni sospetto militante junior marcato dall’IA era di quindici, ma che questo numero “è andato su e giù” nel tempo.

“All’inizio abbiamo attaccato quasi senza considerare i danni collaterali”, ha detto B. della prima settimana dopo il 7 ottobre. “In pratica, non si contavano le persone [in ogni casa bombardata], perché non si riusciva a capire se fossero in casa o meno”. Dopo una settimana sono iniziate le restrizioni sui danni collaterali. Il numero è sceso [da 15] a cinque, il che ha reso molto difficile per noi attaccare, perché se l’intera famiglia era in casa, non potevamo bombardarla. Poi hanno alzato di nuovo il numero”.

Sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili

Le fonti hanno riferito a +972 e Local Call che ora, in parte a causa delle pressioni americane, l’esercito israeliano non genera più in massa obiettivi umani junior da bombardare nelle case dei civili. Il fatto che la maggior parte delle case nella Striscia di Gaza fossero già distrutte o danneggiate, e che quasi tutta la popolazione fosse sfollata, ha anche compromesso la capacità dell’esercito di affidarsi a database di intelligence e a programmi automatici di localizzazione delle case.

  1. ha affermato che il bombardamento massiccio dei militanti junior ha avuto luogo solo nelle prime due settimane di guerra, e poi è stato interrotto principalmente per non sprecare bombe. “C’è un’economia delle munizioni”, ha detto E.. “Hanno sempre avuto paura che ci fosse [una guerra] nell’arena settentrionale [con Hezbollah in Libano]. Non attaccano più questo tipo di persone [junior]”.

Tuttavia, gli attacchi aerei contro i comandanti di alto livello di Hamas sono ancora in corso e le fonti hanno detto che, per questi attacchi, l’esercito sta autorizzando l’uccisione di “centinaia” di civili per ogni obiettivo – una politica ufficiale per la quale non ci sono precedenti storici in Israele, o anche nelle recenti operazioni militari statunitensi.

“Nel bombardamento del comandante del Battaglione Shuja’iya, sapevamo che avremmo ucciso più di 100 civili”, ha ricordato B. a proposito del bombardamento del 2 dicembre che, secondo il portavoce dell’IDF, aveva come obiettivo l’assassinio di Wisam Farhat. “Per me, psicologicamente, è stato insolito. Più di 100 civili – questo supera una certa linea rossa”.

Amjad Al-Sheikh, un giovane palestinese di Gaza, ha raccontato che molti membri della sua famiglia sono stati uccisi in quel bombardamento. Residente a Shuja’iya, a est di Gaza City, quel giorno si trovava in un supermercato locale quando ha sentito cinque esplosioni che hanno mandato in frantumi le vetrate.

“Sono corso a casa della mia famiglia, ma non c’erano più edifici”, ha raccontato Al-Sheikh a +972 e Local Call. “La strada era piena di urla e fumo. Interi isolati residenziali si sono trasformati in montagne di macerie e fosse profonde. La gente ha iniziato a cercare nel cemento, usando le mani, e anch’io ho cercato segni della casa della mia famiglia”.

La moglie e la figlioletta di Al-Sheikh sono sopravvissute – protette dalle macerie da un armadio caduto sopra di loro – ma ha trovato altri 11 membri della sua famiglia, tra cui le sorelle, i fratelli e i loro figli piccoli, morti sotto le macerie. Secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem, quel giorno il bombardamento ha distrutto decine di edifici, ucciso decine di persone e sepolto centinaia di persone sotto le rovine delle loro case.

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Intere famiglie sono state uccise

Fonti dell’intelligence hanno dichiarato a +972 e Local Call di aver preso parte ad attacchi ancora più letali. Per assassinare Ayman Nofal, il comandante della Brigata Centrale di Gaza di Hamas, una fonte ha detto che l’esercito ha autorizzato l’uccisione di circa 300 civili, distruggendo diversi edifici in attacchi aerei sul campo profughi di Al-Bureij il 17 ottobre, sulla base di una localizzazione imprecisa di Nofal. Le immagini satellitari e i video della scena mostrano la distruzione di diversi alti edifici di appartamenti a più piani.

“Nell’attacco sono state spazzate via tra le 16 e le 18 case”, ha dichiarato Amro Al-Khatib, un residente del campo, a +972 e Local Call. “Non riuscivamo a distinguere un appartamento dall’altro, erano tutti confusi tra le macerie e abbiamo trovato parti di corpi umani ovunque”.

In seguito, Al-Khatib ha ricordato che sono stati estratti dalle macerie 50 cadaveri e circa 200 feriti, molti dei quali gravi. Ma questo era solo il primo giorno. I residenti del campo hanno trascorso cinque giorni a tirare fuori i morti e i feriti, ha detto.

Nael Al-Bahisi, un paramedico, è stato uno dei primi ad arrivare sul posto. Ha contato tra le 50-70 vittime in quel primo giorno. “A un certo punto abbiamo capito che l’obiettivo dell’attacco era il comandante di Hamas Ayman Nofal”, ha detto a +972 e Local Call. “Hanno ucciso lui e anche molte persone che non sapevano fosse lì. Sono state uccise intere famiglie con bambini”.

Un’altra fonte dell’intelligence ha dichiarato a +972 e Local Call che l’esercito ha distrutto una torre residenziale a Rafah a metà dicembre, uccidendo “decine di civili”, per cercare di eliminare Mohammed Shabaneh, il comandante della Brigata Rafah di Hamas (non è chiaro se sia stato ucciso o meno nell’attacco). Spesso, ha detto la fonte, gli alti comandanti si nascondono in tunnel che passano sotto edifici civili, e quindi la scelta di assassinarli con un attacco aereo uccide necessariamente dei civili.

“La maggior parte dei feriti erano bambini”, ha dichiarato Wael Al-Sir, 55 anni, che ha assistito all’attacco su larga scala che alcuni gazawi ritengono sia stato un tentativo di assassinio. Ha dichiarato a +972 e Local Call che il bombardamento del 20 dicembre ha distrutto “un intero isolato residenziale” e ucciso almeno 10 bambini.

“C’era una politica completamente permissiva riguardo alle vittime delle operazioni [di bombardamento] – così permissiva che a mio parere aveva un elemento di vendetta”, ha affermato D., una fonte di intelligence. “Il fulcro di questa politica era l’assassinio di alti comandanti [di Hamas e della JIP] per i quali erano disposti a uccidere centinaia di civili. Avevamo un calcolo: quanti per un comandante di brigata, quanti per un comandante di battaglione e così via”.

“C’erano dei regolamenti, ma erano molto indulgenti”, ha detto E., un’altra fonte dell’intelligence. “Abbiamo ucciso persone con danni collaterali a due cifre, se non a tre cifre. Sono cose che non erano mai successe prima”.

Un tasso così elevato di “danni collaterali” è eccezionale non solo rispetto a ciò che l’esercito israeliano considerava accettabile in precedenza, ma anche rispetto alle guerre condotte dagli Stati Uniti in Iraq, Siria e Afghanistan.

Il generale Peter Gersten, vicecomandante per le operazioni e l’intelligence nell’operazione di lotta all’ISIS in Iraq e Siria, ha dichiarato a una rivista di difesa statunitense nel 2021 che un attacco con danni collaterali di 15 civili si discostava dalla procedura; per portarlo a termine, ha dovuto ottenere un permesso speciale dal capo del Comando centrale degli Stati Uniti, il generale Lloyd Austin, che ora è segretario alla Difesa.

“Con Osama Bin Laden, si aveva un NCV (Non-combatant Casualty Value) di 30, ma se si aveva un comandante di basso livello, il suo NCV era tipicamente zero”, ha detto Gersten. “Per molto tempo abbiamo avuto un valore pari a zero”.

Ci è stato detto: “Bombardate tutto quello che potete”.

Tutte le fonti intervistate per questa indagine hanno affermato che i massacri di Hamas del 7 ottobre e il rapimento degli ostaggi hanno influenzato notevolmente la politica di attacco dell’esercito e i livelli di danni collaterali ritenuti accettabili. “All’inizio l’atmosfera era dolorosa e vendicativa”, ha detto B., che è stato arruolato nell’esercito subito dopo il 7 ottobre e ha prestato servizio in una sala operativa. “Le regole erano molto indulgenti. Hanno abbattuto quattro edifici quando sapevano che l’obiettivo era in uno di essi. Era una follia”.

“C’era una dissonanza: da un lato, la gente qui era frustrata perché non stavamo attaccando abbastanza”, ha continuato B.. “Dall’altro, alla fine della giornata si vede che sono morti altri mille gazawi, la maggior parte dei quali civili”.

“C’era isteria nei ranghi professionali”, ha detto D., anche lui arruolato subito dopo il 7 ottobre. “Non avevano la minima idea di come reagire. L’unica cosa che sapevano fare era bombardare come pazzi per cercare di smantellare le capacità di Hamas”.

  1. ha sottolineato che non gli è stato detto esplicitamente che l’obiettivo dell’esercito è la “vendetta”, ma ha espresso che “non appena ogni obiettivo collegato ad Hamas diventa legittimo, e con l’approvazione di quasi tutti i danni collaterali, è chiaro che migliaia di persone saranno uccise”. Anche se ufficialmente ogni obiettivo è collegato ad Hamas, quando la politica è così permissiva, perde ogni significato”.
  2. ha anche usato la parola “vendetta” per descrivere l’atmosfera all’interno dell’esercito dopo il 7 ottobre. “Nessuno ha pensato a cosa fare dopo, quando la guerra sarà finita, o a come sarà possibile vivere a Gaza e cosa ne faranno”, ha detto A.. “Ci è stato detto: ora dobbiamo distruggere Hamas, a qualunque costo. Tutto ciò che si può, si bombarda”.

B., la fonte senior dell’intelligence, ha detto che, a posteriori, ritiene che questa politica “sproporzionata” di uccidere i palestinesi a Gaza metta in pericolo anche gli israeliani, e che questo è stato uno dei motivi per cui ha deciso di farsi intervistare.

“Nel breve termine siamo più sicuri, perché abbiamo danneggiato Hamas. Ma credo che a lungo termine saremo meno sicuri. Vedo come tutte le famiglie in lutto a Gaza – che sono quasi tutte – aumenteranno la motivazione per cui [le persone si uniranno] ad Hamas tra 10 anni. E sarà molto più facile per [Hamas] reclutarli”.

In una dichiarazione rilasciata a +972 e Local Call, l’esercito israeliano ha smentito gran parte di quanto raccontato dalle fonti, sostenendo che “ogni obiettivo viene esaminato singolarmente, mentre viene fatta una valutazione individuale del vantaggio militare e dei danni collaterali attesi dall’attacco… L’IDF non esegue azioni quando i danni collaterali attesi dall’attacco sono eccessivi rispetto al vantaggio militare”.

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Medics transport an injured Palestinian child into Al-Shifa hospital in Gaza City following an Israeli airstrike on October 11, 2023, as raging battles between Israel and the Hamas movement continued for the fifth consecutive day. Medical supplies, including oxygen, were running low at Gaza’s overwhelmed Al-Shifa hospital as the death toll from five days of ferocious fighting between Hamas and Israel rose sharply on October 11 with Israel keeping up its bombardment of Gaza after recovering the dead from the last communities near the border where Palestinian militants had been holed up. Photo by Atia Darwish apaimages

FASE 5: IL CALCOLO DEI DANNI COLLATERALI

Il modello non era collegato alla realtà

Secondo le fonti di intelligence, il calcolo da parte dell’esercito israeliano del numero di civili che si prevedeva venissero uccisi in ogni casa dove c’era un obiettivo – una procedura esaminata in una precedente indagine di +972 e Local Call – è stato condotto con l’aiuto di strumenti automatici e imprecisi. Nelle guerre precedenti, il personale dell’intelligence dedicava molto tempo a verificare quante persone si trovassero in una casa destinata a essere bombardata, e il numero di civili suscettibili di essere uccisi veniva elencato come parte di un “dossier obiettivo”. Dopo il 7 ottobre, tuttavia, questa verifica approfondita è stata ampiamente abbandonata a favore dell’automazione.

In ottobre, il New York Times ha riportato di un sistema gestito da una base speciale nel sud di Israele, che raccoglie informazioni dai telefoni cellulari nella Striscia di Gaza e fornisce ai militari una stima in tempo reale del numero di palestinesi fuggiti dal nord della Striscia di Gaza verso sud. Il generale di brigata Udi Ben Muha ha dichiarato al Times che “non è un sistema perfetto al 100% – ma fornisce le informazioni necessarie per prendere una decisione”. Il sistema funziona in base ai colori: il rosso indica le aree in cui ci sono molte persone, mentre il verde e il giallo indicano le aree che sono state relativamente liberate dai residenti.

Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno descritto un sistema simile per il calcolo dei danni collaterali, utilizzato per decidere se bombardare un edificio a Gaza. Hanno detto che il software calcolava il numero di civili che risiedevano in ogni casa prima della guerra – valutando le dimensioni dell’edificio e rivedendo la lista dei residenti – e poi riduceva questi numeri per la percentuale di residenti che presumibilmente avevano evacuato il quartiere.

Per esempio, se l’esercito stimava che la metà dei residenti di un quartiere se ne fosse andata, il programma avrebbe contato una casa che di solito aveva 10 residenti come una casa con cinque persone. Per risparmiare tempo, hanno detto le fonti, l’esercito non ha controllato le case per verificare quante persone vi abitassero effettivamente, come aveva fatto in precedenti operazioni, per scoprire se la stima del programma fosse effettivamente accurata.

“Questo modello non era collegato alla realtà”, ha affermato una fonte. “Non c’era alcun collegamento tra coloro che si trovavano nella casa ora, durante la guerra, e coloro che erano indicati come abitanti della casa prima della guerra. [In un’occasione] abbiamo bombardato una casa senza sapere che all’interno c’erano diverse famiglie, nascoste insieme”.

La fonte ha detto che, sebbene l’esercito sapesse che tali errori potevano verificarsi, questo modello impreciso è stato comunque adottato, perché era più veloce. Per questo motivo, ha detto la fonte, “il calcolo dei danni collaterali era completamente automatico e statistico” – producendo anche cifre che non erano intere.

FASE 6: BOMBARDARE LA CASA DI UNA FAMIGLIA

Avete ucciso una famiglia senza motivo

Le fonti che hanno parlato con +972 e Local Call hanno spiegato che a volte c’era un notevole divario tra il momento in cui i sistemi di localizzazione come Where’s Daddy? avvisavano un ufficiale che un bersaglio era entrato in casa, e il bombardamento stesso – portando all’uccisione di intere famiglie anche senza colpire l’obiettivo dell’esercito. “Mi è capitato molte volte di attaccare un’abitazione, ma la persona non era nemmeno in casa”, ha detto una fonte. “Il risultato è che si è uccisa una famiglia senza motivo”.

Tre fonti dell’intelligence hanno raccontato a +972 e Local Call di aver assistito a un incidente in cui l’esercito israeliano ha bombardato l’abitazione privata di una famiglia, per poi scoprire che l’obiettivo dell’assassinio non era nemmeno all’interno della casa, poiché non erano state condotte ulteriori verifiche in tempo reale.

“A volte [l’obiettivo] era a casa prima, e poi la sera è andato a dormire da qualche altra parte, per esempio sottoterra, e non lo sapevi”, ha detto una delle fonti. Ci sono volte in cui si ricontrolla la posizione e altre in cui si dice semplicemente: “Ok, era in casa nelle ultime ore, quindi puoi bombardare””.

Un’altra fonte ha descritto un incidente simile che lo ha colpito e che lo ha spinto a farsi intervistare per questa indagine. “Abbiamo capito che l’obiettivo era tornato a casa alle 20. Alla fine l’aviazione ha bombardato la casa alle 3. Poi abbiamo scoperto che [in quel lasso di tempo] era riuscito a trasferirsi in un’altra casa con la sua famiglia. Nell’edificio che abbiamo bombardato c’erano altre due famiglie con bambini”.

Nelle guerre precedenti a Gaza, dopo l’uccisione di obiettivi umani, l’intelligence israeliana eseguiva procedure di valutazione dei danni da bomba (BDA) – un controllo di routine dopo l’attacco per verificare se il comandante senior fosse stato eliminato e quanti civili fossero stati uccisi insieme a lui. Come rivelato in una precedente indagine di +972 e Local Call, ciò comportava l’ascolto delle telefonate dei parenti che avevano perso i loro cari. Nella guerra attuale, tuttavia, almeno per quanto riguarda i militanti più giovani marcati con l’IA, le fonti affermano che questa procedura è stata abolita per risparmiare tempo. Le fonti hanno affermato di non sapere quanti civili siano stati effettivamente uccisi in ogni attacco e, per i sospetti militanti di Hamas e della JIP di basso rango contrassegnati dall’IA, non sanno nemmeno se il bersaglio stesso sia stato effettivamente ucciso.

“Non sai esattamente quanti ne hai uccisi e chi hai ucciso”, ha detto una fonte dell’intelligence a Local Call per una precedente inchiesta pubblicata a gennaio. “Solo quando si tratta di alti funzionari di Hamas si segue la procedura BDA. Nel resto dei casi, non ci si preoccupa. Si riceve un rapporto dall’aeronautica sul fatto che l’edificio sia stato fatto saltare in aria, e questo è tutto. Non si ha idea di quanti danni collaterali ci siano stati; si passa immediatamente all’obiettivo successivo. L’enfasi era quella di creare il maggior numero possibile di obiettivi, il più rapidamente possibile”.

Ma mentre l’esercito israeliano può andare avanti con ogni attacco senza soffermarsi sul numero di vittime, Amjad Al-Sheikh, il residente di Shuja’iya che ha perso 11 membri della sua famiglia nel bombardamento del 2 dicembre, ha detto che lui e i suoi vicini stanno ancora cercando i cadaveri.

“Fino ad ora ci sono corpi sotto le macerie”, ha detto. “Quattordici edifici residenziali sono stati bombardati con i loro residenti all’interno. Alcuni dei miei parenti e vicini sono ancora sepolti”.

­­­­­­­­­­­­­­­*Yuval Abraham è un giornalista e regista basato a Gerusalemme.

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Israele e la “guerra totale”: attacco ai civili, agli operatori umanitari, all’Iran e ai suoi stessi alleati


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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 3 aprile 2024. Sono più di 200 gli operatori umanitari uccisi a Gaza in sei mesi. Quasi tre volte il bilancio delle vittime registrate in un anno in qualsiasi singolo conflitto mondiale.

Secondo l’ONU ne erano 196 fino al 20 marzo, prima quindi del sanguinoso attacco israeliano che ha ucciso martedì 2 aprile sette membri della World Central Kitchen. Un convoglio di 3 autovetture che aveva coordinato il proprio percorso con i militari israeliani, è stato colpito dopo che il gruppo di operatori umanitari, identificabile con il logo della WCK, ha consegnato 100 tonnellate di aiuti alimentari a Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Un attacco mirato, che non ha lasciato scampo agli operatori, tre di nazionalità inglese, uno con doppio passaporto statunitense-canadese, uno polacco, uno australiano e un palestinese. Il secondo veicolo è stato colpito a 800 metri di distanza dal primo. E il terzo a 1 chilometro e 600 metri dal secondo, con estrema precisione. Il premier Netanyahu ha parlato di un “tragico errore”, cose che però “in guerra accadono”. È difficile immaginare che un tale grossolano sbaglio sia riconducibile allo stesso esercito che poche ore prima ha distrutto con chirurgica accuratezza l’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria.

Con l’aumentare dello sdegno internazionale, le parole di scusa sono divenute più chiare, accompagnate però dal funambolico tentativo di descrivere il raid come un’azione isolata. Difficile inquadrarla in questo modo ormai anche per gli storici sostenitori d’Israele: le uccisioni di operatori umanitari, di giornalisti, di civili, di donne e bambini hanno raggiunto numeri inimmaginabili, l’orrore della fame è denunciato ovunque come arma di guerra saldamente impugnata da Netanyahu e dal suo governo. “Se Israele sperava che il suo controllo sull’ingresso degli aiuti sarebbe servito come mezzo di pressione per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas, ha perso la scommessa” scrive oggi il quotidiano israeliano Haaretz.

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I passaporti di alcuni degli operatori umanitari della WCK uccisi da Israele a Gaza

Il dibattito interno inglese è diventato rovente quando è stata ventilata l’ipotesi che i tre cittadini inglesi della WCK possano essere stati uccisi con una delle tante armi che la Gran Bretagna ha consegnato a Israele. L’opinione pubblica era già rimasta scossa da una fuga di notizie: nonostante il governo abbia ricevuto un parere legale secondo cui l’esercito israeliano sta violando il diritto internazionale, il flusso di armi non è stato bloccato. Insieme a Jeremy Corbyn, altri deputati hanno chiesto la sospensione della vendita di armi a Israele: “dobbiamo chiedere un cessate il fuoco immediato, e porre fine alla nostra complicità in questo orrore”, ha dichiarato l’ex leader laburista.

All’indomani dell’attacco drone al convoglio, la World Central Kitchen ha annunciato la sospensione delle proprie attività nella Striscia di Gaza. Secondo il Cogat, l’organismo del ministero della difesa israeliano che controlla l’amministrazione civile dei territori palestinesi occupati, la WCK garantiva circa il 60% degli aiuti non governativi che entrano nel territorio. Altre Organizzazioni non governative hanno seguito l’esempio, dichiarando di aver interrotto il lavoro di supporto alla popolazione sull’orlo della carestia.

L’immagine di Israele che i governi, soprattutto occidentali, stanno tentando disperatamente di difendere e di presentare, a volte oltre ogni evidenza, a un’opinione pubblica con le idee più chiare di quelle dei propri reggenti, sta cadendo a pezzi. Sotto le immagini dell’ospedale al-Shifa, che fatto a pezzi e dato alle fiamme vengono presentate come un successo militare, con le foto dei corpi di decine di palestinesi senza nome sepolti dalle ruspe, come dalle notizie delle centinaia di arresti arbitrari, dalle testimonianze degli anziani pazienti sopravvissuti.

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L’ospedale al-Shifa di Gaza, distrutto dopo l’assedio israeliano

Ma anche per la cacciata dei giornalisti di Al Jazeera, il più importante network di notizie del mondo arabo, che potrebbe essere seguito da tanti piccoli pezzi di libertà di stampa tenuti a forza da Israele fuori dai confini propri così come da quelli che forzatamente continua ad occupare. L’annunciata operazione militare israeliana su Rafah, dove è rifugiata la maggior parte della popolazione palestinese, è stata ufficialmente bocciata dagli Stati Uniti d’America. Secondo gli USA evacuare i civili in quattro settimane, come programmato da Tel Aviv, è semplicemente impossibile. Sarebbero necessari, per Washington, non meno di quattro mesi.

Sono ormai 32.975 i morti nella Striscia di Gaza, dei quali 14.500 bambini e 9.560 donne. 75.577 feriti, 30 bambini morti di fame. Il Programma alimentare mondiale (WFP) ha ribadito il suo appello per un cessate il fuoco a Gaza avvertendo dell’avvicinarsi della carestia e della malnutrizione tra i bambini che si diffonde a “ritmo record”: un bambino su tre sotto i due anni è gravemente malnutrito. Un’indagine pubblicata da The Guardian, realizzata dal sito di notizie israeliano Sicha Mekomit rivela che l’esercito israeliano utilizza a Gaza un sistema di intelligenza artificiale che, in base a dati preinseriti indentifica potenziali simpatizzanti di Hamas. 37.000 persone sarebbero state arrestate con l’utilizzo del software.

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Familiari degli ostaggi israeliani a Gaza irrompono alla Knesset per protestare contro la gestione della guerra da parte del governo Netanyahu

Eppure, Netanyahu e il suo governo, nonostante le contestazioni interne, godono di un forte sostegno. La narrazione della “vittoria totale” contro Hamas continua a scaldare i cuori di gran parte della popolazione israeliana ma pone sempre più interrogativi sull’avvenire. Gli oppositori lo incolpano di fare la guerra per la guerra, scopo e ultimo obiettivo, senza un reale piano per un futuro di pace. Pace per gli israeliani, sia chiaro, perché i palestinesi rimangono un problema da domare e di cui preferibilmente sbarazzarsi.

Non solo la guerra contro Hamas. Per ritardare l’inevitabile resa dei conti sulle responsabilità del fallimento militare e di intelligence del 7 ottobre, quando il gruppo islamico ha attaccato uccidendo 1200 persone e rapendone circa 250, anche una “guerra totale” potrebbe diventare appetibile. E così la posta in gioco diventa sempre più alta, attacco dopo attacco. “Bibi” sembra sfidare i suoi più forti avversari, testandone i limiti, spinto dal desiderio di marcare il territorio dello scontro ma tentato sempre più a istigare una reazione che, se messi con le spalle al muro, l’Iran e i suoi gruppi alleati potrebbero persino decidere di avere.

L’attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, con l’uccisione di sette persone tra le quali Mohammad Reza Zahedi, un comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie, è un passo pericoloso.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una riunione di emergenza il 2 aprile. L’Iran “ha esercitato una notevole moderazione, ma è imperativo riconoscere che ci sono limiti a tale tolleranza”, ha detto l’ambasciatore iraniano all’ONU, Zahara Ershadi.

Cina e Russia hanno definito l’attacco “una flagrante violazione della carta delle Nazioni Unite e della sovranità sia della Siria che dell’Iran”. “25 anni fa, l’ambasciata cinese in Jugoslavia è stata bombardata da un attacco aereo della NATO guidato dagli Stati Uniti. Comprendiamo il dolore del governo e del popolo iraniani”, ha detto Geng Shuang, vice rappresentante permanente cinese presso le Nazioni Unite.

La “guerra ombra” tra Tel Aviv e Teheran ha avuto fino ad ora le modalità del “contenimento”. Un “botta e risposta” proporzionale garantisce il rituale di dominanza e sottomissione che può terminare, come da più attori auspicato, in un ritorno alle proprie aree di influenza, con soddisfazione egualmente distribuita. In questa mascolina dimostrazione di muscoli si inserirebbe il supporto occidentale concretamente dimostrato a Israele con la presenza militare nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Dunque, supportare uno degli attori in conflitto nei termini del “contenimento”, significa esaltare la propria presenza e la propria capacità d’armi allo scopo di intimidire l’avversario ed evitare l’escalation. L’azione armata di Israele contro l’ambasciata iraniana rappresenta senza dubbio un atto che trascende il contenimento. Una fuga in avanti, una dimostrazione di forza che mette in difficoltà i propri alleati ma anche e di più l’avversario, in questo caso l’Iran, che deve decidere a questo punto quali carte giocare. Il fatto che gli Stati Uniti, secondo fonti riportate da più parti, si siano affrettati a comunicare a Teheran la propria estraneità all’attacco, conferma questa lettura. Le minacce che hanno presentato all’Iran sono spiegate dal timore che la risposta possa mirare a obiettivi statunitensi in Medio Oriente.

La maggior parte degli analisti in giro per il mondo sostiene che l’Iran vuole evitare una guerra diretta con Israele. Ma concordano tutti sul fatto che dovrà rispondere all’attacco all’ambasciata. In fondo, l’ha promesso. Ma come?

Il presidente Joe Biden ha già minacciato che se saranno attaccate basi, ambasciate, cittadini degli Stati Uniti, il suo esercito risponderà. Potrebbe attaccare un “luogo” estero israeliano. Ma probabilmente è questa l’azione che Netanyahu attende per l’escalation. La risposta allora potrebbe arrivare attraverso il Libano, con un attacco nel nord d’Israele. C’è da chiedersi, a questo punto, se Hezbollah sia disposto, su ordine dell’Iran, a rischiare una controffensiva israeliana massiccia: Tel Aviv ha già più volte dimostrato di poter colpire il Libano dal sud al nord, compresa la capitale Beirut, senza subire particolari ritorsioni. Rinforzare e allargare il programma nucleare potrebbe essere, forse, una risposta. Ma non è da escludere che rappresenterebbe, anche questa, una minaccia considerata da Netanyahu “troppo grave”.

Gli Stati Uniti potrebbero dunque ritrovarsi incastrati in una guerra che non vogliono e che neanche i loro avversari desiderano ma che Israele pare deciso a voler provocare. Il “laissez faire” politico e militare accompagnato solo da deboli ed esitanti frasi ammonitive, potrebbe rappresentare l’effetto fatale di una sottovalutazione dell’indipendenza aggressiva di Netanyahu.

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In Cina e Asia – Scambio Xi-Biden: focus su Taiwan, Russia, e tecnologia


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Kim Jong-un complica "l’amicizia senza limiti” tra Cina e Russia


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Il 28 marzo la Russia ha posto il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu decretando lo scioglimento del gruppo di esperti incaricato di monitorare il rispetto delle sanzioni internazionali comminate alla Corea del Nord. La Cina è stata l’unico paese ad astenersi dal voto. Cautela che dimostra la complessità del rapporto con Pyongyang Il 28 marzo la Russia ha posto ...

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Amministrative in Turchia, sconfitta storica per Erdogan


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di Redazione

Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Alle elezioni amministrativedi domenica non solo il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a recuperare il governo delle principali città della Turchia, che aveva perso nel 2019, ma ha subito una cocente sconfitta che potrebbe avere ripercussioni sullo scenario politico generale. Il sostegno per il Partito Giustizia e Diritto (Akp) infatti è precipitato ai minimi storici.

I candidati delle opposizioni guidate dal Partito Repubblicano del Popolo (Chp) hanno mantenuto Istanbul, Ankara, Smirne, Adana e Antalya, le cinque principali città della Turchia, rafforzando il proprio vantaggio sui nazionalisti islamisti di Erdogan.

Mentre nel 2019 il candidato repubblicano Ekrem Imamoglu aveva ottenuto la poltrona di sindaco di Istanbul dovendo però fare i conti con un consiglio comunale dominato dall’Akp e dai suoi alleati di estrema destra, domenica il Chp e i suoi alleati (la destra moderata dell’Iyi Parti) hanno ottenuto la maggioranza in ben 26 dei 39 distretti della metropoli contro i 14 di cinque anni fa.

La netta vittoria di Imamoglu incorona il sindaco di Istanbul a fidante principale del candidato dell’Akp alle prossime elezioni presidenziali; non è chiaro al momento se sarà Erdogan, che alcune settimane fa aveva sibillinamente avvisato che quelle di domenica scorsa sarebbero state le sue “ultime elezioni”.

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Per la prima volta i repubblicani, tradizionalmente forti nelle città del Mediterraneo e dell’Egeo, hanno espugnato anche storiche roccaforti conservatrici e islamiste come Bursa e Adiyaman, nell’Anatolia, nelle aree duramente colpite dal tremendo terremoto del 2023. Le opposizioni hanno conquistato alcuni distretti anche in bastioni della destra islamista e nazionalista come Trabzon e Rize, sulla costa del Mar Nero.

La sconfitta di Erdogan è tale che, considerando il dato generale, il suo partito, per la prima volta dopo decenni, è arrivato dietro ai repubblicani. Mentre il Chp ha ottenuto il 37,7% gli islamo-nazionalisti dell’Akp hanno preso soltanto il 35,4%, uno dei risultati peggiori della sua storia.

Alle urne si è recato, secondo il Consiglio Elettorale del paese, il 78,7% degli aventi diritto, in calo rispetto all’84,6% del 2019 e soprattutto rispetto alle presidenziali del 2023, quando a votare era stato il 90% del corpo elettorale.

Il Partito Giustizia e Diritto ha perso voti verso l’astensione e a favore di altre formazioni politiche sia di destra sia progressiste.
Spicca soprattutto il 6,2% ottenuto dal partito islamico Yenideh Refah (“Nuovo welfare”), fondato nel 2018 dal figlio dello storico leader islamista conservatore Necmettin Erbakan, inizialmente mentore dell’allora giovane e rampante Erdogan. Yenideh Refah ha scalzato l’Akp dai suoi bastioni di Urfa e Yozgat e sottratto molti voti nei distretti più conservatori di Istanbul – come ad esempio Uskudar – consentendo ai repubblicani di scavalcare l’Akp.

Il leader della formazione, Fatih Erbakan, ha attaccato il partito di Erdogan e il governo soprattutto per non aver fatto seguire atti concreti, come l’interruzione dei flussi commerciali con Israele, alle formali condanne emesse da Ankara nei confronti dello “stato ebraico” responsabile del massacro in corso a Gaza.

In alcuni casi l’Akp ha perso voti anche a favore dell’estrema destra nazionalista dell’Mhp (erede dei Lupi Grigi), che stavolta in alcuni distretti ha deciso di presentarsi da solo.

Il partito progressista che rappresenta il movimento curdo per l’autodeterminazione ed alcune formazioni turche ecologiste e di sinistra, il DEM, ha ottenuto un buon risultato nella maggior parte dei distretti a maggioranza curda, aumentando il numero dei consensi, dei sindaci e delle province conquistate rispetto al 2019. – Pagine Esteri

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In Cina e Asia – Cina, Xiaomi entra nel mercato di veicoli elettrici


In Cina e Asia – Cina, Xiaomi entra nel mercato di veicoli elettrici xiaomi
Cina, Xiaomi entra nel mercato di veicoli elettrici Pensiero cinese: secondo un accademico troppa enfasi sulle differenze culturali con l’Occidente Cina, le esenzioni dal visto registrano circa 2,95 milioni di viaggiatori in entrata I giovani cinesi cercano le attenzioni dei loro “genitori digitali” Indonesia, Prabowo in Cina e in Giappone per incontri diplomatici India, deroga al principale partito di opposizione ...

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GAZA. Raid aereo uccide 7 operatori umanitari della World Central Kitchen


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AGGIORNAMENTI

ORE 14.30

Netanyahu ammette responsabilità Israele: abbiamo colpito involontariamente operatori Wck

Per il premier israeliano Netanyahu l’uccisione dei sette operatori umanitari della Ong World Central Kitchen sarebbe stato un “tragico caso”. “E’ stato un tragico caso in cui le nostre forze hanno colpito senza intenzione gente innocente”, ha detto, “Questo succede in guerra e apriremo un’indagine. Siamo in contatto con i governi coinvolti e faremo di tutto per assicurare che questo non accada più”.

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della redazione

Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Un bombardamento aereo ha ucciso nella notte 7 operatori umanitari, 6 stranieri e un palestinese, della Ong ispano-americana World Central Kitchen che si occupa della distribuzione di cibo e pasti alla popolazione civile di Gaza. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che il gruppo aveva ricevuto un nuovo carico di cibo lungo la rotta marittima tra Cipro e Gaza (Operazione Safeena).

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Due dei volontari uccisi dal raid aereo

I corpi delle vittime sono stati portati all’ospedale Al Aqsa di Deir Al Balah. Un filmato in rete mostra i corpi di alcuni dei morti che indossano giubbotti antiproiettile con il logo dell’organizzazione benefica. Israele in tarda mattinata ha riconosciuto ufficialmente la sua responsabilità. Il portavoce militare ha comunicato che “sono in corso indagini sul tragico incidente”.

“Questa è una tragedia. Gli operatori umanitari e i civili non dovrebbero mai essere un bersaglio. Mai!”, ha detto in una nota la portavoce della WCK, Linda Roth.

Mahmoud Thabet, un paramedico della Mezzaluna Rossa palestinese che faceva parte della squadra di soccorso che ha portato i corpi all’ospedale, ha detto all’Associated Press che i volontari erano in un convoglio di tre auto che era stato nel nord per organizzare la distribuzione degli aiuti appena arrivati via mare ​​e che stava tornando a Rafah, nel sud. La WCK opera i suoi spostamenti in costante coordinamento con le autorità militari israeliane.

Tre navi umanitarie organizzate dalla WCK e dagli Emirati provenienti da Cipro sono arrivate ieri a Gaza con 400 tonnellate di cibo e generi di prima necessità. Si tratta della seconda spedizione ricevuta dalla Ong, fondata dallo chef Josè Andrès.

“Questa è una tragedia umana che non sarebbe mai dovuta accadere, è del tutto inaccettabile e l’Australia cercherà di assumersi le proprie responsabilità”, ha commentato il primo ministro australiano Anthony Albanese in una conferenza stampa. Albanese ha affermato che i civili innocenti e coloro che svolgono attività umanitaria devono essere protetti e ha ribadito la sua richiesta per un cessate il fuoco a Gaza insieme a maggiori aiuti per coloro che soffrono di “enormi privazioni”.

Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di indagare rapidamente sull’accaduto. Pagine Esteri

Leggi il comunicato diffuso dalla World Central Kitchen

wck.org/news/gaza-team-update

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GAZA. Raid aereo uccide 7 operatori umanitari, tra cui 4 stranieri, della World Central Kitchen


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della redazione

Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Un bombardamento aereo ha ucciso nella notte 7 operatori umanitari, tra cui 4 stranieri, della Ong ispano-americana World Central Kitchen che si occupa della distribuzione di cibo e pasti alla popolazione civile di Gaza. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che il gruppo aveva ricevuto un nuovo carico di cibo lungo la rotta marittima tra Cipro e Gaza (Operazione Safeena).

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Due dei volontari uccisi dal raid aereo

I corpi delle vittime sono stati portati all’ospedale Al Aqsa di Deir Al Balah. Un filmato in rete mostra i corpi di alcuni dei morti che indossano giubbotti antiproiettile con il logo dell’organizzazione benefica. Tra di essi ci sono un polacco, un britannico, una australiana, e uno con doppia cittadinanza canadese e statunitese. Israele non ha ancora riconosciuto ufficialmente la sua responsabilità. Il portavoce militare ha comunicato che “sono in corso indagini sul tragico incidente”.

“Questa è una tragedia. Gli operatori umanitari e i civili non dovrebbero mai essere un bersaglio. Mai!”, ha detto in una nota la portavoce della WCK, Linda Roth.

Mahmoud Thabet, un paramedico della Mezzaluna Rossa palestinese che faceva parte della squadra di soccorso che ha portato i corpi all’ospedale, ha detto all’Associated Press che i volontari erano in un convoglio di tre auto che era stato nel nord per organizzare la distribuzione degli aiuti appena arrivati via mare ​​e che stava tornando a Rafah, nel sud. La WCK opera i suoi spostamenti in costante coordinamento con le autorità militari israeliane.

Tre navi umanitarie organizzate dalla WCK e dagli Emirati provenienti da Cipro sono arrivate ieri a Gaza con 400 tonnellate di cibo e generi di prima necessità. Si tratta della seconda spedizione ricevuta dalla Ong, fondata dallo chef Josè Andrès.

“Questa è una tragedia umana che non sarebbe mai dovuta accadere, è del tutto inaccettabile e l’Australia cercherà di assumersi le proprie responsabilità”, ha commentato il primo ministro australiano Anthony Albanese in una conferenza stampa. Albanese ha affermato che i civili innocenti e coloro che svolgono attività umanitaria devono essere protetti e ha ribadito la sua richiesta per un cessate il fuoco a Gaza insieme a maggiori aiuti per coloro che soffrono di “enormi privazioni”.

Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di indagare rapidamente sull’accaduto. Pagine Esteri

Leggi il comunicato diffuso dalla World Central Kitchen

wck.org/news/gaza-team-update

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GAZA. Raid aereo israeliano uccide 4 volontari internazionali e un palestinese della Ong World Central Kitchen


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della redazione

Pagine Esteri, 2 aprile 2024 – Un bombardamento aereo ha ucciso nella notte 4 volontari internazionali e un palestinese della Ong ispano-americana World Central Kitchen che si occupa della distribuzione di cibo e pasti alla popolazione civile di Gaza. L’attacco è avvenuto poche ore dopo che il gruppo aveva ricevuto un nuovo carico di cibo lungo la rotta marittima tra Cipro e Gaza (Operazione Safeena).

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Due dei volontari uccisi dal raid aereo

I corpi delle vittime sono stati portati all’ospedale Al Aqsa di Deir Al Balah. Un filmato in rete mostra i corpi dei cinque morti, alcuni dei quali indossano giubbotti antiproiettile con il logo dell’organizzazione benefica. Tra di essi ci sono un polacco, un britannico e una australiana. Israele non ha ancora riconosciuto la sua responsabilità. Il portavoce militare ha comunicato che “sono in corso indagini sul tragico incidente”.

“Questa è una tragedia. Gli operatori umanitari e i civili non dovrebbero mai essere un bersaglio. Mai!”, ha detto in una nota la portavoce della WCK, Linda Roth.

Mahmoud Thabet, un paramedico della Mezzaluna Rossa palestinese che faceva parte della squadra di soccorso che ha portato i corpi all’ospedale, ha detto all’Associated Press che i volontari erano in un convoglio di tre auto che era stato nel nord per organizzare la distribuzione degli aiuti appena arrivati via mare ​​e che stava tornando a Rafah, nel sud. La WCK opera i suoi spostamenti in costante coordinamento con le autorità militari israeliane.

Tre navi umanitarie organizzate dalla WCK e dagli Emirati provenienti da Cipro sono arrivate ieri a Gaza con 400 tonnellate di cibo e generi di prima necessità. Si tratta della seconda spedizione ricevuta dalla Ong, fondata dallo chef Josè Andrès.

“Questa è una tragedia umana che non sarebbe mai dovuta accadere, è del tutto inaccettabile e l’Australia cercherà di assumersi le proprie responsabilità”, ha commentato il primo ministro australiano Anthony Albanese in una conferenza stampa. Albanese ha affermato che i civili innocenti e coloro che svolgono attività umanitaria devono essere protetti e ha ribadito la sua richiesta per un cessate il fuoco a Gaza insieme a maggiori aiuti per coloro che soffrono di “enormi privazioni”.

Gli Stati Uniti hanno chiesto a Israele di indagare rapidamente sull’accaduto. Pagine Esteri

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Taiwan Files – Ma Ying-jeou a Pechino: verso l’incontro con Xi Jinping


Taiwan Files – Ma Ying-jeou a Pechino: verso l’incontro con Xi Jinping 14150350
Il viaggio dell'ex presidente taiwanese nella Repubblica popolare. Le due sessioni viste da Taipei. Tsmc apre in Giappone. I giovani taiwanesi. Cinesi continentali a Taiwan. E tante altre notizie. La rassegna di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

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GAZA. Israele si ritira dallo Shifa. L’ospedale è distrutto, cadaveri ovunque


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della redazione

Pagine Esteri, 1 aprile 2024 – Il ministero della Sanità di Gaza riferisce oggi che l’esercito israeliano ha ritirato carri armati e veicoli blindati dall’ospedale Shifa rimasto circondato e occupato dai militari per due settimane. Aggiunge che decine di corpi sono stati trovati dentro e intorno alla struttura ospedaliera. Israele non ha ancora confermato ufficialmente il ritiro.

“Decine di corpi, alcuni dei quali in decomposizione, sono stati recuperati all’interno e nei dintorni del complesso medico”, afferma il ministero in un comunicato. L’esercito israeliano aggiunge, “si è ritirato dopo aver bruciato vari edifici dell’ospedale e averlo messo completamente fuori servizio. La portata della distruzione all’interno del complesso e degli edifici circostanti è molto grande”.

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Un medico ha riferito questa mattina che sono stati recuperati più di 20 corpi e che alcuni erano stati schiacciati dai veicoli in ritirata. Ieri il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva detto che 21 pazienti dello Shifa sono stati uccisi, 107 rimangono in ospedale, tra cui quattro bambini. Ghebreyesus, ha riferito anche che un attacco aereo israeliano ieri ha colpito “una tendopoli” all’interno del complesso dell’ospedale di al-Aqsa di Deir Al Balah uccidendo quattro persone e ferendone 17. Israele sostiene invece di aver “colpito un centro di comando operativo del Jihad islami”.

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L’ospedale Shifa oggi e prima del 7 ottobre

Con centinaia di migliaia di abitanti di Gaza sfollati a causa della guerra, centinaia di famiglie avevano cercato rifugio nel cortile e dentro l’ospedale Shifa prima dell’attacco cominciato il 18 marzo e inizialmente descritto da Israele come un’operazione “mirata” contro militanti di Hamas e Jihad che “avevano stabilito una loro base operativa nello Shifa”. Almeno 200 di questi, secondo il portavoce militare, sarebbero stati uccisi, altre centinaia arrestati. Le truppe israeliane avevano fatto irruzione per la prima volta allo Shifa a novembre.

Anche oggi si sono registrati attacchi aerei con vittime in varie zone di Gaza, mentre i combattimenti infuriano in diversi punti critici a sud come a nord del territorio. Almeno 60 palestinesi sono stati uccisi durante la notte secondo i dati riferiti dal ministero della Sanità. L’offensiva israeliana cominciata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud dello Stato ebraico (1.200 israeliani civili e militari morti e circa 250 presi in ostaggio, 130 dei quali ancora a Gaza), ha ucciso almeno 32.782 palestinesi, per lo più donne e bambini. I dispersi sono migliaia.

L’offensiva israeliana ha devastato gran parte di Gaza, comprese diverse strutture sanitarie, e gettato sull’orlo della carestia la popolazione civile palestinese. Una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 25 marzo ha chiesto un “cessate il fuoco immediato” e il rilascio di tutti gli ostaggi ma non è stata rispettata. Pagine Esteri

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L’Altra Asia – Come sta lo Sri Lanka, a quasi due anni dal default


L’Altra Asia – Come sta lo Sri Lanka, a quasi due anni dal default Sri Lanka Rajapaksa default
Sono passati quasi due anni da quando lo Sri Lanka è andato in default, a maggio del 2022. Il paese è in ripresa ma gran parte della popolazione vive ancora in condizioni drammatiche.

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Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza


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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 30 marzo 2024. Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.

Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.

Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.

Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali sono forza e vastità della deflagrazione piuttosto che precisione nel colpire il bersaglio.

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Foto aerea di una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.

I 25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.

La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.

Ma non sono democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia. E che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv.

Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.

La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.

In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.

Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.

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Forze di interposizione ONU presenti in Libano

Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri

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Gli USA inviano altre armi a Israele: più di 2.000 bombe da sganciare su Gaza


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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 30 marzo 2024. Fonti di sicurezza americane hanno rivelato al Washington Post che negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha segretamente autorizzato il trasferimento a Israele di oltre 2.000 bombe e 25 aerei da guerra per miliardi di dollari.

Nonostante gli Stati Uniti critichino il modo in cui Netanyahu sta gestendo la guerra a Gaza e si dicano preoccupati per un attacco su larga scala a Rafah, dove la maggior parte della popolazione palestinese è rifugiata, il sostegno armato non viene assolutamente messo in discussione. Secondo rivelazioni pubblicate a marzo, dal 7 ottobre gli USA hanno inviato 100 carichi di armi a Tel Aviv.

Su richiesta di Biden, alcuni funzionari di sicurezza israeliani avrebbero dovuto recarsi alla Casa Bianca ad ascoltare le proposte americane per limitare il numero dei morti civili. Ma Netanyahu ha annullato la visita in seguito alla decisione degli Stati Uniti di astenersi e non porre il veto sulla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco temporaneo a Gaza e il rilascio di ostaggi, senza subordinare la prima istanza alla seconda.

Washington consegnerà 1.800 bombe MK84 da 900 chilogrammi, e 500 bombe MK82 da 225 chilogrammi. Si tratta di armi con una potenza tale da demolire interi isolati e che non vengono più, di norma, utilizzate dagli eserciti su strutture civili o in contesti densamente abitati. Tuttavia, Israele ne ha fatto largo uso sulla Striscia, come nel caso dell’attacco al campo profughi di Jabalya, lo scorso 31 ottobre, che uccise circa 100 persone. Gli Stati Uniti hanno sganciato numerose MK84 durante la guerra del Vietnam e durante l’attacco all’Iraq del 1991, nell’operazione da loro denominata “Desert Storm”. Si tratta di ordigni utilizzati quando gli obiettivi principali sono forza e vastità della deflagrazione piuttosto che precisione nel colpire il bersaglio.

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Foto aerea di una bomba M84 sganciata in Vietnam nel 1972

Dal 7 ottobre l’esercito israeliano ha sganciato 70.000 tonnellate di esplosivo su Gaza, utilizzando armi fornite principalmente da Stati Uniti e Germania.

I 25 caccia F-35A che Washington ha trasferito la scorsa settimana a Tel Aviv hanno un valore di 2,5 miliardi di dollari.

La risposta ufficiale dell’amministrazione USA è che l’accordo di fornitura era stato approvato prima della guerra e che per questo non richiedeva notifica pubblica. Lo stesso varrebbe per il nuovo pacchetto di 2.300 bombe.

Ma non sono democratici, compresi alcuni alleati del presidente Biden, ritengono che il governo degli Stati Uniti abbia la responsabilità di non consegnare armi fin quando Israele non si impegnerà seriamente a limitare le vittime civili e a far entrare aiuti a Gaza assediata sull’orlo della carestia. E che chiedono maggiore trasparenza e condivisione nelle decisioni sul sostegno militare a Tel Aviv.

Il senatore statunitense Bernie Sanders ha commentato la notizia criticando l’amministrazione Biden: “Non possiamo dire a Netanyahu di smetterla di bombardare civili e il giorno dopo mandargli migliaia di bombe”.

La notizia dell’invio segue una visita a Washington del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, durante la quale ha chiesto all’amministrazione Biden di accelerare la consegna di armi.

In 175 giorni nella Striscia di Gaza sono state uccise 32.600 persone, di cui 8.850 donne e 13.800 bambini.

Questa mattina a Rmeish, nel sud del Libano, è stato colpito un veicolo delle Nazioni Unite appartenente all’UNIFIL, la forza di interposizione ONU. L’esplosione ha causato almeno quattro feriti. Israele nega di aver effettuato il raid. All’inizio del mese, tuttavia, un drone israeliano ha colpito e distrutto un veicolo proprio nell’area di Naqoura, non lontano da Rmeish, uccidendo 3 persone.

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Forze di interposizione ONU presenti in Libano

Sempre a Naqoura, alla fine di ottobre un missile aveva colpito la base militare dell’UNIFIL, senza causare vittime, come nel mese di novembre, quando i colpi di Israele hanno raggiunto invece una delle pattuglie ONU. All’inizio di marzo l’UNIFIL ha presentato la relazione finale dell’inchiesta sull’uccisione in Libano, nell’ottobre 2023, del giornalista di Reuters Issa Abdallah. Il report denuncia la volontà israeliana di colpire deliberatamente i civili presenti lungo il confine, chiaramente identificabili come giornalisti. L’Italia è presente in Libano con un contingente di circa 1.000 soldati. L’UNIFIL è composta da circa 10.000 militari provenienti da 49 diversi Paesi. Pagine Esteri

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In Cina e Asia – Forum Boao, il numero 3 del Pcc: "No al confronto tra blocchi”


In Cina e Asia – Forum Boao, il numero 3 del Pcc: boao forum
Forum Boao, il numero 3 del Pcc chiede ai paesi asiatici di opporsi al "confronto tra blocchi"
Fidato di Xi a capo della Commissione per il cyberspazio cinese
Cina, scienziati progettano missile terra-aria con un raggio d'azione di 2.000 km
Cina, continua a crescere il settore dei video brevi e del live streaming
Nazioni Unite, veto della Russia sul rinnovo del monitoraggio sulle sanzioni alla Corea del Nord
Indonesia, Giacarta resterà il centro economico del paese anche quando la capitale verrà trasferita a Nusantara

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Tibetani protestano contro la costruzione di una nuova diga


Tibetani protestano contro la costruzione di una nuova diga tibetani diga
Tutto è cominciato il 14 febbraio, quando almeno 300 tibetani hanno protestato pacificamente davanti agli edifici governativi della contea di Dege chiedendo di sospendere la costruzione della diga Pianti di sottofondo e monaci prostrati mentre la polizia si fa largo tra la folla. Sono alcune delle immagini delle proteste andate in scena lo scorso mese nella provincia cinese del Sichuan, ...

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Ecuador: forti tensioni nella regione del Cotopaxi tra i militari e comunità indigene


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di Davide Matrone

Pagine Esteri, 28 marzo 2024 – Nelle comunità di Palo Quemado e Las Pampas, situate nella regione del Cotopaxi in piena cordigliera delle Ande dell’Ecuador, da circa dieci giorni si registrano forti tensioni tra l’esercito e la popolazione indigena e contadina.

Il punto di conflitto è la concessione governativa alla multinazionale canadese Atico Mining di avviare l’estrazione di minerali nel territorio in base al progetto denominato La Plata. Lo scorso 5 marzo tra il governo dell’Ecuador, rappresentato dal Ministero di Produzione e dal Ministero di Energia e Miniere dell’Ecuador, ed esponenti della controparte canadese si è siglato l’accordo per procedere all’attuazione del progetto minero nella zona cantonale di Sigchos dove si trovano le comunità di Palo Quemado e Las Pampas. L’impresa canadese ha investito 100 milioni di dollari statunitensi per iniziare e completare l’opera.

Dalla settimana del 18 marzo, però si sono intensificati gli scontri tra l’esercito e la popolazione locale che si rifiuta in modo categorico l’esecuzione del progetto all’interno dei propri terreni, sebbene lo stesso progetto garantisca l’occupazione a centinania di persone del territorio. Tra le organizzazioni ad opporsi, inoltre, c’è la CONAIE ed il Fronte Nazionale Antimineria che molbitano da giorni le popolazioni della zona.

Nella stessa settimana si sono susseguite una serie di giornate di dure proteste durante le quali ci sono stati anche 70 arresti tra gli abitanti delle comunità indigene che difendono i loro territori, le loro case e le loro risorse. I 70 arrestati oggi rischiano pene severe nella congiuntura politica e ideologica del paese nel quale si torna ad applicare la dottrina di sicurezza nazionale 2.0 dove la lotta al terrorismo è il leit motiv per reprimere duramente qualsiasi forma di protesta che critichi l’applicazione delle politiche economiche neoliberiste. Non è casuale appunto che i 70 arrestati sono accusati di delitto di terrorismo.

Nelle giornata del 26 e 27 marzo, si sono tenute delle mobilitazioni nella capitale Quito con la partecipazione di una rappresentanza delle comunità in conflitto, di cittadini, di attivisiti e militanti di alcuni collettivi ambientalisti del paese. Il sit – in si è realizzato all’esterno dell’ambasciata canadese con la presenza, inoltre, di Leonidas Iza, presidente della Conaie (Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador) e all’esterno del Ministero dell’Ambiente.

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Nel frattempo non si fermano gli scontri tra i reparti dell’esercito e la popolazione locale. Nella giornata di ieri veniva ferito gravemente Mesias Robayo Mesapanta che oggi si trova in coma ricoverato in un ospedale di Quito.

Nella nottata di ieri c’è stato un pronunciamento pubblico e ufficiale della Conaie che attraverso il suo lider ha dichiatato che il Presidente Noboa deve fermare le aggressioni contro la popolazione. L’Ecuador non è un’impresa. Bisogna, inoltre, far rispettare i diritti costituzionali e la Consulta sull’ambiente che sono principi democratici basici adottati dalla popolazione ecuadoriana. Intanto con rispetto alla Consulta ambientale locale, che doveva svolgersi nella giornata di ieri mercoledí 27 per chiedere il parere della popolazione locale, un giudice del comune di Sigchos, ha ordinato la sospensione della stessa consulta nella comunità di Palo Quemado. Inoltre, nella medesima risoluzione ha disposto il ripiegamento del personale miltare e della polizia nella zona per diminuire le tensioni.

Tuttavia queste ultime sembrano non placarsi dopo le dichiarazioni del Presidente della Repubblica che ha dichiarato: “Non permetteremo che un gruppo di persone arretrate fermi lo sviluppo del paese”. Pagine Esteri

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In Cina e Asia – Xi chiede ai Paesi Bassi di non frenare il progresso nel settore dei chip


In Cina e Asia – Xi chiede ai Paesi Bassi di non frenare il progresso nel settore dei chip semiconduttori
I titoli di oggi: Xi chiede ai Paesi Bassi di non frenare il progresso nel settore dei chip Pechino rimuove le tariffe sul vino australiano La Cina non ha usato 50 miliardi di dollari in finanziamenti infrastrutturali della Bri Cina e Russia contestano le pretese degli Usa sulle profondità oceaniche Mumbai ha più miliardari di Pechino Il progresso tecnologico della ...

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L’UE aumenta le spese militari, ma non basta: “spendere di più e meglio”


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di Redazione

Pagine Esteri, 27 marzo 2024 – Non solo l’Unione Europea aumenta a dismisura le spese militari, ma i suoi dirigenti non perdono occasione per rivendicare decisioni che accelerano lo scontro bellico e sottraggono risorse alla spesa sociale. Negli ultimi mesi alcuni governi – ad esempio quelli della Spagna, della Danimarca, della Poloniae della Germania – hanno imposto incrementi record delle spese militari sfruttando il timore generato nelle opinioni pubbliche dall’invasione russa dell’Ucraina

Come se non bastasse, dopo la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, anche l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, il catalano Josep Borrell, chiede un ulteriore espansione del budget comunitario della difesa.
«Gli Stati membri dell’Ue stanno già spendendo molto di più per la difesa, con un aumento del 40% del bilancio della difesa negli ultimi dieci anni e un balzo di 50 miliardi di euro tra il 2022 e il 2023. Tuttavia, i 290 miliardi di euro di bilancio per la difesa dell’Ue nel 2023 rappresentano solo l’1,7% del nostro Pil secondo il parametro del 2% della Nato» ha scritto Borrell sul suo blog. E poi ha aggiunto: «Dobbiamo spendere di più ma anche meglio, e meglio significa insieme».

«Nel 2022, gli eserciti europei hanno investito 58 miliardi in nuove attrezzature. Per il quarto anno consecutivo, si è superato il parametro del 20% delle spese per la difesa. Tuttavia, solo il 18% di questi investimenti sono attualmente effettuati in modo collaborativo, molto al di sotto del parametro del 35% fissato dagli stessi Stati membri dell’Ue nel 2007. Dall’inizio della guerra di aggressione russa, il 78% delle attrezzature acquistate dagli eserciti dell’Ue proveniva da Paesi terzi. Siamo in ritardo anche negli investimenti in Ricerca e Sviluppo» ha evidenziato il capo della diplomazia europea, bacchettando implicitamente quei paesi che oppongono ancora resistenze a centralizzare la gestione dell’acquisto di armi.

Borrell ha ribadito quanto già spiegato nei giorni scorsi dalla vicepresidente della Commissione Europea, Margrethe Vestager: «La nostra spesa per la difesa è destinata a troppi sistemi d’arma, acquistati principalmente al di fuori dell’Unione europea. Ora che i bilanci della difesa di tutti gli Stati membri sono in forte aumento, dobbiamo iniziare a investire meglio, il che significa soprattutto investire insieme e investire in Europa».

Proprio per “spendere meglio” e cercare di ridurre le importazioni extra-europee, lo scorso 5 marzo la Commissione Europea ha presentato un nuovo progetto militare-industriale continentale. L’obiettivo è quello di promuovere la cooperazione tra le aziende del “settore difesa”, facilitando gli acquisti in comune di sistemi d’arma e tecnologie belliche.

I Ventisette paesi membri dell’Ue producono attualmente ben 17 modelli diversi di carri armati, 29 modelli di fregate, 20 modelli di caccia ecc. Inoltre negli ultimi anni è aumentata la dipendenza europea dalle armi prodotte dagli Stati Uniti: se nel 2021 l’Ue comprava da Washington sistemi bellici per 15,5 miliardi di dollari l’anno seguente la cifra è cresciuta fino a 28 miliardi, e nel 2023 la spesa è ulteriormente cresciuta.

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Josep Borrell e Ursula von der Leyen

Il progetto della Commissione Europea si basa sostanzialmente su due programmi varati nel 2023, noti con gli acronimi EDIRPA e ASAP. Il primo promuove gli acquisti in comune; il secondo invece mira a incrementare la produzione di munizioni.

Per coordinare i progetti, è prevista la creazione di un organismo incaricato di gestire la collaborazione tra i paesi membri, denominato “Defense Industrial Readiness Board”.

La Commissione Europea si propone di incrementare il commercio intraeuropeo di armi fino a portarlo, entro il 2030, al 35% del valore complessivo del mercato continentale. Inoltre, sempre per quella data, si punta a far crescere gli appalti europei fino al 50% del totale.

Per ora i fondi messi a disposizione per sostenere l’apparato militare industriale europeo non sono ingentissimi: per ora sono stati messi a disposizione 1,5 miliardi di euro tra il 2025 e il 2027. Ma ulteriori finanziamenti potranno essere ottenuti sfruttando l’articolo 212 dei Trattati Europei, gli stanziamenti decisi dai singoli stati – che possono far ricorso a sussidi e sconti fiscali – e quelli del Fondo Europeo di Difesa. Per racimolare nuovi fondi, alcuni ambienti hanno proposto la creazione di Eurobond ad hoc, ma la proposta ha generato alcune perplessità.

Le spese militari stanno crescendo in tutto il mondo in maniera sfrenata. Nel 2022 le spese militari mondiali hanno raggiunto i 2240 miliardi di dollari, un livello mai raggiunto neppure ai tempi della Guerra Fredda. A guidare la classifica sono gli Stati Uniti, seguiti dalla Cina, dalla Russia, dall’India e dall’Arabia Saudita. Washington spende il 39% del totale mondiale, la NATOil 55%, l’UE il 12%, la Cina il 13%, la Russia il 4%.

Nel 2023 l’Italia ha speso circa 28 miliardi euro, con un aumento rispetto all’anno precedente in linea con la tendenza inaugurata a partire dal 2016. Pagine Esteri

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Israele attacca centro medico in Libano e uccide 7 persone. La risposta di Hezbollah causa una vittima


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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 27 marzo 2024. Il confronto armato tra Israele e Hezbollah, in Libano, subisce una nuova, pericolosa accelerazione. Martedì Israele ha colpito la zona più settentrionale del Libano dall’inizio della guerra. A 100 chilometri dal confine, nella città di Zaboud, nella zona orientale della Valle della Beqaa. L’esercito israeliano afferma di aver colpito un complesso militare contenente diverse piattaforme per il lancio dei droni.

Lo stesso giorno Hezbollah aveva attaccato la base aerea sul monte Meron, poco all’interno del confine israeliano. Si tratta di un presidio utilizzato dall’esercito per monitorare lo spazio aereo che, sempre secondo le forze armate, non ha subito danni significativi.

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In Cina e Asia – Xi accoglie gli imprenditori americani


In Cina e Asia – Xi accoglie gli imprenditori americani xi imprenditori
I titoli di oggi: Xi accoglie gli imprenditori americani La Cina denuncia gli Usa all’OMC: “Sussidi discriminatori” Cina, condannati dirigenti sportivi accusati di corruzione Pakistan, ancora attacchi intorno ad asset cinesi Thailandia verso l’approvazione del matrimonio gay Malaysia, i figli di Mahatir confermano giro di indagini sul padre Il presidente cinese, Xi Jinping, ha ricevuto oggi dirigenti e accademici dagli ...

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In Cina e Asia – Regno Unito, Usa e Nuova Zelanda accusano hacker cinesi di attacchi informatici


In Cina e Asia – Regno Unito, Usa e Nuova Zelanda accusano hacker cinesi di attacchi informatici hacker cinesi
Regno Unito, Usa e Nuova Zelanda accusano hacker cinesi di attacchi informatici
China Development Forum: Pechino invita investitori stranieri, ma serve reciprocità
Cina: funzionari di Sri Lanka e Nepal in visita nel paese per “rafforzare i legami”
I giovani cinesi vanno a lavoro in pantofole
L'appello di Pechino alla diaspora cinese in giro per il mondo

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Il Niger: «via le truppe USA». Washington prova a trattare


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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 26 marzo 2024 – Desta profonda apprensione a Washington la decisione della giunta militare del Nigerdi chiedere che le truppe statunitensi presenti nel paese lo abbandonino quanto prima.

Dopo la cacciata delle truppe francesi e la rottura degli accordi con l’Unione Europea, in un messaggio trasmesso il 16 marzo dalla tv pubblica “Rtn” il colonnello Amadou Abdramane – portavoce del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, insediato dopo il colpo di stato del 26 luglio scorso – ha infatti annunciato la sospensione, «con effetto immediato», della cooperazione militare con gli Stati Uniti. Il portavoce ha definito la presenza militare statunitense “illegale” e “incostituzionale” in quanto basata su un accordo illegittimo, «imposto unilateralmente dagli Stati Uniti tramite una semplice nota verbale» il 6 luglio 2012.

“Ingerenze intollerabili”
La decisione è probabilmente maturata da mesi, ma le autorità di Niamey la giustificano anche come una reazione alle intromissioni di Washington nei suoi affari interni.

Durante una recente visita nel paese di una delegazione statunitense guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari Africani, accompagnata dal generale Michael Langley, comandante del Comando Usa per l’Africa (Africom), i rappresentanti statunitensi avrebbero minacciato ritorsioni contro Niamey criticando la scelta della giunta golpista di vendere uranio all’Iran e di intrattenere relazioni economiche e militari sempre più privilegiata con Russia e Cina. La tensione era così alta che il generale Abdourahamane Tchiani, a capo della giunta golpista, si è rifiutato di ricevere la delegazione.

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Amadou Abdramane

Un duro colpo per Washington
La richiesta di un ritiro completo della propria presenza militare in Niger rappresenta un duro colpo per lo schieramento strategico di Washington nel Sahel, giustificato con la necessità di contrastare il terrorismo jihadista e diretto a frenare l’espansione dell’influenza di Mosca e Pechino nella regione.

Da anni Niamey è al centro delle operazioni statunitensi nell’Africa occidentale e settentrionale, e attualmente nel paese sono dispiegati tra i 650 e i 900 effettivi, dopo il ridimensionamento del contingente deciso a settembre in seguito al golpe.

L’esercito statunitense gestisce nel paese un’importante base aerea (la Base 201, ristrutturata recentemente con una spesa di 100 milioni di dollari) ad Agadez, 920 chilometri a nord-est della capitale Niamey, utilizzata dal 2018 per colpire i combattenti dello Stato islamico e del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad al Qaeda. Nella base sono dispiegati due ricognitori, due elicotteri e una decina di droni che permettono all’Africom di controllare l’intero Sahel e la Libia.

La Cedeao ritira le sanzioni
Per evitare di dover abbandonare il paese recentemente la Casa Biancasi era mostrata conciliante con i golpisti. A dicembre l’inviato Usa in Africa aveva affermato che Washington era disponibile a ripristinare gli aiuti finanziari sospesi dopo la deposizione del presidente Mohamed Bazoum.

Inoltre alla fine di febbraio la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Cedeao), che inizialmente aveva iniziato a discutere la possibilità di un intervento militare contro Niamey per “ripristinare la legalità”, ha invece deciso di revocare la maggior parte delle sanzioni commerciali ed economiche imposte al Mali e al Niger (che nel frattempo hanno annunciato di voler abbandonare l’organismo regionale entro il 2025) dopo i rispettivi colpi di stato.

Recentemente la Nigeria si è assicurata un finanziamento di 1,3 miliardi di dollari per completare un progetto ferroviario che collegherà Kano, la più grande città del nord del Paese, a Maradi, in Niger. L’85% dei fondi necessari sarà fornito da un consorzio guidato dalla China Civil Engineering Construction Company (Ccecc), mentre il restante 15% sarà coperto dal governo nigeriano, dall’Africa Export-Import Bank e dalla Banca africana di sviluppo (Afdb).

Il Niger ha già rotto con Francia e Ue
Le mosse di Washington e della Cedeao, però, non sembrano essere servite a molto.
Dopo le richieste della giunta e consistenti manifestazioni popolari, lo scorso 24 settembre il presidente Macron aveva dovuto annunciare il ritiro del continente militare francese presente in Niger, completato poi il 22 dicembre. Un duro colpo per Parigi, che dal 2015 dispiegava in Niger ben 1500 soldati impegnati nel contrasto alle organizzazioni jihadiste.

In seguito, a dicembre, i golpisti hanno sospeso gli accordi di difesa e sicurezza con Bruxelles, revocando in particolare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attivata nel 2012. La giunta ha anche ritirato il consenso al dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue (Eumpm).

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Proteste antifrancesi in Niger

Washington prova a negoziare
Ora la Casa Bianca cerca di negoziare con la giunta nigerina nel tentativo di mantenere un minimo di presenza militare nel paese. «Stiamo lavorando per trovare il modo di far rimanere le truppe statunitensi nel paese» ha spiegato nel corso di una conferenza stampa la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh, che si è detta preoccupata per i crescenti legami di Niamey con Russia e Iran. Anche il vice portavoce del dipartimento di Stato, Vedant Patel, ha raccontato di essere in contatto con il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria per convincerlo a tornare sui suoi passi.

«Questo è il fianco meridionale della Nato. Dobbiamo essere in grado di mantenere l’accesso e l’influenza in tutto il Maghreb, dal Marocco alla Libia» ha detto il generale Langley, sottolineando che nel continente Russia e Cina stanno perseguendo strategie a lungo termine, «cercando di conquistare l’Africa centrale e il Sahel».

La Russia si rafforza
In effetti i legami tra Mosca e altri paesi del Sahel sono sempre più consolidati, soprattutto con il Mali e il Burkina Faso, anch’essi guidati da giunte militari insediate in seguito ad altrettanti golpe.

In Burkina Faso la Federazione Russa ha già schierato centinaia di militari dell’Africa Corps – l’entità che ha preso il posto della Compagnia militare privata “Wagner” dopo la morte di Yevgeny Prigozhin – mentre un migliaio di combattenti russi sta supportando l’esercito del Mali contro i jihadisti. Inoltre a novembre i golpisti di Bamako hanno firmato un accordo con Mosca che include la realizzazione di una raffineria d’oro.

Con i due paesi dell’area il Niger sta costruendo un’alleanza regionale di tipo militare ed economico– si parla addirittura del varo di una moneta unica – ed a dicembre a Niamey è arrivato il viceministro della Difesa russo, Junus-bek Yevkurov, che con la giunta locale ha firmato un accordo di cooperazione militare.

Rimangono gli italiani
Se dovesse essere confermata la partenza delle truppe di Washington, nel paese resterebbe solo il contingente italiano inviato in Niger nell’ambito della “Missione bilaterale di supporto” (Misin). La missione italiana conta attualmente su 350 militari e 13 mezzi terrestri e la sua area di intervento si estende fino alla Mauritania, alla Nigeria e al Benin. Il contingente è dislocato dal giugno del 2022 in un’area all’interno dell’aeroporto di Niamey ed ora, ammesso che la giunta nigerina non cacci anche il Misin resterebbe l’unica forza militare occidentale nel paese.

Per ora i rapporti con i golpisti sarebbero ottimi: il 9 marzo una delegazione italiana guidata dal generale Figliuolo e dal segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, ha concordato il riavvio dei corsi formativi a favore dell’esercito e della polizia nigerini.

Intanto l’insorgenza jihadista continua a colpire duramente. Venerdì scorso 23 militari di Niamey sono stati uccisi nel corso di un’imboscata, poi rivendicata dallo Stato Islamico, avvenuta nelle regioni occidentali del paese, vicino al confine con il Burkina Faso e il Mali. Pagine Esteri

13942299* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria

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GAZA. Sotto assedio altri due ospedali. Israele vieta all’Unrwa la distribuzione degli aiuti al Nord


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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 25 marzo 2024 – Mentre continua la pesante incursione dell’esercito israeliano nell’ospedale Shifa di Gaza city – dove Tel Aviv afferma di aver ucciso circa 200 combattenti e dirigenti di Hamas e Jihad islami e di averne catturato altre centinaia, invece i palestinesi denunciano l’uccisione e il ferimento di numerosi civili all’interno del complesso ospedaliero -, altri due ospedali della Striscia, il Nasser e l’Amal di Khan Yunis, sono finiti di nuovo sotto assedio. La Mezzaluna Rossa inoltre denuncia che le forze israeliane bloccano i movimenti delle sue squadre mediche con colpi di arma da fuoco e che uno dei suoi dipendenti è stato ucciso da raffiche di carri armati. “Tutte le nostre squadre sono in estremo pericolo in questo momento e completamente paralizzate”, si legge in un comunicato della Mezzaluna Rossa.

Come per lo Shifa, l’esercito israeliano sostiene che combattenti palestinesi si sarebbero rifugiati all’interno di questi due ospedali. Reparti corazzati hanno circondato l’ospedale di Al-Amal ed effettuato estese operazioni di demolizione nelle sue vicinanze. Le forze israeliane intimano la completa evacuazione del personale, dei pazienti e degli sfollati dai locali dell’Amal e hanno lanciato fumogeni per costringere le persone ad uscire.

Abitanti di Khan Younis hanno aggiunto che le truppe israeliane sono avanzate e hanno circondato l’ospedale Nasser, nella parte occidentale della città, sotto la copertura di un pesante fuoco aereo e terrestre. A Rafah al confine con l’Egitto, l’ultimo rifugio per oltre la metà della popolazione di Gaza, un attacco aereo israeliano su una casa ha ucciso sette persone. Almeno 32.226 palestinesi sono stati uccisi, di cui 84 ​​nelle ultime 24 ore, e 74.518 feriti nell’offensiva aerea e terrestre israeliana dal 7 ottobre.

Intanto la mediazione del Qatar e dell’Egitto, appoggiata dagli Stati Uniti, non è riuscita finora a raggiungere il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi e un aiuto umanitario senza limiti agli oltre due milioni di civili di Gaza che affrontano la carestia. Hamas vuole che qualsiasi accordo di tregua includa l’impegno israeliano a porre fine alla sua offensiva e a ritirare le forze da Gaza. Israele lo ha escluso e afferma che continuerà a combattere finché “Hamas non sarà sradicato come forza politica e militare”.

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La quantità e la distribuzione degli aiuti alimentari a Gaza restano tra i principali problemi. Israele peraltro ha comunicato che non permetterà più all’Unrwa, l’agenzia per i profughi palestinesi, di consegnare il cibo e altri generi di prima necessità nel nord della Striscia. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto la mancata consegna degli aiuti destinati a Gaza come un “oltraggio morale” durante una visita sabato al lato egiziano del valico di frontiera di Rafah. Parlando ieri al Cairo, Guterres ha affermato che l’unico modo efficace ed efficiente per consegnare merci e soddisfare i bisogni umanitari di Gaza è la strada, ossia il trasporto con i camion. Gli Stati Uniti e altri paesi utilizzano lanci aerei e navi per fornire aiuti, ma i funzionari delle Nazioni Unite ripetono che le consegne possono essere aumentate solo via terra e accusano Israele di ostacolare le operazioni umanitarie. Pagine esteri

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GAZA. Sotto assedio altri due ospedali. Israele vieta all’Unrwa la distribuzione degli aiuti al Nord


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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 25 marzo 2024 – Mentre continua la pesante incursione dell’esercito israeliano nell’ospedale Shifa di Gaza city – dove Tel Aviv afferma di aver ucciso circa 200 combattenti e dirigenti di Hamas e Jihad islami e di averne catturato altre centinaia, invece i palestinesi denunciano l’uccisione e il ferimento di numerosi civili all’interno del complesso ospedaliero -, altri due ospedali della Striscia, il Nasser e l’Amal di Khan Yunis, sono finiti di nuovo sotto assedio. La Mezzaluna Rossa inoltre denuncia che le forze israeliane bloccano i movimenti delle sue squadre mediche con colpi di arma da fuoco e che uno dei suoi dipendenti è stato ucciso da raffiche di carri armati. “Tutte le nostre squadre sono in estremo pericolo in questo momento e completamente paralizzate”, si legge in un comunicato della Mezzaluna Rossa.

Come per lo Shifa, l’esercito israeliano sostiene che combattenti palestinesi si sarebbero rifugiati all’interno di questi due ospedali. Reparti corazzati hanno circondato l’ospedale di Al-Amal ed effettuato estese operazioni di demolizione nelle sue vicinanze. Le forze israeliane intimano la completa evacuazione del personale, dei pazienti e degli sfollati dai locali dell’Amal e hanno lanciato fumogeni per costringere le persone ad uscire.

Abitanti di Khan Younis hanno aggiunto che le truppe israeliane sono avanzate e hanno circondato l’ospedale Nasser, nella parte occidentale della città, sotto la copertura di un pesante fuoco aereo e terrestre. A Rafah al confine con l’Egitto, l’ultimo rifugio per oltre la metà della popolazione di Gaza, un attacco aereo israeliano su una casa ha ucciso sette persone. Almeno 32.226 palestinesi sono stati uccisi, di cui 84 ​​nelle ultime 24 ore, e 74.518 feriti nell’offensiva aerea e terrestre israeliana dal 7 ottobre.

Intanto la mediazione del Qatar e dell’Egitto, appoggiata dagli Stati Uniti, non è riuscita finora a raggiungere il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi e un aiuto umanitario senza limiti agli oltre due milioni di civili di Gaza che affrontano la carestia. Hamas vuole che qualsiasi accordo di tregua includa l’impegno israeliano a porre fine alla sua offensiva e a ritirare le forze da Gaza. Israele lo ha escluso e afferma che continuerà a combattere finché “Hamas non sarà sradicato come forza politica e militare”.

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La quantità e la distribuzione degli aiuti alimentari a Gaza restano tra i principali problemi. Israele peraltro ha comunicato che non permetterà più all’Unrwa, l’agenzia per i profughi palestinesi, di consegnare il cibo e altri generi di prima necessità nel nord della Striscia. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto la mancata consegna degli aiuti destinati a Gaza come un “oltraggio morale” durante una visita sabato al lato egiziano del valico di frontiera di Rafah. Parlando ieri al Cairo, Guterres ha affermato che l’unico modo efficace ed efficiente per consegnare merci e soddisfare i bisogni umanitari di Gaza è la strada, ossia il trasporto con i camion. Gli Stati Uniti e altri paesi utilizzano lanci aerei e navi per fornire aiuti, ma i funzionari delle Nazioni Unite ripetono che le consegne possono essere aumentate solo via terra e accusano Israele di ostacolare le operazioni umanitarie. Pagine esteri

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 25 marzo 2024 – Mentre continua la pesante incursione dell’esercito israeliano nell’ospedale Shifa di Gaza city – dove Tel Aviv afferma di aver ucciso circa 200 combattenti e dirigenti di Hamas e Jihad islami e di averne catturato altre centinaia, mentre i palestinesi denunciano l’uccisione e il ferimento di numerosi civili all’interno del complesso ospedaliero -, altri due ospedali della Striscia, il Nasser e l’Amal di Khan Yunis, sono finiti di nuovo sotto assedio. La Mezzaluna Rossa inoltre denuncia che le forze israeliane bloccano i movimenti delle sue squadre mediche con colpi di arma da fuoco e che uno dei suoi dipendenti è stato ucciso da raffiche di carri armati. “Tutte le nostre squadre sono in estremo pericolo in questo momento e completamente paralizzate”, si legge in un comunicato della Mezzaluna Rossa.

Come per lo Shifa, l’esercito israeliano sostiene che combattenti palestinesi si sarebbero rifugiati all’interno di questi due ospedali. Le forze corazzate hanno circondato l’ospedale di Al-Amal ed effettuato estese operazioni di demolizione nelle sue vicinanze. Le forze israeliane intimano la completa evacuazione del personale, dei pazienti e degli sfollati dai locali di Al Amal e hanno lanciato fumogeni per costringere le persone ad uscire.

Abitanti di Khan Younis hanno aggiunto che le truppe israeliane sono avanzate e hanno circondato l’ospedale Nasser, nella parte occidentale della città, sotto la copertura di un pesante fuoco aereo e terrestre. A Rafah al confine con l’Egitto, l’ultimo rifugio per oltre la metà della popolazione di Gaza, un attacco aereo israeliano su una casa ha ucciso sette persone. Almeno 32.226 palestinesi sono stati uccisi, di cui 84 ​​nelle ultime 24 ore, e 74.518 feriti nell’offensiva aerea e terrestre israeliana dal 7 ottobre.

Intanto la mediazione del Qatar e dell’Egitto, appoggiata dagli Stati Uniti, non è riuscita finora a raggiungere il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi e un aiuto umanitario senza limiti agli oltre due milioni di civili di Gaza che affrontano la carestia. Hamas vuole che qualsiasi accordo di tregua includa l’impegno israeliano a porre fine alla sua offensiva e a ritirare le forze da Gaza. Israele lo ha escluso e afferma che continuerà a combattere finché “Hamas non sarà sradicato come forza politica e militare”.

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La quantità e la distribuzione degli aiuti alimentari a Gaza restano tra i principali problemi. Israele peraltro ha comunicato che non permetterà più all’Unrwa, l’agenzia per i profughi palestinesi, di consegnare il cibo e altri generi di prima necessità nel nord della Striscia. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha descritto la mancata consegna degli aiuti destinati a Gaza come un “oltraggio morale” durante una visita sabato al lato egiziano del valico di frontiera di Rafah. Parlando ieri al Cairo, Guterres ha affermato che l’unico modo efficace ed efficiente per consegnare merci e soddisfare i bisogni umanitari di Gaza è la strada, ossia il trasporto con i camion. Gli Stati Uniti e altri paesi utilizzano lanci aerei e navi per fornire aiuti, ma i funzionari delle Nazioni Unite ripetono che le consegne possono essere aumentate solo via terra e accusano Israele di ostacolare le operazioni umanitarie. Pagine esteri

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L’Altra Asia – Gli intrighi di palazzo in Vietnam


L’Altra Asia – Gli intrighi di palazzo in Vietnam Thuong Trong Vietnam
In poco più di un anno in Vietnam si sono dimessi due presidenti, due vicepremier e tre ministri, tutti in nome della lotta alla corruzione. È il segno che sono in corse delle lotte intestine per la segreteria del Partito Comunista.

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In Cina e Asia – China Development Forum, il premier Li promette maggiori aperture


In Cina e Asia – China Development Forum, il premier Li promette maggiori aperture China Development Forum
I titoli di oggi:

China Development Forum, il premier Li Qiang promette maggiore apertura agli investimenti stranieri
Big data, la Cina allenta le misure per avvicinare le aziende estere
Huawei pronta a produrre chip avanzati grazie a un partner "segreto"
Sui social cinesi si discute dell'adattamento Netflix de "Il problema dei tre corpi"
Il premier indiano Modi visita il Bhutan per contrastare l'influenza della Cina
Perù, annunciato nuovo "megaporto", dietrfront sull'esclusiva dei lavori a Cosco

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In Cina e Asia – D’Alema al Forum per la Democrazia cinese: "No al confronto ideologico”


In Cina e Asia – D’Alema al Forum per la Democrazia cinese: d'alema
I titoli di oggi: Cina, al Terzo Forum Internazionale sulla Democrazia presente anche Massimo D’Alema Gruppo di lavoro per la finanza Cina-UE, i primi incontri a Bruxelles Cina, 9 milioni di dollari a sostegno dell’occupazione La Cina ha il “potenziale” per porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia, secondo il ministro degli Esteri ucraino Kuleba Yemen, ok degli Houthi ...

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GAZA. Quarto giorno di assedio israeliano allo Shifa. 8 palestinesi uccisi in Cisgiordania


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di Michele Giorgio

Pagine esteri, 21 marzo 2024 – Si fa sempre più drammatica la situazione dentro e intorno l’ospedale Shifa di Gaza city, rioccupato e circondato dalle forze armate israeliane a inizio settimana. Da Gaza riferiscono di edifici in fiamme all’interno del complesso ospedaliero che, prima dell’offensiva israeliana, era il più attrezzato a disposizione dei 2,3 milioni di abitanti della Striscia.

L’esercito dello Stato ebraico ha distrutto con esplosivi diverse case vicine allo Shifa divenuto una vera e propria zona di guerra, con persone intrappolate nelle loro case a rischio di bombardamenti. Proseguono sporadicamente anche gli scontri a fuoco tra militari israeliani e combattenti palestinesi. “Israele ha mandato i carri armati nel cuore della città di Gaza per distruggere ciò che resta delle sue case e delle sue strade”, ha detto un abitante a un giornalista della Reuters.

Israele sostiene di aver ucciso più di 50 uomini di Hamas nelle ultime ore portando a 140 il numero dei13801814 combattenti uccisi nell’ospedale divenuto, secondo il suo portavoce militare, “un rifugio” per Hamas e il Jihad islami. Già lo scorso novembre, quando lo Shifa fu circondato per giorni e poi occupato, Tel Aviv sostenne la presenza sotto l’ospedale di un “quartier generale a più livelli di Hamas”. Le ispezioni però non confermarono queste affermazioni e fecero emergere solo alcune gallerie e sale sotterranee.

In un video diffuso dalla tv Al Jazeera, un militare israeliano ordina agli sfollati palestinesi ammassati nell’ospedale di non provare ad uscire, altrimenti saranno colpiti e aggiunge che potranno lasciare l’ospedale solo quando verranno liberati gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas.

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Altre decine di persone sono state uccise da missili, bombe, colpi di artiglieria e raffiche di mitra nel campo profughi di Shati, a ovest di Gaza City, a Deir el-Balah e in una casa nel campo di Nuseirat. Nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della sanità a Gaza, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 65 persone e ferito altre 92, molte delle quali nello Shifa e nell’area circostante. Il numero totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre è salito a 31.988.

13801816La tregua resta una ipotesi ancora remota al tavolo dei negoziati in Qatar, nonostante il segretario di Stato Usa Blinken abbia dichiarato qualche ora fa, durante l’ennesimo tour che sta effettuando nella regione, che Israele e Hamas avrebbero “accorciato le differenze”. Le parti stanno discutendo un cessate il fuoco di circa sei settimane che consentirebbe il rilascio di 40 ostaggi israeliani – donne, bambini ed anziani – in cambio di centinaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Hamas afferma che rilascerà gli ostaggi solo come parte di un accordo ampio volto a porre fine alla guerra. Israele ripete che discuterà solo di una pausa temporanea.

Nella Cisgiordania occupata intanto è in atto una nuova escalation di attacchi militari israeliani. Quattro palestinesi sono stati uccisi nel campo profughi di Nur Shams (Tulkarem) ed un altro a Ramallah, nel campo di Al Amari. Ieri un drone israeliano aveva ucciso tre combattenti palestinesi a bordo di un’auto nei pressi del campo profughi di Jenin. Pagine Esteri

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