Enrico Zanetti: contro il caro bollette non basta un extra profitto scritto male
Le Istituzioni sembrano non percepire il pericolo sociale per famiglie e imprese che sta dietro l’esplosione delle bollette?
L’esplosione folle e insostenibile delle bollette del gas e dell’energia elettrica è ancora per molti, troppi, un tema di dibattito, anziché un numero scritto nero su bianco con richiesta di pagamento. A rinviare il sapore (amaro) sulla pelle del tema gas, ci pensa la stagione.
Per quanto riguarda l’energia elettrica?
Le bollette di luglio arrivate nelle scorse settimane sono le prime in cui chi ha tariffe a prezzo variabile tocca con mano che il costo non si “limita” a raddoppiare, ma “vola” a tre, quattro e anche cinque volte i corrispondenti periodi dell’anno scorso; chi, invece, è ancora per qualche mese sotto il cappello protettivo di contratti con prezzo bloccato per 12 mesi stipulati alla fine dell’anno scorso, scoprirà tutto d’un fiato alla loro scadenza e rinnovo che, su per giù, il nuovo prezzo bloccato offerto per i successivi 12 mesi potrà arrivare a essere anche dieci volte tanto quello che sta continuando a pagare adesso.
E a quel punto?
Se nulla sarà stato fatto, tra un paio di mesi succederà letteralmente il finimondo e non interesserà a nessuno di chi sono le colpe per essersi presi in così grave ritardo nel cercare di attenuare il più possibile i rincari.
Dove e come si potrebbe agire?
Una cosa è certa: mentre sul gas i margini di manovra politica di breve periodo sono quasi impalpabili sul versante dei prezzi (e si può agire con una minima efficacia solo sul lato del contingentamento dei consumi), sull’energia elettrica c’è molto più margine di manovra.
Abbiamo perso mesi in cui si poteva fare di più?
In questi lunghi mesi di avvicinamento al ciglio del burrone, il Governo, anche quando era nella pienezza dei poteri, ha scelto di non mettere mano alle regole che stanno alla base della determinazione dei prezzi del kW al consumo che vengono poi incorporati nelle offerte commerciali dei singoli operatori.
E cioè?
Ha scelto di non farlo pur avendo chiara consapevolezza che quelle regole, nel mutato scenario geopolitico e conseguentemente economico, consentono alle imprese che producono e vendono energia elettrica in Italia di realizzare degli ingenti extra-profitti, la cui stessa esistenza è la prova inoppugnabile di come le attuali regole di determinazione del prezzo al consumo dell’energia non ribaltano “a valle” i maggiori costi sopravvenuti “a monte”, ma ben più.
Cosa ha fatto quindi il Governo?
Di fronte a questa banale evidenza, il Governo ha scelto di lasciare le regole di determinazione dei prezzi così come stavano e di introdurre una complicata tassa sugli extra-profitti che quelle regole immutate consentono di continuare a conseguire agli operatori della filiera sulle spalle dei consumatori di energia elettrica. In questo modo ha lasciato in campo una distorsione economica e ci ha aggiunto pure una complicata distorsione fiscale.
Cosa sarebbe stato meglio fare?
Molto meglio sarebbe stato attivarsi per tempo per cambiare le regole di determinazione del prezzo “base” del kW al consumo, così da meglio riflettere “a valle” le dinamiche di aumento nei costi “a monte”, per lasciare certamente intatti i legittimi profitti degli operatori di filiera, ma circoscrivere all’origine la formazione di extra-profitti che, in questa situazione, contribuiscono ad affossare famiglie e imprese. Non è stato fatto (ed è molto, molto male), lo si faccia prima che la situazione precipiti.
Tutto sbagliato insomma.
Gli italiani hanno bisogno di una bolletta elettrica con i minori rincari possibili, non di un Governo che passa mesi a studiare come tassare nel nome del popolo italiano una briciola degli extra-profitti che quello stesso Governo permette si formino a spese di quello stesso popolo italiano.
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Oggi il Cile al voto per una delle costituzioni più avanzate del mondo
di Emanuele Profumi* –
Pagine Esteri, 4 settembre 2022 – Da Santiago del Cile. Oggi ci sarà uno dei Plebisciti più importanti della storia del Cile. Come quando nell’Ottobre del 1988 il 56% dei cileni decise di impedire a Pinochet di restare al potere sino al 1997, o quando, solo due anni fa, l’80% decideva di archiviare la Costituzione forgiata in dittatura e applicata paradossalmente con il ritorno alla democrazia negli anni ‘90. Questa volta si tratta di approvare o rifiutare il lavoro che per un anno hanno svolto i 155 padri e madri costituenti eletti nella “Convencion Constitucional” sulla base di liste civiche, in maggioranza indipendenti rispetto ai partiti politici ed espressione di un largo consenso territoriale.
Il nuovo progetto di costituzione ha tutte le carte in regola per essere una delle Carte Magne più avanzate del mondo in materia di diritti umani, parità di genere, diritti della natura, ordinamento plurinazionale, come si può leggere sin dal primo articolo: “Il Cile è uno Stato sociale e democratico di diritto. È plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico”. L’impianto complessivo è volto alla creazione di una nuova forma di Welfare State, dove l’educazione, la sanità e il sistema pensionistico diventino pubblici e di qualità, arricchito da nuovi diritti, nati dalle ultime grandi questioni epocali sostenute da profondi e ampli movimenti della società. Sopratutto la crisi ecologica e la richiesta di una reale parità di genere. Si introducono, infatti, per esempio, il diritto all’eguaglianza di genere (art.25) e il diritto all’aborto (art. 61), oppure il diritto alla giustizia ambientale (art. 108) e quello ai beni comuni naturali (art. 134-39).
Tuttavia, ormai da mesi, tutti i sondaggi di opinione indicano che la maggioranza della popolazione non accetta la nuova proposta. Forse per paura, forse per incomprensione, forse per manipolazione mediatica o perché semplicemente si sta proponendo un nuovo patto sociale e politico troppo innovativo (il famoso passo più lungo della gamba). Fatto sta che, ad oggi, la vittoria del “Rechazo” è un reale problema per chi vuole fortemente abbandonare l’eredità velenosa di Pinochet, ossia la sua costituzione, croce senza delizia degli ultimi trent’anni.
Nonostante tutto, Maria Elisa Quinteros Cáceres, medico e ricercatrice universitaria eletta come indipendente nel distretto 17 (Maule Nord), e diventata la seconda “Presidenta” della Convencion Constitucional dopo la mapuche Elisa Loncon, quando la incontriamo è pacata e tranquilla. Sicura della bontà del lavoro svolto e convinta che la popolazione cilena sarà in grado di comprendere anche quello che, sino ad oggi, sembra generare maggiore avversione.
Maria Elisa Quinteros Cáceres
Michelle Bachelet (Presidente dal 2014 al 2018, ndr), ha messo in piedi una “Riforma costituzionale partecipata” a cui hanno aderito attivamente 220 mila persone in tutto il Paese. Niente di paragonabile ai quasi due milioni che complessivamente hanno partecipato alla scrittura della nuova Carta Magna. Non le sembra, in ogni caso, che quella riforma abbia aiutato l’attuale processo costituente?
Credo di sì, sebbene quel processo sia stato guidato principalmente da alcuni gruppi sociali. Non c’è stata una vera e propria partecipazione di massa. È stato espressione di una specie di élite politica, che aveva accesso ad internet. Gli accademici, come me, hanno partecipato molto, così come molti dirigenti delle organizzazioni sociali e sindacali. La Presidenta non ha avuto neanche la possibilità di inviare in tempo i risultati di quella riforma, e non c’è stata una vera e propria rappresentanza di tutti i settori della società. Tra l’altro, per lei era molto complicato poterla implementare per via della composizione delle forze parlamentari: nonostante avesse appoggio popolare, non aveva la forza politica per poterla sostenere. Detto questo, credo che è stata molto importante, e va considerata il preambolo di quello che alla fine è successo, e in cui ancora ci troviamo.
Sembra che, dopo l’inizio delle grandi manifestazioni dell’Estallido Social del 2019, fonte principale di tutto il nuovo processo costituente, sono stati creati dei “Cabildos” (Consigli territoriali, ndr), dove, principalmente, sorge con forza la richiesta di una nuova costituzione. Non è così?
Dopo i primi momenti, in cui abbiamo vissuto una specie di shock, in cui non si sapeva bene perché stavamo manifestando e perché lo facevamo tutti giorni, e non c’era nessun tipo di leader, maschile o femminile, perché era un movimento acefalo, con il passare dei giorni, in ogni città del Paese si cominciano a creare dei dibattiti pubblici nei Cabildos. Vivo a tre ore da Santiago, e nella mia città è stata la federazione degli studenti a organizzarli. Molte persone vi parteciparono, e proprio loro hanno riassunto le conclusioni del dibattito pubblico. Tuttavia, è a partire dalle marce che si è cominciato a parlare della necessità di una nuova costituzione. Progressivamente è risultato chiaro che quella era la richiesta più forte che si stava generando nelle manifestazioni di protesta.
Lei è stata una delle principali rappresentanti della Convencion Constitucional, ci potrebbe spiegare in poche parole perché è così importante approvare il nuovo testo costituzionale?
Storicamente è molto importante, perché in Cile esiste ancora una costituzione che ha un’origine illegittima, dato che è stata scritta quando ancora c’era la dittatura. Ed è stata imposta con la forza al popolo, scritta da soli uomini, scelti personalmente da Pinochet, senza alcuna forma di rappresentanza e priva di qualsiasi prospettiva democratica. Una costituzione che si concentra principalmente sull’acquisizione di un modello economico che perde di vista qualsiasi forma di umanità, e i diritti fondamentali che invece avevano altre costituzioni precedenti. La nuova costituzione, al contrario, è la prima ad essere stata scritta grazie ad un processo democratico, scelto dalla cittadinanza, con una rappresentanza paritaria di donne, scranni riservati, e con la presenza di cittadini indipendenti dai partiti. Inoltre, è molto importante anche dal punto di vista del soddisfacimento delle necessità di base della popolazione. Nel 2019 abbiamo manifestato pacificamente per chiedere dei miglioramenti fondamentali della nostra condizione di vita, ossia per il rispetto dei diritti sociali, assenti nell’impianto giuridico della vecchia costituzione, tutta concentrata sulle libertà e che, alla fine, ha portato allo sviluppo di una società segnata da una terribile diseguaglianza sociale. Nonostante il Cile sia un Paese in cui ci sono dei redditi molto elevanti, la diseguaglianza è abissale. Tutto ciò impone necessariamente un cambio.
Nella vostra proposta costituzionale emergono alcune importanti novità storiche. Secondo lei quali sono le più rilevanti?
Indipendentemente dal risultato del 4 di Settembre, che ovviamente spero sia positivo, se lo vediamo come un processo storico, il fatto che la popolazione si è riunita a parlare di politica, è qualcosa che non ha precedenti nella storia della Post-Dittatura. Penso che questo ci cambierà enormemente come società. La società si sta rendendo conto che, quando ci riuniamo, uomini e donne, il potere è nostro, ce lo abbiamo noi. Anche se, va sempre ricordato che il costo di tutto questo è stato molto alto, vista la tremenda violazione dei diritti umani che abbiamo subito durante tutto questo percorso. Ciò che è maggiormente rilevante, quindi, è questa partecipazione popolare insieme alla consacrazione dell’articolo 1. Il cuore della proposta è quello di trasformare uno Stato assente in uno “Stato sociale e democratico di diritto”. Sappiamo bene che è un cammino lungo, che vi si dovrà arrivare, e che non è il risultato di una magia. Ma abbiamo altrettanto chiaramente la speranza che l’unione popolare che si è creata, ed è presente, la possiamo mantenere nel tempo e usarla per incidere a diversi livelli. Per esempio, nel mio caso, come indipendente, lo potrò fare sia a livello dell’organizzazione sociale sia a livello dell’Università, anche se non a livello della politica dei partiti. La novità di questa nuova costituzione, non a caso, è che non teme il popolo che l’ha proposta. A differenza della costituzione del 1980, ancora vigente, che non vuole che il popolo si impegni e si interessi degli affari pubblici, per garantire una “democrazia sorvegliata”. La nostra costituzione, invece, sostiene lo spazio della partecipazione. Non solo nella forma del controllo politico, ma dal punto di vista della buona fede delle proposte che arrivano dalla cittadinanza. Perché anche ai cittadini e alle cittadine comuni possono sorgere delle buone idee politiche, quando ci riuniamo. Inoltre, anche il tema della parità di genere è nuovo nel mondo. Sicuramente frutto della sensibilizzazione femminista, e del lavoro de “Lastesis” (gruppo cileno femminista che fondò la canzone “Un violador en tu camino”, diventata virale nel mondo, ndr). Oltre a questo sicuramente è rilevante la decentralizzazione regionale e la preoccupazione per l’ambiente, perché nel nuovo testo, finalmente, si riconosce che dipendiamo dalla natura. Questi sono i principali aspetti della nuova Carta, come viene ben sintetizzato dall’articolo 1.
Mi sembra che lo stesso si possa dire della centralità che rivestono i diritti umani, non è così?
Sì. Perché è parte della nostra storia. Prima di tutto dato quanto successo con i popoli originari, poi con la dittatura, e, in ultimo, con la repressione dei giovani manifestanti del 2019. I diritti umani saranno al centro dello Stato e del suo “che fare”. Come si vede chiaramente per quanto riguarda la formazione delle forze di sicurezza, interne ed esterne: i diritti umani sono al centro della formazione delle forze di polizia e delle forze armate. Tutto questo è il frutto di ciò che abbiamo vissuto. Credo che le costituzioni siano il riflesso di quello che una società è, e per questo per la società cilena è stato importante poter implementare questo tema.
La “defensoria del pueblo” (istituzione autonoma dallo Stato che servirà a sanzionare lo Stato e i privati che si macchieranno di crimini contro i diritti umani, ndr) e la “defensoria de la naturaleza” (istituzione autonoma che farà lo stesso in relazione ai diritti della natura e ai diritti ambientali), mi sembra siano altre due novità degne di nota, non trova?
Certo. Per fare in modo che quei diritti non restino solo sulla carta, abbiamo dovuto pensare a istituzioni in grado di garantirli. Oltre alle modifiche che abbiamo apportato al sistema giudiziario, con queste due istituzioni sappiamo ora a chi ci possiamo rivolgere in caso di problemi. Perché attualmente, come cittadini, “facciamo rimbalzare la palla”, come diciamo qui (giriamo come trottole, ndr), ossia chiediamo alle istituzioni di intervenire, e queste ci rimandano sempre a qualche altra istituzione, senza poter concludere nulla. Nessuna ci sostiene veramente. Tra l’altro, siccome è un processo economicamente dispendioso, alla fine molti si arrendono. Non hanno la capacità economica per riuscire a fare giustizia. Queste innovazioni garantiranno quei diritti fondamentali.
Lei pensa che grazie al nuovo testo si potranno finalmente abbandonare i frutti velenosi del patto Post-dittatoriale? Mi riferisco in particolare all’economia neoliberista e allo Stato repressivo, che sono stati al centro delle proteste dell’Estallido Social.
La costituzione è solo un inizio. Per rendere reale quanto c’è scritto dipende moltissimo da cosa farà la classe politica e da cosa faremo noi cittadini. Innanzitutto ciò dipenderà se riusciremo a lasciarci alle spalle l’idea che la politica è negativa, perché, secondo la mia percezione, la maggioranza del popolo cileno si definisce come a-politico. Si dice spesso: “Non voglio entrare in questioni politiche”, “non mi interessa”. Ma tutto ciò sta cambiando, anche se è un cambiamento lento. Per poter arrivare a fare quello che lei mi sta domandando, dovranno succedere un paio di cose: prima di tutto che esista una connessione tra la nostra classe politica e la gente, la base. Basti ricordare che pochissime persone militano nei partiti e che esiste una grande scollamento tra la base e il vertice, e che questo è parte della profonda crisi politica e sociale che viviamo. In secondo luogo, c’è bisogno di rafforzare la partecipazione. Che la gente possa partecipare. E non mi riferisco al fatto che tutti diventino militanti di qualche partito, ma che lo facciano attraverso i meccanismi di partecipazione che abbiamo creato a tutti i livelli dello Stato (comunale, regionale, etc), o attraverso le istanze della democrazia diretta, per superare la visione negativa della politica che è anche il frutto di quello che voleva la dittatura nei confronti della popolazione. Le persone che partecipavano “troppo” alla politica dovevano essere de-politicizzati. Siamo diventati il riflesso di tutte le politiche neoliberiste che implementate durante quel periodo, ma anche di quelle implementate durante il ritorno alla democrazia, perché, alla fine, la costituzione del 1980 è diventata effettiva in democrazia. Insomma, penso che ci sia ancora moltissimo da fare e che non si risolve tutto il 4 di Settembre. Tuttavia, se vinceremo, sarà possibile continuare a lavorare per fare in modo che questi cambiamenti siano effettivi nei prossimi dieci anni. O forse qualcosa di più.
Quindi ciò che unisce i due problemi è che hanno portato alla de-politicizzazione della cittadinanza.
Esatto. È quello che ho vissuto come studente: c’era davvero poca partecipazione alle federazioni degli studenti. Non c’erano manifestazioni, come se non esistesse nessun problema. Questo continua ad accadere. Qualche anno fa le federazioni erano ancora molto politicizzate, anche se in termini di partito. Oggi sono presenti molti più studenti indipendenti in queste federazioni. Si vede che esiste una trasformazione. Penso che tale situazione potrebbe ancora cambiare in positivo, ma, per il momento, l’interesse della cittadinanza è ancora molto basso quando si tratta di affari pubblici, nella ricerca del bene comune o nella comprensione che quando si partecipa si possono ottenere dei miglioramenti sociali. Temo che su questo non abbiamo ancora fatto progressi, e che sia il frutto della visione neoliberista della società, dato che il neoliberismo, e il suo individualismo, ha lasciato un’impronta profonda.
Il fatto di aver avuto un’assemblea costituente senza che venissero meno gli altri poteri istituiti, come il parlamento e il governo, non è qualcosa di strano per un processo costituente?
No… è che è la unica che abbiamo avuto sino ad ora… quindi non possiamo compararla con nient’altro. Le altre costituzioni sono state generate in contesti molto distinti (in dittatura, dopo una guerra civile, etc). Almeno, per quanto riguarda il processo cileno, mi sembra che sia stato naturale che essa si sia affiancata ad altri poteri. È come quando uno nasce: il contesto è quello che è, non lo puoi decidere. Sicuramente è stato complesso. Soprattutto per la presenza del settore più conservatore, che ha in mano il monopolio dei mezzi di comunicazione, che sono super concentrati. Abbiamo avuto tutto contro, a dir la verità. Ma questo, mi sembra, è ciò che il popolo cileno ha sempre vissuto: affrontare le cose difficili. Non ci è mai successo di ottenere quello di cui avevamo bisogno in maniera semplice. Lo abbiamo visto con la dittatura, ed è chiaro se guardiamo a tutta la nostra storia. Insomma, è stato complicato perché il governo di Piňera ci ha reso la vita molto difficile. Mentre con il secondo governo la relazione è diventata semplicemente più cordiale. Tuttavia penso di poter dire che l’autonomia del nostro potere, quello della Convenzione, è stata difesa durante tutto il processo.
In molti articoli della vostra proposta esiste un comma finale che rimanda il grosso dell’organizzazione giuridica al lavoro del potere legislativo. Questa costituzione permette una larga e importante interpretazione della sua lettera da parte del potere politico. Ciò potrebbe generare dei problemi?
A me non sembra. Questa è una “costituzione civica”. Quando si dovranno generare le leggi ordinarie, dovranno rispettare lo spirito che la informa. Sebbene non mi occupi di diritto, mi sembra che si possa dire che le leggi dovranno essere armonizzate a questo. La classe politica dovrà essere sufficientemente preparata per comprendere lo spirito con cui abbiamo redatto l’impianto delle norme. Tra l’altro, tutto è ormai registrato. Le discussioni, gli atti. Nessuno potrà dire: “Non ho ben capito in che termini interpretare questa o quella norma”. Dato che vengo dall’Università, posso dire senza problemi che per poter fare bene il proprio lavoro, uno si deve informare, studiare e poi, soltanto alla fine, realizzare il lavoro. In effetti, quello che lei sottolinea è stato oggetto di una lunga discussione. Alla fine abbiamo pensato che la cosa necessaria è che si riesca a superare la “democrazia della sfiducia”, che vige oggi, per arrivare ad una “democrazia della fiducia”. Ciò può succedere, però, solo se la classe politica sarà all’altezza: facendola finita con la corruzione, dando risposte alle necessità delle persone. Avevamo tutti lo sguardo incatenato, e pensavamo che nulla si potesse modificare, all’inizio. Poi, il senso comune e il dialogo tra di noi ci ha portato alla convinzione che la democrazia debba continuare il suo cammino, e che le generazioni del futuro potranno fare in modo che le proprie necessità vengano accolte, perché la società sarà distinta da qui ai prossimi dieci o quindici anni. Quindi, personalmente, vedo questo aspetto del testo costituzionale come un vantaggio, e non come un problema. Sempre che i cittadini e le cittadine siano all’altezza della sfida.
Perché è così importante la plurinazionalità dello Stato che voi proponete?
In Cile siamo tutti meticci, proprio come nell’attuale Latinoamerica, e abbiamo un debito nei confronti dei popoli originari, eliminati dallo Stato cileno per varie generazioni. A volte sono state annichiliti interi popoli originari, che il resto della popolazione sente vicini: durante l’Estallido, non a caso, tutte le marce avevano le bandiere mapuches. Basta rivedersi le foto. Esiste una vicinanza con queste popolazioni. I gruppi più conservatori non hanno questa prospettiva. Non hanno vicini mapuches, perché vivono in certe comunità isolate rispetto a queste realtà, dove si concentrano lo stesso tipo di persone. Che vanno alla stessa scuola sin da piccoli. Esiste, insomma, un’interessante endogamia in questa parte della popolazione, che non accetta la plurinazionalità. Quello che stiamo proponendo è necessario per migliorare in termini di pace sociale. Per farlo dobbiamo accettare la nostra diversità, e migliorare nel riconoscimento dei diritti dei popoli originari. Nonostante il Cile abbia sottoscritto il “Convenio del 2008” (Convenio 169 dell’Organizzazione mondiale del lavoro, che riconosce l’esistenza e i diritti dei popoli originali e tribali, ndr), lo ha fatto alla maniera cilena: solo un po’, quello che è possibile. Per noi, invece, maggiore è il riconoscimento e la partecipazione, maggiore saranno i miglioramenti in termini di pace sociale.
Ci sono diversi modi per affrontare il conflitto e la marginalizzazione nei confronti dei popoli originari. Perché avete assunto la plurinazionalità e non un’altra maniera di affrontare il problema?
Penso che, in questo senso, sarebbe interessante analizzare i programmi che hanno portato avanti i candidati poi eletti come rappresentanti costituenti. La maggior parte di loro includevano il riconoscimento della plurinazionalità nel programma. In molti casi, come nel mio, questa proposta è il frutto di un lavoro di base. Abbiamo partecipato a cabildos, riunioni, momenti di riflessione sul metodo, prima di poter definire il programma elettorale. Se uno osserva i cabildos del 2019, e poi quelli alla base dell’elezione dei rappresentanti convenzionali, si rende conto che è stata una proposta popolare, espressa chiaramente. Quindi non è solo una nostra idea, come convenzionali, ma espressione di una volontà popolare.
Nonostante questo, sembra che il dibattito mediatico sull’elezione del 4 di Settembre sia principalmente incentrato sulla proposta della Plurinazionalità, che è quella che maggiormente viene rifiutata. Come mai?
Penso che l’agenda pubblica sia portata avanti dai mezzi di comunicazione di massa. Dato che in Cile esiste un’importante concentrazione del potere mediatico, non esiste pluralismo dei mezzi di comunicazione, perché 4 o 5 famiglie tra le più ricche del Paese hanno in mano l’80% del sistema mediatico, si genera una vicinanza tra potere politico, economico e mediatico. Ma non c’è niente di nuovo sotto il sole. Lo sappiamo da tempo. Da prima dell’Estallido. Questa sensazione di rifiuto e di razzismo che oggi è ben presente, non è casuale. Non è un’opinione del popolo, in generale. Penso che sia voluta. Per esempio, ero nella Pintana (comuna di Santiago del Cile, ndr), e nessuno esprimeva questa opinione. Al contrario, in questa comuna si fanno pubblicamente delle attività mapuches. Penso che esista uno scollamento con la realtà, e che si diffonda la paura e, a livello politico, la dottrina dello shock (teorizzata da Naomi Klein, ndr). Insomma, penso che esistano molte variabili che possano spiegare tutto questo, ma non è quello che si vede nelle strade, o nel dialogo popolare. Sino ad oggi ho fatto oltre settanta dibattiti pubblici territoriali, e non ho mai visto ciò che viene rappresentato a livello mediatico. Bisognerebbe vedere, tra l’altro, come sono stati costruiti i sondaggi. Mi sembra che stia succedendo quello che è successo nell’Estallido e nel Plebiscito d’ingresso (quello che ha deciso di mettere in piedi la Convencion Costitucional e archiviare la costituzione di Pinochet, ndr), ossia che i mezzi d’informazione siano ben scollegati dalla realtà sociale e dalla gente comune.
Sebbene non sono affatto contrario alla plurinazionalità, mi sembra che l’attuale testo potrà incorrere in un problema importante. Da un lato la costituzione definisce e garantisce l’autonomia territoriale, culturale, sociale, e politica delle comunità, mentre, dall’altro, le sottomette ad alcuni principi generali, come i diritti umani, gli strumenti democratici e il principio di partecipazione egualitaria. Potrebbe accadere in futuro, per questo, che l’autonomia politica di alcune comunità non sia esattamente conforme a quei diritti, al processo e ai principi democratici. Se dovesse passare questo nuovo testo costituzionale, pensa che tutto ciò potrà comportare un problema e generare alcuni conflitti?
Non credo sarà così problematico. I popoli originali hanno delle loro specifiche e molto interessanti forme di autonomia politica. E stiamo parlando di un 12% della popolazione, quindi di un gruppo che non è maggioritario. Ciò di cui abbiamo bisogno è che possano vedere riconosciuti i loro diritti e ottenere una parità di condizioni rispetto al resto della popolazione. Non lo vedo problematico anche perché l’autonomia sarà in qualche misura limitata. In generale, tra l’altro, bisogna ricordare che i popoli originari hanno collaborato con lo Stato, meno una parte del popolo mapuche, che è da sempre il più agguerrito. Sono cileni, come noi. Amano questo Paese e ne rispettano le tradizioni. Ballano la cueca (ballo tradizionale cileno, ndr) e rispettano la bandiera nazionale. Solo per quella parte dei mapuches che portano avanti un conflitto per via di molteplici fattori, e che sono concentrati in una parte determinata del Paese, potrebbe valere il discorso. Con loro è difficile che ci sia un dialogo, e anche questo governo ha avuto difficoltà a averlo. Il resto dei popoli vivono in pace, in povertà, marginalizzati. Sono vittime del razzismo. Hanno bisogno di uscire da questa condizione, e la proposto avanza positivamente su questo terreno. Per abbandonare la povertà e l’alcolismo, prodotti della mancanza di rispetto nei confronti delle loro cosmovisioni da parte dello Stato e del resto del popolo cileno, c’è bisogno di questa proposta. Sono popoli molto rispettosi con il fatto di condividere la parola. Lo posso dire direttamente, visto che ne ho avuto esperienza diretta al momento della “consultazione indigena” (momento di consultazione dei popoli originari rispetto alla nuova costituzione, ndr). Loro si sono fidati della nostra gestione per portare a termine la consultazione, nonostante la paura ancestrale di essere usati dagli altri. Collaborarono. E l’esercizio della parola, il parlare, è super importante per loro.
Da molti mesi, tutte le inchieste mostrano che vincerà il “rechazo” il 4 di Settembre. Si può spiegare come l’effetto della manipolazione e della distorsione del sistema mediatico, come nel caso della Plurinazionalità, oppure qualcosa di reale ed aderente alla popolazione cilena viene effettivamente mostrato?
Sicuramente ci sono molte persone che vivono bene sotto la vecchia costituzione e non vogliono cambiare. La vecchia è stata sancita con un Plebiscito fraudolento. Adesso è venuto il tempo di poter raggiungere un’altra forma di accordo sociale. Sicuramente questo gruppo che vuole conservare la vecchia ha usato la paura e la menzogna per convincere il resto della popolazione, e influire nella loro scelta. È un settore importante, che confonde altri gruppi sociali, che non hanno potuto realmente leggere la nuova proposta, anche perché esiste un problema importante di analfabetismo nel Paese. Ciò fa sì che non si acceda alla proposta in modo egualitario. Inoltre, come ricordavo, esiste un gruppo apolitico della popolazione, che non si interessa, né cerca di informarsi, a cui si può arrivare solo con il porta a porta. Però, oltre a questo, è un fatto che gli incontri pubblici a favore della nuova costituzione non trovino spazio nel sistema mediatico. Se durante la dittatura si usava il boicotoggio ufficiale delle iniziative democratiche, oggi si usa l’omissione. Basti pensare anche ai programmi tv dove si ripete sempre lo stesso ritornello e non c’è vera discussione, o peggio, si costruisce un conflitto fittizio attorno alle proposte. Se noi che siamo a favore siamo stanchi di tutto questo, immaginiamoci l’intera popolazione come può reagire. Qui diciamo: “Il popolo lo aiuta il popolo”. Penso che succederà la stessa cosa che è accaduta nel Plebiscito che ha dato vita al processo costituente: vedo ovunque cittadini e cittadine impegnati che cercano di informare, che donano il loro tempo a disposizione alla campagna per l’Apruebo. Per parlare con gli altri, per fare il porta a porta, o organizzare le piazze. Ciò succede alla base della società. Sono in molti ad andare alle attività che si stanno organizzando. Molti ripetono ciò che dice la televisione, all’inizio di questi incontri, è vero. Ma va anche detto che alcuni giornalisti main stream cominciano ad avere un altro atteggiamento, e smentiscono le menzogne che sono circolate sulla nuova costituzione. Da parte nostra facciamo campagna spiegando gli articoli con il testo alla mano. Non ci inventiamo nulla. Quello che ho visto è che le persone se ne vanno più tranquille da questi incontri, con la voglia di informarsi di più e di mettersi a leggere. Perciò ho fiducia nel lavoro di base, e continuo a nutrire speranza. La stessa di sempre.
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*Emanuele Profumi è dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista freelance. Insegna Scienze della Politica all’Università di Viterbo. Ha scritto e pubblicato per riviste italiane (es: Micromega, Left, La Nuova Ecologia) e straniere (es: Le Monde Diplomatique) ed è stato anche corrispondente estero per alcuni giornali e riviste italiani (Londra, Parigi, Atene, Messico). In Italia ha già pubblicato una trilogia di reportage narrativi (le “Inchieste politiche”) sul tema del cambiamento sociale e politico: sul Cile (Prospero, 2020), sulla Colombia (Exorma, 2016) e sul Brasile (Aracne, 2012).
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ISRAELE: Il prigioniero Awawdeh, in fin di vita, rimarrà in carcere
di Valeria Cagnazzo –
Pagine Esteri, 31 agosto 2022 – Resterà in carcere il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh, in sciopero della fame da oltre 160 giorni e in fin di vita a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute. A stabilirlo è la Corte Suprema di Giustizia israeliana che ha rigettato ieri la seconda petizione mossa da diverse ONG internazionali e sostenuta anche dall’Unione Europea per il rilascio del prigioniero. Con un comunicato emesso ieri, martedì 30 agosto, il tribunale ha apparentemente chiuso la porta a qualsiasi richiesta di dialogo sulla scarcerazione di Awdawdeh, che rischia di morire in un carcere israeliano: “Possiamo solo sperare ancora”, ha dichiarato la corte di giustizia, “che il prigioniero rinsavisca e interrompa lo sciopero della fame”.
Le immagini dello scheletro di Awawdeh, costretto su un letto in stato soporoso, avevano scatenato l’indignazione di diverse organizzazioni internazionali. Lo sciopero della fame, iniziato il 3 marzo scorso ha, infatti, prostrato lo stato di salute del detenuto fino a portarlo in una condizione di imminente pericolo per la vita. La neurologa Bettina Birmans che l’ha visitato venerdì scorso ha parlato di “rischio di danno neurologico irreversibile e di morte”. Anche una delegazione israeliana dell’ONG Medici per i diritti umani ha dichiarato che Awdawdeh, a causa del “severo deterioramento della sua condizione”, sarebbe “a rischio di morte e danni irreversibili”.
L’Unione Europea, dopo le immagini diffuse dalla moglie di Awawdeh, ha rilasciato un tweet di sconcerto tramite uno dei suoi account ufficiali: “Sconvolti dalle orribili immagini di Awdawdeh che è in sciopero della fame da 169 giorni in protesta contro la sua detenzione senza accuse e nel pericolo imminente di morire. A meno che non sia emessa una sentenza immediatamente, dev’essere rilasciato!”.
Khalil Awawdeh, quarant’anni e padre di quattro figlie, è stato prelevato nel dicembre 2021 dalla sua abitazione a Ithna, nel sud della Cisgiordania, e si trova da allora in detenzione amministrativa, una pratica che permette a Israele di detenere prigionieri senza processo e senza chiari capi di accusa, per motivi di “sicurezza”. Proprio contro la detenzione amministrativa, Awawdeh quasi sei mesi fa ha smesso di alimentarsi, dichiarando di essere “un prigioniero senza alcuna accusa che si è opposto alla detenzione dell’amministrazione con la sua carne e il suo sangue”.
Awawdeh è solo uno degli almeno 670 Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane in detenzione amministrativa, senza conoscere i capi d’accusa per i quali sono stati arrestati né la durata prevista della loro permanenza in prigione. Molti di loro scelgono lo sciopero della fame come forma di protesta non-violenta contro questa pratica di arresto.
Il movimento della Jihad Islamica aveva chiesto la liberazione di Awawdeh a inizio agosto, nelle trattative con Israele successive all’operazione israeliana sulla Striscia di Gaza che aveva provocato 49 morti. Le autorità israeliane avevano, tuttavia, negato il rilascio del detenuto, che dall’inizio di agosto è in ospedale a causa del suo peggioramento clinico. Da allora, ufficialmente, la detenzione del prigioniero è “sospesa”: per questo motivo, già la scorsa settimana la Corte Suprema aveva respinto le richieste di scarcerazione, che secondo i giudici “non sussistevano” alla luce della momentanea sospensione della pena.
Per la seconda volta in una settimana, la Corte Suprema respinge gli appelli umanitari per salvare la vita del prigioniero. Sotto gli occhi di tutti – le sue foto stanno, infatti, facendo il giro del mondo – Khalil Awawdeh, che adesso pesa 38 chili, sta morendo in carcere. In un video-messaggio registrato in carcere e trasmesso ai media dalla famiglia ha dichiarato: “Il mio corpo, sul quale rimangono solo ossa e pelle, non riflette la debolezza e la nudità del popolo palestinese, ma rispecchia piuttosto il volto reale dell’occupazione (israeliana, ndr)”.
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La visita di Pelosi e la nuova normalità a Taiwan
Le aziende ora sono giustamente più preoccupate per lo scoppio delle ostilità nello Stretto di Taiwan e il suo impatto sulla sicurezza fisica, sui beni/investimenti e sulla continuità aziendale. Data la risposta cinese alla visita del presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan il 2-3 agosto 2022, si ritiene che il rischio [...]
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Carlo Alberto dalla Chiesa: quarant’anni da via Carini
Nell’intervista che ci ha rilasciato in occasione del centenario della nascita del Generale (ilcaffeonline.it/2020/09/27/fe…), il professor Nando dalla Chiesa ha fornito ai lettori de «ilcaffeonline» due spunti particolarmente importanti.
In primo luogo ci ha tolto ogni illusione: gli italiani la corruzione ce l’hanno nella testa e non basteranno dieci anni per estirpargliela, ma ci vorranno secoli.
In secondo luogo, alla domanda su quali “frutti” abbia dato, contro l’intenzione dei suoi carnefici, l’assassinio di Carlo Alberto dalla Chiesa, ha risposto senza indugio che la scuola di suo padre è stata quella del “primato delle istituzioni”. Non in contrapposizione con la famiglia e il suo valore, bensì in armonia con essi, poiché tra le funzioni della prima e fondamentale delle istituzioni vi è proprio la trasmissione del senso dello Stato.
La sfida epocale che ci lancia il quarantennale della strage di Via Carini, in cui persero la vita anche Emanuela Setti Carraro, moglie del Generale, e l’agente di scorta Domenico Russo, è allora quella di ragionare sullo stato di salute del rapporto che noi italiani intratteniamo con le istituzioni, cioè con la Costituzione e con la nostra storia.
Per ragioni logiche non si può che partire dalla scuola, alla quale compete la trasmissione del contenuto e dell’ethos della Carta. La domanda, formulata qualche anno fa dall’ANCI, di introdurre o, meglio, reintrodurre l’insegnamento dell’educazione civica, in quanto vera e propria disciplina dotata di un monte ore e di un voto, ha ottenuto una risposta politica con la legge 92/2019. Si tratta di una norma che presenta diverse criticità, ma che certamente ha il merito di costringere ogni collegio docenti ad affrontare sistematicamente, a livello didattico, la formazione civile delle ragazze e dei ragazzi, attraverso la produzione di curricoli efficaci e valutabili.
Ciò sta avendo una ricaduta positiva, anzitutto, su noi insegnanti, costringendoci a prendere conscienza del nostro rapporto con la Costituzione e con la politica – che è come dire con la virtù della speranza (vera e propria competenza professionale per un insegnante) – sia attraverso inevitabili discussioni sia grazie a corsi di aggiornamento (non tutto oro, ovviamente) dedicati ai molti importanti temi inerenti l’insegnamento dell’educazione civica. Come andrà con i ragazzi lo vedremo tra qualche anno (intanto loro ci danno diverse lunghezze sui temi dell’ambiente e dei diritti).
Che dire della politica o, meglio, di chi fa politica? Una tessera di partito continua a contare più delle istituzioni? Discorsi universali non se ne possono fare. Se faccio riferimento alla mia esperienza riesco a sentire una silenziosa foresta che cresce. Certo, parlare di contrasto al riciclaggio (e in generale delle mafie) continua a non portare voti e ancora troppo spesso le logiche che governano la costruzione delle liste e la suddivisione degli incarichi di governo e sottogoverno sono di tipo spartitorio, tra correnti e filiere (per non dire clientele).
Ma ho conosciuto anche tanti militanti, amministratori, deputati e senatori che davvero hanno a cuore le istituzioni. E sono disposti a difenderle con coraggio e a renderle efficaci e prossime sudando su documenti complessi o a corsi di formazione. E ovviamente consumando suole in giro per i territori che amministrano o rappresentano.
Sono processi lunghi, è ovvio. Non toccherà a noi vedere la terra promessa, ma certo abbiamo il dovere di perseverare nel cammino e nella rotta indicata da Carlo Alberto dalla Chiesa. Quel che soprattutto dobbiamo fare, però, è connettere l’impegno che viene dalla società con quello della parte migliore della classe dirigente, come minimo attraverso un’attenta selezione della medesima (il 25 settembre ne avremo l’occasione, non perdiamola!), ma anche senza temere di impegnarci direttamente. Magari prendendo una tessera di partito e facendola contare meno delle istituzioni.
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ISRAELE: Il prigioniero Awawdeh, in fin di vita, rimarrà in carcere
di Valeria Cagnazzo –
Pagine Esteri, 31 agosto 2022 – Resterà in carcere il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh, in sciopero della fame da oltre 160 giorni e in fin di vita a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute. A stabilirlo è la Corte Suprema di Giustizia israeliana che ha rigettato ieri la seconda petizione mossa da diverse ONG internazionali e sostenuta anche dall’Unione Europea per il rilascio del prigioniero. Con un comunicato emesso ieri, martedì 30 agosto, il tribunale ha apparentemente chiuso la porta a qualsiasi richiesta di dialogo sulla scarcerazione di Awdawdeh, che rischia di morire in un carcere israeliano: “Possiamo solo sperare ancora”, ha dichiarato la corte di giustizia, “che il prigioniero rinsavisca e interrompa lo sciopero della fame”.
Le immagini dello scheletro di Awawdeh, costretto su un letto in stato soporoso, avevano scatenato l’indignazione di diverse organizzazioni internazionali. Lo sciopero della fame, iniziato il 3 marzo scorso ha, infatti, prostrato lo stato di salute del detenuto fino a portarlo in una condizione di imminente pericolo per la vita. La neurologa Bettina Birmans che l’ha visitato venerdì scorso ha parlato di “rischio di danno neurologico irreversibile e di morte”. Anche una delegazione israeliana dell’ONG Medici per i diritti umani ha dichiarato che Awdawdeh, a causa del “severo deterioramento della sua condizione”, sarebbe “a rischio di morte e danni irreversibili”.
L’Unione Europea, dopo le immagini diffuse dalla moglie di Awawdeh, ha rilasciato un tweet di sconcerto tramite uno dei suoi account ufficiali: “Sconvolti dalle orribili immagini di Awdawdeh che è in sciopero della fame da 169 giorni in protesta contro la sua detenzione senza accuse e nel pericolo imminente di morire. A meno che non sia emessa una sentenza immediatamente, dev’essere rilasciato!”.
Khalil Awawdeh, quarant’anni e padre di quattro figlie, è stato prelevato nel dicembre 2021 dalla sua abitazione a Ithna, nel sud della Cisgiordania, e si trova da allora in detenzione amministrativa, una pratica che permette a Israele di detenere prigionieri senza processo e senza chiari capi di accusa, per motivi di “sicurezza”. Proprio contro la detenzione amministrativa, Awawdeh quasi sei mesi fa ha smesso di alimentarsi, dichiarando di essere “un prigioniero senza alcuna accusa che si è opposto alla detenzione dell’amministrazione con la sua carne e il suo sangue”.
Awawdeh è solo uno degli almeno 670 Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane in detenzione amministrativa, senza conoscere i capi d’accusa per i quali sono stati arrestati né la durata prevista della loro permanenza in prigione. Molti di loro scelgono lo sciopero della fame come forma di protesta non-violenta contro questa pratica di arresto.
Il movimento della Jihad Islamica aveva chiesto la liberazione di Awawdeh a inizio agosto, nelle trattative con Israele successive all’operazione israeliana sulla Striscia di Gaza che aveva provocato 49 morti. Le autorità israeliane avevano, tuttavia, negato il rilascio del detenuto, che dall’inizio di agosto è in ospedale a causa del suo peggioramento clinico. Da allora, ufficialmente, la detenzione del prigioniero è “sospesa”: per questo motivo, già la scorsa settimana la Corte Suprema aveva respinto le richieste di scarcerazione, che secondo i giudici “non sussistevano” alla luce della momentanea sospensione della pena.
Per la seconda volta in una settimana, la Corte Suprema respinge gli appelli umanitari per salvare la vita del prigioniero. Sotto gli occhi di tutti – le sue foto stanno, infatti, facendo il giro del mondo – Khalil Awawdeh, che adesso pesa 38 chili, sta morendo in carcere. In un video-messaggio registrato in carcere e trasmesso ai media dalla famiglia ha dichiarato: “Il mio corpo, sul quale rimangono solo ossa e pelle, non riflette la debolezza e la nudità del popolo palestinese, ma rispecchia piuttosto il volto reale dell’occupazione (israeliana, ndr)”.
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Bambino in una scatola
Un bambino appena nato abbandonato è sempre una notizia triste, che ci lascia amareggiati e sconvolti. L’ultimo di questi casi riguarda un bambino lasciato appena nato, con il cordone ombelicale appena chiuso, in una scatola di scarpe nel parcheggio di un ospedale. Un’infermiera, andando al lavoro la mattina presto, l’ha sentito piangere e, fortunatamente, l’ha messo in sicurezza.
Riguardo a questa vicenda ho letto alcuni commenti di questo tipo: “chissà la disperazione della madre” e, ancora, “l’abbiamo lasciata sola, non siamo stati capaci di essere vicini a quella donna”.
Ecco, sono commenti che non mi convincono affatto, perché sono rivelatori della concezione di libertà e, di conseguenza, di responsabilità di ciascuno di noi. Questa storia della colpa che è sempre della società è una cretinata: presuppone che siamo collettivi, che siamo sbagliati alla nascita e, quindi, abbiamo tutte le colpe. È un modo di pensare che deresponsabilizza.
In Italia vige una legge assolutamente civile che consente ad una donna in stato interessante di andare in ospedale, partorire e, se non intende tenere il bambino, può lasciarlo in ospedale nel totale anonimato. Questa legge è importante, perché mette in sicurezza un bambino appena nato.
Se la donna partorisce per i fatti suoi e lascia il bambino in una scatola di scarpe non è una poverella. È una criminale da acchiappare. Tanto è vero – ed è giusto così – che c’è un’indagine aperta, perché questa donna ha commesso un reato. Innanzitutto, c’è l’abbandono di minore, ma potrebbe starci anche il tentato omicidio. Infatti, per quel bambino poteva andare in modo diverso: poteva essere messo sotto da una macchina, visto che era notte e buio. Poteva non avere la forza di piangere e, quindi, morire.
Perché bisogna essere comprensivi? Perché nella mentalità dei cosiddetti “comprensivi” c’è il fatto che ciascuno di noi non è responsabile delle proprie azioni. La responsabilità è sempre della società, della collettività, della legge o dello Stato.
Invece no, perché ciascuno è artefice della propria vita. Ciascuno di noi fa le proprie scelte e ne paga le conseguenze o ne incassa i benefici, perché il merito è personale e, quindi, anche la responsabilità è personale e non della collettività.
Se uno studente studia e va avanti prendendo buoni voti, il merito è suo. Se, invece, non vuole studiare e non apprende niente la responsabilità è sua e, finché minorenne, anche dei genitori che non lo prendono a scapaccioni.
Quello che vuole lavorare, cerca il lavoro, lo trova e ha un reddito e questo è un beneficio per lui, è un suo merito e, quindi, giustamente, ne incassa i risultati.
Non c’è la società che ci corrompe. Sì, è vero che siamo praticamente delle pecore, perché chi non ha la responsabilità di quello che fa è un gregge che viene portato al pascolo da una presunta responsabilità collettiva.
Quindi, fortunatamente, questo bambino è stato preso e messo in assoluta sicurezza. La sua partenza non è stata delle migliori, ma avrà sicuramente una vita migliore di quella disgraziata che l’ha lasciato in quelle condizioni e che è bene che paghi e che si assuma le proprie responsabilità.
Bisogna capire che si è responsabili delle scelte che si fanno.
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Consumati
Siamo elettori, ma anche consumatori. Siamo le stesse persone, ma che si tratti di votare o consumare sia il comportamento che la comunicazione sono assai differenti. Non relativamente alla tecnica, dato che la politica ha imparato da tempo ad usare il marketing e la pubblicità, è diversa proprio la sostanza.
Quando si tratta di consumare usiamo un metro e un approccio positivo. Scelgo di mangiare quel che mi piace, di vestire quel che considero adeguato, di viaggiare dove m’interessa o mi diverto. Nello scegliere tengo conto dei limiti e delle possibilità, mi regolo a seconda dei soldi che credo di potere spendere e se anche non compro la cosa che considero migliore, scelgo quella che ha il migliore rapporto fra qualità è prezzo.
Non compro quel che so essere una schifezza. Da compratore, insomma, ho un atteggiamento positivo e razionale. Non mi capiterà si volere mangiare spinacino solo perché uno che mi sta sul gozzo mangia bistecche, non indosserò un pinocchietto con fantasmino debordante la scarpa solo perché il mio peggior nemico circola in doppiopetto, non andrò a prendere una camera d’albergo in un sobborgo inquinato sol perché la detestata cognata se ne è andata a Parigi. Mi sentirei stupido, pagando per soffrire.
Da elettore mi comporto diversamente: scelgo quello che serve a fregare gli altri. Le rispettive propagande elettorali lo sanno, sicché s’industriano a suggerirmi: vota per noi, altrimenti vincono loro. Il che, per funzionare, comporta una descrizione demoniaca degli “altri”. Ricambiata.
Sono disposto a pagare il prezzo di eletti incapaci, pur di non subire i trionfi altrui. Perché succede questo? Il sistema elettorale c’entra, ma marginalmente: il clima che si respira negli Usa è simile, eppure sono un sistema presidenziale; in Francia il doppio turno limita i danni se si elegge uno, ma se si elegge l’Assemblea legislativa vincono opposti estremismi. Perché?
Il consumatore conosce il proprio bene, sa cosa gli serve e lo soddisfa. Il cittadino elettore delle democrazie occidentali non lo sa più. Il che discende da una condizione molto positiva: abbiamo cancellato le guerre dalle nostre biografie; chiamiamo “povertà” il non accesso al lusso; viviamo nel posto più sicuro, sano e ricco, ma non abbiamo più memoria di come ci siamo arrivati né ci arrovelliamo a rendere migliore il mondo.
L’enorme differenza, rispetto al passato, è che si considerava migliore il tempo a venire (per forza, con due guerre!), mentre ora lo si considera quello andato. Barando sulla memoria. E non a caso questo è il difetto dei vecchi, perché invecchiamo.
Ad avere diritto a votare, il prossimo 25 settembre, sono 4milioni 714mila giovani fra i 18 e i 26 anni. Proteggiamoli come i Panda, perché si è più numerosi nelle classi d’età più anziane: 20milioni e 900mila fra i 36 e i 62 anni; ma anche 5milioni 83mila fra i 72 e gli 80 anni; pochi meno dei giovani i 4 milioni dagli 81 in su.
Anche se si rendessero conto che continuare a facilitare e anticipare le pensioni o sfondare i bilanci contraendo ulteriori debiti è contro i loro interessi, quei giovani sarebbero in minoranza. Non a caso ci fu il tempo della retorica giovanilistica e viviamo quello della retorica dedicata a una senilità che si pretende giovane nel vivere e nel sesso, ma reclama rendite come fosse incerta sulle gambe.
E se i più giovani, a quel che emerge dai sondaggi e, del resto, è coerente con l’età, hanno pensieri positivi, i più anziani votano “contro” alla memoria, dissociando la loro condotta di elettori da quella di consumatori.
Vero che l’offerta sugli scaffali è più allettante di quella sulle schede, ma vero anche che questo dipende sì dalla povertà d’idee della politica, ma anche dalla povertà di aspettative che sulla politica si ripongono. Ma non è una gran vanto astenersi e digiunare, meglio impegnarsi e reclamare. Se non si sa essere consumatori di vita è facile che se ne sia consumati.
L'articolo Consumati proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Confessioni di una maschera “Il crepuscolo degli Dei”
Pensare che qualcuno ancora non è riuscito a capire la differenza che c’è tra i social network e la realtà, è un qualcosa che mi annichilisce, sotto tutti i punti di vista. Non è ancora stato creato un antidepressivo in grado di aiutarmi a rialzarmi dalla catatonia che mi assale ogni volta che realizzo quanto sia radicata l’idea che i due contesti siano sullo stesso piano.
In queste giornate estive l’idea che si possa anche solo pensare di fare politica attraverso la rete, e in particolare, anzi, in maniera quasi esclusiva, grazie ai social network, mi fa capire una volta di più come mai la situazione sociale italiana sia inevitabilmente indirizzata verso un tracollo che, per certi versi, mi spingo a considerare, pur se a malincuore, meritato. Toccando il fondo, come forse mai in passato, riusciremo finalmente a capire che c’è un mondo oltre lo schermo dei nostri cellulari, e che questo mondo è infinitesimamente distante da quello dorato dei social network? Ho ancora forti dubbi in merito, ma una piccola speranza la conservo.
iyezine.com/confessioni-di-una…
!news !eticadigitale !politica
Perché è scoppiato l’incendio del gas
L’economista della Fondazione Einaudi spiega cosa c’è dietro l’impennata del metano. La fine della pandemia ha innescato una domanda che l’offerta ha soddisfatto solo a metà, poi è arrivata la guerra. La speculazione? C’entra, ma fino a un certo punto
Il prezzo, alla Borsa di Amsterdam, sarà anche sceso sotto i 240 euro al megawattora. Ma dopo settimane di crescita costante, scandita solo da qualche tonfo e in una Europa ancora sprovvista di price cap, con il quale tenere a freno il costo del metano. Ce ne è abbastanza per interrogarsi sul come e il perché il gas, ancora la principale fonte energetica del Vecchio Continente, sia improvvisamente diventato un bene di lusso. Certo, la guerra in Ucraina e lo scontro dell’Occidente con la Russia rimangono il combustibile. Ma è davvero tutto?
Formiche.net lo ha chiesto a Simona Benedettini, economista esperta di energia in forza alla Fondazione Einaudi. “Bisogna sempre ricordare che l’indice del gas naturale alla Borsa di Amsterdam (Ttf, ndr) nei fatti esprime oggi il prezzo che secondo il mercato il gas avrà tra una settimana, un mese e così via. Il prezzo dunque che vediamo oggi è il costo che ci si aspetta in futuro”, chiarisce l’economista. “Perché il gas è aumentato? La risposta è che è salito per diversi motivi. Tanto per cominciare ci sono diversi titoli legati al Ttf che sono in crescita da prima della guerra, sulla scia dell’alleggerimento della pandemia. L’offerta non è stata in grado di soddisfare la domanda che si è risvegliata con la fine dei lockdown e allora il prezzo è salito”.
Il fattore Ucraina
Poi però, è arrivata la guerra. “Il conflitto si è inserito in un contesto di crescita dei prezzi, per i motivi appena spiegati, fungendo da booster. Dunque, ulteriore riduzione dell’offerta da parte della Russia e conseguente impennata dei costi. Vorrei chiarire che la speculazione nella crescita dei prezzi c’entra fino a un certo punto. Il mercato scommette sul prezzo futuro, questo è abbastanza normale, il peso vero nella fiammata del gas è dato da elementi geopolitici e anche sociali, come la guerra e la fine della pandemia. Poi, certamente, c’è un elemento speculativo ma non è tutto”, spiega Benedettini.
Tetto sì, ma…
Chiarito il punto, resta una questione, quel price cap su cui l’Europa sembra un poco alla volta convergere. “Il tetto al prezzo del gas deve essere una misura temporanea e non strutturale, perché gli aumenti ai quali stiamo assistendo sono un fenomeno temporaneo e non dureranno per sempre, è un qualcosa di anomalo. Se si rende il tetto permanente, ci potrebbero essere in futuro problemi di approvvigionamento. E poi va strutturato, pensato, per esempio si mette solo sul gas che viaggia nel tubo o si mette anche sul Gnl? Sono domande da porsi, perché se tetto deve essere, deve esserlo pro-tempore e ben calibrato”.
L’intervista a Simona Benedettini di Gianluca Zapponini su Formiche
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Fr.#07 / c o m p l y
Noi tutti siamo la Cina
Chi sono i cinesi? Sono alieni? Zombie lobotomizzati? Servi a cui è stato fatto il lavaggio del cervello?
No amici miei, i cinesi sono persone normali, che lavorano, hanno una famiglia, nel tempo libero passeggiano, siedono al bar, parlano con gli amici, fanno shopping. Persone normali, con vite normali. Come noi.
Loro sono come noi. E noi, beh, siamo loro - ma nel passato. Mi spiego meglio. La Cina oggi è un incubo socialista tecnocratico; non perché i cinesi siano dei rammolliti senza capacità di pensiero o perché abbiano un modo di pensare diverso dal nostro. No, semplicemente il loro governo ha iniziato molto prima un processo che da noi ha invece avuto inizio solo negli ultimi anni.
Fonte: twitter.com/songpinganq
E allora, non stupiamoci davanti alle immagini di droni che pattugliano città, strade e case dall’alto. Non stupiamoci se le persone ritratte nei video e nelle immagini, che guardiamo come se fossero un film, obbediscono pazientemente agli ordini impartiti dall’autorità che li intima di rimanere chiusi in casa, nonostante il rischio concreto di morire di fame e sete.
Fonte: twitter.com/songpinganq
Non stupiamoci se i bambini sono trattati come animali con QR code al collo, obbidientemente in fila per un tampone che ancora oggi deve essere fatto da tutta la popolazione ogni due giorni per mantenere il privilegio di vivere in società.
Non stupiamoci di sapere che in Cina il contante è quasi sparito del tutto, che ogni cittadino è dotato di un’identità digitale collegata al covid pass e al conto corrente, che con un click possono essere bloccati dal governo a chi la pensa diversamente.
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Divergente
Non temete, stiamo iniziando a recuperare il distacco con la Cina!
La Casa Bianca ci ricorda infatti che chiunque la pensi diversamente dalla maggioranza sarà considerato un estremista. Sappiamo tutti come alla Casa Bianca piaccia gestire gli “estremisti” dal 2001 a oggi.
Fonte: Disclose.tv
Non ci sarà più alcuna differenza tra noi e i cinesi quando gli stati occidentali avranno finalmente a disposizione tutte le leggi per il controllo e sorveglianza delle comunicazioni e di Internet, che sono in discussione in questo momento.
Non ci sarà più alcuna differenza quando ognuno di noi sarà dotato di identità digitale connessa a ogni servizio pubblico e finanziario; quando avranno il potere di accendere e spegnere i conti corrente a chiunque con un click; quando l’energia sarà razionata, la disoccupazione sarà alle stelle e bisognerà bloccare le proteste sul nascere.
E infine non ci sarà alcuna differenza quando inizieranno a perseguire chiunque cercherà di proteggere la propria privacy e vita privata, nonostante tutto. D’altronde, la maggior parte della gente crede fermamente di non avere nulla da nascondere, tu invece, che la pensi diversamente… cosa stai nascondendo?
Immagine del discorso di ieri di Biden a Philadephia, in cui ha esortato gli americani a combattere gli estremismi per difendere la democrazia. Come dici? Ricorda il cancelliere supremo di V per Vendetta? Nahhh
Una breve intervista
In questi giorni sono stato intervistato da Matrice Digitale, con alcune domande molto interessanti. Abbiamo parlato di Cypherpunk, anarco-capitalismo, pistole, sorveglianza di massa e social scoring. Insomma difficile fare meglio di così.
Qui il link, per chi volesse leggerla.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“My philosophy, in essence, is the concept of man as a heroic being, with his own happiness as the moral purpose of his life, with productive achievement as his noblest activity, and reason as his only absolute.”
― Ayn Rand
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informapirata ⁂ reshared this.
Twitter introduce le cerchie, per consentire agli utenti di twittare solo a ristrette cerchie di contatti.
Ah, #Friendica già lo fa... 😁
blog.twitter.com/en_us/topics/…
Introducing Twitter Circle, a new way to Tweet to a smaller crowd
With Twitter Circle, people now have the flexibility to choose who can see and engage with their content on a Tweet-by-Tweet basis.blog.twitter.com
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Il capitale, la politica, la crisi
«Il capitale ha già “scelto” l’unica soluzione possibile per venirne fuori.
La guerra, per accaparrarsi materie prime e mercati senza i quali non ci stanno profitti.
E senza profitti il capitale muore.
La guerra, per liberarsi delle eccedenze di merci invendibili e di merce umana che non riesce più a mantenere.»
La piazza virtuale - Come costruire in rete spazi di incontro e discussione realmente pubblici? L'articolo di @violastefanello su @iltascabile
LA PIAZZA VIRTUALE - COME COSTRUIRE IN RETE SPAZI DI INCONTRO E DISCUSSIONE REALMENTE PUBBLICI?
A fine aprile, parlando dei motivi che lo stavano spingendo a comprare Twitter, Elon Musk in un TED Talk diceva che la piattaforma “è diventata di fatto la piazza cittadina”. Nel marzo del 2019, Mark Zuckerberg aveva usato la stessa immagine quando affermava che “negli ultimi 15 anni, Facebook e Instagram hanno aiutato le persone a connettersi con amici, comunità e interessi nell’equivalente digitale di una piazza cittadina”.
Continua: iltascabile.com/societa/piazza…
La piazza virtuale - Il Tascabile
Come costruire in rete spazi di incontro e discussione realmente pubblici?Il Tascabile
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Fr. #06 / v o y e u r
Voyeurismo fiscale, il nuovo kink statale
Ieri la BBC ha pubblicato una notizia in cui si parlava del nuovo kink dei burocrati francesi: spiare le persone che si fanno il bagno in piscina, grazie ai satelliti e all’intelligenza artificiale.
Un nuovo software sviluppato da un’azienda chiamata Capgemini ha permesso all’agenzia fiscale francese di scovare ben 20.000 piscine “nascoste” allo Stato, grazie all’analisi delle immagini satellitari.
Alla scoperta pare sia seguita una volontaria donazione alle casse dello Stato da parte dei proprietari pentiti di tale oltraggio, per circa 10 milioni di euro. Non tantissimo, se guardiamo alle cifre a cui sono abituati i burocrati statali, ma in tempi di crisi non si butta via nulla, no?
Il software è talmente bello che potrà essere usato per scoprire molte altre cose spiando i cittadini francesi. Ad esempio, se hanno gazebi, verande o estensioni non dichiarate. Insomma lo spionaggio satellitare promette un grande salto evoluzionistico per le tasse sul patrimonio.
L’attività non è certo ignota alla nostra agenzia fiscale, che da tempo adopera le immagini satellitari per scovare evasori fiscali, anche se - per ora - senza intelligenza artificiale ad agevolare il compito.
Sono certo che questo nuovo voyeurismo di stato sarà ben accolto da tutti i contribuenti che non hanno nulla da nascondere e che, in effetti, potrebbero aver sviluppato un certo esibizionismo nei confronti di uno stato che vuole guardarli sempre di più e sempre meglio. Una relazione perfetta, insomma.
Nel 1890 i due giuristi Warren e Brandeis ipotizzarono per la prima volta il “right to privacy” per trovare una protezione giuridica alle sempre più frequenti ingerenze dei giornalisti che avevano ormai a disposizione fotocamere “portatili” e potevano infilarsi nelle case e nei giardini di chiunque, a distanza.
Cosa direbbero oggi se sapessero che accettiamo passivamente di essere spiati dal nostro stesso governo nelle nostre case? Per cosa poi, per racimolare qualche spicciolo e continuare a pagare i burocrati incaricati di spiarci, in un circolo vizioso che non finisce mai?
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Sono finiti i chip per le tessere sanitarie
Dalla crisi della filiera produttiva ogni tanto qualche buona notizia! Pare che l’estrema scarsità di chip abbia costretto il governo italiano ad autorizzare la diffusione delle nuove tessere sanitarie senza microchip.
Questa è un’ottima notizia, poiché significa che le nuove tessere sanitarie non potranno essere usate come strumento per l’identificazione digitale della persona, ma potranno semplicemente essere usate per ciò per cui erano nate: come codice fiscale e tessera sanitaria.
Inutile dire che ogni inefficienza dell’apparato statale equivale a una maggiore libertà delle persone e minore sorveglianza e controllo delle nostre vite. Dobbiamo quindi accogliere con piacere notizie di questo tipo, che speriamo possano moltiplicarsi nei tempi a venire.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“If the power of government rests on the widespread acceptance of false indeed absurd and foolish ideas, then the only genuine protection is the systematic attack of these ideas and the propagation and proliferation of true ones.”
― Hans-Hermann Hoppe
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione.
🔸 Dal #PNRR oltre 3,1 miliardi per asili nido e scuole dell’infanzia
🔸 #PNRRIstruzione, al via il “Piano Scuola 4.0”: 2,1 miliardi per 100.
"Non ho paura e non pago il pizzo."
L’imprenditore Libero Grassi, attraverso una lettera inviata al Giornale di #Sicilia alzava la testa contro la mafia, ribellandosi apertamente alla violenza di Cosa nostra.
Denunciare il racket, un coraggio che Grassi pagherà con la propria vita qualche mese dopo, il 29 agosto del 1991 a #Palermo.
Il suo coraggio contribuì a dotare l’Italia di uno strumento a favore degli imprenditori coraggiosi, il varo del decreto che porta alla legge anti-racket 172.
Per un pugno di dollari
Articolo riservato agli abbonati
Oggi parliamo di un tema che potrebbe sembrare avulso da quello di cui parlo di solito, ma che in verità è strettamente legato con il concetto di privacy e libertà: la moneta. Tutti la usiamo fin da piccoli, talmente tanto e spesso che ne dimentichiamo il suo significato. Eppure la moneta è la tecnologia che più di ogni altra plasma la nostra società.
Non conoscere almeno le basi di questa tecnologia è molto rischioso: da anni viene usata contro di noi e siamo oggi sull’orlo di un enorme sconvolgimento globale alla cui base c’è proprio il concetto di moneta.
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Dalle conchiglie alla carta
I primi esempi di conchiglie e oggetti usati come moneta risalgono a più di 75.000 anni fa, in Sud Africa.
Fonte: nakamotoinstitute.org/shelling-out/
Da quel che sappiamo, praticamente tutte le culture umane, fin dalla preistoria, ebbero l’abitudine e l’interesse di collezionare oggetti artistici composti da conchiglie, denti e ossa di vario tipo, che poi venivano usati come gioielli, collane o cimeli da trasferire alle future generazioni.
"Le politiche ultraliberiste degli ultimi anni e a vantaggio di pochi, hanno gettato le basi per il presente di oggi. 30 anni passati a smontare tutte le solide basi strutturali dello Stato sociale che, pur con decine di contraddizioni, poneva l’interesse nazionale e la tutela dei cittadini al primo posto, facendo sue le istanze strategiche a tutela della popolazione. La sanità, così come l’apparato energetico e non solo, sono servizi di prima tutela, devono essere pubblici."
Analisi del Max Planck Institute sui suoi elettori: il PD è il partito della destra neo-liberale
«Il Fatto quotidiano di ieri pubblica un'analisi del Max Planck Institute sul voto Dem che conferma cose che sappiamo già da un pezzo: gli elettori di questo partito sono in larga maggioranza benestanti, abitano nelle grandi città e nutrono opinioni "di centro" (leggi neoliberal-liberiste) in economia e "di sinistra" (leggi politically correct) in tema di diritti individuali e civili ( di quelli sociali non gliene importa un baffo).»
Torno con le mie mirabolanti domande di #mastoaiuto sul tema #informatica e #WebDesign. L'argomento di oggi è il tema scuro nei siti e nell'interfaccia del computer/cellulare. O come lo chiamano in modo tutto figo #DarkMode.
Io mi sento più rilassato quando lavoro con il tema scuro su progetti grafici o scrittura. Mi aiuta a concentrarmi meglio su quello che sto facendo. Ma quando si tratta di #accessibilità mi viene un dubbio enorme: se faccio un sito con tema scuro, accontento tutti i lettori?
Io ho sempre fatto attenzione a non usare mai lo sfondo totalmente nero #000 con testi totalmente bianchi #fff perché anche solo pensarlo mi si bruciano le retine. Ho sempre fatto una mediazione di grigi o comunque colori complementari che abbiano lo stesso un elevato contrasto, ma più morbido. Ho già chiesto ad alcune persone con difficoltà di lettura come si trovassero con i miei siti e hanno risposto che riescono a leggere senza affaticarsi. Ma l'esperienza di persone che si conta sulle dita di una mano non fa statistica.
Ora, questo approccio che a me piace è sempre stato venduto anche come ecologico perché inciderebbe meno sull'energia impiegata dal monitor, con gran gioia della bolletta, della batteria e dell'ambiente stesso. Ma è davvero così?
Leggo articoli online che si contraddicono, perciò mi piacerebbe sentire il parere da gente vera come voi. In realtà un tema chiaro incide poco o nulla sulle performance e quindi è meglio stare più leggeri per non mettere in difficolta i lettori online, oppure c'è un vero e tangibile risparmio energetico e quindi è buono l'impegno nel fare temi scuri ma il più possibile accessibili?
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Partiamo dalla cosa più semplice:
A quanto so, non ci sono problemi di accessibilità riguardo i temi scuri.
Le persone che proprio non li sopportano possono usare le opzioni del browser per forzare il tema chiaro (almeno, quelli che lo hanno ossia i desktop - assicurati che sul tuo sito funzioni la modalità lettura di quelli mobile).
Io so che bisogna assicurarsi che il contrasto sia chiaro e accessibile: in questo senso: bianco su nero o nero su bianco sono uguali.
Qui trovi linee guida di accessibilità web in generale: developer.mozilla.org/en-US/do…
Quanto a risparmio energetico, gli sfondi scuri possono essere peggio:
Testo chiaro su sfondo scuro è più difficile da leggere, perché, nonostante il contrasto (quello effettivo) sia uguale, c'è meno luce che finisce nei tuoi occhi (indipendentemente dal tipo di superficie contenente il testo, che sia un display o un pezzo di carta), e si fa più fatica a distinguere le lettere. Chiamiamo la quantità di luce che finisce negli occhi "contrasto percepito".
Non solo questo:
Considerando che maggiore è il contrasto sia effettivo che percepito e meglio si legge, e il contrasto è maggiore quando la differenza tra zone chiare e scure è più accentuata...
A parità di illuminazione ambientale, e parlando di schermi che producono la propria luce che finisce negli occhi di chi legge, in ogni caso per leggere meglio (fino a un certo punto, ad esempio sei in una stanza buia, luminosità al massimo è insopportabile) si dovrebbe sempre alzare l'illuminazione dello schermo per avere buon contrasto percepito, ma:
- Su schermi OLED, dove i pixel neri sono spenti, il contrasto effettivo tra zone nere e bianche è sempre più alto di un LCD; alzare la luminosità aumenta tanto il consumo energetico su sfondo chiaro, ma su sfondo scuro il consumo è trascurabile
- Su schermi LCD, dove i pixel neri in realtà sono semplicemente "chiusi", e fanno passare meno della retroilluminazione (meno, ma non niente, e puoi vedere chiaramente che una schermata 100% nera su un LCD in realtà si vede grigina luminescente!); alzare la luminosità comporta sempre lo stesso consumo energetico, MA, il contrasto effettivo su un LCD è sempre più basso di un OLED perché i pixel neri fanno trapelare luce, e considerando che in ogni caso per vedere meglio bisogna avere sia buon contrasto percepito che effettivo... su un LCD finirai con l'alzare la luminosità su sfondo scuro per migliorare entrambi i contrasti, quindi addirittura a consumare più energia di quanta ne consumeresti per leggere un testo nero su bianco con lo stesso livello di comfort!
Spero di averti fatto capire - sto qua degli sfondi chiari o scuri su schermi diversi meriterebbe un articolo di blog...
E ora che ti ho detto tutto questo, però:
A meno che il sito non debba avere i colori che ha per una scelta artistica (ma in quel caso, di nuovo, assicurati almeno che l'HTML del tuo sito sia buono e quindi analizzabile dalle modalità di lettura dei browser, chi non sopporta il tuo tema potrà leggere con quella), se la tua scelta è puramente pratica.. allora non decidere tu, usa CSS per far decidere al browser (e al sistema operativo) di chi visita la tua pagina: usa le media query per dichiarare un tema chiaro, e un tema scuro. Fine.
Vedi developer.mozilla.org/en-US/do…
Un esempio:
/* Tema chiaro, predefinito */
body {
background-color: #FFFFFF;
color: #000000;
}
/* Tema scuro, secondario - Usato solo dai browser supportati (tutti quelli aggiornati, da anni) e che hanno preferenza di tema scuro */
@media (prefers-color-scheme: dark) {
body {
background-color: #000000;
color: #FFFFFF;
}
}
Si può volendo anche invertire il tutto, mettendo come predefiniti (specificati senza media query) i colori scuri, e specificando con @media (prefers-color-scheme: light) i colori chiari per chi preferisce quelli.
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"Se vuoi fare qualcosa di terribile con la tecnologia, non puoi semplicemente lanciarlo su persone con denaro e capitale sociale. Si lamenteranno e la tua idea andrà in fumo. Le implementazioni tecnologiche di merda di successo iniziano con le persone di cui puoi abusare impunemente (prigionieri, bambini, migranti, ecc.) Per poi risalire il gradiente dei privilegi. La chiamo la curva di adozione della tecnologia di merda."
Un protocollo social più decentralizzato di ActivityPub
ActivityPub è un buon protocollo, ma secondo me non perfetto. Resta troppo incentrato sull'avere un server dedicato principale grosso. Ciò si vede nelle sue implementazioni server, con software come Mastodon, Pleroma, e chi più ne ha più ne metta: software relativamente pesanti e difficili da ospitare, cosa che va a peggiorare l'accentramento perché meno gente avrà possibilità di ospitarli e quindi andrà su istanze già presenti.
Non so se esiste già, nel caso fatemelo conoscere, altrimenti probabilmente potrei idearlo io, un protocollo più semplice e molto più decentralizzato, basato su server più stupidi e client più intelligenti.
Rimuovere completamente i server causerebbe una peggiore esperienza utente: ogni client dovrebbe rimanere acceso nel momento in cui gli amici si collegano per scaricare nuovi messaggi, inoltre alcuni provider bloccano le connessioni in entrata. Sarebbe ideale, ma è irrealistico.
Per questo, si sceglie di tenere il minimo indispensabile come server: uno HTTP che serve file statici. Un tale server può essere ospitato ovunque, persino sul router di casa, ma in ogni caso i provider che ne danno di gratuiti online sono tantissimi.
Qui viene il bello: ogni utente ha un server e un dominio o indirizzo IP statico, si identifica con un URL (che può essere la root, oppure una cartella, nel caso si voglia avere altra roba Web sullo stesso dominio).
Il client del social (la app) chiede come login i dati di accesso FTP, SSH, Git, o chissà quali altri sistemi di caricamento di file via Internet, e tutti i contenuti di ogni utente (i messaggi, i file, i like messi, ...) vengono caricati sul server HTTP.
Quando un client vuole aggiornare il feed degli utenti seguiti, scarica un file d'indice (come un feed RSS) da ciascun server, e scarica eventuali nuovi elementi lì segnati.
L'unico potenziale problema qui può sorgere in caso si seguano centinaia e centinaia di utenti, perché la app dovrà scaricare ciascun file ad ogni aggiornamento. Ovviamente, usando un formato di dati efficiente e compresso il problema si riduce, così come si riduce spezzettando l'indice in segmenti, oppure si potrebbero integrare nel protocollo delle liste di aggregazione opzionali (che richiederebbero un server fatto apposta), a cui ciascun utente può passare il proprio elenco di utenti seguiti, e la sua app chiederà le differenze di tutti al server di aggregazione anziché alle centinaia di serve degli utenti.
Per i messaggi privati, si può semplicemente implementare un sistema di cifratura, così che le app possano semplicemente caricare i contenuti privati assieme a quelli pubblici sul server HTTP, e anche se terzi potrebbero scaricarli andando a frugare tra i file dei server altrui, non potranno leggerli.
Che ne pensate?
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@Luca Nucifora eh e come? stai praticamente quasi creando un protocollo da capo così :'/. ActivityPub è troppo incentrato sui server attivi, il massimo che si può fare è ideare qualche integrazione AP in un protocollo come ho pensato il mio. Fosse anche prevedere un sottoprotocollo per i bridge. Anzi, togliamo il forse, è qualcosa da fare.
Comunque, ho anche continuato a cercare, ma nessun protocollo già esistente funziona in modo abbastanza vicino a cosa vorrei io.
Io magari inizio a scrivere qualcosa (documenti, non codice) a riguardo, almeno per descrivere l'idea a linee meno grosse di cosa il mio post di Friendica dice. Magari trovo gente a cui l'idea interessa particolarmente..
È la fine dei social network? Una riflessione di Johannes Ernst su #Facebook, #TikTok e il design delle piattaforme
Scott Rosenberg , in un pezzo dal titolo “Tramonto del social network” , scrive ad Axios:
Segna la scorsa settimana come la fine dell'era dei social network, iniziata con l'ascesa di Friendster nel 2003, ha plasmato due decenni di crescita di Internet e ora si chiude con il lancio di Facebook di un'ampia riprogettazione simile a TikTok.
Una dichiarazione travolgente. Ma penso che abbia ragione:
Facebook è fondamentalmente una macchina pubblicitaria. Come altri prodotti Meta. Non ci sono davvero "tecnologie che avvicinano il mondo", come dice la home page di Meta . Almeno non principalmente.
Questa macchina pubblicitaria ha avuto un successo sorprendente, portando a un fatturato trimestrale recente di oltre $ 50 per utente in Nord America ( fonte ). E Meta di certo ha spinto così tanto, altrimenti non sarebbe stata nelle cronache per aver oltrepassato il consenso dei suoi utenti anno dopo anno, scandalo dopo scandalo.
Ma ora una macchina pubblicitaria migliore è in città: TikTok. Questa nuova macchina pubblicitaria non è alimentata da amici e familiari, ma da un algoritmo di dipendenza. Questo algoritmo di dipendenza calcola i tuoi punti di minor resistenza e ti riversa una pubblicità dopo l'altra in gola. E non appena ne hai ingoiato un altro, scorri un po' di più e, così facendo, chiedi più pubblicità, a causa della dipendenza. Questa macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza è probabilmente vicina al massimo teorico di quante pubblicità si possono versare in gola a qualcuno. Un'opera d'arte straordinaria, come ingegnere devo ammirarla. (Naturalmente quell'ammirazione si trasforma rapidamente in qualche altra emozione del tipo disgustoso, se hai qualche tipo di morale.)
Quindi Facebook si adatta e passa a un'altra macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza. Il che non sorprende nessuno, penso.
E poiché non si è mai trattato di "riavvicinare il mondo", abbandonano quella missione come se non gli importasse mai. (Questo perché non l'hanno fatto. Almeno MarkZ non l'ha fatto, ed è l'unico, irresponsabile signore supremo dell'impero Meta. Una struttura azionaria a due classi te lo dà.)
Con il gigante che rivolge la sua attenzione altrove, dove finisce il social networking? Perché i bisogni e i desideri di “avvicinare il mondo” e di mettersi al passo con amici e familiari sono ancora lì.
Penso che lasci il social networking, o ciò che lo sostituirà, in un posto molto migliore. Che ne dici di questa volta che costruiamo prodotti il cui obiettivo principale è in realtà la missione dichiarata? Condividi con gli amici, la famiglia e il mondo, per unirlo (non dividerlo)! Invece di qualcosa di non correlato, come fare un sacco di entrate pubblicitarie! Che concetto!
Immagina cosa potrebbero essere i social network!! I giorni migliori del social networking sono ancora avanti. Ora che i pretendenti se ne vanno, possiamo effettivamente iniziare a risolvere il problema. I social network sono morti. Viva ciò che emergerà dalle ceneri. Potrebbe non essere chiamato social networking, ma lo sarà, solo meglio.
Qui il post originale in inglese: reb00ted.org/tech/20220727-end…
Questo lavoro è concesso in licenza in base a una licenza internazionale Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 • Altri usi? Chiedere! Utilizza i cookie solo per analisi self-hosted.
Di Johannes Ernst. Imprenditore. Pirata. Pastore di gatti. Detentore di opinioni spesso insolite, in genere prima che giunga il loro momento, ma forse non in questo caso.
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Il Tribunale dell'Inquisizione e le Carceri segrete di Palazzo Steri-Chiaramonte a Palermo
Mi è sempre piaciuto camminare per le vie del centro storico della mia Palermo, una città avvolta da tanti misteri, segreti, leggende, ma anche ricca di fatti e storie vere, affascinanti ed intriganti, una città da scoprire o riscoprire ogni volta che mi addentro nei suoi vicoli, una Palermo a volte sconosciuta anche a me che vi sono nato.
Amo le sue tradizioni, le usanze, le credenze popolari, che si tramandano tra le varie generazioni e che restano sempre vive attraverso i ricordi di chi a sua volta è rimasto inevitabilmente affascinato delle storie raccontate da coloro che le hanno vissute in prima persona.
Cammino e mi soffermo ad ammirare le imponenti e meravigliose opere d’arte e penso a un tempo antico, a quanta vita è passata, alle maestranze che hanno realizzato queste maestose strutture, mettendo in campo tutte le tecniche costruttive di quei tempi, anche rudimentali, eseguite da veri maestri d’arte dalle doti ineguagliabili.
Opere che rappresentano per questa città gli evidenti segni del passaggio delle varie dominazioni che si sono susseguite nel tempo.
E c’è un palazzo, nella grande Piazza Marina, è il palazzo Steri-Chiaramonte che, per le storie drammatiche che l’hanno interessato, viene visto dai palermitani, e non solo, come austero e tenebroso. Ma è un palazzo come tanti altri, segnato purtroppo da avvenimenti tragici, che questa volta non appartengono a leggende metropolitane, ma a fatti realmente accaduti durante la dominazione spagnola.
Il palazzo fu costruito all’inizio del 1300 su un edificio arabo, fu la grande dimora di Manfredi di Chiaramonte, esponente di spicco della potente famiglia dei Chiaramonte, conte dell’immenso Feudo di Modica, detto “Regnum in Regno”.
Il potere della famiglia diede presto fastidio agli spagnoli e nel 1392 il re Martino il Giovane, decise di fermare le ambizioni politiche di Andrea di Chiaramonte, discendente ed erede di Manfredi, decapitandolo davanti al suo palazzo e sequestrandogli ogni bene.
Nel 1487 Ferdinando II il Cattolico, Re di Spagna, inviò a Palermo i suoi inquisitori, delegati ad istituire il primo Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia.
Il “Santo Uffizio”, così chiamato, inizialmente si stabilì a Palazzo dei Normanni, dove rimase fino al 1551, tuttavia le carceri a disposizione non erano sufficienti e pertanto per questo motivo fu commissionato all’architetto Diego Sànchez la realizzazione di uno spazio carcerario più ampio.
Per la costruzione di tale struttura, venne scelto uno spazio alle spalle di Palazzo Chiaramonte Steri, che dai primi anni del 1600 divenne la nuova sede dell’Inquisizione Spagnola.
È il carcere segreto dell’Inquisizione, il luogo dove per due secoli, dai primi del Seicento al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio.
Per gli uomini del Sant’Uffizio i carcerati erano eretici, bestemmiatori, streghe, fattucchiere, amici del demonio. In realtà molti erano artisti, intellettuali scomodi, nemici dell’ortodossia politica e religiosa, oppure poveracci finiti negli ingranaggi di una gigantesca macchina di malagiustizia.
Piazza Marina divenne il luogo preferito dove eseguire i roghi e le esecuzioni dei condannati a morte.
Il 16 Marzo 1782 il tribunale del Sant’Uffizio venne ufficialmente abolito ed il viceré Caracciolo, profondamente contrario alle pratiche inquisitorie, non tardò ad ordinare la scarcerazione immediata dei prigionieri, nonchè purtroppo anche il rogo di tutti gli atti del tribunale, al fine di cancellare qualsiasi traccia dei soprusi, delle violenze, degli orrori delle segrete avvenute a Palazzo Steri.
Durante alcuni lavori di recupero e di restauro del palazzo, Giuseppe Pitrè, famosissimo etnografo palermitano, tra il 1906 e il 1907, dopo aver scavato per oltre sei mesi negli intonaci che avevano coperto tutte le possibili tracce, scoprì i Graffiti dello Steri, disegni e scritte lasciati dai prigionieri.
Un breve video che ho realizzato, molto suggestivo, ricostruisce, proprio attraverso la visione di quelle scritte e dei graffiti, la sofferenza di quei penitenziati ingiustamente detenuti la cui sola speranza di uscirne vivi, ritrovando la propria libertà, era solo la fede in Dio.
Ecco come @kenforflorida è diventato l'unico buon politico di #TikTok. L'articolo di @violastefanello è sul @DailyDot
ECCO COME KEN RUSSELL È DIVENTATO L'UNICO BUON POLITICO DI TIKTOK
Uno dei TikTok più importanti pubblicati da Ken Russell, pubblicato a giugno, inizia come molti altri sull'app di condivisione video: con una donna accovacciata sul pavimento per cambiarsi con un vestito succinto su una canzone di Megan Thee Stallion.
Le migliaia di utenti che sono rimasti in giro per guardare la fine del video, tuttavia, sono state colpite da una svolta inaspettata degli eventi: invece di cambiare l'abito di un creatore di contenuti, hanno visto il democratico della Florida Ken Russell cadere sul pavimento al ritmo della canzone prima di guardare vicino alla telecamera e chiedendo: “Ehi, sei registrato per votare? Ci sono le primarie il 23 agosto e le elezioni generali l'8 novembre!
Di Viola #Stefanello su #DailyDot
dailydot.com/debug/ken-russell…
How Ken Russell became TikTok’s only good politician
Ken Russell routinely goes viral on TikTok. But will his efforts give him enough of a bump to win a Florida primary race?Viola Stefanello (The Daily Dot)
L’infaticabile Emmanuel ZIMMERT ha appena aggiunto due nuove app online ai servizi liberi di La Digitale: si tratta di Digicut e Digitranscode.
Il primo permette di tagliare un estratto da un file audio o video utilizzando il solo browser,
il secondo permette di convertire file audio e video in diversi formati, sempre dal browser.
L’interfaccia è solo in francese, ma i comandi sono talmente semplici che sono comprensibili anche in questa lingua, si parte sempre dalla scelta di un file sul nostro computer (Sélectionner un fichier).
Per festeggiare questa doppia uscita agostana ecco una traduzione a/al caldo delle due brevi guide all’uso. I due documenti sono distribuiti con licenza Creative Commons BY-NC-SA.
I testi originali si trovano qui:
ladigitale.dev/blog/digicut-po…
ladigitale.dev/blog/digitransc… e
È sempre bene ricordare che gli strumenti di La Digitale sono messi a disposizione gratuitamente e sono finanziati in modo partecipativo, è possibile sostenere il progetto utilizzando questa pagina: opencollective.com/ladigitale
Digicut, per tagliare un estratto da un file audio o video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digicut è un'applicazione online che permette di tagliare un estratto da un file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) o da un video (.wmv, .avi , . webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server La Digitale.
L'operazione è molto semplice: basta navigare all'interno del file e cliccare sui pulsanti Définir début (Imposta inizio) e Définir fin (Imposta fine) negli orari definiti per indicare i punti di inizio e fine dell'estratto.
Per i video sono disponibili due impostazioni aggiuntive:
• la possibilità di effettuare catture in formato jpeg (pulsante con l'icona della fotocamera a destra del pulsante Estrai);
• la possibilità di salvare l'estratto con la massima precisione: l'elaborazione è molto più lenta, ma risolve i problemi di schermata nera all'inizio o alla fine dell'estratto.
Digitranscode, per convertire file audio e video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digitranscode è un'applicazione online che converte file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) e video (.wmv, .avi, .webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server di La Digitale.
Lo strumento offre anche impostazioni per ottimizzare le dimensioni dei file.
Per l'audio:
• qualità (velocità di trasmissione dati in Kb al secondo): 96 / 128 /192 / 256
• la frequenza di campionamento (in Hz): 22050 / 44100 / 48000
• il numero di canali: mono (1 canale) / stereo (2 canali)
• il formato di uscita: mp3, ogg, aac, m4a
Ad esempio, per ottimizzare un file audio con voce per la pubblicazione online: 96 o 128 kb/s / 44100 Hz / mono / ogg o mp3.
Per il video:
• qualità (bit rate video in Kb al secondo): qualità originale / da 1000 a 3000
• risoluzione (in pixel): risoluzione originale / 640x480 (SD) / 1280x720 (HD) / 1920x1080 (Full HD)
• il formato di uscita: mp4, webm, mkv, mov
Lo strumento consente anche di estrarre da un video la traccia audio in formato mp3 o di rimuovere la traccia audio dal file transcodificato.
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Transit
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in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Non è possibile perché quella è una funziona ereditata da ActivityPub, mentre Friendica pubblica anche col protocollo di Diaspora il quale non supporta questa funzione. Che comunque è stata richiesta EONI fa e probabilmente è nella loro 'to-do-list" ma non è una priorità.
Personalmente se aggiungere questa funzione signfica sacrificare ulteriormente la velocità con cui si accede ai nodi e vari sottonodi preferisco non averla...
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