CILE: l’estrema destra mobilita la maggioranza silenziosa
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 10 maggio 2023 – Sarà il Partito Repubblicano, formazione che raccoglie l’eredità politica e ideologica del regime fascista e turboliberista imposto da Augusto Pinochet dal 1973 al 1990, ad avere la maggioranza nel Consiglio Costituzionale di Santiago.
Il Consiglio Costituzionale in mano alla destra
L’organismo eletto domenica con il mandato di approvare una nuova bozza di Costituzione sarà quindi controllato dal partito di estrema destra guidato da José Antonio Kast, che ha raccolto il 35,5% dei consensi, riuscendo ad eleggere ben 23 dei 51 membri del Consiglio. I 3,3 milioni di voti ottenuti il 7 maggio fanno del Partito Repubblicano la formazione più votata in Cile dalla fine del regime. Si tratta di un risultato enorme, tenendo conto che alle elezioni per il Senato del 2021 il Pr aveva ottenuto un solo seggio e che era rimasto fuori dalla precedente assemblea costituente.
“Unità per il Cile”, la coalizione che sostiene l’attuale governo progressista di Gabriel Boric ha incassato il 28,4% e 16 seggi mentre altri 11 seggi (21,1%) vanno alla coalizione della destra liberale “Cile sicuro”. Dal Consiglio Costituzionale rimane invece fuori “Tutto per il Cile”, erede della “Concertación de Partidos por la Democracia” che ha a lungo governato il paese dopo la fine della dittatura; la coalizione di centrosinistra ha raggranellato solo il 9%. Nessun seggio anche per il Partito della Gente (5,4%), formazione di destra populista. Un seggio è stato invece attribuito, come previsto dalla legge elettorale, ad un rappresentante dei popoli indigeni del paese.
Record di voti nulli
Alle urne, anche in virtù dell’obbligatorietà del voto, si sono recati ben 12,8 milioni di aventi diritto, quasi l’85% del totale, con un’impennata apparente di partecipazione rispetto alle precedenti tornate elettorali. Ma l’enorme quota di voti nulli – 2,1 milioni, il 17% del totale – e di schede bianche – 565 mila, 4,55% – mostrano quanto siano diffusi il disinteresse e la disillusionetra gli elettori cileni.
Manifestante nel corso di una protesta nell’autunno del 2019
L’estallido social e la fase costituente
Il processo di revisione della Costituzione pinochettista è stato avviato il 25 ottobre del 2020 da uno storico referendum (approvato dal 78% dei votanti ma solo dal 38% degli aventi diritto, in una giornata caratterizzata da una forte astensione) convocato dal governo di destra di Sebastian Piñera per placare l’estallido social esploso in Cile nell’autunno del 2019. Formalmente le agitazioni sociali erano iniziate contro gli aumenti delle tariffe del trasporto pubblico, ma si erano presto estese alla richiesta di una riforma generalizzata di un sistema economico rigidamente liberista imposto durante la dittatura che affida ai grandi gruppi privati il controllo dei principali servizi pubblici e impedisce una qualsiasi seria redistribuzione della ricchezza. In piazza erano scesi soprattutto gli studenti e le donne, ma anche settori consistenti di lavoratori.
Nel 2021 era stata eletta (ma solo dal 43% degli aventi diritto) un’Assemblea Costituente composta da 155 membri, di cui 48 “indipendenti” spesso espressione dei movimenti sociali e della società civile. Ne era nato un testo contraddittorio che però aggrediva alcuni dei pilastri autoritari e liberisti imposti durante la dittatura.
Gli elettori bocciano la nuova costituzione
Nel referendum popolare convocato lo scorso 4 settembre, però, ben il 61,87% degli elettori ha bocciato la proposta di nuova Costituzione. Il “Rechazo” si è imposto in tutte le 16 regioni del Paese, raggiungendo punte del 74% nelle regioni del Nuble e dell’Araucania. Era il segno che la maggioranza della popolazione del paese non condivide le ansie riformiste e progressiste dei settori più avanzati della società cilena che si erano mobilitati nel 2019 e nel 2020. L’esito del voto di domenica scorsa conferma quanto sia forte nel paese il radicamento dell’ideologia reazionaria incarnata da José Antonio Kast.
«Il Cile ha sconfitto un governo fallito, che è stato incapace di affrontare le crisi della sicurezza, dell’immigrazione, le crisi economiche e sociali» ha commentato il leader dell’estrema destra.
L’ombra di Pinochet
Ora i repubblicani avranno il potere di veto all’interno dell’emiciclo e potranno probabilmente contare sul sostegno di “Cile sicuro” per controllare, con 33 seggi, la maggioranza del Consiglio incaricato di approvare una nuova bozza di Costituzione. Paradossalmente, saranno ora gli ammiratori del dittatore e delle sue politiche a dover riformare il testo costituzionale redatto durante il regime, che i Repubblicani ammettono di non avere alcuna intenzione di stravolgere.
Anche in questo caso, la Carta sfornata alla fine dei suoi lavori dal Consiglio – che sarà fortemente vincolato a una bozza a sua volta redatta dai 24 esperti designati il 6 marzo dal Congresso di Santiago – dovrà essere approvata da almeno i tre quinti dei membri dell’Assemblea per poi essere sottoposto al giudizio popolare. Il fatto che ad aprire i lavori della speciale commissione congressuale sia stato chiamato Hernán Larraín Fernández, che ebbe un ruolo non secondario durante il regime di Pinochet e che viene per questo contestato dalle organizzazioni per i diritti umani, lascia intendere quanto siano mutati, in soli due anni, gli equilibri politici del Cile.
L’esito del voto di domenica rappresenta un’ennesima doccia fredda per Gabriel Boric e il governo del paese, che dopo la bocciatura di settembre ha già tirato i remi in barca rispetto a molte delle riforme radicali promesse, che avevano portato la coalizione di sinistra “Apruebo Dignidad” (socialisti, comunisti, Frente Amplio, umanisti) a vincere le elezioni presidenziali, nel dicembre del 2021, proprio contro il leader dei repubblicani José Antonio Kast.
Josè Antonio Kast insieme all’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro
“Legge e ordine”. Kast mobilita la maggioranza silenziosa
Stavolta, però, la destra radicale è riuscita a mobilitare una vera e propria “maggioranza silenziosa”. Alle precedenti tornate elettorali aveva partecipato una quota assai minore di elettori, e molti di quelli che stavolta si sono recati alle urne, quando non hanno annullato la scheda, hanno confermato la propria fedeltà ai “valori” del passato regime o hanno espresso la propria paura nei confronti di cambiamenti legislativi e culturali percepiti come rischiosi.
Il campione della destra è riuscito a catalizzare l’attenzione degli elettori con un discorso basato sul sempreverde asse “legge ed ordine”, con i suoi strali contro gli immigrati illegali – soprattutto venezuelani, haitiani e peruviani – e l’aumento delle rapine e dei crimini violenti (che comunque non rendono il Cile il paese più insicuro del continente). La disillusione per le promesse non mantenute da Boric – che negli ultimi mesi rincorre, tra l’altro senza grande fortuna, i toni securitari della destra, abbandonando parte dell’agenda sociale che ne ha favorito la vittoria – e la rabbia sociale suscitata dall’aumento esorbitante dei prezzi degli alimenti e dei servizi fanno il resto.
Il risultato è che anche il secondo tentativo di riforma della costituzione potrebbe andare a vuoto, chiudendo chissà per quanto tempo la finestra apertasi nel 2020. Il referendum che dovrà seguire il varo della seconda bozza, infatti, potrebbe di nuovo bocciare il lavoro dei costituenti. Oppure, potrebbe approvare un testo non dissimile – forse ancora peggiore – da quello vergato nel 1980 dal generale Pinochet e dai suoi “Chicago Boys”, ma stavolta legittimato dal voto popolare proprio mentre il paese è governato da una coalizione di sinistra.
La sconfitta per il governo – che nei giorni scorsi è comunque riuscito a portare a casa la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali – arriva poco dopo che Boric ha presentato la sua ambiziosa proposta di aumentare il controllo statale sui progetti strategici del litio e creare una nuova compagnia nazionale per sfruttare il metallo bianco. L’esito del progetto – che si sta già scontrando con numerosi ostacoli di ordine tecnico e politico – chiarirà quanto è ancora forte la presa della maggioranza di sinistra sul paese. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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PAKISTAN. Mille manifestanti arrestati dopo il fermo dell’ex Premier Khan
Pagine Esteri, 10 maggio 2023. È attesa per oggi una grande manifestazione dei sostenitori di Imran Khan, l’ex Primo Ministro arrestato ieri mentre si trovava presso l’Alta Corte di Giustizia di Islamabad.
Il 70enne ex campione di cricket si trovava nella capitale per partecipare all’udienza del processo che lo vede imputato per corruzione. Dopo essere stato deposto da un voto di sfiducia, lo scorso anno, Imran Khan ha dichiarato di essere stato raggiunto da 85 capi di accusa, tra cui quelli di corruzione, terrorismo, oltraggio ai tribunali, sommosse, blasfemia.
Secondo Khan e il suo partito si tratta di un accanimento giudiziario guidato da ragioni strettamente politiche, interne ed esterne: il premier non era ben visto dagli Stati Uniti, anche a causa dei suoi legami con la Cina e la Russia.
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Khan era appena entrato nell’edificio che ospita l’Alta Corte di Giustizia quando l’area è stata circondata ed è stato fatto uscire da decine di paramilitari che lo hanno caricato su un veicolo e portato via. I membri del suo partito e i suoi legali hanno atteso che la stessa Corte di Giustizia si pronunciasse sulla legalità dell’arresto. Dopo qualche ora il fermo è stato definito legale ma in quel momento erano già in strada a centinaia i sostenitori dell’ex Primo Ministro, che secondo i sondaggi è ancora il leader più amato in Pakistan. Un manifestante è stato ucciso e a decine sono rimasti feriti.
Le autorità hanno fatto oggi sapere di aver arrestato quasi 1.000 persone nella provincia di Punjab e che durante gli scontri sono rimasti feriti 130 membri delle forze di sicurezza. Il governo ha dato l’ordine di dispiegare l’esercito nella provincia di Punjab.
L’accesso ai social network è stato bloccato per ordine del governo, e internet è stato messo fuori uso in alcune zone del Paese. Nonostante questo sono comparsi sui social video delle proteste ma anche delle violenze: edifici, checkpoint e luoghi simbolo dell’esercito e delle forze di polizie sono stati dati alle fiamme.
L’ex premier Khan portato via dai paramilitari
Il segretario generale del partito di Khan, Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), Asad Umar, ha dichiarato che elementi governativi sotto copertura si sono resi responsabili di violenze e incendi. Anche Asad Umar è stato arrestato oggi, non è ancora chiaro con quali accuse.
I social media risultano ancora inaccessibili, anzi, oggi si è aggiunto Instagram alla lista che ieri era composta solo da Facebook, Twitter e YouTube.
Secondo media pakistani Khan è stato portato in tribunale questa mattina. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Cina-Ue: Qin Gang corteggia la Germania
Investimenti cinesi in Europa ai minimi dal 2013
Arrestato magnate cinese per raccolta illegale di fondi
Nuove rotte tra Cina e Mar Mediterraneo
Cina: diritti riproduttivi in tribunale
L'ex premier in esilio Thaksin Shinawatra vuole tornare in Thailandia
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Digitalizziamo l’Italia
Come sostenere la digitalizzazione delle medie imprese e sfruttare le potenzialità dei distretti italiani del Big Data e dell’intelligenza artificiale.
La Fondazione Luigi Einaudi e Oliver Wyman vi aspettano per il primo di una serie di appuntamenti organizzati dal nuovo Osservatorio Digitale della Fondazione, con l’obiettivo di lavorare insieme e fare sistema.
Saluti istituzionali:
- Giuseppe Benedetto, Presidente, Fondazione Luigi Einaudi
Interverranno:
- Valentino Valentini, Viceministro, Ministero delle Imprese e del Made in Italy
- Andrea Cangini, Segretario Generale, Fondazione Luigi Einaudi
- Fabio Tomassini, Consigliere di amministrazione, Fondazione Luigi Einaudi
- Gianluca Sgueo, Coordinatore Dipartimento Digitale, Fondazione Luigi Einaudi
- Marco Grieco, Partner, Oliver Wyman
- Roberto Scaramella, Partner, Oliver Wyman
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Qin Gang in Europa: sanzioni e Canada ostacoli sulla distensione
Il ministro degli Esteri cinese tra Germania, Francia e Norvegia. Si cerca di immaginare un terreno comune sull'Ucraina, ma Pechino prova a slegare le relazioni dalla guerra. Intanto Xi Jinping prepara il vertice con le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale
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#30 / Sì, la privacy è un feticcio
Il feticcio della privacy
Il ministero dell’Interno ha recentemente annunciato di voler potenziare l’apparato di sorveglianza italiano introducendo sistemi di videosorveglianza con riconoscimento facciale nelle stazioni. Lo scopo è, come sempre, garantire più sicurezza.
Qualche giorno dopo Repubblica ha pubblicato un articolo a firma di Andrea Monti, giurista e professore universitario, intitolato “Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale”.
Se anche tu ami il feticcio della privacy, che aspetti a iscriverti?
Nell’articolo Monti cerca di spiegarci i motivi giuridici e tecnici per cui dovremmo accettare ogni proposta di sorveglianza “per la sicurezza” pacatamente e passivamente: è fuori discussione che il superiore interesse dello Stato e la tutela della collettività non possano essere globalmente limitati “in nome della privacy, dice Monti.
Il prof. Monti non è certo un paladino della privacy, che ha definito come “feticcio” più di una volta, arrivando anche ad affermare che non esiste come diritto autonomo, nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani affermi il contrario. In ogni caso, non è questo il punto.
Il prof. Monti infatti ha ragione da vendere: “opporsi all’impiego di tecnologia per garantire la sicurezza perché qualcuno potrebbe abusarne equivale ad affermare di non avere fiducia nelle istituzioni. Se così fosse, allora la inevitabile conseguenza logica di questa posizione sarebbe il dover entrare in clandestinità per rovesciare uno Stato che ha tradito gli ideali democratici. Chi ha il coraggio di fare un’affermazione del genere lanci il primo tweet”.
La sfiducia verso le “istituzioni” è esattamente il motivo per cui è lecito opporsi alla diffusione incontrollata di tecnologie di sorveglianza nelle nostre città. Di esempi di abuso ce ne sono molti, e non serve guardare lontano per comprendere il modo in cui un governo possa abusare dei suoi poteri di sorveglianza per opprimere determinati gruppi politici o minoranze. E ricordiamolo: la più piccola minoranza al mondo è l’individuo.
E se i governi cambiano nel tempo, ricordiamoci che una telecamera è invece per sempre. Le telecamere nelle nostre città aumentano sempre e non diminuiscono mai: la Cina, che continua a installare telecamere, è arrivata ad averne quasi 600 milioni.
Chi può assicurarci che la fiducia verso le istituzioni venga ripagata? Chi può assicurarci che fra 5, 10, 50 anni i sistemi di sorveglianza costruiti e potenziati nel tempo non saranno mai usati e abusati da qualcuno? Chi può assicurarci che lo Stato, in un determinato momento storico, non abbia il potere e l’incentivo di perseguire e opprimere milioni di persone per ciò che pensano o fanno? D’altronde, la storia ci insegna che è molto facile giustificare qualsiasi atrocità sotto l’egida della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico.
Affermare la supremazia dell’interesse di Stato e della collettività (che non esiste) sui diritti individuali, come la privacy, equivale a dire che alcuni uomini — i più violenti tra noi — hanno il diritto assoluto di disporre totalmente di tutti gli altri, giustificando così qualsiasi abuso e oppressione.
Sì, la privacy è un feticcio — un ostacolo al potere, che altrimenti sarebbe illimitato. È anche l’unico modo per vivere un’esistenza libera e morale. Senza privacy non può esserci alcuna libertà. Alla provocazione del prof. Monti non si può quindi che rispondere così:
We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.—That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed, —That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends, it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government.
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Tornano le tessere della fame
Da luglio 2023 saranno attive in Italia ben 1.300.000 “carte acquisti” per la spesa. Saranno postepay ricaricabili e daranno diritto di acquistare fino a €380 di beni alimentari autorizzati dal Ministero. Saranno ad esempio esclusi gli alcolici.
L’attribuzione delle nuove tessere annonarie passerà dai Comuni, che tramite INPS avranno a disposizione l’elenco dei beneficiari. I Comuni dovranno quindi verificare le anagrafiche e le informazioni relative ai nuclei familiari per assegnare le tessere ai più meritevoli — cioè coloro che casualmente possiedono i criteri arbitrari fissati per legge.
E se tra ordine pubblico e privacy vince sempre l’ordine pubblico, lo stesso può dirsi tra welfare e privacy. Ma noi eretici lo sappiamo bene: non esistono pasti gratis, e prima o poi arriverà qualcuno a chiedere il conto.
Exposed
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Meme del giorno
Citazione del giorno
There's no way to rule innocent men. The only power any government has is the power to crack down on criminals. Well, when there aren't enough criminals one makes them. One declares so many things to be a crime that it becomes impossible for men to live without breaking laws. Who wants a nation of law-abiding citizens? What's there in that for anyone?
Ayn Rand
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RiFormare
Una maggioranza s’insedia, un nuovo capo politico traccia per sé e la propria parte un tragitto di lungo futuro, proponendo di modificare la Costituzione. Non è la prima volta che capita. Non si può dire che porti fortuna.
A parte gli aggiustamenti e le integrazioni, due sono state le riforme costituzionali che sono giunte in porto: quella del 2001, che ha rivisto il Titolo V, e quella del 2019, che ha tagliato il numero dei parlamentari. La prima voluta con prepotenza dalla sinistra, la seconda avviata da Cinque Stelle e Lega, poi votata da quasi tutti. Due porcherie. Due premesse per le sconfitte elettorali. Al di là della malasorte, dietro i tentativi di riforma – compreso quello odierno – si cela un equivoco.
Dopo l’avventura distruttiva delle dittature, Germania (divisa) e Italia ricostruirono le loro democrazie con un ordito costituzionale che vedeva governi politicamente forti e istituzionalmente deboli. Comprensibile, visto il disastro e il disonore portato da uomini e regimi che si volevano istituzionalmente fortissimi. L’equivoco italiano consiste nella credenza superstiziosa che alla progressiva debolezza politica dei governi, resa enorme dall’avere voluto un sistema elettorale che premia le false coalizioni – di destra o di sinistra, non cambia – si possa rimediare dando loro forza istituzionale. Non funziona e non funzionerà mai.
Il tema non è quello del presidenzialismo, che alla Costituente fu sostenuto da forze della sinistra democratica (come il Partito d’Azione) e da chi antivide i rischi di quella che Maranini chiamò «partitocrazia». È un sistema più che legittimo, ma non consegna forza ai deboli. Non ha nulla a che vedere con i dispotismi, ma è il contrario dei personalismi. Può funzionare se si accompagna a un sistema elettorale maggioritario (il solo esempio europeo efficace è quello semipresidenziale francese, che utilizza il ballottaggio a doppio turno), che non serve a rendere forti le maggioranze ma a far governare la più forte delle minoranze. Se una parte politica è maggioranza assoluta può ben legiferare e governare con qualsiasi sistema. Il maggioritario serve quando non lo è. Il che comporta, però, il riconoscimento reciproco delle forze politiche, talché la vittoria di una non sia vissuta come la fine del sistema democratico. Guardatevi in giro e dite se è questa la condizione che ci circonda. Non da oggi, da decenni.
Nelle democrazie governare non è mai sinonimo di comandare. La democrazia è faticosa, comporta la continua costruzione del consenso nel mentre conserva come prezioso e indispensabile il dissenso. Nello stesso esempio francese, del resto, il presidente eletto a suffragio universale (dalla più forte minoranza, non dalla maggioranza) può essere da quello stesso suffragio battuto. A Macron è successo poche settimane dopo la rielezione.
Cambiare la Costituzione è possibile, è previsto, lo si è fatto. Nulla di scandaloso. Farlo dialogando con tutte le forze politiche, come Meloni intende fare, è saggio. Parlare fin da ora del referendum è stolto. Ma se il governo italiano è politicamente debole, perché frutto di minoranze disomogenee che diventano maggioranze parlamentari in modo artificiale e artefatto, non c’è verso alcuno di renderlo più solido. Semmai più rigido, propiziando il successivo spezzarsi. L’Italia funziona male non perché la democrazia sia faticosa e il parlamentarismo preveda l’arte del compromesso, ma perché le forze politiche preferiscono il compromesso al ribasso, la demagogia e il trasformismo in quanto evitano le sfide. Puoi pure eleggere un monarca (dopo Carlo III la voglia passa anche ai monarchici), ma il Paese resta fermo perché impastoiato nelle mancate riforme: dalla burocrazia alla concorrenza, dalla scuola alla giustizia.
Questo è l’equivoco. Al punto che si ha l’impressione, oggi come ieri, che parlare di riforme istituzionali serva, più che altro, a non parlare del resto. Riformare la Costituzione senza ri-formare la politica è un’illusione.
L'articolo RiFormare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Si chiama Europa l’ultima speranza degli Stati nazione
Sondaggi alla mano, eravamo, noi italiani, il popolo europeo più europeista finché le cose andavano bene; siamo diventati il meno europeista dal momento in cui, con la crisi finanziaria del 2008, le cose hanno cominciato ad andar male. Ora che le cose vanno così così, siamo nel mezzo della classifica degli Stati membri. È il segno che manca qualcosa. Manca qualcosa, per esempio lo spirito di sacrificio, a noi italiani. E manca qualcosa, per esempio il sentimento di un comune destino fondato su una reale comunanza politica, all’Europa.
Del resto, gli intellettuali lo sostengono da tempo. Ralph Dahrendorf nel 1994, ad esempio: “Oggi la Comunità europea è prevalentemente una Comunità di protezione di rami dell’economia un po’ depressi… è un parto della testa… non suscita e non sviluppa sentimenti di appartenenza”. E senza sentimenti nessuna identità politica è possibile.
Eppure, negli ultimi anni sono successe cose un tempo impensabili. L’aver fatto fronte comune sul Covid, l’aver impostato il Next generation Eu con stanziamenti a fondo perduto rappresentano non dei passi, ma dei balzi in avanti nella direzione di una Comunità realmente tale. E a quanti lamentano, sulla scorta di vecchie ideologie e ordinarie ossessioni, l’asservimento degli stati europei all’America nella crisi ucraina, va risposto che, posto che è evidentemente meglio trovarsi nello spazio geopolitico degli Stati Uniti piuttosto che in quello russo o cinese, l’alternativa è solo una: che l’Europa si dia una struttura istituzionale “politica” per poter poi darsi una difesa comune e di conseguenza poter avere una politica estera credibile ed effettivamente autonoma.
Del resto, non abbiamo alternative. In un mondo ormai globalizzato, nessuno Stato europeo può pensare di cavarsela da solo. Men che meno l’Italia, Stato strutturalmente fragile, per giunta da sempre ritenuto poco affidabile dalla comunità internazionale.
Anni fa chiesi a Francesco Cossiga, che allora era presidente della Repubblica, cosa spinse la classe dirigente italiana ad aderire a Maastricht. «La sfiducia nel carattere degli italiani – fu la risposta -. Cioè la consapevolezza che la virtù contabile non ci appartiene e che, pertanto, il male minore per l’Italia fosse quello d’essere obbligata alla moralità politica e alla morigeratezza economica da un vincolo esterno. Il vincolo europeo». Rabbrividii. Crescendo, e maturando esperienza, compresi che, per quanto amaro, quel ragionamento era fondato. E non valeva solo per l’Italia.
L’attuale conflitto politico-diplomatico tra l’Italia e la Francia, ad esempio, si presta a diverse letture, ma leggerlo alla luce della crisi degli Stati nazione aiuta, forse, a comprenderne meglio il senso più profondo. Osservate da questa prospettiva, infatti, le cose appaiono diverse. Meloni e Macron sembrano ammiragli nel pieno di un conflitto navale, sì, ma imbarcati sulla stessa barca. Una barca di cui si contendono la guida. È la barca dello Stato nazione. Una barca alla deriva.
Gli Stati nazionali hanno cominciato ad imbarcare acqua quarant’anni fa con l’avvio dei processi di finanziarizzazione dell’economia, di globalizzazione dei mercati, di cessione di sovranità ad organismi, autorità e istituzioni multinazionali, di migrazioni bibliche. È stato un crescendo. Ed è stato presto chiaro a molti quali effetti avrebbero avuto questi quattro colossali processi storici sulla tenuta di quella forma di ordine interno ed internazionale che ci rappresenta da un paio di secoli: lo Stato nazione, appunto.
Già negli anni Novanta a livello accademico il dibattito sembrava concluso con il generale riconoscimento di una verità di fondo: lo Stato nazione è in crisi. E si tratta di una crisi irreversibile. ”La fine dello Stato nazione” è il titolo, lapidario, di un saggio pubblicato nel 1995 dal politologo nippoamericano Kenichi Ohmae. Parlando delle élite politiche nazionali e locali, Ohmae la mise così: “Le aspettative crescenti degli elettori hanno in effetti modificato il loro ruolo: oggi essi sono soprattutto mercanti di denaro pubblico”. Cioè a dire che lo sviluppo del nuovo ordine nazionale ed internazionale lascia ai singoli governi i margini per dispensare qualche marchetta, non più quelli per impostare alcuna strategia.
Può non piacere, ma questa è la realtà. E in questa realtà si dibatte un Emmanuel Macron che finge di governare la Grande Francia e una Giorgia Meloni, che sembra aver capito quanto pensare di poter governare l’Italia contro l’Europa sia il proposito dei folli, ma che fatica ad affrancarsi dalla demagogia degli anni passati all’opposizione cavalcando tutte le onde “anti”: anche quella antieuropea incarnata da Marine Le Pen. Cosa che, con tutta evidenza, i francesi non le perdonano.
Perciò, essendo oggi la Giornata dell’Europa, è bene dare per acquisito che nessuno può fare a meno di coltivarne politicamente il sogno. Tanto meno noi italiani. È, dunque, bene aderire, e farlo anche con un certo entusiasmo, alle parole scritte nel lontano 1929 da Josè Ortega y Gasset ne “La ribellione delle masse”: «Se si facesse un’ideale esperimento di ridursi a vivere puramente con ciò che siamo, come “nazionali”, mediante un processo di pura immaginazione si estirpasse dell’uomo medio francese tutto quel che usa, pensa, sente per il tramite degli altri paesi continentali, sentirebbe terrore. Vedrebbe che non gli è possibile vivere di quello soltanto e che i quattro quinti del suo capitale intimo sono beni comuni europei».
Auguri di buon futuro all’Europa, la Patria dove risorge l’interesse nazionale.
Huffington Post
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Congo: i paesi dell’Africa Australe schierano un contingente contro i ribelli
di Redazione
Pagine Esteri, 9 maggio 2023 – I Paesi della Comunità economica dell’Africa australe (Sadc) hanno deciso di schierare un contingente di forze militari nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc) allo scopo di contrastare i gruppi ribelli.
La decisione è stata presa al termine di una riunione della troika – responsabile delle questioni di difesa e sicurezza dell’organizzazione regionale – che si è tenuta a Windhoek, in Namibia. Il vertice, ospitato dal presidente namibiano Hage Geingob, ha riunito il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, quello congolese Felix Tshisekedi e quello tanzaniano Samia Suluhu Hassan. Angola, Malawi e Zambia erano invece rappresentati dai rispettivi ministri degli Esteri.
«Il vertice ha preso atto con grande preoccupazione dell’instabilità e del deterioramento della situazione nell’est della Rdc e ha ribadito la sua ferma condanna per la recrudescenza dei conflitti e delle attività dei gruppi armati, compresi i ribelli dell’M23 (Movimento 23 marzo)» ha affermato l’organizzazione in un comunicato diffuso dopo una giornata di discussioni.
Il vertice di Windhoek ha anche chiesto «un approccio coordinato» in vista degli schieramenti esistenti «nell’ambito di accordi multilaterali e bilaterali» nella travagliata regione orientale della Rdc e invita il governo di Kinshasa a « mettere in atto le condizioni e le misure necessarie per garantire un coordinamento efficace».
Restano tuttavia ancora da definire diversi dettagli, come la data e le zone di schieramento delle truppe della coalizione di paesi. Dal dicembre scorso una forza militare regionale della Comunità dell’Africa orientale (Eac) è già dispiegata nella parte orientale della Rdc, principalmente in risposta alla minaccia rappresentata dal gruppo ribelle M23, che Kinshasasostiene sia appoggiato militarmente e finanziariamente dal Ruanda e, in misura minore, dall’Uganda.
I combattenti del movimento nei giorni scorsi hanno conquistato la città di Goma, capitale provinciale del Nord-Kivu, dopo che i soldati governativi si sono ritirati e le forze di pace delle Nazioni Unite hanno rinunciato a difenderla. Successivamente i miliziani dell’M23 hanno preso la vicina città di Sake.
La violenza ha costretto alla fuga più di 100.000 persone, più della metà delle quali sono bambini, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia.
Intanto nei giorni scorsi quasi 400 persone sono morte nell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc) a causa delle inondazioni provocate dalle forti piogge che hanno colpito il Paese. Giovedì, le forti piogge cadute nella regione di Kalehe, nel Sud Kivu, hanno causato lo straripamento dei fiumi, provocando frane che hanno inghiottito i villaggi di Bushushu e Nyamukubi. – Pagine Esteri
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Anche il Ministero si unisce alle celebrazioni con un evento che vedrà la partecipazione di 80 tra studenti e docenti in arrivo da tutta Italia, protagonisti di un laboratorio di tre giorni, che si concluderà proprio…
Buona Festa dell’Europa!
Nell’ambito del Maggio dei Libri, in occasione della Festa dell’Europa, Michele Gerace legge Alessandro Manzoni.
La lettura è tratta dall’Ode civile “Marzo 1821”, Alessandro Manzoni, Tutte le opere (Giunti Barbera, 1966)
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Festa dell’Europa 2023 – Michele Gerace legge Alessandro Manzoni
MA.CA.BRO -MECHANÈ
Secondo disco per i Ma.Ca.Bro, al secolo il duo Stefano Danusso e Cristiano Lo Mele il chitarrista dei Pertubazione, intitolato Mechanè. I due musicisti vantano una lunga militanza sulla scena musicale italiana, e si sono incontrati all’inizio degli anni duemila grazie al musicista Totò Zingaro e da quel momento hanno cominciato a collaborare componendo colonne sonore molto valide come “La passione di Anna Magnani” di Enrico Cerasuolo, “Manuale di storie dei cinema” di Stefano D’Antuono e Bruno Ugioli,“Linfe” di Lucio Viglierchio, “Incontro con le macchine” di Alessandro Bernard,“Phonetrip” di Moomie. #elettronica #chitarre #minimalismo #colonnesonore #macabro #mechanè @icebergrecords
Ma.Ca.Bro -Mechanè 2023
Ma.Ca.Bro -Mechanè - Ma.Ca.Bro -Mechanè : Una raccolta molto interessante ed intrigante, un lavorio sonoro e mentale che non è facile da trovare di tale livello. - Ma.Ca.BroMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
Pier Paolo Pasolini - Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia - 10/06/1974
2 giugno: sull'«Unità» in prima pagina c'è il titolo delle grandi occasioni e suona: «Viva la repubblica antifascista.»
Certo, viva la repubblica antifascista. Ma che senso reale ha questa frase? Cerchiamo di analizzarlo.
Essa in concreto nasce da due fatti, che la giustificano del resto pienamente: 1) La vittoria schiacciante del «no» il 12 maggio, 2) la strage fascista di Brescia del 28 dello stesso mese.
La vittoria del «no» è in realtà una sconfitta non solo di Fanfani e del Vaticano, ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista. Perché? Fanfani e il Vaticano hanno dimostrato di non aver capito niente di ciò che è successo nel nostro paese in questi ultimi dieci anni: il popolo italiano è risultato - in modo oggettivo e lampante - infinitamente più «progredito» di quanto essi pensassero, puntando ancora sul vecchio sanfedismo contadino e paleoindustriale.
Ma bisogna avere il coraggio intellettuale di dire che anche Berlinguer e il partito comunista italiano hanno dimostrato di non aver capito bene cos'è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni. Essi infatti non volevano il referendum; non volevano la «guerra di religione» ed erano estremamente timorosi sull'esito positivo delle votazioni. Anzi, su questo punto erano decisamente pessimisti. La «guerra di religione» è risultata invece poi un'astrusa, arcaica, superstiziosa previsione senza alcun fondamento.
Gli italiani si sono mostrati infinitamente più moderni di quanto il più ottimista dei comunisti fosse capace di immaginare. Sia il Vaticano che il Partito comunista hanno sbagliato la loro analisi sulla situazione «reale» dell'Italia.
Sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostrato di aver osservato male gli italiani e di non aver creduto alla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamente, al di là di ogni calcolo possibile.
Ora il Vaticano piange sul proprio errore. Il pci invece, finge di non averlo commesso ed esulta per l'insperato trionfo.
Ma è stato proprio un vero trionfo?
Io ho delle buone ragioni per dubitarne. Ormai è passato quasi un mese da quel felice 12 maggio e posso perciò permettermi di esercitare la mia critica senza temere di fare del disfattismo inopportuno.
La mia opinione è che il cinquantanove per cento dei «no», non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia: niente affatto: esso sta a dimostrare invece due cose:
1) che i «ceti medi» sono radicalmente - direi antropologicamente - cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell'ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. E' stato lo stesso Potere - attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l'imposizione della smania del consumo, la moda, l'informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) - a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.
2) che l'Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c'è più, e al suo posto c'è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante ecc.).
Il «no» è stato una vittoria, indubbiamente. Ma la reale indicazione che esso dà è quella di una «mutazione» della cultura italiana: che si allontana tanto dal fascismo tradizionale che dal progressismo socialista.
Se così stanno le cose, allora, che senso ha la «strage di Brescia» (come già quella di Milano)? Si tratta di una strage fascista, che implica dunque una indignazione antifascista? Se son le parole che contano, allora bisogna rispondere positivamente. Se sono i fatti allora la risposta non può essere che negativa; o per lo meno tale da rinnovare i vecchi termini del problema.
L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. E' questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neo-fascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano.
Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini.
L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
A compiere l'orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. E' un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla Famiglia? Sul perbenismo tradizionale, sulla moralità intollerante, sull'ordine militaresco portato nella vita civile? O, se tale fascismo si autodefinisce ancora, pervicacemente, come fondato su tutte queste cose, si tratta di un'autodefinizione sincera? Il criminale Esposti - per fare un esempio - nel caso che in Italia fosse stato restaurato, a suon di bombe, il fascismo, sarebbe stato disposto ad accettare l'Italia della sua falsa e retorica nostalgia? L'Italia non consumistica, economa e eroica (come lui la credeva)? L'Italia scomoda e rustica? L'Italia senza televisione e senza benessere? L'Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio? L'Italia con le donne chiuse in casa e semi-velate? No: è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello «sviluppo». Conquiste che vanificano, attraverso nient'altro che la loro letterale presenza -
divenuta totale e totalizzante - ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale.
Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos'è, allora?
I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all'enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente - ripeto - non c'è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo.
Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum, hanno prodotto - attraverso lo stesso meccanismo profondo - questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum.
Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l'avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969.
Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un'ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre - secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza - all'eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori. Quindi è inutile e retorico fingere di attribuire qualche reale responsabilità a questi giovani e al loro fascismo nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono e che contiene gli elementi per la loro follia pragmatica è, lo ripeto ancora una volta, la stessa dell'enorme maggioranza dei loro coetanei. Non procura solo a loro condizioni intollerabili di conformismo e di nevrosi, e quindi di estremismo (che è appunto la conflagrazione dovuta alla miscela di conformismo e nevrosi).
Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe il fascismo di Spinola, non quello di Caetano: cioè sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione.
pubblicato sul Corriere della Sera il 10 giugno 1974 con il titolo «Gli italiani non sono più quelli»
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
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Disponibile da oggi la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲
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Disponibile da oggi la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲
In questo terzo appuntamento viene presentato il Piano triennale di semplificazione del Mim, un progetto volto a snellire la burocrazia, semplificare le procedure e, con l’au…
Ministero dell'Istruzione
Disponibile da oggi la nuova puntata del format “Il #MinistroRisponde” 📲 In questo terzo appuntamento viene presentato il Piano triennale di semplificazione del Mim, un progetto volto a snellire la burocrazia, semplificare le procedure e, con l’au…Telegram
Il gigante dei browser Mozilla decolla con Mastodon
Con Mozilla, un nuovo, grande player sta sbarcando sul Fediverso. Anche altre società e piattaforme stanno lavorando a tali progetti. Il suo ingresso potrebbe potenziare e dare Maggiore risalto a #mastodon e a tutti gli altri software del #fediverso
Fediverse: Browser-Riese Mozilla startet bei Mastodon durch
Mit Mozilla tritt ein neuer, großer Akteur im Fediverse auf. Andere Firmen und Plattformen arbeiten auch an solchen Projekten. Ihr Einstieg könnte das dezentrale soziale Netzwerk beflügeln.netzpolitik.org
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Brezza - Dialogue Mapping
Brezza è il nome del nuovo inizio per Fabio che in questi ultimi tre anni ha prodotto molto e ricomincia da qui. "Dialogue mapping" è un disco di ambient elettroacustico, nato prendendo le mosse dall'improvvisazione dal vivo alla quale si aggiungono poi elementi diversi, come quando si disegna e si aggiungono linee, oggetti, persone e anche assenze e ombre.
#ambient #liveimpro #brezza #eniac #dialoguemapping #electronic #ambient #drones #electro-acoustic #electronica #glitch
iyezine.com/brezza-dialogue-ma…
Brezza - Dialogue Mapping - 2023
Brezza - Dialogue Mapping - Brezza è il nome del nuovo progetto di Fabio Battistetti già Eniac che conosciamo da anni su queste pagine e che ha pubblicato anche con la nostra label In Your Ears. - BrezzaMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
LOUD AS GIANTS – EMPTY HOMES
I Loud As Giants sono una coppia di musicisti di cui basta il nome per capire che la materia trattata è di alta qualità : Justin K. Broadrick e Dirk Serries. @Musica Agorà
iyezine.com/loud-as-giants-emp…
Loud As Giants - Empty Homes 2023
Loud As Giants - Empty Homes - I Loud As Giants sono una coppia di musicisti di cui basta il nome per capire che la materia trattata è di alta qualità : Justin K. Broadrick e Dirk Serries. - Loud As GiantsMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
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The Court of Justice confirmed that there is no "threshold" for GDPR damages
La Corte di giustizia ha confermato che non esiste una "soglia" per i danni da GDPR Oggi la CGUE ha emesso la prima decisione sui danni emotivi ai sensi del GDPR.
I miei stupidi intenti - Bernardo Zannoni
"La storia di un animale, di una faina che scopre il mondo, le sue verità e le sue menzogne. Come fosse un personaggio strappato a Camus, e al tempo stesso a un film della Pixar. Un esordio sorprendente.
«Esistono vari modi di strillare un libro magnifico. Ma solo un modo è giusto per I miei stupidi intenti: leggetelo, leggete questo romanzo in stato di grazia».
Marco Missiroli
Questa è la lunga vita di una faina, raccontata di suo pugno. Fra gli alberi dei boschi, le colline erbose, le tane sotterranee e la campagna soggiogata dall’uomo, si svela la storia di un animale diverso da tutti. Archy nasce una notte d’inverno, assieme ai suoi fratelli: alla madre hanno ucciso il compagno, e si ritrova a doverli crescere da sola.
Gli animali in questo libro parlano, usano i piatti per il cibo, stoviglie, tavoli, letti, accendono fuochi, ma il loro mondo rimane una lotta per la sopravvivenza, dura e spietata, come d’altronde è la natura. Sono mossi dalle necessità e dall’istinto, il più forte domina e chi perde deve arrangiarsi. È proprio intuendo la debolezza del figlio che la madre baratta Archy per una gallina e mezzo. Il suo nuovo padrone si chiama Solomon, ed è una vecchia volpe piena di segreti, che vive in cima a una collina. Questi cambiamenti sconvolgeranno la vita di Archy: gli amori rubati, la crudeltà quotidiana del vivere, il tempo presente e quello passato si manifesteranno ai suoi occhi con incredibile forza. Fra terrore e meraviglia, con il passare implacabile delle stagioni e il pungolo di nuovi desideri, si schiuderanno fra le sue zampe misteri e segreti. Archy sarà sempre meno animale, un miracolo silenzioso fra le foreste, un’anomalia. A contraltare, tra le pagine di questo libro, il miracolo di una narrazione trascinante, che accompagna il lettore in una dimensione non più umana, proprio quando lo pone di fronte alle domande essenziali del nostro essere uomini e donne.
I miei stupidi intenti è un romanzo ambizioso e limpido, ed è stato scritto da un ragazzo di soli venticinque anni. Come un segno di speranza, di futuro, per chi vive di libri."
Roberto Resoli reshared this.
Non solo una questione di #privacy: "Ministro Piantedosi, il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici è una pessima idea!" L'appello di Diletta Huyskes di #PrivacyNetwork_ su Wired
Il riconoscimento biometrico, specie quando implementato da autorità pubbliche, apre a una serie di rischi e minacce che vanno ben oltre, e che riguardano profondamente il cuore della libertà e della democrazia. L’esistenza stessa di questi strumenti nei luoghi pubblici, come le stazioni per esempio, dove transitano migliaia di persone diverse ogni giorno a prescindere da cosa fanno e dove il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, vuole installare telecamere con riconoscimento facciale per questioni di sicurezza, sottopone chiunque a una sorveglianza continua.
wired.it/article/riconosciment…
Piantedosi vuole introdurre il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici
Però non sa che c'è una moratoria fino a fine anno. E che serve il parere del Garante della privacy, che in passato ha bocciato queste iniziativeKevin Carboni (Wired Italia)
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Hanno fatto la festa al lavoro | Coniare Rivolta
"Il Consiglio dei ministri del 1° maggio 2023 sarà ricordato come uno dei momenti più alti dell’odio verso i lavoratori e i poveri manifestato da questo Governo, ma anche come esito prevedibile di una politica economica che la cosiddetta opposizione (politica e sindacale) contesta in maniera ingenua e approssimativa, quando va bene, o esplicitamente da destra (!) quando va male."
Prova senza `titolo` con #hashtag @menzione, _underscore e €strani &simboli
@Test: palestra e allenamenti :-)
Testar non nuoce
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Fr. #29 / Di statali cinesi, scetticismi e cypherpunk
Gli statali cinesi saranno pagati in digital yuan
È notizia della scorsa settimana1 che la città di Changshu, della provincia di Jiangsu, inizierà a pagare i dipendenti pubblici con lo yuan digitale a partire da questo mese. Il progetto è iniziato lo scorso anno e ci sono già stati dei test da luglio a settembre 2022 che hanno incluso circa 4.900 persone e un importo pari a 2.54 milioni di digital yuan.
“Le città di Changshu e Suzhou implementano il pagamento completo dello stipendio in renminbi digitale per i dipendenti pubblici”
In realtà, pare che un altro test fosse già iniziato nella città di Suzhou, che ha da poco concluso il primo quadrimestre del pilot. In 4 mesi sono state accumulate dalla città 8 milioni di transazioni, per un valore cumulativo di 170 miliardi di yuan. La città riporta circa 26 milioni di wallet personali e quasi 2 milioni di wallet “pubblici”.
La provincia di Jiangsu vuole creare un ecosistema integrato che possa portare a un’espansione incrementale già da gennaio 2024, includendo anche aree chiave come il commercio al dettaglio, gli stipendi privati e il turismo. Al momento sembra che ben 26 province siano impegnate in test di vario tipo, ma quella di Jiangsu promette di essere la provincia più all’avanguardia sul fronte del digital yuan entro il 2025.
Tempo fa scrivevo che il modo migliore per abituare le persone a usare le CBDC fosse obbligarle a pagarci tributi, imposte, tasse e bolli di vario tipo. Ma in effetti, la Cina fa ancora scuola: quale modo migliore se non sfruttare i dipendenti pubblici?
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Scetticismo verso il dollaro digitale
Michelle Bowman, membro della Federal Reserve Board of Governors, ha di recente offerto la sua opinione in merito all’evoluzione del dollaro in un discorso presso la Georgetown University2.
La sua è un’opinione che non ci si aspetterebbe da parte di chi dovrebbe essere tra i primi e più convinti propositori delle nuove CBDC. Eppure secondo Michelle è difficile pensare che il dollaro digitale possa sostituire sistemi come FedNow, una infrastruttura per i pagamenti elettronici in tempo reale sviluppata dalla Federal Reserve.
Aggiunge poi, c’è il rischio che una CBDC programmabile possa essere in contrasto con la flessibilità e libertà delle monete fisiche o dei depositi bancari, e c’è anche il rischio che questo possa portare alla politicizzazione dei sistemi di pagamento e nel modo in cui la moneta viene usata.
Attenzione però, per quanto ciò sia vero, a Michelle non interessa la vostra di libertà, ma quella della Federal Reserve. Infatti aggiunge: una CBDC con questo tipo di controllo potrebbe minacciare l’indipendenza della Federal Reserve.
Una moneta politicizzata non è altro che un sistema di social scoring sotto mentite spoglie. Negli Stati Uniti qualcuno, anche nella stessa banca centrale, si fa queste domande (anche se per i motivi sbagliati). Da noi, tutto tace. Eppure, l’euro digitale è quasi pronto.
Cypherpunk e altre storie, un viaggio nella storia della sorveglianza di massa
Nell’episodio di oggi del DOMÌNI Podcast parlo di sorveglianza di massa, del movimento cypherpunk e di molto altro, partendo dal 1930. Sì, perché è una storia lunga un secolo ormai.
Perché il Digital Services Act è una legge molto, molto pericolosa
Sempre in tema di interviste, oggi ne è uscita una su Atlantico Quotidiano in cui parlo del Digital Services Act, la nuova legge europea per la “lotta alla disinformazione” e molto altro.
In realtà di lotta alla disinformazione c’è ben poco, come ho già avuto occasione di ripetere più volte. È più una questione di controllo dell’informazione.
Meme del giorno
Citazione del giorno
La rivoluzione in Inghilterra è stata fatta unicamente in vista della libertà, mentre quella di Francia è stata fatta principalmente in vista dell'eguaglianza.
Alexis de Tocqueville
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js.people.com.cn/n2/2023/0424/…
cointelegraph.com/news/us-whol…
Il referendum sulle armi in Ucraina è a rischio ammissibilità, perché in una democrazia matura non ci sono scorciatoie
@Politica interna, europea e internazionale
Alcune considerazioni in punta di diritto sui referendum la cui raccolta delle firme è iniziata il 23 aprile scorso, con due quesiti sull’invio di armamenti
È iniziata il 23 aprile scorso la raccolta delle firme per il cosiddetto referendum pacifista, con due quesiti sull’invio di armamenti.Il primo, promosso dal comitato “Generazioni future”, si propone di abrogare la disposizione (d.l. n. 185/2022, convertito in l. n. 8/2023) che proroga «fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina». Il secondo quesito, presentato dal comitato Ripudia la Guerra, intende revocare all’esecutivo il potere di derogare al divieto di esportazione, transito e via dicendo di armi a paesi coinvolti nei conflitti. Il passaggio è nella norma della legge sull’invio di armamenti che consente tale deroga qualora essa sia disposta con «deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere» (n. 185/90).
L'articolo su @Valigia Blu a firma di @Vitalba è il miglior filo d'Arianna nel labirinto della complessità normativa
Qui il testo completo
Il referendum contro l’invio di armi all’Ucraina è a rischio inammissibilità
Il referendum contro l'invio di armi in Ucraina presenta due quesiti che potrebbero non essere ammessi dalla Corte costituzionale.Valigia Blu
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News da Marte #15 - Coelum Astronomia
"Bentornati su Marte! Oggi abbiamo parecchia carne al fuoco con aggiornamenti da terra, dall’aria e dallo spazio. Iniziamo con questi ultimi. Non solo MRO In questa rubrica vediamo spesso immagini e resoconti del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, ma ci sono numerosi altri satelliti artificiali attorno a Marte."
L'elettrico è il futuro (checchè ne dicano i no-tutto)
L'imprenditore del settore mobilità avveduto ha già capito questo e si è già dato da fare. Da buoni italiani però ci prendiamo sempre all'ultimo e allora corriamo da mamma a piangere inventandoci scuse bambinesche.
lamborghini.com/it-en/modelli/…
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🔊 #Risentiamoli ⏩ JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE"
Quella dei Jingo De Lunch sarà una parabola ascendente rapidissima, che li consacrerà quasi immediatamente tra le realtà più interessanti, per poi vederli sparire in modo quasi improvviso.
iyezine.com/riascoltiamoli-jin…
RIASCOLTIAMOLI - JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE" 1987
RIASCOLTIAMOLI - JINGO DE LUNCH "PERPETUUM MOBILE" - Quella dei Jingo De Lunch sarà una parabola ascendente rapidissima, che li consacrerà quasi immediatamente tra le realtà più interessanti, per poi vederli sparire in modo quasi improvviso.Marco Valenti (In Your Eyes ezine)
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Le cinque poesie di Pasolini pubblicate su Paese Sera il 5 gennaio 1974
Il significato del rimpianto
Poesia popolare
Appunto per una poesia lappone
La recessione
Appunto per una poesia in terrone
Pier Paolo Pasolini, La nuova gioventù. Poesie friulane 1941-1974, Torino, Einaudi, 1975
archive.org/details/glistruzzi…
( Gli Struzzi) Pier Paolo Pasolini La Nuova Gioventu Poesie Friulane 1941 1974 Einaudi ( 1975) : Pier Paolo Pasolini : Free Download, Borrow, and Streaming : Internet Archive
La nuova gioventù: poesie friulane 1941-1974, Turin: Einaudi, 1975.Description:La nuova gioventù è l’ultimo libro pubblicato in vita da Pier Paolo...Internet Archive
La lettera di Pasolini a Calvino, intitolata “Quello che rimpiango”
Caro Calvino,
Maurizio Ferrara dice che io rimpiango un’«età dell’oro», tu dici che rimpiango l’«Italietta»: tutti dicono che rimpiango qualcosa, facendo di questo rimpianto un valore negativo e quindi un facile bersaglio.
Ciò che io rimpiango (se si può parlare di rimpianto) l’ho detto chiaramente, sia pure in versi («Paese sera», 5-1-1974). Che degli altri abbiano fatto finta di non capire è naturale. Ma mi meraviglio che non abbia voluto capire tu (che non hai ragioni per farlo). Io rimpiangere l’«Italietta»? Ma allora tu non hai letto un solo verso delle Ceneri di Gramsci o di Calderón, non hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola inquadratura dei miei films, non sai niente di me! Perché tutto ciò che io ho fatto e sono, esclude per sua natura che io possa rimpiangere l’Italietta. A meno che tu non mi consideri radicalmente cambiato: cosa che fa parte della psicologia miracolistica degli italiani, ma che appunto per questo non mi par degna di te.
L’«Italietta» è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo? Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no. Può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l’angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l’arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose sulla sua persona. Ma se tutto questo posso dimenticarlo io, non devi però dimenticarlo tu…
D’altra parte questa «Italietta», per quel che mi riguarda, non è finita. Il linciaggio continua. Magari adesso a organizzarlo sarà l’«Espresso», vedi la noterella introduttiva («Espresso», 23-6-1974) ad alcuni interventi sulla mia tesi («Corriere della Sera», 10-6-1974): noterella in cui si ghigna per un titolo non dato da me, si estrapola lepidamente dal mio testo, naturalmente travisandolo orrendamente, e infine si getta su me il sospetto che io sia una specie di nuovo Plebe: operazione di cui finora avrei creduto capaci solo i teppisti del «Borghese».
Io so bene, caro Calvino, come si svolge la vita di un intellettuale. Lo so perché, in parte, è anche la mia vita. Letture, solitudini al laboratorio, cerchie in genere di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e sostanzialmente perbene. Ma io, come il dottor Hyde, ho un’altra vita. Nel vivere questa vita, devo rompere le barriere naturali (e innocenti) di classe. Sfondare le pareti dell’Italietta, e sospingermi quindi in un altro mondo: il mondo contadino, il mondo sottoproletario e il mondo operaio. L’ordine in cui elenco questi mondi riguarda l’importanza della mia esperienza personale, non la loro importanza oggettiva. Fino a pochi anni fa questo era il mondo preborghese, il mondo della classe dominata. Era solo per mere ragioni nazionali, o, meglio, statali, che esso faceva parte del territorio dell’Italietta. Al di fuori di questa pura e semplice formalità, tale mondo non coincideva affatto con l’Italia. L’universo contadino (cui appartengono le culture sottoproletarie urbane, e, appunto fino a pochi anni fa, quelle delle minoranze operaie – ché erano vere e proprie minoranze, come in Russia nel ’17) è un universo transnazionale: che addirittura non riconosce le nazioni. Esso è l’avanzo di una civiltà precedente (o di un cumulo di civiltà precedenti tutte molto analoghe fra loro), e la classe dominante (nazionalista) modellava tale avanzo secondo i propri interessi e i propri fini politici (per un lucano – penso a De Martino – la nazione a lui estranea, è stato prima il Regno Borbonico, poi l’Italia piemontese, poi l’Italia fascista, poi l’Italia attuale: senza soluzione di continuità).
È questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi anni fa, che io rimpiango (non per nulla dimoro il più a lungo possibile, nei paesi del Terzo Mondo, dove esso sopravvive ancora, benché il Terzo Mondo stia anch’esso entrando nell’orbita del cosiddetto Sviluppo).
Gli uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro, come non erano coinvolti, se non formalmente con l’Italietta. Essi vivevano quella che Chilanti ha chiamato l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita (tanto per essere estremamente elementari, e concludere con questo argomento).
Che io rimpianga o non rimpianga questo universo contadino, resta comunque affar mio. Ciò non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com’è la mia critica: anzi, tanto più lucidamente quanto più ne sono staccato, e quanto più accetto solo stoicamente di viverci.
Ho detto, e lo ripeto, che l’acculturazione del Centro consumistico, ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo (parlo ancora su scala mondiale, e mi riferisco dunque appunto anche alle culture del Terzo Mondo, cui le culture contadine italiane sono profondamente analoghe): il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico. La conformazione a tale modello si ha prima di tutto nel vissuto, nell’esistenziale: e quindi nel corpo e nel comportamento. È qui che si vivono i valori, non ancora espressi, della nuova cultura della civiltà dei consumi, cioè del nuovo e del più repressivo totalitarismo che si sia mai visto. Dal punto di vista del linguaggio verbale, si ha la riduzione di tutta la lingua a lingua comunicativa, con un enorme impoverimento dell’espressività. I dialetti (gli idiomi materni!) sono allontanati nel tempo e nello spazio: i figli sono costretti a non parlarli più perché vivono a Torino, a Milano o in Germania. Là dove si parlano ancora, essi hanno totalmente perso ogni loro potenzialità inventiva. Nessun ragazzo delle borgate romane sarebbe più in grado, per esempio, di capire il gergo dei miei romanzi di dieci-quindici anni fa: e, ironia della sorte!, sarebbe costretto a consultare l’annesso glossario come un buon borghese del Nord!
Naturalmente questa mia «visione» della nuova realtà culturale italiana è radicale: riguarda il fenomeno come fenomeno globale, non le sue eccezioni, le sue resistenze, le sue sopravvivenze.
Quando parlo di omologazione di tutti i giovani, per cui, dal suo corpo, dal suo comportamento e dalla sua ideologia inconscia e reale (l’edonismo consumistico) un giovane fascista non può essere distinto da tutti gli altri giovani, enuncio un fenomeno generale. So benissimo che ci sono dei giovani che si distinguono. Ma si tratta di giovani appartenenti alla nostra stessa élite, e condannati a essere ancora più infelici di noi: e quindi probabilmente anche migliori. Questo lo dico per una allusione («Paese sera», 21-6-1974) di Tullio De Mauro, che, dopo essersi dimenticato di invitarmi a un convegno linguistico di Bressanone, mi rimprovera di non esservi stato presente: là, egli dice, avrei visto alcune decine di giovani che avrebbero contraddetto le mie tesi. Cioè come a dire che se alcune decine di giovani usano il termine «euristica» ciò significa che l’uso di tale termine è praticato da cinquanta milioni di italiani.
Tu dirai: gli uomini sono sempre stati conformisti (tutti uguali uno all’altro) e ci sono sempre state delle élites. Io ti rispondo: sì, gli uomini sono sempre stati conformisti e il più possibile uguali l’uno all’altro, ma secondo la loro classe sociale. E, all’interno di tale distinzione di classe, secondo le loro particolari e concrete condizioni culturali (regionali). Oggi invece (e qui cade la «mutazione» antropologica) gli uomini sono conformisti e tutti uguali uno all’altro secondo un codice interclassista (studente uguale operaio, operaio del Nord uguale operaio del Sud): almeno potenzialmente, nell’ansiosa volontà di uniformarsi.
Infine, caro Calvino, vorrei farti notare una cosa. Non da moralista, ma da analista. Nella tua affrettata risposta alle mie tesi, sul «Messaggero», (18 giugno 1974) ti è scappata una frase doppiamente infelice. Si tratta della frase: «I giovani fascisti di oggi non li conosco e spero di non aver occasione di conoscerli.» Ma: 1) certamente non avrai mai tale occasione, anche perché se nello scompartimento di un treno, nella coda a un negozio, per strada, in un salotto, tu dovessi incontrare dei giovani fascisti, non li riconosceresti; 2) augurarsi di non incontrare mai dei giovani fascisti è una bestemmia, perché, al contrario, noi dovremmo far di tutto per individuarli e per incontrarli. Essi non sono i fatali e predestinati rappresentanti del Male: non sono nati per essere fascisti. Nessuno – quando sono diventati adolescenti e sono stati in grado di scegliere, secondo chissà quali ragioni e necessità – ha posto loro razzisticamente il marchio di fascisti. È una atroce forma di disperazione e nevrosi che spinge un giovane a una simile scelta; e forse sarebbe bastata una sola piccola diversa esperienza nella sua vita, un solo semplice incontro, perché il suo destino fosse diverso.
8 luglio 1974
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria.
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria.
Calvino e Pasolini. Una polemica letteraria. Città PasoliniCittà Pasolini (Pier Paolo Pasolini)
A scuola non bevo quasi mai, quindi riempiendo una volta la borraccia (di metallo) posso potenzialmente finire con il non riempirla di nuovo per delle settimane intere, perché non la finisco nel frattempo...
Eh, forse ogni tanto però l'acqua sarebbe buona cosa cambiarla, volevo bere stamattina ma ho dovuto rinunciare, il sapore era terrificante (che significa: stavolta lo era molto molto di più di altre volte) e probabilmente ci stanno pure batteri sussati lì dentro 💀
Nuovo disco dei Metallica
@Musica Agorà
iyezine.com/metallica-72-seaso…
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Il Processo a Julian Assange - Storia di una persecuzione.
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fabiolinux
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Andrea Russo
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