Ucraina: l’ottica realista
La portata della risposta dell’amministrazione Biden all’invasione dell’Ucraina ha già superato le aspettative di molti osservatori, per non parlare della leadership russa. Dalla condivisione dell’intelligence con Kiev prima dell’invasione all’imposizione di sanzioni senza precedenti sull’economia russa alla fornitura di armi sempre più potenti alle forze armate ucraine, gli Stati Uniti sono stati fondamentali per il fallimento […]
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Il price cap sul petrolio russo accelera il disaccoppiamento economico globale
Il price cap di 60 dollari al barile per il petrolio russo è una mossa controversa dell’Unione europea e del G7. Il tetto massimo proibisce agli assicuratori e alle compagnie di navigazione occidentali, che rappresentano oltre il 90% del settore delle assicurazioni marittime, di servire navi che trasportano petrolio russo superiore a 60 dollari al […]
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Georgia: l’opposizione annuncia la ‘primavera georgiana’
Questa settimana le forze di opposizione in Georgia, sotto forma dei partiti politici “Droa”, “Strategia Agmanshenebeli” e “Girchi”, hanno dichiarato guerra all’attuale governo. I leader di queste organizzazioni hanno annunciato l’inizio del “movimento di liberazione nazionale” volto a rovesciare il potere nelle mani dei cittadini. Gli obiettivi dichiarati della campagna per il potere sono la […]
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La #privacy è una questione collettiva. Il post di #FreakSpot
LA PRIVACY È UNA QUESTIONE COLLETTIVA
Molte persone danno una spiegazione personale sul motivo per cui proteggono o meno la loro privacy. Coloro a cui non importa molto si sentono dire che non hanno nulla da nascondere. Chi ci tiene lo fa per proteggersi da aziende senza scrupoli, stati repressivi, ecc. In entrambe le posizioni si presume spesso erroneamente che la privacy sia una questione personale, e non lo è.
La privacy è sia una questione individuale che pubblica. I dati raccolti da grandi aziende e governi sono usati raramente su base individuale. Possiamo intendere la privacy come un diritto dell'individuo in relazione alla comunità, come afferma Edward Snowden :
Sostenere che non ti interessa il diritto alla privacy perché non hai nulla da nascondere non è diverso dal dire che non ti interessa la libertà di parola perché non hai niente da dire.
I tuoi dati possono essere usati per il bene o per il male. I dati raccolti inutilmente e senza autorizzazione vengono spesso utilizzati per scopi negativi.
Gli Stati e le grandi aziende tecnologiche violano palesemente la nostra privacy. Molte persone acconsentono tacitamente sostenendo che non si può fare nulla per cambiarlo: le aziende hanno troppo potere ei governi non faranno nulla per cambiare le cose. E, certamente, quelle persone sono abituate a dare potere alle aziende che fanno soldi con i loro dati e quindi dicono agli stati che non saranno una spina nel fianco quando vogliono attuare politiche di sorveglianza di massa. Alla fine, danneggia la privacy di coloro a cui importa.
L'azione collettiva inizia con l'individuo. Ogni persona dovrebbe riflettere se sta fornendo dati su se stessa che non dovrebbe, se sta incoraggiando la crescita di società anti-privacy e, cosa più importante, se sta compromettendo la privacy di coloro che gli sono vicini. Il modo migliore per proteggere le informazioni private è non divulgarle. Con la consapevolezza del problema, i progetti sulla privacy possono essere sostenuti.
I dati personali sono molto preziosi — tanto che alcuni li chiamano il “nuovo petrolio” — non solo perché possono essere venduti a terzi, ma anche perché danno potere a chi li detiene. Quando li diamo ai governi, diamo loro il potere di controllarci. Quando li diamo alle aziende, diamo loro il potere di influenzare il nostro comportamento. In definitiva, la privacy è importante perché ci aiuta a preservare il potere che abbiamo sulle nostre vite che sono così intenzionati a toglierci. Non ho intenzione di regalare o vendere i miei dati, vero?
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Digitalizzazione escludente
Le barriere digitali per le persone straniere nell’accesso al welfare
Stando a Istat, le persone di cittadinanza straniera nel nostro paese sono più di 5 milioni. La loro permanenza è legata ad un permesso di soggiorno di categorie e durate differenti, stabilite sulla base della motivazione per la quale arrivano in Italia. Insieme alla permanenza dovrebbero essere garantiti una serie di diritti civili tra cui l’accesso a benefit e servizi, ma come ha potuto constatare il team di ricerca non sempre è così. Il dibattito pubblico si concentra spesso su un presunto accesso indebito delle persone straniere al welfare sociale, tralasciando totalmente il fatto che la popolazione straniera presenta un tasso di povertà molto elevato (una persona su quattro vive in uno stato di povertà assoluta) e che circa il 6,6% del totale dei contributi sono versati proprio da cittadini non comunitari. Nel momento in cui ne hanno bisogno, però, in cambio ricevono solo lo 0,4% di quanto versato.
Da ormai quindici anni la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, l’e-government è diventata un mantra tra politici e decisori, utilizzato come sinonimo di maggiore efficienza e di progresso del settore pubblico. Si fonda su un’idea per cui l’interazione tra il cittadino e gli organi dello stato avviene di default attraverso strumenti digitali, in autonomia, secondo una retorica di efficienza, rapidità, standardizzazione e semplificazione; dando origine a un contesto in cui le tecnologie diventano la premessa per l’accesso al welfare. La premessa per il welfare è di essere orientato verso il sociale, in modo che benefit e servizi siano distribuiti come beneficio per la società: i processi di digitalizzazione sembrano invece essere orientati senza tenere conto di criteri etici.
Un aspetto che non tiene troppo in considerazione le difficoltà che una sempre maggiore “tecnologizzazione” dei processi potrebbe favorire. Anche in questo settore, seppur sia difficile da intravedere, esistono inclusi ed esclusi: i primi sono i cittadini italiani (anche se in questo caso ci sono delle eccezioni, come le persone senza fissa dimora), i secondi sono le persone straniere che nel nostro Paese sono venute per ragioni di tipo economico, sociale o politico. Una dicotomia che nasce dalla falsa possibilità di accedere a portali e siti web, sia per richiedere prestazioni sociali sia per ottenere informazioni su questi ultimi.
Una situazione paradossale poiché probabilmente sono proprio le persone straniere che non hanno un contatto con il tessuto sociale italiano ad avere bisogno di accedere in modo sostanziale al welfare. Non ci sono però indagini statistiche nazionali sul livello di alfabetizzazione digitale delle persone straniere, mancanza che non permette di riconoscere il divario digitale esistente tra chi nasce in Italia e chi nel paese ci arriva per questioni lavorative, economiche o di violazione di diritti umani. Un divario digitale che non dovrebbe essere scambiato con “il saper utilizzare uno smartphone”, uno strumento che in certi casi specifici non è il migliore alleato per richiedere a un ente come Inps un beneficio sociale.
Nonostante la mancanza di dati concreti sull’alfabetizzazione digitale delle persone straniere, che ricordiamo in Italia sono più di 5 milioni, nel 2020 è stato rilasciato il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione, con l’obiettivo di realizzare la piena digitalizzazione dei servizi pubblici sul territorio italiano.
Da allora, le pubbliche amministrazioni hanno implementato diverse iniziative. INPS dispone di un sito informativo e di un portale online dedicato all’inoltro di richieste per prestazioni sociali. INPS ha inoltre lanciato INPS Mobile, una app istituzionale che dà accesso a numerosi servizi di consultazione e di invio di documenti. Un portale, ANPR, relativo all’iscrizione anagrafica e al cambio di residenza è nelle sue fasi finali di implementazione.
Il decreto-legge n. 76/2020 ha stabilito che, a partire dal 2021, l’accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione deve avvenire attraverso identità digitali: Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), la Carta di Identità Elettronica (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS). Dallo stesso anno INPS non accetta altro tipo di autenticazione l’accesso ai suoi portali e ai servizi. Le identità digitali presentano però dei pre requisiti giuridici, come essere in possesso di carta d’identità o essere iscritti all’anagrafe, che possono rappresentare un ostacolo per la popolazione straniera.
In questo report sono state analizzate in dettaglio molte prestazioni sociali e benefit, quali l’assegno per il Nucleo Familiare (ANF), l’assegno mensile di invalidità civile, l’assegno di maternità per lavoratrici atipiche (Assegno di maternità dello Stato), l’assegno sociale; l’assegno unico e universale (AUU); il bonus asilo nido; la carta acquisti ordinaria; l’indennità di accompagnamento agli invalidi civili; l’indennità mensile di frequenza; la pensione di inabilità; il Reddito di Cittadinanza/Pensione di Cittadinanza; il reddito di libertà.
Per ogni prestazione sono stati considerati i requisiti di accesso e le modalità di richiesta, che in questo secondo caso spesso avviene online solo dopo un’autenticazione tramite identità digitale. È emerso un quadro variegato, per cui alcuni permessi di soggiorno e requisiti di residenza restringono le possibilità di accesso a benefit e servizi, ma non solo. I servizi online sono integralmente accessibili solo in lingua italiana, e richiedono competenze digitali nonché un livello di alfabetizzazione elevato. Stando alla situazione attuale e vista la mancanza di previsioni differenti sul tema, il processo di digitalizzazione delle Pubbliche amministrazioni – ulteriormente favorito dai finanziamenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) – non è uguale per tutti e a farne le spese saranno perlopiù le persone straniere, e vulnerabili.
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La Russia sta perdendo la guerra energetica
Vladimir Putin prevedeva di utilizzare le esportazioni di gas questo inverno per ricattare l’Europa e indebolire il sostegno occidentale all’Ucraina. Invece, questa tattica sembra aver fallito in modo disastroso e minato in modo critico la posizione della Russia sui mercati energetici europei. Nel settembre 2022, avevo anticipato che il piano di Putin di tagliare le […]
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La Marina alla prova dell’underwater. Intervista all’amm. Credendino
Il Mediterraneo allargato è ormai riconosciuto quale scenario strategico di riferimento del nostro Paese, e la principale regione dove si svolgono gli interessi nazionali italiani. Dal Golfo Persico a quello di Guinea, passando per il Mare nostrum, la Marina militare è chiamata a vigilare e pattugliare queste acque, anche sotto la superficie mare. Sempre più importante è, infatti, la dimensione underwater, dove passano i collegamenti energetici e delle comunicazioni. Un dominio che ha bisogno di regole, investimenti e tecnologie. Di tutto questo, Airpress ne ha parlato con il capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Enrico Credendino.
Ammiraglio, l’Italia sta giocando la sua partita per concorrere alla leadership nel Mediterraneo. In questa sfida la Marina militare italiana ha un ruolo centrale. Quali sono i principali obiettivi che, di concerto con le altre Forze armate e il governo, la Marina vuole ottenere nel 2023?
Il ministero della Difesa ha di recente emanato la sua nuova Direttiva strategica per la sicurezza nel Mediterraneo allargato, il primo documento governativo per che definisce l’Italia una potenza regionale a prevalente connotazione marittima. Il documento inquadra, dunque, l’attività militare italiana nel Mare nostrum, in un’ottica interforze, multidimensionale e inter-agenzia, ma con un fattore-chiave: il mare. L’Italia riconosce la sua “marittimità”, una proiezione dove lavorano tutte le Forze armate, ma che richiede naturalmente una presenza e un elevatissimo impegno per la Marina militare, soprattutto rispetto al passato.
Un impegno reso più importante anche dall’invasione russa…
Gli effetti della guerra in Ucraina si vedono soprattutto con l’aumento della flotta russa nel Mediterraneo, che ha raggiunto livelli anche superiori rispetto alla Guerra fredda. Al momento ci sono una decina di navi russe, ma si sono toccate quote anche di una ventina, alle quali si aggiungono le oltre venti stazionate nel Mar Nero. Una presenza che di per sé non è una minaccia diretta all’Italia, ma aumenta la tensione e richiede alla Marina di essere più presente, con una media di 15/20 unità in mare al giorno, tra navi, sommergibili e aerei. Inoltre, gli Stati Uniti hanno spostato il loro focus all’Indo-Pacifico, e sebbene ora ci sia un gruppo portaerei Usa in risposta al conflitto ucraino, prima o poi se ne andrà e quando la situazione si normalizzerà sarà dislocata in Indo-pacifico. Starà allora all’Italia assumere la responsabilità di presidiare il Mare Nostrum.
Nello scenario mediterraneo acquista un ruolo chiave la base di Taranto. Che ruolo avrà la città pugliese nel suo ruolo di Comando Multinazionale Marittimo per il Sud della Nato? Che tipo di implementazioni della struttura saranno messe in campo, e con che tempi?
Taranto rappresenta la principale base navale della Marina, con le navi combattenti di prima linea e il gruppo portaerei. A questa si associano la base aerea di Grottaglie, e la base del gruppo anfibio di Brindisi. Messe insieme, queste risorse esprimono la capacità expeditionary dell’Italia, uno dei pochi Paesi al mondo ad avere la possibilità di mettere in mare una Expeditionary Task Force (Etf), la somma tra il gruppo anfibio e il gruppo portaerei con gli F-35. In questo contesto, Taranto si sta sviluppando secondo il progetto “Base blu”, che prevede nei prossimi dieci anni un investimento importante per ammodernare le banchine e le infrastrutture della base e, insieme al cosiddetto “piano Brin”, l’arsenale. Nella base, inoltre, si sta istituendo il Comando Multinazionale Marittimo per il Sud della Nato, un comando marittimo “deployable” che sarà operativo nel 2024. Si tratterà di personale sempre pronto a imbarcarsi per gestire le operazioni in ambito Nato, lavorando con il comando Joint di Napoli o il Comando marittimo dell’Alleanza.
Le Forze armate italiane hanno ormai adottato l’approccio all-domain come dottrina per la pianificazione delle operazioni. Come si declina questo approccio per la dimensione marittima, pensiamo in particolare alle capacità anfibie o a quelle aeronavali?
La Marina è all-domain e interforze per sua stessa natura, operando sopra, sotto, sulla e vicino la superficie del mare da sempre, a fianco delle Forze Armate e, appieno, parte integrante della Difesa. Per cui abbiamo fin dalla nascita la mentalità a operare in tutte le dimensioni, e l’all-domain non è che una evoluzione di questo, con l’aggiunta del cyber e dello spazio. Inoltre, tutte le nuove unità navali sono pensate per operare nel multi-dominio, con la nave che è già, di fatto, un sistema di sistemi, dovendo integrare i diversi assetti di piattaforma e gli eventuali mezzi imbarcati, oggi, anche unmanned.
Quali sono i principali orientamenti strategici e quali le soluzioni operative individuate per garantire la sicurezza delle infrastrutture sottomarine, sempre più strategiche e la cui importanza è stata messa in risalto anche dal danneggiamento del Nord Stream 2?
Subito dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2, avvenuto in mar Baltico nel settembre 2022, è stata attivata la missione Fondali Sicuri che prevede l’impiego di unità di superficie, cacciamine e ulteriori assetti specialistici, per la sorveglianza delle infrastrutture strategiche sottomarine nazionali. L’attenzione verso tale settore delle operazioni è altissima.
Del resto, occorre considerare che il dominio subacqueo costituisce la nuova, vera, quinta dimensione fisica. Oggi si parla di terra, mare, cielo e spazio, e per mare si intende tutto. Invece, le leggi fisiche che regolano la dimensione subacquea sono completamente diverse da quelle che caratterizzano la superfice del mare. Peraltro, nonostante si creda che Internet viaggi prevalentemente via satellite, ben il 98% dei dati passa attraverso dorsali e connessioni situate sotto la superficie del mare. In particolare, sui fondali del Mediterraneo sono stesi cavi per le comunicazioni tra Europa, Asia e Africa, oltre alle condotte energetiche che dall’Algeria, dalla Tunisia, dall’Albania arrivano in Italia. La Marina dovrà dunque essere in grado di vigilare l’underwater, e per questo, occorrerà sviluppare nuove tecnologie, investire fondi considerevoli e, soprattutto, fare sinergia. In tal senso, in esito a una risoluzione della precedente legislatura, è stato attivato a La Spezia il Polo nazionale della subacquea, la cui guida è affidata alla Marina, e che coinvolgerà tutto il cluster marittimo che lavora sul mondo subacqueo, dai ministeri della Difesa e delle Imprese, all’università e all’industria.
Quali sono le priorità per il mondo underwater?
Il problema è che si è investito molto poco sul mondo subacqueo. Si è investito di più nel settore spaziale che in quello underwater, con il risultato che oggi conosciamo meglio la superficie di Giove che non i fondali marini, inesplorati per il 98%. Ma lo spazio è lontano, quello di cui stiamo parlando invece è casa nostra. Mancano poi delle regole, perché non c’è un’autorità per lo spazio subacqueo. Bisogna ancora definire dove inizia la dimensione subacquea: se nello spazio il confine è a cento chilometri di altezza (la cosiddetta linea di Karman), sott’acqua dov’è? Dove arriva l’onda elettromagnetica o dove arriva la luce? A livello legale, inoltre, è quasi impossibile attribuire la responsabilità in caso di incidenti, intenzionali o accidentali, a causa della difficoltà di osservare il mondo sottomarino. I satelliti non vedono sott’acqua, perché l’onda elettromagnetica non arriva sotto la superficie del mare. È un mondo le cui regole fisiche impongono soluzioni ad hoc, con profondità che nel Mediterraneo arrivano fino a cinquemila metri, dove non si può intervenire con gli operatori, perché gli scafandri ci consentono di operare fino a un massimo di circa trecento metri. Sarà quindi un mondo abitato essenzialmente da sciami di droni rilasciati da una nave madre, anch’essa unmanned, controllato anche da network di sensori di fondo, come le cortine e catene idrofoniche
Alla luce dei rapporti complicati tra Italia e Francia, ritiene che questo potrebbe avere degli impatti sulla collaborazione cantieristica tra i due Paesi?
Sinceramente non credo. Sicuramente da un punto di vista tecnico, a livello operativo, stiamo lavorando in totale sintonia con i francesi. Di recente la Marina militare italiana ha messo a disposizione del gruppo portaerei francese una nave per circa un mese, e ho ricevuto il ringraziamento personale del comandante della Marine nationale, l’ammiraglio Pierre Vandier, che tra l’altro a settembre del 2022 ha ricevuto l’onore al merito della Repubblica italiana. Io stesso sono stato l’unico capo di Forza armata straniero invitato il 14 luglio scorso alla sfilata per il Giorno della Bastiglia a Parigi.
Quali sono le missioni all’estero più sensibili per la Marina militare italiana nel 2023?
La Marina lavora ed è presente in tutto il Mediterraneo allargato. La nuova operazione Mediterraneo sicuro ha esteso l’area della missione Mare sicuro – inizialmente limitata alle acque antistanti la Libia – fino a comprendere le acque delle Baleari fino alla Siria e i Dardanelli a est, dove abbiamo sempre almeno sei unità in mare, tra navi e sommergibili. La missione è anche una dichiarazione agli alleati del fatto che l’Italia vuole assumere, e siamo seri nel farlo, la responsabilità della sicurezza nel Mediterraneo. La Marina è poi presente nel Golfo di Guinea, dove passano diversi interessi energetici e mercantili, a contrasto di un importante fenomeno di pirateria. Siamo presenti ormai da tempo in Somalia con la missione Ue Atalanta, grazie alla quale il fenomeno della pirateria in Corno d’Africa è stato posto sotto controllo e, più di recente, nello stretto di Hormuz con la nuova operazione europea Agenor-Emasoh. Prosegue, inoltre, in mar rosso, l’impegno del pattugliamento nell’ambito della Multinational Force Observers sotto egida delle Nazioni Unite e non escludo, nel 2023, l’impegno nella Maritime Task Force in Libano, anch’essa sotto Onu (Mtf – Unifil), per la quale l’Italia ha anche assicurato la disponibilità ad acquisire il Comando. Abbiamo poi una nave nell’Artico per vigilare sulla possibile apertura della rotta artica e a breve nave Morosini si addestrerà insieme agli alleati e alle marine amiche nell’Indo-Pacifico. Un’occasione anche per contribuire alla possibile esportazione del prodotto nazionale. Infine, a luglio il Vespucci partirà per il giro del mondo.
Un generale USA di alto grado ha detto in privato al Ministro della Difesa inglese Ben Wallace che l'esercito britannico non è più considerato una forza combattente di alto livello
L'esercito inglese può competere ad alti livelli?
@Notizie dall'Italia e dal mondo
"In conclusione... è un intero servizio incapace di proteggere il Regno Unito e i nostri alleati per un decennio"
Questa è l'impietosa valutazione che un generale USA ha espresso a proposito dell'esercito di sua maestà.
"La storia guarderà indietro alle scelte che faranno nelle prossime settimane come fondamentali per capire se questo governo crede veramente che il suo dovere principale sia la difesa del regno o se questo è solo uno slogan da dare a parole
Non si tratterebbe solo di provocazioni USA per fare pressioni politiche sul primo ministro Rishi Sunak, ma di una valutazione oggettiva. In caso di guerre, infatti:
- Le forze armate finirebbero le munizioni "in pochi giorni" se chiamate a combattere
- Il Regno Unito non ha la capacità di difendere i propri cieli dal livello di attacchi missilistici e di droni che l'Ucraina sta sopportando
- Ci vorrebbero dai cinque ai dieci anni prima che l'esercito fosse in grado di schierare una divisione combattente di circa 25.000-30.000 soldati sostenuti da carri armati, artiglieria ed elicotteri
- Circa il 30% delle forze britanniche in alta prontezza sono riservisti che non sono in grado di mobilitarsi entro i tempi della NATO - "quindi ci presenteremmo in forza"
- La maggior parte della flotta di veicoli corazzati dell'esercito, compresi i carri armati, è stata costruita tra 30 e 60 anni fa e le sostituzioni complete non sono previste per anni
L'articolo di Deborah Haynes, Security and Defence Editor di SkyNews, è disponibile qui
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La guerra in Ucraina si congelerà inevitabilmente?
La guerra in Ucraina è al suo dodicesimo mese e non accenna a finire. Al contrario, la guerra si sta intensificando sui fronti di battaglia del Donbass e contro i civili nelle città di tutta l’Ucraina. La carneficina sta distruggendo il Paese, devastando le sue infrastrutture di servizi pubblici, minacciando gli impianti di energia nucleare […]
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World Economic Forum di Davos 2023: dal ‘Grande Reset’ alla ‘Grande Frammentazione’
Dopo oltre mezzo secolo dalla prima edizione del World Economic Forum (WEF), nel 2023 si è svolta la sua 53a edizione che ha riunito una parte importante delle personalità del mondo politico, economico e finanziario, dei media e non solo o, detto brevemente, la plutocrazia del pianeta e i suoi settori collegati. Ricordo che se […]
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Dove posizionare una centrale nucleare sulla Luna?
E dunque, come abbiamo scritto nei giorni scorsi, una centrale nucleare sulla Luna è necessaria, è possibile e soprattutto può essere sicura. Allora ricapitoliamo i punti fondamentali di quanto raccontato recentemente, prima di addentrarci su un altro nodo che è importante come tutte le decisioni che si dovranno prendere per affrontare un problema così complesso. […]
L'articolo Dove posizionare una centrale nucleare sulla Luna? proviene da L'Indro.
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Hey ChatGPT, spiegami le privacy policy di Google, Facebook e TikTok come se avessi 13 anni.
Come forse saprete, le privacy policy di Google, Facebook e TikTok sono documenti lunghissimi che richiedono almeno 40 minuti per una lettura completa. Ma il tempo che serve per leggerle da cima a fondo non è il solo problema. Sono anche documenti complessi da comprendere e difficilmente fruibili per una persona con scarse competenze sul tema — figurarsi per un bambino che usa questi servizi!
Per questo allora ho voluto sperimentare con ChatGPT, chiedendo di tradurre in termini semplici e comprensibili per un bambino di 13 anni queste lunghissime e complesse privacy policy.
Sei già iscritto a Privacy Chronicles? No? Che aspetti!
Scansiona il codice QR con il tuo wallet LN oppure clicca qui!
La fonte delle informazioni è stata la privacy policy stessa, io mi sono limitato a fornire il link. Nel prompt ho indicato a ChatGPT di includere obbligatoriamente alcuni dettagli:
- Una sintesi dell’originale, facilmente comprensibile da un bambino di 13 anni
- Includere una breve spiegazione del significato di dato personale
- Includere qualche dettaglio su: dati trattati, fonti dei dati, trasferimenti dei dati ed eventuali terze parti
- Includere qualche dettaglio sui periodi di conservazione dei dati
- Avvertire l’utente sui rischi della profilazione, con un esempio pratico comprensibile a un bambino
- Includere istruzioni per cambiare le impostazioni privacy e cancellare l’account
- Se presenti, includere un avvertimento su eventuali violazioni di dati o cattiva condotta da parte del servizio.
Ho fatto diverse prove per un’oretta. Non sempre i testi prodotti erano in grado di soddisfare i requisiti richiesti. Tuttavia credo che il risultato sia comunque interessante, sia per comprendere le potenzialità di uno strumento del genere che per avere un’estrema sintesi del trattamento dati di questi tre colossi.
Purtroppo i risultati in italiano non avevano la stessa qualità di quelli in inglese, quindi vi propongo quelli:
Google collects information about you, including your personal data, when you use their services like Google Search, Gmail, YouTube, and others. Personal data means information that can be used to identify you, like your name, email address, and location.
Google gets this information from different sources, like when you create a Google account, or when you search the internet, watch videos on YouTube, or use Google Maps. Google may also share your personal data with other companies, like advertisers, to show you ads that might interest you.
It's important to know that when Google shares your personal data with advertisers, it can be used to profile you, like what kind of things you like, what you search for online, and where you go. For example, if you search for information about animals, you might see ads for zoos or pet stores.
Google keeps your personal data for as long as they need it to provide you with their services and improve them. You can change your privacy settings at any time by going to your Google account settings, where you can choose what information Google collects and how they use it. If you want to stop using Google's services and delete your account, you can follow these easy steps:
To change your privacy settings:
- Go to your Google account (myaccount.google.com/)
- Click on "Data & Personalization"
- Review and adjust your settings as needed.
To delete your Google account:
- Go to your Google account (myaccount.google.com/)
- Click on "Data & Personalization"
- Scroll down to "Download, delete, or make a plan for your data"
- Click on "Delete a service or your account"
- Follow the steps to delete your account.
There have been incidents where Google has misused people's personal data, like in 2018 when Google was fined by the European Union for violating people's privacy by collecting and using their personal data for targeted advertising. So, it's important to be careful about the information you share with Google and to regularly check your privacy settings.
Facebook collects information about you to make your experience on the platform better. This information is called "personal data." Some examples of personal data are your name, age, and what you like. Facebook gets this information from you when you sign up and use the platform, and also from other websites and apps that you use.
Facebook also collects information about what you do on the platform, such as the posts you make and the pages you follow. This is called "metadata."
Sometimes, Facebook will share your information with other companies, organizations, or people outside of Facebook. For example, if you use a game app that is made by another company and also uses Facebook, Facebook might share your information with that company so they can show you ads that are more relevant to you.
Facebook keeps your personal data for as long as you use the platform and for a short period after you stop using it, so they can provide the services you expect and protect your information.
One of the risks of using Facebook is that they use your information to show you ads. This is called "profiling and advertising." For example, if you've been searching for shoes on your phone, you might start seeing ads for shoes on Facebook. While this can be useful to see things you might be interested in, it can also be creepy.
To change your privacy settings on Facebook, go to the settings menu and click on "privacy." From there, you can control who can see your posts and information. To delete your Facebook account, go to the settings menu and click on "Your Facebook Information." Then, click on "Delete Your Account and Information."
It's important to be careful with the information you share on Facebook and to always read the privacy policy carefully. There have been some incidents where Facebook has mishandled people's information, like the Cambridge Analytica scandal in 2018. So it's important to stay informed and protect your information online.
TikTok is an app that you can use to make short videos and share them with your friends or the world. When you use TikTok, they collect information about you, like your name, phone number, and videos you make. This is called your personal data.
TikTok gets this information from different sources, like when you sign up for the app or share your videos. They also collect data about how you use the app, like what videos you watch and how you interact with them.
TikTok shares your personal data with other companies and people that help them run the app and show you ads. For example, they might share your data with companies that help them show you ads based on what you like.
TikTok keeps your personal data for as long as they need it to run the app and show you ads. They might keep some of it even after you stop using the app, but they will keep it private and secure.
One risk of sharing your personal data is that companies like TikTok can use it to show you ads based on what they think you might like. For example, if TikTok knows you like certain types of music, they might show you ads for concerts or music festivals.
If you want to change your privacy settings on TikTok or delete your account, you can do it in the app's "Privacy and Safety" section. Just go to "Settings" and then "Privacy and Safety." If you delete your account, all of your videos and personal data will be deleted and you'll need to start over if you want to use TikTok again.
There haven't been any big issues with TikTok and personal data, but it's always a good idea to be careful when sharing information online. Make sure you know who you're sharing it with and what they're going to do with it.
If you want to change your privacy settings or delete your TikTok account, here's how:
- Go to the Settings page on TikTok.
- Look for the Privacy and Safety section.
- Change your privacy settings to what you want.
- To delete your TikTok account, go to the Delete Account page on TikTok.
- Follow the instructions to delete your account.
In summary, TikTok collects information about you and your activity on the website and might share it with other companies to show you ads. There can be risks associated with having a profile created about you, so be careful about what personal information you share on TikTok.
Grandiosa Muerte - Egregor
Dalla soleggiata e bella Costa Rica, che non si capisce perché in italiano diventi maschile, arriva un monolite di death metal pubblicato dalla francese Bitume Prod., cattiveria e sentore di estinzione, dolorosa e lunga peraltro.
Dietro al nome Grandiosa Muerte c’è un uomo solo saldamente al comando, il suo nome è Max Gutiérrez Sánchez, già fondatore di altri tre gruppi : Ravensouls, December’s Cold Winter, e Advent Of Bedlam. Max ha conosciuto l’abbraccio mortale del metal quando abitava in Spagna ed è lì che ha contribuito a fondare i suoi primi gruppi.
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È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.Telegram
L'EDPB determina le raccomandazioni sulla privacy per l'utilizzo dei servizi cloud da parte del settore pubblico e adotta il rapporto sulla Cookie Banner Task Force
L'EDPB determina le raccomandazioni sulla privacy per l'utilizzo dei servizi cloud da parte del settore pubblico e adotta il rapporto sulla Cookie Banner Task Force
Bruxelles, 18 gennaio - Il commissario per la giustizia Didier Reynders ha partecipato alla riunione plenaria. Ha presentato al consiglio di amministrazione il progetto di decisione di adeguatezza per il quadro UE-USA sulla privacy dei dati e ha avuto uno scambio di opinioni con i suoi membri. Il consiglio sta attualmente lavorando al proprio parere sulla bozza di decisione, che sarà finalizzata nelle prossime settimane.
L'EDPB ha adottato una relazione sui risultati della sua prima azione di applicazione coordinata (qui si può scaricare il documento con la prima parte "2022 Coordinated Enforcement Action - use of cloud-based services by the public sector" mentre qui è disponibile la seconda "Annex: National Reports on the CEF cloud action"), incentrata sull'uso di servizi basati su cloud da parte del settore pubblico. L'EDPB sottolinea la necessità per gli enti pubblici di agire nel pieno rispetto del GDPR e include raccomandazioni per le organizzazioni del settore pubblico quando utilizzano prodotti o servizi basati su cloud. Viene inoltre reso disponibile un elenco delle azioni già intraprese dalle autorità per la protezione dei dati (DPA) nel campo del cloud computing.
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LIBRI: Afghanistan Picture Show, ovvero quando Vollmann voleva salvare il mondo
di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 30 gennaio 2023 – Il termine “umanitarismo” (“humanitarianism” in inglese) indica una dottrina informale che pone la solidarietà e la tutela del bene altrui come obiettivo cardine dell’esistenza umana. Gli uomini sono chiamati da questo imperativo morale ad assistere il prossimo, ad alleviarne le sofferenze e ad accorrere in suo soccorso in caso di emergenza, assecondando i propri sentimenti di empatia e compassione e le proprie aspirazioni di altruismo.
Una vocazione che accomuna senz’altro le organizzazioni non governative e le agenzie di cooperazione internazionale, ma non priva di rischi e criticità. In nome dell’aiuto umanitario, infatti, negli ultimi decenni diverse operazioni militari si sono ammantate di ideologie filantropiche che le giustificassero e ne legittimassero la durata. Senza contare il fatto che l’umanitarismo stesso può recare in sé, pur fondandosi su ideali di uguaglianza, un pericoloso germe post-colonialista: uno sguardo verticale, rivolto dal bianco al nero, dal nord al sud, dal benefattore ricco e colto all’indigente vittima della guerra.
Pur percorrendo un sentiero “lastricato di buone intenzioni”, anche il giornalista, non solo l’”umanitario” di professione, può incorrere in quest’insidia: il rischio è quello di oggettificare l’altro senza conoscerlo, di identificarlo come il bersaglio della propria bontà d’animo privandolo di identità e complessità. Raccontando un fallimento, William T. Vollmann smaschera in questo libro, con straordinaria lucidità, i limiti, i difetti, le ingenuità più o meno perdonabili commesse dalla fortunata società occidentale quando si mette in testa di salvare il mondo.
“Afghanistan Picture Show – ovvero come ho salvato il mondo” è un reportage narrativo, un diario semi-serio, un taccuino disordinato. Restituisce l’esperienza che lo scrittore William T. Vollmann, tra i più acclamati e interessanti autori della scena americana contemporanea, produttore fluviale di migliaia di pagine, come il capolavoro Europe Central (vincitore nel 2005 del prestigioso National Book Award for Fiction), trascorse tra Pakistan e Afghanistan ai tempi dell’occupazione sovietica del Paese. L’opera fu pubblicata negli Stati Uniti per la prima volta nel 1992, dieci anni dopo la sua stesura, e successivamente in Italia da Alet. Nel 2020, la casa editrice Minimum Fax ne ha fortunatamente prodotto una nuova edizione, nella traduzione di Massimo Birattari.
Non ha neanche ventidue anni Vollmann quando parte alla volta dell’Afghanistan. Per finanziare il suo viaggio, ha lavorato per otto mesi in una compagnia di assicurazioni. E’ un aspirante scrittore animato da grandi ideali e dall’impellente necessità di aiutare una popolazione in pericolo. E’ il 1982 e le truppe sovietiche hanno invaso l’Afghanistan. Le agenzie internazionali descrivono all’opinione pubblica occidentale un Paese sprofondato in una profonda crisi umanitaria: il giovane Vollmann decide allora di lanciarsi in suo soccorso. Si unirà ai mujaheddin, documenterà con le sue fotografie e il suo reportage la loro strenua resistenza e grazie alla sua testimonianza in Occidente ricaverà i finanziamenti necessari a procurare loro le armi per sconfiggere i russi. Questo è il suo piano.
Un progetto funambolico e ingenuo che sintetizza così: “C’era una volta un Giovanotto che voleva essere più di quello che era in realtà. Ciò lo rendeva infelice. Decise di andare in Afghanistan a fotografare le pallottole che gli sibilavano vicino alle orecchie. Purtroppo soffriva di mal di pancia”.
E’ così che il Vollmann “adulto”, che ripercorre in queste pagine il suo vecchio rendiconto, chiama il ventiduenne di belle speranze che voleva salvare l’Afghanistan: il Giovanotto. Un reporter così affascinato dalla lotta dei mujaheddin da essere disposto a imbracciare le armi accanto a loro contro le truppe sovietiche, ma che arrivato in Pakistan inizia a fare i conti con i propri limiti. La dissenteria, in primis, che lo accompagna per l’intero viaggio.
Si capovolge l’immagine del giornalista-guerrigliero alla quale ci hanno abituati George Orwell ed Ernest Hemingway, così a loro agio nel redigere pezzi giornalistici e al tempo stesso nell’imbracciare le armi nella guerra civile spagnola. Qui Vollmann, spinto dalle stesse velleità, scopre la fragilità di un organismo che non riesce ad abituarsi al nuovo clima, al cibo, all’acqua sporca che alimenta incessantemente le sue gastroenteriti. E’ alle prese con un fisico appesantito e impigrito dai vezzi della società ricca dalla quale proviene e che non riesce ad adattarsi ai ritmi di vita degli afghani che gli offrono ospitalità. Di utilizzare un’arma è totalmente incapace.
“Era un fardello”, arriva a dire di sé, quando finalmente i mujaheddin lo accompagnano oltre il confine pakistano in Afghanistan. Ha atteso quel momento con impazienza, lamentandosi dei ritardi come “un bambino viziato”, ribadendo “Io voglio solo aiutarvi, lo faccio per voi, non per me”, per sottolineare l’urgenza della sua missione. Ma arrivati al momento di superare le montagne per arrivare in territorio afghano, il Giovanotto è totalmente impreparato allo sforzo ed è costretto a dipendere dall’aiuto dei guerriglieri, che se lo portano finanche in spalla, mentre senza mangiare e senza bere perché in Ramadan si arrampicano sulle rocce con piedi sanguinanti.
Si lascia offrire Sprite ghiacciate per tutta la durata del viaggio da ospiti che non possono permettersi medicine né scarpe per proteggersi dal freddo. Partecipa ai loro pranzi, si fa preparare uova fritte da mangiare e lascia che colgano grappoli d’uva per lui. La gestione del denaro è un altro curioso punto saliente nella sua “missione”. Deve risparmiarlo, per investirlo al meglio nella “salvezza” di una Nazione. Lo coglie a un certo punto il dubbio che i soldi spesi per il biglietto aereo del suo viaggio verso il Pakistan avrebbero potuto aiutare molte persone in America, senza la necessità per lui di spostarsi inseguendo un ideale filantropico. Non può, però, focalizzarsi su questo dettaglio: il giovane reporter deve “salvare gli afghani”.
Le sue raccolte fondi, una volta rientrato negli Stati Uniti, saranno un fallimento. “Ben presto”, scrive, “avrebbe organizzato le sue presentazioni a sostegno degli afghani, alle quali non sarebbe venuto quasi nessuno”. I guadagni sono così scarsi da poter essere definiti “omeopatici” per la resistenza afghana.
Nonostante le sue debolezze, per tutta la durata della sua missione gli afghani si mostrano sempre generosi nei suoi confronti, accondiscendenti, ogni tanto quasi servili. Come un lampo, nell’ebbrezza del potere salvifico della sua presenza in quel Paese, balena talvolta la fastidiosa percezione di un divario colonialista profondo e spaventoso: “Quest’uomo anziano e rispettabile (il generale di brigata che lo ospita, ndr) si preoccupava di perdere la faccia con un ventunenne che stava male ogni volta che usciva al sole. Perché? Perché il ventunenne era americano”. Oppure, quando i profughi che incontra scoprono che lui non può aiutarli a ottenere un visto per trasferirsi nella sua prospera e felice America, balugina una domanda: “Cos’è la libertà? Cos’è la democrazia?”.
Il giovane Vollmann si rivela disarmato non solo fisicamente nel suo viaggio di reporter umanitario. Tutto quello che sa chiedere ai suoi ospiti e ai profughi afghani sono domande di comica ingenuità, definita spesso innocenza. “Sei felice qui?”, si ritrova a chiedere ai suoi interlocutori. O ancora, registratore alla mano, “Hai qualcosa da dire agli americani?”.
Il Vollmann adulto guarda, però, con nostalgia e tenerezza indulgente a quel comico Giovanotto. “Il Giovanotto aveva un entusiasmo e una fede che io non ho”, scrive, ammettendo di ammirarlo un po’ per il suo desiderio di salvare il mondo “nonostante tutta la sua ignoranza”. In fondo, malgrado le ingenuità del Vollmann-giornalista, questo libro rispetta quella che da allora è rimasta la sua poetica, decodificata nel suo manifesto del 1990 contenuto in “Scrittura Americana Oggi: una diagnosi della malattia”. Sette regole per scrivere, che partono da “Non dovremmo mai scrivere senza sentimento”, alla necessità di “Trattare di problemi umani” e “Cercare una soluzione a quei problemi”, fino a “conoscere il nostro argomento, trattarlo con lo stesso rispetto che l’Io deve all’Altro. Conoscerlo in ogni suo senso, finché gli occhi siano annebbiati dal vederlo, le orecchie fischino dal sentirlo, i muscoli brucino per l’abbracciarlo e le gonadi si infiammino dal farci l’amore”. Fino a soffrire di dissenteria, si potrebbe aggiungere. Per questa trasparenza e fedeltà, per l’acuità di uno sguardo che non si fa sconti, quest’opera dovrebbe essere un vademecum insostituibile nelle mani di tutti gli aspiranti reporter narrativi, e non solo.
A quarant’anni dal reportage di Vollmann, in Afghanistan si annega ancora. Resta, infatti, intatta la consapevolezza del limite – del professionista umanitario, dello scrittore, del reporter – nell’addentrarsi nella sua fitta rete di decenni di violenza e ricavarne una verità. A proposito di questo Afghanistan, Vollmann “si dedica” un epitaffio di Wittgenstein: “Qui è difficile, per così dire, tenere la testa in su”. Che si spiega così: “Vedere che dobbiamo restare fermi alle cose del quotidiano e non imboccare la strada sbagliata, dove ci sembra di dover descrivere estreme sottigliezze, che tuttavia non saremmo affatto in grado di descrivere con i nostri mezzi. E’ come se dovessimo aggiustare con le nostre dita una ragnatela lacerata”.
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Ucraina: Leopard 2, Abrams, Challenger decisivi… o forse no?
‘Non esistono situazioni disperate; solo uomini disperati’, così ammoniva settanta anni fa Heinz Guderian, uno dei padri delle moderne forze corazzate. Siamo dunque a questo punto? Forse no, ma trascorso il primo anno di guerra, sulle pianure ucraine si proiettano nuove e preoccupanti ombre. A dissiparle, non è bastata la decisione di inviare qualche moderno carro armato […]
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Arrivano «i trasporti della possente nazione». Pcc alla guida del mondo tech
CAPITALISMO DELLE PIATTAFORME. La Cina lancia l'app statale di taxi e assistenza viaggi. Inizia la seconda fase della Grande rettificazione
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In Cina e Asia – Alleanza dei chip tra Usa, Giappone e Paesi Bassi
Alleanza dei chip tra Usa, Giappone e Paesi Bassi
Cina, addio Covid?
Isole del Pacifico, crollano i prestiti cinesi
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Sony divide la produzione tra Cina e Thailandia
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Giappone, intelligence aziendale contro i rischi della geopolitica
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ANALISI. Egitto: il Golfo si è comprato El Sisi ma ora è stanco di pagare
di Michele Giorgio
(Abdel Fattah el Sisi e gli altri leader arabi al vertice di Abu Dhabi – foto Presidenza Emirati arabi uniti) –
Pagine Esteri, 27 gennaio 2023 – Accompagnato da cinque ministri e da alti funzionari governativi, Abdel Fattah el Sisi martedì è arrivato a New Delhi per una visita di stato di tre giorni e ha avuto colloqui con il primo ministro Narendra Modi con il quale condivide una visione a dir poco autoritaria del potere. Le due parti firmeranno accordi importanti ma l’India non potrà fare molto per aiutare l’Egitto alle prese con una crisi finanziaria ed economica devastante che rischia di farlo precipitare nel baratro in cui è già caduto il Libano. I punti in comune tra i due paesi arabi sono parecchi, a cominciare dal crollo della sterlina egiziana nel cambio con il dollaro simile a quello della lira libanese, passando per l’inflazione galoppante fino al rapido impoverimento della classe media in un paese dove già il 30% dei 104 milioni di abitanti vive in miseria. Un quadro che inquieta gli Stati arabi. Anche Israeleosserva con attenzione gli sviluppi alla luce dei rapporti stretti con il Cairo nelle questioni di sicurezza.
Come dare una mano a El Sisi è stato uno dei temi del vertice «Prosperità e stabilità nella regione» tenuto ad Abu Dhabi il 18 gennaio dove ufficialmente si sarebbe discusso solo di cooperazione, di Yemen e delle provocazioni sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme da parte del nuovo governo israeliano. Le ricche monarchie del Golfo, che già hanno aiutato con non pochi miliardi di dollari El Sisi dopo il suo colpo di stato nel 2013 contro il nemico comune, i Fratelli Musulmani, sono pronte a fare la loro parte ma solo entro una certa misura. Il sostegno richiesto invece è ingente. L’Egitto ha urgente bisogno di valuta estera. Le sue riserve ammontano a soli 24 miliardi di dollari e una parte di esse sono dell’Arabia saudita e degli Emirati che hanno depositato diversi miliardi di dollari nelle banche egiziane per garantire gli aiuti finanziari internazionali richiesti dal Cairo. Di recente l’Egitto ha ottenuto un prestito dal Fondo monetario internazionale di tre miliardi di dollari. Ma è una goccia di fronte al mare del debito complessivo egiziano di oltre 220 miliardi di dollari di cui quello estero sfiora i 160 miliardi.
Così non mancano gli interrogativi anche tra gli alleati arabi sulle politiche economiche del presidente egiziano e le sue manie di grandezza che si sono materializzate in questi anni in faraonici progetti infrastrutturali che hanno svuotato le casse pubbliche, come l’espansione del Canale di Suez, la costruzione di una nuova capitale nel deserto e varie superstrade. Progetti che El Sisi difende con forza. Il commentatore arabo Mashari a Dhayidi qualche giorno fa sulle pagine del quotidiano saudita Asharq al Aswat, megafono della famiglia reale, è andato in soccorso del presidente egiziano descrivendolo come un alleato «prezioso» per Riyadh e il leader di un paese «fondamentale per la difesa della sicurezza regionale». Dhayidi ha ricordato che il coordinamento tra Egitto, Arabia saudita ed Emirati è essenziale per sconfiggere le «minacce esistenziali» (l’Iran) e per «eliminare il caos nella regione» (gli Houthi yemeniti). Malgrado ciò l’Arabia saudita non ha partecipato al vertice di Abu Dhabi alimentando voci secondo le quali la famiglia Saud non sarebbe più disposta ad immettere altri miliardi di dollari nell’economia egiziana fuori controllo.
Riyadh non ha più bisogno di comprare la politica estera di El Sisi, quindi non regalerà al Cairo altre decine di miliardi di dollari. Anche perché il principe ereditario Mohammed bin Salman ha bisogno di quei miliardi per completare il suo piano nazionale Vision 30 persino più faraonico dei progetti di El Sisi. Al World Economic Forum di Davos, il ministro delle finanze saudita Mohammed al Jadaan ha chiarito che il regno cambierà la sua politica di aiuti esteri. «Eravamo soliti concedere sovvenzioni dirette e depositi senza alcun vincolo. Ora lavoriamo con le istituzioni internazionali per vedere che siano prima attuate riforme (nei paesi da sovvenzionare, ndr)» ha affermato. Personalità dei media vicine ai leader arabi del Golfo, come il giornalista Amr Adib, hanno apertamente criticato le politiche economiche del Cairo. Così lo scorso autunno El Sisi aveva mestamente riconosciuto che «Amici e alleati credono che lo Stato egiziano non sia in grado di rialzarsi dopo avergli fornito per anni l’assistenza per risolvere crisi e problemi». Il presidente egiziano comunque non sarà abbandonato al suo destino. Un El Sisi debole è ancora più manipolabile a favore degli interessi dei paesi del Golfo. Pagine Esteri
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Defence for Children: il decalogo per la protezione dei minori stranieri non accompagnati
a cura di Defence for Children Italia
Pagine Esteri, 25 gennaio 2023 – Uno strumento per qualificare il sistema di accoglienza attraverso la legge. Defence for Children International sintetizza in un decalogo di garanzie, basato sugli standard internazionali e l’ordinamento italiano, ciò che le istituzioni, le strutture e gli operatori devono realizzare per proteggere i minorenni stranieri, rendere sostenibile il sistema di accoglienza e prevenire fenomeni di disagio e di ordine pubblico che pesano sempre di più sui territori dell’accoglienza.
I 10 punti, elaborati sulla base di un lavoro di diversi anni, si propongono come strumento di orientamento, monitoraggio e azione affinché politiche, strategie e pratiche convergano nell’applicare pienamente gli standard internazionali e nazionali a tutti i livelli per tutelare i minorenni e per qualificare in modo sostenibile e utile all’intera comunità l’ingente spesa investita in un sistema che non riesce ad emanciparsi dai livelli dell’emergenza e della contingenza.
Seguendo un approccio integrato e sistemico, il documento trova base nell’attuale impianto normativo nazionale – in particolare la Legge 47/2017 – ed internazionale, in linea con i principi sviluppati e promossi dalla Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA), il Consiglio d‘Europa e la normativa comunitaria.
“Si tratta di un decalogo volutamente sintetico che deriva dal lavoro di analisi e di prossimità che negli anni abbiamo realizzato con e per le persone minorenni straniere che raggiungono il nostro paese. Persone che troppo spesso devono affrontare, nella loro giovane età, oltre alla distanza dalla propria famiglia ed un viaggio pericoloso, le insidie di un contesto che, nonostante quanto preveda il diritto, opera una evidente ed iniqua discriminazione strutturale. La frammentazione, l’emergenza, la contingenza caratterizzano il contesto nel quale questi giovani devono riuscire a realizzare il loro percorso di vita ostacolati dal loro status migratorio e costretti in condizioni di vulnerabilità che frequentemente li espongono a violazioni e violenza.” spiega Pippo Costella, Direttore di Defence for Children International Italia.
“Nel clamore e nelle frequenti strumentalizzazioni sulla questione migrante ci auguriamo che le 10 garanzie proposte vengano intese e utilizzate trasversalmente come una mappa utile di riferimento e di monitoraggio in un territorio che ancora presenta troppa distanza tra la teoria e la realtà dei fatti, tra la competenza e la negligenza, tra il diritto e la sua realizzazione”.
La proposta, che raggiungerà tutti gli attori pubblici e privati del sistema nazionale, è stata presentata in anteprima la settimana scorsa a Bruxelles nell’ambito dell’iniziativa “BECOME SAFE – Building Efforts for Children on the Move in Europe through Systemic Approaches, Facilitation and Expertise”, sostenuta dall’Unione Europea.
Per informazioni e approfondimenti: info@defenceforchildren.it – 0100899050 – 3478798453
Il decalogo è consultabile e scaricabile anche dal sito Defence for children a questo link.
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I tank a Kiev non accorceranno la guerra
di Marco Santopadre*
Le foto sono tratte dal seguente link
Pagine Esteri, 30 gennaio 2023 – Nelle settimane scorse ha tenuto banco lo scontro interno ai paesi della Nato sulla fornitura all’esercito di Kiev dei carri armati di fabbricazione tedesca Leopard 2. Dopo un lungo braccio di ferro tra Washington e Berlino, alla fine il governo Scholz ha accettato di inviarne alcuni in Ucraina e di permettere agli altri paesi europei che li hanno in dotazione di fare altrettanto. Al tempo stesso anche Washington ha deciso l’invio a Kiev di alcune decine di tank Abrams.
L’Alleanza Atlantica e Volodymyr Zelenskyi si sono detti entusiasti del nuovo passo che coinvolge ulteriormente l’Europa in un’escalation che sembra avvitarsi sempre più su se stessa. Dal punto di vista militare, però, la decisione non dovrebbe avere ripercussioni tali da “accorciare la guerra”, come qualcuno ha sostenuto, o in grado di cambiare le sorti del conflitto in corso. Anche dei lanciarazzi Himars, concessi dalla Casa Bianca a Kiev alcuni mesi fa, si diceva che avrebbero segnato una svolta nella guerra, ma per quanto abbiano dato una mano non indifferente all’esercito ucraino non si sono rivelati certo risolutivi. Lo stesso presidente ucraino, d’altronde, dei carri armati “in arrivo” afferma che soprattutto sosterranno lo spirito del proprio esercito.
I tank a Kiev non cambieranno le sorti della guerraI 31 Abrams M1 statunitensi non giungeranno in Ucraina prima dell’autunno. Washington infatti non invierà parte di quelli già in dotazione alle proprie forze armate, ma dovrà aspettare che gli esemplari da spedire vengano fabbricati.
Anche i Leopard 2 tedeschi, comunque, non potranno essere inviati in Ucraina prima della fine di marzo, non è chiaro se in tempo per contrastare la grande offensiva che il generale russo Gerasimov starebbe preparando in coincidenza con l’anniversario dell’invasione.
Indubbiamente, sia i tank statunitensi sia quelli tedeschi forniranno a Kiev una potenza di fuoco e una precisione di tiro maggiori rispetto a quelle che sono in grado di garantire i carri armati di fabbricazione sovietica utilizzati dalle forze armate ucraine, peraltro decimati nel corso degli ormai 11 mesi di guerra. I carri di ultima generazione ceduti a Kiev sono anche superiori anche ai modernissimi T 90-M russi.
Ma i circa 300 mezzi corazzati che dovrebbero rimpolpare gli arsenali ucraini – di cui però Leopard e Abrams dovrebbero rappresentare appena un terzo del totale – non saranno sufficienti a tenere testa alle migliaia di carri in dotazione alle truppe russe.
Inoltre, per addestrare il personale militare ucraino ad utilizzare i mezzi tedeschi e statunitensi occorreranno diversi mesi. L’esercito di Kiev si troverà ad utilizzare diversi modelli di carro armato, compresi i Challenger promessi da Londra, creando rilevanti difficoltà logistiche alle truppe ucraine: gli uomini addestrati per gestirne un tipo non necessariamente saranno in grado di fare lo stesso con gli altri modelli. I reparti di carristi non saranno intercambiabili.
Ad essere formati dovranno poi essere anche diverse centinaia di tecnici, per non parlare del fatto che per mantenere efficiente la flotta di tank all’avanguardia servirà un’ingente e continua disponibilità di pezzi di ricambio.
Il problema delle munizioni
Infine, c’è la non secondaria questione delle munizioni. Quelle utilizzate dai mezzi corazzati spediti a Kiev dai paesi della Nato sono di un calibro diverso rispetto a quelle sparate dai tank sovietici in uso finora alle truppe ucraine. E anche quelle, quindi, dovranno arrivare copiosamente da occidente. Ma non è affatto scontato che le forze armate ucraine possano contare sulla necessaria disponibilità di munizioni.
Così come sono restii a cedere a Kiev un numero consistente di carri armati tra i più moderni, gli eserciti della Nato difficilmente trasferiranno in Ucraina i propri stock di munizioni, anche tenendo conto che negli ultimi decenni tanto i paesi europei quanto gli Stati Uniti hanno smantellato buona parte della propria capacità produttiva. Se dopo la Seconda Guerra Mondiale Washington poteva contare su più di 80 fabbriche di munizioni, oggi ne possiede sono sei. Per invertire la tendenza, fa notare Gianandrea Gaiani in un’intervista all’AGI, all’apparato militare-industriale della Nato servirebbero investimenti miliardari e alcuni anni.
Per questo la Nato si sta rivolgendo ad altri paesi che possono contare su un assetto militare-industriale più convenzionale. Ma Washington e i suoi alleati stanno ricevendo anche dei ‘no’.
Il ‘no’ del Brasile
L’ultimo – il più significativo, finora – lo ha pronunciato il brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. L’esponente socialdemocratico eletto presidente il 30 ottobre ha posto il veto ad un’ingente fornitura di munizioni per i Leopard destinati a Kiev chiesta dal governo tedesco. Trattandosi di munizioni da 105mm, adatti ai Leopard 1 in dotazione alle forze armate brasiliane (mentre il più moderno Leopard 2 utilizza colpi da 120mm) evidentemente Scholz intendeva trasferire a Kiev alcune decine di esemplari del vecchio modello, ipotesi accantonata nei giorni seguenti.
Secondo il quotidiano “Folha de Sao Paulo”, a proporre la vendita delle munizioni era stato, il 20 gennaio scorso, l’allora comandante dell’Esercito, generale Julio Cesar de Arruda (in seguito rimosso dal suo incarico per altre vicende) dopo aver avuto contatti con Berlino. D’altronde il Brasile, pur avendo condannato all’Onu l’invasione del 24 febbraio, mantiene una posizione neutrale per motivi economici e geopolitici rifiutandosi, ad esempio, di imporre sanzioni alla Russia.
Anche il Portogallo, che su pressioni americane nei giorni scorsi aveva promesso a Kiev alcuni dei suoi 37 Leopard, ha fatto poi sapere che l’invio è messo fortemente in dubbio «dal pessimo stato di conservazione» dei carri da combattimento in dotazione al suo piccolo esercito.
L’industria bellica USA va a gonfie vele
Le pressioni di Washington su Berlino evidenziano in modo chiaro che gli Stati Uniti stanno approfittando della crisi ucraina, oltre che per rinsaldare il proprio primato militare in Europa, anche per sostenere la produzione e l’esportazione delle proprie armi.
La scelta, ad esempio, di inviare a Kiev degli Abrams ancora da fabbricare invece di quelli già a disposizione (causando un ritardo nella consegna di molti mesi), rivela che la mossa mira a sostenere l’industria nazionale degli armamenti. Gli USA potrebbero anche approfittare del fatto che i loro alleati europei dovranno disfarsi di una parte del proprio stock di Leopard per cercare di piazzare gli Abrams, tentando di scalzare il tradizionale monopolio delle forniture tedesche nel continente.
Del resto, la crisi ucraina ha già provocato un’impennata delle vendite di armi statunitensi nel mondo negli ultimi 12 mesi. Nel 2022 le aziende belliche statunitensi ne hanno vendute per 153,7 miliardi di dollari, rispetto ai 103,4 del 2021. Il boom è del 49%.
L’acquirente principale delle armi a stelle e strisce è sempre la Germania (8,4 miliardi), che a luglio ha ordinato 35 caccia F-35. In graduatoria Berlino è seguita dalla Polonia, che ha speso 6 miliardi, il grosso dei quali per l’acquisto di 250 carri Abrams. Dietro Varsavia ci sono il Regno Unito, la Spagna e la Bulgaria; ad aprile Sofia ha ordinato otto caccia F16 per un valore di 1,7 miliardi. Nella zona dell’Indo-Pacifico, poi, spicca l’Indonesia, che ha comprato tredici F15 per un valore di 14 miliardi.
Mosca non mostra segnali di crisi
Com’era ampiamente prevedibile, la polarizzazione dello scontro internazionale sta favorendo nettamente gli Stati Uniti, almeno nel fronte occidentale e nell’Indo-Pacifico.
Sul campo, nel frattempo, i russi hanno ripreso l’iniziativa militare anche sul terreno dopo la disordinata ritirata da Kharkiv e Kherson. «Stanno avanzando lentamente, ma progressivamente, nel Donbass, stanno scardinando le difese ucraine sull’asse Siversk a Bakhmut e stanno avanzado a Zaporizhzhia. (…) Hanno accorciato il fronte e ridotto il peso della loro inferiorità numerica facendo affluire volontari e riservisti, che stanno addestrando anche per future operazioni» dice Gaiani.
Anche Eugene Rumer, direttore del programma “Russia ed Eurasia” del think tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace (ex membro del National Intelligence Council durante l’amministrazione Obama), in un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo elDiario, afferma di non vedere alcun segno di arretramento o di cedimento da parte di Mosca. «La determinazione di Putin a continuare questa guerra non è diminuita. A fine dicembre ha avvisato i russi che devono prepararsi ad una lunga guerra, non solo ad una limitata operazione militare» afferma Rumer, secondo il quale l’invio dei tank a Kiev non causerà alcuna svolta sostanziale nello scontro militare.
Il popolo russo, aggiunge, non mostra particolari segni di sofferenza o di scontento: «L’economia russa è in calo, ma solo del 3%, a differenza di quella ucraina che subisce terribili perdite». Inoltre, spiega Rumer, la guerra in Ucraina sta distraendo gli Stati Uniti dalla regione Asia-Pacifico, consumando ingenti risorse statunitensi, il che non può che far piacere alla Cinache nel frattempo, pur non sostenendo direttamente Mosca nello sforzo bellico, ha comunque guadagnato influenza sulla Russia. Per questo Pechino non avrebbe alcuna seria intenzione di convincere Vladimir Putin a fermare le operazioni militari contro Kiev, anche se effettivamente l’accelerazione militare della competizione globale danneggia la Repubblica Popolare. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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Non dimenticare il passato (Shoah), ma neanche ignorare il presente (Palestina)!
La frase di quel ragazzo della scuola di Ponticelli, quartiere periferico e popolare di Napoli come si affretta a precisare la grande ‘stampa’, ha provocato grande scandalo e reazioni disgustate. Tanto che la Preside, credo, pedagoga davvero di livello discutibile, dice stentorea «dobbiamo evitare che quella ignobile frase … passi inosservata». Dunque, subito un giudizio […]
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Governo Meloni: cento giorni a ‘troncare e sopire, sopire e troncare’
Cento giorni di governo Giorgia Meloni: prematuro chiedere in quest’arco di tempo tutto sommato breve (e segnato da una quantità di emergenze), risultati di cui si possano cogliere gli effetti pratici; sufficienti tuttavia per un primo, sia pure sommario bilancio. Dall’entourage meloniano si ostenta ottimismo, confortati dal giudizio favorevole dell’autorevole ‘Economist’ (e c’è chi non […]
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...e gli idealisti, gli ingenui, i rinunciatari ...
Di tanto in tanto è bello farsi scarrozzare per le vie della città con della musica tiepida in sottofondo. Osservare le facce della gente che cammina sui marciapiedi e immaginare quali potrebbero essere i loro pensieri e le loro storie.
("second moon" - pacifico)
youtube.com/watch?v=JaOYDJWvD-…
Pacifico - "Second Moon" feat. Dakota Days
Acquista 'Una Voce Non Basta' su iTunes: http://itunes.apple.com/it/album/una-voce-non-basta/id509181114Pagina Facebook Ufficiale: http://www.facebook.com/pa...YouTube
Il progetto del ministro Valditara: scuola-azienda e "umiliazione" | Senza Tregua
"Spesso l’alternanza scuola-lavoro viene legittimata come uno strumento di avvicinamento dei giovani al mondo del lavoro, i quali dovrebbero trovare in questa esperienza un’autentica opportunità di futuro impiego, grazie all’acquisizione di competenze richieste dal mercato del lavoro. Già ai tempi della presentazione della Buona Scuola, tale provvedimento era stato presentato come un dispositivo per arginare la disoccupazione giovanile. È nostro compito contrastare tale retorica. In primo luogo rifiutando l’idea, tutta ideologica, che la scuola debba fungere da istituzione che ha come obiettivo primario la formazione di lavoratori. Questo elemento nasconde, infatti, quella che è l’unica realtà dell’alternanza scuola-lavoro: un metodo comodo e conveniente che i padroni adottano per scaricare i costi della formazione aziendale direttamente sulle scuole e, di conseguenza, sui lavoratori contribuenti."
Le persone convinte di conoscere la #scienza, conoscono *davvero* la scienza?
Non è tanto quello che sai, quanto quello che pensi di sapere
Un nuovo studio pubblicato il 24 gennaio sulla rivista ad accesso aperto PLOS Biology di Cristina Fonseca della Genetics Society, UK; Laurence Hurst del Milner Centre for Evolution, Università di Bath, Regno Unito; e colleghi, rileva che le persone con atteggiamenti drastici tendono a credere di comprendere la scienza, mentre le persone neutrali sono meno sicure. Nel complesso, lo studio ha rivelato che le persone con atteggiamenti fortemente negativi nei confronti della scienza tendono ad essere troppo sicure del proprio livello di comprensione.
Qui la recensione all'articolo e qui l'accesso all'articolo originale pubblicato su Plos Biology
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"la scienza" è un concetto troppo astratto... dire che qualcuno conosce "la scienza" è come dire che "conosce i libri".
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PNRR, Fondo Opere Indifferibili 2023: pubblicato l’elenco degli enti locali potenzialmente destinatari della preassegnazione.
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“Laboratori del Sapere”, online le linee guida per estendere l’approccio metodologico scientifico anche a discipline diverse dalle STEM.
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Politica, industria e Forze armate. Lo sforzo collettivo per la Difesa Ue
La Difesa europea è una necessità improcrastinabile. È il cuore di quanto emerso nel corso dell’evento “Prospettive europee per una Difesa comune”, promosso da Formiche e Airpress, in collaborazione con le rappresentanze in Italia del Parlamento e della Commissione europee Roma. Per il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervenuto all’evento: “stiamo vivendo una situazione che ha cambiato completamente lo scenario di riferimento nel quale pensavamo di vivere, e questo ha messo in difficoltà le difese europee”.
Dopo anni di illusione che la guerra non potesse tornare in Europa, ci si è accorti che non è così. Per questo, l’obiettivo è “accelerare i processi iniziati in modo burocratico qualche anno fa, l’Europa ha subito una forte accelerazione nella consapevolezza di aver bisogno di una visione comune”. Tuttavia “non si fanno questi passaggi epocali in 27”, c’è bisogno di leader “che si prendono sulle spalle la responsabilità di indicare la strada, una linea che prevale che diventa chiara a tutti che è l’unica”.
Evitare la Terza guerra mondiale
Il ministro è anche intervenuto sul perché ci sia bisogno di tenere alta la guardia, soprattutto dopo lo sconvolgimento causato dall’invasione russa: “Vorrei parlare a quelli che dicono ‘dando le armi all’Ucraina, alimentiamo l’escalation verso la Terza guerra mondiale’. Secondo me, la Terza guerra mondiale inizierebbe nel momento in cui i carri armati russi arrivassero a Kiev e ai confini dell’Europa”. L’unico modo per fermare questo scenario è dunque fare in modo “che i carri armati russi non arrivino a Kiev, e chi dice qualcosa di diverso non conosce la realtà, non conosce il punto limite che molti Paesi della Nato non possono vedere oltrepassato”. Un commento che poche ore dopo ha scatenato la risposta del vicepresidente del consiglio di sicurezza russo Dimitri Medvedev, che ha attaccato il ministro definendolo “uno sciocco” (qui la replica di Crosetto).
Lo scenario dopo l’Ucraina
La guerra in Ucraina, se da un lato ha dimostrato la “positiva unità mantenuta dall’Unione europea e dalle democrazie occidentali” ha registrato il rappresentante in Italia del Parlamento europeo, Carlo Corazza, dall’alto ha fatto emergere anche le lacune e i limiti della costruzione europea: “non abbiamo una unione della Difesa, e vediamo con quanta fatica approviamo i pacchetti di sanzioni, con sempre lo Stato di turno che usa il suo diritto di veto a fini ricattatori”. Questi limiti si vedono anche nelle capacità militari, “meno importanti di quanto pensavamo, la somma dei Ventisette, con anche il Regno Unito, superano gli investimenti della Russia e si avvicinano a quello degli Usa, ma lo fanno in modo inefficiente, in ordine sparso, con duplicazioni e non sfruttando le sinergie”. Come ha ricordato ancora Corazza, infatti, “l’80% degli investimenti è a livello nazionale, e il 90% della ricerca”.
La sfida del presente
“L’Europa, per vedersi riconosciuta come soggetto, deve assolutamente rafforzare la propria unione politica”. Ha rimarcarlo è stata il sottosegretario agli Esteri, Maria Tripodi, secondo la quale “l’unione politica è propedeutica all’unione della Difesa”. Per il sottosegretario, l’Ue ha compiuto degli errori, quando si divide internamente a livello di politica estera, di difesa comune e sul budget per la difesa, venendo percepita come un “soggetto debole”. L’aggressione russa ha dato orizzonti “diversi e cupi, ed è ovvio che bisogna rivedere assetti ed equilibri”. “L’Europa deve più efficacemente spostare l’asse rispetto gli interessi esclusivi dei singoli Stati, allargando il ventaglio di proposte concrete e risorse”. Importante anche il legame transatlantico: “Avere una difesa comune, una soggettività militare, non vuol dire sganciarci dalla Nato, che rimane il nostro principale punto di riferimento”. Ma per l’Europa, “la difesa è la sfida del presente, va fatta subito”.
Serve la maggioranza qualificata
Come notato dal rappresentante in Italia della Commissione europea, Antonio Parenti, la discussione sulla difesa comune è stata portata “molto più avanti da parte dei militari rispetto alla politica, a cui spesso è mancata la volontà di fare quel passio in più verso una politica estera comune”. Per il rappresentante, dunque, è necessario un cambio di passo fondamentale: bisogna prendere decisioni a maggioranza qualificata in politica estera”. Di fronte ai limiti che esistono ancora in Europa, con 140 sistemi d’arma diversi, “oggi c’è il bisogno evidente di chiedere alla politica di imbarcarsi senza ritorno verso una politica estera e di difesa comuni, perché le due sono inscindibili”.
Un’architettura solida
“Quando si parla di difesa europea spesso la si mette in contrapposizione con la Nato; in realtà sono due cose profondamente diverse” ha spiegato il direttore della divisione Capacità dell’Eda, generale Stefano Cont: “La Nato risponde al bisogno della difesa dell’Europa, che non può che essere transatlantica”, mentre la Difesa europea mira essenzialmente a tre obiettivi: l’efficienza della spesa e dell’interoperabilità, il rafforzamento della base tecnologica e industriale e la capacità di agire autonomamente laddove la Nato o gli alleati non europei “non hanno competenza o non sono interessati”. Come ricordato da Cont, l’Europa spende complessivamente circa 230 miliardi di euro in Difesa, un terzo degli Stati Uniti: “dovremmo allora avere un terzo delle capacità Usa, cosa che non è”. Quello che serve, allora, è una solida architettura per la Difesa europea, basata su ripartizioni di ruoli, competenze e funzioni tra enti che già esistono”.
Integrazione industriale
Anche a livello industriale “la cooperazione è inevitabile”, ha detto il managing director di Mbda Italia, Lorenzo Mariani, registrando come esistano due livelli per l’integrazione della base produttiva europea “uno è i programmi di cooperazione, l’altro è l’integrazione tra industrie”. Sui programmi comuni, per Marina non c’è scelta: “Mbda è nata su tre progetti di cooperazione, l’Aster, il Meteor e lo Strom shadow, assorbendo i costi di sviluppo per oltre dieci miliardi; senza, non sarebbe stato possibile per le nazioni non solo avere tutti e tre i sistemi, ma probabilmente neanche uno”. I costi, con l’aumento delle esigenze e dei livelli tecnologici, inoltre, sta anche aumentando, rendendo sempre più indispensabile cooperare. Dal punto di vista dell’integrazione, questo renderebbe più facile accedere ai programmi di cooperazione. “A livello del mercato è evidente che avere la forza di più compagnie, e il supporto di più governi, aumenta la penetrazione commerciale dei prodotti”.
Militarizzare la Difesa Ue
Una strada la indica il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone: “le due dimensioni che devono essere perseguite si articolano in una parte operativa e in una cooperativa”. Per quanto riguarda la prima, si tratta di “sostenere la forza European rapid deployment capacity (Eurdc)” e una operazionalizzazione, una “militarizzazione”, come la definisce l’ammiraglio, delle strutture della Difesa europea. “Come il Military planning and conduct capability (Mpcc) che deve diventare il quartier generale operativo dell’Ue ed esercitare realmente il comando e controllo” dell’Eurdc. Inoltre “va scissa la parte staff dell’Eums dal Mpcc, entrambi sotto un elemento militare di valore politico-strategico opportuno che “possa agire nella direzione operativa, di policy strategica e di dottrina”. La seconda direttrice, della cooperazione, spinge verso il joint procurement come reale apporto alla deterrenza bisogna possedere “una tecnologia tale da dissuadere qualunque aggressore”.
I Samp/T all’Ucraina dopo l’intesa Italia-Francia
Italia e Francia hanno ordinato 700 missili terra-aria Aster-30, che vengono lanciati con il sistema di difesa aerea Samp/T. La decisione è stata presa ieri a Roma, dove il ministro della Difesa Guido Crosetto ha incontrato l’omologo francese Sebastien Lecornu, riferisce L’Opinion.
L’obiettivo è rimpolpare le scorte dopo che Parigi e Roma si apprestano a consegnare un sistema Samp/T e un numero imprecisato di missili Aster-30 all’Ucraina. Normalmente passano circa tre anni tra l’ordine e la consegna, ma i governi hanno detto di voler sollecitare ad accorciare i tempi il consorzio produttore Mbda, partecipato da Airbus, Bae Systems e Leonardo.
I due ministri hanno poi confermato la sintonia e il comune impegno nel sostegno all’Ucraina e per la difesa del fianco Est della Nato ribadendo, ancora una volta, che l’obiettivo principale è sempre il raggiungimento di una pace giusta. “La guerra scatenata dalla Russia rappresenta la più grave minaccia per la pace e la stabilità del continente europeo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, una chiara violazione dei principi di integrità e inviolabilità dei confini territoriali, del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite”, si legge.
Ma cos’è il missile Aster-30? Si tratta di un sistema missilistico terra-aria sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell’ambito del programma italo-francese Fsaf (Famille de Sol-Air Futurs) dal consorzio europeo Eurosam (formato da Mbda Italia, Mbda Francia e Thales). Uno dei sistemi più avanzati al mondo, raggiunge la velocità di Mach 4.5, ovvero quattro volte e mezzo la velocità del suono, e ha una gittata superiore ai 100 chilometri. Ne abbiamo scritto in questo approfondimento.
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(editoriale segnalato da @Vitalba su Twitter)
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GERUSALEMME. Sette israeliani uccisi in attacco armato. Morto ragazzo palestinese ferito dalla polizia
della redazione
Pagine Esteri, 28 gennaio 2023 – Sette israeliani sono stati uccisi e numerosi altri feriti ieri sera da raffiche sparate da un palestinese a Neve Yaakov, un insediamento ebraico alla periferia nord di Gerusalemme Est, la parte della città occupata nel 1967. Tre dei feriti sono in condizioni critiche. L’attentatore, Alkam Khairi di Gerusalemme e, pare, senza alcuna affiliazione politica, è stato ucciso a sua volta, mentre tentava la fuga in direzione del vicino quartiere palestinese di Beit Hanina. Secondo le testimonianze, ha esploso colpi con un’arma automatica per circa venti minuti: prima contro alcuni passanti, poi contro le persone che uscivano da una sinagoga e infine qualche decina di metri più avanti contro altri passanti.
Secondo il tg di Canale 12, Khairi ha prima sparato a una donna anziana, poi ha incontrato un motociclista e gli ha sparato, quindi ha raggiunto la sinagoga. Per la polizia invece, l’attentatore è arrivato in macchina intorno alle 20:15 davanti la sinagoga e ha aperto il fuoco. Poi è fuggito verso Beit Hanina, a diverse centinaia di metri di distanza, dove ha incontrato agenti di polizia. Avrebbe aperto ancora il fuoco ed è stato colpito a morte.
Mentre erano in corso le operazioni di soccorso, gruppi di abitanti di Neve Yaakov hanno urlato slogan contro il governo e la polizia che sarebbe giunta in ritardo sul posto. Lo stesso ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, uno dei leader dell’estrema destra, è stato accolto da espressioni di collera al suo ingresso di Neve Yaakov. «Morte agli arabi» hanno scandito i dimostranti in direzione di Ben Gvir. «Ora la responsabilità ricade su di te» hanno aggiunto.
Gli Usa hanno subito condannato l’«orribile attacco terroristico a Gerusalemme» per bocca del portavoce del Dipartimento di stato americano Vedant Patel, precisando che per il momento non sono previsti cambiamenti nel viaggio del Segretario di stato Antony Blinken atteso la prossima settimana in Israele.
Subito dopo la sparatoria un portavoce del movimento islamico ha descritto le uccisioni dei cinque come una «rappresaglia per il raid dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin di giovedì» in cui nove palestinesi sono stati uccisi e altri 20 feriti. «È stata una operazione eroica, dimostra che si è saldato un fronte unico che include Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza», ha aggiunto da parte sua il Jihad islami.
La giornata era cominciata con Jenin al secondo giorno di lutto per l’incursione dell’esercito israeliano, la più sanguinosa negli ultimi mesi. In centinaia si sono recati a portare le condoglianze alle famiglie dei morti. Lunga la fila davanti all’abitazione di Magda Obeid, la 61enne colpita e uccisa da un proiettile mentre era in casa. Gran parte dei 30 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno erano di Jenin, in buona parte militanti armati ma anche civili, spesso molto giovani. Tra i palestinesi aumentano coloro che dicono di “non avere più nulla da perdere” di fronte all’occupazione militare israeliana. Ieri sera doveva riunirsi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu convocato sul blitz compiuto in Cisgiordania su richiesta degli Emirati, il principale alleato arabo di Israele nel Golfo. Ma a Jenin e nel resto dei Territori occupati nessuno crede più all’intervento della comunità internazionale o alla soluzione a Due Stati. E non genera timori particolari che al potere in Israele ci sia un governo di estrema destra antipalestinese. «Sono tutti uguali quando guardano a noi palestinesi» ripetono un po’ tutti. L’analista Nour Odeh, intervistato da The Media Line, ha spiegato che per i palestinesi «la soluzione a Due Stati (Israele e Palestina, ndr) è una proposta vuota che sta diventando ridicola e farsesca. L’agenda del governo israeliano non solo rifiuta lo Stato palestinese ma nega la stessa esistenza del popolo palestinese».
La tensione sale ovunque in Cisgiordania e non soltanto per la strage di Jenin. Nelle strade di Ram, a nord di Gerusalemme, ieri gruppi di giovani hanno affrontato a più riprese la guardia di frontiera israeliana per protestare contro l’uccisione di un 22enne. Ieri è spirato in ospedale Wadih Abu Ramoz, un adolescente palestinese ferito mercoledì nel quartiere di Silwan a Gerusalemme Est. Ieri al diffondersi della notizia della sua morte gli abitanti di Silwan hanno manifestato contro la polizia. Gli scontri sono andati avanti fino a notte fonda.
Non ha avuto sviluppi l’escalation di giovedì notte lungo le linee tra Gaza e Israele. Sia i razzi lanciati dai palestinesi dopo la strage a Jenin che i bombardamenti dell’aviazione israeliana contro presunti siti di Hamas sono stati intenzionalmente limitati in modo da evitare un conflitto più ampio.
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Defence for Children: il decalogo per la protezione dei minori stranieri non accompagnati
a cura di Defence for Children Italia
Pagine Esteri, 25 gennaio 2023 – Uno strumento per qualificare il sistema di accoglienza attraverso la legge. Defence for Children International sintetizza in un decalogo di garanzie, basato sugli standard internazionali e l’ordinamento italiano, ciò che le istituzioni, le strutture e gli operatori devono realizzare per proteggere i minorenni stranieri, rendere sostenibile il sistema di accoglienza e prevenire fenomeni di disagio e di ordine pubblico che pesano sempre di più sui territori dell’accoglienza.
I 10 punti, elaborati sulla base di un lavoro di diversi anni, si propongono come strumento di orientamento, monitoraggio e azione affinché politiche, strategie e pratiche convergano nell’applicare pienamente gli standard internazionali e nazionali a tutti i livelli per tutelare i minorenni e per qualificare in modo sostenibile e utile all’intera comunità l’ingente spesa investita in un sistema che non riesce ad emanciparsi dai livelli dell’emergenza e della contingenza.
Seguendo un approccio integrato e sistemico, il documento trova base nell’attuale impianto normativo nazionale – in particolare la Legge 47/2017 – ed internazionale, in linea con i principi sviluppati e promossi dalla Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (FRA), il Consiglio d‘Europa e la normativa comunitaria.
“Si tratta di un decalogo volutamente sintetico che deriva dal lavoro di analisi e di prossimità che negli anni abbiamo realizzato con e per le persone minorenni straniere che raggiungono il nostro paese. Persone che troppo spesso devono affrontare, nella loro giovane età, oltre alla distanza dalla propria famiglia ed un viaggio pericoloso, le insidie di un contesto che, nonostante quanto preveda il diritto, opera una evidente ed iniqua discriminazione strutturale. La frammentazione, l’emergenza, la contingenza caratterizzano il contesto nel quale questi giovani devono riuscire a realizzare il loro percorso di vita ostacolati dal loro status migratorio e costretti in condizioni di vulnerabilità che frequentemente li espongono a violazioni e violenza.” spiega Pippo Costella, Direttore di Defence for Children International Italia.
“Nel clamore e nelle frequenti strumentalizzazioni sulla questione migrante ci auguriamo che le 10 garanzie proposte vengano intese e utilizzate trasversalmente come una mappa utile di riferimento e di monitoraggio in un territorio che ancora presenta troppa distanza tra la teoria e la realtà dei fatti, tra la competenza e la negligenza, tra il diritto e la sua realizzazione”.
La proposta, che raggiungerà tutti gli attori pubblici e privati del sistema nazionale, è stata presentata in anteprima la settimana scorsa a Bruxelles nell’ambito dell’iniziativa “BECOME SAFE – Building Efforts for Children on the Move in Europe through Systemic Approaches, Facilitation and Expertise”, sostenuta dall’Unione Europea.
Per informazioni e approfondimenti: info@defenceforchildren.it – 0100899050 – 3478798453
Il decalogo è consultabile e scaricabile anche dal sito Defence for children a questo link.
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Avete tempo fino alle 20.00 del 30 gennaio per inoltrare la vostra domanda ▶ istruzione.
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Manca poco alla chiusura delle #IscrizioniOnline per l’anno scolastico 2023/2024! Avete tempo fino alle 20.00 del 30 gennaio per inoltrare la vostra domanda ▶ https://www.istruzione.Telegram
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