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Mondo multipolare. Petromonarchie in soccorso di Erdogan


In soccorso di Erdogan, alle prese con il duello elettorale del 14 maggio, accorrono Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a lungo nemici del regime turco. Una riconciliazione in nome del mondo multipolare L'articolo Mondo multipolare. Petromonarchie in

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 10 marzo 2023 – Dopo il terremoto del 6 febbraio che solo in Turchia ha provocato quasi 50 mila morti, le petromonarchie sono state in prima fila nell’invio ad Ankara di ingenti aiuti. Nei giorni scorsi, poi, i paesi capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo – Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – hanno compiuto dei passi molto significativi nel percorso di riavvicinamento alla Turchia iniziato nel 2021.

Storico accordo con gli Emirati
In particolare, il 3 marzo Abu Dhabi ha firmato con Ankara uno storico accordo commerciale – ribattezzato Comprehensive Economic Partnership Agreement (Cepa) – che punta a raddoppiare il volume attuale degli scambi tra i due paesi, portandolo a 40-45 milioni di dollari entro il 2028. Già ora, la Turchia è il sesto partner commerciale degli Emirati: nel 2022 gli scambi bilaterali hanno toccato quota 19 miliardi, con un aumento del 40% rispetto all’anno precedente.
L’accordo, firmato durante una visita del ministro del Commercio turco Mehmet Mus nella capitale emiratina, è incentrato su settori come l’agritech, la produzione di energia rinnovabile, la logistica e le costruzioni e include la riduzione dell’82% delle tariffe doganali tra i due paesi.
«Le barriere al commercio di beni e servizi verranno rimosse e le attività dei nostri investitori e imprenditori saranno agevolate. In questo modo costruiremo su basi solide un ponte economico che si estende dall’Europa al Nord Africa, dalla Russia al Golfo» ha commentato il presidente turco Erdogan.
«La Turchia ha un’enorme potenziale di crescita. Sarà una delle più grandi economie emergenti che domineranno i mercati globali tra 20 anni» ha invece dichiarato Thani al Zeyoudi, ministro emiratino per il Commercio Estero.
Abu Dhabi ha promesso massicci investimenti nell’economia turca attraverso entità dipendenti dal governo emiratino. La ricostruzione di un sesto del paese distrutto dal sisma di un mese fa rappresenta una vera e propria miniera d’oro per gli investitori che potranno contare su corsie preferenziali e sulle ingenti commesse delle istituzioni turche. Già nel 2022, grazie anche ai finanziamenti a pioggia varati da Erdogan in vista delle cruciali elezioni presidenziali del 14 maggio, il Pil del paese era cresciuto del 5,6%. D’altra parte gli Emirati puntano a diventare uno dei centri mondiali degli affari e della finanza, e allo scopo stanno varando accordi economici di carattere strategico con vari paesi, tra i quali Israele, l’India e l’Indonesia.

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Il presidente emiratino Mohamed bin Zayed insieme a quello turco Erdogan

Riad puntella la Lira turca
A causa del terremoto, nelle scorse settimane la Banca Centrale turca ha dovuto stanziare ingenti fondi per le operazioni di soccorso e assistenza e per i primi finanziamenti alle aree colpite. La Banca Mondiale ha calcolato che il sisma ha causato almeno 35 miliardi di dollari di danni. Inoltre il paese soffre ormai da anni di una cronica svalutazione della moneta nazionale, la Lira, che pesa sulla bilancia commerciale oltre che sul potere d’acquisto della popolazione. Solo nel 2022, la divisa turca ha perso circa il 30% del proprio valore nel cambio con il dollaro, mentre nel 2021 la diminuzione era stata addirittura del 44%. A febbraio, il tasso ufficiale annuo d’inflazione è stato in Turchia del 55%, anche se si calcola che quello reale sia assai più alto.
Lo scontento creato dall’inflazione e dalla svalutazione della Lira, alimentato dai ritardi e dalle insufficienze nell’assistenza prestata dalle istituzioni statali turche alle vittime del terremoto, potrebbero causare un crollo dei consensi nei confronti del regime del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp).

In soccorso di Erdogan, però, è intervenuta recentemente l’Arabia Saudita. Nei giorni scorsi, infatti, il ministro del Turismo di Riad, Ahmed Aqeel al Khateeb, ha firmato un accordo col governatore della Banca Centrale di Ankara, Sahap Kavcioglu, che contempla il deposito di 5 miliardi di dollari nelle casse turche da parte della potenza capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo. I fondi sono stati messi a disposizione dal Fondo Saudita per lo Sviluppo (Fsd) e la misura mira a ottenere una rivaluzione della Lira turca e ad aumentare le riserve di valuta estera di Ankara, ha spiegato l’agenzia di stampa saudita “Spa”.
Inoltre, la mossa di Riad tenta di rafforzare la credibilità di Erdogan a poche settimane dalle presidenziali, che vedranno il fronte governativo opposto ai diversi partiti dell’opposizione – dalla destra alla sinistra – coalizzati per tentare di disarcionare il “sultano” ormai al potere da più di 20 anni.
Da parte sua, l’agenzia di stampa ufficiale turca Anadolu ha elogiato il deposito saudita, affermando che riflette il «forte sostegno del regno al popolo turco e la sua fiducia nel futuro dell’economia turca».

Da nemici ad alleati?
Il duplice accordo con l’Arabia Saudita e con gli Emirati segna un progresso significativo delle relazioni con le petromonarchie dopo il disgelo del 2021, seguito ad un decennio circa di rapporti molto tempestosi. L’inimicizia è sfociata addirittura in uno scontro armato – per quanto indiretto – in territorio libico: mentre Ankara sostiene il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu, gli emiratini appoggiano i ribelli della Cirenaica guidati dal generale Khalifa Haftar. I due fronti sono stati in competizione anche nel quadrante siriano, nel quale tanto la Turchia quanto le petromonarchie hanno sostenuto la ribellione armata contro il regime di Bashar Assad ma puntando su forze in concorrenza tra loro. In generale, le capofila del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno tentato di contrastare l’influenza turca nel mondo arabo-islamico e in particolare il sostegno di Ankara alle correnti legate alla Fratellanza Musulmana, considerata una seria minaccia da parte delle petromonarchie. Quando nel giugno del 2017 l’Arabia Saudita – insieme a Bahrein, Emirati Arabi ed Egitto – ha fatto scattare un massiccio embargo nei confronti del troppo indipendente Qatar, il regime turco ha fortemente sostenuto Doha con il quale ha stretto un accordo di cooperazione militare, impegnandosi a difendere il paese in caso di conflitto con i vicini.

L’episodio clou dell’inimicizia tra i turchi e le potenze arabe del Golfo è stato probabilmente l’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi all’interno del consolato di Riad ad Istanbul il 2 ottobre del 2018. Del feroce omicidio dello scrittore, rifugiatosi in Turchia dopo l’autoesilio dal suo paese, Erdogan ha più volte accusato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

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Miliziani dell’Esercito Nazionale Siriano nel Nord della Siria

Un disgelo in nome del mondo multipolare
Nel 2021 è rientrata la spaccatura con il Qatar, con le altre petromonarchie hanno deciso di rimuovere l’embargo, avviando poi lentamente un processo di normalizzazione nei confronti della Turchia, nel nuovo clima internazionale creato dall’invasione russa dell’Ucraina.
L’esplosione del conflitto su larga scala, con la conseguente polarizzazione tra Stati Uniti e potenze concorrenti, ha infatti accelerato e amplificato la tendenza delle petromonarchie a configurare uno spazio geopolitico proprio, il più possibile autonomo da quello guidato da Washington. In quest’ottica il ruolo di potenza regionale autonoma della Turchia – da tempo sganciatasi dalla tradizionale sudditanza nei confronti dell’agenda statunitense – viene considerato utile da sostenere.

Già nel 2022, gli Emirati Arabi Uniti hanno concesso ad Ankara l’investimento nel paese di 10 miliardi di dollari e uno scambio di valuta pari a 5 miliardi. Contemporaneamente, Erdogan e Mohammed bin Salman hanno aperto la via ad «una nuova era di cooperazione nelle relazioni bilaterali in campo politico, economico, militare, securitario e culturale», come recitava la nota congiunta diramata al termine di un incontro tra il “sultano” e l’erede al trono saudita nel giugno dello scorso anno.

Un riavvicinamento tra Turchia e Siria?Negli ultimi mesi, inoltre, Ankara e Riad hanno manifestato la propria volontà di riallacciare le relazioni con il governo della Siria, che pure i due fronti hanno tentato per anni di rovesciare sostenendo l’insorgenza jihadista.
I contatti tra gli emissari turchi e quelli siriani sono già iniziati da qualche tempo, mentre l’Arabia Saudita sembra più cauta. Comunque proprio in queste ore Riad e Teheran hanno annunciato il ristabilimento delle relazioni diplomatiche – interrotte nel 2016 – e la riapertura delle ambasciate entro i prossimi due mesi.
Intanto il possibile riavvicinamento con la Siria ha destato la preoccupazione degli Stati Uniti, del Regno Unito, di Israele e dell’Unione Europea, che starebbero esercitando forti pressioni su Erdogan affinché blocchi la normalizzazione con Damasco.

Certamente, il percorso verso la riconciliazione tra Ankara e Damasco sembra tutt’altro che semplice. La Turchia infatti occupa militarmente una vasta porzione del territorio della Siria settentrionale e sostiene (e manovra) vari gruppi dell’opposizione armata jihadista al regime di Assad, per lo più riuniti nel cosiddetto Esercito Nazionale Siriano. Inoltre la Turchia ospita più di 3 milioni di rifugiati siriani, molti dei quali sono stati colpiti dal terremoto del 6 febbraio.

Nei giorni scorsi, comunque, il ministero degli Esteri turco ha convocato l’ambasciatore di Washington Jeff Blake per chiedergli chiarimenti in merito alla visita compiuta il 4 marzo dal capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Mark Milley, nella base militare statunitense di Al Tanf, nel nord-est della Siria vicino al confine con Giordania e Iraq. Il generale statunitense ha visitato a sorpresa l’installazione militare – occupata nel territorio siriano contro la volontà del governo del paese – dopo una missione in Israele.
In Siria operano un migliaio circa di militari statunitensi, che l’amministrazione Biden sembra intenzionata a mantenere per contrastare l’influenza nel paese delle forze fedeli all’Iran.
Secondo i media turchi, il rappresentante turco ha denunciato l’incontro tra il generale Milley e i dirigenti delle Forze Democratiche Siriane a guida curda. – Pagine Esteri

5942017* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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La Silicon Valley Bank e la lobby bancaria anti-regulation


Prima del collasso finanziario arrivano gli aggressivi lobbisti anti-regulation. Questi sono spesso dello stesso tipo: detestare qualsiasi cosa assomigli a supervisione, restrizione, segnalazione e monitoraggio. Sono incarnazioni della frontiera, che simbolicamente impugnano pistole e uccidono i nativi, cercando ricchezza oltre le annotazioni su carta, la conformità e il tedio burocratico. Il crollo della Silicon Valley […]

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Russia: qual è il piano di Putin per il Kazakistan?


In un articolo di opinione del 16 febbraio 2023, intitolato ‘L’appetito della Russia può estendersi oltre l’Ucraina’, pubblicato su ‘The Hill’, William Courtney, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Kazakistan e membro anziano aggiunto presso la RAND Corporation senza scopo di lucro e apartitica, ha dichiarato:“Nel 2022, Putin ha affermato che prima del regno del […]

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Iran, Arabia Saudita e Cina cambiano il Medio Oriente


Per quelli all’interno del mondo anglofilo, il recente accordo siglato tra Arabia Saudita e Iran, mediato dalla Cina, ha ricevuto scarsa visibilità. L’accordo che ristabilisce le relazioni tra Arabia Saudita e Iran dopo una pausa di sette anni, potrebbe potenzialmente diventare un importante pilastro per la stabilità all’interno della regione. Le relazioni si sono inasprite […]

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Ucraina vs Russia: ordine mondiale USA in discussione


Mentre le tensioni mondiali aumentano per l’Ucraina, alcuni temono che questa crisi possa trasformarsi in una grande catastrofe geopolitica. Certamente potrebbe. Ma pochi riconoscono che c’è una questione ancora più grande di conflitto in fermento tra Stati Uniti e Russia. Potrebbe rapidamente superare la già pericolosa guerra in Ucraina. Considera la seguente affermazione sulla guerra: “Non […]

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Come l’eccessiva liquidità ha danneggiato la Silicon Valley Bank


Il secondo più grande crollo di una banca nella storia recente dopo Lehman Brothers avrebbe potuto essere evitato. Ora l’impatto è troppo grande e il rischio di contagio è difficile da misurare. La scomparsa della Silicon Valley Bank (SVB) è una classica corsa agli sportelli guidata da un evento di liquidità, ma la lezione importante […]

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Ucraina: chi prenderà Bakhmut-‘Stalingrado’?


L’epica battaglia per Bakhmut si sta trasformando nella Stalingrado della guerra Russia-Ucraina? La cattura della città da parte delle forze russe porterebbe la guerra decisamente a favore di Putin? D’altra parte, una riuscita difesa ucraina della città fornirebbe il trampolino di lancio per una controffensiva volta a respingere l’invasione di Putin? Come Bakhmut, la battaglia […]

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Roma ricorda il grande musicista Armando Trovajoli


Romano de Roma, innamoratissimo della propria città, alla quale ha dedicato non pochi brani tra cui il celebre ‘Roma nun fa’ la stupida stasera’, colonna sonora del musical ‘Rugantino’, il Maestro Armando Trovajoli viene ricordato a 10 anni dalla morte, proprio dalla sua città, nel Museo di Trastevere, con una Mostra che ne ricostruisce la lunga e […]

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#NotiziePerLaScuola

Il film “Fuoricondotta”, diretto da Fabio Martina e realizzato con i ragazzi e le ragazze degli istituti scolastici “Ermanno Olmi” e “Sorelle Agazzi”, sarà disponibile in streaming il 17 marzo 2023.

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PERÙ. L’8 marzo ravviva la lotta contro il governo e la repressione


Dopo più di 90 giorni dalla destituzione e dall'arresto del presidente Pedro Castillo, non si fermano le manifestazioni di piazza per chiedere le dimissioni della nuova premier incaricata, Dina Boluarte. Secondo Amnesty e agenzie ONU la violenza praticata

di Davide Matrone e Luis Darquea [1]

Pagine Esteri, 14 marzo 2023 – L’8 marzo riattiva la lotta e la solidarietà con il Perù. “Solidarietà con il Perù. Basta con il massacro. Dina Boluarte, basta con la repressione! Il popolo dell’Ecuador appoggia la lotta del popolo peruviano”. Con questo striscione le donne della Confederazione della Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE) hanno marciato per le strade della capitale Quito, solidarizzando con il popolo vicino. L’8 marzo ha ravvivato la questione peruviana e la lotta nel continente per dire no al sistema patriarcale che insieme al sistema capitalista neoliberista e al neocolonialismo imperialista consacrano l’America Latina come il continente più diseguale del pianeta. Nella giornata internazionale della donna e a 90 giorni esatti di dure manifestazioni, a Lima migliaia di manifestanti sono scese in piazza per chiedere nuovamente la destituzione di Dina Boluarte e le dimissioni dell’attuale ministro dell’Educazione Oscar Becerra per le aggressive parole pronunciate contro le donne rurali: le ha comparate ad animali e le ha accusate di violare i diritti umani portando alle manifestazioni i propri figli. Liliana Albornos del collettivo limegno “Marea Roja” ha dichiarato che nel paese si sta vivendo una dittatura e che la gran maggioranza della gente non vuole più questo governo e questo Congresso. Ha ragione l’attivista peruviana perché secondo un sondaggio del mese scorso realizzato dall’Istituto degli Studi peruviani, il 90% della popolazione sfiducia il Congresso, l’88% vuole elezioni anticipate e il 77% non approva la gestione dell’attuale presidente Boluarte. Dal 7 dicembre del 2022, in Perù non c’è pace e non si vede una via d’uscita prossima. Il popolo mette in discussione non solo la gestione dell’ultimo governo bensì l’intero impianto istituzionale. Stiamo parlando di un paese che ha cambiato 6 presidenti in 5 anni e che vede aumentare vertiginosamente la sfiducia verso la democrazia rappresentativa. Una nazione, inoltre, che si regge ancora su una Costituzione nata durante il colpo di stato nell’anno 1993 con Alberto Fujimori, oggi in carcere.

Le proteste, sorte in modo spontaneo dopo la carcerazione dell’ex Presidente Castillo, hanno avuto sempre più il sostegno delle organizzazioni sociali, indigene, studentesche, dei contadini, dei sindacati, dei lavoratori e di interi settori della popolazione che da 3 mesi bloccano il paese. Nessuno avrebbe immaginato che dopo 90 giorni sarebbero continuate le manifestazioni di piazza. Il bilancio al momento è grave: ci sono più o meno 60 morti e centinaia di feriti.

La denuncia de Amnesty International e dell’Onu

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International del mese di febbraio del 2023, sono stati accertati 46 casi di violazioni dei diritti umani durante le manifestazioni di Ayacucho, Andahuaylas, Chincheros e Lima tra il 29 gennaio e l’11 febbraio. Inoltre, si documentano 12 casi di assassinii con arma da fuoco. Secondo Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International per l’America c’è una brutale repressione degli apparati statali contro gli indigeni e i contadini spinta da forti odio, razzismo e disprezzo. “Non è casuale che decine di persone hanno dichiarato ad Amnesty International che sentono di essere trattati dalle autorità come se fossero animali e non esseri umani”. Inoltre, come dichiara l’analista politico peruviano Andy Phillips, ben 6 relatori di altrettante organizzazioni per la difesa dei diritti umani dell’ONU sono d’accordo nel dichiarare che in Perù si sono registrate violazioni di diritti umani e omicidi extra giudiziari. Questo pronunciamento è stato dato una settimana fa. Ora, il governo deve rispondere a queste gravi accuse perché potrebbero cominciare delle ricerche a livello internazionale e l’Onu potrebbe sanzionare il governo peruviano.

Le lotte territoriali e la frammentazione del movimento indigeno del Perù

Nel frattempo, nel paese, si sono create delle coordinazioni territoriali di lotta come quella denominata Coordinazione Macroregionale del Sud composto da organizzazioni sociali delle zone di: Puno, Cusco, Apurímac, Moquegua, Madre de Dios, Ayacucho e Arequipa. Le zone, non a caso, in cui si è registrato il successo elettorale dell’ex presidente Castillo nel 2021.

Il Coordinamento Macroregionale del Sud, così come l’intero popolo in conflitto da tre mesi, ha fatto intendere che le dure manifestazioni continueranno se non verranno accolte le seguenti richieste: 1. La chiusura del congresso, 2. le dimissioni di Dina Boluarte, 3. l’anticipo delle elezioni presidenziali, 4. La convocazione di un’assemblea costituente plurinazionale e popolare, 5. rilascio dell’ex presidente Pedro Castillo.

La coordinazione territoriale dei contadini che si concentra nel sud del paese ci palesa la frammentazione territoriale che esiste in Perù tra le nazionalità indigene e che non è riuscita ad organizzarsi in modo omogeneo a livello nazionale. Ad avallare questo fenomeno c’è l’accademico ecuadoriano Luis Montaluisa che durante una conversazione on-line ha dichiarato. “Il Perù non ha una struttura ben organizzata a livello nazionale come Movimento indigeno come quello presente in Ecuador e in Bolivia. Il paese presenta un’organizzazione indigena forte a livello territoriale nella zona Sierra sud e in buona parte dell’Amazzonia però nella zona costiera e nella capitale Lima non c’è assolutamente presenza indigena. L’assenza nella capitale è importante e non consente una spallata a un governo in difficoltà. Questo spiega la permanenza e la durata del governo Boluarte dopo 90 giorni di dure manifestazioni. Inoltre, secondo lo stesso accademico, il gruppo politico Sendero Luminoso nei decenni trascorsi è stato complice di questo mancato processo di organizzazione del movimento indigeno peruviano a livello nazionale.

La contestualizzazione delle lotte in Perù nel continente

“La crisi peruviana – dice l’accademico spagnolo Anibal Garzón – è una delle più gravi degli ultimi decenni e molto probabilmente una volta terminata questa fase d’instabilità e di violenza, il paese non sarà più quello di prima. Inoltre, l’analista spagnolo afferma che negli ultimi 3 mesi si sono registrati una serie di golpes in vari ambiti: un golpe parlamentare, un golpe giudiziario, un golpe militare e un golpe mediatico. Quest’ultimo è evidentissimo in quanto c’è un occultamento sistematico in Spagna e in tutt’Europa su quello che accade ed è accaduto nel paese sudamericano. Ciò che accade oggi in Perù, inoltre, va contestualizzato nel panorama latinoamericano dove si registra un’ondata di vittorie elettorali di governi progressisti, fatta eccezione per Ecuador, Uruguay e Paraguay. Un ritorno del progressismo di sinistra che promette bene e dà speranze per la ripresa di una nuova integrazione latinoamericana sotto la guida dei vari organismi nati in questi anni come: la CELAG, il MERCOSUR, l’UNASUR e l’ALBA. I 90 giorni di manifestazioni preoccupano le destre e le oligarchie nazionali, regionali ed internazionali per questa nuova spinta integrazionista latinoamericana che recuperi la dignità e la autonomia regionale” conclude l’accademico durante un’intervista al mezzo digitale Riksinakuy Internacional. Non dimentichiamo che proprio in Perù, e nella capitale nacque il famoso Gruppo Lima costituito da presidenti della destra latinoamericana che avevano il progetto di delegittimare l’ALBA e l’UNASUR e alcuni presidenti latinoamericani. L’intenzione si palesò con l’invito a Guaidó e non a Maduro come Presidente del Venezuela. “Un atto grave di ingerenza interna e regionale” secondo le dichiarazioni di Andy Phillips.

Gli avvenimenti significativi di questi 90 giorni di proteste

Tra gli avvenimenti più tragici di questi 90 giorni di sciopero ci sono i 18 morti di Juliaca e gli oltre 100 feriti in pochi giorni. La popolazione non ha ancora dimenticato “il massacro di Juliaca” il governo di Boluarte occupò un enorme numero di poliziotti ed esercito per massacrare i civili della zona. I locali non ricordavano una presenza militare di tali dimensioni se non durante i decenni ’80 e ’90 quando si combattè contro l’esercito di Sendero Luminoso.

Dopo i fatti di Juiaca, la Commissione interamericana per i diritti umani guidata da Stuarto Ralòn, visitò la città di Juliaca e condannò le azioni brutali della polizia nazionale peruviana. Ai fatti di Juliaca si aggiungono i durissimi scontri a Cusco, a Puno, nel distretto di Virú, l’occupazione dell’Universidad Mayor de San Marcos da parte degli studenti poi sgombrati con dura violenza. Questi sono solo alcuni dei fatti più tragici di questi 3 mesi di battaglie campali.

Le reazioni a livello regionale ed internazionale

La grave crisi in Perù hanno generato delle reazioni da parte di alcuni presidenti latinoamericani che hanno criticato Boluarte. I mandatari di Colombia, Honduras, Bolivia, Messico e Cile hanno espresso condanne di fronte all’illeggitimità del governo Boluarte. Il presidente di Colombia Petro e del Messico AMLO inoltre, hanno denunciato la violazione dei diritti umani perpetuati in questi mesi dal governo peruviano che ha risposto richiamando l’ambasciatore dalla Città del Messico. Inoltre, la stessa Boluarte dopo la condanna del governo di Bolivia ha attaccatto l’ex presidente Morales accusandolo di aver influenzato le proteste di Puno affinché il territorio fosse annesso alla Bolivia, provocando voci di militarizzazione al confine.

A livello internazionale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha spiegato che all’esecutivo è stato concesso un periodo di 60 giorni, a partire dal 2 marzo, per spiegare l’eccessivo uso della forza nelle proteste che hanno avuto luogo in Perù. Brian Nichols (sottosegretario di Stato per gli affari dell’emisfero occidentale) ha invece affermato di sostenere libere elezioni nel Paese latino purché si svolga un processo politico pacifico e rispettoso dei diritti umani. L’Unione europea ha respinto gli atti violenti e, come gli Stati Uniti, sostiene elezioni anticipate se ciò comporta il raggiungimento di un accordo in Perù.

“Emblematico invece è il silenzio dell’OEA che non ha pronunciato nessuna parola fin qui” come sostiene l’analista politico peruviano Phillips. L’OEA intervenne tempo fa per chiedere una mediazione tra il Congresso e l’esecutivo di Castillo però da 3 mesi non si esprime ed anzi “il suo silenzio è complice de un governo autoritario che ha sulla coscienza oltre 60 morti” ha concluso lo stesso studioso peruviano.

[1] Giornalista free lance ecuadoriano.

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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 31 marzo 2023, Catania


31 marzo 2023 – Auditorium Ex Chiesa della Purità – Via Santa Maddalena, 39 – CATANIA Saluti istituzionali SALVO ZAPPALÀ, Direttore Dipartimento Giurisprudenza UniCT ENRICO IACHELLO, Presidente AmiciUniCT ANTONINO DISTEFANO, Presidente Ordine degli Avvo

31 marzo 2023 – Auditorium Ex Chiesa della Purità – Via Santa Maddalena, 39 – CATANIA

Saluti istituzionali
SALVO ZAPPALÀ, Direttore Dipartimento Giurisprudenza UniCT
ENRICO IACHELLO, Presidente AmiciUniCT
ANTONINO DISTEFANO, Presidente Ordine degli Avvocati Catania
FRANCESCO ANTILLE, Presidente Camera Penale di Catania

Introduce
NUNZIA DECEMBRINO, Vicepresidente AmiciUniCT

Intervengono
FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro alla Giustizia
FELICE GIUFFRÈ, Ordinario Istituzioni di Diritto Pubblico UniCT, Consigliere CSM
IDA NICOTRA, Ordinario Diritto Costituzionale UniCT
ENRICO TRANTINO, Avvocato Penalista
MARIANO SCIACCA, Presidente Sez. Fallimentare Tribunale di Catania

Modera
ANDREA PRUITI CIARELLO, Avvocato e Membro del CdA della Fondazione Luigi Einaudi

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Presentazione del libro “L’inganno” di Alessandro Barbano


Oggi alle 18.00, presso l’Aula Malagodi si terrà la presentazione del libro “L’inganno – Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene” di Alessandro Barbano Modera Andrea Cangini, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi Interverranno Al

Oggi alle 18.00, presso l’Aula Malagodi si terrà la presentazione del libro “L’inganno – Antimafia. Usi e soprusi dei professionisti del bene” di Alessandro Barbano

Modera
Andrea Cangini, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi

Interverranno
Alessandro Barbano, giornalista e saggista, autore del libro
Giovanni Pellegrino, politico e giurista, già Presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle stragi

L’ingresso all’evento è libero

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MADRE DI BONG JOON-HO


Una donna sola vive totalmente in funzione del figlio, un ragazzo problematico, senza lavoro e non pienamente autosufficiente. Un giorno il giovane viene accusato dell’omicidio di una ragazza. La madre fa di tutto per provare a scagionarlo. #cinema #korea @Film

iyezine.com/madre-di-bong-joon…



Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 31 marzo 2023, PALERMO


31 marzo 2023 – Aula Magna della Corte d’Appello – Piazza Vittorio Emanuele Orlando – PALERMO Saluti iniziali MATTEO FRASCA, Presidente Corte d’Appello DARIO GRECO, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati CARMELO OCCHIUTO, Componente Giunta

31 marzo 2023 – Aula Magna della Corte d’Appello – Piazza Vittorio Emanuele Orlando – PALERMO

Saluti iniziali
MATTEO FRASCA, Presidente Corte d’Appello
DARIO GRECO, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati
CARMELO OCCHIUTO, Componente Giunta Unione Camere Penali Italiane
LIA SAVA, Procuratore Generale

Intervengono
FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro alla Giustizia
ANTONIO BALSAMO, Presidente del Tribunale di Palermo
GIOACCHINO SBACCHI, Camera Penale di Palermo
DARIO SCALETTA, Consigliere del CSM
GAETANO ARMAO, Avvocato e Professore di Diritto Amministrativo
BARTOLOMEO ROMANO, Professore di Diritto Penale
BENIAMINO MIGLIUCCI, Avvocato

Moderano
FABIO FERRARA, Presidente Camera Penale di Palermo
RICCARDO ARENA, Giornale di Sicilia

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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere – 23 marzo 2023, Roma


23 marzo 2023 – Auditorium Cassa Nazionale Forense – Via E. Quirino Visconti, 8 – ROMA Saluti istituzionali VALTER MILITI, Presidente Cassa Forense PAOLO NESTA, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma ANDREA BORGHERESI, Direttore Fon

23 marzo 2023 – Auditorium Cassa Nazionale Forense – Via E. Quirino Visconti, 8 – ROMA

Saluti istituzionali
VALTER MILITI, Presidente Cassa Forense
PAOLO NESTA, Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma
ANDREA BORGHERESI, Direttore Fondazione Ordine Avvocati di Roma
GAETANO SCALISE, Presidente Camera Penale di Roma

Intervengono:
FRANCESCO PAOLO SISTO, Vice Ministro alla Giustizia
GIAN DOMENICO CAIAZZA, Presidente Unione delle Camere Penali
BENIAMINO MIGLIUCCI, Avvocato
GIORGIO SPANGHER, Prof. Emerito Procedura Penale a “La Sapienza”

Modera:
GOFFREDO BUCCINI, Corriere della Sera

Sarà presente l’autore

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In Cina e Asia – Xi pronto a incontrare Putin e Zelensky


In Cina e Asia – Xi pronto a incontrare Putin e Zelensky xi jinping vladimir putin
I titoli di oggi:
Xi Jinping pronto a incontrare Putin e Zelensky
Cina, pronta la riapertura ai turisti
Il fallimento di Silicon Valley Bank travolge anche le aziende cinesi
Corea del Nord, Oh chiede di procedere con lo sviluppo di armi nucleari
Giappone, morto il nobel per la letteratura Kenzaburo Oe

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La deregulation ha ucciso la Silicon Valley Bank


Cerchiamo di essere chiari. Il fallimento della Silicon Valley Bank è il risultato diretto di un assurdo disegno di legge sulla deregulation bancaria del 2018 firmato da Donald Trump a cui mi sono fortemente opposto. Cinque anni fa, il direttore repubblicano del Congressional Budget Office pubblicò un rapporto in cui affermava che questa legislazione “aumenterebbe […]

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La Cina riabilita le madri single in nome dell’utilitarismo riproduttivo


La Cina riabilita le madri single in nome dell’utilitarismo riproduttivo Madri single
A chi appartiene l’altra “metà del cielo”? Su Banbiantian (半边天 “metà del cielo”) raccontiamo le storie di chi in Asia orientale lotta per la giustizia di genere in tutte le sue declinazioni. Quali effetti ha il declino demografico sullo status delle madri single in Cina? L’inverno demografico è arrivato. In Cina la popolazione è in recessione, per la prima volta ...

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Il vertice Aukus sui sottomarini nucleari


Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro australiano Anthony Albanese e quello britannico Rishi Sunak, si riuniscono alla base navale Point Loma di San Diego per illustrare i dettagli del patto di sicurezza che lega le tra nazioni, il

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro australiano Anthony Albanese e quello britannico Rishi Sunak, si riuniscono alla base navale Point Loma di San Diego per illustrare i dettagli del patto di sicurezza che lega le tra nazioni, il cosiddetto Aukus, che rafforza la cooperazione in materia di difesa tra i tre alleati di fronte alla minaccia di una Cina che continua a espandere la sua influenza nell’Indo-Pacifico. L’ultima volta che i leader di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia si sono riuniti per affrontare un avversario nel Pacifico è stato in occasione della Seconda guerra mondiale. Allora il nemico era il Giappone imperialista. Oggi, è l’assertività di Pechino a preoccupare i tre Paesi. Quanto deciso a San Diego è il risultato di un anno e mezzo di negoziato, con l’obiettivo di dotare Canberra di sottomarini a propulsione nucleare, come parte di una più ampia spinta per contrastare la crescente potenza militare di Pechino.

Il piano sui sottomarini

Il piano prevede la collaborazione tra Australia e Regno Unito per la progettazione di una nuova classe di sommergibili basati sulla tecnologia americana, da realizzare entro il 2040, e l’acquisizione entro il 2030 di cinque sottomarini della classe Virginia dagli Stati Uniti, come forza di transizione e di addestramento per formare gli equipaggi australiani che si troveranno a operare sui battelli nucleari. Attualmente solo sei Paesi dispongono di sottomarini a propulsione nucleare: Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e India. L’Australia, la cui flotta è composta da sei sottomarini classe Collins a propulsione diesel, sarà il settimo, una volta che la flotta Aukus sarà dispiegata. I nuovi sommergibili daranno alla Marina australiana una forza navale la cui portata strategica sarebbe notevolmente potenziata grazie alla capacità dei nuovi battelli di rimanere in mare, in immersione, per mesi.

La “classe Aukus”

Tutti e tre i Paesi dovranno investire pesantemente per potenziare la propria base industriale di difesa, con i cantieri statunitensi e britannici già a pieno regime per soddisfare le commesse nazionali. La Gran Bretagna, per esempio, ha investito notevoli risorse nella realizzazione del suo programma Dreadnought, progettato per portare il deterrente nucleare del Regno Unito. I sottomarini di nuova generazione previsti dal patto Aukus dovrebbero avere un design basato su una variante della prossima generazione di sottomarini nucleari del Regno Unito, chiamata SSN (R), destinata a sostituire gli attuali di classe Astute. Al di là delle difficoltà però, il patto Aukus sui sottomarini, legato anche accordo con Italia e Giappone per la costruzione del caccia di sesta generazione Gcap, potrebbe fornire all’industria della Difesa britannica una programmazione con una durata venticinquennale.

Il ruolo degli Stati Uniti

La variante prevista per l’Australia, soprannominata SSN Aukus, vedrà l’ampio utilizzo di tecnologia statunitense, in particolare nei sistemi d’arma e di combattimento, tra cui i missili da crociera Tomahawk della Lockheed Martin e i siluri MK48. L’Aukus sarà probabilmente basato su un modello modificato della classe Astute o Virginia, e il suo costo medio potrebbe aggirarsi tra i cinque e i sette miliardi di dollari. Se si aggiungono i costi degli armamenti e dei sistemi di combattimento, il supporto durante il ciclo di vita e l’addestramento, nonché i necessari investimenti in impianti di produzione in Australia, il costo totale del programma potrebbe salire a 125 miliardi di dollari australiani. Negli Stati Uniti permangono alcune perplessità sulle questioni relative al trasferimento tecnologico dei segreti americani sulla propulsione nucleare, al centro dell’accordo sui sottomarini di Aukus, e ancora più problematica sarebbe la cooperazione in materia di intelligenza artificiale, armi ipersoniche e capacità sottomarine, per le quali i requisiti di trasferimento previsti dal Regolamento sul traffico internazionale di armi impediscono la condivisione di informazioni con cittadini non statunitensi. Tuttavia, considerati i tempi lunghi del programma, è probabile che i tre governi riescano a prevedere delle clausole per consentire questo tipo di movimenti.

La strategia di Londra

Il viaggio di Sunak sulla costa orientale degli Stati Uniti avviene mentre nel Regno Unito il gabinetto presenta al Parlamento la sua Integrated review aggiornata, la dichiarazione completa sulla sua politica estera e di sicurezza dell’esecutivo di Londra. Secondo quanto dichiarato da Downing Street prima del viaggio del premier britannico negli Stati Uniti, “l’Integrated review aggiornata affronterà i gravi rischi della Russia di Putin, il comportamento sempre più preoccupante del Partito comunista cinese e le minacce ibride alla nostra economia e alla nostra sicurezza energetica”. All’interno del programma, quasi tre miliardi di sterline sono destinati alla costruzione di infrastrutture industriali nucleari, programmi di qualificazione nucleare e miglioramento dei servizi di supporto per i sottomarini in servizio. Attività che serviranno anche a sostenere i piani di sviluppo dei nuovi sottomarini nucleari per l’Australia nel contesto del patto Aukus.


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ANALISI. Siria e Hezbollah raccolgono i frutti della riconciliazione tra Teheran e Riyadh


La Siria pronta a beneficiare della distensione regionale e a rientrare nella Lega araba. Nasrallah abbasserà i toni anti-sauditi in cambio di un tacito riconoscimento dall’erede al trono Mohammed bin Salman. L'articolo ANALISI. Siria e Hezbollah raccolg

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 14 marzo 2023 – Quanto avverrà sul terreno in Medio oriente nel prossimo futuro darà la misura della sostanza della ripresa delle relazioni tra l’Arabia saudita e l’Iran annunciata la scorsa settimana. Il fatto che i due paesi abbiano deciso, con la mediazione di Pechino, di ristabilire i rapporti diplomatici, non significa che tutti i problemi tra le parti, nemiche per anni, siano risolti. Lo ha puntualizzato ieri in un’intervista a Asharq al Awsat il ministro degli esteri saudita, Faisal bin Farhan al Saud. Un invito alla prudenza di fronte alle ampie differenze che Teheran e Riyadh dovranno provare ad accorciare nelle prossime settimane.

Nella regione però il solo annuncio fatto a Pechino ha avuto riflessi immediati in vari scenari. Uno di questi sarà discusso il 15 e 16 marzo a Mosca durante l’incontro sulla Siria a livello di viceministri degli esteri tra Turchia, Russia, Siria e anche l’Iran, per la normalizzazione delle relazioni tra Ankara e Damasco, avversarie irriducibili dall’inizio della guerra in Siria nel 2011. Non è un caso che sabato scorso il presidente tunisino Kais Saied abbia annunciato che invierà un ambasciatore in Siria per rinnovare le relazioni bilaterali. E qualche giorno fa da Riyadh hanno fatto sapere che l’isolamento della Siria non funziona e che il dialogo è necessario se si vuole affrontare la crisi dei rifugiati e altre preoccupazioni umanitarie causate dal recente terremoto. Nel frattempo, si sono «normalizzati» i rapporti tra Turchia e Arabia saudita e applausi all’annuncio in Cina sono giunti anche dalla Lega araba che si prepara a restituire alla Siria il suo seggio. Ed è di ieri l’indiscrezione che gli Emirati, alleati dell’Arabia saudita nella sanguinosa guerra in Yemen contro Ansarallah, sarebbero ora intenzionati a negoziare con i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran. Un passo che valutano anche i sauditi.

Ricadute politiche rilevanti si attendono in Libano, alle prese con una terribile crisi economica e da oltre venti anni campo di battaglia tra i partiti legati a Teheran/Damasco (Fronte 8 Marzo) e quelli filoccidentali appoggiati da Riyadh/Washington (Fronte 14 Marzo). L’ambasciatore saudita a Beirut, Walid Boukhari, ha dichiarato che c’è «sicuramente» qualcosa di positivo per il Libano a seguito della distensione dei rapporti tra Iran e Arabia saudita. Parole che forse indicano una soluzione vicina per la nomina del nuovo presidente libanese congelata da ottobre a causa delle divisioni tra 8 Marzo e 14 Marzo. Ma ad attendere in Libano più di ogni altro partito o movimento i frutti di Pechino è Hassan Nasrallah, il segretario generale del movimento sciita Hezbollah. Nasrallah che in questi anni ha rivolto non pochi dei suoi discorsi infuocati all’Arabia saudita alleata degli Stati uniti e di Israele potrebbe ora abbassare i toni in cambio di un tacito riconoscimento dall’erede al trono Mohammed bin Salman.

In casa israeliana invece si litiga. Il premier Netanyahu e il suo predecessore Yair Lapid si accusano a vicenda di non aver agito in tempo per spingere i sauditi a firmare gli Accordi di Abramo e a non riconciliarsi con gli iraniani, come se avessero nelle loro mani il volante della politica estera di Riyadh. Sullo sfondo prosegue senza soste l’addestramento israelo-americano per un possibile attacco aereo alle centrali nucleari di Teheran.

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Guerre Digitali di Maria Teresa Taddeo


feddit.it/post/174945


Il podcast della filosofa Mariarosaria Taddeo, con particolare approfondimento sugli aspetti etici e quelli legati alla sicurezza nazionale


crosspostato da: feddit.it/post/174944

«Nell’epoca della rivoluzione digitale, le guerre digitali sono un fatto. Nella società contemporanea, una società digitale a tutti gli effetti, l’intero spettro delle attività belliche, dall’intelligence alle battaglie cinetiche, è supportato dal digitale.
C’è un legame diretto tra i valori e i diritti che caratterizzano una società e il modo in cui questa regola e affronta la guerra; per le guerre digitali questi valori e regole sono ancora tutti da chiarire.»

Ecco il podcast della filosofa Mariarosaria Taddeo, con particolare approfondimento sugli aspetti etici e quelli legati alla sicurezza nazionale
(segnalato nella newsletter #GuerrediRete)





Caccia e sottomarini. Il piano di Londra per avvicinare Atlantico e Pacifico


Cinque miliardi di sterline per i prossimi cinque anni per ricostruire le scorte di munizioni intaccate dagli aiuti all’Ucraina, per modernizzare le capacità nucleare e finanziare la prossima fase dei sottomarini previsti nel patto Aukus. È quanto previst

Cinque miliardi di sterline per i prossimi cinque anni per ricostruire le scorte di munizioni intaccate dagli aiuti all’Ucraina, per modernizzare le capacità nucleare e finanziare la prossima fase dei sottomarini previsti nel patto Aukus. È quanto previsto dalla Integrated review refresh (Irr) del primo ministro britannico Rishi Sunak, la strategia di difesa nazionale del Regno Unito commissionata dal gabinetto di Londra per incorporare le lezioni apprese dalla guerra in Ucraina e ridefinire il modo con cui la Gran Bretagna intende interfacciarsi con la minaccia della Cina. Il nuovo documento si aggiunge al programma quadriennale di spese per la Difesa britannica di 24 miliardi di sterline deciso nel 2020, il più grande aumento di spesa dalla Guerra fredda.

Il nuovo piano di Sunak

La nuova spesa prevista da Downing Street prevede nello specifico poco meno di due miliardi di sterline da destinare al rifornimento delle scorte di armi fornite all’Ucraina e a nuovi investimenti nelle infrastrutture di munizioni del Regno Unito. Tre miliardi, invece, sono da destinare alla costruzione di infrastrutture industriali nucleari, programmi di qualificazione nucleare e miglioramento dei servizi di supporto per i sottomarini in servizio. Attività che serviranno anche a sostenere i piani di sviluppo dei nuovi sottomarini nucleari per l’Australia nel contesto del patto Aukus.

Il patto Aukus

Il programma di Sunak è stato pubblicato mentre il primo ministro si trovava negli Stati Uniti per l’incontro con presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro australiano Anthony Albanese proprio per definire i dettagli del patto di sicurezza Aukus che lega le tra nazioni. Il piano, infatti, prevede la collaborazione tra Australia e Regno Unito per la progettazione di una nuova classe di sommergibili basati sulla tecnologia americana, da realizzare entro il 2040, e l’acquisizione entro il 2030 di cinque sottomarini della classe Virginia dagli Stati Uniti, come forza di transizione e di addestramento per formare gli equipaggi australiani che si troveranno a operare sui battelli nucleari.

Il caccia di sesta generazione

All’interno dei tre miliardi è ricompreso anche il programma per il caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap) che Londra sta sviluppando con Roma e Tokyo. A breve, tra l’altro, potrebbe esserci anche un vertice tra i ministri della Difesa italiano, britannico e giapponese Guido Crosetto, Ben Wallace e Yasukazu Hamada per discutere i prossimi passi verso lo sviluppo congiunto del Gcap, da realizzare a margine di Dsei Japan, la principale manifestazione dedicata al settore della Difesa integrato del Giappone, che si terrà a Chiba, vicino Tokyo, dal 15 al 17 marzo. Insieme, Aukus e Gcap, rientrano in quello che Londra ha definito il suo “Indo-Pacific tilt”, strumenti che serviranno alla Gran Bretagna per “rafforzare i legami Atlantico-Pacifico”, come si legge nella nota di accompagno al testo indirizzata da Sunak al Parlamento.

Oltre il 2% alla Difesa

Nel testo, inoltre, il primo ministro ha anche segnalato l’ambizione di aumentare la spesa della Difesa al 2,5% del Pil nel lungo periodo, anticipando in qualche modo un trend che potrebbe emergere all’interno della Nato (Anche se i conservatori chiedevano addirittura il 3%). Al momento, il Regno Unito è uno dei pochi Paesi europei dell’Alleanza Atlantica a raggiungere il requisito del 2% del Pil da dedicare alla Difesa. Tuttavia, lo scenario apertosi con l’invasione russa dell’Ucraina ha aperto la prospettiva di aumentare ulteriormente l’obiettivo del 2% previsto nel Galles nel 2014, e il prossimo vertice di Vilnius di luglio potrebbe essere l’occasione per settare un ulteriore aumento. Con la previsione della Irr, Londra sembra voler giocare d’anticipo su questa previsione.


formiche.net/2023/03/caccia-so…



Jet, sensori e molto altro. L’industria italiana protagonista del Dsei Japan


Ci sarà tanta Italia al prossimo Dsei Japan, la principale manifestazione dedicata al settore della Difesa integrato del Giappone, che si terrà a Chiba, vicino Tokyo, dal 15 al 17 marzo. Un evento che vedrà la partecipazione delle principali aziende itali

Ci sarà tanta Italia al prossimo Dsei Japan, la principale manifestazione dedicata al settore della Difesa integrato del Giappone, che si terrà a Chiba, vicino Tokyo, dal 15 al 17 marzo. Un evento che vedrà la partecipazione delle principali aziende italiane del settore, a partire da Leonardo. Protagonista sarà sicuramente il sistema aereo di combattimento di sesta generazione, il Global combat air programme (Gcap), che il nostro Paese realizza insieme a Londra e Tokyo. L’occasione, infatti, potrebbe vedere a margine anche un vertice tra i ministri della Difesa italiano, britannico e giapponese Guido Crosetto, Ben Wallace e Yasukazu Hamada per discutere i prossimi passi verso lo sviluppo congiunto del Gcap.

Il caccia di sesta generazione

All’evento saranno presenti tutte le principali aziende responsabili del progetto Gcap come la giapponese Mitsubishi Heavy Industries e la britannica BAE Systems, compreso il consorzio italiano che partecipa al Gcap composto Avio Aero, Elettronica, Mbda Italia e Leonardo. Un programma, come sottolineato dal senior vice president del gruppo di piazza Monte Grappa per il programma Gcap, Guglielmo Maviglia, che “guiderà la rivoluzione tecnologica che caratterizzerà il nostro settore nei prossimi cinquant’anni”. La sfida principale sarà creare un “sistema dei sistemi multidominio – ha spiegato ancora il manager – con l’aereo che rimarrà la core platform e i vari assetti che saranno interconnessi generando un sistema integrato, che va dalle piattaforme senza pilota agli armamenti” in grado di comunicare con tutti gli altri domini operativi, di terra, mare, aria, spazio e cyber”.

L’Italia sul Gcap

Al programma, per esempio, le italiane Leonardo ed Elettronica partecipano con la giapponese Mitsubishi Electric alla creazione della dimensione sensoristica del caccia di sesta generazione, attraverso lo sviluppo dell’Integrated sensing and nonkinetic effects & integrated communications system (Isanke&Ics). Una vera e propria rete di sistemi interconnessi in grado di conferire al velivolo capacità superiori in termini di sensoristica e di auto-protezione. Altro sistema fondamentale è quello degli effettori, i sistemi offensivi e difensivi di cui sarà dotato il Gicap, al quale partecipa anche Mbda che presenterà al Dsei la prossima generazione di effector da abbinare al caccia del futuro.

Il ruolo di Leonardo

Naturalmente, però, non si parlerà solo del caccia di sesta generazione, e il legame nel settore Difesa tra Italia e Giappone è cresciuto notevolmente nel corso degli anni. Leonardo è presente nel Paese del Sol levante da quarant’anni, fornendo diversi sistemi alle forze armate e di sicurezza nipponiche, a partire dagli oltre 160 elicotteri scelti dalla Marina, la Guardia costiera, la Polizia e le unità antincendio e Sar del Giappone. Al Dsei, la società italiana metterà in mostra il suo elicottero multi-missione AW139M, versione militare del più noto mezzo civile. C’è anche da ricordare che la Forza di auto-difesa aerea giapponese ha scelto la nuova struttura dell’International flight training school (Ifts), realizzata in Sardegna da Leonardo e dall’Aeronautica militare, per l’addestramento dei propri allievi piloti militari, con al centro l’uso dell’addestratore M-346 realizzato dal gruppo di Monte Grappa.

Sistemi all’avanguardia

Al Dsei Leonardo promuoverà dei sistemi avanzati di contromisure expendable attive per i velivoli da combattimento: BriteCloud, basato sulla tecnologia di disturbo Digital radio frequency memory, lanciabile da dispenser standard, progettato per contrastare le minacce a guida radar, e Miysis Dircm a difesa dai missili a guida infrarossa. In mostra anche i radar multifunzione e multi-dominio, fissi e mobili, per la sorveglianza e difesa aerea, terrestre e marittima, e la famiglia di munizioni Vulcano con calibri da 155 mm nella versione terrestre e da 127 mm in quella navale.


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Come il leader populista López Obrador riforma il Messico


Recentemente, il Messico è stato un “caso stato” nei media mainstream occidentali perché è diventato teatro di proteste contro l’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO). Le proteste sono nate come reazione alla riforma della legge elettorale con particolare attenzione all’Istituto Nazionale Elettorale (Instituto Nacional Electoral – INE), l’ente pubblico che sovrintende allo svolgimento delle […]

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USA – Cina: come costruire cordoni di sicurezza


Parlando all’Aspen Institute nel dicembre 2022, il coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale per gli affari indo-pacifici Kurt Campbell ha sottolineato la necessità di “costruire i guardrail” per impedire alle relazioni USA-Cina di “spostarsi in aree destabilizzanti”. Per fare ciò, Washington deve stabilire un dialogo regolare per dissipare i peggiori timori di Pechino sulle intenzioni […]

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Turchia: turbolenze per l’opposizione in vista delle elezioni


La Turchia questo mese ha assistito a una turbolenza politica che è durato solo quattro giorni. Il 2 marzo, Meral Aksener, il leader del Good Party, si è temporaneamente ritirato da una coalizione di partiti di opposizione chiamata Tavola dei Sei. Il tavolo è composto dal Partito popolare repubblicano, il principale partito di opposizione di […]

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Segnalo con forte preoccupazione di democratico e antifascista un'aberrante iniziativa del Comune di Quarona in Piemonte. La visione della locandina è inquieta


AVVISO AL SINDACO DI BOLOGNA: LA STORIA NON SI CANCELLA, SI STUDIA


La cancel culture non è un’invenzione americana e non è (solo) la conseguenza della degenerazione di quel politicamente corretto tipico di un Paese “giovane” e perciò refrattario al senso della Storia e al sentimento della Tragedia. La cancel culture è na

La cancel culture non è un’invenzione americana e non è (solo) la conseguenza della degenerazione di quel politicamente corretto tipico di un Paese “giovane” e perciò refrattario al senso della Storia e al sentimento della Tragedia. La cancel culture è nata in Italia.

Nell’Italia cattocomunista, afflitta dai sensi di colpa per il Fascismo, la “guerra civile” fu cancellata per ben 45 anni e fu ammessa come fatto storico solo quando, nel 1990, uno studioso “democratico”, Claudio Pavone, così intitolò un suo inequivocabile saggio. Con lo stesso spirito fu proscritta la parola “Patria”. E con essa fu di colpo cancellata e offesa la memoria di Dante, di Petrarca e degli eroi risorgimentali che al sogno della Patria-Italia, libera e unita, dedicarono la propria vita.

La parola Patria, parola che unisce, scomparve così dal vocabolario repubblicano e divenne monopolio esclusivo della destra post fascista. Con un’eccezione che sa di paradosso. Ad utilizzarla con inusitata passione colma di nostalgia fu un Papa, PioXII. “È necessario che voi guardiate alla Patria comune, all’Italia… Certo bisogna dire che non ultimo tra i segni di disorientamento degli animi è questo diminuito amore alla Patria, a questa grande famiglia donataci da Dio”, disse il 23 marzo del 1958 Papa Pacelli incontrando i marchigiani residenti a Roma. Ma le sue parole caddero nel vuoto e la rimozione del concetto di Patria rimase un’anomalia tutta italiana per cinquant’anni ancora.

Non c’è dunque da stupirsi che, si immagina per accreditare la propria identità “di sinistra” e “antifascista”, un giovane sindaco del Pd abbia pensato bene di espungere il sostantivo “patriota” dalla toponomastica cittadina. Non da tutte le targhe, però, ma solo da quelle dedicate ai partigiani. Così ha deciso il primo cittadino di Bologna Matteo Lepore, che nel farlo ha compiuto almeno due torti. Ha fatto in primo luogo torto al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, cui si deve il ritorno in auge del concetto di Patria. Non fu un vezzo, il suo, ma una scelta ragionata figlia della consapevolezza che il patriottismo rappresenta il principale antidoto al nazionalismo e, come sosteneva Altiero Spinelli, il necessario presupposto all’europeismo. Grazie a Ciampi la “Patria” e il “Tricolore” rientrarono a piano titolo nella simbologia repubblicana. E vi rientrarono anche perché, come scrisse Montesquieu ne Lo spirito delle leggi, “ciò che io chiamo Virtù, nella Repubblica, è l’amore della patria, vale a dire l’amore dell’uguaglianza”.

La Patria come elemento unificante, dunque. La Patria come terreno comune dove si coltiva il sacrificio per gli altri. Un concetto richiamato con chiarezza dall’attuale Presidente, Sergio Mattarella, nel discorso con cui concluse l’ultimo, drammatico anno di Covid. Nel volto dei sindaci e dei presidenti di regione, disse Mattarella il 31 dicembre del 2021, «scorgo il volto reale di una Repubblica unita e solidale. È il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica”.

Se pensava di fare torto a Giorgia Meloni e a Fratelli d’Italia, che in effetti nel loro abusare della parola “patriota” un po’ ne sviliscono il senso, Matteo Lepore sappia che ha fatto un torto a Carlo Azeglio Ciampi, oltre che alla verità storica e a tutti gli italiani. Ma, soprattutto, ha fatto un torto al, per citare il titolo di un saggio anticonformista di Romolo Gobbi, Mito della Resistenza. Non solo ai Gap, i Gruppi di azione “patriottica” che animarono quella Brigata partigiana non a caso intitolata ad un illustre patriota: Giuseppe Garibaldi. Ma, come ha scritto Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, ha fatto torto a quella retorica della Resistenza, immaginiamo condivisa dal sindaco di Bologna, che “da oltre settant’anni cerca di affermare il principio che l’azione dei partigiani non era a favore di una parte, ma dell’Italia intera”. Sì che, conclude Gramellini, “la scelta di sganciare la Resistenza dal patriottismo rischia di offrire una strepitosa arma polemica a chi continua a negare la verità di questa ricostruzione storica”.

Naturalmente, ogni “ricostruzione storica” può essere legittimamente confutata. Ma non cancellando la Storia, bensì studiandola.

Huffington Post

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Lottare per la pace, contro la guerra e le politiche antipopolari, costruire l’opposizione La strage avvenuta a Cutro ci ricorda la disumanità propria de


Il futuro dell’Ucraina: come la Corea o come la Jugoslavia?


Il 24 febbraio, primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, il Presidente russo Vladimir Putin non è riuscito a commemorare l’occasione con un discorso. Non c’era molto da festeggiare per Putin. L’invasione non era riuscita a rimuovere il governo di Volodymyr Zelensky a Kiev o a incorporare tutto il territorio ucraino nella Grande Russia. Nell’ultimo anno, l’esercito russo […]

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Le lettere a un giovane poeta di Rainer Maria Rilke


kulturjam.it/editoria-narrazio…


Perché l’accordo Iran-Arabia Saudita per ristabilire i rapporti è così importante


L’Iran e l’Arabia Saudita hanno concluso venerdì un accordo per ripristinare le normali relazioni diplomatiche e riaprire le loro ambasciate entro due mesi. L’accordo è arrivato al termine di una settimana di negoziati mediati dalla Cina a Pechino, che hanno posto fine alla spaccatura tra i due governi che esisteva da quando l’Arabia Saudita ha […]

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Energia, a Budapest parte il progetto Europeo della Fondazione Einaudi sui cambiamenti climatici – Promoting Power Purchase Agreements to achieve the net-zero target


Simona Benedettini, in qualità di Energy Economist del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, aprirà il 16 marzo a Budapest la prima sessione di lavori del progetto europeo “Promoting power purchase agreements to achieve the net- zero target

Simona Benedettini, in qualità di Energy Economist del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi, aprirà il 16 marzo a Budapest la prima sessione di lavori del progetto europeo “Promoting power purchase agreements to achieve the net- zero target”, promosso dall’European Liberal Forum e che vede, tra i partner coinvolti, anche la Friedrich Naumann Foundation (Germania).

Nel workshop ungherese Benedettini indicherà le linee guida per lo sviluppo di uno studio comparato volto ad individuare le migliori pratiche applicate negli accordi di fornitura di energia elettrica (fondamentali per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero e per contrastare i cambiamenti climatici), nei diversi Stati aderenti alla ricerca. Parteciperanno, oltre all’Energy Economist che rappresenta la Fondazione Luigi Einaudi di Roma e che si occuperà di sviluppare l’analisi della situazione italiana, Gero Sheck per la Friedrich Naumann Foundation (Germania), Ricardo Silvestre per il Social Liberal Movement (Portogallo), William Hongsong Wang per la Fundacion para el Avance de Libertad (Spagna) e Tomas Babicz per l’Inditsuk Be (Ungheria).

L’incontro di Budapest segna l’avvio di un importante lavoro che si svilupperà durante tutto il 2023 con l’intento di dare un qualificato contributo al dibattito europeo sul clima. Già è in programma un secondo workshop a Lisbona nel mese di maggio, due pubblicazioni sul tema e relativi policy brief, per concludere con un grande evento a Roma entro la fine dell’anno.

Context


The recent REPowerEU Plan of the European Commission considers Power Purchase Agreements (PPAs) a key driver to achieve the new 2030 target of 45% share of renewable energy. According to the European Commission, such target is essential to ensure the timely and effective achievement of carbon neutrality in 2050. However, the diffusion of PPAs is facing several challenges across EU Member States due to both market and legislative barriers which are intrinsic to the long-term nature of PPAs. The project intends investigating the legislative and market framework for PPAs in different EU Member States (a preliminary and not conclusive list of countries might include Italy, Hungary, Germany, Spain, Portugal) to identify best practices for the diffusion of PPAs and to contribute to the EU debate on climate policies.

The theme of PPAs communities addresses issues common to the liberal political and ideological area many issues dear to the liberal area, from combating legislative and market barriers through a transnational and supra-national perspective to ecological challenges and economic savings.

Topics: Climate policies, Energy security, Climate neutrality, Net-zero future, FF55, REPowerEU, New Green Deal

VECTOR- Techno-Sustainability

About the event


The event consists in a workshop conceived as a follow up to discuss Power Purchase on a comparative frame and agree on a final publication. Simona Benedetttini (LEF project leader) will animate the workshop to explain to them how she conceived the project and to assist them in the realisation of a cohesive in-depth chapters on a European perspective. Benedettini will help authors reflecting on several issues such as:

  • Identifying policies and market interventions which proved to be effective in promoting PPAs in EU countries
  • Achieving an in-depth understanding on relevant barriers to the diffusion of PPAs
  • Promoting the dissemination of best practices for the diffusion of PPAs
  • Providing a relevant contribution to the EU debate on climate and energy policies

Programme


Wednesday 15 March 2023

10:00 – 19:00 Participants arrival to the Hotel Castle Garden, 40-41 Lovas utca, 1012 Budapest, Hungary

20:00 Meeting at the lobby for welcome and introduction

20:30 Dinner TBD

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

Thursday 16 March 2023

Indítsuk Be Magyarországot Foundation, 2 Rózsahegy utca 1024 Budapest, Hungary

09:30 Introductory Remarks

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi
Speaker: Fjona Merkaj, European Liberal Forum Project Officer

09:45 Promoting Power Purchase Agreements to achieve the net-zero target purpose, objective, and scope

Speaker: Simona Benedettini, Energy Economist, Italy

11:00 Coffee Break

11:15 Dialogue with the participants of the workshop and follow-up in view of the publication of the volume Promoting Power Purchase Agreements

Speaker: Simona Benedettini, Energy Economist, Italy
Speaker: Ricardo Silvestre, MLS, Portugal
Speaker: William Hongsong Wang, Fundación para el Avance de la Libertad, Spain
Speaker: Gero Scheck, FNF, Germany
Speaker: Tamas Babicz, IBM, Hungary

12:30 Highlights of the event goals and conclusive remarks

Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

13:00 End of event & lunch with participants

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Perché l’accordo Iran-Arabia Saudita per ristabilire i legami è così importante


L’Iran e l’Arabia Saudita hanno concluso venerdì un accordo per ripristinare le normali relazioni diplomatiche e riaprire le loro ambasciate entro due mesi. L’accordo è arrivato al termine di una settimana di negoziati mediati dalla Cina a Pechino, che hanno posto fine alla spaccatura tra i due governi che esisteva da quando l’Arabia Saudita ha […]

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Start up e innovazione. Il piano di Leonardo che avvicina Roma e Tel Aviv


L’Italia, con Leonardo, rafforza la cooperazione nel campo dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico con Israele. Con l’evento di presentazione della seconda edizione internazionale del Business innovation factory (Bif), l’acceleratore dell’azienda it

L’Italia, con Leonardo, rafforza la cooperazione nel campo dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico con Israele. Con l’evento di presentazione della seconda edizione internazionale del Business innovation factory (Bif), l’acceleratore dell’azienda italiana dedicata alla selezione e al supporto di start up ad alto potenziale innovativo, il gruppo di piazza Monte Grappa ha potuto illustrare le caratteristiche dell’iniziativa in un Paese che si è guadagnato negli ultimi anni il soprannome di Start up Nation, grazie al suo ecosistema estremamente ricco e variegato di realtà all’avanguardia nei campi della scienza e della tecnologia. L’evento, tra l’altro, ha visto la partecipazione del ministro italiano degli Esteri, Antonio Tajani, in visita a Tel Aviv, insieme al ministro per l’Innovazione, scienza e tecnologia di Israele, Ofir Akunis. Una missione, quella di Tajani che, nelle parole del ministro, è servita “a rafforzare la cooperazione politica, economica, scientifica e culturale” tra i due Paesi mediterranei.

La strategia di Leonardo in Israele

L’evento è stato solo l’ultima delle iniziative di Leonardo in Israele, un Paese con il quale stanno crescendo notevolmente le opportunità di partecipazione e collaborazione. A novembre del 2022 la società ha perfezionato il processo di fusione tra la controllata statunitense del gruppo, Leonardo Drs, e la società israeliana Rada Electronic Industries, un accordo che porta anche all’automatica quotazione in borsa di Leonardo Drs al Nasdaq di New York e a Tel Aviv. A febbraio di quest’anno, inoltre, Leonardo ha rinsaldato i rapporti con Israele sul tema dell’innovazione sottoscritto due accordi con Israeli Innovation Authority, un’agenzia pubblica a supporto tecnico e finanziario di progetti innovativi, e con Ramot, una technology transfer company per la valorizzazione della proprietà intellettuale dell’università di Tel Aviv. Come spiegato da Enrico Savio, chief strategy and market Intelligence officer di Leonardo, in un’intervista ad Airpress, questi accordi “si inseriscono nel quadro della strategia di rafforzamento di Leonardo nel mondo come global player, anche attraverso la leva dell’innovazione e quindi la creazione di rapporti strutturali con gli ecosistemi di innovazione più avanzati”

La Start up Nation

Come spiegato ancora da Savio, dunque, “le collaborazioni con Israele terranno in considerazione da una parte, le necessità di Leonardo di attingere all’open innovation come contributo all’innovazione, e dall’altro le specificità e le eccellenze di Israele inserite in un disegno complessivo che include sia i Paesi domestici sia gli altri Paesi strategici.” Tel Aviv, infatti, vanta un ecosistema unico al mondo fatto di settemila start up, cento acceleratori e decine di incubatori attivi, circa 430 fondi di venture capital operanti nell’innovazione, quasi cinquecento centri di ricerca e sviluppo di multinazionali, 17 programmi di Transfer of technology e nove università pubbliche impegnate nella ricerca tecnologica. Negli anni, Israele è diventato un modello virtuoso nel campo dell’innovazione, che contribuisce al 15% del Pil e alimenta il 54% dell’export, occupando poco meno di un milione di lavoratori, su una popolazione di nove milioni e mezzo.

L’acceleratore di piazza Monte Grappa

La Business innovation factory (Bif) è l’acceleratore di start up lanciato dalla società di piazza Monte Grappa a gennaio del 2022, realizzata in partnership con LVenture Group, che punta a sostenere circa dieci aziende innovative all’anno nel loro processo di sviluppo di soluzioni innovative per il settore aerospazio e Difesa. Alle aziende che parteciperanno alla Bif verrà assicurato un sostegno a 360° nei progetti identificati. La nascita dell’acceleratore si inserisce nell’approccio di Leonardo all’innovazione che si fonda, come indicato dal piano strategico di crescita Be Tomorrow 2030, su interazione e collaborazione tra diversi attori, interni ed esterni, per favorire la condivisione di idee e conoscenze, alimentando opportunità di sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche.

Le prossime tappe del Business innovation factory

Il roadshow israeliano di Leonardo è solo l’ultima tappa del percorso, che ha visto la società presentarsi a Napoli, Milano, Londra, Monaco, e ha riscosso un notevole successo, con oltre duecento start up, venture capital e innovation hub. L’edizione di quest’anno, in particolare, è stata dedicata ai verticali della “simulazione e gamification” e “networking e cyber-security”. Adesso, i prossimi passi sono la selezione di una short list di enti in grado di accedere, a partire da maggio, alla fase di accelerazione della durata di sei mesi. “Ci auguriamo – ha raccontato Savio – che ai nastri di partenza a maggio potremo avere almeno una start up Israeliana”.


formiche.net/2023/03/startup-i…



Tre in Uno


Una carrellata di titoli e annunci ha informato gli italiani dell’imminente riforma fiscale, consistente in tre aliquote Irpef e una flat tax. Peccato che se ci sono tre aliquote non può esserci la flat, ovvero l’aliquota unica, e viceversa. Non si tratta

Una carrellata di titoli e annunci ha informato gli italiani dell’imminente riforma fiscale, consistente in tre aliquote Irpef e una flat tax. Peccato che se ci sono tre aliquote non può esserci la flat, ovvero l’aliquota unica, e viceversa. Non si tratta d’essere esperti di fisco, ma di capire che o è una o sono tre. Il solo caso in cui le due cose coincidono ha a che vedere con il sacro. È come avere annunciato una legge per i bipedi con quattro gambe. La spiegazione c’è e mostra più di quel che quegli annunci nascondono.

Il viceministro all’Economia Maurizio Leo, che conosce bene la materia e ha lunga esperienza, ha detto che la riforma in cantiere conta di avere il valore che ebbe la riforma degli anni Settanta. Ma la riforma che porta il nome di Bruno Visentini, varata nel 1975, era da subito compiuta, non un divenire sottoposto ai marosi della politica, e comportava una modalità di tassazione uguale per i redditi di natura differente. La così detta Visentini bis del 1983 non modificò quell’assetto ma intervenne sui bilanci societari.

Posto che, allo stato attuale, c’è una legge delega già approvata (per sua natura dettagliata nell’elenco e generica nelle modalità) e si dispone soltanto di anticipazioni, per giunta prestate in modo confuso, quel che si prospetta è piuttosto diverso. Fra le altre cose: 1. Le aliquote Irpef (ovvero il reddito delle persone fisiche, la dichiarazione che presentiamo, almeno quanti di noi pagano le imposte) passano da 4 a 3, ma per valutarne gli effetti occorre sapere quali siano e per quali scaglioni di reddito. Se il gettito restasse invariato qualcuno pagherebbe di più e altri meno; se il gettito calasse occorrerebbe sapere quali spese si tagliano; 2. La flat per tutti sarebbe una non flat relativa al reddito incrementale maturato nel corso dell’anno, quindi non scatterebbe lo scaglione successivo ma si pagherebbe un’aliquota diversa (che già non sono più 3); 3. La flat rimane per gli autonomi sotto un certo livello e che accettino il forfettario ma – a parte che anche questa è una non flat, bensì un’aliquota specifica (e daje a vederle aumentare) per determinati redditi – ne discende che trattasi del contrario della riforma Visentini, impostando una tassazione diversa a seconda non del livello ma della tipologia di reddito; 4. La flat vera, (un’aliquota uguale per tutti) resta come l’approdo promesso, ma non si sa con quale rotta e, comunque, anche in questo caso l’opposto della Visentini, che come era restava.

Fin quando non leggeremo i testi non siamo autorizzati a esprimere giudizi sulla riforma in sé. Riordino, semplificazione e lealtà verso il contribuente sono buone cose. Ma non sono quelle che finora leggiamo.

Veniamo alla pressione fiscale, a quanto costa il fisco per i contribuenti onesti. Lo slogan di tutti è che debba diminuire, fin qui è andata bene se non aumentava. Capiamoci: se la pressione fiscale dovesse crescere perché si fa pagare il dovuto agli evasori festeggeremmo, essendo la premessa per farla scendere agli onesti. Ma all’opinione pubblica si fa credere che l’evasore fiscale sia il pescecane approfittatore che s’arricchisce, il che è vero in qualche caso, per il quale è previsto anche il carcere (lallero); la gran parte dell’evasione consiste invece in scontrini non battuti, prestazioni in nero e fatture non fatte, il che comporta un accordo fra fornitore e cliente, mentre nessuno dei due ha la sensazione d’arricchirsi ma ritiene giusto non impoverirsi. Certo, sono disonesti. Ma è disonesto anche far credere che il recupero dell’evasione non riguardi il ricorrente dialogo: «Quanto le devo?», «Con la fattura o senza, nel primo caso c’è anche l’Iva». Chi si prende l’onere politico di spiegarlo, visto che si partì con lo sbagliatissimo piede di limitare anziché incentivare i pagamenti digitali?

Non c’è nessun gusto nel criticare a prescindere. Attendiamo il testo. Ma neanche è piacevole essere presi per quelli che salutano la mirabolante novità dei calvi con la zazzera.

La Ragione

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InSicurezza


Essersi spostati a Cutro, per tenere il Consiglio dei ministri, ha un valore simbolico. Di solidarietà e presidio. Non altro. È stato varato un decreto legge, che è oramai la sola forma d’iniziativa legislativa rimasta che possa sperare di giungere a una

Essersi spostati a Cutro, per tenere il Consiglio dei ministri, ha un valore simbolico. Di solidarietà e presidio. Non altro. È stato varato un decreto legge, che è oramai la sola forma d’iniziativa legislativa rimasta che possa sperare di giungere a una conclusione. Sono anni che vale questo andazzo e, a turno, chi si oppone protesta e chi governa decreta. Salvo scambiarsi le parti. Dopo quello che è successo nessuno se la sente di contestare i requisiti costituzionali della necessità e dell’urgenza. Tutto sta a vederne l’utilità.

Il decreto è bifronte, ma non incoerente, tenendo assieme aperture e repressione. Come qui immaginato. Diventa triennale la programmazione degli ingressi regolari di extracomunitari, mentre la quantità viene fissata da un Dpcm (il così detto “decreto flussi”). È la premessa per far entrare molte più persone, programmandone il numero in anticipo e così rendendo meno complicato lo smaltimento delle pratiche. Chi pensava che la destra al governo portasse con sé meno immigrati, o addirittura nessuno, sarà deluso: ne porta di più. La destra al governo può ben rispondere: ma sono regolari, mentre confermiamo di volere combattere l’immigrazione clandestina. Diciamo che si è giocato molto ad alludere, ma resterà il fatto che i profughi (che hanno diritto a essere accolti) continueranno ad arrivare in modo irregolare. E continueranno a entrare.

Poi c’è il lato repressivo, con pene fino a trent’anni (se il fatto porta al decesso di più persone) per gli scafisti. Il problema delle pene non è fissarle, ma applicarle. In mezzo c’è la giustizia. Difficile supporre che alla guida di una bagnarola sovraffollata si porrà il criminale turco o libico, semmai ci si troverà il picciotto marinaro. Un tribunale non comminerà a lui le pene concepite per il suo capo. E c’è anche il caso che l’imputato sostenga che la sua vita sia in pericolo, se venisse restituito al Paese del boss. A molti sembreranno dettagli o “cavilli”, ma è la ragione per cui la giustizia reale è così diversa da quella suggestivamente annunciata. Il che non autorizza a far spallucce; se l’equivoco si protrae è perché una società sana ha bisogno di ordine e sicurezza, mentre il mondo politico produce sentimentalismi: accoglienza e respingimento, comprensione e repressione. Roba da melodramma, che non risolve alcun dramma.

L’insicurezza colpisce i cittadini normali, accanendosi sui più deboli. Si fa credere che la teppaglia e la miseria che gira attorno alle stazioni o nei quartieri popolari o nelle periferie abbiano qualche cosa a che vedere con gli sbarchi o i clandestini, il che è solo in parte vero, ma il ciondolare da “richiedente asilo” è roba che produciamo noi. Ovvio che non puoi pensare di mandare per anni in galera quello che fa uno scippo o anche solo piscia sotto i portici, si ubriaca e vomita, ma è quello che più impressiona i cittadini. La rapina armata in una villa, con il morto, è gravissima ma la leggiamo sul giornale, mentre gli accampamenti senza legge finiscono di rado sui giornali ma riempiono la giornata del passante. Le forze dell’ordine ci fanno poco e niente, perché è vero che sono obbligate a intervenire ma sanno che non risolve nulla. Non manca la legge, manca la giustizia. I piccoli reati sono i più diffusi, creano più allarme, la punizione è efficace se arriva a distanza di ore. A distanza di anni è una presa in giro.

Per riuscirci devi avere una giustizia commisurata. Non ha senso che viaggi tutto sugli stessi binari. Ed è un gravissimo errore della sinistra considerare l’ordine e la sicurezza come roba di destra, quando non reazionaria. Sono cose vitali. Solo che servono rimedi efficaci, giudici che decidano in un’udienza, pene ragionevoli, non necessariamente detentive. Questo disincentiverebbe, non la testa di leone su un corpo da scoiattolo.

Altrimenti si producono aumenti delle pene per accompagnare l’aumento degli immigrati. Che sarà, forse, urgente e necessario, ma che sia utile è improbabile.

La Ragione

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Carlo Buongiorno: una vita dedicata allo spazio


Il 12 marzo 1930 nasceva a Roma Carlo Buongiorno. Ingegnere, scienziato e prima di tutto, una persona di rara sensibilità accademica e umana. Buongiorno è noto alla storia dello spazio per essere stato il primo direttore generale dell’Agenzia Spaziale Italiana. Un ente che per l’Italia ha rappresentato il passaggio da una piccola realtà di […]

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PD: i problemi per Elly Schlein iniziano ora


Si può dirlo: finalmente?! Sì, finalmente ieri, a Roma, al Centro Congressi “La Nuvola” si è aperta e poi chiusa l’assemblea del Partito Democratico, e messa la parola fine a un’estenuante, ma anche noiosa fase congressuale che avrebbe sfiancato una mandria di tori Gallardo. 705 delegati in presenza, altri 221 in collegamento, hanno chiuso un […]

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