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GERUSALEMME. Stasera la marcia della destra a sostegno della riforma giudiziaria
della redazione
Pagine Esteri, 27 aprile 2023 – Questa sera a Gerusalemme si terrà il raduno della destra «One Million-Person March» a sostegno della contestata riforma della giustizia avviata dal governo Netanyahu che, tra i suoi punti, prevede una ampia limitazione dei poteri della Corte suprema. Il raduno avrà per slogan «Avete ricevuto un mandato per correggere l’ingiustizia! Non saremo cittadini di seconda classe!», rivolto a ministri e parlamentari della maggioranza di destra estrema religiosa al potere in Israele. Si terrà nell’area della Knesset (Parlamento) che per più di tre mesi è stata, assieme a Tel Aviv, il luogo principale della contestazione di centinaia di migliaia di israeliani contro la riforma.
Netanyahu con ogni probabilità non parlerà questa sera, vuole mantenere una posizione di basso profilo perché vede nella manifestazione più di tutto una «legittimazione» del suo governo composto da partiti di estrema destra e ultraortodossi. Collaboratori e alleati del primo ministro garantiscono che stasera «sarà la più grande manifestazione della storia» di Israele. I dimostranti giungeranno da ogni punto di Israele a bordo di mezzi di trasporto pubblico, di auto e di bus messi a disposizione dal Likud di Netanyahu e dai partiti dell’estrema destra Potere ebraico e Sionismo religioso.
Le centinaia di migliaia di manifestanti attesi a Gerusalemme forniranno al primo ministro un motivo per poter proclamare che Israele vuole la riforma della giustizia e la svolta di orientamento religioso che il governo sta dando all’ordinamento giuridico e, in definitiva, all’intero paese.
Netanyahu a fine marzo aveva sospeso l’iter della riforma per consentire colloqui di compromesso con l’opposizione, ospitati dal presidente Isaac Herzog. Gli oppositori del piano però hanno continuato le proteste antigovernative perché esponenti chiave della coalizione hanno promesso che la riforma andrà avanti «in un modo o nell’altro».
La Knesset è convocata il 30 aprile per dibattere di una legge che metterà le nomine giudiziarie sotto il controllo politico, un pilastro centrale del pacchetto legislativo.
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CINA. Con la telefonata a Zelensky, Xi spiazza gli Usa e strizza l’occhio all’Ue
di Michelangelo Cocco*
Pagine Esteri, 27 aprile 2023 – La Cina manderà in Ucraina e in “altri paesi” un inviato speciale per favorire una soluzione politica del conflitto in Ucraina. È questo il primo effetto concreto del colloquio telefonico di circa un’ora che mercoledì 26 aprile Xi Jinping ha avuto col suo omologo Volodymyr Zelensky. Per la prima volta dall’invasione russa del 24 febbraio 2022, il presidente cinese ha discusso con quello ucraino, rendendo evidente con l’intervento diretto della massima autorità del partito comunista che l’attivismo diplomatico di Pechino è sostanziale e mira a fermare una guerra che danneggia gli interessi della Cina, peggiorando le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Unione Europea, e deprimendo il commercio internazionale.
La Cina si è finora mantenuta “neutrale”: non ha condannato la guerra d’aggressione del suo quasi-alleato, ma non ne ha nemmeno sostenuto lo sforzo bellico, mentre ha ribadito continuamente l’importanza dei princìpi di “sovranità” e “integrità territoriale” (dell’Ucraina). Con la telefonata Xi-Zelensky, la Cina diventa di fatto l’unico grande paese a essere sceso in campo chiedendo la fine delle ostilità sulla base di un documento ufficiale, la “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”, pubblicata il 24 febbraio scorso. Grazie alla sua “neutralità”, Pechino può esercitare una potente leva nei confronti sia di Mosca (in virtù della quasi-alleanza Cina-Russia e del rapporto “personale” tra Xi e Putin) sia di Kiev, alla quale è legata da ottimi rapporti, anche commerciali, e che promette di aiutare finanziando la ricostruzione.
Xi si è accordato con Zelensky per spedire come inviato speciale a Kiev (e in “altri paesi”) una delegazione guidata da Li Hui, attualmente rappresentante di Pechino per gli affari eurasiatici. Il numero uno del partito comunista cinese ha chiarito che il compito di Li sarà quello di aiutare a condurre “comunicazioni approfondite” con tutte le parti coinvolte per “trovare una soluzione politica alla crisi ucraina”. La nomina di un inviato speciale è il primo passaggio formale per tentare di mettere attorno a un tavolo negoziale russi e ucraini, sostenuti da una mediazione forte.
Secondo quanto riportato dalla tv di stato CCTV, Xi ha detto a Zelensky che:
Non importa come cambino i venti e le nuvole a livello internazionale, la Cina è disposta a lavorare con l’Ucraina per spingere per una cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Il dialogo e il negoziato rappresentano l’unica via d’uscita praticabile. Le idee e le voci razionali stanno aumentando in questo momento, dobbiamo cogliere l’opportunità e accumulare le condizioni per una soluzione politica alla crisi. Nessuno vincerebbe in una guerra nucleare.
L’agenzia di stampa Xinhua ha aggiunto che:
Xi ha detto di aver apprezzato l’enfasi che il presidente Zelensky ha posto ripetutamente sullo sviluppo dei legami Cina-Ucraina e sulla cooperazione con la Cina, e ha ringraziato l’Ucraina per aver fornito una notevole assistenza per l’evacuazione dei cittadini cinesi lo scorso anno. Il rispetto reciproco per la sovranità e l’integrità territoriale, ha affermato Xi, è il fondamento politico dei legami bilaterali. Xi ha invitato entrambe le parti a concentrarsi sul futuro, a continuare a guardare e pianificare le relazioni bilaterali da una prospettiva a lungo termine, ed estendere la tradizione del rispetto reciproco e trattarsi reciprocamente con sincerità, in modo da promuovere lo sviluppo della partnership strategica Cina-Ucraina. La Cina non ha creato la crisi ucraina, né è parte della crisi, ha detto Xi, aggiungendo che in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e grande paese responsabile, la Cina non rimane a guardare, né getta benzina sul fuoco, ancor meno sfrutta la situazione per guadagni personali.
L’inviato speciale per l’Ucraina individuato dalla leadership cinese è il settantenne Li Hui. Si tratta di un diplomatico esperto, vice ministro degli esteri, laureato all’Università di studi stranieri di Pechino, che – scelto dall’ex presidente Hu Jintao – ha ricoperto l’incarico di ambasciatore a Mosca dal 2009 al 2019. In precedenza (dal 1997 al 2000) è stato ambasciatore in Kazakhstan. Li e i suoi collaboratori manterranno un dialogo costante con tutte le parti coinvolte – a cominciare dall’Ucraina e dalla Russia – in stretto coordinamento con la leadership del partito comunista a Pechino.
Zelensky ha descritto come “lunga e significativa” la conversazione con Xi che – ha sostenuto in un post su Twitter – «darà un forte impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali». Con una dichiarazione sulla sua pagina ufficiale di Telegram, il presidente ucraino ha aggiunto: «Particolare attenzione è stata prestata alle modalità di una possibile cooperazione per stabilire una pace giusta e sostenibile per l’Ucraina. La pace deve essere giusta e sostenibile, basata sui princìpi del diritto internazionale e sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite. Non può esserci pace a scapito di compromessi territoriali».
Lo scambio di idee Xi-Zelensky è avvenuto con il consenso di Vladimir Putin. La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che Mosca ha «preso atto della volontà della Cina di facilitare i negoziati con l’Ucraina». «Notiamo la prontezza della parte cinese a compiere sforzi per avviare un processo negoziale», ha aggiunto Zakharova durante una conferenza stampa mercoledì 26 aprile.
Il primo confronto tra Xi e Zelensky dall’inizio della guerra è arrivato in un momento cruciale, alla vigilia dell’annunciata contro-offensiva ucraina, mentre la Russia può contare al momento su un certo vantaggio in quanto a territori occupati. Si tratta però di una fase in cui tutte le parti manifestano stanchezza: secondo documenti d’intelligence Usa, in poco più di un anno, tra ucraini e russi, sono stati uccisi o feriti 354.000 soldati; gli Stati Uniti fanno fatica a stare dietro alle continue richieste di armamenti avanzate da Kiev; diversi paesi dell’Unione Europea (tra i quali l’Italia) si preparano al business della ricostruzione.
Nelle precedenti occasioni molto critica nei confronti dei tentativi di mediazione di Pechino, Washington è apparsa questa volta possibilista. Gli Stati Uniti – che fino a qualche settimana fa si sono limitati sostenere la resistenza ucraina, senza prendere in considerazione una possibile soluzione politica del conflitto – sono spiazzati dall’iniziativa cinese, che tuttavia non possono e forse a questo punto nemmeno vogliono ostacolare. Parlando ai giornalisti poche ore dopo la telefonata tra Xi e Zelensky, John Kirby l’ha giudicata “una buona cosa”. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale ha sostenuto di aver appreso della chiamata solo attraverso i media. E ha aggiunto: «Certamente accoglieremmo con favore qualsiasi sforzo per arrivare a una pace giusta fintanto che quella pace potrà essere, come ho detto, giusta, sostenibile e credibile. Non sarà sostenibile o credibile a meno che gli ucraini e il presidente Zelensky non ne siano investiti personalmente».
Eric Mamer, portavoce della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha affermato che la conversazione tra il presidente cinese e quello ucraino è stata «un primo passo importante e atteso da tempo dalla Cina nell’esercizio delle proprie responsabilità come membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». «La leadership cinese deve usare la sua influenza per portare la Russia a porre fine alla sua guerra di aggressione, ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina e rispettare la sua sovranità, come base per una pace giusta», ha aggiunto Mamer.
Una eventuale mediazione di successo della Cina sulla guerra in Ucraina potrebbe riavvicinare la Cina all’Unione Europea, obiettivo al quale la leadership di Pechino lavora indefessamente, nel tentativo di bilanciare il “containment” statunitense col miglioramento delle relazioni commerciali e politiche con Bruxelles.
Secondo fonti vicine all’Eliseo riportate da Bloomberg, il presidente francese Emmanuel Macron – che ha insistito per la telefonata Xi-Zelensky durante il suo recente viaggio a Pechino – ha dato mandato al suo consigliere diplomatico Emmanuel Bonne di coordinarsi con il capo della commissione esteri del partito comunista cinese, Wang Yi, per portare Russia e Ucraina al tavolo dei negoziati, auspicabilmente quest’estate.
«Incoraggiamo qualsiasi dialogo che possa contribuire a una risoluzione del conflitto in conformità con gli interessi fondamentali dell’Ucraina e del diritto internazionale – ha dichiarato ai giornalisti un funzionario dell’Eliseo dopo la telefonata Xi-Zelensky -. Questo è stato il messaggio trasmesso da [Macron] durante la sua visita di Stato in Cina, durante la quale il presidente Xi Jinping ha comunicato al capo dello Stato la sua intenzione di parlare con il presidente Zelenskyy».
L’iniziativa diplomatica cinese si era intensificata con il viaggio a Monaco di Wang. Il 18 febbraio scorso, intervenendo nella città bavarese alla 59esima Conferenza sulla sicurezza, Wang aveva accusato Washington aver sabotato i colloqui di pace e di «non curarsi della vita e della morte degli ucraini né dei danni all’Europa, perché evidentemente hanno obiettivi strategici più ampi». Wang aveva aggiunto che la Cina, che «sta dalla parte della pace e del dialogo» stava preparando un documento (la “Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina”) per riaffermare la necessità del rispetto della “integrità territoriale” ucraina, ma anche delle “legittime preoccupazioni di sicurezza” russe.
Nei giorni successivi l’ex ministro degli esteri si era recato a Mosca per preparare la visita di Xi Jinping a Putin, che dal 20 al 22 marzo scorso ha incontrato il presidente russo per discutere della partnership bilaterale Cina-Russia e della guerra in Ucraina.
Il 16 marzo, prima dell’arrivo di Xi al Cremlino, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba aveva discusso al telefono con il suo omologo cinese, Qin Gang, i princìpi in base ai quali far partire eventuali colloqui di pace. La Cina, aveva dichiarato Kuleba al termine del colloquio, «non è solo un partner importante per l’Ucraina, ma anche una potenza chiave indispensabile negli affari internazionali». Pagine Esteri
*Questo approfondimento è stato pubblicato in origine da “Rassegna Cina, la newletter di Michelangelo Cocco”.
Giornalista professionista, China analyst, scrivo per il quotidiano Domani. Ho pubblicato “Xi, Xi, Xi – Il XX Congresso del Partito comunista e la Cina nel mondo post-pandemia (Carocci, 2022), e “Una Cina perfetta – La Nuova era del Pcc tra ideologia e controllo sociale (Carocci, 2020). Habitué della Repubblica popolare dal 2007, ho vissuto a Pechino nel 2011-2012, corrispondente per il quotidiano il manifesto nello scoppiettante e nebbioso crepuscolo della tecnocrazia di Hu Jintao & Co. Sono rientrato in Cina nel gennaio 2018, anno I della Nuova era di Xi Jinping, quella in cui il Partito-Stato regalerà a tutti “una vita migliore” e costruirà “un grande paese socialista moderno”. Racconto storie, raccolgo dati e cito fatti evitando di proiettare le mie ansie e le mie (in)certezze su un popolo straordinario che se ne farebbe un baffo.
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“Nordio accompagni il cronoprogramma delle riforme con una cortese lettera di dimissioni”
Con un tweet rivolto al ministro Carlo Nordio la Fondazione Einaudi ha voluto aprire un dibattito costruttivo per l’attuazione delle riforme nella giustizia. Il “cinguettio” non lascia spazio ad interpretazioni: «ll cronoprogramma che ha annunciato per i provvedimenti sulla Giustizia, sia accompagnato da una letterina: le sue dimissioni! Il primo giorno di ritardo saluti e se ne vada. Non ci sono alternative». Un suggerimento, come evidenzia l’avvocato Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, volto a sottolineare l’autorevolezza del guardasigilli, il quale nei mesi scorsi ha promesso interventi molto precisi e ormai improcrastinabili.
Presidente Benedetto, sta apprezzando le ultime masse del ministro della Giustizia, Carlo Norio?
Premetto che la stima mia e della Fondazione Einaudi nutrita nei confronti di Nordio é assoluta. Grandi speranze ci sono state nel momento in cui Nordio ha accettato di fare il ministro della Giustizia. Quello che intendo puntualizzare é che, tuttavia, non siamo interessati, se non per il rapporto di amicizia che ci lega, al destino personale di Nordio. Siamo invece molto più interessati alle sue idee, a quelle idee che il ministro, per una vita intera nella sua importante carriera di magistrato prima e di opinionista poi, ha espresso con lucidità e coerenza. Se queste idee, oggi che Nordio é ministro della Giustizia, trovano una ricaduta, noi non solo ne saremo felici, ma sosterremo, sui temi in questione tanto Nordio quanto il governo.
Se, invece, quelle idee si impantanano in una logica di do ut des politico-parlamentare, a quel punto saremo costretti a prendere le distanze. Insisto, però: le idee di Nordio sono per noi il faro che deve illuminare la strada delle garanzie di libertà per il cittadino.
Pensa che, non essendo inquadrato in alcun partito, come tra l’altro ribadito pochi giorni fa in televisione, Nordio possa essere ostacolato nel suo intento riformatore?
Si.
Me lo può spiegare?
Il mio riferimento è alle riforme costituzionali e, in particolare, alla separazione delle carriere. Posso affermare, senza tema di smentita, che Fratelli d’Italia, nella scorsa legislatura, era molto interessato al progetto di riforma costituzionale, che prevedeva anche la separazione delle carriere proposta dalla Fondazione Einaudi. Da quando FdI ha assunto la guida del governo, non posso negare che quell’interesse, per usare un eufemismo, è andato scemando. Anzi, più che scemare progressivamente è cessato totalmente. Credo che sul punto abbiano influito quelle logiche di politica parlamentare cui accennavo prima. È opportuno comunque entrare nel merito delle questioni.
A cosa si riferisce più nello specifico?
La Fondazione Einaudi, come è noto, ha tanto da dire e tanto da offrire in termini di proposte riformatrici. Oggi non si può più procedere con gli “effetti annuncio”. Leggo in alcune interviste e in molti articoli che da qui a poche settimane, ma non sappiamo quando, sarà presentato un cronoprogramma con scadenze puntuali su alcune riforme importanti da realizzare. Si è parlato di abuso d’ufficio, di traffico di influenze e di intercettazioni. Ad oggi non abbiamo assolutamente idea del merito di queste riforme e in che senso ci si voglia muovere. Lo scopriremo solo quando i provvedimenti verranno formalizzati. Sull’abuso d’ufficio noi sappiamo che in passato Nordio, ma anche altri esponenti della maggioranza, lo hanno definito un “reato irriformabile”, premessa logica per procedere in maniera lineare verso l’abrogazione tout court. Mi domando, quindi, quale sarà la strada che il governo intende percorrere. Consiglio al ministro, nell’interesse suo e delle sue idee, di accompagnare queste riforme con una lettera, molto gentile, in cui ribadisce quanto ha già affermato il giorno del suo insediamento. Ha detto infatti: “Sono pronto alle dimissioni, qualora le mie idee non dovessero trovare accoglimento”. Questo è il momento, a distanza di sei mesi, per connotare la sua azione. È il momento delle riforme liberali e se non venissero accolte per logiche politiche e partitiche, credo che la lettera di dimissioni avrebbe ragion d’essere.
Qualche giorno fa, parlando alla Camera sul caso Artem Uss, il ministro della Giustizia ha affermato: «Così come nessuno può addebitare a un procuratore della Repubblica un intento intimidatorio nei confronti degli indagati, nessuno può permettersi di imputare al ministro un’interferenza invasiva quando esercita le sue prerogative per verificare la conformità del comportamento dei magistrati al dovere di diligenza, tra i quali campeggia il dovere di motivazione dei provvedimenti». Un principio di civiltà giuridica che fa emergere le qualità del guardasigilli?
Sottoscrivo parola per parola quanto ha detto il ministro, ma deve consentirmi una chiosa. Sono d’accordo con l’onorevole Enrico Costa quando dice che questo stesso principio debba essere applicato ai magistrati che invece di concedere i domiciliari a chi si trova in carcere fanno l’esatto contrario e perseverano sulla soluzione del carcere. Quando questo principio sarà applicato in entrambe le direzioni, questa seconda mi sembra una percentuale molto più rilevante di casi alla luce dei numeri registrati in questi anni, allora il principio enunciato dal ministro Nordio sarà stato effettivamente rispettato.
Nell’attuale legislatura, anche per la presenza di un ministro della Giustizia così autorevole, lei ritiene che sarà possibile una maggiore collaborazione tra i protagonisti della giurisdizione, vale a dire avvocati e magistrati?
Questa legislatura sul tema che lei ha indicato è cominciata bene, ma sta proseguendo in maniera poco comprensibile per i motivi su cui mi sono già espresso. Vi è poi un altro spunto di riflessione a mio avviso rilevante. Sento voci in base alle quali il ministero intenderebbe calendarizzare la separazione delle carriere in autunno. Una serie di norme il governo potrebbe già proporle e il Parlamento potrà successivamente discuterle e approvarle. Proprio in Parlamento, pendono già alcune proposte di legge che hanno preso spunto dalle iniziative della Fondazione Einaudi e dell’Unione delle Camere penali. Sarebbe opportuno, anche per speditezza ed economia di tempi, partire dalle proposte già esistenti. Una sospensione di ulteriori sei mesi rischia di essere un lasso di tempo eccessivo. Non vorrei che le incertezze e le differenze di idee all’interno della maggioranza portino a rinviare i problemi. Penso che non si possa più temporeggiare. Non dimentichiamo pure le deleghe della riforma Cartabia. Sul punto c’è stato un rinvio del governo di sei mesi. Alcuni temi, come il fascicolo delle valutazioni dei magistrati e la questione dei magistrati fuori ruolo, potevano e dovevano essere affrontati già in questa fase dal governo. Ma su tutto, a preoccuparmi di più, è l’occupazione da parte dei magistrati, non mi interessa a quale corrente appartengano, del ministero della Giustizia. Mentre professori universitari e avvocati, che possono ben coprire qualunque carica apicale a via Arenula, guarda caso, continuano a non essere coinvolti. Su tutto questo valuteremo l’operato del ministro Nordio e del governo.
Gennaro Grimolizzi, Il Dubbio, pag. 4, 27 aprile 2023
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In Cina e in Asia – La Cina lavora a una tassa sulla proprietà immobiliare
La Cina lancia una “caccia” alle spie
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Gli Stati Uniti invieranno sottomarini balistici nucleari in Corea del Sud
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L’Argentina rientra nell’Unione dei Paesi Sudamericani, si torna parlare di unità e indipendenza
di Mishell Mantuano Cabezas, (traduzione di Davide Matrone) –
Pagine Esteri, 26 aprile 2023. Il 21 marzo del 2023 ha sancito il ritorno dell’Argentina all’Unione dei Paesi Sudamericani dopo l’estromissione nel 2018. Durante una riunione con il Gruppo di Puebla e con il Consiglio Latinoamericano di Giustizia e Democrazia, il presidente argentino Fernández comunicò il rientro del suo paese all’UNASUR invitando il presidente Lula a fare lo stesso. Quest’ultimo accettò l’invito e all’inizio di aprile firmò per esserne parte e rafforzarla. Alla presa di posizione dei presidenti dei paesi più grandi del continente si è poi aggiunta quella del presidente colombiano, Gustavo Petro che vuole dare il suo contributo al progetto ed essere parte attiva dell’organismo molto presto.
L’Unione delle Nazioni Sudamericane, Unasur, è un’organizzazione intergovernativa costituitasi il 23 maggio dell’anno 2008, con la firma del Trattato Costitutivo dell’ Unasur che entrò in vigore nel 2011. L’organismo al principio fu integrato dai governi progressisti di Lula da Silva, Brasil; Michelle Bachelet, Cile; Tabaré Vázquez, Uruguay; Hugo Chávez, Venezuela; Evo Morales, Bolivia; Rafael Correa, Ecuador e Cristina Fernández, Argentina. L’obiettivo era di costruire, in modo partecipativo e consensuale, uno spazio d’integrazione e di unione politica, economica, sociale e culturale dei popoli sudamericani.
Inoltre, l’organismo pretendeva di rafforzare i processi democratici nella regione, eliminare le disuguaglianze socioeconomiche attraverso l’applicazione di politiche sociali rivolte all’educazione, alla salute, al lavoro, alla matrice produttiva ed energetica, alle infrastrutture, all’ambiente con l’obiettivo di sostenere la sovranità e l’indipendenza degli stati sudamericani.
Tuttavia, l’Unasur è entrata in una fase di decadenza, dopo lo sposatmento a destra di alcuni governi del continente come: Macri nel 2014 in Argentina, Bolsonaro nel 2019 in Brasile, Piñera nel 2018 in Cile e Moreno nel 2017 in Ecuador. Inoltre, le crisi politiche, socioeconomiche degli ultimi anni e la costante inoperanza dell’organismo hanno generato una retrocessione del progetto d’integrazione sudamericana. Per saperne di più, Pagine Esteri ha intervistato Shura Rosero, analista politico e Dottore in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università Centrale dell’Ecuador.
Cosa succede attualmente con l’Unasur?
Per Shura Rosero c’è un chiaro interesse di smantellamento dell’Unasur che si concreta in un contesto di cambiamento politico con i governi di destra di Bolsonaro in Brasile, di Moreno e Lasso in Ecuador e in Colombia con il rafforzamento dell’oligarchia nazionale e transnazionale con Álvaro Uribe e Juan Manuel Santos. A questo si aggiunge la forte crisi politica e istituzionale in Perù e il blocco contro il Venezuela di Maduro. Tutti questi porcessi hanno generato maggiori opportunità per i settori reazionari e le destre dell’America Latina che hanno l’obiettivo di difendere gli interessi transnazionali delle oligarchie contro l’unità dei popoli proposta dall’Unasur.
Secondo l’analista, lo smantellamento dell’organismo ha fini geopolitici che sono molto chiari, “un continente che ha un mercato di 700 milioni di persone, ha un potenziale per poter competere di fronte alle grandi potenze, soprattutto, con gli Stati Uniti che vede un grande pericolo nell’Unione Sudamericana. La dipendenza dal dollaro negli scambi economici disuguali, la divisione sociale del lavoro e le risorse economiche e la dipendenza tecnologica potrebbe essere superata attraverso l’Unione sudamericana e questo non gli interessa alle oligarchie regionali e internazionali”.
Per questo, il rafforzamento e la rivitalizzazione dell’Unasur è fondamentale per lo sviluppo del Sud America; tuttavia, ci sarebbero varie difficoltà; per esempio nei quadri giuridici sudamericani che seppur migliorati negli anni coi governi profressisti, le differenti legislazioni sono ancora propense a promuovere il settore privato e la “competizione selvaggia”. Questa è una delle questioni per le quali si parla d’integrazione monetaria, essendo il Sistema Unitario di Compensazione Regionale di Pagamento, il Sucre, una moneta virtuale che sostituisce il dollaro, uno dei primi processi di intento di un sistema di scambio di valore e livello sudamericano per non dipendere più dal dollaro.
Considerando che il dollaro è la divisa dello scambio mondiale, questo genera costi molto alti e produce una dipendenza monetaria e di valori. Invece, con l’esistenza di una moneta sudamericana, questi costi si eliminerebbero e lo scambio di prodotti si renderebbe più equatitivo, rapido e senza troppi ostacoli burocratici, legislativi e giuridici.
Di fatto, i governi di Brasile ed Argentina hanno deciso di dare un impulso congiunto alla moneta comune che abbia portata regionale, inoltre, con l’arrivo di Lula da Silva nuovamente in Brasile, il primo mandatario ha sostenuto il suo compromesso per l’integrazione dei paesi sudamericani attraverso la rivitalizzazione dell’Unasur e potenziare il Mercato Comune del Sud, Mercosur. Allo stesso tempo il presidente brasiliano, ed altri presidenti sudamericani come l’argentino Alberto Fernández, Evo Morales, di Bolivia, Nicolás Maduro, di Venezuela si sono pronunciati e riconoscono l’importanza del rafforzamento dell’Unasur.
Shura Rosero, dice che Lula da Silva, presidente del Brasile ha molto chiaro che gli scambi di valore commerciale, tecnologici, di risorse e di energie come il petrolio, il gas, il litio e l’elettricità sono possibili grazie all’integrazione locale e regionale che beneficerà le economie. Una volta dato lo scambio di valori, di merci, di tecnología, d’informazioni, di prodotti e di risorse, le società “genererebbero lavoro e ricchezze e questo eleva il livello di vita della gente con il miglioramento delle condizioni sociali per milioni di persone che vivono in povertà”.
Considerando che il Brasile è la porta d’entrata dei Brics, un consorzio formato da Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica dove lo scambio delle divise monetarie, di risorse e prodotti permettono che questi Stati escano dalla dipendenza degli Stati Uniti e che abbiano un’economia propria e sana. Secondo l’analista politico, un altro dei contesti che Lula da Silva abbia molto chiaro è la guerra di Russia ed Ucraina, giacché, questo è lo scenario nel quale si “decanta il problema della disuguaglianza globale e della crisi del mercato globale del capitale. Non necesariamente le economie devono passare per il controllo o la divisa nord americana, se non che possono generare i propri scambi e quindi i Brics e Sud America dando impulso l’integrazione stanno costruendo un’economia globale multipolare che gli permette sopravvivere non solo come paese, se non come blocchi politici”. Pagine Esteri
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CON LE SUE RECENTI E DISCUTIBILI SCELTE, MASTODON GGMBH STA UCCIDENDO IL FEDIVERSO? O VUOLE SOLO BLINDARLO DAGLI ATTACCHI ESTERNI? MA ALLORA PERCHÉ STA UMILIANDO LE STESSE ALTRE ISTANZE MASTODON?
Riportiamo l'interessante post pubblicato dall'account di @Fedi.Tips
Non credo che la gente si renda conto del pericolo in cui si trova il Fediverso.
L'unica cosa che impedisce alle società e ai VC di prendere il controllo di questo posto è che il Fediverse è distribuito su molti server diversi, il che rende molto difficile l'acquisto.
Se la maggior parte del Fediverse finisce su mastodon.social, che ora è una forte possibilità, non ci sarà nulla che impedisca che la maggior parte di esso venga venduta a Musk o Zuckerberg o chiunque altro.
Più grande diventa mastodon.social, più è probabile che si verifichi un buyout.
Ecco cosa controlla ora l'organizzazione Mastodon gGmbH di Eugen Rochko:
-Il software e l'API del server Mastodon (sebbene la versione attuale sia FOSS)
-Il server mastodon.social, che ha 1 su 7 di tutti gli utenti Fediverse
-Le app Mastodon ufficiali, ora dicono alle persone di registrarsi semplicemente su mastodon.social
-Il sito ufficiale su joinmastodon.org
-Il marchio per la parola "mastodon", che consente loro di dettare termini a qualsiasi server che lo utilizza
Questo è un pacchetto allettante per tutti i potenziali acquirenti.
Il marchio da solo conferisce a Mastodon gGmbH un enorme potere, consente loro di dire a qualsiasi server utilizzando la parola "mastodon" nel suo nome di dominio quale software o fork può utilizzare.
E sta peggiorando. Mastodon gGmbH sta ora realizzando app ufficiali che indirizzano le persone a registrarsi su mastodon.social invece di un server affidabile casuale o una scelta di server affidabili.
Più persone si iscrivono su mastodon.social, più allettante Mastodon gGmbH diventa un obiettivo di acquisizione.
Con tutto ciò in mente, ecco un suggerimento:
➡️*SE* mastodon.social diventa più del 50% del Fediverse, sia per utenti totali che per utenti attivi mensili, il resto di noi dovrebbe defederarlo.
Attenersi a mastodon.social perché "è lì che sono le persone" non ha senso. La crescita centralizzata causerà semplicemente la replica qui dei problemi di governance che abbiamo visto su Twitter e Facebook.
La crescita deve essere decentralizzata per proteggere l'indipendenza di tutti i server Fedi.
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La storia
Così è passata un’altra giornata in cui ciascuno ha parlato a sé stesso, incapace di parlare agli altri. A destra sarebbe impossibile non ammettere che la democrazia e la libertà nascono dalla sconfitta dell’infamia fascista, ma siccome c’è ancora chi nega, tocca alla presidente del Consiglio e capo della destra puntualizzare che sì, la Costituzione sulla quale ha giurato nasce e contiene l’antifascismo. Ma lo fa con parole tonde, con punti di fuga, sta parlando ai suoi, per dire loro: io sono sempre io, ma voi cercate di non farvi riconoscere. A sinistra sarebbe impossibile non ammettere che la democrazia e la libertà hanno consentito agli elettori di votare la destra, il che non significa che stia tornando il fascismo, ipotesi che conterrebbe sfiducia verso la Costituzione. Così si rievocano le parole d’ordine non dell’antifascismo di quando c’era il fascismo, ma dei presunti antifascisti quando il fascismo non c’era più. Dicono a sé stessi: siamo ancora noi, anche se non ci riconosciamo. Capita, quindi, che meno si abbia da festeggiare e più si dica che è una festa di tutti.
Nella trappola ci sono finiti perché hanno costruito due miti infetti: quello della Patria e quello della Resistenza tradite. E li costruirono perché il 25 aprile ricorda che la guerra la vinsero gli Alleati e la guerra civile i partigiani. Gli sconfitti di allora presero ad adorare il mito dei repubblichini pronti alla bella morte, cui la storia comunicava che avevano torto marcio. I vincitori di allora sapevano d’essere divisi e sapevano che nelle loro file c’era anche qualche delinquente (lapidarono Giampaolo Pansa, quando lo raccontò), ma a loro la storia comunicava che avevano radiosa ragione. La Storia non moraleggia.
Venne poi la Repubblica e chi prese a governarla (la Democrazia cristiana e i vari alleati) non poteva che provare a pacificare un Paese in cui la stragrande maggioranza aveva applaudito il fascismo (lapidarono Renzo De Felice, quando lo documentò) e solo una minoranza decise di combatterlo in armi. Fu così che l’opposizione, egemonizzata dai comunisti, prese per sé la rappresentanza della Resistenza, perpetuando la divisione, imponendole un colore, in oltraggio alla realtà, e vedendo ovunque fascismo risorgente. Tanto avvelenarono la memoria, gli uni e gli altri, da continuare oggi a parlare a sé stessi per placare i rispettivi demoni. Avendo una cosa in comune: sono nostalgici di quel che non furono. E per sperare d’essere qualche cosa hanno bisogno dell’altro opposto per riconoscere sé stessi. Il loro problema non è fare i conti con la Storia, ma con il cumulo di minchionerie che sostennero da giovani e con le quali fecero carriera.
Vadano a discuterne in cortile.
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La visione del futuro che manca ai “conservatori”
Diventare un grande partito liberal-conservatore: sembra essere questo l’obiettivo di medio termine che si prefigge Giorgia Meloni in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Un partito, cioè, capace di proporsi due traguardi ambiziosi. In Italia occupare non più una posizione di destra ma di destra-centro, e dunque presidiare un’area (quella di centro appunto) abbastanza consistente elettoralmente e politicamente strategica; in Europa cercare di diventare protagonista di una nuova maggioranza tra i popolari e il variegato universo delle destre continentali.
Preliminarmente, tuttavia, bisognerebbe forse rispondere a una domanda: che cosa deve e/o può proporsi oggi di conservare un partito conservatore per essere fedele al suo nome?
E come mai ogni volta che qualcuno si mette a difendere ad esempio valori riconducibili alla formulaDio-Patria-Famiglia — valori dopo tutto pur meritevoli di qualche attenzione — come mai però una tale difesa non solo cade regolarmente nel vuoto, non sposta nulla, ma mostra sempre un che di goffo e di stantio meritandosi l’ironica noncuranza della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica?
Perché, insomma, una posizione conservatrice appare specialmente in Italia sempre fautrice di un che di retrivo, di ottusamente legato al passato?
La risposta è facile: perché nella società italiana il pensiero dominante è portato a giudicare sempre e comunque positivo ogni cambiamento, a salutare con soddisfazione ogni distacco da pratiche e principi del passato. Perché qui da noi occupa una posizione egemonica una narrazione progressista nella quale si riconosce la stragrande maggioranza della comunicazione, dei media e della cultura che ha più voce, inclusa quella cattolica.
Ma il punto è che i tempi sono in straordinario e rapidissimo mutamento, e tutto ciò che ci siamo abituati finora a pensarne è sul punto di rivelarsi irrimediabilmente superato. Il progresso scientifico-tecnico che continua a conseguire successi mirabili sul piano, ad esempio, medico-farmacologico è però lo stesso progresso che con la robotica e l’Intelligenza artificiale già oggi minaccia di sconvolgere e annichilire interi universi di senso, modelli di azione, capacità, emozioni, intorno alle quali da millenni è venuto costruendosi la nostra soggettività e insieme il modo d‘essere delle nostre società. Mille segni indicano insomma che vacilla il convincimento finora incontrastato che il progresso tecno-scientifico debba necessariamente dar luogo a una vita più soddisfacente per il maggior numero, vale a dire al progresso sociale, a qualcosa che si possa ancora definire in questo modo. Appare sempre più probabile, all’opposto, che quel progresso sta mettendo capo a un mondo duramente gerarchizzato nelle competenze e nel lavoro, sempre più dominato dall’ineguaglianza, nella sostanza antidemocratico.
Su noi europei in specie incombe un’età della incertezza e forse del pericolo. La denatalità inarrestabile, la dipendenza nel campo dell’energia e di molte materie prime, l’insicurezza strategico-militare e un diffuso senso d’irrilevanza nelle cose del mondo, la crescente difficoltà dei sistemi di welfare e l’aumento delle ineguaglianze, la paralisi nella costruzione politica dell’Ue accompagnata dall’emergere di importanti linee di frattura al suo interno: tutto contribuisce all’indebolire la speranza che il domani sarà migliore dell’oggi. In molti abbiamo la sensazione di un progressivo abbassamento degli standard nell’ambito dell’istruzione, della qualità della vita urbana e delle relazioni sociali, dell’intrattenimento. Anche per chi non crede, infine, è difficile non chiedersi quali e quanti legami con il nostro passato culturale, con il nostro essere emotivo più profondo, sta recidendo la virtuale decristianizzazione del continente, la quale ormai si annuncia insieme al sempre più probabile prevalere in un prossimo futuro di fedi diverse da quella cristiana.
Ma dalla grande massa degli abitanti delle nostre società questo insieme di motivi d’incertezza e di sconvolgimento è ancora vissuto in modo frammentario e parziale, giorno per giorno, senza che se ne riesca ad avere il senso preciso della direzione complessiva. Anche perché il pensiero progressista egemone, pur sostanzialmente messo fuori gioco dalla crisi che sta investendo il suo retroterra, tuttavia ancora riesce a mistificare e occultare la portata di quanto sta accadendo. Ebbene, di fronte al panorama ora descritto il compito primo di un partito conservatore mi sembra che non debba certo essere quello di cercare di riportare in vita istituti e principi ormai morti perché figli di un’altra epoca (questo è semmai il mestiere dei reazionari).
Al contrario, il suo compito dovrebbe essere quello di provare a cambiare la narrazione del presente sottraendolo per l’appunto ai tracciati convenzionali, alle vulgate progressiste, e mostrandone invece la realtà altamente problematica, spesso irrealistica. Mostrando i contenuti negativi, le questioni drammatiche che tale realtà pone già oggi, le conseguenze negative a cui stiamo andando incontro a causa di scelte dettate in passato da un’eccessiva fiducia nelle «magnifiche sorti e progressive». Oggi conservare non vuol dire in alcun modo restaurare alcunché, tornare al passato. Vuol dire invece cambiare il punto di vista sul presente: per conservare un futuro nel quale sia ancora possibile riconoscersi.
Corriere della sera
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Aeronautica militare italiana partecipa a celebrazioni per i 75 anni di Israele
della redazione
Pagine Esteri, 26 aprile 2023 – L’ambasciatore d’Italia in Israele, Sergio Barbanti, ha riferito oggi che due caccia Eurofighter dell’aviazione militare italiana hanno preso parte alle celebrazioni per i 75 anni di Israele sorvolando Tel Aviv. “Che emozione vedere i cieli di Tel Aviv attraversati da due Eurofighter della nostra Aeronautica militare in occasione della tradizionale parata”, ha scritto il Barbanti che poi ha esortato a festeggiare “insieme a tutti gli israeliani 75 anni di indipendenza. YomHatzmaut Sameach!”.
I rapporti militari tra Israele e Italia si sono fatti molto stretti negli ultimi anni. L’aviazione italiana in particolare ha più volte partecipato ad addestramenti in Israele e altrettanto hanno fatto i piloti israeliani in Italia. Negli anni scorsi l’Italia ha anche venduto allo Stato ebraico aerei addestratori. Pagine Esteri
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Verso Nordio
Il debutto governativo di Carlo Nordio è stato encomiabile: ha esposto alle Commissioni parlamentari il suo programma, dimostrando di sapere esattamente dove mettere le mani e segnando un indirizzo capace di far sperare in una giustizia giusta e che funzioni. Tanto era stato preciso e chiaro che i consensi erano arrivati anche da sponde politiche distanti e da cultori del diritto che pure non hanno nulla a che spartire con la maggioranza che ora governa. I primi passi, poi, sono stati difficoltosi e contraddittori.
Abbiamo visto tutti che l’ansia di dimostrarsi determinati e severi ha spinto il governo a inseguire (inutilmente) delle (presunte) emergenze, andando in direzione opposta a quella indicata da Nordio: aumento dei reati e delle pene, laddove lui aveva promesso depenalizzazioni e processi in tempi ragionevoli, assai più dissuasivi di pene che neanche vengono irrogate. Il decreto legge sul rave party è giunto a problema risolto, mentre quello che aumenta le pene agli “scafisti” lo vedremo alle prese con la realtà, quando si constaterà che gli arrestati non sono certo boss, ma scagnozzi sacrificabili. In quella fase Nordio ha dovuto un po’ arrampicarsi sugli specchi, portando il proprio consenso a quel che evidentemente non condivideva. Ma ci sta, inutile fare i falsi ingenui. La preoccupazione era un’altra. E lo scrivemmo.
Nordio non dispone di una propria forza politica, può far pesare solo competenza e linearità. Chi lo ha chiamato a fare il ministro ne condivideva le idee. Questa è la sua forza. Ora, ed è la novità, ha messo a punto un crono programma in cui tutte le cose esposte dovranno essere realizzate. Dalla modifica dell’abuso d’ufficio a una diversa disciplina delle intercettazioni, passando per l’inappellabilità delle assoluzioni, per giungere alla separazione delle carriere (fra accusatori e giudici). Molto bene.
Il percorso non sarà semplice, non mancheranno gli inciampi. Sullo sfondo l’ipotesi che Nordio ha prospettato fin dall’inizio: o ci riesce o si dimette. Sulla predisposizione delle norme, interna alla compagine governativa, occorre che sia fermo e coerente. La navigazione parlamentare sarà cosa diversa e, in quella sede, staremo a vedere se la sinistra coglierà l’occasione per dimostrarsi forza consapevole e affidabile, oppure se sceglierà di fare la concorrenza alla peggiore destra. Cedendo al corporativismo e finendo con il somigliarle in giustizialismo. Che è l’opposto della giustizia.
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Mappina
Dunque bisogna mappare. Dovendosi occupare di concorrenza e dovendo fare i conti con gli interessi dei cittadini, in contrasto con le passate e sbagliate parole d’ordine di chi oggi governa, hanno visto una possibile via per guadagnare tempo e puntare all’oblio: la mappatura. Vale a dire: dovremo mettere a gara le concessioni per le vendite ambulanti, si dovrà fare altrettanto per la gestione delle aree di parcheggio, non si può proprio evitarlo per le spiagge – tutta roba che si fa occupando il suolo pubblico – ma prima di procedere è necessario avere una mappa di tutti questi beni demaniali, sapere quali siano occupati e da chi, nonché quanti siano liberi e quindi immediatamente assegnabili. Trattasi, però, di pietosa bugia e imbarazzante scusa.
Tanto da far correre la mente più alla mappina che alla mappa. Che la “mappina”, nel nostro Sud, è lo strofinaccio da cucina (ma anche un modo in cui ridursi), come il “cencio” o lo “straccio”. E non è bello essere ridotti ‘na mappina. Perché quelle aree sono beni demaniali, si trovano lì da qualche secolo ed esiste una apposita Agenzia del Demanio, istituita nel 1999 (ma ci se ne occupava, si concedeva e si riscuoteva già dal 1861, data dell’Unità, come pure anche prima a cura dei potentati locali). Dispone di 8 sedi centrali, 17 direzioni territoriali e 1.251 dipendenti. Voi dite che non sanno ove s’allocano le spiagge o che alle municipalità sfugge dove si nascondono il mercato e le bancarelle? Può ben darsi che tutti i dati non siano già pronti e aggregati, ma per renderli in quel modo utilizzabili dovrebbe essere sufficiente una settimana. In alternativa si scioglie l’Agenzia e s’inseguono i ministri che ignorarono l’ignoranza statale sui beni statali.
Ma, e qui sta il tarallo, si mette nero su bianco, nella legge sulla concorrenza, che nelle more della mappatura potrà essere necessario, in casi particolari, prorogare le concessioni di 12 anni. Con questo piglio c’è da scommettere che tutto sarà particolare e tutto prorogabile. Fra dodici anni, bene che vada, avremo eletto altri due Parlamenti e visto passare un discreto corteo di governi. Ergo, si passa dalla mappa alla mappina e dalla mappina alla mappazza.
Ma perché? Perché annaspare gratis nella palta? Dicono: per difendere gli interessi degli italiani e non svendere il nostro patrimonio all’estero. Un delirio, copincollato da diligenti militonti digitali. Dite che da Wall Street puntano alle bancarelle nostrane? La sentenza della Corte di giustizia europea ricalca quella del Consiglio di Stato italiano, roba nostra. Gli interessi minacciati e violati sono italiani. Quelle Corti provano a tutelarli. È interesse dei cittadini italiani che le spiagge siano assegnate a chi fa incassare di più l’erario, così contribuendo alle spese generali (scuole, strade, ospedali…); a chi offre servizi migliori, ad esempio con quelli igienici disponibili non per amicizia; a chi fa pagare di meno. È interesse dei cittadini che i parcheggi siano assegnati non a chi ti fa pagare una cifra e se ne va, ma a chi li sorveglia e risponde nel caso ti smontino la macchina. È interesse dei cittadini che i mercati siano popolati da venditori che non spacciano merce contraffatta e che non si creino racket delle occupazioni. Ed è interesse dei cittadini che il tutto non avvenga in evasione fiscale, visto che la gara non servirà mai ad allontanare chi fa bene e onestamente il proprio mestiere, ma chi sostiene di ammazzarsi di lavoro per qualche centinaio di euro documentato all’anno.
È chiaro? Sono interessi degli italiani, tutelati da normative europee che facilitano l’aumento dei servizi al calare del prezzo, come già avvenuto per aerei o telecomunicazioni. Prorogare lo stato attuale per 12 anni significa lasciare immutate disfunzioni ed evasioni, oltre a comunicare a qualsiasi giovane che voglia intraprendere che se ne deve andare. Fuori dalle balle. Vada a fare gli interessi dei bagnanti spagnoli o dei consumatori tedeschi. E non serve una mappa per capirlo.
Davide Giacalone
Pubblicato da La Ragione
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👉 King Potenaz - Goat Rider #️⃣ fuzzy
I King Potenaz sanno cambiare registro musicale molto bene, passando attraverso generi diversi mantenendo sempre una rotta ben precisa, che è quella di fare musica oscura con riferimenti occulti e di ricerca di una via diversa.
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L'Associazione italiana genitori della Regione Sicilia promuove il Concorso “Tricolore Vivo”, con l'obiettivo di favorire la conoscenza della Costituzione, dell'Inno nazionale e di educare al rispetto del Tricolore.
Ministero dell'Istruzione
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Verso una guerra tra Iran e Azerbaigian?
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 26 aprile 2023 – Nonostante i due governi siano impegnati in fitti colloqui allo scopo di placare gli animi, tra Iran e Azerbaigian la tensione rimane alta , a tal punto che alcuni osservatori temono addirittura un nuovo conflitto nell’area. Molto dipenderà anche dall’evoluzione dei rapporti tra Azerbaigian e Armenia, paesi che dal conflitto del 2020 sono di fatto in una condizione di scontro permanente. Gli ultimi mesi hanno visto una vera e propria escalation nei rapporti tra Teheran e Baku.
Arresti e accuse
A novembre i servizi di sicurezza Azerbaigiani hanno arrestato 19 uomini con l’accusa di preparare atti terroristici per conto dell’Iran. Da parte loro le autorità iraniane hanno accusato un cittadino azero di aver organizzato l’attacco al Santuario di Shah Cheragh, un santuario religioso sciita nella città iraniana meridionale di Shiraz, che ha provocato 15 morti e 40 feriti.
In seguito, il governo di Baku ha deciso di chiudere la sua ambasciata a Teheran dopo che il 27 gennaio un uomo armato ha attaccato la sede diplomatica, uccidendo il capo della sicurezza e ferendo due guardie. Dell’aggressione il leader azero Ilham Aliyev ha accusato non meglio precisati apparati iraniani: «Il fatto che, subito dopo questo atto di terrorismo, il terrorista sia stato intervistato dai media iraniani dimostra che era stato inviato da alcuni dei rami dell’establishment iraniano. Un’altra cosa strana è che due giorni dopo è stato descritto come disabile mentale». Nell’intervista citata l’aggressore ha raccontato ai media iraniani di aver assaltato l’ambasciata di Baku perché sua moglie, cittadina azera, era scomparsa dopo essersi recata nella rappresentanza diplomatica mesi prima. Nei giorni successivi i servizi di sicurezza di Baku avrebbero arrestato circa 400 esponenti di gruppi religiosi sciiti, accusati di possesso di droga e di portare avanti attività illegali.
Il 28 marzo, il deputato e vicepresidente dell’Assemblea Nazionale azera Fazil Mustafa – noto per i suoi virulenti attacchi contro l’Iran – è stato oggetto di alcuni colpi di arma da fuoco a poca distanza dalla sua abitazione. Anche in questo caso le autorità e la stampa azeri hanno puntato il dito contro Teheran. Alcuni giornali hanno pubblicato i nomi di quattro sospetti accusati di lavorare per l’Iran. Alcuni media statunitensi, da parte loro, hanno sottolineato la coincidenza tra il fallito attentato al parlamentare azero – che è rimasto ferito ma è sopravvissuto – e la visita del ministro degli Esteri di Baku, Jeyhun Bayramov, in Israele.
Il 6 aprile, poi, Baku ha espulso quattro diplomatici iraniani dichiarandoli persone non grate. Lo stesso giorno sei cittadini azeri sono stati arrestati a Baku con l’accusa di preparare un colpo di stato per imporre un regime fondamentalista sciita. Dopo qualche giorno le autorità azere hanno compiuto altri venti arresti di presunti agitatori religiosi al servizio di Teheran.
Manifestazione di solidarietà con l’Azerbaigian a Tabriz (Iran) durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh
Il conflitto per il Nagorno-Karabakh
Anche se Teheran si è tradizionalmente schierata con l’Armenia nel conflitto che oppone quest’ultima agli azeri, Teheran ha sempre cercato di mantenere un certo equilibrio nei rapporti con l’ex repubblica sovietica.
Nel corso della prima guerra tra Erevan e Baku per il controllo del Nagorno-Karabakh – territorio dell’Azerbaigian a maggioranza armena – l’Iran ha cercato di esercitare un ruolo di mediazione tra le parti, pur sostenendo l’Armenia con l’invio di aiuti e armi.
Il cessate il fuoco del 1994 ha cristallizzato per 16 anni la vittoria armena, con l’indipendenza de facto del Nagorno-Karabakh – ribattezzato Repubblica di Artsakh – e la conquista di sette distretti circostanti.
Negli ultimi anni, però, la depressa e politicamente insignificante ex repubblica sovietica è cresciuta a passi da gigante; grazie agli introiti dell’industria petrolifera e all’esportazione del gas, l’Azerbaigian è diventata una potenza regionale in espansione. Sostenuta dalle armi acquistate da Turchia, Israele e Russia (paese che pure sostiene l’Armenia) l’Azerbaigian si è trasformato in una potenza militare di media grandezza. Grazie ai droni turchi e israeliani e ai consiglieri militari inviati da Erdogan, nel settembre del 2020 Aliyev ha scatenato un’efficace offensiva contro Stepanakert (capitale dell’Artsakh). Dopo 44 giorni di aspri combattimenti Mosca ha imposto un cessate il fuoco che ha sancito la riconquista da parte azera di ampie porzioni dell’Artsakh e dei sette i distretti persi nel 1994. Da allora, grazie anche alla tolleranza delle migliaia di militari russi schierati per supervisionare il rispetto del cessate il fuoco, Baku ha condotto nuovi attacchi anche contro la stessa repubblica armena, strappando nuovi territori e sequestrando il corridoio di Lachin che collega l’Artsakh a Erevan.
Il conflitto del 2020 ha visto l’Iran mantenere un atteggiamento molto cauto, senza schierarsi troppo apertamente a favore di Erevan. A impensierire il governo – che pure teme l’espansionismo di Baku e le collegate mire turche e israeliane – la mobilitazione delle regioni iraniane a maggioranza azera del nord del paese. Nell’ottobre del 2020, decine di migliaia di persone hanno manifestato al grido di “il Karabakh è nostro” e gli imam dell’Azerbaigian orientale e orientale e delle regioni di Ardebil e Zanjan (sotto il controllo iraniano) hanno diffuso un appello in cui sostenevano le rivendicazioni di Baku sull’Artsakh. La stessa guida suprema del paese, Alì Khamenei, dichiarò che Baku aveva tutto il diritto di «liberare i territori occupati dall’Armenia».
Sull’indebolimento del sostegno iraniano a Erevan ha influito inoltre la decisione del premier armeno Nikol Pashinyan di stabilire relazioni diplomatiche con Israele – il principale nemico strategico della Repubblica Islamica – nonostante il sostegno militare di quest’ultimo agli azeri.
Corridoio di Zangezur
Teheran teme l’estromissione dal Caucaso
L’esito della seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha però indebolito fortemente la posizione dell’Iran nel Caucaso meridionale e causato ricadute economica negative. Per trent’anni il territorio montuoso dell’Azerbaigian al confine con l’Iran era stato controllato dagli armeni. Dal 2020 quelle province sono state recuperate da Baku grazie all’intercessione russa, e l’Azerbaigian ha deciso di imporre una tassa sui camion iraniani pieni di merci che li attraversano, diretti in Armenia o in Russia. Dopo il conflitto, inoltre, Baku spinge per avere il controllo sul “corridoio di Zangezur”, un’ampia fascia di territorio nel sud dell’Armenia che gli permetta di ottenere la continuità territoriale con la Repubblica di Nakhchivan, una sua regione autonoma incastonata tra Armenia, Iran e Turchia. Se Aliyev dovesse raggiungere il suo obiettivo, Teheran rimarrebbe completamente tagliata fuori dal Caucaso, tant’è che le autorità iraniane hanno più volte chiarito agli alleati russi di non accettare questo ennesimo sviluppo dell’espansionismo azero nel quadrante, pure previsto negli accordi di cessate il fuoco del 2020.
Grazie alla continuità territoriale, infatti, il corridoio di Zangezur agevolerebbe ulteriormente la proiezione della Turchia nell’Asia centrale turcofona, fino al Turkmenistan, mettendo a rischio gli interessi economici e geopolitici iraniani.
Per tentare di placare l’opposizione iraniana al corridoio di Zangezur, Baky e Mosca hanno offerto all’Armenia la possibilità di usufruire di un collegamento ferroviario che la colleghi con la Russia e con l’Iran, attraversando il territorio controllato dall’Azerbaigian. Ma i rischi che questo collegamento – tutto da realizzare – venga bloccato da Baku e che l’Iran rimanga isolato verso nord è considerato troppo alto da Teheran, che ha deciso di dare un segnale all’Azerbaigian organizzando nell’ottobre del 2022 delle massicce esercitazioni militari proprio in prossimità della propria frontiera settentrionale. Nel corso delle manovre, i militari di Teheran hanno approntato un ponte di barche sul fiume Aras, che definisce gran parte dei 700 km che separano i due paesi.
Dopo un incontro con il leader azero Aliyev nell’ottobre del 2022 il presidente iraniano Ibrahim Raisi ha respinto, in un comunicato, «qualsiasi cambiamento nei confini storici, nella geopolitica della regione e nelle rotte di transito tra Iran e Armenia».
Teheran avverte l’Unione Europea
Ma Raisi ha anche «rifiutato la presenza militare europea nella regione sotto qualsiasi copertura. Le questioni interne non ci distrarranno dagli interessi strategici della nazione iraniana», riferendosi evidentemente alle massicce proteste contro il regime che interessano la Repubblica Islamica ormai da molti mesi. A preoccupare la Repubblica Islamica è infatti anche una missione di monitoraggio dell’Unione Europea dispiegata in Armenia nell’autunno del 2022 e che ha visto la partecipazione di una cinquantina di membri. Un’iniziativa poco più che simbolica, attraverso la quale Bruxelles – su insistenza soprattutto della Francia – cerca di rimettere un piede nell’area (seguita da un’altra missione di monitoraggio, questa volta approntata dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dopo le proteste di Erevan contro l’eccessiva tolleranza dimostrata dagli alleati russi nei confronti delle pretese azere dopo il blocco del corridoio di Lachin da parte di militari e manifestanti nazionalisti di Baku mascherati da attivisti ecologisti.
Il rischio di un conflitto
Per rafforzare la propria proiezione nell’area rivendicata da Baku e dichiarando che la sicurezza iraniana coincide con la sicurezza armena, ad ottobre il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, ha inaugurato un consolato della Repubblica Islamica a Kapan, il capoluogo della provincia di Syunik.
Se nel prossimo futuro le forze armate dell’Azerbaigian dovessero strappare nuovi territori all’Armenia, l’Iran potrebbe decidere di intervenire militarmente a fianco di Erevan, soprattutto nel caso in cui Baku tentasse di impossessarsi con la forza del corridoio di Zangezur nella provincia di Syunik. Come passo intermedio, Teheran potrebbe fornire a Erevan aiuti militari e i suoi droni per bilanciare gli Harop israeliani e i Bayraktar turchi consegnati a Baku.
Intanto negli ultimi mesi l’esercito iraniano ed in particolare i Guardiani della Rivoluzione (IRGC) hanno incrementato la propria presenza nelle regioni nord-occidentali del paese, al confine con Armenia e Azerbaigian.
L’Iran deve assolutamente tenere libero il proprio confine con l’Armenia se vuole realizzare l’ambizioso progetto di un Corridoio internazionale di transito nord-sud (INSTC), che ridurrebbe di molto i tempi di transito tra l’India e l’Europa e collegherebbe i porti russi con il Golfo Persico e l’Oceano Indiano attraverso il Caucaso e l’Iran. Ovviamente l’Azerbaigian sta lavorando ad un corridoio alternativo che bypassi sia la Russia sia l’Iran.
Il separatismo etnico e il fondamentalismo religioso
I due paesi adoperano anche la carta etnica e religiosa contro i propri avversari, accendendo un clima di odio che difficilmente potrà essere spento.
Teheran tenta di fomentare i settori della popolazione azera di fede sciita per indebolire il regime di Aliyev, mentre in Iran cresce il sentimento nazionalista favorevole a una annessione di quella che viene definita – in senso dispregiativo – “repubblica di Baku” per indicare i territori perduti dall’Impero Persiano a vantaggio di quello Russo all’inizio del XIX secolo.
D’altro canto le autorità di Baku e gli ambienti nazionalisti dell’Azerbaigian da tempo rivendicano apertamente l’annessione delle province settentrionali iraniane, abitate da popolazioni azere di lingua turca. Dall’estate del 2022 la stampa filogovernativa dell’Azerbaigian ha moltiplicato gli appelli all’annessione delle province azere dell’Iran, mentre il regime di Aliyev ha intensificato il proprio sostegno ai gruppi secessionisti. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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I cambiamenti di Twitter alimentano un'ondata di propaganda russa e cinese
@Giornalismo e disordine informativo
Gli account Twitter gestiti da governi autoritari in Russia, Cina e Iran stanno beneficiando dei recenti cambiamenti nella società di social media, hanno detto lunedì i ricercatori, rendendo più facile per loro attrarre nuovi follower e trasmettere propaganda e disinformazione a un pubblico più ampio.
I ricercatori hanno determinato che le modifiche sono state probabilmente apportate da Twitter alla fine del mese scorso. Molte delle dozzine di account precedentemente etichettati stavano perdendo costantemente follower da quando Twitter ha iniziato a utilizzare le etichette. Ma dopo il cambiamento, molti account hanno visto grandi balzi nei follower.
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In Cina e Asia – Covid, la Cina rimuove l’obbligo dei test Pcr per gli arrivi
Covid, la Cina rimuove l'obbligo dei test Pcr per gli arrivi
Cina, approvati più progetti a carbone dell'intero 2022
Cina, primo arresto di un taiwanese per "separatismo"
L'Australia rivede la strategia di difesa
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La UE concederà a Big Tech di di sfruttare le tue cartelle cliniche, senza chiedertelo
Nel maggio 2022, la Commissione europea ha proposto l'European Health Data Space (EHDS) nel tentativo di migliorare le modalità con cui i dati medici sensibili delle persone vengono resi disponibili per vari tipi di utilizzo.
L'EHDS renderebbe i medici e altri professionisti medici complici della commercializzazione forzata e della monetizzazione di ogni aspetto della tua salute senza mai chiedere il tuo consenso. Distruggerebbe il giuramento di riservatezza di Ippocrate a cui dovrebbe essere vincolato ogni professionista medico.
Ciò include la possibilità per ospedali e medici di condividere informazioni sui pazienti attuali con colleghi esperti all'estero. Ad esempio, dovrebbe rendere più facile per un medico di famiglia in Svezia ricevere una copia digitale dei risultati della TAC del loro paziente rumeno dal radiologo in Romania per continuare il trattamento.
L'EHDS propone inoltre di obbligare legalmente gli ospedali o i medici a consegnare le tue cartelle cliniche a un'agenzia governativa di nuova creazione, che a sua volta può consentire l'accesso a chiunque rivendichi un interesse di ricerca. Ciò include non solo accademici, ma anche aziende farmaceutiche, startup di app per il benessere e persino società di Big Tech che raccolgono dati come Google e Facebook.
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EU plans allow Big Tech to exploit your medical records, without permission - European Digital Rights (EDRi)
The EHDS would make physicians and other medical professionals complicit in the forced commercialisation and monetisation of your health.European Digital Rights (EDRi)
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Martedì il Comitato nazionale repubblicano ha risposto all'annuncio della rielezione del presidente Biden con un video generato dall'intelligenza artificiale che mostra una versione distopica del futuro nel caso della sua rielezione
@Giornalismo e disordine informativo
Le immagini create dall'intelligenza artificiale a seguito dell'annuncio di Biden, mostrano Biden e il vicepresidente Kamala Harris che festeggiano il giorno delle elezioni e in conseguenza di ciò una serie di rapporti immaginari su crisi internazionali e nazionali.
Biden's never-Trump campaign for '24
Biden will aim to maximize his presidential stature and dwell on his differences with Trump.Hans Nichols (Axios)
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Fr. #28 / Censura è libertà
L’Oversight Board consiglia di continuare con la censura COVID19
L’Oversight Board è quell’organo “indipendente"1 che ha lo scopo di aiutare Facebook a gestire le sue attività di moderazione nel rispetto della libertà di espressione. Il potere del Board su Facebook è abbastanza rilevante, considerando che le sue decisioni sono vincolanti, e ha anche il potere di annullare decisioni già prese da Facebook.
Ad Aprile l’Oversight Board ha pubblicato un parere, che potete leggere qui, in cui consiglia a Facebook di continuare la sua attività di “moderazione” dei contenuti di disinformazione sul COVID19, almeno finché il WHO non dichiarerà conclusa l’emergenza pandemica.
Un parere che mi lascia molto perplesso considerando che:
- I Twitter Files hanno mostrato che le attività di moderazione dei contenuti sul COVID19 nascondevano molto spesso censura di contenuti veri e fondati. Sono noti casi in cui perfino informazioni prese direttamente dalla FDA americana venivano flaggate come disinformazione, in quanto non in linea con la narrativa politica generale2.
- Se l’obiettivo è combattere la disinformazione, cosa c’entra la fine dell’emergenza pandemica secondo il WHO? Se un’informazione è falsa e rischia di avere conseguenze negative per l’incolumità delle persone, dovrebbe essere trattata come tale a prescindere dalla situazione emergenziale.
La maldestra decisione dell’Oversight Board dimostra ancora una volta che non c’è alcuna lotta alla disinformazione, ma uno sfornzo continuo e politico per il controllo dell’informazione. È chiaro che molti governi hanno ancora interesse a controllare il più possibile l’informazione intorno al COVID19.
L’Oversight Board di Privacy Chronicles consiglia l’iscrizione e la lettura due volte a settimana.
L’Unione Europea prepara il campo per il Digital Services Act
Ieri la Commissione Europea ha adottato la sua prima decisione nell’ambito del Digital Services Act, entrato in vigore pochi mesi fa.
Ben 17 piattaforme online sono state identificate come target primario della nuova normativa, che prevede regole severe in merito alla moderazione dei contenuti e alla gestione dei “rischi”, tra cui quello di “hate speech”. Le 17 piattaforme sono:
- Alibaba AliExpress
- Amazon Store
- Apple AppStore
- Booking.com
- Google Play
- Google Maps
- Google Shopping
- Snapchat
- TikTok
- Wikipedia
- YouTube
- Zalando
Queste piattaforme dovranno prima di tutto introdurre degli strumenti per distinguere tra minorenni e maggiorenni, poiché la normativa prevede regole specifiche per i minori, come ad esempio il divieto di advertising profilato.
Poi dovranno anche potenziare i loro strumenti di moderazione, per mitigare il rischio di disinformazione e bloccare contenuti illegali. Anche in questo caso vi consiglio di soffermarvi a riflettere sul significato di “disinformazione” e “contenuto illegale”.
Per chi volesse, ho scritto un articolo di approfondimento sul DSA, che è un lupo travestito da nonna.
Aspettiamoci molte turbolenze. Questo è un esempio di ciò che succederà sempre più spesso:
Discriminazione al contrario e schedatura di massa LGBT
Come forse saprete, gli immigrati irregolari in America possono essere arrestati dal DHS e detenuti in appositi centri in attesa di una decisione.
Secondo i DEM questi centri di detenzione violano la dignità e l’umanità delle persone, ed è doveroso rispettare i diritti umani degli immigrati. Un’affermazione condivisibile, che li ha portati però a proporre una legge decisamente meno condivisibile. La nuova proposta normativa ha lo scopo di creare delle eccezioni per i gruppi di persone vulnerabili, come minorenni o persone LGBT, che quindi non potrebbero più essere detenute presso questi centri.3
Secondo i DEM essere gay, bisessuale, lesbica, trans, o qualsiasi altra variazione dell’arcobaleno, è quindi sufficiente per evitare il purgatorio dei centri di detenzione. In altre parole: le uniche ad essere detenute saranno persone eterosessuali.
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Viene da chiedersi come faranno a distinguere tra un uomo eterosessuale e un gay. O tra una donna eterosessuale e una bisessuale. Come è normale che sia, leggi del genere si portano sempre dietro un massiccio carico di schedature con acquisizione di dati (veri o falsi) molto sensibili, come quelli legati alla sessualità.
Una legge che propone di tutelare i diritti dei più deboli sembra invero uno schema di schedatura di massa e discriminazione al contrario: i centri di detenzione saranno pieni di uomini eterosessuali.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Why do they always teach us that it's easy and evil to do what we want and that we need discipline to restrain ourselves? It's the hardest thing in the world--to do what we want. And it takes the greatest kind of courage. I mean, what we really want.”
Ayn Rand
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nicolaporro.it/atlanticoquotid…
foxnews.com/politics/illegal-a…
Forse arrivo un po' tardi rispetto agli altri ma, entro domani (oggi?) sarebbe buona cosa inviare una #email a tutti gli #europarlamentari (lista: pastebin.com/raw/CFcVf6ay) per evitare che venga fatta passare così com'è questa nuova #legge (il #CRA, #CyberResilienceAct), perché è fatta male e rischia di fare ciao ciao all' #OpenSource; non direttamente, ma nel senso che:
* Verranno ritenuti responsabili i creatori e collaboratori di sviluppo di qualsiasi software per eventuali malfunzionamenti, o #software "incompleto" in generale
* I #programmatori a tempo perso come me se ne fregheranno in ogni caso e continueranno a mettere i loro programmini rotti online senza scopo di lucro, che si fottano i burocrati; ma:
* Le organizzazioni serie del software probabilmente dovranno uscire dal mercato europeo, ad esempio #Python, perché vengono responsabilizzati tutti i punti della catena di fornitura del software
Alcuni approfondimenti:
* Il video di #Morrolinux innanzitutto: LA NUOVA LEGGE #EUROPEA ANTI-OPEN SOURCE, youtube.com/watch?v=nYhRo74yqJ… redirect.invidious.io/watch?v=… poi:
📰 CRA: digital-strategy.ec.europa.eu/…
📰 CRA panoramica: european-cyber-resilience-act.…
📰 Analisi iniziale: devclass.com/2023/01/24/eus-pr…
📰 Opposizioni: blog.opensource.org/the-ultima…
📰 Python: theregister.com/2023/04/12/pyt…
Un buon template mail lo ha dato Morro nel primo commento in alto del suo #video, io ho usato quello con aggiunta di un po' di formattazione...
Che sembra si sia persa dopo l'invio, pezzi. Purtroppo fino ad ora ho inviato solo 40 email (circa metà degli #eurodeputati), poi account bloccato per spam, uffa, vediamo se riesco a inviare quelle altre che mi restano entro stasera.
In tutta onestà, da un lato penso che non possa venire approvata una legge del genere, anche senza queste mail qualcuno lo dovrebbe far notare in ogni caso al momento della discussione, però dall'altro... Guardate questo documentario: The Microsoft-Dilemma - #Europe as a Software Colony, youtube.com/watch?v=duaYLW7LQv… redirect.invidious.io/watch?v=…
Quindi, inviare le mail non guasta.
La Corea a 360° – Decision to leave e Big Bet
“헤어질 결심 • Decision to Leave” presentato alla 75esima edizione del Festival di Cannes 2022 è l’ultimo lavoro di Park Chan-wook premiato con la Palma d’Oro nella categoria Miglior Regista. Lo racconta Giulia Son, insieme alla serie Big Bet
L'articolo La Corea a 360° – Decision to leave e Big Bet proviene da China Files.
SUDAN. A Khartoum residenti chiusi in casa senza cibo né acqua. Emergency non abbandona il Paese
di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 24 aprile 2023. Sono tornati ieri a casa i circa 150 italiani che avevano chiesto di lasciare il Sudan in seguito all’esplosione dei combattimenti tra l’esercito regolare agli ordini del generale Abdel Fattah el Burhan e le Forze di supporto rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo.
Non hanno voluto lasciare il Paese i medici, gli infermieri e il personale di Emergency che pure ha evacuato alcuni addetti amministrativi. L’associazione umanitaria gestisce in Sudan tre diversi ospedali e ha deciso di non lasciare le strutture ma di continuare a seguire i pazienti ricoverati e quelli che potranno arrivare. Anche se la situazione è estremamente complicata e pericolosa, pure per il personale sanitario: gli ospedali sono stati colpiti da pesanti bombardamenti, in seguito ai quali decine di strutture pubbliche e private sono state evacuate e abbandonate. Le ambulanze vengono colpite per evitare che raggiungano le vittime e che prestino soccorso ai feriti, oppure sequestrate insieme al personale medico al loro interno.
Il quadro peggiore è nella capitale, Khartoum, dove i combattimenti sono violenti. Anche le operazioni di evacuazione sono state rese complicate dallo stato dell’aeroporto, distrutto in parte e dalla difficoltà negli spostamenti: un convoglio francese è stato colpito ieri dagli spari e una persona è rimasta ferita.
Una prima evacuazione di italiani si era conclusa nella notte tra sabato e domenica. Nella giornata di ieri le operazioni sono state completate e il secondo aereo militare C-130 ha lasciato il Sudan partendo dall’aeroporto di Wadi Sednia, nei pressi della capitale.
Molti altri Paesi hanno completato o stanno procedendo, in queste ore, all’evacuazione dei propri connazionali. Tra di essi Belgio, Francia, Canada, Germania, India, Giordania, Kuwait, Olanda, Russia, Arabia Saudita.
Bombardamenti a Khartoum
Al momento le persone uccise sono circa 427 e 3.700 i feriti. Negli ultimi 3 giorni circa 10.000 rifugiati hanno raggiunto il Sud Sudan, varcando il confine meridionale. Sono per i tre quarti sud sudanesi che si erano rifugiati in Sudan in fuga dalla guerra: il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza poco più di 10 anni fa, nel 2011. Autobus carichi di persone tentano di raggiungere l’Egitto, in un esodo i cui numeri non sono ancora definibili.
A Khartoum la popolazione vive da una settimana rinchiusa nelle proprie case. Le infrastrutture sono state danneggiate dai bombardamenti e in molti luoghi manca l’acqua e l’elettricità, scarseggiano viveri. Lasciare le proprie abitazioni è estremamente pericoloso, per i combattimenti ma anche per i saccheggi.
Le Forze di Supporto Rapido di Mohamed Hamdan Dagalo, vicepresidente del Consiglio Sovrano di Transizione, hanno cominciato lo scorso 15 aprile a insediarsi in diversi quartieri di Khartoum, prendendo possesso di un numero indefinito di edifici. Dagalo ha legami diretti con molti Paesi dell’area ma anche europei, oltre ad avere il controllo su molte delle miniere del Sudan, dalle quali estrae il 40% dell’oro che viene esportato.
Il generale Abdel Fattah el Burhan ha preso il potere in Sudan con il colpo di Stato dell’ottobre 2021. In quell’occasione si è nominato Presidente del Consiglio Sovrano di Transizione, che avrebbe dovuto accompagnare il Sudan verso la creazione di un’amministrazione civile e la fine del governo dei militari. L’Esercito Regolare, ai comandi di El Burhan, ha cominciato un massiccio bombardamento con lo scopo di “ripulire la capitale dai focolai di gruppi ribelli”. Lo scorso venerdì la presenza delle truppe di terra dell’esercito regolare è diventata più numerosa. El Burhan è tornato in questi giorni a riaffermare la volontà di guidare il Paese verso una transizione democratica, ribadendo che farà quanto necessario per SUDAN. A Khartoum residenti chiusi in casa senza cibo né acqua. Emergency non abbandona il Paesesconfiggere le truppe ribelli. Pagine Esteri
ASCOLTA IL PODCAST DA KHARTOUM
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Una nazione apparente
A ben guardare, sono gli sconfitti nelle guerre civili coloro che meno si rassegnano alla rappresentazione unitaria di una storia fatalmente scritta dai vincitori. Accade negli Stati Uniti, dove, sulla scia del vecchio Ku Klux Klan, le organizzazioni suprematiste bianche del Sud inneggiano alla retorica Wasp e alimentano il bacino elettorale del trumpismo. E accade in Spagna, dove, sulla scia di Zapatero, il premier Gonzales si è dato l’obiettivo di cancellare tutti i simboli del franchismo e con essi quel che resta di una memoria condivisa.
Accade negli Stati Uniti, dove la guerra di secessione conclusa nel 1865 con la vittoria degli stati del Nord fu seguita da una vera riconciliazione nazionale all’insegna di valori condivisi. E accade in Spagna, dove la guerra civile conclusa nel 1939 con la vittoria dei franchisti fu seguita dalla simbolica tumulazione in un unico sito monumentale, la Valle del los Caidos, dei morti di entrambe le parti. Figurarsi, dunque, se tutto ciò potrebbe non accadere in Italia.
Nell’Italia dove, come ammetteva Massimo D’Azeglio, il sentimento di unità nazionale non si è mai davvero affermato. Nell’Italia dove, come lamentava Lucio Colletti, dal dopoguerra “il concetto di nazione è stato completamente rimosso”. E con esso sono stati lungamente rimossi sia il fascismo in quanto fenomeno popolare sia la guerra civile in quanto trauma nazionale.
Il primo dei due occultamenti fu svelato dallo storico ex comunista Renzo De Felice a partire dagli anni Sessanta. Per svelare il secondo fu necessario attendere il 1990, quando lo storico “democratico” Claudio Pavone diede alle stampe un saggio dal titolo inequivocabile: “Una guerra civile”. Ne risulta una nazione divisa. Divisa perché priva di una memoria condivisa. Una nazione apparente, in cui gli eredi delle due culture autoritarie del Novecento, fascisti e comunisti, hanno potuto affrontare il futuro senza render conto del passato.
«Il fascismo non è stato un semplice incidente della storia, un regime autoritario che governava contro il popolo. Il fascismo ha goduto di un ampio, diffuso, radicato consenso nel paese. Rimuoverlo e cancellare l’analisi veritiera e onesta della sua natura ha reso fragili le basi della nostra democrazia»: non lo ha scritto Giorgio Pisanò, lo ha scritto Walter Veltroni. Ed è vero. Come attesterà, martedì, la prevedibile canea attorno al 25 Aprile, aver rimosso la Storia è servito solo a prolungarne i traumi, rendendo di fatto precarie le basi del nostro sistema democratico. Con la sola differenza che, per dirla col vecchio Marx, le tragedie di ieri si ripetono oggi in forma di farsa. La farsa in cui, a trent’anni dalla svolta di Fiuggi, parte dei quadri dirigenti di Fratelli d’Italia riecheggia ancora i luoghi comuni di un’identità trapassata. La farsa in cui, a quasi ottant’anni dalla sconfitta del fascismo, certa sinistra ne accredita ancora la minaccia. Per non dire, infine, della farsa di chi oggi celebra la resistenza armata dei partigiani italiani mentre ieri ha rifiutato di armare la resistenza dei partigiani ucraini all’invasione dell’unico uomo che ha dato corpo e sostanza storica al fascismo contemporaneo: Vladimir Putin.
Fateci caso, sono gli sconfitti delle guerre civili (e della Storia) i più refrattari al sentimento di unità nazionale. Diversi ex missini, certo. Ma anche diversi ex comunisti ed ex grillini.
L'articolo Una nazione apparente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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Mare del Nord, ecco come Mosca vuole sabotare il maxi-progetto energetico
“I mari del Nord possono essere la più grande centrale elettrica del mondo”, hanno scritto su Politico i leader di Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania, Irlanda, Norvegia, Regno Unito e Danimarca alla vigilia dell’incontro odierno dei nove a Ostenda, in Belgio. Un tempo culla della rivoluzione industriale e sede di alcuni dei progetti ingegneristici più ambiziosi al mondo, come l’Eurotunnel, i Paesi che circondano il Mare del Nord vogliono tornare a essere protagonisti. Ma la Russia sembra prepararsi a far saltare i piani dei nove leader.
UNA REGIONE STRATEGICA
Il Mare del Nord è già una risorsa energetica critica per i Paesi da esso bagnati (come dimostrano i progetti della norvegese Equinor) e la pericolosità di queste acque si è dimostrata recentemente con il sabotaggio del gasdotto Nord Stream. La ricchezza di energie pulite e la facilità di installazione di infrastrutture rendono questa regione un potenziale enorme bacino di risorse ma anche, allo stesso, un obiettivo di attività ibride da parte di un attore come la Russia.
LE ISOLE DI TURBINE
L’incontro di Ostenda ruota attorno al progetto di enormi “isole” di turbine costruite in mare, con la promessa di un aumento di dieci volte della produzione di elettricità entro il 2050. Come riporta il Times di Londra, il ministro dell’Energia britannico Grant Shapps annuncerà un piano per la più grande linea elettrica multiuso del mondo sotto il Mare del Nord. La linea LionLink, la seconda al mondo nel suo genere, collegherà il Regno Unito e i Paesi Bassi attraverso delle pale eoliche offshore. “In risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina e ai tentativi di ricatto energetico contro l’Europa, accelereremo i nostri sforzi per ridurre il consumo di combustibili fossili e la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili”, hanno affermato i ministri in una bozza di comunicato. Shapps ha inoltre aggiunto: “Stiamo rafforzando la nostra sicurezza energetica e inviando un segnale forte alla Russia di [Vladimir] Putin che i giorni del suo dominio sui mercati energetici globali sono davvero finiti”.
LE MOSSE DI MOSCA
Ma nei giorni scorsi un’indagine congiunta delle emittenti pubbliche in Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia ha rivelato che la Russia starebbe preparando il sabotaggio dii parchi eolici e i cavi di comunicazione proprio nel Mare del Nord. La BBC la descrive una guerra “nell’ombra” di Mosca avverrebbe anche per mezzo di una flotta di navi camuffate da pescherecci e navi da ricerca, dotate di attrezzature di sorveglianza subacquea, che starebbero mappando siti chiave per possibili sabotaggi. Il rapporto si concentra in particolare su una nave russa chiamata Ammiraglio Vladimirsky, ufficialmente una nave oceanografica o da ricerca subacquea e che invece sarebbe una nave spia russa. Un ufficiale del controspionaggio danese afferma che i piani di sabotaggio sono in preparazione e pronti a essere messi in atto in caso di pieno conflitto con l’Occidente, mentre il capo dell’intelligence norvegese ha detto alle emittenti che il programma è considerato molto importante per la Russia ed è controllato direttamente da Mosca. Le emittenti affermano di aver analizzato le comunicazioni russe intercettate, che si riferiscono a “navi fantasma” che navigano nelle acque nordiche e che hanno spento i trasmettitori per non rivelare la loro posizione.
Molte persone Altamente Sensibili, si sentono fuori posto
Le persone altamente sensibili hanno dei fattori genetici che intervengono su alcune caratteristiche cerebrali: Vivono le emozioni con maggiore vividezza e con più forte intensità.
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La Battaglia di Saragarhi: Le Termopili dei Sikh (1897)
La battaglia di Saragarhi è un evento storico di grande rilevanza che ha avuto luogo il 12 settembre 1897, durante la campagna di Tirah nella regione della frontiera nord-occidentale dell’India britannica, ora parte del Pakistan.Continue reading
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Africa rossa – Il Sudan non è l’Ucraina
Gli scontri in Sudan, il braccio di ferro tra Cina e Usa in Africa, l'interesse di Pechino le miniere africane, ma anche più in generale il futuro della Belt and Road. Sono alcuni dei temi molto che abbiamo affrontato nell'ultima puntata di Africa rossa, la rubrica a cura di Alessandra Colarizi.
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In Cina e Asia – Ambasciatore cinese: i paesi baltici non hanno uno "status effettivo” nel diritto internazionale
Alto diplomatico cinese: i paesi baltici non godono di uno “status effettivo” nel diritto internazionale
Borrell: "Le marine Ue dovrebbero pattugliare lo Stretto di Taiwan"
La Cina aumenta la propria presenza nella catena di produzione del gas in Medio Oriente
Continuano le proteste dei risparmiatori dello Henan
Il 70% degli universitari cinesi crede ancora nella meritocrazia
Fiera di Canton: focus sulla delocalizzazione della catena di approvvigionamento.
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Sigonella, la maxi polveriera di Stati Uniti e Nato in Sicilia
di Antonio Mazzeo
(nella foto il nuovo hangar per i pattugliatori P-8A “Poseidondi US Navy a Sigonella)
Pagine Esteri, 24 aprile 2023 – Una maxi santabarbara a Sigonella per le future missioni delle forze armate USA e NATO in Africa, Europa e Medio oriente. A fine marzo il Dipartimento della Marina Militare degli Stati Uniti d’America ha chiesto al Congresso lo stanziamento di 77.072.000 dollari per realizzare all’interno della grande stazione aeronavale siciliana nuovi depositi super-protetti dove stoccare i sistemi d’arma, le munizioni e gli esplosivi destinati alle unità da guerra, ai sottomarini e ai velivoli aerei USA e dei paesi partner con lo scopo dichiarato di contrastare la penetrazione russa nel Mediterraneo allargato.
EDI – Ordnance Magazines è il nome dell’ennesimo progetto di potenziamento infrastrutturale della Naval Air Station (NAS) di Sigonella. “Saranno costruiti quattro box in cemento armato rinforzato D type, due magazzini sotterranei con aggiornamenti anti-sismici e due depositi modulari di stoccaggio”, rileva il Dipartimento di US Navy. Nello specifico il nuovo arsenale occuperà complessivamente un’area di 4.802 m2: 4.205 m2 per i depositi ad alto potenziale esplosivo (High Explosive Magazines) e 600 m2 per l’edificio protetto destinato alle attività di “revisione e manutenzione” delle munizioni (Ammunition Rework and Overhaul Shop – AROS).
“Il progetto è a supporto delle operazioni con ordigni a NAS Sigonella e includerà condutture con sistemi anti-intrusione e un nuovo accesso stradale”, si legge nella scheda tecnica elaborata da US Navy. “L’infrastruttura servirà a ricevere, stoccare, isolare, ispezionare, caricare, scaricare e consegnare gli ordigni così come ad assemblare, costruire, smontare, assicurare la manutenzione e riparare le munizioni. Il progetto risponderà pienamente ai requisiti previsti dai Comandi di guerra e alle direttive sugli standard anti-terrorismo del Dipartimento della Difesa. I sistemi di controllo della facility includeranno quelli per la sicurezza cibernetica in accordo con gli odierni criteri del Pentagono”.
Per costruire i nuovi depositi di armi ed esplosivi sarà demolito un edificio nell’area di NAS II ad uso esclusivo delle forze armate USA, quello indicato con il numero #881 e fino ad oggi utilizzato come officina di manutenzione delle armi subacquee avanzate modificate (MAUW – Modified Advanced Underwater Weapons). (1)
“Il Naval Munitions Command (NMC) Atlantic Detachment Sigonella fornisce il supporto munizionamento al Comando delle forze navali USA in Europa (NAVEUR), a quello per le operazioni nel continente africano (US Africom), alle unità della VI Flotta e risponde alle richieste di munizioni ed esplosivi convenzionali del Dipartimento della difesa nell’area sotto la sua responsabilità (Europa, Africa e Medio oriente, ndr)”, spiega il Comando della Marina Militare USA nella richiesta di finanziamento della nuova santabarbara. “Il distaccamento di Sigonella assicura inoltre i team di pronto intervento a supporto delle operazioni VLS/CLS (presumibilmente i sistemi missilistici navali a lancio verticale, ndr) all’interno dell’area sotto la responsabilità della V Flotta USA e dei partner NATO. Per poter svolgere in modo adeguato la propria missione a Sigonella, il Naval Munitions Command ha bisogno di magazzini di stoccaggio delle munizioni e degli esplosivi ben progettati e in grado di supportare le richieste di munizionamento di US Navy, del Corpo dei Marine, di US Air Force, della NATO e dell’OPLAN – Operation Plan”. Con l’acronimo OPLAN viene inteso in ambito militare il piano operativo predisposto dagli alti Comandi delle forze armate per la conduzione delle operazioni congiunte in un ambiente ostile. (2)
Nella richiesta al Congresso, il Dipartimento della Marina USA spiega che la necessità di realizzare il nuovo arsenale a Sigonella è dovuta principalmente alla vetustà dei depositi esistenti. “Si tratta di infrastrutture vecchie di 60 anni che non rispondono ai requisiti richiesti dalle forze armate USA e NATO”, spiega US Navy. “Attualmente l’NMC Atlantic Detachment Sigonella non possiede un Ammunition Rework and Overhaul Shop per assemblare, costruire, smontare e distruggere le munizioni. L’esistente NATO Ordnance Facility è localizzata in un’area che è stata colpita in passato da inondazioni che hanno danneggiato gli edifici e la vicina rete stradale”.
La progettazione delle infrastrutture ha preso il via nell’agosto 2020 e sarà completata entro la fine del novembre di quest’anno. Il contratto di design per un importo di 596.516 dollari è stato affidato dal Naval Facilities Engineering Command all’Alliance Consulting Group Inc., società di engineering con quartier generale a Boston (Massachusetts). (3) Il cronogramma prevede che dopo l’autorizzazione del Congresso sia bandita la gara dei lavori e che questi vengano avviati a partire dell’ottobre 2024 per poi concludersi entro il settembre 2026. Oltre alla somma destinata all’esecuzione delle opere, il Dipartimento della Marina prevede di destinare 1.450.000 dollari all’acquisto di attrezzature e apparecchiature C4I (comando, controllo,comunicazione, computer e intelligence) e cibersecurity per “difendere” il nuovo arsenale di Sigonella.
Il progetto Ordnance Magazines è stato inserito all’interno del piano di investimenti finanziario per l’anno fiscale 2024 dell’European Deterrence Initiative (EDI), l’iniziativa di rafforzamento della presenza delle forze armate USA in Europa avviata da Washington in accordo con i partner della NATO a seguito dell’annessione russa della Crimea nel 2014. Si tratta di un budget di spesa di dimensioni abnormi, oltre 3,6 miliardi di dollari, che servirà ad accrescere il numero degli stazionamenti su base rotativa dei reparti terrestri e aeronavali delle forze armate USA e alla realizzazione di nuove infrastrutture militari e depositi di stoccaggio armi e munizioni. “I programmi EDI previsti per il 2024 continueranno a rafforzare le capacità e la prontezza delle forze USA, degli alleati NATO e dei partner regionali nel rispondere nel modo più rapido ad ogni aggressione nell’area di intervento dell’U.S. European Command e contro le minacce transnazionali da parte degli avversari regionali alla sovranità territoriale degli alleati NATO”, spiega il portavoce del Pentagono.
“Le priorità difensive per scoraggiare gli attacchi strategici contro gli Stati Uniti d’America e i suoi alleati e partner consentono di rafforzare gli sforzi di collaborazione e la robusta deterrenza contro l’aggressione russa”, aggiunge Washington. “Grazie ai prossimi finanziamenti dell’European Deterrence Initiative si potenzierà la postura di sicurezza in Europa e la rapidità di difesa contro l’aggressione della Russia alle nazioni NATO, saranno riempiti i siti preposizionati (con reparti, mezzi di guerra, armi e munizioni, ndr), così come potranno essere svolte le attività addestrative e le esercitazioni per assecondare i cicli rotativi (…) Il budget 2024 dell’EDI continua a puntare agli investimenti nella deterrenza integrata, nelle campagne e negli interveti che costruiscono vantaggi duraturi”.
Per la cronaca, il progetto di Sigonella è l’unico predisposto dal Dipartimento della Marina USA nell’ambito del capitolo di spesa per il “potenziamento infrastrutturale” (complessivamente si tratta di opere per 544,2 milioni di dollari). “Le risorse per rafforzare le infrastrutture e le facility in tutto il teatro europeo forniscono ai nostri alleati e partner e ai potenziali avversari una chiara indicazione dell’impegno a lungo termine degli Stati Uniti d’America in Europa”, spiega il Pentagono. “L’accesso a infrastrutture robuste in località strategiche è essenziale per il supporto delle attività e delle operazioni. I miglioramenti pianificati assicurano il pronto intervento e diverse attività ed eventi militari nella regione e rafforzano le funzioni di mobilità, accoglienza, stazionamento, proiezione e integrazione congiunta (JRSO&I)”. Nello specifico il pacchetto finanziario sarà destinato prioritariamente al potenziamento delle infrastrutture destinate ad ospitare equipaggiamenti, munizioni e carburante; delle basi per le unità inviate a rotazione; dei poligoni e dei centri addestrativi; degli scali aeroportuali; delle reti d’intelligence e dell’architettura di sorveglianza. (4)
“La missione primaria di NAS Sigonella è quella di assicurare le attività operative consolidate e logistiche avanzate e i centri di comando, controllo e amministrativo a supporto delle forze armate USA e di altri paesi NATO”, si legge nella scheda inviata al Congresso dal Dipartimento di US Navy. “Sigonella supporta i vari squadroni aerei multi-funzioni e multi-nazionali in transito a rotazione. La facility presente nella baia di Augusta (Siracusa) assicura il rifornimento di carburante e viveri alle unità da guerra della VI Flotta e alle navi di supporto logistico. Anche la stazione di telecomunicazioni (a Niscemi, ndr) e il Pachino Target Range forniscono il supporto alla flotta USA. Inoltre NAS Sigonella è il punto di rotta per il transito di personale militare e dei voli cargo attraverso l’Europa, l’Africa e l’Asia sud-occidentale”.
Nella grande stazione aeronavale, sede di quasi una quarantina di comandi operativi delle forze armate degli Stati Uniti d’America e centro nevralgico per le operazioni dei droni-spia e killer USA e NATO, proliferano intanto i cantieri infrastrutturali. Dopo che lo scorso anno è stato completato un maxi-hangar per il ricovero e la manutenzione dei nuovi pattugliatori marittimi P-8A “Poseidon” di US Navy (costo 26,5 milioni di dollari) (5), a breve saranno realizzate le vie di rullaggio e i piazzali destinati a questi velivoli che sono impiegati quotidianamente in operazioni di intelligence e sorveglianza della flotta russa nel Mar Nero e dei sottomarini nucleari di Mosca in transito nel Mediterraneo. Per la realizzazione delle nuove taxyway per i “Poseidon” sono stati stanziati 66.050.000 dollari.
Nella primavera 2024 entrerà in funzione anche una nuova Stazione di telecomunicazioni satellitari. “L’infrastruttura nella Naval Air Station di Sigonella, per cui è prevista una spesa di 42 milioni di dollari, comprenderà pure una facility per le informazioni sensibili e riservate e consentirà di effettuare comunicazioni – vocali e di dati – più sicure e affidabili alle unità navali, sottomarine, aeree e terrestri di US Navy”, spiega il Pentagono. Imponente anche il costo delle apparecchiature elettroniche e dei sistemi di comando, controllo, comunicazione ed intelligence che saranno installati nella stazione satellitare: 57 milioni di dollari. Il nuovo centro opererà sotto il Comando della U.S. Naval Computer and Telecommunications Station (NCTS) Sicily, che supporta le comunicazioni critiche delle forze armate USA, NATO e delle coalizioni alleate che operano nelle regioni sotto la responsabilità dei comandi di US Africom, CENTCOM ed EUCOM. (6)
E’ inoltre in progettazione la modernizzazione delle infrastrutture e dei sistema di atterraggio nelle piste della base (il contratto di design ha il valore di 3.610.000 dollari), mentre a metà luglio sarà bandita la gara per realizzazione il nuovo quartier generale delle unità cinofile dei marines USA impiegate in operazioni “anti-terrorismo” e nella ricerca e rimozione di munizioni ed esplosivi (costo 5.900.000 dollari) (7). Pagine Esteri.
NOTE E LINK
1 secnav.navy.mil/fmc/fmb/Docume…
2 globalsecurity.org/military/op…
3 https://govtribe.com/award/federal-contract-award/delivery-order-n6247018d4011-n6247020f5598
4 https://comptroller.defense.gov/Portals/45/Documents/defbudget/FY2024/FY2024_EDI_JBook.pdf
5 stripes.com/theaters/europe/20…
6 https://www.academia.edu/95984074/Sicilia_isola_delle_armi
7media.defense.gov/2023/Feb/01/…
L'articolo Sigonella, la maxi polveriera di Stati Uniti e Nato in Sicilia proviene da Pagine Esteri.
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🎧 #RECENSIONE:
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«Aspirin Sun» è un disco mattutino: di folk psichedelico mattutino, forse un po’ insonne. È folk cinematografico, se mi passate il termine, ideale colonna sonora di un vecchio film
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F-104, F-35 e oltre. Ulmer (Lockheed) racconta il legame con l’Aeronautica
La storia che lega l’azienda statunitense all’Italia dura da più di sessant’anni ed è costellata da importanti collaborazioni con realtà italiane di rilievo, tra cui Leonardo e Fincantieri. In particolare, con il gruppo di piazza Monte Grappa, Lockheed Martin collabora nella costruzione dell’F-35, continuando una tradizione di cooperazione in campo aeronautico che lega il gigante industriale statunitense anche all’Aeronautica militare italiana. Di questa storica partnership Airpress ne ha parlato con Greg M. Ulmer, vice presidente esecutivo della divisione Aeronautica di Lockheed Martin.
Presidente, l’Aeronautica militare italiana ha da poco compiuto il suo primo secolo di vita. La Forza armata è sicuramente legata a Lockheed Martin da molto tempo. Ci può descrivere questa partnership?
Innanzitutto, a nome di Lockheed Martin, voglio esprimere i nostri auguri all’Aeronautica militare per l’eccezionale traguardo raggiunto dei cento anni di attività per la sicurezza dell’Italia e dei suoi interessi nazionali. Per noi, l’Italia non è solo un partner prezioso, ma anche una componente aerea fondamentale all’interno della Nato, che fornisce all’Alleanza una presenza aerea avanzata oggi e per gli anni a venire. Con l’Italia ci lega un rapporto che dura da decenni. Durante questo periodo abbiamo celebrato molte pietre miliari della tecnologia aerospaziale all’avanguardia. Una di queste è il Lockheed F-104, che ha segnato l’ingresso dell’Italia nell’era dei jet militari. L’aereo ha servito l’Aeronautica in varie configurazioni dagli anni Sessanta fino all’inizio del XXI secolo, registrando circa un milione di ore di volo.
E oggi?
L’Italia si posiziona come uno degli alleati europei più capaci e fidati degli Stati Uniti, anche grazie ai nostri sistemi di difesa più all’avanguardia, tra cui naturalmente il caccia stealth F-35 e il C-130J. Non solo siamo pienamente impegnati a proteggere la sicurezza nazionale dell’Italia e a promuovere la sicurezza del XXI secolo per i decenni a venire, ma sosteniamo anche il rafforzamento del Paese dall’interno. In qualità di partner del programma F-35 Lightning II, l’industria italiana è pienamente coinvolta nel programma F-35 per i prossimi trent’anni: dalla produzione di parti critiche, all’assemblaggio finale e all’accettazione in volo di entrambi i modelli F-35A e F-35B, fino alla manutenzione pesante regionale, alla riparazione, alla revisione e al lavoro di aggiornamento.
Sta crescendo il numero di Paesi europei che selezionano l’F-35 per le proprie difese aeree, e molti di questi hanno espresso interesse per il sito di assemblaggio italiano di Cameri. Si prevede che entro il 2030 nel Vecchio continente saranno stanziati oltre 550 apparecchi, 90 dei quali italiani. Che impatti avrà questo sull’Europa e sulla Nato?
Il contributo dell’F-35 al potere aereo integrato della Nato è un importante esempio che illustra il nostro impegno nel sostenere una maggiore interoperabilità tra i membri europei dell’Alleanza. Ad oggi, otto membri europei della Nato fanno già parte del programma F-35, mentre la Grecia e la Repubblica Ceca hanno annunciato ufficialmente l’interesse a partecipare al programma. Il caccia fornisce un effetto rete integrato in tutta la Nato che si allinea con l’approccio di Lockheed Martin alla sicurezza del XXI secolo, in quanto diversi alleati stanno aggiornando le loro flotte di quarta generazione con le capacità avanzate di quinta, elementi cruciali per la deterrenza in caso di necessità.
E per quanto riguarda il nostro Paese?
L’Italia, con quello che è attualmente il più grande programma europeo di F-35, svolge un ruolo essenziale in questo senso e lo ha dimostrato recentemente come nazione ospitante dell’esercitazione su larga scala Falcon Strike, incentrata sull’integrazione dei velivoli di diversi utilizzatori alleati e sull’integrazione dei velivoli di quinta e quarta generazione. Con la crescita della flotta globale e della rete di operatori, la potenza delle capacità avanzate dell’F-35 combinata con le conoscenze condivise tra diversi Paesi, sta rafforzando la sicurezza, aumentando la capacità di deterrenza della Nato e dando la possibilità alle forze alleate di muoversi in uno spazio di battaglia contestato senza essere individuate.
Oltre l’F-35, l’Aeronautica italiana è anche uno dei maggiori operatori di C-130J in Europa…
I C-130 sono in servizio con l’Aeronautica italiana da 53 anni, e oggi l’Arma azzurra gestisce una delle più grandi flotte di Super Hercules al mondo, uno dei primi operatori del velivolo. Personalmente, ho fatto parte del programma C-130 quando abbiamo consegnato i primi “Super Herc” all’Italia, un momento importante, che rimane un punto di orgoglio per il nostro team. Quando un Paese utilizzatore dei C-130 sceglie di ricostituire la propria flotta con i Super Hercules, dimostra la partnership e la fiducia che riposta nella nostra realtà.
Quali sono le capacità del C-130J e qual è il suo impatto di lungo periodo in Europa?
Il Super Hercules è conosciuto come il “cavallo da tiro del mondo” e si è guadagnato questa reputazione grazie alla sua presenza globale, alla sua versatilità e alle sue prestazioni. Gli equipaggi dell’Aeronautica militare hanno convalidato la sua reputazione attraverso il supporto militare regionale, di mantenimento della pace, umanitario e di soccorso in caso di disastri naturali con i suoi C-130J-30 da trasporto aereo tattico e i KC-130J aviocisterne tattiche. Dall’assicurare la consegna di rifornimenti critici alle basi operative avanzate al rifornimento di mezzi aerei e terrestri, fino alla consegna di speranza e aiuti, i Super Herc italiani riflettono la missione dell’Aeronautica militare di servire l’Italia “con il valore fino alle stelle”, come recita il suo motto.
Mali: lo Stato Islamico conquista territori a scapito di Al Qaeda
di Redazione
Pagine Esteri, 23 aprile 2023 – Le milizie affiliate allo Stato islamico stanno espandendo la loro influenza nella regione del Sahel, conquistando territori nel nord-est del Mali allo scopo di allargarsi al Niger e al Burkina Faso. Lo scrive il quotidiano francese “Le Monde”, che segnala il proseguire di violenti attacchi da parte di membri del gruppo Eigs, lo “Stato islamico nel Grande Sahara”, che starebbe espandendo la propria influenza nell’area delle Tre frontiere, situata al confine tra Mali, Niger e Burkina Faso. Quasi anno fa le ultime truppe francesi hanno lasciato il paese africano.
La presa di Tidermène, località situata a nord di Menaka registrata all’inizio di aprile, è l’ultima tappa di una vittoriosa offensiva iniziata nel 2022 contro i rivali del “Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani” (Jnim), milizia affiliata ai competitori di Al Qaeda, ma anche contro l’esercito maliano sostenuto dai ribelli tuareg. I combattimenti hanno causato la morte di centinaia di civili. Al momento, solo la capitale regionale Menaka sfuggirebbe al controllo dell’Eigs, protetta dall’esercito del Mali, dalla missione Onu Minusma e da alcuni gruppi armati che hanno siglato un accordo di pace con Bamako.
Lo scorso 18 aprile anche una delegazione della giunta militare al potere è stata attaccata al confine con la Mauritania. Quattro persone sono state uccise nell’imboscata, incluso il capo di gabinetto del presidente di transizione Assimi Goita, Oumar Traoré. Anche un capo della sicurezza, l’autista del capo di gabinetto ed un imprenditore locale sono deceduti nell’attacco. La delegazione, ha riferito la giunta in un comunicato, è caduta in un’imboscata durante una missione lungo l’asse Guiré-Nara, nella regione sud-occidentale di Koulikoro. In seguito è stato attaccato anche un posto di blocco dell’esercito maliano all’ingresso di Labbazenga, vicino al confine con il Niger. Un militare è stato ucciso ed altri quattro sono rimasti feriti. Il posto di blocco è stato dato alle fiamme e le armi sono state rubate. – Pagine Esteri
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_aid_85_
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Takky
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Vantaggi per Mastodon GGMBH (tossici per la comunità):
1) il potere di decidere quali istanze E QUALI PROGETTI DEL FEDIVERSO saranno federati alla maggior parte degli utenti e quali non lo saranno
2) far crescere solo la propria istanza in modo che i fondi di investimento metteranno soldi sul suo progetto, in base alle equivalenze più utenti = più risonanza
3) Maggiore capacità di comunicare direttamente e immediatamente a tutti gli utenti mastodon da parte dello staff degli sviluppatori
Vantaggi più o meno utili per la comunità:
4) evitare che gli utenti finiscano dentro istanze mastodon gestite male, provocando un grave danno reputazionale
@aid85
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Takky
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •La 4 però è ottimistica. Il problema è che quando l'utente arriva e non trova il pulsante "Iscriviti" ma la casella "Inserisci la tua istanza", si gira e torna in Facebook.
Poi non dico che l'accentramento non sia un problema. Lo è, è enorme e dovrebbe essere assolutamente evitato. Ma è anche indubbio che, se si vuole veramente costruire un'alternativa a Facebook e Twitter, questo è un problema che deve essere affrontato.
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impottibile
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in reply to impottibile • •@impottibile a me lo dici? Io scrivo da Friendica... 😁
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0ut1°°k
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Eleonora
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •come se avessero bisogno di concentrare ancora più persone sul loro server! Comunque diverse persone cui ho detto di provare mastodon si sono iscritte su mastodon.social. Già non capisco perché la maggior parte delle persone italiane si iscrive sulla stessa istanza italiana, ma è ancora più stupido che si iscrivano tutte nella stessa istanza straniera.
@feditips @fediverso
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riccardo
in reply to Eleonora • • •Comunque la decisione di Mastodon gGmbH di utilizzare il loro server come default deriva anche dalle numerose richieste di utenti Mastodon di "astrarre" il concetto di federazione/istanze rendendolo accessibile ma non strettamente fondamentale da conoscere, con l'intento di abbattere questa barriera all'ingresso. Sinceramente lo trovo anche io poco sensato considerato che prima o poi contro con il concetto di federazione ci devi sbattere il naso, però non riesco a decidere se si tratta di una scelta poco oculata, semplicemente ottimistica, oppure proprio opportunistica
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Eleonora
in reply to riccardo • • •@riccardo non mi piace mai dare consigli mirati, perché preferisco che le persone ci mettono un po' del proprio libero arbitrio...
Infatti poi ogni volta ne rimango delusa. 🤣
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riccardo
in reply to riccardo • • •1. preferisco gli spazi anglofoni a quelli italiani
2. avevo il terrore che da un giorno all'altro l’istanza da me scelta venisse chiusa, o semplicemente abbandonata. Quindi per evitare future rogne scelsi quella che molto più probabilmente non mi avrebbe creato problemi di quel tipo. All'epoca (2019 mi pare?) le istanze erano tutte relativamente piccole ed alcune che avevo salvato tra i preferiti non esistono più, ma oggi forse sono considerazioni che quasi non farei (infatti sono su bida - che è comunque rimasto qualche release indietro)
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Fabio Tavano
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Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂
in reply to Fabio Tavano • •@Fabio Tavano non saprei aiutarti, dal momento che sono un utente Android e che comunque anche quando utilizzo mastodon lo faccio soprattutto dal browser dello smartphone. In ogni caso ho sentito parlare molto bene di metatext, ma ti conviene comunque provare quelle che trovi qui, sul sito di... mastodon GGMBH 😅
@Fedi.Tips
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Fabio Tavano
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Ice Cubes for Mastodon
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informapirata ⁂
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •In un ambiente decentrato come il fediverso, è importante cercare di distribuirsi invece che di concentrarsi nello stesso luogo. È un sano principio di sicurezza, ma è anche un modo per non concentrare troppo potere in troppo poche mani.
Approfitto per condividere la riflessione con @jaromil
@smaurizi @euklidiadas @faffa @ORARiccardo e @cesco_78
@notizie @fediverso
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macfranc
in reply to informapirata ⁂ • • •@informapirata per i giornalisti come @smaurizi @faffa @ORARiccardo ricordo l'esistenza del nostro progetto poliversity.it un'istanza italiana dedicata anche alla loro categoria, oltre che di istanze anglofone dedicate espressamente al giornalismo come
. journa.host
. newsie.social
. toad.social
. federated.press
@fediverso
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Takky
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •L'astrazione è un'arma a doppio taglio.
Da un lato si portano gli utenti sulla piattaforma, dall'altro non si istruiscono a riguardo.
Ad esempio dopo aver avviato il mio personale processo di abbandono delle piattaforme GAFAM mi sto trovando, paradossalmente, molto più in difficoltà ad abbandonare Meta che non Google.
Vorrei tanto abbandonare Facebook e Instagram ma là ho tutta la mia rete di contatti. Oltre a certe community italiane che usano esclusivamente Facebook Groups.
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suoko
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Se penso poi che misskey.social oltretutto è un'istanza italiana, sarebbe un bel capture the flag contro i tedeschi!
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in reply to suoko • •Ma temo che dovremo attendere ancora qualche mese
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suoko
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Unknown parent • •@Mattias Cibien la cosa brutta è che la timeline federata esisteva ma per raggiungerla dovevi fare due passaggi (il ché dimostra la precisa volontà di penalizzare le istanze più piccole)
@Fedi.Tips @Che succede nel Fediverso? @impottibile
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Piero Bosio
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Il fediverso è già popolato al 50% da server/istanze Mastodon. Non so quanto incida mastodon.social su questo 50%. La parola "defederare" non mi piace e non penso sia la soluzione alla centralizzazione delle istanze. Sono d'accordo: La crescita deve essere decentralizzata per proteggere l'indipendenza di tutti i server Fedi
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Fabio Callioni
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • •informapirata ⁂
Unknown parent • • •@tassoman io è da un pezzo che lo dico, ma non si vede luce. Quanto ai soldi, non sarei così ottimista: gli Editori stanno in rosso fisso! 😅
@fediverso @faffa @ORARiccardo @smaurizi @macfranc
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informapirata ⁂
Unknown parent • • •@tassoman in linea di principio sì, ma il fatto è che sono un po' rigidi per lisciare il (u|0 ai gruppi politici di riferimento... 😅
@fediverso
macfranc
Unknown parent • • •@tassoman Adam Davidson quasi un anno fa: “I think we got lazy as a field, and we let Mark Zuckerberg, Jack Dorsey, and, god help us, Elon Musk and their staff decide all these major journalistic questions.”
niemanlab.org/2022/11/can-mast…
@fediverso @faffa @ORARiccardo @smaurizi @informapirata
Can Mastodon be a reasonable Twitter substitute for journalists?
Nieman LabEleonora
Unknown parent • • •