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Friendica and Bluesky's AT protocol

@Fediverse

Friendica has always stood out for being able to manage multiple communication protocols, surpassed in this only by Hubzilla (a software that I have never been able to appreciate, however).
It would be nice if Frindica could integrate Bluesky's AT protocol as well. Do you know if there is any feasibility study on this new frontier?

@Fediverse News @Hypolite Petovan @Michael Vogel @Tobias

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friendica - Collegamento all'originale
Hypolite Petovan
@Sarah Brown The next stable release is planned for early September (hopefully).

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friendica - Collegamento all'originale
Hypolite Petovan
@Sarah Brown Thank you, and it's okay, please take care of yourself!

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Piano Nazionale Scuola Digitale, al via la consultazione pubblica lanciata dalla Direzione generale per i fondi strutturali per l’istruzione, l’edilizia scolastica e la scuola digitale DGEFID, con l’obiettivo di raccogliere pareri e contributi sui do…


La banca centrale turca ha presentato le sue prime misure dopo le elezioni presidenziali di domenica, aggiungendosi a un groviglio di regole utilizzate per gestire il sistema finanziario.

@Politica interna, europea e internazionale

L'obiettivo delle nuove normative, entrate in vigore martedì, è quello di ridurre la domanda di oro tra le famiglie e dissuaderle dal prelevare contanti utilizzando le carte di credito, un'opzione sempre più favorita dalle persone come alternativa più economica ai prestiti.

Il post completo su Bloomberg



Riconoscimento facciale: come funziona e perché i piani del governo per introdurlo sono problematici

@Etica Digitale

Ciclicamente ritorna a essere evocata come la tecnologia migliore per garantire la sicurezza nelle città. Ultimo in ordine di tempo, a seguito di alcuni episodi criminosi avvenuti nelle stazioni ferroviarie di Milano e Roma, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ventilato l’ipotesi di equipaggiare le videocamere di sorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale. Il piano sulla sicurezza del ministro ha mosso i primi passi a gennaio scorso, quando sono state eseguite operazioni interforze “ad alto impatto” nelle stazioni di Roma, Milano e Napoli ma anche in luoghi delle città interessati dal fenomeno della “malamovida” e dallo spaccio di stupefacenti.

L'articolo di Laura Carrer è su Valigia Blu

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friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
The Privacy Post
@Generale Specifico mamma mia! ancora le boiate della tecnologia predittiva... e questi buffoni continuano a spendere i seodi dei cittadini!...


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Un canale di informazioni, aggiornamenti, notizie dal Ministero dell'Istruzione e del Merito. Ci trovate anche su Twitter, Instagram, Facebook.




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In Cina e Asia – Cina, arriva il progetto pilota per le "famiglie nella nuova Era”


In Cina e Asia – Cina, arriva il progetto pilota per le famiglia
I titoli di oggi:

Cina, arriva il progetto pilota per le "famiglie nella nuova Era"
Israele-Palestina, un sondaggio promuove la Cina tra i potenziali mediatori
Ucraina, Von der Leyen sottolinea l'importanza della Cina nel processo di pace
Scontro Cina-Usa al largo di Hong Kong prima dell'assalto al Campidoglio
Africa, Xi incontra il presidente eritreo Afwerki
Cambogia, la commissione elettorale boccia l'unico partito di opposizione
Ciclone Mocha, Myanmar e Bangladesh contano i danni

L'articolo In Cina e Asia – Cina, arriva il progetto pilota per le “famiglie nella nuova Era” proviene da China Files.



SUDAN. Centinaia di morti nel Darfur all’ombra della guerra tra Al Burhan e Dagalo


Almeno 280 persone sono state uccise venerdì e sabato nella città di Geneina. 180 i feriti. I combattimenti sono avvenuti tra i miliziani delle Rsf di Dagalo e gruppi armati di cittadini. L'articolo SUDAN. Centinaia di morti nel Darfur all’ombra della gu

della redazione

(la foto è di Albert Gonzalez Farran/ONU)

Pagine Esteri, 16 maggio 2023 – Si aggrava la violenza nel Darfur occidentale, con centinaia di morti e un ulteriore peggioramento della crisi umanitaria mentre nella capitale Khartoum e nel resto del Sudan non ottengono risultati gli sforzi per raggiungere, dopo un mese di combattimenti, un cessate il fuoco tra l’esercito agli ordini del generale Abdel Fattah Al Burhan e i miliziani delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidati dal generale Mohammad Hamdan Dagalo, più noto come Hemedti.

Il sindacato dei medici sudanesi riferisce che almeno 280 persone sono state uccise venerdì e sabato nella città di Geneina, nel Darfur occidentale. 180 i feriti. I combattimenti sono avvenuti tra le Rsf e gruppi armati di cittadini. “Piangiamo le perdite di vite umane derivanti dal conflitto in tutto il Sudan”, afferma il sindacato in un post su Facebook.

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I combattimenti a Geneina sono tra le tribù arabe e i Masalit. Si tratta di un conflitto che ha più di 20 anni per questioni legate al controllo della terra e delle sue risorse e che riesplose in base agli sviluppi politici. Già lo scorso 21 aprile si erano verificati combattimenti tra nomadi arabi e agricoltori Masalit. Le Rsf sono schierate con i gruppi armati arabi mentre l’esercito sostiene i Masalit. Venerdì le forze armate sudanesi hanno accusato i miliziani di Dagalo di aver bombardato civili. Le Rsf hanno replicato denunciando l’esercito che avrebbe colpito i quartieri residenziali della città.

Gran parte della copertura mediatica internazionale del conflitto in Sudan si è concentrata nell’ultimo mese sulla violenza nella capitale, Khartoum. Ma Geneina è stata teatro di alcuni dei peggiori combattimenti nel paese con centinaia di vittime. Geneina, peraltro, da anni ospita circa 100.000 sfollati. Gli operatori umanitari riferiscono che i civili sono in balia della violenza, intrappolati in casa per giorni a causa di bombardamenti incessanti, impossibilitati a scappare e tagliati fuori dall’assistenza sanitaria e dai beni di prima necessità. A Geneina sono in corso saccheggi e violenze.

La regione del Darfur nel suo insieme ha vissuto una guerra devastante dal 2003 al 2020. Vari gruppi hanno partecipato al conflitto ma è stato in gran parte combattuto dall’esercito sudanese e dalla milizia Janjaweed contro i gruppi ribelli sotto la bandiera del Fronte Rivoluzionario Sudanese. La guerra ha avuto una chiara dimensione etnica, poiché i militari e i Janjaweed sono in gran parte sudanesi arabizzati mentre i ribelli sono principalmente non arabi, come i Masalit. Le Rsf sono nate proprio dalla milizia Janjaweed.

Il Sudan vive una forte instabilità politica dalla rimozione nel 2019, dopo trent’anni al potere, del dittatore Omar al Bashir. Successivamente si è formato un governo di transizione, ma Al Burhan, con l’aiuto di Dagalo, ha preso il potere con un colpo di stato del 2021 e fermato i passi in avanti verso un sistema democratico. Quindi lo scorso 15 aprile sono iniziati i combattimenti tra le Rsf e le forze armate regolari in seguito alle forti tensioni tra Dagalo e Al Burhan. Pagine Esteri

L'articolo SUDAN. Centinaia di morti nel Darfur all’ombra della guerra tra Al Burhan e Dagalo proviene da Pagine Esteri.





L'Esercito italiano fa propaganda bellicista in un centro commerciale di Catania | L'Indipendente

«In particolare, Cobas e Osservatorio si scagliano contro la “campagna acquisti sempre più invasiva che invita i giovani ad intraprendere un percorso di futuro garantito in un territorio, la Sicilia, dove il tasso di abbandono scolastico si è attestato al 21,2% e la disoccupazione giovanile al 22%”, ricordando come le normative scolastiche impongano che “ogni attività didattica esterna sia coerente con il lavoro curricolare e la programmazione”.»

lindipendente.online/2023/05/1…

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Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia


L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia violando le sanzioni imposte a Mosca L'articolo Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia proviene da Pagine Ester

di Redazione

Pagine Esteri, 12 maggio 2023 – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia utilizzando una nave cargo “segretamente attraccata” per tre giorni presso una base navale nei pressi di Città del Capo, lo scorso dicembre.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente locale “News24”, Brigety ha affermato che gli Stati Uniti sono “sicuri” che le armi siano state caricate sulla nave Lady R – soggetta a sanzioni da parte degli Usa – mentre si trovava presso la base navale di Simon’s Town, e trasportate in Russia. L’ambasciatore ha aggiunto che una fornitura di armi a Mosca da parte del Sudafrica, durante la guerra in Ucraina, rappresenta una questione “estremamente seria” perché mette in dubbio la posizione neutrale adottate da Pretoria relativamente al conflitto tra Kiev e Mosca.

«La nave è rimasta attraccata presso la base navale di Simon’s Town dal 6 all’8 dicembre del 2022, ed è stata utilizzata per trasportare armi alla Russia», ha detto Brigety durante una conferenza stampa a Pretoria. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, invece, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che il governo del Sudafrica sta indagando sulla vicenda. «Siamo tutti a conoscenza delle notizie circolate e l’intera questione è in fase di esame. Lasciamo che l’indagine porti i suoi risultati. La questione è in fase di esame e col tempo saremo in grado di parlarne» ha affermato il capo dello Stato della Repubblica Sudafricana.

Secondo quanto riferito da fonti citate dal “Financial Times”, la nave – di proprietà di Transmorflot, una società che dallo scorso anno è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti – la Lady R avrebbe spento il suo transponder mentre faceva scalo a Città del Capo dopo un viaggio lungo la costa occidentale dell’Africa. Dopo che la nave ha lasciato il porto, il ministero della Difesa sudafricano non ha fornito dettagli su ciò che la nave trasportasse.

Nel gennaio scorso il governo di Pretoria ha ufficialmente negato di aver approvato qualsiasi vendita di armi alla Russia da quando Mosca ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Il Sudafrica ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale nel conflitto in Ucraina, tuttavia ha subito numerose critiche per le sue consistenti relazioni con Mosca, in particolare per le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina condotte a febbraio al largo delle proprie coste.

Ramaphosa, inoltre, ha anche esteso l’invito al presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo vertice dei leader dei Brics in programma a Johannesburg ad agosto, una mossa che ha generato un acceso dibattito.
Il Sudafrica, che membro della Corte Penale Internazionale, sarebbe infatti legalmente obbligato ad arrestare Putin se si recasse nel Paese, dopo che il leader della Federazione Russa è stato condannato per la deportazione di un certo numero di bambini ucraini. Tuttavia di recente il Congresso nazionale africano (Anc) – movimento al governo in Sudafrica – ha stabilito che il governo debba ritirarsi dall’organismo.

La maggior parte dei paesi africani non ha esplicitamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, o comunque non ha aderito alle sanzioni comminate contro Mosca dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte sua la Federazione Russa sta aumentando gli investimenti in alcuni paesi africani mentre la compagnia militare privata Wagner è ormai presente in numerosi territori del continente, affiancando le forze regolari di vari governi contro l’insorgenza jihadista o sostenendo i ribelli in armi contro governi invisi.

Negli ultimi mesi Washington ha lanciato una grande offensiva diplomatica e commerciale nel continente africano tentando così di recuperare un ruolo centrale e di rintuzzare la crescente egemonia cinese e russa. – Pagine Esteri

L'articolo Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia proviene da Pagine Esteri.



TURCHIA. Erdogan vince ma è costretto al ballottaggio


Nonostante il sostegno di tutte le opposizioni Kemal Kılıçdaroğlu non è riuscito a battere Erdogan che però sarà costretto al ballottaggio L'articolo TURCHIA. Erdogan vince ma è costretto al ballottaggio proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.i

di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – Ha vinto a Istanbul, Ankara e Izmir, è stato il più votato in tutte le regioni della Tracia, dell’Egeo e del Mediterraneo e in quelle curde, ma alla fine Kemal Kılıçdaroğlu non ce l’ha fatta a battere il “sultano” Erdogan.
Nonostante i sondaggi favorevoli della vigilia e un’alleanza composta da praticamente tutte le opposizioni – dal centrodestra nazionalista del Buon Partito passando per il suo Partito Repubblicano Popolare (Chp) di centrosinistra fino al Partito della Sinistra Verde (ombrello elettorale dei curdi dell’Hdp, partito che rischia la messa fuori legge), senza dimenticare alcune formazioni guidate da ex stretti collaboratori dell’attuale presidente – Kılıçdaroğlu si è piazzato in seconda posizione con il 44,9% dei voti.

Neanche il ritiro, pochi giorni prima delle elezioni, del candidato indipendente di centrosinistra Muharrem Ince, ex leader del Chp e poi fondatore del Partito della Patria, è riuscito a dare a Kılıçdaroğlu la spinta necessaria a superare il padre-padrone della politica turca. E questo nonostante la lunghissima crisi economica che ha impoverito milioni di persone, l’inflazione galoppante, e la tragedia del terremoto che lo scorso 6 febbraio ha devastato 11 province turche, uccidendo più di 50 mila persone e creando milioni di sfollati (molti dei quali non hanno potuto votare ieri), le cui conseguenze sono state amplificate dalla speculazione edilizia e dal mancato rispetto, da parte delle autorità, delle misure di prevenzione.

Erdogan ha vinto, anche nettamente, in molte delle zone terremotate, ed anche tra gli emigrati in Germania, in Austria, in Francia, in Belgio e in Olanda.

Comunque per la prima volta dopo più di venti anni di potere, Recep Tayyip Erdogan sarà costretto ad andare al ballottaggio con il rappresentante delle opposizioni, il 28 maggio.
La già lunga e aspra campagna elettorale avrà quindi una coda di altre due settimane, che si preannuncia tesissima. Già ieri, durante il lungo e travagliato spoglio delle schede elettorali, i due schieramenti si sono scambiati pesanti accuse di brogli e manipolazioni. Nelle prime ore sembrava che il leader del Partito Giustizia e Sviluppo dovesse prevalere con quasi il 20% di distacco sul principale sfidante, ma poi il conteggio dei voti provenienti da Istanbul e Ankara ha accorciato sempre più il suo vantaggio. Poi, in serata, la quota di consensi incassata dall’attuale presidente è scesa sotto il 50%, fino a fissarsi al 49,5% che lo obbliga al secondo turno.
Uno smacco per il “sultano”, che però tra due settimane partirà da 2,5 milioni di voti di vantaggio sullo sfidante, e potrà probabilmente attingere almeno a parte di quel 5,2% raggranellato da Sinan Oğan, leader di uno schieramento nazionalista di estrema destra indipendente.
Alle precedenti elezioni presidenziali del 2018, Erdogan era passato al primo turno con il 52,6%, mentre Muharren Ince – che all’epoca guidava i socialdemocratici kemalisti del Partito Repubblicano Popolare – si era fermato al 30,6%. In terza posizione era arrivato – nonostante fosse in carcere per motivi politici – il curdo Selahattin Demirtaş per il Partito Democratico dei Popoli con l’8,4%. Meral Akşener, ex ministra dell’Interno che nel 2017 aveva abbandonato il braccio politico dei Lupi grigi (Mhp) per fondare il Buon Partito insieme ad alcuni transfughi di destra del Partito Repubblicano, si era piazzata al quarto posto con il 7,3%,

I quasi 56 milioni di elettori che si sono recati alle urne – ieri il tasso di affluenza è stato quasi dell’87%, superiore di mezzo punto rispetto al 2018 – hanno espresso la propria preferenza anche per la composizione della Grande Assemblea Nazionale Turca, composta da 600 deputati.

Anche in questo caso lo schieramento di Erdogan – l’Alleanza della Repubblica – si è imposto sfiorando la maggioranza assoluta dei voti, ma fermandosi al 49,4% e ottenendo 322 deputati; nel 2018 aveva preso invece il 53,6% e 344 rappresentanti. L’AKP ha guadagnato il 35,6% e 267 rappresentanti (alla tornata precedente il 42,56 e 295 deputati) mentre il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), formazione nazionalista di estrema destra legata ai Lupi Grigi, si è attestata al 10,1 con 50 eletti (nel 2018 aveva preso l’11,1 e 49 deputati). Erdogan potrà così controllare il parlamento abbastanza agevolmente anche se non potrà intervenire con riforme della Costituzione che richiedono una maggioranza più ampia.

L’Alleanza della Nazione rappresentata invece dal 74enne economista Kılıçdaroğlu ha incassato invece il 35% e 213 deputati. Al suo interno, il Chp ha totalizzato il 25,3 e 169 eletti (contro il 22,6 e 146 deputati del 2018) e il Buon Partito ha ottenuto il 9,7% e 44 rappresentanti (contro il 10 e 43 eletti del 2018). Le altre 4 formazioni incluse nella coalizione non hanno ottenuto invece rappresentanza parlamentare.

L’Alleanza del Lavoro e della Libertà ha invece ottenuto il 10,54% e 65 rappresentanti divisi tra il Partito della Sinistra Verde che ha preso l’8,8% e 61 eletti e il Partito dei Lavoratori che è riuscito a entrare in parlamento con 4 eletti nonostante l’1,73% conquistato. Alle scorse parlamentari il Partito Democratico dei Popoli aveva ottenuto l’11,7% e 67 deputati.
Nessun eletto ha conquistato la coalizione di Sinan Oğan, che nel voto per le legislative si è fermata al 2,4% e neanche per la coalizione dell’estrema sinistra – che includeva il Partito Comunista Turco – che ha raggiunto appena lo 0,3% dei consensi.

Come detto, la campagna elettorale è stata molto tesa e le opposizioni l’hanno dovuta condurre in una condizione di fortissimo svantaggio. Le tv pubbliche hanno concesso a Erdogan dieci volte il tempo accordato al leader delle opposizioni, e vari candidati dissidenti hanno dovuto subire aggressioni da parte di estremisti nazionalisti e fanatici religiosi riconducibili allo schieramento governativo. Sia Kilicdaroglu che il sindaco di Istanbul e possibile vicepresidente, Ekrem Imamoglu, sono stati aggrediti pubblicamente a pochi giorni dal voto.

Erdogan ha lanciato pesanti accuse contro l’opposizione, contribuendo a esacerbare gli animi, accusando Kılıçdaroğlu di essere sostenuto dai “terroristi” del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e di voler mettere quindi a rischio l’integrità territoriale della Turchia. Nei suoi interventi elettorali il “sultano” ha tentato di galvanizzare e fomentare i settori tradizionalisti e religiosi della società turca, additando le opposizioni come un pericolo per i valori conservatori.
Inoltre Erdogan si è proposto come mediatore nella guerra civile in atto in Sudan ed ha annuciato la scoperta di “ingenti riserve di petrolio” nel sudest del paese. All’inizio della scorsa settimana, poi, ha annunciato l’aumento dei salari del 45% per circa 700 mila impiegati nel settore pubblico.

Come se non bastasse, alcune settimane fa polizia e magistratura hanno inferto un altro duro colpo alle organizzazioni della sinistra curda. Una maxi retata ha infatti condotto a 126 arresti nelle regioni del sud e dell’est del paese; in manette sono finiti non solo giornalisti e militanti politici, ma anche 25 avvocati e una decina di artisti. L’accusa è sempre la stessa: collaborazione con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.

In soccorso di Erdogan, poi, sono andate negli ultimi mesi le petromonarchie del Golfo. Mentre a marzo l’Arabia Saudita ha iniettato liquidità nella Banca centrale turca per 5 miliardi di dollari, gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un accordo con la Turchia per aumentare il volume degli scambi commerciali tra i due Paesi portandolo a 40 miliardi di dollari entro il 2028.

Dopo la diffusione di un video con contenuti sessuali che comprometteva il candidato Muharrem Ince costringendolo al ritiro (risultato poi falso) il candidato kemalista Kılıçdaroğlu (che comunque afferma di voler preservare le buone relazioni con Mosca e con Pechino, riportando però la Turchia nell’alveo della Nato) ha esplicitamente accusato la Russia di ingerenze nella campagna elettorale allo scopo di favorire Erdogan. – Pagine Esteri

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INTERVISTA. La Nakba e le donne. Un trauma che si consuma ancora


Un filo doloroso unisce la confisca delle case palestinesi di oggi e la "catastrofe" del 1948. In questa video-intervista Ruba Saleh racconta le ferite aperte nei corpi che ne parlano, per una storia che non ha ancora trovato giustizia. L'articolo INTERV

Pagine Esteri, 15 maggio 2023. In occasione del 75° anniversario della Nakba, Pagine Esteri ripropone l’intervista alla prof.ssa Ruba Saleh, esperta di studi di genere nella storia delle migrazioni, della diaspora e della società palestinese.


Ruba Saleh, palestinese, insegna al dipartimento di Antropologia e Sociologia della SOAS, Università di Londra, autrice di molti studi di genere nella storia delle migrazioni, della diaspora e della società palestinese. Intervistata da Pagine Esteri in occasione dell’anniversario della Nakba, la “catastrofe”, ci racconta quello che è stato il 1948 per le donne palestinesi, perché rappresenti ancora un trauma mai superato, che continua anzi a ripetersi negli anni e nelle epoche, giungendo fino ad oggi.

player.vimeo.com/video/5494705…

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Propaganda politica, opinioni sbagliate, fake news e intolleranza. La posizione di Poliverso

@Politica interna, europea e internazionale

Poliverso.org è ormai diventata un'istanza generalista, ma è nata per creare uno spazio di dibattito politico aperto, laico e libero.

Abbiamo ricevuto diversi messaggi che ci rimproveravano di avere dato spazio a voci contrarie all'Ucraina e ostili verso la strenua difesa del popolo ucraino. A volte siamo stati addirittura accusati di diffondere fake news.

Ricordiamo a tutti che le opinioni non sono fatti e che un'opinione non è una fake news, anche se dovesse essere un'opinione sbagliata.

Polemizzare, anche utilizzando toni molto accesi, non può essere derubricato a comportamento tossico solo perché non esprime l'opinione desiderata.

In questa istanza pertanto verrà sempre consentita la libera espressione del proprio pensiero.

Tuttavia ricordiamo anche che la nostra tolleranza verso gli account di propaganda militarista, filo-occidentale o filo-russa che siano, è limitata!

Poliverso è un servizio gratuito (se volete contribuire potete farlo qui) e proprio per questo non è uno spazio che verrà concesso ad account che praticano 24×7 l'attacco sistematico verso profili che non la pensano come loro.

Poliverso.org è una piattaforma di discussione. Se volete fare marketing diretto per le vostre idee politiche o, peggio ancora, molestie mirate, verrete spazzati via!

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

credo che il bello sia proprio questo. Chi sceglie questa istanza sa a cosa va incontro. Come si dice in questi casi, patti chiari amicizia lunga


Thailandia, le opposizioni vincono le elezioni alla Camera


I partiti di opposizione in Thailandia hanno vinto le elezioni per il rinnovo della Camera, segnando la possibile fine del governo imposto dall'esercito dopo il colpo di stato L'articolo Thailandia, le opposizioni vincono le elezioni alla Camera proviene

di Redazione

Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – I partiti di opposizione in Thailandia hanno vinto le elezioni per il rinnovo della Camera, segnando la possibile fine del governo del primo ministro Prayuth Chan-ocha, ex generale ed ex capo dell’Esercito al potere da quasi nove anni, dopo il golpe militare che nel 2014 pose bruscamente fine al governo della premier Yingluck Shinawatra.
Con l’84,5% delle schede scrutinate, il movimento di opposizione antimonarchico Move Forward – guidato dal 43enne imprenditore Pita Limjaroenrat – ha ottenuto 151 seggi, divenendo il primo partito dell’assemblea. Altri 141 seggi vanno al Pheu Thai, la forza politica guidata dalla 36enne Paetongtarn Shinawatra, nipote di Yingluck e figlia maggiore dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deposto a sua volta da un colpo di Stato militare nel 2006, e in esilio autoimposto dal 2008. Il Palang Pracharat del primo ministro uscente Prayuth si è piazzato solo quarto, con 42 seggi. I due partiti vincitori, che si ritiene possano trovare un’intesa di governo, totalizzerebbero quasi 300 deputati, su un totale di 500. Una posizione di controllo che potrebbe uscire ulteriormente rafforzata nel caso in cui alla coalizione aderisse anche il partito Bhumjaithai, arrivato terzo con 68 seggi.

Il voto serviva a d eleggere i membri della camera bassa dell’Assemblea nazionale, da cui dipenderanno la nomina del prossimo capo di governo e l’indirizzo politico ed economico del Paese per i prossimi quattro anni. Molti thailandesi ritengono le votazioni una scelta di campo tra il pieno ripristino delle istituzioni democratiche e il mantenimento del governo delle forze armate. Queste ultime esercitano tuttora una fortissima influenza sulla politica thailandese, grazie alla vicinanza alla monarchia e alle disposizioni della Costituzione scritta e approvata dalla giunta militare nel 2017, prima di un ritorno alle urne che consentì a Prayuth di restare al potere dismettendo la divisa militare e indossando i panni del leader politico.

L’elezione dei 500 deputati della camera bassa avviene sulla base di un sistema elettorale misto: 350 deputati vengono eletti in altrettanti collegi uninominali, mentre i rimanenti 150 seggi vengono assegnati secondo criteri di rappresentanza proporzionale. Il voto per l’elezione del prossimo capo del governo si terrà probabilmente in agosto, e il premier sarà eletto dalle due camere in seduta congiunta: la Costituzione del 2017 non prevede però alcuna elezione per i 250 membri del Senato, che sono stati nominati dal Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, la giunta che ha governato la Thailandia tra il 2014 e il 2019. – Pagine Esteri

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Ilan Pappè: verità sulla Nakba


Studi accademici dimostrano l'incontestabilità di quanto avvenuto nel 1948: l'espulsione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi, spiega lo storico Ilan Pappè. Israele ha un'altra narrazione L'articolo Ilan Pappè: verità sulla Nakba proviene da P

di Michele Giorgio

Questa intervista è stata pubblicata il 14 maggio 2023 dal quotidiano Il Manifesto

ilmanifesto.it/la-verita-sulla…

Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – Nei giorni in cui Israele celebra la sua fondazione 75 anni fa, i palestinesi sono impegnati con raduni, sit in, conferenze, dibattiti a tenere viva la memoria della Nakba, la loro «catastrofe nazionale» parallela alla nascita dello Stato ebraico nel 1948. Una memoria fatta di esilio per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini diventati profughi in campi allestiti nei paesi arabi vicini, di case e terre perdute e poi confiscate, di famiglie divise per sempre. Eppure, per quanto sia sempre viva e duratura tra i palestinesi, più parti, non solo Israele, spingono per spegnerla, per impedire che sia riconosciuta e prenda il posto che merita nella storia. Ne abbiamo parlato con lo storico Ilan Pappè, docente all’Università di Exeter, autore di saggi sulla storia di Israele e della Palestina tradotti in molte lingue.

Professor Pappè perché la Nakba viene oscurata, perché è sempre più difficile parlarne in pubblico?

Prima di spiegarne le ragioni chiariamo che le ricerche storiche fatte con professionalità a partire dagli anni ’80 da alcuni storici israeliani e stranieri e quelle realizzate prima di allora dagli storici palestinesi, hanno ottenuto risultati incontestabili sulla Nakba e le sue conseguenze. Studi e ricerche hanno documentato anche la pulizia etnica fatta da Israele nel 1948 (a danno dei palestinesi, ndr). Questi risultati, e rispondo alla domanda, contraddicono completamente la narrazione ufficiale israeliana ad uso interno ed internazionale. Mi riferisco alla versione che vuole l’esercito «più morale al mondo» impegnato nel 1948 a difendere Israele contro l’intero mondo arabo, alla tesi secondo cui gli arabi avrebbero chiesto ai palestinesi di abbandonare la loro terra mentre gli israeliani avevano chiesto loro di rimanere. E all’idea che Israele non ha avuto alcuna responsabilità nelle vicende del 1948 di cui sono stati vittime i palestinesi. In sostanza per questa narrazione, non c’è stata la Nakba. Le ricerche storiche ci hanno detto che tutto ciò è una pura fabbricazione. E che l’espulsione dei palestinesi, allora come oggi, è un crimine contro l’umanità. La preoccupazione delle autorità israeliane è che diffondendo, discutendo e analizzando gli esiti degli studi fatti dagli storici si ponga una questione morale sulla fondazione dello Stato di Israele. Se si comincia con questi interrogativi si arriva a sollevare una questione morale sull’intera impresa sionista (in Palestina, ndr) e a chiedersi perché il mondo ha permesso l’espulsione dei palestinesi.

Come spiega l’atteggiamento di varie istituzioni internazionali nonché di governi e partiti politici occidentali, di ferma opposizione, oggi più che in passato, al riconoscimento della Nakba?

Credo che tutte queste parti internazionali, occidentali, non intendano entrare in conflitto con Israele ed esporsi al rischio di accuse di antisemitismo che sempre più spesso sono rivolte a chi critica e solleva dubbi. Vanno considerati inoltre i rapporti economici, le vendite di armi, le relazioni di sicurezza con Israele. Quindi è molto più semplice ignorare la Nakba, zittire i palestinesi e negare la loro narrazione oltre che le loro aspirazioni. Allo stesso tempo la società civile occidentale è sempre più consapevole della Nakba e di quanto accade oggi nei Territori palestinesi occupati e si aspetta che i governi adottino delle politiche concrete contro la negazione dei diritti e di condanna di abusi e violazioni.

A livello accademico qual è oggi la consapevolezza della Nakba.

In termini generali si osserva da tempo un progresso un po’ ovunque. Tante università importanti, negli Usa e in Gb, nell’ambito di corsi di studi e seminari su Israele e palestinesi, hanno svolto ricerche sulla Nakba in modo corretto e professionale. Questo vale anche per l’Italia, la Spagna e la Scandinavia. All’Istituto Orientale di Napoli, ad esempio, ho apprezzato l’accuratezza del programma di studi su questi temi. Non mancano però all’interno delle università le attività di docenti che cercano boicottare questi lavori e di imporre la versione tradizionale degli avvenimenti del 1948 pur sapendo che contraddice la storia accertata in modo professionale dai loro colleghi. Da questo punto di vista penso che Francia e Germania siano i paesi più problematici.

Come giudica la linea fortemente pro-Israele dei partiti di destra che oggi governano in diversi paesi europei.

Per questi partiti accettare la narrazione ufficiale del 1948 e la versione di Israele di quanto accade oggi, vuol dire lavare e rendere bianco il proprio passato nero. Impressiona come alcuni di questi partiti che erano antisemiti e hanno sostenuto, persino partecipato, al genocidio degli ebrei, siano oggi i più accaniti sostenitori di Israele. Più hanno collaborato con il Nazismo e più appoggiano le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi. Questi partiti, peraltro, sono islamofobici e per Israele è facile convincerli che non sta impedendo a un popolo di liberarsi dall’occupazione militare e che invece sta combattendo contro organizzazioni islamiche fanatiche.

Israele ha festeggiato qualche settimana fa, sulla base del calendario ebraico, il suo 75esimo compleanno mentre è nel pieno di una frattura interna alla sua maggioranza ebraica a causa della riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu. Come legge le manifestazioni di massa a difesa della separazione dei poteri e della Corte suprema che vanno avanti da mesi.

È in atto uno scontro tra due modelli di nazionalismo. Le differenza è questa. Il primo, quello che porta avanti le proteste contro la riforma giudiziaria, vuole conservare il modello sostanzialmente laico, fondato su ciò che definisce una democrazia ebraica, precedente alla nascita, avvenuta alla fine dello scorso anno, del governo di destra estrema ora in carica. I suoi sostenitori accettano solo la bandiera israeliana alle manifestazioni, per affermare il carattere nazionalista della protesta contro il governo. Il secondo modello non punta alla difesa dei principi democratici, piuttosto vuole ridefinire l’Ebraismo nel 2023 e ritiene centrale dare un fondamento più religioso alla società israeliana. Entrambi però non mettono in discussione in alcun modo l’apartheid che viene praticato contro i palestinesi sotto occupazione militare e quelli con cittadinanza israeliana. Seguendo come i media hanno riferito sino ad oggi della spaccatura in atto in Israele, sono sorpreso che tanti giornalisti stranieri, anche quelli più esperti, non abbiano colto questi elementi politici ed ideologici tanto evidenti.

Questo è il presente, cosa vede in futuro?

Nel futuro immediato vedremo più repressione e più discriminazione nei confronti dei palestinesi e persino contro la minoranza di ebrei che si batte per la giustizia e i diritti. Si creeranno però più fratture e contraddizioni nel sistema con sviluppi significativi nella società civile locale e internazionale per la lotta all’apartheid. Ci vorrà del tempo ma non si potranno impedire i cambiamenti che da sempre attendono i palestinesi. Pagine Esteri

L'articolo Ilan Pappè: verità sulla Nakba proviene da Pagine Esteri.



Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia


L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia violando le sanzioni imposte a Mosca L'articolo Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia proviene da Pagine Ester

di Redazione

Pagine Esteri, 12 maggio 2023 – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia utilizzando una nave cargo “segretamente attraccata” per tre giorni presso una base navale nei pressi di Città del Capo, lo scorso dicembre.

In una dichiarazione rilasciata all’emittente locale “News24”, Brigety ha affermato che gli Stati Uniti sono “sicuri” che le armi siano state caricate sulla nave Lady R – soggetta a sanzioni da parte degli Usa – mentre si trovava presso la base navale di Simon’s Town, e trasportate in Russia. L’ambasciatore ha aggiunto che una fornitura di armi a Mosca da parte del Sudafrica, durante la guerra in Ucraina, rappresenta una questione “estremamente seria” perché mette in dubbio la posizione neutrale adottate da Pretoria relativamente al conflitto tra Kiev e Mosca.

«La nave è rimasta attraccata presso la base navale di Simon’s Town dal 6 all’8 dicembre del 2022, ed è stata utilizzata per trasportare armi alla Russia», ha detto Brigety durante una conferenza stampa a Pretoria. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, invece, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che il governo del Sudafrica sta indagando sulla vicenda. «Siamo tutti a conoscenza delle notizie circolate e l’intera questione è in fase di esame. Lasciamo che l’indagine porti i suoi risultati. La questione è in fase di esame e col tempo saremo in grado di parlarne» ha affermato il capo dello Stato della Repubblica Sudafricana.

Secondo quanto riferito da fonti citate dal “Financial Times”, la nave – di proprietà di Transmorflot, una società che dallo scorso anno è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti – la Lady R avrebbe spento il suo transponder mentre faceva scalo a Città del Capo dopo un viaggio lungo la costa occidentale dell’Africa. Dopo che la nave ha lasciato il porto, il ministero della Difesa sudafricano non ha fornito dettagli su ciò che la nave trasportasse.

Nel gennaio scorso il governo di Pretoria ha ufficialmente negato di aver approvato qualsiasi vendita di armi alla Russia da quando Mosca ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Il Sudafrica ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale nel conflitto in Ucraina, tuttavia ha subito numerose critiche per le sue consistenti relazioni con Mosca, in particolare per le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina condotte a febbraio al largo delle proprie coste.

Ramaphosa, inoltre, ha anche esteso l’invito al presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo vertice dei leader dei Brics in programma a Johannesburg ad agosto, una mossa che ha generato un acceso dibattito.
Il Sudafrica, che membro della Corte Penale Internazionale, sarebbe infatti legalmente obbligato ad arrestare Putin se si recasse nel Paese, dopo che il leader della Federazione Russa è stato condannato per la deportazione di un certo numero di bambini ucraini. Tuttavia di recente il Congresso nazionale africano (Anc) – movimento al governo in Sudafrica – ha stabilito che il governo debba ritirarsi dall’organismo.

La maggior parte dei paesi africani non ha esplicitamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, o comunque non ha aderito alle sanzioni comminate contro Mosca dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte sua la Federazione Russa sta aumentando gli investimenti in alcuni paesi africani mentre la compagnia militare privata Wagner è ormai presente in numerosi territori del continente, affiancando le forze regolari di vari governi contro l’insorgenza jihadista o sostenendo i ribelli in armi contro governi invisi.

Negli ultimi mesi Washington ha lanciato una grande offensiva diplomatica e commerciale nel continente africano tentando così di recuperare un ruolo centrale e di rintuzzare la crescente egemonia cinese e russa. – Pagine Esteri

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Stefania Brai* C’è stato un tempo in cui gli autori denunciavano e lottavano contro ogni forma di censura: quella cinematografica, quella della Rai,

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La Difesa è il pilastro della pace. Cosa si è detto al think tank di Crosetto


Il lavoro delle Forze armate è il presupposto della sicurezza e il pilastro su cui poggiano democrazia e pace e per questo, però, è necessario comunicarlo e far conoscere alla società civile il lavoro della Difesa. Questo il cuore del discorso del ministr

Il lavoro delle Forze armate è il presupposto della sicurezza e il pilastro su cui poggiano democrazia e pace e per questo, però, è necessario comunicarlo e far conoscere alla società civile il lavoro della Difesa. Questo il cuore del discorso del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha da poco presieduto la riunione di insediamento del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa a Palazzo Esercito, insieme al capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il Segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, e i vertici di tutte le articolazioni delle Forze armate, Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri. In risposta ai repentini cambiamenti imposti dall’attuale quadro geostrategico sempre più complesso, l’obiettivo del Comitato è promuovere la cultura della Difesa attraverso un approccio nuovo e comunicare quello che rappresenta il sistema-Difesa a servizio del Paese.

Per una cultura della Difesa

Il comitato riunisce esponenti non solo del mondo militare, anzi, è pensato esattamente per aprire il più possibile il dibattito sulla cultura della Difesa all’interno della società italiana. Rappresentanti delle università, centri di ricerca, accademia, mondo della cultura e dell’informazione, dell’industria e dell’economia, costruiranno un dialogo serrato per consentire alla Difesa di “essere sempre un passo in avanti” nel discorso pubblico nazionale. “Oggi inizia un percorso di contaminazione biunivoca e virtuosa” ha detto il ministro, “questo deve essere un luogo di ascolto e un tavolo di dialogo per promuovere le Forze Armate e i loro valori”. Non solo missioni operative ma anche tecnologia, cultura e formazione, rispetto dei diritti e tutela dell’ambiente e del nostro patrimonio culturale, capacità empatica e generosità dei nostri uomini e donne in divisa che offrono il loro servizio nelle missioni all’estero e nella difesa del Paese.

La Difesa è uno strumento per perseguire la pace

“Quasi tutti pensiamo che la Difesa sia fatto importante, ma difficilmente si riesce a spiegare i motivi per i quali uno Stato moderno debba promuovere e garantire un proprio sistema di difesa efficiente, quali sono le ricadute industriali e tecnologiche, occupazionali o di ricerca scientifica ad esempio”. A dirlo in esclusiva ad Airpress è il segretario generale del Comitato Filippo Maria Grasso, direttore Relazioni istituzionali di Leonardo. “È la prima volta che il ministero della Difesa decide di avvalersi di un Comitato per trovare un momento di riflessione su come sono considerate e proposte le molte sfaccettature che questo mondo offre al servizio del Paese – ha continuato Grasso – Ragionare della Difesa non è un mezzo per promuovere l’intervento militarista. Non premia vocazioni bellicistiche. Tutt’altro. In Italia la difesa, senza se e senza ma, è uno strumento per perseguire la pace, lo sviluppo e la promozione delle nostre dimensioni di comunità. Questo è lo spirito con cui credo si sia voluto istituire questo Comitato, per trovare uno spazio nel quale fermarsi a riflettere su un aspetto così centrale eppure poco valorizzato del nostro Paese”.

I membri del Comitato

A formare il Comitato, presieduto dal ministro stesso, sono il presidente dell’Ansa Giulio Anselmi; l’economista Geminello Alvi; lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco; la storica dell’arte Anna Coliva; il consigliere del ministro Pier Domenico Garrone; il professore di scienze e tecnologie aerospaziali del Politecnico di Milano Michèle Roberta Lavagna; il presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi Giancarlo Leone; l’editorialista Angelo Panebianco; il direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali dell’Università cattolica del Sacro Cuore professor Vittorio Emanuele Parsi; il segretario generale dell’Aspen Institute Angelo Maria Petroni; l’editorialista Gianni Riotta; il direttore de Il Sole 24 ore Fabio Tamburini; il presidente dell’associazione Big Data professore Antonio Zoccoli e il direttore Relazioni istituzionali di Leonardo Filippo Maria Grasso.


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Mini-naja? Meglio un servizio civile con regole militari. Parla il gen. Arpino


Ripristinare la leva militare? Un tema che spesso riaffiora e che sembra piacere all’attuale esecutivo. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la 94esima adunata nazionale degli alpini a Udine, ha precisato che quello della leva “è un tema ch

Ripristinare la leva militare? Un tema che spesso riaffiora e che sembra piacere all’attuale esecutivo. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la 94esima adunata nazionale degli alpini a Udine, ha precisato che quello della leva “è un tema che si può affrontare come ipotesi volontaria al servizio civile”. L’idea trova pieno appoggio nelle parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa che vorrebbe una “mini naja” di 40 giorni. Ma siamo sicuri che sarebbe una strada percorribile? “Sarebbe meglio istituire un servizio civile, con regole militari che introduca tra i giovani valori, rigore e spirito di sacrificio, magari che includa attività organizzate da ex militari. Ma serve più tempo, non bastano 40 giorni”. La pensa così il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica.

Generale Arpino, immaginare una “mini naja” su base volontaria non sarebbe una strada percorribile?

La reintroduzione di questa mini-leva non servirebbe alle forze armate. Peraltro attualmente non ci sarebbero neanche più le strutture per organizzare un percorso di questo genere. Anche se, da parte del governo, penso che il problema si sia posto più sul versante educativo per i giovani.

Cosa intende dire?

Di fronte al precipizio culturale, è legittimo ed è apprezzabile l’intendimento dell’esecutivo. Anche se le forze armate non potrebbero svolgere un’azione sostitutiva delle agenzie educative, visto e considerato che i militari sono molto impegnati in altro. Servirebbe invece un servizio civile, magari con attività svolte e organizzate da ex militare, per instradare i giovani sulla via dei valori, del rigore e della disciplina. Ma non basterebbero certo 40 giorni.

Secondo lei di quanto tempo necessiterebbe questo percorso?

Ci vorrebbero dai tre ai sei mesi per incidere profondamente nelle coscienze. In questo modo si potrebbero educare i ragazzi allo spirito di sacrificio. Riconosco, insomma, l’esigenza di fare qualcosa per le nuove generazioni.

In che modo li impiegherebbe?

Ad esempio sarebbe interessante che i ragazzi prestassero servizio negli hub per l’accoglienza dei migranti. Un servizio dei giovani italiani in favore dei profughi. Sarebbe un grande insegnamento: servire gli altri e non se stessi.

Secondo lei una leva volontaria come immaginata dal governo non garantirebbe un ringiovanimento delle forze armate?

Il turnover è garantito e mi pare che le regole attuali abbiano dimostrato la loro efficacia. Non c’è nulla da toccare in questo senso. Più che altro i militari andrebbero impiegati per i compiti operativi anziché adoperati in maniera impropria.

A cosa si riferisce in particolare?

Quando i militari vengono impiegati per fare i piantoni davanti agli uffici, direi che il compito è improprio rispetto alla loro formazione e vocazione.


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La Difesa Ue scalda i motori, letteralmente. Il punto dell’ing. Scarpa (AvioAero)


Di fronte alle sfide e alle necessità del futuro, è indispensabile che i programmi per la Difesa, in particolare quelli internazionali, adottino una visione di lungo periodo, che identifichi i requisiti necessari alle piattaforme del domani per poter proc

Di fronte alle sfide e alle necessità del futuro, è indispensabile che i programmi per la Difesa, in particolare quelli internazionali, adottino una visione di lungo periodo, che identifichi i requisiti necessari alle piattaforme del domani per poter procedere allo sviluppo delle soluzioni tecnologiche adeguate. Nel campo aeronautico, le attività sempre più complesse che i mezzi saranno chiamati a svolgere richiederanno strumenti all’avanguardia per la gestione dell’energia, dalla propulsione al funzionamento di tutti i sistemi di bordo. L’Unione europea, attraverso il Fondo europeo della Difesa, sta procedendo in questo settore con diverse iniziative, da quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project (Engrt), al progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann). Airpress ha parlato di queste iniziative con Pierfederico Scarpa, vice presidente Strategy, marketing e sales di Avio Aero, azienda che parteciperà alla definizione del sistema propulsivo dell’Engrt e che coordina il progetto Neumann. Stiamo assistendo ai festeggiamenti per il centenario dell’Aeronautica militare, dove si è vista la Forza aerea fortemente proiettata al futuro.

L’importanza del dominio aereo è riconosciuta anche a livello europeo. Tra i progetti finanziati dall’Ue tramite il Fondo europeo della Difesa, spicca quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project. Di cosa si tratta?

Bisogna innanzitutto dire che questo programma non è ancora di produzione, e nemmeno di sviluppo. È un programma prodromico a queste fasi. Spesso ci si dimentica che certi ragionamenti hanno bisogno di tempi e di fasi iniziali indispensabili alla buona riuscita, poi, del progetto concreto. In questo caso, dunque, bisogna dare adito alla visione lungimirante della Commissione europea, e di quanto c’è dietro al Fondo europeo per la Difesa. Stiamo parlando, dunque, di definire i requisiti, operativi prima e tecnologici poi, che a loro volta influenzeranno lo sviluppo del progetto. L’obiettivo è andare ad analizzare quali sono i gap capacitivi rispetto ai futuri profili di missione, e da lì si comincia a impostare il lavoro affinché si arrivi poi alla definizione delle soluzioni necessarie per colmare questi “vuoti”.

Che ruolo giocherà Avio Aero nel progetto?

Com’è giusto che sia, capofila del progetto saranno gli airframer, coloro che definiranno e integreranno il sistema velivolo, Leonardo e Airbus Helicopters. Avio Aero, dunque, parteciperà alla definizione del sistema propulsivo, insieme agli altri motoristi europei come ITP, MTU Aero, Safran Helicopter Engines e Rolls-Royce Deutschland, tutte aziende con le quali già collaboriamo in altri programmi. In questa fase, dunque, ci supporteremo a vicenda per tradurre i requisiti operativi in tecnologie e caratteristiche di prodotto, cioè il motore, in linea con quanto emerso. Per noi è sicuramente una partecipazione importante e per nulla scontata. È indicativa di un percorso di crescita che ha fatto l’azienda e che ci consente oggi di poter dire la nostra in modo qualificato, grazie alle nostre competenze ingegneristiche e tecnologiche.

Tra l’altro l’azienda è presente anche in altri programmi all’avanguardia…

A livello europeo la versione militare del nostro motore turboelica Catalyst è stata selezionata nel marzo 2022 da Airbus Defense & Space per la motorizzazione dell’EuroDrone. Inoltre, siamo il partner europeo di riferimento per lo sviluppo del sistema propulsivo del caccia di sesta generazione che sarà realizzato all’interno del Global combat air programme (Gcap), dove siamo impegnati con Rolls-Royce e IHI Corporation. Una presenza frutto di una trasformazione che negli ultimi anni ci ha portato a diventare una delle principali aziende della propulsione europee. Sono tutti progetti all’avanguardia e sulla frontiera dell’evoluzione tecnologica nel campo della propulsione del futuro.

Per sviluppare sistemi aerei sempre più all’avanguardia, uno degli aspetti principali è rappresentato dalla propulsione. Come dovranno essere i motori del futuro?

Bisogna partire dalla premessa che l’obiettivo è quello di cercare di capire dove la tecnologia sarà tra qualche anno. Se vogliamo essere leader, e non follower, dovremo infatti contribuire a spostare la frontiera dell’innovazione, che abbiamo menzionato poco fa, sempre un po’ più in là. Si parla ormai di power and propulsion systems, concetto che prevede un maggior accoppiamento tra il motore aeronautico e la produzione di energia elettrica. Le varie piattaforme necessitano infatti di energia dal momento che i motori, oltre ad assolvere al compito di fornire la spinta necessaria al volo, dovranno sempre più produrre energia per i diversi sistemi installati sul velivolo. L’effetto collaterale è una maggiore produzione di calore, che dovrà essere smaltito attraverso dei sistemi di gestione termica (power and thermal management system), che sono in continuo sviluppo e miglioramento.

Sul tema della propulsione, Avio Aero coordina il progetto europeo Neumann. Come si articoleranno le fasi dell’iniziativa e quali sono gli obiettivi della società?

Per noi il progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann) è una vera punta d’orgoglio: coordiniamo un consorzio formato da 37 partner europei, composto da aziende, Pmi, università e centri di ricerca. Il budget stanziato dall’Unione Europea per il progetto è di circa 56 milioni di euro, che lo rende il più grande consorzio finanziato dal Fondo europeo della Difesa. L’obiettivo è quello di sviluppare tecnologie proprietarie europee per far fronte ai requisiti per i sistemi propulsivi di nuova generazione. Ricordiamoci che in Europa stiamo passando dalla quarta generazione (Eurofighter e Rafale) direttamente alla sesta, dal momento che l’F-35 non è stato sviluppato in Europa. Dai progetti degli anni Ottanta, quindi, il Vecchio continente si trova a fare un salto tecnologico importante. Non è una cosa banale, dato che le nuove piattaforme richiederanno sempre maggiore energia, anche perché si tratterà di “system of systems”. In questo senso, aver coinvolto nel progetto Neumann anche degli airframer ci permetterà di lavorare in maniera integrata, interfacciando i sistemi che dovranno operare insieme ai velivoli.

Sistemi e piattaforme del futuro dovranno tenere in conto sia le difficoltà legate a una supply chain resa più fragile da uno scenario globale più complesso, sia il necessario livello di sostenibilità dei sistemi stessi. Quali potrebbero essere possibili soluzioni?

Il discorso di filiera è sicuramente importante e delicato. Il conflitto in Ucraina è infatti intervenuto su un sistema già fragilizzato dalla pandemia da Covid. Questo, tuttavia, ha contribuito ad accendere i riflettori su due elementi strategici della supply chain: la dipendenza dall’estero e la resilienza della filiera. Il tema della dipendenza, naturalmente, implica che al momento molte delle cose che ci servono dobbiamo comprarle fuori dall’Europa. Quello della resilienza, invece, misura la capacità del sistema di assorbire gli impatti. I fatti hanno purtroppo evidenziato che eventi che si ritenevano impensabili sono invece possibili. Dobbiamo allora considerare che, se la forza di una catena è data dal suo anello più debole, la supply chain della Difesa ha moltissimi anelli, sui quali bisogna agire per renderli sempre più capaci di resistere alle crisi. Le grandi aziende devono assumere un ruolo di guida e fare da catalizzatrici per una maggiore integrazione della filiera, ai fini di potenziarla e renderla resiliente di fronte alle sfide del futuro.


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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



MICHAEL KHILL – INFIERIRE SUL MALESSERE


Debutto discografico per il mostro musicale chiamato Michael Khill, un concentrato di deathcore, hardcore, crust, metal, grindcore e anche beatdown.

@Musica Agorà #metal

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Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della...

Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della videorubrica con il Ministro Giuseppe Valditara intervistato dalla giornalista Maria Latella.



È troppo presto per un Medio Oriente "cinese”


È troppo presto per un Medio Oriente Iran Arabia Saudita
Il 10 marzo scorso, a Pechino, Iran e Arabia Saudita raggiunto un accordo per impegnarsi a ristabilire le relazioni bilaterali, interrotte nel 2016. Abbiamo parlato del ruolo della Cina nel negoziato con Jacopo Scita, Policy Fellow del think tank Bourse & Bazaar Foundation.

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In Cina e Asia – Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai


In Cina e Asia – Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai Thailandia
I titoli di oggi:

Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai
L'UE discute la sua strategia sulla Cina e sull'Indo-Pacifico
Cittadino americano condannato all'ergastolo per spionaggio
Xi Jinping spinge sulla megaregione Jing-Jin-Ji per la "modernizzazione cinese"
Le accuse di un ex dirigente a ByteDance

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Dopo l'ennesima campagna di spam prodotta nell'istanza del fondatore di mastodon, sempre più amministratori di istanza stanno silenziando distanza più grande al mondo

@Che succede nel Fediverso?

Gli amministratori delle istanze più piccole sono sempre più insofferenti nei confronti della mancanza di controllo da parte del server di Eugen Rochko!

Ci auguriamo che gli amministratori di mastodon.social riescano a risolvere questo ennesimo problema di spam, anche solo limitando le nuove iscrizioni, ma siamo piuttosto pessimisti.

È sempre più chiaro che i gestori di mastodon.social puntano ad avere il massimo numero di utenti, probabilmente perché questo numero incide direttamente sui potenziali investimenti da parte dei finanziatori.

#mastoadmin #mastodon

in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

io sono l'amministratore di una istanza piccola e vi pregherei di non fare generalizzazioni all'ingrosso, grazie 😅 L'unica cosa a cui sono insofferente sono gli atteggiamenti di chi non prende con la dovuta serietà la scelta di defederare, come se fosse un ban individuale mentre è un danno per migliaia di persone e milioni di interazioni.
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

io gli spammer li voglio bloccare, non rendere invisibili lasciandoli attivi. Per farlo ognuno deve fare la sua parte: dal lato loro, i moderatori e gli admin di mastodon.social devono bloccare a mano gli spammer e introdurre opportuni filtri sui domini e gli IP, dal lato mio io controllo la federata per vedere se ci sono ospiti sgraditi, dal lato della community mi vanno segnalati gli account molesti. Silenziare è mettere tutto sotto il tappeto lavando ognuno i propri panni sporchi.
in reply to Carlo Gubitosa

in altre parole, silenziare 1,1 M di utenti per poche decine di spammer non è considerata cosa buona e giusta da tutti, e la mia insofferenza non è verso un solo account di spam che ho dovuto bloccare a mano con gli altri già bloccati da mastodon.social, ma verso i messaggi anticooperativi in cui si creano conflitti inutili invitando a silenziare tizio, lasciare l'istanza di caio o contestare sempronio, mentre contro lo spam ogni community deve fare la propria parte e fare fronte comune
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi condivido in pieno. Invece di "emarginiamo l'aggredito", avrei preferito diamoci da fare e "aiutiamo l'aggredito".
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi
aspetta scusa, non ho capito, una volta che hai segnalato gli account molesti di turno (in realta’, ne faccio una, non dodici, assumo che quando lo spam arriva a me, social avra’ gia’ avuto centinaia di segnalazioni), silenziare mi sembra l’opzione temporanea piu’ sana. Fa parte del processo.

Anzi, visto che i messaggi sono tutti uguali e pubblicitari di qualcuno, su pleroma silenzio per regexp , neanche per utenti fake.

in reply to Luca Sironi

@luca si parlava di manutenzione lato admin. Su sociale.network abbiamo avuto solo un paio di segnalazioni, e ne ho dovuto bloccare solo uno, perché erano già stati bloccati tutti a monte da mastodon.social. Non ho sentito il bisogno di silenziare 1.1 milioni di utenti di mastodon.social, (mutilando l'esperienza del fediverso per la nostra community) solo per quella sporca dozzina di spammer bloccati in poche ore.
in reply to Carlo Gubitosa

@gubi con me sfondi una porta aperta. All’ondata di spam precedente ho letto di cose folli come defederazioni fatte intenzionalmente o per errore.

Milioni di persone che si vedono sparire decine di follower e manco se ne possono accorgere

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mastodon - Collegamento all'originale
Carlo Gubitosa

@sparkit
se il discorso è più grande, non prendiamo a pretesto per polemiche pretestuose questa ondata di spam.

(che peraltro era gestibile in cinque minuti senza scatenare polemiche per cinque giorni. Cfr. sociale.network/@gubi/11037744… )

Proprio perché il discorso è molto grande e complesso, ogni parte del discorso va affrontata nelle sedi opportune.

Ad esempio, chi non ha gradito le feature algoritmiche può dirlo chiaramente su github:

github.com/mastodon/mastodon/i…



🧨 Intervista a Bernardino Costantino


#arte #dark #newwave

Mi chiamo Bernardino Costantino, vivo e lavoro a Mestre in provincia di Venezia ed ho cinquantuno anni. Il mio percorso creativo spazia in diversi ambiti: disegno, pittura, scrittura, musica e video. Collaboro con diversi musicisti dell’area dark/wave, post/punk ed industrial nella realizzazione di art work,illustrazioni, video e riviste di matrice sperimentale.

iyezine.com/bernardino-costant…



Zelensky ha incontrato Papa Francesco, Giorgia Meloni, il ministro Tajani e il Presidente della Repubblica Mattarella indossando una maglia con il tridente con


Vi spiego il successo di Israele nell’IA. Parla Antebi (Inss)


“Non c’è tempo da perdere” secondo Naftali Bennett. “Lo Stato di Israele deve darsi un obiettivo preciso: diventare una delle tre potenze leader nell’intelligenza artificiale entro il 2030”. L’ex primo ministro israeliano ha scritto su Twitter una lunga r

“Non c’è tempo da perdere” secondo Naftali Bennett. “Lo Stato di Israele deve darsi un obiettivo preciso: diventare una delle tre potenze leader nell’intelligenza artificiale entro il 2030”. L’ex primo ministro israeliano ha scritto su Twitter una lunga riflessione su questo tema, osservando che come “ogni esercito del mondo dovrebbe ora adottare tecnologie che potrebbero sostituire l’invio di soldati al fronte”.

L’intelligenza artificiale sta già cambiando il mondo della difesa. A spiegarlo a Formiche.net è Liran Antebi, ricercatrice dell’Institute for National Security Studies di Tel Aviv, in Israele, a capo del programma su tecnologie avanzate e sicurezza nazionale. L’esperta ha partecipato venerdì all’AeroSpace Power Conference, conferenza internazionale ed esposizione aerospaziale organizzata dall’Aeronautica militare, nell’anno del centenario della costituzione della forza armata.

“Tra le innovazioni più importanti dell’intelligenza artificiale nel mondo militare, vi è la logistica, con sviluppi molto simili a quelli che vediamo nel mondo civile”, dice facendo l’esempio delle automazioni nei depositi. “Inoltre, l’intelligenza artificiale può migliorare il lavoro dell’intelligence. Basti pensare che, durante la crisi del 2021, grazie all’intelligenza artificiale, l’aviazione israeliana ha ottenuto 200 obiettivi in soli 22 giorni. Prima sarebbe servito un anno per ottenere un numero così alto di obiettivi. Di questi 200, la metà sono stati colpiti”, aggiunge. Un esempio che dimostra, dice, che “intelligenza artificiale e aeronautica sono ottimi assieme, come la pasta con il cacio. Ma per avere una combinazione perfetta serve il pepe. E in questo caso è il talento”.

Un recente rapporto del Center for Security and Emerging Technology, think tank della Georgetown University di Washington DC, spiega che Israele “ha di gran lunga” l’ecosistema di intelligenza artificiale più grande del Medio Oriente in termini di aziende e investimenti finanziari. “Il successo di Israele nell’intelligenza artificiale è il frutto di una necessità geopolitica urgente e di un ecosistema che funziona, che connette l’esercito, le aziende, le start-up e il mondo accademico”, dice Antebi.

“Gli investitori stranieri svolgono un ruolo critico nella crescita del mercato dell’intelligenza artificiale in Israele”, si legge ancora nel documento che analizza la situazione anche con la lente americana della competizione con la Cina. Gli investimenti americani sono maggiori di quelli cinesi nel settore dell’intelligenza artificiale israeliana. Tuttavia, “dal punto di vista della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, gli investimenti da parte di concorrenti strategici come la Cina in un mercato con pesanti investimenti statunitensi potrebbero mettere a rischio alcune di queste tecnologie emergenti”. Ciò è dovuto al fatto che la strategia cinese sulla tecnologia rimane quella di “acquisire il capitale intellettuale attraverso partnership, trasferimenti di tecnologia e acquisizioni di aziende straniere”.

Commentando la decisione italiana che aveva portato al blocco di ChatGPT, Antebi dice: “Bloccare ChatGPT e simili rischia soltanto di lasciare indietro i Paesi che lo fanno. Collaborare con partner like-minded è cruciale per affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale”.


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Elicotteri di quinta generazione? Le sfide dell’industira secondo Alegi


Problema: se l’utilità del mezzo aereo è proporzionale alla sua velocità, e se l’elicottero ha limiti intrinseci di velocità per motivi aerodinamici, come fare per aprire e sfruttare nuovi mercati per il volo verticale? Questa semplice domanda spiega il f

Problema: se l’utilità del mezzo aereo è proporzionale alla sua velocità, e se l’elicottero ha limiti intrinseci di velocità per motivi aerodinamici, come fare per aprire e sfruttare nuovi mercati per il volo verticale? Questa semplice domanda spiega il fervore che da qualche anno caratterizza il settore elicotteristico. Maggiore velocità significa competitività nel trasporto punto-punto, efficacia nel soccorso, minor rischio nei lunghi voli sull’acqua.

A rendere concreta la prospettiva di una nuova generazione di elicotteri veloci sono i programmi sperimentali portati avanti dai costruttori mondiali. In Europa, AgustaWestland (oggi Leonardo Helicopters) punta da tempo sul convertiplano, che decolla come un elicottero e poi ruota i rotori per correre come un aeroplano, mentre Eurocopter (oggi Airbus Helicopters) ha preferito il compound, un elicottero tradizionale con l’aggiunta di due eliche propulsive ai lati della fusoliera. I costruttori americani hanno sviluppato approcci diversi. Bell, il maggior esperto mondiale di convertiplani grazie al V-22 Osprey, continua su questa strada con il V-280 Valor, nel quale però non ruota l’intera gondola motore ma solo la parte anteriore. La tecnologia più innovativa sembra la X2 di Sikorsky (gruppo Lockheed Martin), caratterizzata da rotori controrotanti sovrapposti ed elica spingente in coda.

Se ciascuna di queste soluzioni ha pregi e difetti in termini di tecnologia e di costo, la velocità non è però l’unica sfida da affrontare. In campo militare, per esempio, ce n’è una seconda, meno visibile, ma non per questo meno importante: far sopravvivere gli elicotteri in un campo di battaglia sempre più denso di sensori e armi micidiali. Non è una sfida da poco. Se in Afghanistan e Iraq, con completo dominio dell’aria, è stato possibile operare con macchine di vecchia generazione come gli AB.212 (primo volo 1968) e HH-3F (1966), in Ucraina la musica è molto diversa. Secondo i dati aperti di Oryxspioenkop.com, sinora gli invasori avrebbero perso settanta elicotteri (dei quali 57 da attacco, compresi 33 moderni Ka-52 Hokum) e i difensori 25 (tre da attacco).

Come fare? Anche se per ora nessuno parla di elicottero di quinta generazione, l’US Army ha da tempo lanciato il programma-quadro Future vertical lift, per rinnovare completamente la propria linea di elicotteri. A parte gli aspetti per così dire meccanici – motori e trasmissioni, per intendersi – la risposta starebbe in una trasformazione simile a quella che ha portato a far nascere il caccia F-35: una combinazione di bassa visibilità, sensori, armamento e soprattutto integrazione di dati e connettività. Il primo punto è il più semplice: l’ottimizzazione della forma, con lo spostamento di tutti i carichi all’interno, è in fondo la stessa necessaria per ridurre la resistenza e aumentare la velocità; il resto lo faranno i materiali.

Allo stesso modo, sensori e armamento sono in larga parte esistenti o estrapolabili da essi. Restano i dati, dall’architettura di sistema alla loro gestione e trasmissione, necessariamente più avanzata del precedente standard Nato Link-16. Solo così, secondo gli Usa, il Future attack reconnaissance aircraft (Fara) potrà inserirsi nei contesti operativi più difficili. Un cambiamento di capacità e filosofie non diverso dal salto dai vecchi “zanzaroni” Bell 47 a pistoni con rotori in legno agli ubiqui Bell 205 a turboelica e pale metalliche, o da questi agli AW139 con avionica digitale e rotori in compositi.

Alla nuova filosofia risponde già il Fara, i cui prototipi dovrebbero volare all’inizio del 2024 (salvo ulteriori ritardi del motore GE T901). In Europa, la Nato ha lanciato nell’ottobre 2020 l’iniziativa Next-generation rotorcraft capability (Ngrc), per un elicottero medio multiruolo, con la partecipazione di Francia e Germania (cioè Airbus), Italia e Regno Unito (cioè Leonardo) e Grecia. In Italia, il futuro dell’elicottero (o l’elicottero del futuro) è stato oggetto di un contratto di studio assegnato dal ministero della Difesa a Leonardo e Lockheed Martin per valutare una possibile collaborazione in ambito Fvl e, in particolare, di un Future fast rotorcraft previsto dall’iniziativa Next generation fast helicopter inserita nel Documento programmatico pluriennale (Dpp) della Difesa 2021-2023 con una previsione di 129 milioni di euro nell’arco di dodici anni.

Il Dpp si sbilanciava fino a indicare quali soluzioni caratteristiche dell’Ffr “rotori a tecnologia coassiale, pusher propeller, eccetera”, cioè proprio quelle dell’X2. A questa apparente scelta di campo non è seguito alcun fatto concreto. Anche il recente incontro di Lockheed Martin con la stampa di settore si è limitato a generici riconoscimenti delle capacità di Leonardo e altrettanto vaghi auspici di collaborazione. Non è bastato a dissipare le voci di tensioni tra Difesa, che punta molto sull’innovazione, e industria, più attenta alla difesa delle proprie tecnologie e mercati domestici. Ed è un peccato, perché si rischia di perdere in un colpo solo due treni: quello dell’innovazione e quello dell’attenzione ai temi della Difesa italiana ed europea.

(Articolo pubblicato sul numero 143 della rivista Airpress)


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Lezioni dal caccia del futuro. La linea di Mariani per accelerare sulla Difesa


La sovranità non sia un ostacolo allo sviluppo dei programmi congiunti, che possono basarsi anche sulla leadership di due o tre Paesi. A dirlo è Lorenzo Mariani, amministratore delegato di Mbda Italia e direttore esecutivo Sales and business development d

La sovranità non sia un ostacolo allo sviluppo dei programmi congiunti, che possono basarsi anche sulla leadership di due o tre Paesi. A dirlo è Lorenzo Mariani, amministratore delegato di Mbda Italia e direttore esecutivo Sales and business development del consorzio internazionale, da poco confermato al ruolo di condirettore generale di Leonardo (a partire dal 1° giugno) dove assumerà la guida della nuova direzione generale Business and operations. “Una sola nazione non può riuscire a sviluppare nei tempi necessari” i sistemi complessi richiesti dalla realtà geopolitica, ha osservato Mariani, che ha aggiunto come “a livello europeo è difficile pensare che programmi-chiave, come quelli della Difesa, possano essere condotti senza una leadership forte di due-tre nazioni”.

Il caso Gcap

Le affermazioni del nuovo condirettore generale del gruppo di piazza Monte Grappa assumono un’importanza particolare se lette alla luce del programma del caccia di sesta generazione che l’Italia sta portando avanti insieme a Giappone e Regno Unito. Il Global combat air programme, infatti, si configura esattamente come un programma all’avanguardia in cui tre nazioni si assumono la leadership e la responsabilità di realizzare una piattaforma all’avanguardia per la loro difesa, e potenzialmente per quella dei futuri Paesi che decidessero di acquistare il sistema.

Superare i limiti europei

Per Mariani, dunque, l’approccio che sembra essere stato adottato nel campo della Difesa, soprattutto quella comune europea, può rappresentare “un limite”. Anche dal momento in cui i Paesi del Vecchio continente si trovano nella necessità di “lavorare con urgenza per superare i limiti” propri nello sviluppo tecnologico, dal momento che la severità della minaccia globale non permette ritardi. Il rischio, sottolinea ancora il managing director di Mbda Italia, è che l’urgenza di tutelare la propria sovranità rischi di essere la ragione per cui non vengono istituiti programmi di collaborazione. E in questo quadro “l’industria, soprattutto le grandi aziende, possono dare soluzioni compatibili con la politica, oppure possono creare ostacoli – ha detto Mariani – e io ovviamente sono a favore della prima opzione”. Chiusure e gelosie che non devono caratterizzare nemmeno il rapporto con gli Stati Uniti. “Penso sia possibile fare di più anche a livello di cooperazione transatlantica, purché adottiamo l’approccio giusto, prendendo in considerazione lo sviluppo di partenariati”, ha concluso Mariani.


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Renewable energy communities workshop


One of the key pillars of the energy policy of the European Commission is to put citizens at the centre of energy transition. Citizens should become an active part of the decarbonisation process by adopting, e.g., self-consumption or selling renewable ele

One of the key pillars of the energy policy of the European Commission is to put citizens at the centre of energy transition. Citizens should become an active part of the decarbonisation process by adopting, e.g., self-consumption or selling renewable electricity and flexibility services to the market.

Renewable Energy Communities (RECs) are one of the models envisaged by the EU legislation to promote such active role of citizens and achieve ambitious decarbonisation targets. The project aims at investigating the legislative framework of different EU Member States ( Portugal, Germany, Italy, Bulgaria and Denmark) to achieve an understanding of the state of the art of national legislation in promoting RECs.

The event consists in a workshop aimed at presenting to participants the goals and the methodological approach of the research and the structure of the final publication presenting the results of the study. To this aim, following the introduction of Francesco Cappelletti (European Liberal ForumProject Officer) and Renata Gravina (Luigi Einaudi Foundation European projects coordinator) Simona Benedettini (Luigi Einaudi Foundation RECs project leader) will provide

  • aims of the research
  • relevance of the research for Europe and the EU debate on climate and energy policies;
  • methodological framework of the research (areas of investigation, specific issues to be addressed for each area);
  • contents and structure of the final publication
  • next steps of the project;


Programme

Wednesday 15 May 2023


10:00 – 19:00 Participants arrival to the HF Fénix Lisboa Praça Marquês de Pombal, 8 1269-133 Lisboa

19:15 Meeting at the lobby for welcome and introduction

  • Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

19:30 Dinner Restaurante Laurentina Avenida Conde Valbom, 71A 1050-067 Lisboa

Thursday 16 May


Venue HF Fénix Lisboa Praça Marquês de Pombal, 8 1269-133 Lisboa

09:30 Introductory Remarks

  • Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi
  • Speaker: Francesco Cappelletti, European Liberal Forum Project Officer

09:45 CITIZENS AND ENERGY TRANSITION: THE ROLE OF RENEWABLE ENERGY COMMUNITIES purpose, objective, and scope

  • Speaker: Simona Benedettini, Luigi Einaudi Foundation RECs project leader

11:00 Coffee Break

11:15 Dialogue with the participants of the workshop and follow-up in view of the publication of the volume on Renewable Energy Communities

  • Speaker: Simona Benedettini, Luigi Einaudi Foundation, Italy
  • Speaker: Ricardo Silvestre, Social Liberal Movement, Portugal
  • Speaker: Someone from Green Power Denmark TBC (ONLINE)
  • Speaker: Gero Scheck, Friedrich Naumann Foundation, Germany
  • Speaker: Slavtcho Ivanov, Liberal International, Bulgaria

12:30 Highlights of the event goals and conclusive remarks

  • Speaker: Renata Gravina, Fondazione Luigi Einaudi

12:40 End of event & lunch with participants TBC

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Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi: L’economia


15 maggio 2023 Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte. Relatori Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede

15 maggio 2023

Il seminario affronterà il pensiero economico di Luigi Einaudi, anche nella sua esperienza di Governatore della Banca di Italia, e verificherà l’eventuale attualità delle sue proposte.

Relatori
Emanuele Alagna, Direttore Banca D’Italia sede di Palermo
Pietro Busetta, Ordinario di statistica economica
Andrea Mario Lavezzi, Ordinario di Economia Politica

Progetto Università, Economia, Politica, Istituzioni e Giornalismo nell’opera di Luigi Einaudi

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Una delegazione del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, di cui fanno parte il segretario nazionale Maurizio Acerbo e Anna Camposampiero del


Ustica, l’indagine segua la verità processuale. L’opinione di Tricarico


Di recente, l’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica (Avdau), di cui mi onoro di far parte, è stata ammessa a integrare lo specifico comitato avente lo scopo di reperire e rendere pubblica ogni utile documentazione attinente alle stragi d

Di recente, l’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica (Avdau), di cui mi onoro di far parte, è stata ammessa a integrare lo specifico comitato avente lo scopo di reperire e rendere pubblica ogni utile documentazione attinente alle stragi del secondo dopoguerra italiano costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il fatto ha provocato la reazione scomposta soprattutto di Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime di Ustica, la quale, sul Manifesto e attraverso altri media ha divulgato una serie di elementi che non corrispondono a mio parere alla realtà.

Controbattere a questi, pur essendo cosa agevole sotto il profilo della verità dei fatti, risulta piuttosto oneroso e fa correre il concreto rischio di prendere il lettore per stanchezza.
Pertanto, converrà mirare al bersaglio più grosso, quello con cui si afferma di noi che siamo una “associazione che vive soltanto per sostenere la tesi depistante della bomba araba come causa della caduta del DC9 Itavia”.

Chi lo afferma non ricorda forse che non siamo noi a sostenere la tesi della bomba bensì che questa è la verità emersa nel processo penale che, bollando come fantascientifica la battaglia aerea e il missile, assevera in maniera incontrovertibile le numerose evidenze e prove di una bomba esplosa nella toilette posteriore del velivolo quale causa della tragedia. Una verità sbocciata limpida e inattaccabile in tre i gradi di giudizio, dopo 272 udienze, l’escussione di circa quattromila testi, il parere concorde dei massimi esperti al mondo componenti il collegio peritale Misiti.

Inoltre viene sbandierata come sentenza del giudice istruttore Priore quella che altro non è che (secondo la terminologia del vecchio rito) un mero rinvio a giudizio con il quale le tesi di Priore sono state impietosamente smontate, una ad una, nel successivo dibattito in aula.

La presidente Bonfietti sa anche che nel processo civile, quello cui lei fa sempre riferimento, quello che ha condannato il cittadino italiano a rifondere gli aventi titolo con centinaia di milioni di euro per un fatto mai avvenuto, le sentenze pronunciate trovano fondamento nel fasullo impianto accusatorio di Priore bollato dai giudici penali come “fantasioso”, “la trama di un libro di spionaggio ma non un argomento degno di una pronuncia giudiziale” “ fantapolitica o romanzo che potrebbero anche risultare interessanti se non vi fossero coinvolte ottantuno vittime innocenti”.

Possono essere questi “apprezzamenti” per le tesi di Priore, quantomeno umilianti per un magistrato che ha condotto le indagini, le giuste fondamenta per le sentenze civili, anche avuto riguardo ai diversi criteri di valutazione che sovraintendono al rito civile?

Evidentemente è stato malinteso il nostro impegno che, fondato sulla certezza ormai inoppugnabile della bomba come causa della tragedia, ne vuole cogliere le prospettive per fini di giustizia. Siamo determinati in altre parole a stimolare con ogni possibile mezzo la magistratura a indagare su chi possa aver messo quella bomba a bordo del DC9, a indagare in direzioni mai esplorate in virtù della tesi falsa del missile assassino con cui è stato operato un colossale imbroglio ai danni del cittadino e delle istituzioni. E dell’erario pubblico.

Da ultimo, sperando che sia colta la genuinità dell’auspicio più che la durezza per qualcuno dei contenuti, tutti noi siamo fermamente convinti che liberare l’orizzonte dalla nebbia delle mistificazioni, puntellare in partenza lo scenario della dinamica della tragedia e cogliere le residue ipotizzabili opportunità di consegnare alla giustizia gli autori dell’attentato sia l’unica maniera per onorare e rendere giustizia alla memoria delle 81 vittime.

Non esistono alternative, soprattutto quelle fondate su ipotesi “fantasiose” – per dirla con l’unica sentenza penale pronunciata – e che negli anni hanno impedito alla giustizia di compiere il suo corso.


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Mentre Lollobrigida reitera esternazioni deliranti di matrice nazifascista - sostituzione etnica, etnia italiana - il ministro della sovranità alimentare della