In Cina e Asia – La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto
La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto
Cina, chiude un’altra organizzazione per i diritti Lgbq+
Biden riduce la visita in Asia, e salta il Quad
Arrestato a Shanghai il centrocampista sudcoreano Son Jun-Ho
Sentenza fino a 4 anni di carcere per gli attivisti pro-democrazia di Hong Kong
Hong Kong, le biblioteche pubbliche cancellano il massacro di Tiananmen
Gli Usa avviano procedimenti penali contro il furto di tecnologia
La ripresa economica cinese potrebbe richiedere più del previsto
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A Shanwei un esercito arrabbiato di rider contro Meituan
Dopo lo sciopero dei rider a Shanwei aumenta la paga per le consegne, ma la compagnia porta in città un camion di crumiri, e lega il compenso alla valutazione dei lavoratori da parte degli utenti sull’app
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AMBIENTE. Isabella Pratesi (Wwf): il 68% degli ecosistemi italiani è in pericolo
di Daniela Volpecina
Pagine Esteri, 16 maggio 2023. Migliaia di attivisti del Wwf, provenienti da tutta Italia, si sono incontrati a Caserta per il Forum nazionale dei volontari. Nel corso di questa due giorni è stato presentato il report ‘Biodiversità fragile, maneggiare con cura’. Ne è emerso un quadro preoccupante: il 68% degli ecosistemi italiani è in pericolo. Il 57% dei fiumi e l’80% dei laghi si trovano in uno stato ecologico non buono. Il 25% delle specie animali marine del Mediterraneo è a rischio estinzione. Chi è responsabile di tutto ciò? Quali sono le best practices da mettere in campo per ridurre gli effetti di questo disastro? Cosa sta facendo il governo italiano per invertire la rotta? A queste e a tante altre domande ha risposto Isabella Pratesi, direttrice del programma conservazione del Wwf, con la quale abbiamo affrontato anche la vicenda degli orsi in Trentino, la privatizzazione delle risorse idriche, l’emergenza climatica, la crescente desertificazione dei suoli e i numerosi dossier aperti sul tavolo del Ministero dell’Ambiente ancora in attesa di una risposta. ‘In Italia – denuncia Pratesi – c’è un problema di governance ambientale’. Tutti i dettagli in questa intervista.
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Nella Turchia di Erdogan con una poesia si rischia l’ergastolo
di Eliana Riva
[Questo articolo è stato pubblicato la prima volta su Pagine Esteri il giorno 12 maggio 2023. A causa di un attacco hacker avvenuto il giorno successivo, il pezzo è andato perduto. Lo ripubblichiamo oggi]
Il sogno dell’isolano in cella
[…]
La mia isola è boscosa.
Una foresta di amicizia, cameratismo, cavalleria,
copre tutta la mia isola.
Il sole della grazia illumina l’uomo ventiquattro ore al giorno.
Noi isolani non conosciamo il buio.
Sono un isolano, maledetta cella, isolano.
Giusto. Come potresti conoscere la mia isola, cella millenaria, feudale, militarista.
E tu, che ti muovi e ti gonfi fino a sembrare un bue.
Invidioso mostro rana, conosci la mia isola?
Il mondo è oscuro, un’isola così dove il sole non tramonta mai
non esiste sulla terra.
Giusto, nano delle tenebre, povero disgraziato?
E tu, poeta dei pipistrelli, pietoso Cacomcho?
Non esiste un’isola del genere, né nelle poesie, né nelle fiabe.
Un’isola del genere è contro la natura delle cose.
Non è così per te, poeta delle tenebre?
Quello che dici non è contro la natura delle cose, ma contro la natura delle tenebre.
I nani delle tenebre, i vecchi bisbetici, i farabutti…
Saranno esposti nello zoo della Turchia di domani.
[…]
di Mahir Çayan
Pagine Esteri, 12 maggio 2023. Per queste parole pubblicate nel suo libro, per questa poesia di Mahir Çayan, rivoluzionario marxista morto nel 1972, una giovane donna turca è stata accusata di finanziare il terrorismo.
Rischia già 2 ergastoli Ayten Öztürk, confermati in due gradi di giudizio, è ai domiciliari in attesa della sentenza definitiva. È da qui, dalla sua casa di Istanbul, che ha scritto il suo libro “Resistenza e vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, in cui racconta del rapimento, dei 6 mesi di tortura, della prigionia, dei processi farsa.
Abbiamo già parlato di lei su Pagine Esteri, siamo andati a trovarla solo 3 mesi fa, abbiamo raccolto la sua testimonianza, ci ha raccontato tutto quello che ha subito e spiegato perché non intende arretrare. Costi quel che costi.
In Turchia si terranno, tra pochissimi giorni, il 14 maggio, le elezioni. Il partito del presidente Erdoğan, l’Akp, per i sondaggi è al momento secondo, a qualche punto in percentuale di distanza dal Partito Popolare della Repubblica di Kılıçdaroğlu.
Tutto potrebbe accadere. Ma la strada che la Turchia ha da percorrere per raggiungere la democrazia resta un cammino lungo che necessita di un cambiamento di direzione netto. Oggi la Turchia di Erdoğan è quella che in una retata a pochi giorni dal voto arresta 126 persone tra giornalisti, avvocati, artisti, politici, membri della sinistra. L’accusa è sempre la stessa per gli oppositori: terrorismo.
Anche Ayten Öztürk è un’oppositrice politica e fa parte di una minoranza, quella degli aleviti, discriminata e perseguitata dal governo del presidente conservatore.
Nel suo libro “Resistenza e Vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, Ayten ha raccontato la sua storia e ha raccolto pensieri e riflessioni sul suo Paese, la Turchia, sulla sua politica interna e su quella estera. È un libro auto-pubblicato di 313 pagine che comincia così:
“Come le favole, inizio con «C’era una volta»… Ma quello che racconto in questo libro non è una favola. È la verità! Sono esistita e scomparsa in un istante. Questa è la storia di una sparizione durata 6 mesi! L’unica cosa che rimane di me è il filmato della telecamera che mi ha ripreso all’aeroporto libanese, ma il governo del Libano, che ha collaborato con quello turco, ha negato tutto. E così hanno permesso mesi di tortura. Chissà con quali accordi mi hanno consegnata alle autorità turche. Tanto da provare poi a cancellare la mia voce, il mio viso, la mia immagine.
Sei mesi di resistenza dopo il rapimento dal Libano, in una prigione segreta di Ankara, al buio, alla sete, al dolore e alla tortura! Sei mesi di vita che ho perso! A sei mesi il bambino inizia a gattonare. Emette i primi suoni. Le sue mani afferrano gli oggetti. In sei mesi volevano rubarmi la vita, la salute, le aspirazioni.
In sei mesi, hanno cercato di strapparmi a me stessa, ai miei valori e alle mie convinzioni con ogni tipo di tortura: l’elettricità, l’elettroshock, le molestie, il tentativo di stupro, l’abbandono in una bara, l’annegamento, le impiccagioni e le percosse. Ogni parte del mio corpo era livida, gonfia e segnata. Ho perso 25 chili. 898 cicatrici si sono aperte sul mio corpo. Sono stata abbandonata in un campo, in uno stato irriconoscibile.
Perché? Perché sono una rivoluzionaria… Perché lotto per un paese libero, indipendente, uguale e giusto… Perché amo la mia patria, il mio popolo, i miei compagni…”
Ayten si trovava in Siria quando è scoppiata la guerra. Tentava di raggiungere la Grecia facendo scalo a Beirut. All’aeroporto è stata trattenuta e poi consegnata ai servizi segreti turchi cha l’hanno portata,occhi e bocca bendati, ad Ankara. Ci ha raccontato le torture subite, lo sciopero della fame, l’alimentazione forzata e poi l’abbandono in un terreno sul quale la polizia ha finto un casuale ritrovamento. Il direttore del carcere in cui è stata portata si è rifiutato di ammetterla: nonostante nelle ultime settimane fosse stata curata e alimentata forzatamente dai suoi aguzzini, le sue condizioni rimanevano gravi. Così è andata in ospedale, poi in prigione e in fine agli arresti domiciliari.
Rischia due ergastoli con accuse insensate ed è solo in attesa del giudizio definitivo, quello della Corte Suprema. In tribunale è comparso un testimone che l’ha accusata di aver assistito al linciaggio di un uomo, un pedofilo con precedenti penali che è stato aggredito dalla folla. Non è morto. Ayten, dice il testimone, sarebbe stata lì, sul marciapiede opposto a quello dove si stavano svolgendo i fatti e non avrebbe fatto nulla per evitare il pestaggio. Forse anzi, ha dichiarato e poi ritirato il testimone, incitava la folla. Lei nega tutto. Il tribunale l’ha così giudicata: colpevole. E poi ha deciso la condanna: ergastolo.
Il testimone, invece, identificato come uno degli artefici del pestaggio, ha goduto, per la sua dichiarazione, di un importante sconto di pena.
Un altro testimone dice di averla vista nella sede di un’associazione per i diritti umani: l’Associazione per i diritti e le libertà è legale in Turchia e la sede è aperta e accessibile a tutti. Il tribunale l’ha giudicata colpevole di tentare di rovesciare il governo e l’ha condannata all’ergastolo.
Due ergastoli, quindi, confermati in due gradi di giudizio. Tutto dopo aver denunciato le torture. Nonostante ciò, ha continuato a parlare e a denunciare l’accanimento giudiziario, le ingiustizie che sta subendo, così come fanno i suoi avvocati.
Nei primi giorni di Maggio la polizia, che irrompe spesso a casa di Ayten, soprattutto all’alba, ufficialmente per perquisizioni e controlli vari, l’ha interrogata. Sul suo libro, sulla poesia di Mahir Çayan, su ciò che ha scritto sulla Palestina. Una fotografia che Ayten ha pubblicato sui social è stata inclusa come prova nel fascicolo di indagine. Tutte le copie del libro sono state confiscate e la vendita è stata vietata.
È stata avviata un’indagine contro Öztürk per “propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”. Il poema di Çayan è stato considerato propaganda per il Partito popolare di Liberazione-Fronte della Turchia, l’organizzazione che lo stesso Çayan fondò insieme ad altre persone nel 1970. L’organizzazione è stata messa al bando. Come prova a sostegno dell’accusa è stata usata la fotografia a cui prima accennavamo: Ayten è nella sua casa e sul muro alle sue spalle pendono delle immagini. Tra le altre ci sono le foto di Helin Bölek e Ibrahim Gökçek. Erano due musicisti, membri della band Grup Yorum, il famoso gruppo folk fu accusato di sostenere il terrorismo. Una delle loro canzoni parla di Çayan. Pochi giorni prima di morire Gökçek scriveva:
“Sono sempre stato un musicista, e ora mi ritrovo a essere un terrorista. Mi hanno preso che ero un chitarrista, e hanno usato le mie dichiarazioni facendo di me uno strumento. Eravamo un gruppo che si esibiva davanti a un milione di persone, siamo diventati dei terroristi ricercati”.
Helin Bölek e İbrahim Gökçek sono entrambi morti di sciopero della fame dopo essere stati arrestati, sempre con l’accusa di sostenere il terrorismo.
In 4 anni, dal 2016 al 2020 1,6 milioni di persone sono state accusate di terrorismo in Turchia[1].
Secondo la polizia turca, però, non solo Ayten sosterrebbe il Partito popolare di Liberazione ma lo finanzierebbe pure, attraverso i proventi della vendita del volume.
Un’altra accusa formulata a partire dal suo libro è quella di “insincerità”. O meglio, è accusata di aver incolpato il suo Paese (il suo governo, in realtà) di non essere stato sincero.
Nella sua deposizione nell’ambito dell’indagine condotta dall’Ufficio investigativo sul terrorismo e sulla criminalità organizzata dell’ufficio del procuratore generale di Istanbul, Öztürk è stata interrogata anche in merito alle valutazioni fatte sulla Palestina.
Il rapporto stilato dalla polizia fa riferimento a uno specifico passaggio all’interno del libro, nel quale Ayten esprime un proprio giudizio sui rapporti intercorsi tra la Turchia e il popolo palestinese. Il rapporto dice “[nel libro viene riportato] che il nostro Paese non era sincero quando affermava di difendere il popolo palestinese e che ciò che è avvenuto a Davos è stato un inganno”.
Nella città svizzera di Davos si è tenuto, nel 2009, il World Economic Forum. Erdoğan era presente e il 29 gennaiopartecipò a un confronto con l’allora presidente israeliano Shimon Peres. Fu molto contrariato dalla gestione dell’evento da parte del moderatore che concesse a Peres di parlare per 25 minuti. 12 furono riservati ad Erdoğan. Quando l’incontro doveva essere già terminato, il presidente turco continuò a chiedere al moderatore di dargli “un minuto” (per questo l’evento è ricordato anche come “un minuto”), prese la parola e accusò senza mezzi termini il presidente israeliano di essere un assassino:
“…lei presidente Peres, ha un tono di voce molto forte e io credo sia perché si sente colpevole. Tu uccidi persone, ricordo i bambini che hai ucciso sulla spiaggia, ricordo due ex premier del tuo paese che dissero che si sentivano molto felici quando entravano in Palestina sui carrarmati […]. Lo trovo molto triste perché ci sono molte persone lì che vengono uccise”.
Terminata la dichiarazione andò via, dicendo che non sarebbe più tornato a Davos. Nel suo Paese fu accolto come un eroe, con bandiere turche e palestinesi che sventolavano insieme. Come si può immaginare, anche nei Territori Palestinesi Occupati lo scontro retorico tra i due ebbe una grande eco. Nei palestinesi sparsi per il Medio Oriente albeggiò la speranza che potesse essere, Erdoğan, la figura forte che li avrebbe difesi da Israele e dall’occidente. Anche nei campi profughi, dove a centinaia di migliaia vivono i palestinesi dalla Nakba, dal 1948, germogliò timida questa fiducia. Ayten era in Siria quando avvenne il confronto di Davos e viveva la vita del campo profughi di Yarmouk, uno dei campi più grandi e popolosi del Medio Oriente, che avrebbe avuto un triste destino, occupato dall’ISIS negli anni della guerra siriana. Nel suo libro ricorda così il campo:
“Questo quartiere, abitato da giovani che se ne stanno senza far niente negli internet café e agli angoli delle strade, da uomini adulti disoccupati seduti davanti ai portoni a fumare e bere tè e caffè tutto il giorno e da donne con il velo che passano con le borse della spesa in mano, puzza di povertà dall’inizio alla fine. Tanto che lo paragonavo ai quartieri poveri di Istanbul. Purtroppo, quando questa povera gente dal cuore grande ci ha accolto, era inebriata dagli inganni turchi di «one minute» e «Davos». Pochi sapevano che quelle cose avevano lo scopo di ottenere un effetto positivo sui popoli del Medio Oriente per poter realizzare lì i propri progetti. Essere dalla parte del popolo palestinese significa essere contro Israele sionista e l’arcinemica America. Ma i legami militari, politici e commerciali che la Turchia ha sia con Israele che con gli Stati Uniti sono bastati a svelare questo inganno”.
Queste parole, pensieri e testimonianze, scritte in un libro autoprodotto e stampato nell’agosto del 2022, potrebbero rappresentare l’ultimo tassello di un quadro di sopraffazione e violenza che toglie la voce alla vittima e magnifica il carnefice, ragno dalle mille zampe che si trascina con comodità sulle mura vischiose e flaccide di una giustizia che in Turchia semplicemente non esiste.
“Il vero crimine non è raccontare ma torturare” ci ha detto Ayten. “Non c’è nulla nel libro che possa essere considerato un reato. Ma aspetto ancora che si apra un’indagine sui torturatori”.
[1] swp-berlin.org/en/publication/…
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#31 / L'UE insegna al mondo come si fa
L’Unione Europea insegna al mondo come si fa
Con due comunicati ieri il Consiglio dell’Unione Europea ha dichiarato di aver definito la sua posizione in merito a due pacchetti normativi già in discussione da tempo in materia di antiriciclaggio e condivisione di informazioni ai fini tributari tra paesi membri.
Il primo è il pacchetto AML/CFT, cioè antiriciclaggio e contro il finanziamento al terrorismo, di cui avevo scritto anche lo scorso anno.
Chi non si iscrive è uno spione
L'aggiornamento normativo, tra le altre cose, estenderà la "Travel Rule" al mondo crypto e obbligherà gli exchange a identificare ogni utente e tracciare ogni transazione, anche di pochi centesimi.
Lo scopo è ovviamente avere dati a disposizione per analizzare le transazioni ed eventualmente bloccarle. Migliaia di algoritmi e qualche burocrate saranno incaricati di decidere se quella transazione di 2 dogecoin sia sospetta o meno.
Il problema come al solito non risiede nel mero abuso della privacy, ma nel potenziale abuso di potere e quasi certo elevato tasso di errore di questi sistemi di monitoraggio. Già nel sistema bancario tradizionale fanno acqua da tutte le parti e spesso finiscono per mettere nei guai gente perbene, figuriamoci in un settore estremamente complesso e tecnologico come quello delle crypto. I falsi positivi saranno all’ordine del giorno.
Il secondo punto riguarda invece la Direttiva "DAC", che è una roba di cui sicuramente non avrete mai sentito parlare ma che dal 2011 prevede la comunicazione e condivisione dei nostri dati tra tutti gli stati membri: conti correnti, rapporti commerciali, depositi, e tanto altro. A breve comprenderà anche tutto ciò che riguarda l’uso di cryptovalute.
Lo scopo in questo caso è fare comunella per rubare il più possibile. Finora gli stati membri hanno avuto qualche difficoltà a mettere le mani sul cripto-gruzzoletto degli europei. Nel frattempo, il processo di criminalizzazione di chi vorrebbe solo essere lasciato in pace è quasi completo.
La Ministra delle finanze svedese, Elisabeth Svantesson, commenta così la buona novella: “The agreement is yet another example of the EU as a leader in the implementation of global standards”.
Grazie Elisabetta, siamo tutti molto felici di essere all’avanguardia della sorveglianza di massa.
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Dopo Venezia, a Firenze una “Smart City Control Room”
Mega-schermi, comode poltrone, qualche dipendente pubblico annoiato con gli occhi rossi. Anche a Firenze arriverà a novembre una stanza dei bottoni da cui poter controllare in tempo reale tutta la città, grazie alle più di 1.600 telecamere diffuse sul territorio.
A questo si aggiungono le 81 nuove telecamere che saranno posizionate in più di 55 varchi che costituiranno lo “scudo verde” (cioè una ZTL) per monitorare gli ingressi e le uscite dalla città. Il progetto ricorda molto quello dell’Area B di Milano: sorveglianza di massa dei cittadini e di tutti coloro che per qualche motivo saranno costretti a varcare la soglia di Firenze.
Il Sindaco dice che la Control Room “migliorerà anche la gestione di eventi legati al maltempo o alle manifestazioni". Chi l’avrebbe mai detto che per mitigare gli effetti del maltempo sarebbero bastati qualche migliaio di telecamere e una decina di pannelli LCD. Forse in Emilia Romagna dovrebbero installare più telecamere.
Quando leggo queste cose mi chiedo sempre cosa ne pensa chi vive in queste città.
Se fossimo in condizioni di democrazia diretta, come si faceva una volta nelle antiche città greche, siamo sicuri che la maggioranza avrebbe votato per auto-sorvegliarsi in questo modo e per assegnare a qualche burocrate il potere assoluto di decidere chi può circolare e chi invece no?
La Skynet cinese vuole anche neonati e bambini
Il governo cinese ha iniziato a schedare anche neonati e bambini attraverso identificazione biometrica e genetica: impronte digitali, retina, voce e perfino DNA con prelievi del sangue.
Finora gli stati-nazione si erano degnati di risparmiare neonati e bambini dal processo di schedatura legato alla produzione di documenti d’identità, ma è evidente che adesso non basta più. Tutti devono essere nel sistema, il prima possibile.
Avrà a che fare con l’inizio della fase pilota dello yuan digitale? È possibile, considerando che questa nuova forma di moneta potrà essere usata solo coloro che possiedono un’identità di stato. I bambini iniziano presto a usare i soldi, ancor prima di ricevere il primo documento d’identità. È quindi naturale che debbano essere schedati fin da piccoli.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Someone must have slandered Josef K., for one morning, without having done anything truly wrong, he was arrested.”
Kafka, Der Process
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Hamas batte Fatah e vince le elezioni studentesche a Nablus
della redazione
Pagine Esteri, 16 maggio 2023 – Il Blocco Islamico, gli studenti che fanno capo al movimento islamista Hamas, ha vinto le elezioni dei membri del consiglio studentesco dell’Università Al-Najah di Nablus. E’ la prima vittoria di Hamas in 10 anni nell’università con il più alto numero di iscritti della Cisgiordania, ed è avvenuta a spese della lista presentata dal partito Fatah guidato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen.
Hamas ha ottenuto 40 seggi, Fatah 38 e 3 il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, sinistra).
La conquista dell’università di Nablus si aggiunge alla vittoria conseguita un anno fa dal Blocco Islamico all’università di Bir Zeit, considerata il più prestigioso degli atenei palestinesi e un tempo baluardo di Fatah e delle organizzazioni laiche palestinesi.
Le elezioni per il rinnovo dei consigli studenteschi sono ritenute un indicatore delle pulsioni politiche tra i giovani palestinesi. Quelle appena svolte a Nablus confermano peraltro la popolarità crescente di Hamas nelle città autonome in Cisgiordania, amministrate dall’Anp.
La città vecchia di Nablus e il vicino campo profughi di Balata sono due roccaforti della militanza armata contro l’occupazione militare israeliana. Non è raro vedere in città proteste della popolazione contro le operazioni di polizia dell’Anp nei confronti di membri della Fossa dei Leoni, il più popolare tra i gruppi armati palestinesi. Pagine Esteri
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Dal Mediterraneo al Pacifico. Come sarà il summit Nato secondo Peronaci e Smith
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Quello di Vilnius sarà un vertice in cui la Nato si concentrerà non solo sulla sfida più immediata, il contrasto all’invasione russa dell’Ucraina, ma anche sulle minacce del prossimo futuro a livello internazionale, dalla deterrenza alla sicurezza informatica, ai grandi cambiamenti globali. È questa la visione condivisa restituita dai rappresentanti permanenti presso Consiglio Atlantico d’Italia, ambasciatore Marco Peronaci, e degli Stati Uniti d’America, ambasciatrice Julianne Smith, intervistati dal direttore delle riviste Formiche e Airpress Flavia Giacobbe nel corso dell’evento “La Nato verso Vilnius” promosso dalla Nato Public Diplomacy Division e Formiche.
Sfide a 360°
A Vilnius gli alleati riaffermeranno “l’unità e la determinazione nel contrastare la guerra in Ucraina, e verranno prese decisioni strategiche per rafforzare gli assetti organizzativi di medio-lungo periodo”, ha spiegato l’ambasciatore Peronaci, ricordando l’importanza che ha rappresentato la recente visita a Roma del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. “A Vilnius vogliamo lanciare il messaggio che la Nato è più forte oggi rispetto a quando la guerra è iniziata”. Importanti, per Peronaci, saranno anche i partenariati internazionali, sui quali è intervenuta anche l’ambasciatrice Smith: “Non ci concentreremo solo sull’Ucraina, ma avremo uno sguardo a 360°. Vogliamo guardare anche al futuro”. Per la diplomatica Usa, infatti, la Nato può vantare “l’incredibile capacità di creare ed evolvere nuove partnership e rafforzare quelle esistenti” mettendola in condizioni sia di garantire il sostegno di cui l’Ucraina ha bisogno, sia di affrontare le nuove sfide emergenti.
Spese per la Difesa
Per far fronte a queste evoluzioni, sarà ovviamente necessario investire le risorse adeguate, in primis raggiungendo la soglia del 2% del Pil da dedicare alle spese per la Difesa, traguardo che in Lituania potrebbe essere anche elevato verso il 3%. “L’Italia sostiene con forza l’incremento delle spese per la Difesa, e riconfermerà l’impegno verso il 2%” ha assicurato Peronaci, sottolineando come l’Italia abbia un percorso di avvicinamento consolidato anche “dal dato economico secondo cui il nostro Paese crescerà più degli altri” e pertanto siamo fiduciosi di riuscire a raggiungere l’obiettivo. “Ma oltre a vedere quanto si spende, dobbiamo anche vedere come” ha precisato il diplomatico italiano, sottolineando l’importanza dei contributi effettivi italiani alla Nato, dai battlegroup schierati dalla Lettonia alla Bulgaria, fino agli assetti aerei pregiati messi a disposizione dell’Air policing.
Sguardo Indo-Pacifico
Lo sguardo della Nato si allunga anche verso l’Indo-Pacifico, con la previsione fatta a Madrid di inserire per la prima volta la Cina come competitor strategico. “Per la prima volta gli alleati si sono detti d’accordo nel ritenere la Cina una sfida sistemica” ha spiegato Smith, aggiungendo come Pechino stia “cercando di erodere il sistema attuale creato oltre settant’anni fa”. Per questo, la Nato dovrà rafforzare i propri rapporti con i Paesi dell’Indo-Pacifico, in particolare quattro, Australia, Nuova Zelanda, Corea del sud e Giappone, i cui leader saranno presenti al summit. Insieme “cercheremo dei modi per creare una serie di strumenti per far sì che l’Alleanza possa proteggersi dalle sfide che la Cina potrebbe portare nell’aerea Euro-Atlantica”. Non si tratta di una espansione verso l’Asia, ha specificato Smith, quanto piuttosto parlare con i partner della regione delle sfide comuni.
Le minacce da sud
Lo sguardo a 360° della Nato dovrà naturalmente posarsi anche sulle minacce che arrivano da sud, in primis dal Mediterraneo, l’Africa e il Medio oriente. “La Nato già si occupa di sud – ha detto Peronaci – e ha rapporti di partenariato con molti Paesi come con l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul o i Dialoghi mediterranei”. Per l’ambasciatore italiano, ci troviamo nella condizione di dover rispondere a una guerra, ma la Nato dovrà essere capace anche di agire “prima e dopo le guerre, con la prevenzione e la stabilizzazione”. Del resto, “in assenza di una presenza forte di Paesi democratici, altri attori occupano gli spazi che sarà poi difficile recuperare”. L’Alleanza, ha ricordato l’ambasciatrice americana, “ha già quaranta partner nel mondo, molti dei quali nel sud dello spazio alleato, nel Mediterraneo, in Africa e in Medio oriente, e molti di questi Paesi hanno espresso l’interesse a rafforzare i propri legami con la Nato”. Cosa che può avvenire in diverse forme, “dall’assistenza per riformare la sicurezza a un contributo Nato per garantire la sicurezza informatica o per contrastare le campagne di disinformazione russe e cinesi”.
Il legame Italia-Usa
Fondamentali saranno i rapporti tra Washington e Roma. “Gli Stati Uniti e l’Italia hanno rapporti bilaterali molto forti, e una lunga storia di collaborazione per affrontare le sfide nello spazio euro-atlantico e in altre zone del mondo” ha raccontato Smith, aggiungendo come per il futuro sarà necessaria una maggiore collaborazione “anche ad alto livello, sulle sfide globali come i cambiamenti climatici, le migrazioni, la sanità mondiale e i problemi economici”. Per Peronaci “Gli Stati Uniti sanno che l’Italia è un loro amico tradizionale, un legame che oltre i governi lega due comunità”. Per l’ambasciatore italiano, il nostro Paese può garantire agli Usa “una presenza negli organismi internazionali, come l’Unione europea, aperta alla cooperazione transatlantica”. Una collaborazione essenziale anche per la Difesa comune: “in Europa spendiamo molto ma, se divisi, spendiamo male. Dobbiamo farlo meglio aiutati dagli amici Usa”.
Presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” di Luca Tedesco
Il giorno 17 maggio 2023 alle ore 17:30 si terrà la presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” del Prof. Luca Tedesco.
Interverranno
Luca Tedesco
Giancristiano Desiderio
Alberto Giordano
Modera
Emma Galli
L’evento si svolgerà completamente in remoto
L'articolo Presentazione del libro “LUIGI EINAUDI ANGLOFILO E LA CARTA. Dalla Consulta nazionale all’Assemblea costituente” di Luca Tedesco proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
NASCE L’OSSERVATORIO DIGITALE DELLA FONDAZIONE LUIGI EINAUDI. IL VICEMINISTRO ALLE IMPRESE VALENTINI: “DIGITALE VOLANO DI SVILUPPO”
“La società sta diventando ibrida, il digitale ha effetti dirompenti. Crea grandi aspettative e al tempo stesso grandi timori. Sono perciò necessarie linee guida condivise a livello internazionale che orientino lo sviluppo e la progressione di questa rivoluzione epocale. Gli strumenti digitali sono e ancor più saranno la leva determinante per promuovere lo sviluppo delle nostre imprese sui mercati nazionali e internazionali, e anche per tutelare il made in Italy, infatti servono per proteggere le filiere dai processi di contraffazione, per ottimizzare i processi produttivi, per rafforzare il controllo di qualità dei prodotti, così come per ottimizzare la logistica e la sostenibilità energetica”, lo ha detto il viceministro alle Imprese e al Made in Italy, Valentino Valentini, intervenendo questa mattina al convegno “Digitalizziamo l’Italia”, organizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi in collaborazione con Oliver Wyman. Il primo di una serie di incontri tra istituzioni e stakeholder che segna l’avvio del nuovo Osservatorio digitale della Fondazione Einaudi.
Il viceministro ha poi parlato dell’importanza di favorire la digitalizzazione come volano di sviluppo per le imprese rimarcando le azioni già promosse dall’attuale esecutivo. “Abbiamo creato, come ministero, una rete di centri di trasferimento tecnologico che vuole essere più capillare e alla cui estensione ha contribuito il PNRR con uno stanziamento di 350milioni di euro nell’ambito della missione 4.2 “Dalla ricerca all’impresa”, ha spiegato. “Si tratta di 8 competence centers impegnati in progetti di ricerca applicata, di trasferimento tecnologico e formazione sulle tecnologie più avanzate, ai quali affiancheremo 13 European Digital Innovation Hubs e 24 poli europei di innovazione digitale. Tutto questo consentirà alle imprese, soprattutto PMI, di accedere a tecnologie innovative e a competenze digitali avanzate. Sempre nelle misure volte a favorire la digitalizzazione rientra il piano transizione 4.0, attraverso una serie di crediti d’imposta favorisce l’acquisto i beni materiali e immateriali, oltre alle attività di ricerca e sviluppo e di innovazione. Di questi contributi hanno beneficiato finora 150 mila imprese e auspichiamo che questo numero possa crescere in futuro. Il Mimit attraverso degli accordi per l’innovazione, sempre sulla sperimentazione applicata al sistema produttivo, ha in progetto una linea di finanziamento per progetti di sperimentazione e di ricerca orientati alle tecnologie emergenti nel campo del 5G”.
Il paese ha molti talenti imprenditoriali individuali, ma non ha ancora realizzato quell’ecosistema nazionale che consenta loro di crescere e affermarsi. Le aziende devono cambiare mentalità e rivoluzionare i loro processi interni, ma lo Stato deve dare ordine e continuità nel tempo e agli investimenti, facilitandone l’accesso alle imprese, e temperare la smodata inclinazione alla regolamentazione, perché molte start up vengono oggi soffocate dalla burocrazia. Sono questi i temi emersi dal confronto tra imprenditori, manager, giovani startupper, professionisti ed esperti di settore.
“Debutta con il convegno odierno l’Osservatorio digitale della Fondazione Luigi Einaudi, coordinato dal professor Gianluca Sgueo. Nostro obiettivo è aiutare la classe dirigente a cogliere con cognizione di causa le opportunità che la rivoluzione digitale offre all’Italia. Il metodo è quello einaudiano del confronto tra esperti, mondo dell’impresa, professionisti del settore e decisore politico”, ha detto il segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi, Andrea Cangini.
Il dibattito si è sviluppato in due Panel. Il primo, dal titolo “Digitalizzazione come volano di crescita e internazionalizzazione”, è stato aperto da Marco Grieco, partner di Oliver Wyman, che ha spiegato come, dati alla mano, “le imprese in Italia crescano storicamente: aumentano proporzionalmente le medie, le grandi e le microimprese, rallentano invece le piccole imprese”, eppure nonostante gli investimenti nel nostro Paese siano in crescita anche dopo la pandemia, “per essere resilienti di fronte a nuove possibili crisi, come le recenti dovute al Covid-19 e alla guerra in Ucraina, serve una infrastruttura tecnologica all’avanguardia”.
È intervenuto poi Roberto Scaramella, Partner di Oliver Wyman, che ha detto: “esiste nella cultura dell’imprenditore italiano del piccolo bello e sano e di una certa riluttanza a credere che il finanziamento pubblico sia utile, questo atteggiamento ha poi visto comportamenti conseguenti poco virtuosi” e ha poi chiesto alla platea di manager e imprenditori presenti se “questo è un limite, anche in ottica Pnrr, e come facciamo a superarlo?”.
“Il Pnrr sarà importante, l’aspetto principale però sarà legato a una fruizione semplice di queste risorse per le imprese e che queste non abbiano effetti discorsivi”, ha risposto Fabio Tomassini, membro del Cda della Fondazione Luigi Einaudi. “Il tema fondamentale – ha osservato – è l’eliminazione della burocrazia: facilità di accesso e di rendicontazione, elementi oggi troppo onerosi e spesso rischiosi”.
Per Carmine Auletta, Chief Innovation & Strategy Officer di InfoCert, “il tema della digitalizzazione è multidimensionale. Fino a trenta anni fa internet non c’era e tutta la nostra economia era basata sul mondo fisico. C’è chi dice che nel 2024 ci saranno le ultime elezioni non decise dall’intelligenza artificiale. In Italia abbiamo delle eccellenze che spesso non riusciamo a mettere a sistema perché non c’è stabilità politica, e lo sviluppo di un Paese necessita di una strategia di medio lungo periodo. Non si possono continuamente rimettere in discussione programmazione e strategie. In tal senso il Pnrr può essere un’opportunità, ma non deve essere inteso in modo rigido, ma deve essere flessibile e va adeguato alle evoluzioni del mercato”.
Marco Massenzi, CEO Teleconsys e Membro di Unindustria, ha sottolineato invece che “la tecnologia è l’ultimo elemento della digital trasformation. Prima vengono cultura, formazione, strategia e visione. La tecnologia pertanto se non viene declinata su questi elementi, non porta valore. Gli imprenditori devono necessariamente accedere a queste competenze”.
Secondo il Founder e Investment Director Lumen Venture Capital, Valerio Durazzo, “per fare realmente innovazione, è necessario investire sì in capitale umano, perché le aziende senza le competenze non vanno da nessuna parte, ma è fondamentale lavorare sull’educazione” Da questo punto di vista, spiega, “siamo indietro anni luce rispetto ad altri Paesi”. Durazzo osserva che “il nostro sistema non prepara i ragazzi a lavorare, tanto che spesso le aziende che assumono devono formare di nuovo i ragazzi da zero. Eppure oggi si va sempre più verso le scuole di specializzazione”.
Sulla stesso lunghezza d’onda Marco Scioli, Founder e Presidente Starting Finance, che nel suo intervento ha detto “chi fa formazione oggi parte dalle esigenze del docente o della università invece di andare a parlare con le aziende, dobbiamo cambiare questo paradigma”. Riguardo all’innovazione, prosegue, “negli Usa la fanno le start up che poi vengono acquistate dalla grande aziende, da noi invece ciò non avviene perché le start up hanno ancora bisogno delle competenze delle grandi aziende. È necessario integrare i due modelli: la start up che ha bisogno dell’azienda per crescere e l’azienda che ha bisogno della freschezza delle start up per innovare”.
Il secondo panel “Quali opportunità per i distretti italiani del Big Data e dell’intelligenza artificiale” è stato aperto dal coordinatore dell’Osservatorio digitale della Fondazione Einaudi, Gianluca Sgueo. “C’è una grande attenzione in Unione europea nella regolazione dell’innovazione,” ha osservato, “il che crea più tutele per i cittadini, ma rappresenta un freno per le imprese”. Oggi, sottolinea, “bisogno creare in Europa più spazi per la sperimentazione (sandbox) come già avviene, ad esempio, negli Stati Uniti”.
È poi intervenuto Alessandro Petrillo, CEO di K-Value. “Il mondo della consulenza – ha detto – ha un’alta densità di competitor e sviluppa circa 5 miliardi all’anno di fatturato, sviluppato per il 60% dalle grandi aziende. Oggi bisogna cercare di specializzarsi e di differenziarsi, puntando sul talento. È chiaro che siamo in un contesto complicato, bisogna vedere quale sia la reale capacità del Paese di fare innovazione sostenibile”. Le microimprese, ha sottolineato, “hanno un bisogno disperato di competenza e managerialità per crescere e per far crescere i propri clienti”.
Ha concluso il dibattito Lucio Campanelli, manager che lavora nel settore della physical security, digitalizzazione dei sistemi di sicurezza, che ha affermato: “È fondamentale sviluppare una cultura nel cliente, convincere cioè i clienti a comprare un servizio da una start up giovane, cosa che oggi non avviene agevolmente perché in Italia non c’è una vera cultura della start up. A questo si aggiungono, nel nostro Paese, criticità nella struttura dei pagamenti e nei test dei prodotti”.
L'articolo NASCE L’OSSERVATORIO DIGITALE DELLA FONDAZIONE LUIGI EINAUDI. IL VICEMINISTRO ALLE IMPRESE VALENTINI: “DIGITALE VOLANO DI SVILUPPO” proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Digitalizziamo l’Italia – Primo appuntamento organizzato dal nuovo Osservatorio Digitale della Fondazione
Martedì 16 Maggio alle ore 10:30 in via della Conciliazione 10, la Fondazione Luigi Einaudi e Oliver Wyman si è svolto il primo di una serie di appuntamenti organizzati dal nuovo Osservatorio Digitale della Fondazione, con l’obiettivo di lavorare insieme e fare sistema al fine di sostenere la digitalizzazione delle medie imprese e sfruttare le potenzialità dei distretti italiani del Big Data e dell’intelligenza artificiale.
Saluti istituzionali
Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Luigi Einaudi
Interverranno
Valentino Valentini, Viceministro, Ministero delle Imprese e del Made in Italy
Andrea Cangini, Segretario Generale della Fondazione Luigi Einaudi
Fabio Tomassini, Consigliere di amministrazione, Fondazione Luigi Einaudi
Gianluca Sgueo, Coordinatore Dipartimento Digitale, Fondazione Luigi Einaudi
Marco Grieco, Partner, Oliver Wyman
Roberto Scaramella, Partner, Oliver Wyman
Rassegna stampa
Videomessaggio del Viceministro Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Valentino Valentini
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French data protection authority lays out action plan on AI, ChatGPT
The French data protection watchdog, the National Commission on Informatics and Liberty (CNIL), published an action plan on Tuesday (16 May) addressing privacy concerns related to Artificial Intelligence, particularly generative applications like ChatGPT. ChatGPT, the world’s most famous chatbot, expanded...
L'app di controllo parentale Kids Place con 5 milioni di download è vulnerabile agli attacchi
@Etica Digitale (Feddit)
L'app Kiddowares "Parental Control - Kids Place" per Android è interessata da molteplici vulnerabilità che potrebbero consentire agli aggressori di caricare file arbitrari su dispositivi protetti, rubare le credenziali degli utenti e consentire ai bambini di aggirare le restrizioni senza che i genitori se ne accorgano.
Il post completo su Bleeping Computer
Parental control app with 5 million downloads vulnerable to attacks
Kiddowares 'Parental Control - Kids Place' app for Android is impacted by multiple vulnerabilities that could enable attackers to upload arbitrary files on protected devices, steal user credentials, and allow children to bypass restrictions…Bill Toulas (BleepingComputer)
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Friendica and Bluesky's AT protocol
Friendica has always stood out for being able to manage multiple communication protocols, surpassed in this only by Hubzilla (a software that I have never been able to appreciate, however).
It would be nice if Frindica could integrate Bluesky's AT protocol as well. Do you know if there is any feasibility study on this new frontier?
@Fediverse News @Hypolite Petovan @Michael Vogel @Tobias
The AT Protocol
In the spring, we released “ADX,” the very first iteration of the protocol. Over the summer we improved ADX’s design, and today we’re sharing a preview of what’s to come.blueskyweb.xyz
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La banca centrale turca ha presentato le sue prime misure dopo le elezioni presidenziali di domenica, aggiungendosi a un groviglio di regole utilizzate per gestire il sistema finanziario.
@Politica interna, europea e internazionale
L'obiettivo delle nuove normative, entrate in vigore martedì, è quello di ridurre la domanda di oro tra le famiglie e dissuaderle dal prelevare contanti utilizzando le carte di credito, un'opzione sempre più favorita dalle persone come alternativa più economica ai prestiti.
Turkey Central Bank to Limit Gold, Cash Demand in Post-Vote Move
Turkey’s central bank unveiled its first measures after Sunday’s presidential elections, adding to a tangle of rules it’s used to manage the financial system.Beril Akman (Bloomberg)
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Riconoscimento facciale: come funziona e perché i piani del governo per introdurlo sono problematici
Ciclicamente ritorna a essere evocata come la tecnologia migliore per garantire la sicurezza nelle città. Ultimo in ordine di tempo, a seguito di alcuni episodi criminosi avvenuti nelle stazioni ferroviarie di Milano e Roma, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ventilato l’ipotesi di equipaggiare le videocamere di sorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale. Il piano sulla sicurezza del ministro ha mosso i primi passi a gennaio scorso, quando sono state eseguite operazioni interforze “ad alto impatto” nelle stazioni di Roma, Milano e Napoli ma anche in luoghi delle città interessati dal fenomeno della “malamovida” e dallo spaccio di stupefacenti.
L'articolo di Laura Carrer è su Valigia Blu
Riconoscimento facciale: come funziona e perché i piani del governo per introdurlo sono problematici
Le dichiarazioni del ministro Piantedosi sull'impiego del riconoscimento facciale e i rischi connessi con questa tecnologia.Valigia Blu
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Un canale di informazioni, aggiornamenti, notizie dal Ministero dell'Istruzione e del Merito. Ci trovate anche su Twitter, Instagram, Facebook.
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In Cina e Asia – Cina, arriva il progetto pilota per le "famiglie nella nuova Era”
Cina, arriva il progetto pilota per le "famiglie nella nuova Era"
Israele-Palestina, un sondaggio promuove la Cina tra i potenziali mediatori
Ucraina, Von der Leyen sottolinea l'importanza della Cina nel processo di pace
Scontro Cina-Usa al largo di Hong Kong prima dell'assalto al Campidoglio
Africa, Xi incontra il presidente eritreo Afwerki
Cambogia, la commissione elettorale boccia l'unico partito di opposizione
Ciclone Mocha, Myanmar e Bangladesh contano i danni
L'articolo In Cina e Asia – Cina, arriva il progetto pilota per le “famiglie nella nuova Era” proviene da China Files.
SUDAN. Centinaia di morti nel Darfur all’ombra della guerra tra Al Burhan e Dagalo
della redazione
(la foto è di Albert Gonzalez Farran/ONU)
Pagine Esteri, 16 maggio 2023 – Si aggrava la violenza nel Darfur occidentale, con centinaia di morti e un ulteriore peggioramento della crisi umanitaria mentre nella capitale Khartoum e nel resto del Sudan non ottengono risultati gli sforzi per raggiungere, dopo un mese di combattimenti, un cessate il fuoco tra l’esercito agli ordini del generale Abdel Fattah Al Burhan e i miliziani delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidati dal generale Mohammad Hamdan Dagalo, più noto come Hemedti.
Il sindacato dei medici sudanesi riferisce che almeno 280 persone sono state uccise venerdì e sabato nella città di Geneina, nel Darfur occidentale. 180 i feriti. I combattimenti sono avvenuti tra le Rsf e gruppi armati di cittadini. “Piangiamo le perdite di vite umane derivanti dal conflitto in tutto il Sudan”, afferma il sindacato in un post su Facebook.
I combattimenti a Geneina sono tra le tribù arabe e i Masalit. Si tratta di un conflitto che ha più di 20 anni per questioni legate al controllo della terra e delle sue risorse e che riesplose in base agli sviluppi politici. Già lo scorso 21 aprile si erano verificati combattimenti tra nomadi arabi e agricoltori Masalit. Le Rsf sono schierate con i gruppi armati arabi mentre l’esercito sostiene i Masalit. Venerdì le forze armate sudanesi hanno accusato i miliziani di Dagalo di aver bombardato civili. Le Rsf hanno replicato denunciando l’esercito che avrebbe colpito i quartieri residenziali della città.
Gran parte della copertura mediatica internazionale del conflitto in Sudan si è concentrata nell’ultimo mese sulla violenza nella capitale, Khartoum. Ma Geneina è stata teatro di alcuni dei peggiori combattimenti nel paese con centinaia di vittime. Geneina, peraltro, da anni ospita circa 100.000 sfollati. Gli operatori umanitari riferiscono che i civili sono in balia della violenza, intrappolati in casa per giorni a causa di bombardamenti incessanti, impossibilitati a scappare e tagliati fuori dall’assistenza sanitaria e dai beni di prima necessità. A Geneina sono in corso saccheggi e violenze.
La regione del Darfur nel suo insieme ha vissuto una guerra devastante dal 2003 al 2020. Vari gruppi hanno partecipato al conflitto ma è stato in gran parte combattuto dall’esercito sudanese e dalla milizia Janjaweed contro i gruppi ribelli sotto la bandiera del Fronte Rivoluzionario Sudanese. La guerra ha avuto una chiara dimensione etnica, poiché i militari e i Janjaweed sono in gran parte sudanesi arabizzati mentre i ribelli sono principalmente non arabi, come i Masalit. Le Rsf sono nate proprio dalla milizia Janjaweed.
Il Sudan vive una forte instabilità politica dalla rimozione nel 2019, dopo trent’anni al potere, del dittatore Omar al Bashir. Successivamente si è formato un governo di transizione, ma Al Burhan, con l’aiuto di Dagalo, ha preso il potere con un colpo di stato del 2021 e fermato i passi in avanti verso un sistema democratico. Quindi lo scorso 15 aprile sono iniziati i combattimenti tra le Rsf e le forze armate regolari in seguito alle forti tensioni tra Dagalo e Al Burhan. Pagine Esteri
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L'Esercito italiano fa propaganda bellicista in un centro commerciale di Catania | L'Indipendente
«In particolare, Cobas e Osservatorio si scagliano contro la “campagna acquisti sempre più invasiva che invita i giovani ad intraprendere un percorso di futuro garantito in un territorio, la Sicilia, dove il tasso di abbandono scolastico si è attestato al 21,2% e la disoccupazione giovanile al 22%”, ricordando come le normative scolastiche impongano che “ogni attività didattica esterna sia coerente con il lavoro curricolare e la programmazione”.»
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Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia
di Redazione
Pagine Esteri, 12 maggio 2023 – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia utilizzando una nave cargo “segretamente attraccata” per tre giorni presso una base navale nei pressi di Città del Capo, lo scorso dicembre.
In una dichiarazione rilasciata all’emittente locale “News24”, Brigety ha affermato che gli Stati Uniti sono “sicuri” che le armi siano state caricate sulla nave Lady R – soggetta a sanzioni da parte degli Usa – mentre si trovava presso la base navale di Simon’s Town, e trasportate in Russia. L’ambasciatore ha aggiunto che una fornitura di armi a Mosca da parte del Sudafrica, durante la guerra in Ucraina, rappresenta una questione “estremamente seria” perché mette in dubbio la posizione neutrale adottate da Pretoria relativamente al conflitto tra Kiev e Mosca.
«La nave è rimasta attraccata presso la base navale di Simon’s Town dal 6 all’8 dicembre del 2022, ed è stata utilizzata per trasportare armi alla Russia», ha detto Brigety durante una conferenza stampa a Pretoria. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, invece, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che il governo del Sudafrica sta indagando sulla vicenda. «Siamo tutti a conoscenza delle notizie circolate e l’intera questione è in fase di esame. Lasciamo che l’indagine porti i suoi risultati. La questione è in fase di esame e col tempo saremo in grado di parlarne» ha affermato il capo dello Stato della Repubblica Sudafricana.
Secondo quanto riferito da fonti citate dal “Financial Times”, la nave – di proprietà di Transmorflot, una società che dallo scorso anno è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti – la Lady R avrebbe spento il suo transponder mentre faceva scalo a Città del Capo dopo un viaggio lungo la costa occidentale dell’Africa. Dopo che la nave ha lasciato il porto, il ministero della Difesa sudafricano non ha fornito dettagli su ciò che la nave trasportasse.
Nel gennaio scorso il governo di Pretoria ha ufficialmente negato di aver approvato qualsiasi vendita di armi alla Russia da quando Mosca ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Il Sudafrica ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale nel conflitto in Ucraina, tuttavia ha subito numerose critiche per le sue consistenti relazioni con Mosca, in particolare per le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina condotte a febbraio al largo delle proprie coste.
Ramaphosa, inoltre, ha anche esteso l’invito al presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo vertice dei leader dei Brics in programma a Johannesburg ad agosto, una mossa che ha generato un acceso dibattito.
Il Sudafrica, che membro della Corte Penale Internazionale, sarebbe infatti legalmente obbligato ad arrestare Putin se si recasse nel Paese, dopo che il leader della Federazione Russa è stato condannato per la deportazione di un certo numero di bambini ucraini. Tuttavia di recente il Congresso nazionale africano (Anc) – movimento al governo in Sudafrica – ha stabilito che il governo debba ritirarsi dall’organismo.
La maggior parte dei paesi africani non ha esplicitamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, o comunque non ha aderito alle sanzioni comminate contro Mosca dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte sua la Federazione Russa sta aumentando gli investimenti in alcuni paesi africani mentre la compagnia militare privata Wagner è ormai presente in numerosi territori del continente, affiancando le forze regolari di vari governi contro l’insorgenza jihadista o sostenendo i ribelli in armi contro governi invisi.
Negli ultimi mesi Washington ha lanciato una grande offensiva diplomatica e commerciale nel continente africano tentando così di recuperare un ruolo centrale e di rintuzzare la crescente egemonia cinese e russa. – Pagine Esteri
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TURCHIA. Erdogan vince ma è costretto al ballottaggio
di Marco Santopadre
Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – Ha vinto a Istanbul, Ankara e Izmir, è stato il più votato in tutte le regioni della Tracia, dell’Egeo e del Mediterraneo e in quelle curde, ma alla fine Kemal Kılıçdaroğlu non ce l’ha fatta a battere il “sultano” Erdogan.
Nonostante i sondaggi favorevoli della vigilia e un’alleanza composta da praticamente tutte le opposizioni – dal centrodestra nazionalista del Buon Partito passando per il suo Partito Repubblicano Popolare (Chp) di centrosinistra fino al Partito della Sinistra Verde (ombrello elettorale dei curdi dell’Hdp, partito che rischia la messa fuori legge), senza dimenticare alcune formazioni guidate da ex stretti collaboratori dell’attuale presidente – Kılıçdaroğlu si è piazzato in seconda posizione con il 44,9% dei voti.
Neanche il ritiro, pochi giorni prima delle elezioni, del candidato indipendente di centrosinistra Muharrem Ince, ex leader del Chp e poi fondatore del Partito della Patria, è riuscito a dare a Kılıçdaroğlu la spinta necessaria a superare il padre-padrone della politica turca. E questo nonostante la lunghissima crisi economica che ha impoverito milioni di persone, l’inflazione galoppante, e la tragedia del terremoto che lo scorso 6 febbraio ha devastato 11 province turche, uccidendo più di 50 mila persone e creando milioni di sfollati (molti dei quali non hanno potuto votare ieri), le cui conseguenze sono state amplificate dalla speculazione edilizia e dal mancato rispetto, da parte delle autorità, delle misure di prevenzione.
Erdogan ha vinto, anche nettamente, in molte delle zone terremotate, ed anche tra gli emigrati in Germania, in Austria, in Francia, in Belgio e in Olanda.
Comunque per la prima volta dopo più di venti anni di potere, Recep Tayyip Erdogan sarà costretto ad andare al ballottaggio con il rappresentante delle opposizioni, il 28 maggio.
La già lunga e aspra campagna elettorale avrà quindi una coda di altre due settimane, che si preannuncia tesissima. Già ieri, durante il lungo e travagliato spoglio delle schede elettorali, i due schieramenti si sono scambiati pesanti accuse di brogli e manipolazioni. Nelle prime ore sembrava che il leader del Partito Giustizia e Sviluppo dovesse prevalere con quasi il 20% di distacco sul principale sfidante, ma poi il conteggio dei voti provenienti da Istanbul e Ankara ha accorciato sempre più il suo vantaggio. Poi, in serata, la quota di consensi incassata dall’attuale presidente è scesa sotto il 50%, fino a fissarsi al 49,5% che lo obbliga al secondo turno.
Uno smacco per il “sultano”, che però tra due settimane partirà da 2,5 milioni di voti di vantaggio sullo sfidante, e potrà probabilmente attingere almeno a parte di quel 5,2% raggranellato da Sinan Oğan, leader di uno schieramento nazionalista di estrema destra indipendente.
Alle precedenti elezioni presidenziali del 2018, Erdogan era passato al primo turno con il 52,6%, mentre Muharren Ince – che all’epoca guidava i socialdemocratici kemalisti del Partito Repubblicano Popolare – si era fermato al 30,6%. In terza posizione era arrivato – nonostante fosse in carcere per motivi politici – il curdo Selahattin Demirtaş per il Partito Democratico dei Popoli con l’8,4%. Meral Akşener, ex ministra dell’Interno che nel 2017 aveva abbandonato il braccio politico dei Lupi grigi (Mhp) per fondare il Buon Partito insieme ad alcuni transfughi di destra del Partito Repubblicano, si era piazzata al quarto posto con il 7,3%,
I quasi 56 milioni di elettori che si sono recati alle urne – ieri il tasso di affluenza è stato quasi dell’87%, superiore di mezzo punto rispetto al 2018 – hanno espresso la propria preferenza anche per la composizione della Grande Assemblea Nazionale Turca, composta da 600 deputati.
Anche in questo caso lo schieramento di Erdogan – l’Alleanza della Repubblica – si è imposto sfiorando la maggioranza assoluta dei voti, ma fermandosi al 49,4% e ottenendo 322 deputati; nel 2018 aveva preso invece il 53,6% e 344 rappresentanti. L’AKP ha guadagnato il 35,6% e 267 rappresentanti (alla tornata precedente il 42,56 e 295 deputati) mentre il Partito del Movimento Nazionalista (Mhp), formazione nazionalista di estrema destra legata ai Lupi Grigi, si è attestata al 10,1 con 50 eletti (nel 2018 aveva preso l’11,1 e 49 deputati). Erdogan potrà così controllare il parlamento abbastanza agevolmente anche se non potrà intervenire con riforme della Costituzione che richiedono una maggioranza più ampia.
L’Alleanza della Nazione rappresentata invece dal 74enne economista Kılıçdaroğlu ha incassato invece il 35% e 213 deputati. Al suo interno, il Chp ha totalizzato il 25,3 e 169 eletti (contro il 22,6 e 146 deputati del 2018) e il Buon Partito ha ottenuto il 9,7% e 44 rappresentanti (contro il 10 e 43 eletti del 2018). Le altre 4 formazioni incluse nella coalizione non hanno ottenuto invece rappresentanza parlamentare.
L’Alleanza del Lavoro e della Libertà ha invece ottenuto il 10,54% e 65 rappresentanti divisi tra il Partito della Sinistra Verde che ha preso l’8,8% e 61 eletti e il Partito dei Lavoratori che è riuscito a entrare in parlamento con 4 eletti nonostante l’1,73% conquistato. Alle scorse parlamentari il Partito Democratico dei Popoli aveva ottenuto l’11,7% e 67 deputati.
Nessun eletto ha conquistato la coalizione di Sinan Oğan, che nel voto per le legislative si è fermata al 2,4% e neanche per la coalizione dell’estrema sinistra – che includeva il Partito Comunista Turco – che ha raggiunto appena lo 0,3% dei consensi.
Come detto, la campagna elettorale è stata molto tesa e le opposizioni l’hanno dovuta condurre in una condizione di fortissimo svantaggio. Le tv pubbliche hanno concesso a Erdogan dieci volte il tempo accordato al leader delle opposizioni, e vari candidati dissidenti hanno dovuto subire aggressioni da parte di estremisti nazionalisti e fanatici religiosi riconducibili allo schieramento governativo. Sia Kilicdaroglu che il sindaco di Istanbul e possibile vicepresidente, Ekrem Imamoglu, sono stati aggrediti pubblicamente a pochi giorni dal voto.
Erdogan ha lanciato pesanti accuse contro l’opposizione, contribuendo a esacerbare gli animi, accusando Kılıçdaroğlu di essere sostenuto dai “terroristi” del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e di voler mettere quindi a rischio l’integrità territoriale della Turchia. Nei suoi interventi elettorali il “sultano” ha tentato di galvanizzare e fomentare i settori tradizionalisti e religiosi della società turca, additando le opposizioni come un pericolo per i valori conservatori.
Inoltre Erdogan si è proposto come mediatore nella guerra civile in atto in Sudan ed ha annuciato la scoperta di “ingenti riserve di petrolio” nel sudest del paese. All’inizio della scorsa settimana, poi, ha annunciato l’aumento dei salari del 45% per circa 700 mila impiegati nel settore pubblico.
Come se non bastasse, alcune settimane fa polizia e magistratura hanno inferto un altro duro colpo alle organizzazioni della sinistra curda. Una maxi retata ha infatti condotto a 126 arresti nelle regioni del sud e dell’est del paese; in manette sono finiti non solo giornalisti e militanti politici, ma anche 25 avvocati e una decina di artisti. L’accusa è sempre la stessa: collaborazione con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
In soccorso di Erdogan, poi, sono andate negli ultimi mesi le petromonarchie del Golfo. Mentre a marzo l’Arabia Saudita ha iniettato liquidità nella Banca centrale turca per 5 miliardi di dollari, gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato un accordo con la Turchia per aumentare il volume degli scambi commerciali tra i due Paesi portandolo a 40 miliardi di dollari entro il 2028.
Dopo la diffusione di un video con contenuti sessuali che comprometteva il candidato Muharrem Ince costringendolo al ritiro (risultato poi falso) il candidato kemalista Kılıçdaroğlu (che comunque afferma di voler preservare le buone relazioni con Mosca e con Pechino, riportando però la Turchia nell’alveo della Nato) ha esplicitamente accusato la Russia di ingerenze nella campagna elettorale allo scopo di favorire Erdogan. – Pagine Esteri
L'articolo TURCHIA. Erdogan vince ma è costretto al ballottaggio proviene da Pagine Esteri.
INTERVISTA. La Nakba e le donne. Un trauma che si consuma ancora
Pagine Esteri, 15 maggio 2023. In occasione del 75° anniversario della Nakba, Pagine Esteri ripropone l’intervista alla prof.ssa Ruba Saleh, esperta di studi di genere nella storia delle migrazioni, della diaspora e della società palestinese.
Ruba Saleh, palestinese, insegna al dipartimento di Antropologia e Sociologia della SOAS, Università di Londra, autrice di molti studi di genere nella storia delle migrazioni, della diaspora e della società palestinese. Intervistata da Pagine Esteri in occasione dell’anniversario della Nakba, la “catastrofe”, ci racconta quello che è stato il 1948 per le donne palestinesi, perché rappresenti ancora un trauma mai superato, che continua anzi a ripetersi negli anni e nelle epoche, giungendo fino ad oggi.
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L'articolo INTERVISTA. La Nakba e le donne. Un trauma che si consuma ancora proviene da Pagine Esteri.
Propaganda politica, opinioni sbagliate, fake news e intolleranza. La posizione di Poliverso
@Politica interna, europea e internazionale
Poliverso.org è ormai diventata un'istanza generalista, ma è nata per creare uno spazio di dibattito politico aperto, laico e libero.
Abbiamo ricevuto diversi messaggi che ci rimproveravano di avere dato spazio a voci contrarie all'Ucraina e ostili verso la strenua difesa del popolo ucraino. A volte siamo stati addirittura accusati di diffondere fake news.
Ricordiamo a tutti che le opinioni non sono fatti e che un'opinione non è una fake news, anche se dovesse essere un'opinione sbagliata.
Polemizzare, anche utilizzando toni molto accesi, non può essere derubricato a comportamento tossico solo perché non esprime l'opinione desiderata.
In questa istanza pertanto verrà sempre consentita la libera espressione del proprio pensiero.
Tuttavia ricordiamo anche che la nostra tolleranza verso gli account di propaganda militarista, filo-occidentale o filo-russa che siano, è limitata!
Poliverso è un servizio gratuito (se volete contribuire potete farlo qui) e proprio per questo non è uno spazio che verrà concesso ad account che praticano 24×7 l'attacco sistematico verso profili che non la pensano come loro.
Poliverso.org è una piattaforma di discussione. Se volete fare marketing diretto per le vostre idee politiche o, peggio ancora, molestie mirate, verrete spazzati via!
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Thailandia, le opposizioni vincono le elezioni alla Camera
di Redazione
Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – I partiti di opposizione in Thailandia hanno vinto le elezioni per il rinnovo della Camera, segnando la possibile fine del governo del primo ministro Prayuth Chan-ocha, ex generale ed ex capo dell’Esercito al potere da quasi nove anni, dopo il golpe militare che nel 2014 pose bruscamente fine al governo della premier Yingluck Shinawatra.
Con l’84,5% delle schede scrutinate, il movimento di opposizione antimonarchico Move Forward – guidato dal 43enne imprenditore Pita Limjaroenrat – ha ottenuto 151 seggi, divenendo il primo partito dell’assemblea. Altri 141 seggi vanno al Pheu Thai, la forza politica guidata dalla 36enne Paetongtarn Shinawatra, nipote di Yingluck e figlia maggiore dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deposto a sua volta da un colpo di Stato militare nel 2006, e in esilio autoimposto dal 2008. Il Palang Pracharat del primo ministro uscente Prayuth si è piazzato solo quarto, con 42 seggi. I due partiti vincitori, che si ritiene possano trovare un’intesa di governo, totalizzerebbero quasi 300 deputati, su un totale di 500. Una posizione di controllo che potrebbe uscire ulteriormente rafforzata nel caso in cui alla coalizione aderisse anche il partito Bhumjaithai, arrivato terzo con 68 seggi.
Il voto serviva a d eleggere i membri della camera bassa dell’Assemblea nazionale, da cui dipenderanno la nomina del prossimo capo di governo e l’indirizzo politico ed economico del Paese per i prossimi quattro anni. Molti thailandesi ritengono le votazioni una scelta di campo tra il pieno ripristino delle istituzioni democratiche e il mantenimento del governo delle forze armate. Queste ultime esercitano tuttora una fortissima influenza sulla politica thailandese, grazie alla vicinanza alla monarchia e alle disposizioni della Costituzione scritta e approvata dalla giunta militare nel 2017, prima di un ritorno alle urne che consentì a Prayuth di restare al potere dismettendo la divisa militare e indossando i panni del leader politico.
L’elezione dei 500 deputati della camera bassa avviene sulla base di un sistema elettorale misto: 350 deputati vengono eletti in altrettanti collegi uninominali, mentre i rimanenti 150 seggi vengono assegnati secondo criteri di rappresentanza proporzionale. Il voto per l’elezione del prossimo capo del governo si terrà probabilmente in agosto, e il premier sarà eletto dalle due camere in seduta congiunta: la Costituzione del 2017 non prevede però alcuna elezione per i 250 membri del Senato, che sono stati nominati dal Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, la giunta che ha governato la Thailandia tra il 2014 e il 2019. – Pagine Esteri
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Ilan Pappè: verità sulla Nakba
di Michele Giorgio
Questa intervista è stata pubblicata il 14 maggio 2023 dal quotidiano Il Manifesto
ilmanifesto.it/la-verita-sulla…
Pagine Esteri, 15 maggio 2023 – Nei giorni in cui Israele celebra la sua fondazione 75 anni fa, i palestinesi sono impegnati con raduni, sit in, conferenze, dibattiti a tenere viva la memoria della Nakba, la loro «catastrofe nazionale» parallela alla nascita dello Stato ebraico nel 1948. Una memoria fatta di esilio per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini diventati profughi in campi allestiti nei paesi arabi vicini, di case e terre perdute e poi confiscate, di famiglie divise per sempre. Eppure, per quanto sia sempre viva e duratura tra i palestinesi, più parti, non solo Israele, spingono per spegnerla, per impedire che sia riconosciuta e prenda il posto che merita nella storia. Ne abbiamo parlato con lo storico Ilan Pappè, docente all’Università di Exeter, autore di saggi sulla storia di Israele e della Palestina tradotti in molte lingue.
Professor Pappè perché la Nakba viene oscurata, perché è sempre più difficile parlarne in pubblico?
Prima di spiegarne le ragioni chiariamo che le ricerche storiche fatte con professionalità a partire dagli anni ’80 da alcuni storici israeliani e stranieri e quelle realizzate prima di allora dagli storici palestinesi, hanno ottenuto risultati incontestabili sulla Nakba e le sue conseguenze. Studi e ricerche hanno documentato anche la pulizia etnica fatta da Israele nel 1948 (a danno dei palestinesi, ndr). Questi risultati, e rispondo alla domanda, contraddicono completamente la narrazione ufficiale israeliana ad uso interno ed internazionale. Mi riferisco alla versione che vuole l’esercito «più morale al mondo» impegnato nel 1948 a difendere Israele contro l’intero mondo arabo, alla tesi secondo cui gli arabi avrebbero chiesto ai palestinesi di abbandonare la loro terra mentre gli israeliani avevano chiesto loro di rimanere. E all’idea che Israele non ha avuto alcuna responsabilità nelle vicende del 1948 di cui sono stati vittime i palestinesi. In sostanza per questa narrazione, non c’è stata la Nakba. Le ricerche storiche ci hanno detto che tutto ciò è una pura fabbricazione. E che l’espulsione dei palestinesi, allora come oggi, è un crimine contro l’umanità. La preoccupazione delle autorità israeliane è che diffondendo, discutendo e analizzando gli esiti degli studi fatti dagli storici si ponga una questione morale sulla fondazione dello Stato di Israele. Se si comincia con questi interrogativi si arriva a sollevare una questione morale sull’intera impresa sionista (in Palestina, ndr) e a chiedersi perché il mondo ha permesso l’espulsione dei palestinesi.
Come spiega l’atteggiamento di varie istituzioni internazionali nonché di governi e partiti politici occidentali, di ferma opposizione, oggi più che in passato, al riconoscimento della Nakba?
Credo che tutte queste parti internazionali, occidentali, non intendano entrare in conflitto con Israele ed esporsi al rischio di accuse di antisemitismo che sempre più spesso sono rivolte a chi critica e solleva dubbi. Vanno considerati inoltre i rapporti economici, le vendite di armi, le relazioni di sicurezza con Israele. Quindi è molto più semplice ignorare la Nakba, zittire i palestinesi e negare la loro narrazione oltre che le loro aspirazioni. Allo stesso tempo la società civile occidentale è sempre più consapevole della Nakba e di quanto accade oggi nei Territori palestinesi occupati e si aspetta che i governi adottino delle politiche concrete contro la negazione dei diritti e di condanna di abusi e violazioni.
A livello accademico qual è oggi la consapevolezza della Nakba.
In termini generali si osserva da tempo un progresso un po’ ovunque. Tante università importanti, negli Usa e in Gb, nell’ambito di corsi di studi e seminari su Israele e palestinesi, hanno svolto ricerche sulla Nakba in modo corretto e professionale. Questo vale anche per l’Italia, la Spagna e la Scandinavia. All’Istituto Orientale di Napoli, ad esempio, ho apprezzato l’accuratezza del programma di studi su questi temi. Non mancano però all’interno delle università le attività di docenti che cercano boicottare questi lavori e di imporre la versione tradizionale degli avvenimenti del 1948 pur sapendo che contraddice la storia accertata in modo professionale dai loro colleghi. Da questo punto di vista penso che Francia e Germania siano i paesi più problematici.
Come giudica la linea fortemente pro-Israele dei partiti di destra che oggi governano in diversi paesi europei.
Per questi partiti accettare la narrazione ufficiale del 1948 e la versione di Israele di quanto accade oggi, vuol dire lavare e rendere bianco il proprio passato nero. Impressiona come alcuni di questi partiti che erano antisemiti e hanno sostenuto, persino partecipato, al genocidio degli ebrei, siano oggi i più accaniti sostenitori di Israele. Più hanno collaborato con il Nazismo e più appoggiano le politiche di Israele nei confronti dei palestinesi. Questi partiti, peraltro, sono islamofobici e per Israele è facile convincerli che non sta impedendo a un popolo di liberarsi dall’occupazione militare e che invece sta combattendo contro organizzazioni islamiche fanatiche.
Israele ha festeggiato qualche settimana fa, sulla base del calendario ebraico, il suo 75esimo compleanno mentre è nel pieno di una frattura interna alla sua maggioranza ebraica a causa della riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu. Come legge le manifestazioni di massa a difesa della separazione dei poteri e della Corte suprema che vanno avanti da mesi.
È in atto uno scontro tra due modelli di nazionalismo. Le differenza è questa. Il primo, quello che porta avanti le proteste contro la riforma giudiziaria, vuole conservare il modello sostanzialmente laico, fondato su ciò che definisce una democrazia ebraica, precedente alla nascita, avvenuta alla fine dello scorso anno, del governo di destra estrema ora in carica. I suoi sostenitori accettano solo la bandiera israeliana alle manifestazioni, per affermare il carattere nazionalista della protesta contro il governo. Il secondo modello non punta alla difesa dei principi democratici, piuttosto vuole ridefinire l’Ebraismo nel 2023 e ritiene centrale dare un fondamento più religioso alla società israeliana. Entrambi però non mettono in discussione in alcun modo l’apartheid che viene praticato contro i palestinesi sotto occupazione militare e quelli con cittadinanza israeliana. Seguendo come i media hanno riferito sino ad oggi della spaccatura in atto in Israele, sono sorpreso che tanti giornalisti stranieri, anche quelli più esperti, non abbiano colto questi elementi politici ed ideologici tanto evidenti.
Questo è il presente, cosa vede in futuro?
Nel futuro immediato vedremo più repressione e più discriminazione nei confronti dei palestinesi e persino contro la minoranza di ebrei che si batte per la giustizia e i diritti. Si creeranno però più fratture e contraddizioni nel sistema con sviluppi significativi nella società civile locale e internazionale per la lotta all’apartheid. Ci vorrà del tempo ma non si potranno impedire i cambiamenti che da sempre attendono i palestinesi. Pagine Esteri
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Gli USA accusano il Sudafrica di armare la Russia
di Redazione
Pagine Esteri, 12 maggio 2023 – L’ambasciatore degli Stati Uniti in Sudafrica, Reuben Brigety, ha accusato le autorità di Pretoria di aver fornito armi alla Russia utilizzando una nave cargo “segretamente attraccata” per tre giorni presso una base navale nei pressi di Città del Capo, lo scorso dicembre.
In una dichiarazione rilasciata all’emittente locale “News24”, Brigety ha affermato che gli Stati Uniti sono “sicuri” che le armi siano state caricate sulla nave Lady R – soggetta a sanzioni da parte degli Usa – mentre si trovava presso la base navale di Simon’s Town, e trasportate in Russia. L’ambasciatore ha aggiunto che una fornitura di armi a Mosca da parte del Sudafrica, durante la guerra in Ucraina, rappresenta una questione “estremamente seria” perché mette in dubbio la posizione neutrale adottate da Pretoria relativamente al conflitto tra Kiev e Mosca.
«La nave è rimasta attraccata presso la base navale di Simon’s Town dal 6 all’8 dicembre del 2022, ed è stata utilizzata per trasportare armi alla Russia», ha detto Brigety durante una conferenza stampa a Pretoria. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, invece, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che il governo del Sudafrica sta indagando sulla vicenda. «Siamo tutti a conoscenza delle notizie circolate e l’intera questione è in fase di esame. Lasciamo che l’indagine porti i suoi risultati. La questione è in fase di esame e col tempo saremo in grado di parlarne» ha affermato il capo dello Stato della Repubblica Sudafricana.
Secondo quanto riferito da fonti citate dal “Financial Times”, la nave – di proprietà di Transmorflot, una società che dallo scorso anno è sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti – la Lady R avrebbe spento il suo transponder mentre faceva scalo a Città del Capo dopo un viaggio lungo la costa occidentale dell’Africa. Dopo che la nave ha lasciato il porto, il ministero della Difesa sudafricano non ha fornito dettagli su ciò che la nave trasportasse.
Nel gennaio scorso il governo di Pretoria ha ufficialmente negato di aver approvato qualsiasi vendita di armi alla Russia da quando Mosca ha iniziato la sua invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022. Il Sudafrica ha dichiarato ufficialmente di essere neutrale nel conflitto in Ucraina, tuttavia ha subito numerose critiche per le sue consistenti relazioni con Mosca, in particolare per le esercitazioni navali congiunte con Russia e Cina condotte a febbraio al largo delle proprie coste.
Ramaphosa, inoltre, ha anche esteso l’invito al presidente russo Vladimir Putin a partecipare al prossimo vertice dei leader dei Brics in programma a Johannesburg ad agosto, una mossa che ha generato un acceso dibattito.
Il Sudafrica, che membro della Corte Penale Internazionale, sarebbe infatti legalmente obbligato ad arrestare Putin se si recasse nel Paese, dopo che il leader della Federazione Russa è stato condannato per la deportazione di un certo numero di bambini ucraini. Tuttavia di recente il Congresso nazionale africano (Anc) – movimento al governo in Sudafrica – ha stabilito che il governo debba ritirarsi dall’organismo.
La maggior parte dei paesi africani non ha esplicitamente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, o comunque non ha aderito alle sanzioni comminate contro Mosca dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Da parte sua la Federazione Russa sta aumentando gli investimenti in alcuni paesi africani mentre la compagnia militare privata Wagner è ormai presente in numerosi territori del continente, affiancando le forze regolari di vari governi contro l’insorgenza jihadista o sostenendo i ribelli in armi contro governi invisi.
Negli ultimi mesi Washington ha lanciato una grande offensiva diplomatica e commerciale nel continente africano tentando così di recuperare un ruolo centrale e di rintuzzare la crescente egemonia cinese e russa. – Pagine Esteri
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La Difesa è il pilastro della pace. Cosa si è detto al think tank di Crosetto
Il lavoro delle Forze armate è il presupposto della sicurezza e il pilastro su cui poggiano democrazia e pace e per questo, però, è necessario comunicarlo e far conoscere alla società civile il lavoro della Difesa. Questo il cuore del discorso del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha da poco presieduto la riunione di insediamento del Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa a Palazzo Esercito, insieme al capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il Segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, e i vertici di tutte le articolazioni delle Forze armate, Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri. In risposta ai repentini cambiamenti imposti dall’attuale quadro geostrategico sempre più complesso, l’obiettivo del Comitato è promuovere la cultura della Difesa attraverso un approccio nuovo e comunicare quello che rappresenta il sistema-Difesa a servizio del Paese.
Per una cultura della Difesa
Il comitato riunisce esponenti non solo del mondo militare, anzi, è pensato esattamente per aprire il più possibile il dibattito sulla cultura della Difesa all’interno della società italiana. Rappresentanti delle università, centri di ricerca, accademia, mondo della cultura e dell’informazione, dell’industria e dell’economia, costruiranno un dialogo serrato per consentire alla Difesa di “essere sempre un passo in avanti” nel discorso pubblico nazionale. “Oggi inizia un percorso di contaminazione biunivoca e virtuosa” ha detto il ministro, “questo deve essere un luogo di ascolto e un tavolo di dialogo per promuovere le Forze Armate e i loro valori”. Non solo missioni operative ma anche tecnologia, cultura e formazione, rispetto dei diritti e tutela dell’ambiente e del nostro patrimonio culturale, capacità empatica e generosità dei nostri uomini e donne in divisa che offrono il loro servizio nelle missioni all’estero e nella difesa del Paese.
La Difesa è uno strumento per perseguire la pace
“Quasi tutti pensiamo che la Difesa sia fatto importante, ma difficilmente si riesce a spiegare i motivi per i quali uno Stato moderno debba promuovere e garantire un proprio sistema di difesa efficiente, quali sono le ricadute industriali e tecnologiche, occupazionali o di ricerca scientifica ad esempio”. A dirlo in esclusiva ad Airpress è il segretario generale del Comitato Filippo Maria Grasso, direttore Relazioni istituzionali di Leonardo. “È la prima volta che il ministero della Difesa decide di avvalersi di un Comitato per trovare un momento di riflessione su come sono considerate e proposte le molte sfaccettature che questo mondo offre al servizio del Paese – ha continuato Grasso – Ragionare della Difesa non è un mezzo per promuovere l’intervento militarista. Non premia vocazioni bellicistiche. Tutt’altro. In Italia la difesa, senza se e senza ma, è uno strumento per perseguire la pace, lo sviluppo e la promozione delle nostre dimensioni di comunità. Questo è lo spirito con cui credo si sia voluto istituire questo Comitato, per trovare uno spazio nel quale fermarsi a riflettere su un aspetto così centrale eppure poco valorizzato del nostro Paese”.
I membri del Comitato
A formare il Comitato, presieduto dal ministro stesso, sono il presidente dell’Ansa Giulio Anselmi; l’economista Geminello Alvi; lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco; la storica dell’arte Anna Coliva; il consigliere del ministro Pier Domenico Garrone; il professore di scienze e tecnologie aerospaziali del Politecnico di Milano Michèle Roberta Lavagna; il presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi Giancarlo Leone; l’editorialista Angelo Panebianco; il direttore dell’Alta scuola di Economia e relazioni internazionali dell’Università cattolica del Sacro Cuore professor Vittorio Emanuele Parsi; il segretario generale dell’Aspen Institute Angelo Maria Petroni; l’editorialista Gianni Riotta; il direttore de Il Sole 24 ore Fabio Tamburini; il presidente dell’associazione Big Data professore Antonio Zoccoli e il direttore Relazioni istituzionali di Leonardo Filippo Maria Grasso.
Mini-naja? Meglio un servizio civile con regole militari. Parla il gen. Arpino
Ripristinare la leva militare? Un tema che spesso riaffiora e che sembra piacere all’attuale esecutivo. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, durante la 94esima adunata nazionale degli alpini a Udine, ha precisato che quello della leva “è un tema che si può affrontare come ipotesi volontaria al servizio civile”. L’idea trova pieno appoggio nelle parole del presidente del Senato, Ignazio La Russa che vorrebbe una “mini naja” di 40 giorni. Ma siamo sicuri che sarebbe una strada percorribile? “Sarebbe meglio istituire un servizio civile, con regole militari che introduca tra i giovani valori, rigore e spirito di sacrificio, magari che includa attività organizzate da ex militari. Ma serve più tempo, non bastano 40 giorni”. La pensa così il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica.
Generale Arpino, immaginare una “mini naja” su base volontaria non sarebbe una strada percorribile?
La reintroduzione di questa mini-leva non servirebbe alle forze armate. Peraltro attualmente non ci sarebbero neanche più le strutture per organizzare un percorso di questo genere. Anche se, da parte del governo, penso che il problema si sia posto più sul versante educativo per i giovani.
Cosa intende dire?
Di fronte al precipizio culturale, è legittimo ed è apprezzabile l’intendimento dell’esecutivo. Anche se le forze armate non potrebbero svolgere un’azione sostitutiva delle agenzie educative, visto e considerato che i militari sono molto impegnati in altro. Servirebbe invece un servizio civile, magari con attività svolte e organizzate da ex militare, per instradare i giovani sulla via dei valori, del rigore e della disciplina. Ma non basterebbero certo 40 giorni.
Secondo lei di quanto tempo necessiterebbe questo percorso?
Ci vorrebbero dai tre ai sei mesi per incidere profondamente nelle coscienze. In questo modo si potrebbero educare i ragazzi allo spirito di sacrificio. Riconosco, insomma, l’esigenza di fare qualcosa per le nuove generazioni.
In che modo li impiegherebbe?
Ad esempio sarebbe interessante che i ragazzi prestassero servizio negli hub per l’accoglienza dei migranti. Un servizio dei giovani italiani in favore dei profughi. Sarebbe un grande insegnamento: servire gli altri e non se stessi.
Secondo lei una leva volontaria come immaginata dal governo non garantirebbe un ringiovanimento delle forze armate?
Il turnover è garantito e mi pare che le regole attuali abbiano dimostrato la loro efficacia. Non c’è nulla da toccare in questo senso. Più che altro i militari andrebbero impiegati per i compiti operativi anziché adoperati in maniera impropria.
A cosa si riferisce in particolare?
Quando i militari vengono impiegati per fare i piantoni davanti agli uffici, direi che il compito è improprio rispetto alla loro formazione e vocazione.
La Difesa Ue scalda i motori, letteralmente. Il punto dell’ing. Scarpa (AvioAero)
Di fronte alle sfide e alle necessità del futuro, è indispensabile che i programmi per la Difesa, in particolare quelli internazionali, adottino una visione di lungo periodo, che identifichi i requisiti necessari alle piattaforme del domani per poter procedere allo sviluppo delle soluzioni tecnologiche adeguate. Nel campo aeronautico, le attività sempre più complesse che i mezzi saranno chiamati a svolgere richiederanno strumenti all’avanguardia per la gestione dell’energia, dalla propulsione al funzionamento di tutti i sistemi di bordo. L’Unione europea, attraverso il Fondo europeo della Difesa, sta procedendo in questo settore con diverse iniziative, da quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project (Engrt), al progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann). Airpress ha parlato di queste iniziative con Pierfederico Scarpa, vice presidente Strategy, marketing e sales di Avio Aero, azienda che parteciperà alla definizione del sistema propulsivo dell’Engrt e che coordina il progetto Neumann. Stiamo assistendo ai festeggiamenti per il centenario dell’Aeronautica militare, dove si è vista la Forza aerea fortemente proiettata al futuro.
L’importanza del dominio aereo è riconosciuta anche a livello europeo. Tra i progetti finanziati dall’Ue tramite il Fondo europeo della Difesa, spicca quello per l’elicottero di nuova generazione, l’Eu Next Generation Rotorcraft Technologies Project. Di cosa si tratta?
Bisogna innanzitutto dire che questo programma non è ancora di produzione, e nemmeno di sviluppo. È un programma prodromico a queste fasi. Spesso ci si dimentica che certi ragionamenti hanno bisogno di tempi e di fasi iniziali indispensabili alla buona riuscita, poi, del progetto concreto. In questo caso, dunque, bisogna dare adito alla visione lungimirante della Commissione europea, e di quanto c’è dietro al Fondo europeo per la Difesa. Stiamo parlando, dunque, di definire i requisiti, operativi prima e tecnologici poi, che a loro volta influenzeranno lo sviluppo del progetto. L’obiettivo è andare ad analizzare quali sono i gap capacitivi rispetto ai futuri profili di missione, e da lì si comincia a impostare il lavoro affinché si arrivi poi alla definizione delle soluzioni necessarie per colmare questi “vuoti”.
Che ruolo giocherà Avio Aero nel progetto?
Com’è giusto che sia, capofila del progetto saranno gli airframer, coloro che definiranno e integreranno il sistema velivolo, Leonardo e Airbus Helicopters. Avio Aero, dunque, parteciperà alla definizione del sistema propulsivo, insieme agli altri motoristi europei come ITP, MTU Aero, Safran Helicopter Engines e Rolls-Royce Deutschland, tutte aziende con le quali già collaboriamo in altri programmi. In questa fase, dunque, ci supporteremo a vicenda per tradurre i requisiti operativi in tecnologie e caratteristiche di prodotto, cioè il motore, in linea con quanto emerso. Per noi è sicuramente una partecipazione importante e per nulla scontata. È indicativa di un percorso di crescita che ha fatto l’azienda e che ci consente oggi di poter dire la nostra in modo qualificato, grazie alle nostre competenze ingegneristiche e tecnologiche.
Tra l’altro l’azienda è presente anche in altri programmi all’avanguardia…
A livello europeo la versione militare del nostro motore turboelica Catalyst è stata selezionata nel marzo 2022 da Airbus Defense & Space per la motorizzazione dell’EuroDrone. Inoltre, siamo il partner europeo di riferimento per lo sviluppo del sistema propulsivo del caccia di sesta generazione che sarà realizzato all’interno del Global combat air programme (Gcap), dove siamo impegnati con Rolls-Royce e IHI Corporation. Una presenza frutto di una trasformazione che negli ultimi anni ci ha portato a diventare una delle principali aziende della propulsione europee. Sono tutti progetti all’avanguardia e sulla frontiera dell’evoluzione tecnologica nel campo della propulsione del futuro.
Per sviluppare sistemi aerei sempre più all’avanguardia, uno degli aspetti principali è rappresentato dalla propulsione. Come dovranno essere i motori del futuro?
Bisogna partire dalla premessa che l’obiettivo è quello di cercare di capire dove la tecnologia sarà tra qualche anno. Se vogliamo essere leader, e non follower, dovremo infatti contribuire a spostare la frontiera dell’innovazione, che abbiamo menzionato poco fa, sempre un po’ più in là. Si parla ormai di power and propulsion systems, concetto che prevede un maggior accoppiamento tra il motore aeronautico e la produzione di energia elettrica. Le varie piattaforme necessitano infatti di energia dal momento che i motori, oltre ad assolvere al compito di fornire la spinta necessaria al volo, dovranno sempre più produrre energia per i diversi sistemi installati sul velivolo. L’effetto collaterale è una maggiore produzione di calore, che dovrà essere smaltito attraverso dei sistemi di gestione termica (power and thermal management system), che sono in continuo sviluppo e miglioramento.
Sul tema della propulsione, Avio Aero coordina il progetto europeo Neumann. Come si articoleranno le fasi dell’iniziativa e quali sono gli obiettivi della società?
Per noi il progetto Novel energy and propulsion systems for air dominance (Neumann) è una vera punta d’orgoglio: coordiniamo un consorzio formato da 37 partner europei, composto da aziende, Pmi, università e centri di ricerca. Il budget stanziato dall’Unione Europea per il progetto è di circa 56 milioni di euro, che lo rende il più grande consorzio finanziato dal Fondo europeo della Difesa. L’obiettivo è quello di sviluppare tecnologie proprietarie europee per far fronte ai requisiti per i sistemi propulsivi di nuova generazione. Ricordiamoci che in Europa stiamo passando dalla quarta generazione (Eurofighter e Rafale) direttamente alla sesta, dal momento che l’F-35 non è stato sviluppato in Europa. Dai progetti degli anni Ottanta, quindi, il Vecchio continente si trova a fare un salto tecnologico importante. Non è una cosa banale, dato che le nuove piattaforme richiederanno sempre maggiore energia, anche perché si tratterà di “system of systems”. In questo senso, aver coinvolto nel progetto Neumann anche degli airframer ci permetterà di lavorare in maniera integrata, interfacciando i sistemi che dovranno operare insieme ai velivoli.
Sistemi e piattaforme del futuro dovranno tenere in conto sia le difficoltà legate a una supply chain resa più fragile da uno scenario globale più complesso, sia il necessario livello di sostenibilità dei sistemi stessi. Quali potrebbero essere possibili soluzioni?
Il discorso di filiera è sicuramente importante e delicato. Il conflitto in Ucraina è infatti intervenuto su un sistema già fragilizzato dalla pandemia da Covid. Questo, tuttavia, ha contribuito ad accendere i riflettori su due elementi strategici della supply chain: la dipendenza dall’estero e la resilienza della filiera. Il tema della dipendenza, naturalmente, implica che al momento molte delle cose che ci servono dobbiamo comprarle fuori dall’Europa. Quello della resilienza, invece, misura la capacità del sistema di assorbire gli impatti. I fatti hanno purtroppo evidenziato che eventi che si ritenevano impensabili sono invece possibili. Dobbiamo allora considerare che, se la forza di una catena è data dal suo anello più debole, la supply chain della Difesa ha moltissimi anelli, sui quali bisogna agire per renderli sempre più capaci di resistere alle crisi. Le grandi aziende devono assumere un ruolo di guida e fare da catalizzatrici per una maggiore integrazione della filiera, ai fini di potenziarla e renderla resiliente di fronte alle sfide del futuro.
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MICHAEL KHILL – INFIERIRE SUL MALESSERE
Debutto discografico per il mostro musicale chiamato Michael Khill, un concentrato di deathcore, hardcore, crust, metal, grindcore e anche beatdown.
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Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della videorubrica con il Ministro Giuseppe Valditara intervistato dalla giornalista Maria Latella.
Ministero dell'Istruzione
Il #MinistroRisponde: è online sul canale YouTube del Ministero la quarta puntata della videorubrica con il Ministro Giuseppe Valditara intervistato dalla giornalista Maria Latella.Telegram
È troppo presto per un Medio Oriente "cinese”
Il 10 marzo scorso, a Pechino, Iran e Arabia Saudita raggiunto un accordo per impegnarsi a ristabilire le relazioni bilaterali, interrotte nel 2016. Abbiamo parlato del ruolo della Cina nel negoziato con Jacopo Scita, Policy Fellow del think tank Bourse & Bazaar Foundation.
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In Cina e Asia – Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai
Elezioni in Thailandia: vince il Move Forward davanti al Pheu Thai
L'UE discute la sua strategia sulla Cina e sull'Indo-Pacifico
Cittadino americano condannato all'ergastolo per spionaggio
Xi Jinping spinge sulla megaregione Jing-Jin-Ji per la "modernizzazione cinese"
Le accuse di un ex dirigente a ByteDance
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