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L'impressionante espansione della mafia in Veneto svelata dalle carte dei giudici | L'Indipendente

«Indicibili intrecci tra imprenditoria e criminalità organizzata, crescita esponenziale dell’economia sommersa, ma anche intimidazioni mafiose ai danni di giornalisti e sindacalisti a colpi di arma da fuoco, in cui ad agire da burattinai sono uomini d’affari in giacca e cravatta: c’è tutto questo nella nuova maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, che ha puntato la sua lente di ingrandimento sul pericoloso binomio tra mafia e colletti bianchi in un’area dello stivale che, almeno a detta delle autorità, negli ultimi decenni sembrava essersi difesa piuttosto bene dall’opera di “colonizzazione” messa a punto dal crimine organizzato nel Nord Italia.»

lindipendente.online/2023/08/1…




Evergrande, Country Garden, Zhongrong: i nomi della crisi immobiliare cinese


Evergrande, Country Garden, Zhongrong: i nomi della crisi immobiliare cinese evergrande
La richiesta di bancarotta protetta da parte di Evergrande arriva dopo due anni di difficoltà, ma a preoccupare Pechino potrebbe essere più Country Garden e il riflesso sul sistema bancario ombra e dei fondi fiduciari

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PODCAST SUDAN. Onu: «La situazione sta andando fuori controllo»


Le Nazioni unite lanciano l'allarme quattro mesi dopo l'inizio nel paese africano del conflitto tra il capo dell'Esercito Abdel Fattah Al Burhan e il leader miliziano Hamdan Dagalo. La Cnn rivela massacro di centinaia di civili avvenuto ad Al Geneina L'a

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Pagine Esteri, 18 agosto 2023. Più di 1 milione di persone sono fuggite dal Sudan e chi è rimasto nel paese non ha più cibo a sufficienza. 1.017.449 persone hanno raggiunto i paesi vicini già alle prese con l’impatto di conflitti precedenti.

Della guerra tra l’Esercito e le milizie delle Rsf, entrata nel suo quinto mese, e della situazione per i civili sudanesi abbiamo parlato con Stefano Rebora, direttore dell’associazione “Music for Peace” in partenza per il Sudan con aiuti umanitari e materiali per gli ospedali.
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Veloce, stealth e green. Ecco il nuovo aereo da trasporto per l’Usaf


Un nuovo aereo da trasporto per la Forza aerea statunitense più veloce e, soprattutto, più green. È questo il cuore del progetto che la US Air force ha affidato a JetZero, una start up innovativa specializzata in aerei più efficienti in termini di carbura

Un nuovo aereo da trasporto per la Forza aerea statunitense più veloce e, soprattutto, più green. È questo il cuore del progetto che la US Air force ha affidato a JetZero, una start up innovativa specializzata in aerei più efficienti in termini di carburante, in partnership con Northrop Grumman, per la realizzazione di un prototipo di velivolo per la flotta da trasporto strategico della forza armata a stelle e strisce. È previsto che il primo prototipo prenderà il volo nel 2027, e se i test avranno esito positivo, il nuovo aereo potrebbe rimpiazzare gli attuali C-5 e C-17 da trasporto e l’aerocisterna KC-46.

Il Z-5, questo il nome dato al nuovo aereo, vedrà lo sviluppo di un nuovo tipo di fusoliera, più sottile, che integrerà tra loro il corpo del velivolo con le ali, un design che ricorda maggiormente il bombardiere stealth B-2 Spirit rispetto ai più classici aerei da trasporto come i Boeing 747. Il nuovo design, in pratica, appiattisce la fusoliera facendo assomigliare l’aereo a un grosso triangolo, una forma più aerodinamica che permetterà al velivolo di essere più efficiente nel proprio consumo di carburante e meno visibile ai radar. La struttura più leggera, inoltre, sarà il 50% più efficiente rispetto ai modelli tradizionali, permettendo al Z-5 di volare al doppio del raggio degli attuali sistemi in servizio. Un obiettivo che, se raggiunto, permetterebbe all’Aeronautica statunitense di ridurre sostanzialmente una delle sue maggiori voci di spesa: quella per il carburante. L’Usaf, infatti, consuma ogni anno miliardi di galloni di carburante. Inoltre, il nuovo modello permetterebbe anche di ridurre l’impronta ambientale della forza armata.

Il progetto fa parte di una iniziativa guidata dall’Unità per l’innovazione della Difesa del Pentagono, e riceverà un finanziamento di quaranta milioni di dollari da parte del governo nell’anno fiscale 2023, mentre le Forze armate metteranno sul progetto ulteriori 235 milioni fino al 2026, oltre alla possibilità di aprire anche a investitori privati. Se il prototipo dovesse diventare un programma dell’Usaf a tutti gli effetti, la Forza armata sarebbe pronta a costruire simultaneamente alla produzione dei velivoli la supply chain e le altre necessità logistiche che permettano una transizione il più rapida possibile del nuovo velivolo nella linea operativa. Naturalmente, per l’Usaf il programma non sarà l’unica soluzione per la prossima generazione di programmi per il trasporto strategico e il rifornimento in volo, ma il progetto è strutturato per aprire nuove prospettive sull’efficienza energetica dei velivoli che gli aerei Usa del prossimo futuro dovranno necessariamente possedere.

Lo studio di questo nuovo sistema risponde inoltre alla necessità della Difesa statunitense di mantenersi sempre in vantaggio rispetto alla corsa tecnologica cinese, mettendosi nelle condizioni di essere in grado di manovrare in vantaggio rispetto alle forze di Pechino in caso di conflitto. Il focus del Pentagono nella regione dell’Indo-Pacifico, infatti, richiede il possesso di sistemi in grado di viaggiare più a lungo, più lontano e più veloce, mantenendo al contempo i consumi i più contenuti possibile. I cargo e i tanker dovranno volare sempre più spesso e in cieli sempre più contesi, ed è per questo che la Difesa e l’industria sono chiamate a reimmaginare i velivoli strategici. L’efficienza dei consumi permette di effettuare più voli, la maggiore velocità di raggiungere prima le proprie destinazioni, e la maggiore flessibilità risultante potrà darà un vantaggio significativo alle forze combattenti nei campi di battaglia del futuro.

Foto: Usaf


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Le nozze strategiche tra Seul e Tokyo le celebra Biden


Le nozze strategiche tra Seul e Tokyo le celebra Biden 8818671
A Camp David vertice tra Stati uniti, Corea del Sud e Giappone. Sullo sfondo il timore del crescente allineamento tra Cina e Russia. I tre leader annunceranno esercitazioni militari, linea telefonica diretta e cooperazione su lotta alla coercizione economica e cybersicurezza

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23 anni di trasferimenti illegali di dati a causa di DPA inattive e nuovi accordi UE-USA Una nuova analisi del Noyb mostra come la combinazione di DPA inattive e di un nuovo accordo della Commissione europea abbia portato a 23 anni di violazioni della privacy 3 years of 101 complaints


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Israele-Arabia saudita. Normalizzazione dei rapporti resta lontana


Riyadh vuole passi israeliani verso la fine dell'occupazione militare dei Territori palestinesi. Sul tavolo anche la cooperazione con gli Stati uniti sul nucleare civile. Tel Aviv contraria L'articolo Israele-Arabia saudita. Normalizzazione dei rapporti

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di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 18 agosto 2023 – Israele sapeva che l’Arabia saudita intendeva nominare un ambasciatore presso i palestinesi. «Lo sapevamo ma i sauditi non si sono coordinati con noi e non erano tenuti a farlo» ha precisato il ministro degli esteri Eli Cohen cercando di sminuire la portata della decisione presa dalla monarchia Saud di nominare l’ambasciatore ad Amman, Nayef bin Bandar Al Sudairi, anche ambasciatore non residente e console generale a Gerusalemme Est. La nomina, ha aggiunto Cohen in una intervista radiofonica, è avvenuta «sullo sfondo dell’avanzamento dei colloqui tra Usa e Arabia saudita riguardo la normalizzazione dei rapporti con Israele». I sauditi – ha sostenuto il ministro israeliano – «volevano mandare un messaggio ai palestinesi per far capire che non li abbandoneranno». In parte è come spiega Cohen. Però la mossa saudita è ben più complessa, proprio perché si inserisce nella lunga trattativa avviata dalla Amministrazione Biden desiderosa di pareggiare, con la normalizzazione tra monarchia Saud e Stato ebraico, il risultato conseguito da Donald Trump che tre anni fa di fatto impose a quattro paesi arabi – Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan – di avviare rapporti ufficiali con Israele nel quadro degli Accordi di Abramo.

Il fatto che Riyadh abbia nominato Al Sudairi a Gerusalemme non significa che ci sarà un consolato saudita nella zona araba della città (occupata da Israele nel 1967). «Non permetteremo l’apertura di alcuna rappresentanza diplomatica (rivolta ai palestinesi) a Gerusalemme», ha detto perentorio Cohen che si è poi affannato a smentire che «la questione palestinese sia centrale nei colloqui tra Usa e Arabia saudita». Invece è importante, anche se non quanto i rapporti militari e la cooperazione nel nucleare civile che Riyadh intende raggiungere con Washington in cambio della normalizzazione con Israele. I Saud, che si proclamano i guardiani della Mecca e di Medina, non intendono passare alla storia per aver lasciato a Israele il controllo di tutta Gerusalemme, con la Moschea di Al Aqsa (terzo luogo santo dell’Islam), e dimenticato i diritti dei palestinesi sulla zona araba (Est) della città santa.

Forse la nomina dell’ambasciatore era stata decisa nei mesi scorsi. Non è però passato inosservato che sia stata comunicata pochi giorni dopo le preoccupazioni espresse dal ministro degli esteri palestinese Riyad al Maliki a proposito della normalizzazione con Israele. I palestinesi temono che rapporti ufficiali tra sauditi e israeliani indeboliscano ulteriormente il già debole sostegno arabo alla loro causa e minare le speranze di uno Stato indipendente. Come stiano andando le cose al tavolo dei negoziati non è chiaro. Le notizie fatte filtrare dalle due parti attraverso fonti anonime ai media, dal New York Times al Wall Street Journal (Wsj), dicono che i sauditi si attendono passi concreti di Israele per favorire la piena autodeterminazione di milioni di palestinesi sotto occupazione militare.

È difficile immaginare che il governo di estrema destra in carica in Israele possa compiere quei passi che neppure il laburista Yitzhak Rabin accettò di muovere trent’anni fa firmando gli Accordi di Oslo con Yasser Arafat. Quando giorni fa la Nbs gli ha chiesto delle concessioni ai palestinesi come parte di un accordo con i sauditi, il premier Netanyahu ha risposto che «I palestinesi dovrebbero avere il potere di governarsi e nessuno dei poteri per minacciarci». Nel linguaggio della destra israeliana queste parole escludono la sovranità palestinese perché uno Stato indipendente per Netanyahu e i suoi alleati minaccerebbe la sicurezza di Israele.

Tutto lascia pensare che la normalizzazione tra Arabia saudita e Israele sia ancora lontana anche se il Wsj la prevedeva giorni fa entro un anno. Riyadh vuole l’aiuto di Washington per sviluppare un programma civile di arricchimento dell’uranio e sistemi di difesa missilistica Thaad. Lo ha ripetuto il 27 luglio al Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan che ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman (MbS). Un programma nucleare civile che Netanyahu e i suoi ministri e anche il capo dell’opposizione Yair Lapid respingono. Israele vuole che l’Amministrazione Biden offra ai sauditi una protezione militare rafforzata. Da parte sua MbS conferma che Israele è un «alleato potenziale» ma ribadisce che per Riyadh l’iniziativa araba del 2002 – pace in cambio del ritiro israeliano dai Territori palestinesi occupati – resta la chiave per la piena normalizzazione israelo-saudita. Con un governo israeliano ultranazionalista che non ha annesso a Israele la Cisgiordania solo per l’opposizione degli Usa, anche una breve moratoria sulla costruzione di insediamenti coloniali sul territorio palestinese manderebbe in frantumi la maggioranza. E Netanyahu sotto processo non può permetterselo. Pagine Esteri

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Cultura e impegno sociale chiudono l’estate della Pigna. Torna Scambi Festival: laboratori e spettacoli dal 24 al 27 agosto nel centro storico

@Etica Digitale (Feddit)

Tra gli eventi di #ScambiFestival segnaliamo il laboratorio “Direzione FediVerso!” in collaborazione con il collettivo @Etica Digitale e #Slimp (Software Libero #Imperia): saranno lanciate spedizioni di mappatura del quartiere su #OpenStreetMap e alla scoperta del #Fediverso, l’universo dei social network alternativi.

cc @Tommi @Scambi Festival

Qui l'articolo completo

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Dai detriti ai satelliti spia. Così si monitorano le minacce in orbita


Fin dai primi istanti dell’invasione russa dell’Ucraina, le immagini satellitari fornite dalle compagnie private si sono rivelate un asset strategico fondamentale, capaci di seguire i movimenti delle unità militari sulla superficie, dalle colonne corazzat

Fin dai primi istanti dell’invasione russa dell’Ucraina, le immagini satellitari fornite dalle compagnie private si sono rivelate un asset strategico fondamentale, capaci di seguire i movimenti delle unità militari sulla superficie, dalle colonne corazzate agli incrociatori in mare. L’utilizzo dei satelliti nel comparto militare non è nuovo, e anzi lo sviluppo stesso degli oggetti artificiali in orbita ha seguito la necessità strategica di poter osservare in qualunque momento le mosse dell’avversario.

Oggi, gli occhi di satelliti potrebbero non essere più rivolti solo alla superficie terrestre, ma guardare anche a quanto accade oltre l’atmosfera, nelle orbite intorno a loro. E visto che i satelliti che scattano foto di oggetti nello spazio sono gli stessi a cui oggi ci affidiamo per riprendere le immagini della Terra, è previsto nel breve periodo un aumento consistente dei lanci di questo tipo di piattaforme, in modo da coprire e monitorare sia il suolo che le orbite. Una necessità, visto il numero sempre più elevato di oggetti nello spazio, dai detriti spaziali ai satelliti capaci di interferire con le piattaforme in orbita.

Il Pentagono ha da tempo hanno lanciato l’allarme riguardo a satelliti dal comportamento anomalo, a partire dal satellite russo denominato “Luch” che nel 2014 aveva avvicinato e stazionato per molte settimane vicino al satellite Usa Intelsat 901. Mosca ha poi lanciato nel corso degli anni altri sistemi ritenuti in grado di agganciare in maniera ostile le piattaforme extra-atmosferiche. Essere in grado di osservare in tempo quasi-reale le orbite, dunque, significa anche essere in grado di prevenire questo tipo di minacce.

A guidare questo cambio di paradigma c’è la compagnia aerospaziale americana Maxar Technologies, tra le protagoniste della sorveglianza spaziale delle prime fasi dell’invasione russa. La società, con sede in Colorado, si occupa di comunicazioni satellitari, e ha dato grande visibilità al proprio monitoraggio dei movimenti russi. Adesso, la società, oltre a fornire immagini delle orbite all’amministrazione statunitense, si sta proponendo di diffondere questa capacità anche al settore privato. Le nuove compagnie della Space economy, infatti, potrebbero beneficiare di questo tipo di informazione sia per monitorare i propri asset già in orbita, sia nelle delicate fasi di lancio di vettori, evitando potenziali collisioni con detriti oltre l’atmosfera.

Attualmente, l’industria dell’analisi delle immagini geospaziali vale circa nove miliardi di dollari, e secondo le stime è destinata a crescere fino a 37 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni. Secondo la Us Space force, il mercato della Space situational awareness, la capacità, cioè, di tenere sotto controllo i movimenti di oggetti nello spazio, varrà da solo quasi due miliardi di dollari entro il 2028.

Non è un caso se la stessa Space force ha di recente affidato a Northrop Grumman un contratto per la realizzazione di due siti radar per l’osservazione dello spazio profondo (Deep space advanced radar capability – Darc), parte dello sforzo per potenziare “le capacità di awareness nel dominio spaziale in grado di prevenire le aggressioni”, come spiegato dal Comando sistemi spaziali della Ussf. Lo scopo dei siti Darc, infatti, è proprio quello di tracciare i satelliti attivi e i detriti fino all’orbita geosincrona. Un primo sito è già in fase di sviluppo, con un costo di 341 milioni di dollari, nella regione dell’Indo-Pacifico. I nuovi due Darc dovrebbero essere realizzati in Europa e negli Stati Uniti continentali.


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Francesco Cossiga e la sua attenzione alla Sicurezza. Scrive il gen. Tricarico


Sintetizzare in uno scritto – per di più con il capestro delle dimensioni mediatiche – la figura e la personalità di Francesco Cossiga è semplicemente impossibile. Ho però la fortuna di aver vissuto in presa diretta una delle sue “creature”, uno degli int

Sintetizzare in uno scritto – per di più con il capestro delle dimensioni mediatiche – la figura e la personalità di Francesco Cossiga è semplicemente impossibile.

Ho però la fortuna di aver vissuto in presa diretta una delle sue “creature”, uno degli interessi ricorrenti nel suo lungo radicamento nella politica e nelle istituzioni: quello della Sicurezza, quello di un suo specifico cruccio che lo portava ad approfondire, al di là delle sue precipue attribuzioni, ogni tema legato alla sicurezza collettiva, anche nelle più ampie dimensioni istituzionali.

Ero ancora in servizio attivo quando il presidente Cossiga mi rese partecipe delle sue preoccupazioni sulla procedura, da poco resa operativa anche in Italia, mediante la quale il governo – Cossiga era convinto che un generale dell’Aeronautica sarebbe rimasto con il cerino in mano – era autorizzato a dare l’ordine di fuoco su un velivolo civile con terrorista a bordo. Su questa fattispecie di evenienza egli era convinto che alla prima occasione si sarebbe aperto uno scenario di impedimenti giuridici insuperabili che – secondo lui – postulavano una riflessione più profonda e una attenta revisione della norma appena varata.

Qualche anno più tardi il suo “pallino” per la sicurezza avrebbe fatto un altro centro con la nascita di Icsa, la Fondazione da lui voluta, concepita, avviata e indirizzata in maniera concreta, operativa e attuale, semmai qualcuno avesse nutrito dubbi sulla possibile nascita di uno dei tanti organismi di facciata di cui è ricco il panorama italiano.

Ricordo con nettezza quel pomeriggio di novembre 2009 all’hotel Cicerone in Prati quando, all’atto dell’insediamento, gli organi della Fondazione, freschi di ratifica notarile, furono chiamati da Cossiga – presidente onorario – a esprimersi, uno ad uno in un giro di tavolo, sulla bozza della legge di riforma dei servizi di Informazione. Dal presidente Marco Minniti a tutti noi – ed eravamo tanti e piuttosto familiari con la materia – fummo puntualmente ingaggiati in una discussione di merito nella quale, come al solito, ne sapeva più di tutti.

Rimase con noi come presidente onorario per poco più di un anno. Poi si lasciò andare, non lottò più, lasciandoci un’eredità che tuttora facciamo di tutto per onorare con il nostro impegno quotidiano e nel suo ricordo riconoscente e devoto.


formiche.net/2023/08/francesco…



Se paghi salti la fila al pronto soccorso: la sanità neoliberista arriva a Bergamo | L'Indipendente

"Quello dei pronto soccorsi a pagamento rappresenta uno dei risultati più evidenti del processo di smantellamento del Sistema sanitario nazionale e si può considerare l’anticipazione della sanità del futuro nel suo complesso se non ci sarà un’inversione di tendenza in quest’ambito. Si tratta della vittoria del neoliberismo e del business sullo stato sociale e sulla cura e i servizi ai cittadini."

lindipendente.online/2023/08/1…



Come si hackera un satellite? Il team italiano vince la sfida della Space force


L’Italia è stata protagonista del concorso Hack-A-Sat, l’evento annuale promosso dal laboratorio di ricerca della US Space Force e della US Air Force per contribuire a migliorare la cyber-sicurezza dei satelliti impiegati dal Dipartimento della Difesa. Un

L’Italia è stata protagonista del concorso Hack-A-Sat, l’evento annuale promosso dal laboratorio di ricerca della US Space Force e della US Air Force per contribuire a migliorare la cyber-sicurezza dei satelliti impiegati dal Dipartimento della Difesa. Una squadra del nostro Paese, il team “mHACKeroni”, ha infatti battuto cinque gruppi di ricercatori informatici internazionali in una sfida per prendere il controllo di un vero satellite in orbita. Le cinque squadre si sono cimentate in nove diverse sfide, sette delle quali prevedevano l’hacking del Moonlighter CubeSat quale banco di prova per la cyber-security in orbita, il primo e unico sandbox di hacking nello spazio. I mHACKeroni, un conglomerato di cinque gruppi di ricerca informatica italiani, si sono aggiudicati 50mila dollari per il primo posto.

Nei precedenti eventi Hack-A-Sat, i concorrenti hanno utilizzato delle simulazioni di satelliti a terra (chiamati FlatSats) o un gemello digitale del satellite Moonlighter. Quest’anno, invece, oltre alle sfide a terra, ben sette sono state effettuate con il satellite effettivamente in orbita, mettendo alla prova le proprie competenze in campo spaziale, tra cui le operazioni sui veicoli orbitanti, le comunicazioni in radiofrequenza e il reverse engineering. L’obiettivo della competizione è svolgere una missione definita di “ruba bandiera”: le squadre di hacker devono trovare stringhe di testo (chiamate appunto “bandiere”) nascoste in programmi progettati per essere vulnerabili (cioè, senza dover mettere davvero a repentaglio la macchina, permettendo al contempo di testarne i limiti nei propri sistemi di sicurezza). La sfida principale prevedeva l’hacking di Moonlighter per costringerlo a scattare una foto di un obiettivo terrestre a scelta della squadra, scaricando poi l’immagine presa su una stazione di terra, aggirando i blocchi di sicurezza del satellite che gli impedivano di fotografare determinate aree.

Moonlighter è un CubeSat 3U (composto da tre cubi da dieci centimetri per dimensione) costruito da The Aerospace Corporation in collaborazione con il Comando sistemi spaziali della Us Space force. Il satellite è stato lanciato su un Falcon 9 di SpaceX verso la Stazione spaziale internazionale il 5 giugno e da lì è stato dispiegato nell’orbita terrestre bassa il 6 luglio per essere utilizzato non solo nel concorso Hack-A-Sat, ma anche come futuro banco di prova per i prossimi test di cyber-security del Pentagono.


formiche.net/2023/08/hacker-sa…



Weekly Chronacles #41


Eyeballs, travel IDs and humanoid robots

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A me gli occhi


Worldcoin, il progetto lanciato da Sam Atman (quello di ChatGPT) a fine luglio, condividerà la sua tecnologia anche alle aziende.

La palla iper-tecnologica1 per scansionare l’iride delle persone e creare un’identità univoca potrà quindi essere usata in futuro dalle aziende (e anche agenzie governative, immagino) per verificare l’identità delle persone, indossolubilmente legata alla scansione biometrica dei loro occhi.

Dall’inizio dei test più di 2 milioni di persone si sono iscritte volontariamente al programma. Lo stesso Sam Atman su X postava una media di circa 1 persona ogni 8 secondi, con file estenuanti anche ben fuori dai locali.

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Ebbene sì, viviamo in un mondo in cui le persone fanno la fila per farsi schedare da una palla robotica e ricevere in cambio un token. Nel frattempo, il governo del Kenya ha deciso di vietare Worldcoin all’interno del paese, e alcune autorità europee hanno iniziato delle indagini in merito alla protezione dei dati delle persone.

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Documenti, per favore


Un documento interno del governo canadese2 mostra alcuni dettagli su un progetto chiamato Known Traveller Digital Identity (KTDI) iniziato come test pilota nel 2018 insieme al World Economic Forum, oltre al governo olandese e la Royal Dutch Airlines. Pare che nel 2021 siano stati stanziati più di 100 milioni per realizzare questo schema d’identità digitale che dovrebbe sostituire la fase di controllo dei documenti cartacei negli aereoporti.

Non c’è dubbio che progetti di questo tipo saranno sempre più frequenti. Già in Italia abbiamo aereoporti che volontariamente hanno integrato sistemi di fast-track attraverso la scansione biometrica del viso delle persone. Eppure non c’è molto da festeggiare per questo rinnovato comfort: l’esperienza del green pass insegna che uno strumento del genere può facilmente trasformarsi in un mezzo per autorizzare o negare gli spostamenti di alcune persone (hai pagato tutte le tasse prima di uscire dal paese?).

Un robot per evitare il Boomercausto®


Una start-up cinese, Fourier Intelligence, ha iniziato a fare quello che tutti ci aspettavamo: costruire robot umanoidi con un “cervello” simile a chatGPT. Si chiama GR-1 e sarà il primo robot umanoide costruito su scala industriale, dicono.

La missione di questo robot umanoide sarà, a quanto pare, evitare il Boomercausto®3. Si stima infatti che in Cina entro il 2035 gli over 60 passeranno da 280 milioni a più di 400. Sarà molto difficile sopperire alla domanda di cure mediche e assistenza, data la contemporanea diminuzione di giovani in età lavorativa, e così dovremo rivolgerci ai robot.

Considerando che ChatGPT supera facilmente i test di medicina e che ci sono già casi in cui le sue diagnosi sono migliori e più accurate di medici umani, potrebbe effettivamente essere una misura interessante avere un robot-maggiordomo che si prenda cura del nonno. Ma chi potrà permetterselo e quali saranno le ripercussioni psicologiche di delegare la cura e l’assistenza degli umani a una scatoletta di alluminio? Il rischio è che i nuclei familiari, già annientati da quasi un secolo di neo-marxismo, ne risentano ancora di più.

Weekly memes


Weekly quote

“All human beings have three lives: public, private, and secret.”
Gabriel García Márquez

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Your eyes, please


Worldcoin, the project launched by Sam Altman (the creator of ChatGPT), at the end of July, will provide access to its technology for businesses as well.

The hyper-technological ball for scanning people's irises and creating a unique identity could, therefore, be used in the future by companies (and likely government agencies as well) to verify people's identities, inextricably linked to the biometric scanning of their eyes.

Since the beginning of the tests, more than 2 million people have voluntarily enrolled in the program. Sam Altman himself on X was reportedly adding an average of about 1 person every 8 seconds, with lines forming even well outside the premises.

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Indeed, we live in a world where people stand in line to be registered by a robotic ball and receive a token in return. Meanwhile, the government of Kenya has decided to ban Worldcoin within the country, and some European authorities have initiated investigations regarding the protection of people's data.

Papers, please


An internal document of the Canadian government reveals some details about a project called Known Traveller Digital Identity (KTDI), which began as a pilot test in 2018 in collaboration with the World Economic Forum and theDutch government and the Royal Dutch Airlines. It appears that over 100 million dollars were allocated in 2021 to realize this digital identity scheme, intended to replace the paper document verification process at airports.

There is no doubt that projects of this nature will become increasingly common. In Italy, for instance, there are airports that have voluntarily integrated fast-track systems through biometric facial scanning of individuals.

However, there isn't much to celebrate for such a comfort: the experience of the green pass teaches us that a digital ID can quickly turn into a tool for approving or denying transportation access to certain people (have you paid all your taxes before leaving the country?).

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A robot to save Boomers


A Chinese startup, Fourier Intelligence, has begun doing what many expected: building humanoid robots with a "brain" similar to chatGPT. It's called GR-1, and they claim it will be the first humanoid robot built on an industrial scale.

The mission of this humanoid robot, apparently, is to address the "Boomercaust." It's estimated that in China by 2035, the population of individuals over 60 years old will increase from 280 million to over 400 million. Meeting the demand for medical care and assistance will be challenging due to the concurrent decrease in the young working-age population, hence the need to turn to robots.

Considering that ChatGPT easily passes medical tests and there are already cases where its diagnoses are better and more accurate than those of human doctors, having a robot butler that takes care of the elderly could indeed be an interesting measure. But who will be able to afford it, and what will be the psychological repercussions of delegating human companionship to an aluminum box? The risk is that families, already affected by nearly a century of neo-Marxism, might suffer even more.

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The GR-1 presentation video


privacychronicles.it/p/weekly-…



Il regista iraniano Roustayi condannato al carcere per aver presentato il suo film a Cannes


Il regista è stato accusato di contribuire alla propaganda degli oppositori e di mettere in cattiva luce l'Iran. Per 5 anni non potrà girare film L'articolo Il regista iraniano Roustayi condannato al carcere per aver presentato il suo film a Cannes provi

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Pagine Esteri, 16 agosto 2023. Leila’s Brothers, in italiano “Leila e i suoi fratelli” ha vinto a Cannes il premio Fipresci 2022, il riconoscimento che viene assegnato durante il Festival dalla Federazione internazionale della stampa cinematografica. È un film che racconta la storia di una famiglia di Teheran alle prese con la difficile situazione economica del Paese. Una famiglia divisa i cui membri sembrano inseguire ambizioni personali e il solo riconoscimento sociale, tranne Leila, che tenta di rimettere insieme i pezzi per provare a tenere tutti al sicuro. Sullo sfondo di un Paese con gravi difficoltà economiche la storia racconta il patriarcato e la difficile situazione sociale.

È il terzo film prodotto da Saeed Roustayi, 34 anni, che nel 2021 con La Loi de Teheran, selezionato a Venezia e Grand Prix de Reims Polar, raccontava la lotta al traffico di droga in Iran. Anche il lungometraggio del 2016, Life and a Day, parlava del suo Paese, attraverso la storia della partenza di una giovane ragazza che lascia la sua famiglia.

Il regista è stato condannato a sei mesi di carcere per aver presentato il film al Festival di Cannes senza aver ricevuto il permesso del governo iraniano. Insieme al produttore Javad Noruzbegi è stato accusato di “contribuire alla propaganda degli oppositori” contro la Rivoluzione e di mettere in cattiva luce l’Iran. Alla condanna si aggiunge il divieto, per 5 anni, di effettuare riprese video. Gran parte della pena è sospesa e il regista sconterà, probabilmente, solo pochi giorni di prigione. Rimane il divieto di girare e di partecipare a competizioni o festival internazionali.

La proiezione del film era già stata vietata in Iran nel 2022, dopo la presentazione a Cannes. Secondo le autorità iraniane il divieto era dovuto al rifiuto da parte del regista di “correggere” le parti segnalate dalla commissione governativa.

L’attrice protagonista che interpreta Leila, Saeed Roustaee, era stata arrestata nel dicembre 2022 dopo aver pubblicato un video di sostegno alle proteste delle donne iraniane scoppiate dopo l’uccisione della giovane Mahsa Amini. Rilasciata a gennaio 2023, prima dell’arresto scrisse in un post su Instagram: “Rimango e non ho intenzione di andarmene come si dice in giro. Non ho passaporto né residenza in nessun altro paese se non l’Iran. Resterò, smetterò di lavorare, sarò al fianco delle famiglie dei prigionieri e delle persone uccise ed esigerò il rispetto dei loro diritti“. Pagine Esteri

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ECUADOR. Al voto tra omicidi, minacce e violenze


Autobombe, attentati con dinamite, assassinii, rapimenti e ammutinamenti nelle carceri. Il Paese è diventato il più insicuro della regione L'articolo ECUADOR. Al voto tra omicidi, minacce e violenze proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/202

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di Davide Matrone –

Pagine Esteri, 16 agosto 2023. Non si ferma la violenza in Ecuador, ormai il Paese più insicuro dell’intera regione secondo i dati dell’Istituto CID Gallup del gennaio 2023 che registra alti indici di omicidi in proporzione alla popolazione totale. Sette anni fa invece risultava essere il 2° paese più sicuro del sudamerica. Siamo a pochi giorni dalle elezioni presidenziali e in piena campagna elettorale è stato ucciso uno degli otto candidati alla presidenza della Repubblica: Fernando Villavicencio. Il candidato della destra – già parlamentare per il partito CREO del Presidente Guillermo Lasso – è stato freddato con tre colpi di pistola dopo un comizio elettorale a Quito lo scorso 9 agosto.

L’episodio drammatico è avvenuto in una delle strade centralissime della capitale del paese. Le dinamiche dell’attentato sono al vaglio degli inquirenti che devono valutare quali sono state le faglie del sistema di protezione per il lider del movimento politico “Construye”. Nel frattempo son stati fermati 6 colombiani che apparterrebbero al commando che ha ucciso il giornalista e politico ecuatoriano. Di attentati verso dirigenti politici se n’erano registrati alcuni nelle zone della costa nelle ultime settimane ma non ancora nella regione Sierra. Con questo episodio, l’allarme si attiva sempre di più anche nel cuore del centro politico e amministrativo della nazione. Fernando Villavicencio è l’ultimo di una lunga lista tra uccisi e minacciati nel campo della politica. Javier Pincay, Julio Farachio nella località di Salinas, Omar Menéndez nella zona di Puerto López e il candidato al parlamento Rider Sánchez per Esmeraldas. Poi ancora, Luis Chonillo della città di Durán e Agustín Intriago sindaco di Manta sono caduti in questo 2023 sotto la violenza della malavita del paese.

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Fernando Villavicencio, il candidato alle elezioni in Ecuador, ucciso a colpi di arma da fuoco

Inoltre, è di questi giorni la notizia del sequestro lampo alla figlia dell’ex sindaco di Quito, Yunda, ad opera di 5 uomini incappucciati, come narra lo stesso ex sindaco in un pubblico tweet. E per finire, l’uccisione di Pedro Birmeo a Esmeraldas nella giornata del 14 agosto. I sequestri, le minacce, gli omicidi sono trasversali. Qualsiasi politico, di qualsiasi coalizione o partito politico può essere oggetto di minacce e violenze. A questa situazione si aggiunge un clima di criminalità diffusa in tutto il Paese in cui ogni giorno si registrano casi di autobombe, attentati con dinamite, episodi di sicariato e ammutinamenti nelle carceri che continuano nel pieno caos. Addirittura è stato scoperto un allevamento di pesci in un padiglione della carcere di Guayaquil senza che la autorità ne sapessero nulla. Il Paese sembra in balia delle onde o meglio ancora controllato da bande criminali che hanno conquistato sempre più pezzi di territorio.

Giornalisti intimiditi lasciano il paese

Non solo politici ma anche giornalisti e ricercatori di notizie hanno dovuto lasciare il Paese in quanto minacciati. L’hanno fatto, inoltre, durante il governo democratico e difensore della libertà di espressione di Lasso e non durante il periodo del governo tirannico e antidemocratico di Rafael Correa. Stranezze della vita. Tra i casi da annoverare c’è quello della giornalista Karol Noroña del mezzo GK di Guayaquil che nel marzo del 2023 è dovuta fuggire dal paese per minacce di morte. La giornalista stava realizzando una serie di ricerche sui fatti avvenuti nelle carceri del paese. I due giornalisti Andres Boscán e Mónica Velásquez del mezzo di comunicazione La Posta lo scorso 25 luglio sono usciti dall’Ecuador per aver ricevuto minacce sulle ricerche che stavano realizzando sul caso Il Padrino, a seguito del quale si evidenziò l’esistenza di una presunta struttura criminale che opererebbe nelle imprese pubbliche. Secondo uno studio dell’agenzia Fundamedios, nei primi 7 mesi del 2023 si sono avuti 151 attacchi contro la stampa e la mancata applicazione della legge organica della comunicazione per fondi insufficienti. Si era stabilito che nel novembre del 2022 si dovesse creare un meccanismo di prevenzione e protezione per i giornalisti attraverso il Consiglio di sviluppo e di promozione dell’Informazione e della Comunicazione. Tutto ciò è ancora in alto mare.

Il dibattito presidenziale

Nella giornata del 13 agosto si è tenuto il primo e unico dibattito presidenziale con la presenza dei 7 candidati presidenziali e con un posto vuoto per l’assenza di Fernando Villavicencio. Il dibattito – che dibattito non è stato affatto – è cominciato con un minuto di silenzio e con la presentazione del regolamento e della dinamica dell’incontro televisivo. Un regolamento assurdo che non ha permesso ai candidati di analizzare i problemi enormi del paese e di dare proposte concrete. Ognuno aveva 1 minuto a disposizione e inoltre, c’erano altri pochissimi 15 secondi per controbattere agli interventi degli interlocutori. Infine, dopo ripetute interruzioni dei presentatori che hanno più distratto che animato il “dibattito”, quest’ultimo ha alimentato ancor di più i dubbi invece che dare certezze all’elettorato ecuatoriano. I candidati sembravano scolaretti impegnati nell’esposizione di fine anno alla presenza dei maestri di scuola. Al momento la candidata Luisa González avrebbe più consensi ma non il 40% per vincere al primo turno e si prevede un ballottaggio con il candidato della destra Juan Topic. La candidata del movimento Revolución Ciudadana è tra il 30-33%mentre alle spalle c’è il candidato del Partito Social Cristiano in una forbice che va dal 15 al 17%. Il ballottaggio è previsto per il prossimo mese di ottobre. Il 20 agosto avremo risposte più chiare sulle elezioni anticipate in Ecuador 2023.

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Isaak Babel – L’armata a cavallo


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Buon Ferragosto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito!

📚 Anche quest’anno vogliamo farvi compagnia parlando di libri: quali state leggendo? E quali sono stati i vostri preferiti durante questo anno scolastico?

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Lo Spazio al vertice tra Usa, Corea del Sud e Giappone


La cooperazione militare, civile e commerciale nello spazio sarà uno dei principali argomenti in agenda durante il primo vertice trilaterale tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcorea

La cooperazione militare, civile e commerciale nello spazio sarà uno dei principali argomenti in agenda durante il primo vertice trilaterale tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol che si terrà venerdì prossimo a Camp David. L’obiettivo della Casa Bianca è quello di promuovere una più stretta cooperazione in orbita tra le due nazioni del Pacifico, ognuna delle quali è un alleato regionale chiave degli Stati Uniti, ma le cui inimicizie storiche, soprattutto per quanto riguarda le azioni del Giappone nella penisola coreana durante la Seconda guerra mondiale, hanno spesso rallentato gli sforzi per rendere Tokyo e Seul partner militari a tutti gli effetti.

A livello bilaterali, infatti, l’amministrazione Bidena ha già lavorato con ciascuno dei due Paesi per potenziare e approfondire i livelli di cooperazione extra-atmosferica sia con il Giappone, sia con la Corea. Washington e Seoul, per esempio, hanno firmato ad aprile una dichiarazione congiunta per la cooperazione nell’esplorazione spaziale, nel corso di una visita di Yoon negli Stati Uniti, durante la quale ha visitato la Nasa insieme alla vice presidente, Kamala Harris. Biden e Yoon si sono anche “impegnati a rafforzare ulteriormente l’alleanza tra Stati Uniti e Corea” nello spazio. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno “accolto con favore l’impegno della Repubblica di Corea a non condurre test distruttivi di missili antisatellite a gittata diretta”, un’iniziativa di cui Washington, e in particolare Harris, si sono fatti promotori a livello globale.

Allo stesso modo, la cooperazione spaziale è stata uno dei temi centrali dell’incontro di gennaio Usa-Giappone in formato 2+2 Esteri-Difesa tra i segretari di Stato, Antony Blinken, e della Difesa, Lloyd J. Austin, e i ministri degli Esteri, Yoshimasa Hayashi, e della Difesa, Yasukazu Hamada. Nella dichiarazione congiunta le due parti hanno affermato che “gli attacchi verso, da o nello spazio potrebbero portare all’invocazione dell’articolo V del Trattato di sicurezza tra Giappone e Stati Uniti”. Washington e Tokyo hanno anche firmato l’Accordo quadro bilaterale per la cooperazione nell’esplorazione e nell’uso dello spazio extra-atmosferico, compresa la Luna e altri corpi celesti, per scopi pacifici. Inoltre, Tokyo ha recentemente adottato la sua prima Iniziativa per la sicurezza spaziale, che si impegna a rafforzare le capacità spaziali di sicurezza nazionale del Giappone e ad ampliare le competenze della Forza di autodifesa giapponese per attaccare le comunicazioni o colpire i sistemi terrestri dei satelliti avversari in un eventuale scenario di conflitto.

A spingere gli Stati Uniti, e in particolare il Pentagono, a cercare un rafforzamento dei legami spaziali militari con i propri alleati dell’Indo-Pacifico c’è sicuramente la consapevolezza della rapida crescita delle capacità spaziali della Cina, il cui sviluppo di tecnologie avanzate potrebbero mettere a rischio le risorse spaziali Usa e alleate in caso di conflitto. In cima alla lista delle priorità per il dipartimento della Difesa Usa c’è il potenziamento delle capacità di Situational space awarness e i sistemi di allarme e difesa antimissile. In queste aree, inoltre, sembra essere più convinta la volontà di Giappone e Corea di collaborare. Per esempio, durante lo Shangri-La Dialogue di Singapore a giugno, i tre Paesi hanno collegato i rispettivi radar di allarme missilistico balistico presenti nella regione per evitare potenziali provocazioni da parte, soprattutto, della Corea del Nord.

Di recente, inoltre, anche gli ufficiali della Space force statunitense si sono incontrati con i colleghi giapponesi e sudcoreani per discutere di come integrare meglio le rispettive capacità. Il Giappone ha già un robusto programma spaziale che comprende la cooperazione militare con gli Stati Uniti. La Corea del Sud, dal canto suo, sta cercando di potenziare il proprio status spaziale, e a marzo l’Assemblea nazionale di Seul ha approvato un aumento di quasi il 20% della spesa spaziale annuale, con una particolare attenzione ai sistemi di osservazione terrestri impiegati per sorvegliare le attività militari regionali.


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Così l’Ucraina attacca la logistica russa. Ma servono i missili tedeschi


Il tallone d’Achille dell’invasione russa potrebbe essere la sua linea logistica, e per colpirla l’Ucraina ha bisogno di missili a lungo raggio. È questa la linea di fondo che sembra trasparire dalle ultime iniziative da parte di Kiev, compreso l’appello

Il tallone d’Achille dell’invasione russa potrebbe essere la sua linea logistica, e per colpirla l’Ucraina ha bisogno di missili a lungo raggio. È questa la linea di fondo che sembra trasparire dalle ultime iniziative da parte di Kiev, compreso l’appello del consigliere presidenziale, Mikhaylo Podolyak, riferendosi ai missili Taurus promessi dalla Germania e gli Atacms statunitensi. “I missili a lungo raggio per l’Ucraina ora significherebbero una forte riduzione delle capacità di combattimento della Russia”, ha detto l’alto funzionario ucraino, attraverso la “distruzione delle riserve e delle risorse della Russia” anche dietro le prime linee di combattimento, permettendo così di “minimizzare le perdite umane e ridurre l’escalation” ha detto ancora Podolyak.

Quella del consigliere presidenziale ucraino potrebbe anche essere una risposta ai dubbi e alle polemiche scaturiti proprio in Germania dopo le indiscrezioni circa la volontà di Berlino di fornire i missili a lungo raggio Taurus a Kiev. Le preoccupazioni, riportate anche da Der Spiegel, sarebbero relative alla capacità di questo tipo di munizioni di colpire anche il territorio russo, un’eventualità che potrebbe portare a pericolose escalation da parte di Mosca. Timori che sembrerebbero condivisi dallo stesso cancelliere Olaf Scholz, portandolo a chiedere una modifica ai sistemi dell’ordigno che gli impedisca di raggiungere lo spazio aereo di Mosca. In queste ore, scrive ancora il settimanale tedesco, il governo starebbe trattando la natura delle modifiche con le industrie responsabili della produzione del Taurus.

Si tratterebbe di una limitazione nella programmazione relativa all’agganciamento del bersaglio da integrare nei sistemi prodotti dalla Taurus Systems, società tedesco-svedese nata grazie alla collaborazione tra Mbda Deutschland e Saab Bofors Dynamics. Ufficialmente Taurus Kepd 350, sono dei missili aria terra, questi sistemi sono entrati in produzione a partire dal 2005 e sono attualmente in dotazione alle Forze armate di Germania, Spagna e Corea del Sud. Lungo poco più di cinque metri con un peso di circa 1.400 chili (di cui cinquecento sono il peso della testata stessa), il Taurus ha un raggio di cinquecento chilometri, ed è stato sviluppato per essere utilizzato principalmente per distruggere obiettivi di superficie e punti nodali nell’infrastruttura di un potenziale nemico. Con una ridotta rilevabilità da parte dei radar, il missile possiede una testata in tandem, con ordigni primario e secondario uno davanti all’altro in modo da aumentare notevolmente le capacità di penetrazione di superfici rinforzate, come pareti o soffitti in cemento armato.

Sistemi, dunque, molto adatti a colpire quei “magazzini, trasporti, carburante” citati da Podolyak, cioè le vitali linee di rifornimento che permettono alle Forze armate russe di resistere di fronte alla controffensiva ucraina. Lo sforzo ucraino di colpire la catena logistica russa nei territori invasi, compresa la Crimea, fa parte di quello che il think tank statunitense Institute for the Study of War ha definito una “campagna di interdizione con l’obiettivo di strutturare le condizioni favorevoli a più grandi operazioni controffensive”. Il punto è rendere sempre più complesso per Mosca trasportare e muovere le risorse necessarie a sostenere il proprio sforzo bellico. Persino i ripetuti attacchi al ponte di Kerch che collega la Crimea occupata alla Russia (l’ultimo dei quali secondo il ministero della Difesa russo è stato condotto nel fine settimana con due droni), farebbe parte di questa strategia, puntando a distruggere quella che di fatto e un collegamento vitale per il rifornimento delle truppe russe in Ucraina.


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È il momento di rivedere l’istituto dei senatori a vita


E se li abolissimo? Conclusa la lettura de “I senatori a vita visti da vicino”, brillante saggio del costituzionalista Paolo Armaroli, la domanda sorge spontanea. Non si vogliono abolire i senatori a vita di nomina presidenziale? Bene, ma almeno impediamo

E se li abolissimo? Conclusa la lettura de “I senatori a vita visti da vicino”, brillante saggio del costituzionalista Paolo Armaroli, la domanda sorge spontanea. Non si vogliono abolire i senatori a vita di nomina presidenziale? Bene, ma almeno impediamogli di votare la fiducia ai governi, cioè di avere un peso politico decisivo. Peso immeritato, dal momento che svolgono la loro funzione per grazia presidenziale e non per volontà popolare.

L’articolo 59 della Costituzione dice che “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Il primo, il matematico Guido Castelnuovo, fu nominato nel 1949; l’ultimo, Liliana Segre, nel 2018. In tutto, l’aula del Senato ne ha visti sfilare 38. In teoria. Molti di loro non si sono infatti mai visti. Armaroli, raro caso di cattedratico con prosa montanelliana, li chiama “i fantasmi” e correttamente si chiede se la loro sistematica assenza sia compatibile con lo spirito della Carta costituzionale e con l’onore ricevuto.

Nella mia breve esperienza senatoriale, ad esempio, durante la scorsa legislatura ho avuto modo di apprezzare la presenza della biologa Elena Cattaneo, dell’economista Mario Monti e, compatibilmente con l’età, di Liliana Segre. Ma l’architetto Renzo Piano non l’ho mai visto comparire, mentre il Nobel per la fisica Carlo Rubbia l’ho intravisto sí e no un paio di volte. Hanno altro da fare, d’accordo. Ma allora perché non rinunciano ad uno status che di per sè presuppone la disponibilità ad elevare il dibattito parlamentare? «I saperi, le competenze, le esperienze dei benemeriti della Patria rappresentano per il Senato elettivo un valore aggiunto. A condizione, però, che esercitino sempre le loro funzioni con disciplina e onore come prescrive la Carta costituzionale», scrive Paolo Armaroli. Il quale, a testimonianza di quanto i tempi siano cambiati, ricorda che don Luigi Sturzo cercò di rifiutare la nomina che gli veniva offera dal presidente Luigi Einaudi perché «non sono sicuro di poter venire in aula tutti i giorni»… Altri tempi, appunto.

Ancor più sconveniente, nella soppiattante ricostruzione armaroliana, il ruolo “politico” svolto dai senatori a vita in alcuni passaggi cruciali della storia repubblicana più recente. Il secondo governo Prodi nacque esclusivamente grazie al voto di 6 senatori a vita su 7, i quali consentirono al governo di centrosinistra di muovere i primi passi «senza neanche prendersi il disturbo di motivare il proprio sì. Votano sì e basta. Perché? Perché sì», chiosa Armaroli. Il quale poi ricorda come l’intera legislatura iniziata nel maggio del 2006 dipese dagli umori dei nostri illustri e meritori concittadini, con Giulio Andreotti improvvisamente elevato dalla sinistra al rango di padre della Patria, da capo della mafia quale era stato fino a quel momento considerato.

Andò diversamente al debuttante Silvio Berlusconi. Armaroli rammenta che la fiducia al Berlusconi I passò per un solo voto: «Votarono sì Agnelli, Cossiga e Leone. Votarono no Andreotti, De Martino e Valiani. Perciò i sì pareggiarono i no. Ma si astengono Spadolini e Taviani. E prima della riforma del Senato del 2017 gli astenuti alzano il quorum di maggioranza. Ne consegue che la mozione di fiducia al Berlusconi 1 è passata non già grazie al sostegno dei senatori vitalizi ma, al contrario, nonostante il loro voto».

Il tema è stato affrontato da almeno una decina di disegni di legge costituzionale: c’è chi ha chiesto di sopprimere la figura dei senatori a vita, chi di inibirgli i voti di fiducia, chi di sottrargli il diritto di voto tout court. Non se n’è mai fatto nulla, anche perché la maggior parte delle proposte emendative fu formulata nelle fasi in cui più era rilevante il peso politico degli illustrissimi. Ragion per cui sarebbe opportuno affrontare il tema oggi, quando l’ampiezza della maggioranza è tale da scongiurare interpretazioni “partigiane” di un’eventuale riforma costituzionale.

Huffington Post

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The evolution of the Chinese Social Scoring


The new Chinese law on social scoring promises to strengthen and graft the system into every economic and social sphere. Is it an open window on our future?

I have often had the opportunity to talk about social credit. Between more or less developed systems and local experiments, examples are certainly not lacking. China has always been a benchmark, even if the system today is still far from how most people imagine it.

There are some pilot trials and some local systems, but other than that, not much. However, this does not mean that the government is not interested in carrying out the project. Indeed, it seems that they want to give a big boost to its development.

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From covid passes to social credit


It’s quite known that the Chinese government is willing to do anything to maintain social order. This is demonstrated by the extensive use of covid passes in recent months, while the western countries seems to have abandoned them. The covid pass, as mentioned several times also on these pages, is nothing more than a crude and limited social credit system passed off as something else: green, you're among the good ones; red — grounded.

The Chinese government makes no secret of it: in recent months they have had no problem using the covid pass to dampen uncomfortable protests in the bud, changing the status of the protesters' pass from green to red. I remind you that a covid red pass in China is equivalent to forced incarceration in "quarantine camps" where you know when you enter, but you don't know when you’ll be able to leave.

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But why limit yourself to the covid pass, when you could create a much more pervasive system, completely integrated in every social and economic area?

The evolution of the social credit system


This is where the new bill called “Social Credit System Construction Law of the People's Republic of China” comes into play.

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In principio fu Fontana di Trevi, l’ipocrita dibattito sul match Musk-Zukerberg


In principio fu Fontana di Trevi. Quel che è ancor oggi vietato a noi comuni mortali fu concesso nel 1960 alla divina Anita Ekberg: immergersi nelle acque del monumento settecentesco, realizzando così la più memorabile tra le scene della Dolce Vita di Fed

In principio fu Fontana di Trevi. Quel che è ancor oggi vietato a noi comuni mortali fu concesso nel 1960 alla divina Anita Ekberg: immergersi nelle acque del monumento settecentesco, realizzando così la più memorabile tra le scene della Dolce Vita di Federico Fellini e il più efficace tra gli spot involontari della Città eterna. Altro che Open to Meraviglia… Lo stesso anno, per le Olimpiadi, fu deciso di tenere gli incontri di lotta greco-romana alla Basilica di Massenzio, a due passi dal Colosseo.

Da allora, è stato un crescendo. Dalle rappresentazioni liriche ai Led Zeppelin, l’Arena di Verona, risalente all’epoca augustea, non ha mai smesso di ospitare eventi musicali pagati a caro prezzo. Così anche il teatro antico di Taormina, quello greco di Siracusa, quello romano di Ostia e via elencando. Ai mitici Pink Floyd sono stati concessi gli scavi di Pompei e la laguna di Venezia davanti a quel patrimonio dell’umanità che è la Basilica di San Marco. Tom Cruise è stato autorizzato a scorrazzare rombando lungo i Fori Imperiali e ai marchi della moda è stato consentito di sfilare lungo la scalinata di Trinità dei Monti, mentre il regista Peter Greenaway ha potuto allestire un set al Pantheon piuttosto che sull’Altare della Patria per girare Il ventre dell’architetto, altro spottone implicito su una Roma per l’occasione illuminata a fiaba così come un sindaco minimamente lungimirante la illuminerebbe sempre. A pagamento, sono state organizzate cene sontuose sul Ponte Vecchio di Firenze, sotto la Cappella Sistina di Roma, alla Galleria degli Uffizi, al Colosseo…

Non ci capisce, dunque, il coro di indignazione che ha accolto la notizia del match di pugilato tra Elon Musk e Mark Zuckerberg che si sarebbe dovuto svolgere al Colosseo e che potrebbe invece disputarsi all’Arena di Verona piuttosto che a Pompei. Per capirlo occorre forse metter mano a due tra le tante possibili distinzioni tra l’essere di Destra e l’essere di Sinistra. Schematizziamo. L’uomo di Destra non ha pregiudizi verso il capitale privato e tendenzialmente considera naturale mettere a reddito il patrimonio culturale per ottenere le risorse necessarie a curarlo come si deve; l’uomo di sinistra tendenzialmente no. L’uomo di Destra considera la violenza (possibilmente ritualizzata) parte naturale dell’animo umano; l’uomo di Sinistra tendenzialmente no.

Credo sia per questo che l’idea che “due miliardari” fossero disposti a pagare alcuni milioni di euro per prendersi a cazzotti come gladiatori ubriachi all’interno del Colosseo abbia fatto inorridire tanti benpensanti di sinistra. C’è da credere che se i due avessero deciso di sfidarsi al gioco degli scacchi le reazioni sarebbero state meno virulente. È probabile che se ad autorizzare tale show globale fosse stato un governo di Sinistra sarebbero state, nonostante tutto, entusiastiche.

Huffington Post

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Comunicazione di servizio


Salve Ora che sono in ferie inizierò a dare una struttura al profilo. impostando uno standard potrò poi scrivere con più tranquillità le mie considerazioni.

cordiali saluti



In arrivo nuovi elicotteri AW-101 di Leonardo per la Difesa polacca


Il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, ha annunciato l’intenzione del governo di acquistare 22 elicotteri multiruolo AW-101 di Leonardo. L’annuncio segue una serie di acquisizioni recenti da parte della Polonia. Blaszczak ha condiviso l’invi

Il ministro della Difesa polacco, Mariusz Blaszczak, ha annunciato l’intenzione del governo di acquistare 22 elicotteri multiruolo AW-101 di Leonardo. L’annuncio segue una serie di acquisizioni recenti da parte della Polonia. Blaszczak ha condiviso l’invito a negoziare su Twitter (ormai X), ma non ha ancora fornito ulteriori dettagli riguardo alle modalità d’acquisto o al costo dei velivoli. La decisione di acquistare questi elicotteri rappresenta un’ulteriore espansione delle capacità della marina polacca, che aveva precedentemente ordinato quattro AW-101 per missioni antisommergibili e di ricerca e soccorso. La consegna dei primi quattro elicotteri è attesa già nel prossimo autunno, e si accompagna all’arrivo del primo dei quattro elicotteri commissionati nel 2019, sempre a Leonardo, per un contratto del valore di 380 milioni di euro, con un rilevante valore aggiunto anche per l’industria polacca.

Le consegne

I nuovi elicotteri AW-101, annunciati dal ministro polacco, saranno un prezioso aggiornamento alle attuali risorse militari. Essi si affiancheranno agli AW149, per i quali sono in corso acquisizioni di 32 esemplari, e agli S-70i, oggetto di trattative con gli Stati Uniti per aumentarne la flotta. Il primo AW-101 sarà consegnato all’Aeronautica polacca nell’autunno, dopo aver completato i test presso gli stabilimenti PZL Swidnik di Leonardo. Tali stabilimenti stanno già producendo gli AW149 ordinati nel luglio 2022, con consegne pianificate tra il 2023 e il 2029, e i nuovi AW-101 verranno costruiti negli stabilimenti di Yeovil (nel Regno Unito) e Vergiate (in Italia). La loro entrata in servizio permetterà la sostituzione degli elicotteri Mi-8 e Mi-17, potenziando così le capacità operative delle forze aeree polacche. Il programma, previsto tra il 2025 e il 2031, rappresenterà un significativo miglioramento nelle capacità di trasporto elicotteristiche del Paese.

La nuova corsa alle armi polacca

A seguito delle tensioni con la Russia e il contesto della guerra in Ucraina, la Polonia ha annunciato già a gennaio l’intenzione di allocare il 4% del suo Pil al settore della Difesa nel 2023. Una mossa guidata dalla volontà di rafforzare le proprie capacità militari. Il ministro della Difesa polacco ha condiviso che, nel caso in cui questo impegno prosegua, entro due anni l’esercito polacco potrebbe diventare tra i più potenti in Europa. Tuttavia, tale iniziativa non ha trovato il favore di Mosca, che la considera un’ulteriore militarizzazione del Paese, affermando che la Polonia sia diventata strumento di politica anti-russa da parte degli Stati Uniti. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha espresso tali preoccupazioni proprio di recente, a inizio agosto.

Un elicottero all’avanguardia

L’elicottero AW101 prodotto da Leonardo si distingue per le sue caratteristiche innovative. Equipaggiato con tre motori General Electric GE CT7-8E, il velivolo è dotato anche di un motore turboalbero da 560 kW che funge da fonte di alimentazione ausiliaria (Apu) quando è a terra. Tale motore fornisce aria e alimenta i sistemi dell’elicottero durante le fasi di stazionamento a terra. Uno dei punti di forza dell’AW101 è il sistema computerizzato di gestione del carburante, che consente il rifornimento in volo senza la necessità di atterrare. Con un peso massimo al decollo di oltre 15 tonnellate, l’elicottero può essere configurato come versione utility per trasportare fino a 25 fucilieri con le loro attrezzature, oltre ai due piloti e all’operatore di bordo. In una configurazione più densa, può ospitare invece fino a 38 fucilieri con attrezzature leggere. La potenza dell’elicottero gli consente inoltre l’installazione di protezioni balistiche per l’equipaggio e la cabina, insieme a una suite completa di sistemi di autoprotezione. In ultimo, l’ampia avionica digitale, i sistemi elettro-ottici/infrarossi e il radar meteorologico consentono operazioni diurne e notturne in qualsiasi condizione meteorologica.


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Un'azione di solito considerata come priva di rilevanza, in un attimo speciale può scoprirsi magica e impossibile da tenere per sé: tocca scrivere una recensione.


Incapacità nociva


Un mercato funziona quando le regole sono chiare e stabili nel tempo L'articolo Incapacità nociva proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/incapacita-nociva/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed

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Taiwan Files – Il passaggio di Lai negli Usa e la reazione di Pechino


Taiwan Files – Il passaggio di Lai negli Usa e la reazione di Pechino 8732506
Vademecum sul doppio transito negli Stati Uniti del vicepresidente taiwanese (candidato più ostile al Partito comunista alle presidenziali 2024). Pechino prepara la risposta. Politica taiwanese e relazioni intrastretto. Biden tra armi e commercio. TSMC tra Germania, Arizona e i 2 nanometri. La rassegna settimanale di Lorenzo Lamperti con notizie e analisi da Taipei (e dintorni)

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Una curiosità su #thunderbird sperimentata per caso:

Nelle cartelle NON sincronizzate per l'uso offline la ricerca nel corpo del testo "pesca" anche nel contenuto degli allegati, con esito pressoché immediato (plain text ma anche pdf, excel e penso altri formati office e opendocument).

Se marchi la cartella per la sincronizzazione, salvandone in locale il contenuto, la stessa ricerca guarda solo nel testo del messaggio e non gli allegati.

Non so se sia voluto e sia così per tutti, ma ho potuto replicare il comportamento su più sistemi Windows 10, 11, server 2012 e 2019. Versione tb: 102.14.0

Su Linux sono affezionato a Evolution e non ho controllato

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Interecettazioni, un potere mai così esteso


Il Governo Meloni ha dunque varato, per di più con decretazione di urgenza, la più sostanziosa e micidiale estensione del potere di intercettazione delle conversazioni tra privati della storia repubblicana. Il regime già eccezionale delle intercettazioni

Il Governo Meloni ha dunque varato, per di più con decretazione di urgenza, la più sostanziosa e micidiale estensione del potere di intercettazione delle conversazioni tra privati della storia repubblicana. Il regime già eccezionale delle intercettazioni quando si è in presenza di associazioni mafiose, viene ora esteso anche a reati comuni che il PM ritenga commessi “con modalità mafiose”. Insomma, mentre per poter fare uso di quei poteri davvero eccezionali di ascolto era almeno necessario che vi fossero indizi del reato di associazione mafiosa, ora sarà sufficiente la agevole contestazione di quella fumosa aggravante per consentirlo per una assai vasta platea di reati comuni. Ciò che la Corte di Cassazione (non un manipolo di penalisti esagitati) aveva fermamente escluso con costante giurisprudenza, a difesa dell’art 15 della Costituzione, viene ora reso possibile dal Governo con il Ministro di Giustizia più dichiaratamente liberale degli ultimi decenni, in deferente ossequio alle pressanti richieste di alcune Procure (o super Procure) di mettere a tacere quella giurisprudenza così rigorosamente fedele al quadro dei valori costituzionali. Un paio di settimane fa a chiedevamo, da queste colonne, come avrebbe mai potuto il Ministro Nordio giustificarsi per una simile scelta (allora solo preannunciata dalla Presidente Meloni): oggi lo sappiamo. Alle impietose domande del bravo Francesco Grignetti su La Stampa, il Ministro ha sbrigativamente risposto che la misura serve solo a rendere “più incisivi” gli strumenti di indagine, ed anzi a “tipizzarne” l’uso, in ossequio al principio della certezza del diritto (sic!). Aggiungeva poi, in modo risolutivo, di non avvertire alcuna contraddizione con i propri convincimenti giacché la dicotomia garantisti/giustizialisti è fuffa, esistendo solo “la complessità della realtà”. Pensate che ingenui noi siamo: eravamo convinti che, pur nel rispetto della complessità della realtà, un ministro liberale eletto e scelto dalla propria maggioranza esattamente per tale sua qualità, dovesse realizzare da subito riforme liberali. Invece, dopo aver parlato senza tregua proprio della riforma liberale delle intercettazioni telefoniche quale snodo cruciale ed identitario della propria politica della giustizia penale, il Ministro Nordio vara una riforma di segno plasticamente opposto, in ossequio -ben si intende- alla complessità della realtà La quale ultima suggerisce anche -ci ricorda il Ministro- tempi lunghi per la separazione delle carriere, perché lì necessita una riforma costituzionale, e le priorità ora sono altre. Ed anche qui ci siamo scoperti ingenui, per aver pensato -che stupidi- che proprio trattandosi di una riforma costituzionale dai tempi lunghi, essa avrebbe dovuto iniziare il suo percorso quanto prima possibile. Quanto alla superflua dicotomia tra garantismo e giustizialismo, potrà essere utile sapere che la risposta di Nordio è quasi testualmente identica a quella che diede il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 7 febbraio 2020. Anche la transustanziazione di Nordio in Conte deve probabilmente avere a che fare con la “complessità della realtà”.

Il Riformista

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Il parental control è di Stato: la Cina limita i social ai minori di 18 anni


Il parental control è di Stato: la Cina limita i social ai minori di 18 anni 8716345
L'ultima stoccata alle big tech. Dietro la nuova norma, aperta ai commenti fino al 2 settembre, c'è anche un po' di propaganda: imposti contenuti patriottici ai cittadini più giovani

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REPORTAGE – CUBA. Una macchina turchese nelle mani di Yemajà


Viaggio nell'isola dei Caraibi e della rivoluzione, tra contraddizioni e crisi economica, i colori delle città e le divinità della santeria L'articolo REPORTAGE – CUBA. Una macchina turchese nelle mani di Yemajà proviene da Pagine Esteri. https://pagine

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di Valeria Cagnazzo

Pagine Esteri, 07 agosto 2023Il turchese perfetto – La luce è perfetta. La parete turchese del salotto si apre con una porta finestra sul palazzo di fronte, anch’esso di un turchese accecante in quest’ora del giorno. Il sole disegna la sagoma dell’intercapedine e getta sulle piastrelle ocra del pavimento della casa la forma esatta dell’infisso, un abbagliante rettangolo di luce bianca distesa per terra. Intorno alla pozza luminosa e celeste, due sedie a dondolo. L’isola è probabilmente tenuta in equilibrio sull’oceano dal dondolio incessante dei cubani sulle loro sedie preferite. E due poltrone mezzo sfondate protette dalla polvere con larghi rivestimenti beige lavorati all’uncinetto – anche lì sopra, i raggi del sole che arrivano dallo squarcio turchese si uniscono alla trama del tessuto con una tenerezza commovente. Una luce così si incontra raramente. Sarebbe da immortalare subito in una fotografia, una cartolina antica e azzurra da riceverci migliaia di gradimenti sui social o da usare come copertina per un reportage di viaggio. Ma Ada sta raccontando, la sua voce è pacata e ferma mentre, seduta composta in un angolo di penombra fresca della stanza, passa in rassegna le sue preoccupazioni per il Paese, e non la si può interrompere per fotografare la luce perfetta di questo istante nella “casa particular” in cui lavora.

Ada non è il suo vero nome. Indicando il piano superiore del palazzo, che si affaccia sul patio al centro della casa, dice che, se i vicini la sentissero adesso, mentre si lamenta del governo, del cibo che non basta più e della sanità al collasso, nel giro di due ore si troverebbe la polizia sull’uscio, allertata dal Comitato di Difesa della Rivoluzione (CDR) locale. Neanche sua è la casa, dove vive col marito e le due figlie. Per quanto per venire a dormire in questa “casa particular”, una sorta di bed and breakfast sud-americano, il passaparola sia: “A L’Avana, vai nella casa di Ada”. Un appartamento coloniale, tutto colori pastello, porte a vetro, archi, piante e santi esotici appesi agli angoli, nel cuore della città “vieja”, che appartiene in realtà a un cubano emigrato in Florida e che ogni tanto passa da Cuba per controllare i suoi affari. “L’americano”, lo chiamano. “Fino a qualche anno fa, io e la mia famiglia abitavamo in un appartamento più piccolo delle camere da letto di questa casa, vivevamo gli uni sugli altri”, dice Ada. Adesso gestiscono la casa del ricco proprietario, la tengono pulita, accolgono gli ospiti, custodiscono questo simulacro coloniale e tutto quello che rappresenta, come se la muffa azzurra alle pareti la trattenesse cent’anni indietro, insieme al resto della città.

“La gente a Cuba è disperata, ormai sarebbe disposta a tutto”, spiega per giustificare i consigli a non camminare sul bordo delle strade, specie in quelle poco affollate, né a farsi avvicinare da sconosciuti. “Chiunque oggi rivolga la parola ai turisti, lo fa per chiedere soldi”, dice stringendosi nella sua maglietta fluorescente con la scritta “Moschino”, che viene da chiedersi da dove sia arrivata a Cuba con quel marchio lì, una maglietta del genere. Da dove arrivino le cose, con l’embargo che stringe l’isola in questa inedita morsa di fame. Da dove sia arrivato persino il pappagallo sul patio, comparso oggi con la sua gabbietta troppo stretta dopo tre giorni in cui era stato segregato chissà in quale ala della casa, per non appestare con l’odore dei suoi mangimi le nostre colazioni di uova e frutta tropicale. Per i turisti, uova e frutta si tirano sempre fuori da qualche posto sconosciuto, e i pappagalli si nascondono. Per gli abitanti dell’isola, le cose vanno al contrario.

I prezzi sono diventati insostenibili”. C’è un prima e un dopo nelle parole di Ada. Lei identifica nella pandemia la cesoia che ha drasticamente condannato Cuba alla fame. In un Paese sotto embargo che dipendeva principalmente dal turismo per la sua economia, gli anni di isolamento internazionale hanno lasciato conseguenze drammatiche. “Se fino a tre, quattro anni fa, con “la libreta” avevamo garantiti, per dire, sei chili di riso al mese, adesso il governo ce ne passa mezzo, ma con mezzo chilo di riso come si sopravvive?”, chiede a proposito della tessera annonaria che, dalla rivoluzione in poi, stabilisce per ogni cittadino residente a Cuba la razione di prodotti acquistabili mensilmente a prezzo politico.

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Svuotati – I negozi di alimentari sono semideserti. Alcune stanze protette da sbarre metalliche si affacciano sui marciapiedi improvvisando vendite al dettaglio e illegali di “refrescos” e bottiglie d’acqua a 200 pesos l’una (circa un euro e mezzo) dal retrogusto di petrolio o di ammorbidente per i vestiti. Le farmacie hanno sempre la porta d’ingresso spalancata sulla strada per mostrare file di scaffali immancabilmente vuoti. Al bancone, c’è puntualmente un farmacista a mani vuote che guarda inerme un cliente. Fuori un cartello invita gli avventori a portarsi dietro un barattolo da casa in cui versare le compresse e gli sciroppi – se disponibili.

I beni di prima di necessità semplicemente non ci sono, e quei pochi che si trovano in commercio hanno prezzi troppo alti. “Meglio di chi vive in città ci sono sicuramente i contadini che abitano in campagna”, osserva Ada, “che possono almeno prodursi direttamente qualcosa da mangiare”, ma anche per loro la situazione è cambiata bruscamente negli ultimi anni. I prezzi del mercato ortofrutticolo, stabiliti dallo Stato, sono aumentati, infatti, di tre o quattro volte rispetto al passato, mentre è rimasta costante la retribuzione statale agli agricoltori per le stesse materie prime. Per questo sempre più contadini, piuttosto che vendere allo Stato, preferiscono dirottare i loro prodotti sul mercato nero per sperare in guadagni più equi o scelgono, addirittura, di produrre meno per assicurare quasi esclusivamente la sussistenza delle loro famiglie. Intanto, gli alimenti a disposizione sul mercato continuano a ridursi e il loro costo cresce in maniera esponenziale, una legge della domanda e dell’offerta che affama tutti.

Cuba sta combattendo con una crisi economica e umanitaria senza precedenti, paragonabile soltanto a quella del “periodo especial” – la depressione economica che Cuba affrontò a partire dal 1991 dopo la caduta dell’URSS, suo fondamentale alleato politico e commerciale. Nonostante le restrizioni internazionali e un’agricoltura per niente diversificata, basata su zucchero e tabacco, facendo affidamento soprattutto sul turismo, l’isola era riuscita a resistere dignitosamente all’embargo storico. Poi, nel giro di pochi anni, una serie di fattori l’hanno fatta sprofondare nella congiuntura attuale.

Gli anni fatali – Il primo fattore si chiama Donald Trump: durante il suo mandato, ha inasprito le misure contro Cuba che la presidenza Obama aveva alleggerito e ne ha introdotte di nuove. Ha vietato il turismo statunitense nell’isola e abbassato il tetto di denaro che gli emigrati cubani negli States possono inviare ai loro parenti a Cuba. Non solo: agli sgoccioli della sua permanenza alla Casa Bianca, l’ha reinserita nella lista dei Paesi Sponsor del Terrorismo (SSOT), dalla quale Barack Obama l’aveva rimossa nel 2015. A farle compagnia, Corea del Nord, Siria e Iran. Un veto assoluto per gli scambi commerciali con l’isola che ha influenzato anche gli altri attori internazionali, spaventati dalle sanzioni economiche di Washington nei loro stessi confronti qualora avessero continuato a trafficare con l’isoletta nei Caraibi. Da un giorno all’altro, si racconta, il porto di L’Avana si è svuotato di tutte le navi commerciali. Una larga distesa azzurra che prometteva una crisi inedita.

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All’effetto Trump si è aggiunta poi la pandemia, una catastrofe per un Paese dipendente dal turismo. Secondo Bloomberg News, il numero di turisti è crollato dai quattro milioni del 2019 ai 356.000 del 2021. Un danno inestimabile. Per richiamarli, è stata abolita la moneta per gli stranieri, il CUC, ed è stato loro concesso di utilizzare la moneta dei cubani, il CUP, a cambi ballerini – prima di 1 dollaro a 25 CUP, poi di 1 a 120, poi a un’arbitrarietà che i turisti li stravolge (ma lo racconterò più avanti). E’ stato persino lanciato un programma di ristrutturazioni per favorire il turismo, ma in assenza di materie prime gli sforzi edilizi non si possono realizzare.

La guerra tra Russia e Ucraina non ha, infine, migliorato la situazione, riducendo ulteriormente le esportazioni e gli aiuti all’isola, un rubinetto ormai asciutto. Anche il soccorso umanitario – le ONG non sono legali, ma lavorano nell’ombra integrandosi con il sistema – si è drasticamente impoverito anche qui, come nel resto del mondo.

Nel maggio 2022, l’amministrazione Biden aveva lanciato “una serie di misure di supporto per la popolazione cubana”, in linea con la nuova politica promessa dal Presidente nei confronti dell’isola. Poco o niente, però, è cambiato nei rapporti tra i due Paesi e le restrizioni per l’economia cubana restano ancora pressoché tutte in vigore. Né Biden ha ancora cancellato Cuba dalla lista degli SSOT.

Il risultato è questa “mancanza”, che assedia tutto. Mi domando molte volte, camminando per le strade di L’Avana, sorseggiando un refresco al mamey (impareggiabile frutto scoperto sull’isola) o gettandomi addosso acqua che sa di ammorbidente, cosa resterebbe se a quest’isola togliessero il turchese e le auto d’epoca. Il Campidoglio che imita quello statunitense, certo, i viali alberati, la Chiesa di San Francesco, ma si tratta di soggetti “inanimati”. Le Lada, forse, le automobili dell’industria russa fondata nel ’66 a Togliatti, scatoline mobili con la classica forma della macchina nei disegni dei bambini: il cofano, i quattro sportelli, il portabagagli, definiti da linee geometriche precise. Mi appassionano forse di più delle auto d’epoca del periodo americano – indubbiamente più fotogeniche, ma affidate ai turisti per giri di mezz’ora a non meno di 50 dollari. Serie, le Lada, sovietiche, con le loro famiglie proletarie dentro, i bambini sui sedili posteriori con le teste tonde, che mi immagino silenziosi o capaci solo di domande di algebra o sull’autobiografia certificata di Bakunin. Un viavai di Lada, forse, ma tutto intorno, comunque, la fame. Una fame che non è giusta mai, in nessuna parte del mondo. E qui o la si affronta o ci si affida a Yemajà.

Nelle mani di Yemajà – Le statue degli Orisha sono disposte lungo le pareti delle due sale al secondo piano del museo Yoruba, nel centro di L’Avana, poco lontano dal Campidoglio. Sono di gesso grigio, forme stilizzate e morbide, avvolte in una semi-penombra afosa. Talvolta il loro altarino è circondato da posticce piante di plastica. Yemajà è in un angolo sulla parete sinistra della prima sala, tiene le mani incrociate sul petto, il suo corpo emerge da un mare stilizzato – non c’è acqua. Gli Orisha sono le divinità ereditate dai cubani dalla mitologia yoruba, che gli schiavi deportati dall’Africa diffusero sull’isola tra il XVII e il XVIII secolo. A contatto con il cristianesimo dei coloni spagnoli, il pantheon degli Orisha si fuse e si integrò con quello dei santi cattolici, dando origine per sincretismo alla cosiddetta “santeria”, una religione che conosce ancora molti adepti tra i cubani, spesso riconoscibili per le loro tuniche bianchissime in giro per l’Avana o Trinidad.

La visita al museo degli Yoruba prevede questo: un giro intorno alle sue sale con sosta e descrizione davanti a ogni statua della divinità che rappresenta e delle sue caratteristiche. Eshù è l’orisha degli incroci della vita, dei bivi, dell’instabilità, ma è anche il messaggero degli dei, una specie di Mercurio; corrisponde a San Michele o a Sant’Antonio – la santeria mi sembra molto devota a Sant’Antonio. Ogun è il dio del fuoco, del ferro e dell’agricoltura, corrispondente a San Paolo e a San Giovanni Battista. Chango è il dio macho della giustizia e del tuono, una sorta di Zeus pronto ad accoppiarsi con qualsiasi creatura divina o terrestre, e così via. Il tour in passato prevedeva probabilmente la visita di altre sale, ma un’intera ala dell’edificio è stata distrutta nel maggio del 2022, quando una fuga di gas provocò l’esplosione del vicino Hotel Saratoga. Almeno 22 persone persero la vita nell’incidente, oltre 60 rimasero ferite. Le macerie di quello che rimane dello storico albergo di lusso formano ancora una montagnetta al lato del museo.

Yemajà è la madre degli dei e la divinità del mare. Può proteggere i naviganti o scatenare tempeste con la sua furia distruttrice. Accanto a lei, la guida del museo, un anziano habanero che schiuma nella sua camicia a maniche lunghe e che porta avanti la visita con un ininterrotto eloquio impastato senza mai concedersi un goccio d’acqua, si ferma con uno sguardo più commosso. “In questo Paese, abbiamo tutti creduto nell’Utopia. Ma quando l’utopia si sgonfia, rimane la realtà. E da questa realtà, le persone scappano”. Yemajà è la divinità dei migranti che si gettano in mare, dei barchini lanciati contro l’oceano in tutte le stagioni dell’anno, di chi preferisce affrontare le tempeste piuttosto che morire di fame. Parla con tono complice, il guardiano del museo, come a strizzare l’occhio a chi, provenendo dal Paese nel cuore del Mediterraneo, sa bene di che carico di morte si parli. “Le stime ufficiali”, dice, “parlano di almeno 250.000 cubani che hanno cercato di raggiungere gli Stati Uniti nell’ultimo anno. I numeri ufficiosi di questi viaggi clandestini, però, sono molto più alti”.

Tra il 2021 e il 2022, il numero di cubani fuggiti negli Stati Uniti è passato da 33.000 a oltre 250.000 persone. Circa il 2% della popolazione cubana, che conta 12 milioni di abitanti, sarebbe emigrata nell’ultimo anno verso gli Stati Uniti. Lasciare Cuba per vie legali è molto complicato, perché il governo applica restrizioni nei confronti di chi entra ed esce dal Paese in nome della “sicurezza nazionale”. Per ottenere un visto bisogna imbarcarsi in una giostra di burocrazia, controlli, indagini famigliari, che spesso si conclude con un diniego da parte delle autorità supportato da argomenti arbitrari. Spesso, l’unica soluzione è fuggire clandestinamente e affidarsi ai trafficanti di esseri umani, investendo nel viaggio tutti i propri risparmi.

Si affronta il mare e poi si viaggia via terra, attraverso le foreste, verso gli Stati Uniti. I confini tra Colombia e Panama e quelli con il Messico sono le zone più pericolose. Da quando il governo del Nicaragua ha sospeso l’obbligo dei visti per i cittadini cubani, molti preferiscono prendere un volo e poi cominciare il loro cammino verso gli Stati Uniti da lì. Nella foresta sono in molti a perdere la vita. Una volta arrivati negli Stati Uniti, i cubani possono, però, sperare di ottenere la nuova cittadinanza nel giro di un anno. La Ley de Ajuste Cubano (Legge di Aggiustamento Cubao), risalente al 1966, permette, infatti, agli immigrati cubani che testimoniano di aver lasciato il Paese d’origine per motivi politici di ottenere la cittadinanza statunitense dopo un anno e un giorno di permanenza negli USA.

“Prendono il mare e partono, muoiono nel viaggio, non diventano nemmeno dei numeri, restano dispersi nell’oceano, per sempre. Ma la gente continua a scappare, perché dopo l’utopia c’è sempre la realtà”, ci dice la nostra guida. Poi si rivolge alla statua e alza le mani verso di lei, mormora o forse è solo il suo gesto a dircelo: “Che li protegga Yemajà!”.

Sopravvivenza o muerte – Sul Malecon, il lungomare di L’Avana lungo 9 chilometri, gli habaneri vengono a pescare non appena il sole insopportabile del giorno inizia ad abbassarsi nella tregua del tramonto. Continuano a lanciare i loro ami nell’oceano almeno fino al suono del “Canonazo” delle 21, la cerimonia dello sparo di cannone dalla fortezza di San Carlos, di fronte alla costa. Noi siamo intenti a fare un conto mentale dei CUP che abbiamo e di quelli che ci serviranno fino alla fine del viaggio, un esercizio che ripeteremo ancora molte volte. Prelevare del contante non è possibile ovunque, le banconote a volte non sono disponibili e lo schermo del bancomat si colora di arancione annunciando un non precisato “errore”, e il cambio per i turisti è arbitrario come il clima nella stagione delle piogge. Quello ufficiale delle banche è di un dollaro o un euro a 125 CUP, ma se ci si è portati degli euro da casa saranno cambiati per 170 CUP a L’Avana, per 200 a Matanzas, per 180 a Santa Clara, e così via. Una peculiare Monopoli dei cambi che disorienta e svantaggia i turisti, formalmente illegale ma gestita alla luce del sole e col tacito benestare del governo.

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Siamo quindi lì a ripassare la questione dei cambi, che ci troviamo di fronte, dall’alto lato del Malecon, all’imponente palazzone sovietico dell’Hospital Clinico Quirurgico Hermanos Ameijeiras, il più importante ospedale di tutta Cuba. I piani si accavallano gli uni sugli altri nel monocolore e si confondono. Le finestre tutte uguali e strette forano stanze d’ospedale nelle quali scarseggiano le garze, il disinfettante, il paracetamolo. La sanità gratuita e d’eccellenza è stata uno dei fiori all’occhiello della rivoluzione castrista. Solo tre anni fa, come esempio dell’alto livello della formazione medica di questo Paese, i medici cubani arrivavano in Italia per aiutarla a fronteggiare la pandemia, nel frattempo gli scienziati cubani producevano un vaccino contro il Covid. Se nei porti cubani, però, non arrivano le merci, a farne le spese sono anche i malati.

Ada è stata costretta a fare una colletta con i suoi parenti per comprare i bisturi, i fili di sutura, le garze e i medicinali, quando sua zia è caduta e si è rotta il femore. Quando sua cognata ha partorito con un taglio cesareo, Ada ci racconta che in reparto scarseggiavano i cateteri vescicali e che coi parenti le hanno procurato un tubo di gomma da collegare a una tanica e da infilarle su per l’uretra. I medici sono sottopagati, circa trenta dollari al mese, insufficienti con il caro prezzi dell’inflazione, “E non possono neanche arrotondare lo stipendio investendo in una casa particular o in un’altra attività commerciale”, aggiunge Ada. Malgrado questo, continuano a lavorare – sono gli strumenti che mancano.

La figlia di Ada studia infermieristica. Nel primo pomeriggio tutti i giorni torna dall’ospedale a casa nell’afa di luglio e si ripara al fresco della cucina della casa dell’”americano”. Ada ci racconta che vuole diventare una brava infermiera, ma è sempre più frustrata. Le sue mansioni sono semplici, è al primo anno: prendere la temperatura dei pazienti, misurarne la pressione, e trascrivere i parametri sulla loro scheda. “Ma nell’ambulatorio in cui fa adesso tirocinio non c’è neanche lo sfigmomanometro. Così l’altro giorno ha chiesto al medico come potesse misurare la pressione senza avere lo strumento. Sapete che le ha dovuto rispondere? “Inventatela”. I parametri si prendono così, a occhio.”.

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L’Hospital Hermanos Ameijeiras svetta poco dietro alla fila di palazzi storici che sul Malecon stanno cadendo a pezzi uno alla volta per fare spazio ai nuovi hotel di acquirenti privati internazionali. Potrebbe iniziare a cambiare volto proprio da questa costa la Cuba del Presidente Diaz Canel, che con la nuova Carta Costituzionale del 2019 ha riconosciuto la proprietà privata come parte dell’economia del Paese. Il volto dell’Ospedale è, invece, ancora quello sovietico del secolo scorso. La struttura è dedicata ai fratelli Ameijeiras: María Luisa (detta Mara), Manuel Melquíades (Chonchón), Gustavo, Salvador (soprannominato Nené), Enma, Ángel (Machaco), José (Pepincito), Evangelista, Efigenio (detto Ulisse) e Juan Manuel (il Mel). Quest’ultimo partecipò insieme al giovane avvocato Fidel Castro all’assalto alla Caserma Moncada, nella lotta contro il tiranno Batista. Vi rimase ferito e fu giustiziato nei giorni successivi. Suo fratello Efigenio fu tra i fondatori del movimento 26 luglio e partecipò alla spedizione della nave Granma nella Baia dei Porci. Anche Gustavo partecipò alla lotta clandestina contro la dittatura, nella quale perse la vita nel maggio del 1958. Pochi mesi dopo, perse la vita anche il Fratello Angel, anch’egli membro del movimento 26 luglio. Per il Paese, i fratelli Ameijeiras sono eroi nazionali, martiri della resistenza. “Un po’ come i fratelli Cervi da noi”, commentiamo, poco prima che il Canonazo esploda il suo cannone.

Le iguane silenziose della rivoluzione – Dalle città si scappa, a Cuba. Prima che i loro edifici decrepiti ti crollino addosso o che il caldo ti soffochi. I colori pastello delle case vuote non bastano a trattenere, i musei della rivoluzione sono chiusi per ristrutturazione. L’afa spinge verso il mare. Verso Matanzas, col suo nome di sangue, popolata di avvoltoi. Veri padroni del cielo cubano, volano in gruppo, a bassa quota. Vigilano in cerchio sui bambini che nei 45° gradi del mattino si allenano giocando a baseball, “beisbòl”, lo sport nazionale. O camminano nei giardini delle case o sotto gli alberi al bordo delle strade, con le loro teste rosse che emergono come braci dalle pellicce nere. Matanzas, col suo nome di massacri, i suoi ponti e con la sua minuscola casa editrice nella pacifica piazza centrale, che pubblica libri stampati a torchio e rilegati a mano in edizioni uniche, esposte nelle bancarelle in mezzo a quelle dei souvenir.

Si cerca il mare a Cienfuegos, città coloniale francese. Nella cattedrale della città, c’è la statua di una madonna – l’isola comunista è piena di chiese e di santi – alla quale le devote hanno la tradizione di regalare girasoli. Di fronte alla città, dalla parte opposta dell’anello costiero che forma un piccolo abbraccio nel mar dei Caraibi, si intravede il sito di Juraguà. Lì Fidel Castro aveva deciso di fondare il suo sogno nucleare, una centrale che avrebbe dovuto produrre almeno il 15% dell’energia dell’isola. Era l’inizio degli anni ‘80 e con il supporto economico e tecnico dell’URSS si iniziò a costruire sulla costa una vera e propria città nucleare, ma l’impresa era destinata a fallire. Con il crollo dell’Unione Sovietica e il “periodo especial”, i lavori si interruppero, finché nel 1992 Castro annunciò il definitivo abbandono dell’opera, nella quale Cuba aveva investito 1,1 miliardi di dollari. La cittadella, però, oramai esisteva, e continua a farlo: le famiglie degli operai che vi si trasferirono circa 30 anni fa popolano ancora la città occupata da edifici abbandonati e le sue strade deserte. Circa 9.000 abitanti dimenticati dal resto dell’isola, che vivono di pesca recintati nell’antico sogno nucleare.

Nel mare arancione del tramonto di Cienfuegos, di fronte alla sagoma lontana della città fantasma, gli abitanti si immergono in costume a mezzo busto per pescare con la lenza e le mani nude pesci piccoli da farci il brodo. Quando ne prendono uno, lo infilzano intorno a una cannuccia insieme agli altri, poi lanciano di nuovo il filo e aspettano trattenendolo con le dita, mentre i bambini intorno si fanno il bagno. Nel fuoco annacquato di un altro giorno che muore, sembrano lontani i malesseri dell’entroterra. Le carenze che uccidono, l’embargo che isola, la solitudine e le utopie sgonfiate. Nel mare, tutte le energie sono concentrate nel raccogliere pescetti e nell’ammirare le sagome dei figli che si tuffano.

Nella fuga universale verso il mare, poi, i turisti si rifugiano negli “all inclusive” dei Cayos, le isolette disseminate tutte attorno a Cuba e sacrificate alle vacanze dei ricchi occidentali. Lì tutto è miracolosamente disponibile. Sui buffet c’è la carne e ci sono le verdure, c’è il pane fatto a fette e anche in paninetti morbidi al latte, c’è la menta per i Mohito e il cocco per infinite pinacolada – si può avere tutto, all’infinito, finché l’esperienza del soggiorno non è esaurita. La penuria degli alimentari del Vedado o di l’Habana Vieja (due quartieri della città) sembra inverosimile, se a pochi chilometri di distanza, nella stessa terra, gli stranieri possono abbuffarsi di tutto, serviti da accaldatissimi cubani. Esattamente come doveva accadere prima del 1959 nella capitale, negli hotel di lusso per gli americani. Quella stessa disparità rivoltante che portò a mettere a ferro e fuoco l’isola per farne un simbolo, un emblema per generazioni di sinistra in tutto il mondo. Adesso, direttamente da Santa Clara, dove il Che riposa sotto al suo monumento, con un Viazul, un autobus per stranieri, si arriva a Cayo Santa Maria, dove come in un reportage di Wallace donne grassissime e bianche trascorrono le loro giornate affondate in un salvagente in piscina, collegate in videochiamata con qualche amica in Russia o negli States, sorseggiando pigramente un daiquiri.

Per lenire e dimenticare, a Cuba si viaggia sempre verso il mare. Mentre i dondoli incessanti sugli usci di Trinidad e di Matanzas evitano che l’isola vi anneghi dentro. Si fugge verso il mare di Varadero, altra lingua di terra attira-turisti per le sue spiagge abbacinanti, coi suoi cartelli segnaletici in spagnolo e in cirillico. Nella parte cubana della penisola, ogni tanto la realtà spaventosa del Paese si affaccia, quando alla sera nei ristoranti sono rimasti solo i “negros y cristianos” di contorno a piatti vuoti. Il resto, però, è ancora facile dimenticanza. Le famiglie cubane, mescolate ai cristianos stranieri, possono anche qui abbandonarsi a un silenzio pacifico che ottunde le domande. Lasciarsi cullare dalle onde e gettare nell’acqua tutte le lattine di birra che vogliono, senza paura di provocare le ire di Yemajà, perché qui il sentimento ecologico è molto molto più lontano dello spettro del capitalismo. Intanto, intorno tutto è placido. A debita distanza dai resort, continuano a moltiplicarsi le iguanine dalle code arricciate, organizzano congressi notturni nella lingua delle specie in estinzione e si confidano i loro sentimenti proletari, tramando una rivoluzione. Pagine Esteri

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Naufragio Sicilia, 41 morti. Sopravvissuti alla deriva per 4 giorni


I superstiti, due uomini, una donna e un minore, hanno raccontato la storia dei 41 compagni di viaggio, tra cui 3 bambini, caduti in mare e scomparsi tra le onde L'articolo Naufragio Sicilia, 41 morti. Sopravvissuti alla deriva per 4 giorni proviene da P

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Due uomini, una donna e un minore. Sono le sole 4 persone sopravvissute al naufragio che lo scorso giovedì ha causato la morte di 41 migranti tra cui 3 bambini.

Conosciamo la loro storia grazie a loro, che hanno raccontato come la barca si sia ribaltata dopo sole 6 ore di navigazione a causa di un’onda particolarmente alta. 7 metri di lunghezza, ospitava 45 persone, partite da Sfax in Tunisia, tentavano di raggiungere l’Italia.

Alcuni, una quindicina, indossavano un salvagente ma sono affogati lo stesso, hanno raccontato i 4 naufraghi, provenienti da Costa d’Avorio e Guinea Konakry, alla Guardia Costiera italiana.

Loro sono rimasti in acqua per ore. Poi hanno visto una barca abbandonata, probabilmente lasciata dopo un trasbordo di migranti e sono riusciti a salire. La barca, senza motore, è andata alla deriva per almeno 4 giorni finendo, trascinata dalle correnti, al largo della Libia.

La Guardia Costiera libica, seppur avvisata dalle autorità italiane, non sarebbe intervenuta, secondo la ricostruzione fatta da La Presse.

I sopravvissuti sono stati avvistati ieri da una barca mercantile battente bandiera maltese, la Rimona, che li ha salvati facendoli salire a bordo. Questa mattina sono trasbordati su una motovedetta della Guardia Costiera che li ha portati a Lampedusa.

Nessuna barca né autorità marittima ha avvistato cadaveri in mare. I corpi dei 41 migranti rimarranno, come centinaia di altri, sul fondo del Canale di Sicilia. Pagine Esteri

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Le nuove restrizioni tech di Biden e la reazione della Cina


Le nuove restrizioni tech di Biden e la reazione della Cina xi biden
Ennesime limitazioni agli investimenti statunitensi in aziende cinesi attive su semiconduttori, quantistica e intelligenza artificiale. Pechino la prende male, mentre al summit estivo di Beidaihe si parla di autosufficienza tecnologica

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Ho appena realizzato una piccola presa di coscienza. È passato quasi un mese dall'ultima volta che ho postato su Twitter, in particolare da quando il nome è cambiato in X. C'è stato un momento in cui mi aggiornavo quotidianamente su ciò che stava accadendo su quella piattaforma, ma le cose sono cambiate.

Ad essere onesto, ho appena perso interesse. Quando si tratta di tecnologia, il Fediverse sembra superare Twitter in ogni modo. Offre tutto ciò che offre Twitter, ma meglio.

Inoltre, dal punto di vista dei contenuti, trovo che il Fediverso copra tutte le esigenze. Posso facilmente trovare tutte le notizie e le informazioni di cui ho bisogno proprio qui, senza dover andare su Twitter. In realtà è più conveniente in questo modo.

Il motivo principale per cui le persone sembrano usare Twitter è per agitarsi su una sorta di argomento controverso. Ma onestamente, non è la mia tazza di tè. Semplicemente non mi interessa essere coinvolto in tutte le polemiche fabbricate su Twitter.

Il Fediverso soddisfa tutte le mie esigenze di microblogging e lo fa eccezionalmente bene.



Just had a little realization recently. It's been almost a month since I last posted about Twitter, particularly since the name change to X. There was a point in time when I used to update daily about what was happening on that platform, but things have changed.

To be honest, I've just lost interest. When it comes to technology, the Fediverse seems to surpass Twitter in every way. It offers everything that Twitter offers, but better.

Moreover, from a content perspective, I find that the Fediverse covers all the bases. I can easily find all the news and information I need right here, without having to go to Twitter. It's actually more convenient this way.

The main reason people seem to use Twitter is to get worked up about some sort of controversial topic. But honestly, that's not my cup of tea. I'm just not interested in getting caught up in all the manufactured controversies on Twitter.

The Fediverse fulfills all my microblogging needs, and it does so exceptionally well.


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L’offensiva sulle banche è sbagliata, ma Ezra Pound non c’entra


Ad ignorare il contesto, parrebbe un intervento ideologico ispirato da un tic culturale che da tempo caratterizza la Destra oggi di governo. “Attaccare le banche” tassandone i cosiddetti extraprofitti: quel che in giugno il ministro dell’Economia Giancarl

Ad ignorare il contesto, parrebbe un intervento ideologico ispirato da un tic culturale che da tempo caratterizza la Destra oggi di governo. “Attaccare le banche” tassandone i cosiddetti extraprofitti: quel che in giugno il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti escludeva categoricamente, in agosto il governo ha fatto inopinatamente. Si racconta che l’ispiratore dell’intervento sia stato il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. Uomo di fiducia di Giorgia Meloni, uomo di ampie letture. Pare che tra le sue preferite vi sia quella di Ezra Pound. Il poeta americano, autore dei meravigliosi Cantos, è caro alla destra non solo perché simpatizzò per il Fascismo, opinione che nel dopoguerra gli costò la reclusione, ma soprattutto perché fu ferocemente ostile alle banche.

Parlava di “usura legalizzata”, Pound, sosteneva che i governi avessero fatto della moneta “uno strumento malefico”, teorizzava la “sovranità popolare monetaria”. In Italia, le sue teorie poetiche furono tradotte in tesi economiche da un professore dell’Università di Teramo, Giacinto Auriti, che ai tempi della lira arrivò persino a denunciare per usura la Banca d’Italia . Un uomo profondamente di destra, Auriti, alla cui fonte si abbeverò però anche Beppe Grillo quando era solo un comico ma già esibiva idee “politiche”.

La tassazione del 40% degli extra profitti bancari rappresenta la prima crepa nell’inaspettato idillio tra il governo Meloni e l’establishment nazionale ed internazionale. Un intervento dirigista dello Stato che comprime i margini di libertà del mercato e che, a differenza di quel che accadde con Draghi sugli extraprofitti delle società energetiche, non appare giustificato da una condizione emergenziale straordinaria. L’aumento dei tassi di interesse, e di conseguenza delle rate dei mutui rimasti scriteriatamente a tasso variabile, era infatti largamente annunciato. Si tratta, dunque, di un precedente. Un precedente che un domani potrebbe essere applicato ad altri settori economici “colpevoli” di aver registrato profitto superiori alla media.

Tutta colpa di Ezra Pound? No, affatto. Così fosse, analoga misura non sarebbe stata presa in Spagna dal governo del socialista Sanchez. E soprattutto non sarebbe stata entusiasticamente sostenuta in Italia da tutte le forze politiche. Fanno accezione solo i leader del cosiddetto Terzo Polo e, col senno di poi, Forza Italia, che pure quella norma l’ha ratificata in Consiglio dei ministri.

Se ne ricava, pertanto, una duplice spiegazione: i bilanci pubblici languono e i governi si sentono legittimati a reperire risorse in deroga alle regole non scritte della società aperta e dell’economia di mercato; le banche erano e restano lo spauracchio pubblico per antonomasia, sì che metterle in mora è motivo di sicura popolarità.

Questo, dunque, è il contesto. E in tale contesto Ezra Pound non c’entra: è solo politica. Di buono c’è che i mercati finanziari sembrano averlo capito, e al netto del crollo iniziale dei titoli bancari non dato ulteriore prova di sfiducia.

formiche.net

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Tra Gcap ed esercitazioni, il rapporto più forte tra Italia e Giappone secondo Camporini


Il 2009 fu un anno difficile per l’economia mondiale, e italiana in particolare, e la parola d’ordine per chi gestiva fondi pubblici era “tagliare”. La Difesa fu fortemente penalizzata e si cercò di risparmiare l’impossibile; un provvedimento fu quello de

Il 2009 fu un anno difficile per l’economia mondiale, e italiana in particolare, e la parola d’ordine per chi gestiva fondi pubblici era “tagliare”. La Difesa fu fortemente penalizzata e si cercò di risparmiare l’impossibile; un provvedimento fu quello della revisione dello schieramento degli addetti militari: alcune sedi vennero accorpate, altre vennero semplicemente chiuse. Tra quelle da chiudere venne presa in considerazione la sede di Tokyo, in quanto i rapporti tra i due Paesi in tema di difesa erano da anni praticamente inesistenti, sia dal punto di vista della cooperazione militare sia da quello industriale. L’importanza dei rapporti bilaterali, tuttavia, era tale da far scartare l’idea ed oggi, a distanza di pochi anni, dobbiamo esserne oltremodo lieti.

Non solo in questo periodo è radicalmente mutato il quadro strategico, ma si sono via via incrementati i rapporti bilaterali, prima con il forte interesse giapponese alla produzione elicotteristica nazionale e poi con lo stabilirsi di relazioni tra i rispettivi vertici della difesa, grazie anche alle occasioni di incontri in fori multilaterali.

Da qui la decisione di Tokyo di inserire allievi piloti militari e istruttori giapponesi nei corsi di addestramento avanzato (Fase IV) presso l’International flight training school (Ifts) che l’Aeronautica militare ha costituito a Decimomannu in partnership con Leonardo.

La decisione giapponese di guardare alla Gran Bretagna e all’Italia per lo sviluppo del proprio futuro sistema da combattimento aereo, il Global combat air programme (Gcap), ha ulteriormente consolidato i crescenti rapporti fra i nostri Paesi in un’ottica di mutua fertilizzazione tecnologica, ma con importantissime conseguenze dal punto di vista operativo: disporre dello stesso sistema d’arma comporta la necessità di un continuo scambio delle rispettive esperienze, al fine di ottimizzare l’output capacitivo offerto dal sistema.

È in questa prospettiva che deve essere guardato il rischieramento sulla base di Komatsu, sulla costa occidentale del Giappone, di un gruppo tattico dell’Aeronautica militare italiana, comprendente quattro F35, un Caew, tre aerorifornitori KC-767A e un C130J, perché soltanto con queste attività congiunte si può sviluppare quella conoscenza reciproca, anche a livello personale, che rende possibile lo scambio di esperienze e di conoscenze e l’affinamento delle tattiche di impiego.

Il rischieramento in sé costituisce un prezioso momento addestrativo, per la complessità logistica della sua organizzazione e della sua esecuzione; e il patrimonio di esperienza che se ne trarrà darà un contributo significativo all’affinamento delle necessarie capacità operative.

Non bisogna certo sottacere anche il significato politico dell’operazione: si è ormai radicato il concetto dell’appartenenza del Giappone alla più ampia comunità delle democrazie sviluppate, con rapporti organici anche nell’ambito militare. Ed è altrettanto chiaro che una delle aree del globo dove si stanno concentrando gli ingredienti per una drammatica crisi è incentrata nelle immediate vicinanze del Giappone che si trova periodicamente ad assistere alle prodezze missilistiche della Corea del Nord e che non può non guardare con estrema preoccupazione alla progressiva nazionalizzazione del Mar della Cina Meridionale da parte di Pechino, con tutte le conseguenze sull’agibilità delle rotte commerciali vitali per Tokyo.

Ovviamente ciò non significa che ci debba essere un coinvolgimento diretto dei Paesi europei, ma che ci si debba impegnare per aiutare le potenze regionali ad acquisire le necessarie capacità militari, questo sì.

Da ciò l’opportunità di forme di addestramento congiunte che possano migliorare la capacità di reazione di ciascun componente.

In quest’ottica, l’effettuazione di esercitazioni complesse con l’impiego di mezzi dell’ultima generazione assume una duplice valenza: quella tecnico-militare e quella di mutuo supporto politico. Per questo motivo l’iniziativa dell’Aeronautica militare, così come quella similare della nostra Marina, merita pieno apprezzamento e costituisce un valido investimento delle risorse necessarie.


formiche.net/2023/08/partnersh…



Blur The Ballad of Darren


I Blur sono sempre I Blur anche in questo disco meraviglioso The Ballad of Darren da comprare ascoltare, girando il giradischi e velocità inusitate.

iyezine.com/blur-the-ballad-of…

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