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Concorso docenti 2024: domande prova scritta “a sorpresa” per tutti, non c’è un “paniere” di quesiti ufficiali


Le risposte dell’esperta di normativa Sonia Cannas:

> I bandi affermano “Ciascun quesito consiste in una domanda seguita da quattro risposte, delle quali solo una è esatta; l’ordine dei 50 quesiti è somministrato a ciascun candidato in modalità casuale, nel rispetto delle quantificazioni di cui al comma 3. Non si dà luogo alla previa pubblicazione dei quesiti”

> Pertanto, il Ministero non pubblicherà il “paniere” dei quesiti dal quale saranno poi estrapolati quelli della prova scritta.

@Scuola - Gruppo Forum

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SPACE YANTRA


Ho raggiunto via email gli Space Yantra nel bel mezzo del loro viaggio in Amazzonia per una chiacchierata, ecco cosa ne e venuto fuori. Di Andrea Parodi.

iyezine.com/space-yantra
@Musica Agorà

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DEAF – DEAF


In questo poco tempo i DEAF concentrano il meglio della storia del thrash e non solo..

@Musica Agorà

iyezine.com/deaf-deaf

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MARK LANEGAN – SING BACKWARDS AND WEEP


Un libro, ricevuto in dono come regalo natalizio – in lingua originale inglese – che il vostro Reverendo ha avidamente e curiosamente divorato nel giro di poche settimane.
iyezine.com/mark-lanegan-sing-…
@L’angolo del lettore

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📌 Fino al 15 febbraio 2024 sarà possibile presentare sulla piattaforma #Unica la domanda per accedere alle agevolazioni per i viaggi di istruzione e per le visite didattiche, destinate alle famiglie con basso #ISEE.


GAZA. Ong internazionali contro i tagli dei fondi all’Unrwa: minacciano la vita di innocenti


Le Organizzazioni esortano i Paesi donatori a confermare il sostegno al lavoro vitale che l'Unrwa e i suoi partner svolgono non solo a Gaza. L'articolo GAZA. Ong internazionali contro i tagli dei fondi all’Unrwa: minacciano la vita di innocenti proviene

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COMUNICATO

Come organizzazioni umanitarie, siamo profondamente preoccupati per il fatto che alcuni dei maggiori donatori abbiano deciso di sospendere i finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), il principale fornitore di assistenza per milioni di palestinesi a Gaza e nella regione, proprio nel momento in cui si sta verificando un rapido peggioramento della catastrofe umanitaria nella Striscia.

La sospensione dei finanziamenti da parte dei Paesi donatori avrà un impatto sugli aiuti salvavita per oltre due milioni di civili, di cui più della metà sono bambini, che dipendono dal sostegno dell’UNRWA a Gaza. La popolazione rischia di morire di fame, di affrontare una carestia e di essere colpita da epidemie, a causa dei continui bombardamenti indiscriminati di Israele e della privazione degli aiuti a Gaza.

Accogliamo con favore la rapida indagine dell’UNRWA sul presunto coinvolgimento di alcuni membri del personale delle Nazioni Unite negli attacchi del 7 ottobre. Siamo allibiti di fronte alla decisione sconsiderata di tagliare un’ancora di salvezza per un’intera popolazione proprio da parte di alcuni dei Paesi che avevano chiesto di intensificare gli aiuti a Gaza e di proteggere gli operatori umanitari mentre svolgono il loro lavoro. Questa decisione arriva mentre la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato un’azione immediata ed efficace per garantire la fornitura di assistenza umanitaria ai civili di Gaza.

152[1] membri del personale UNRWA sono già stati uccisi e 145 strutture UNRWA sono state danneggiate[2] dai bombardamenti. L’UNRWA è la più grande agenzia umanitaria a Gaza e il suo lavoro non può essere svolto da altre agenzie che operano a Gaza. Se le sospensioni dei finanziamenti non saranno revocate, rischiamo di assistere al completo collasso della già limitata risposta umanitaria a Gaza.

Si stima che siano oltre un milione gli sfollati palestinesi che si rifugiano[3] nei 154 centri di accoglienza dell’UNRWA o nei dintorni, per i quali l’agenzia e le organizzazioni umanitarie hanno continuato a lavorare in circostanze quasi impossibili per fornire cibo, vaccinazioni e acqua potabile. I Paesi che sospendono i fondi rischiano di privare ulteriormente i palestinesi della regione di cibo, acqua, assistenza e forniture mediche, istruzione e protezione.

Sollecitiamo i Paesi donatori a confermare il sostegno al lavoro vitale che l’UNRWA e i suoi partner svolgono per aiutare i palestinesi a sopravvivere a una delle peggiori catastrofi umanitarie dei nostri tempi. Li esortiamo a revocare le sospensioni dei finanziamenti, rispettare i loro doveri nei confronti del popolo palestinese e aumentare l’assistenza umanitaria per i civili in grave difficoltà a Gaza e nella regione.

Firmatari:

Save the Children

War Child Alliance

ActionAid

Norwegian Refugee Council

Diakonia

Oxfam

Première Urgence Internationale

Médecins du Monde France, Spain, Switzerland, Canada, Germany

Danish Refugee Council

Johanniter International Assistance

The Association of International Development Agencies – Aida

Humanity & Inclusion/ Handicap International (HI)

INTERSOS

CCFD-Terre Solidaire

International Council for Voluntary Agencies

Norwegian People’s Aid

Plateforme des ONG françaises pour la Palestine

Norwegian Church Aid

DanChurchAid

American Friends Service Committee

Caritas Internationalis

[1] UNRWA Situation Report #69 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem (all information from 23-24 January 2024, is valid as of 24 January 2024 at 22:30) [EN/AR] – occupied Palestinian territory | ReliefWeb

[2] UNRWA Situation Report #70 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem | UNRWA

[3] UNRWA Situation Report #69 on the situation in the Gaza Strip and the West Bank, including East Jerusalem (all information from 23-24 January 2024, is valid as of 24 January 2024 at 22:30) [EN/AR] – occupied Palestinian territory | ReliefWeb

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#70 #69


In Cina e Asia – Interrogatori "ingiustificati” per gli studenti cinesi negli Usa


In Cina e Asia – Interrogatori studenti
La Cina denuncia interrogatori “ingiustificati” per gli studenti cinesi negli Usa
Cina, un altra espulsione nel settore missilistico
Accordo Cina-Hong Kong sul riconoscimento reciproco delle cause civili e commerciali
Vietnam e Filippine siglano accordo sulla difesa marittima
L'ASEAN manderà assistenza umanitaria in Myanmar
Filippine, accuse reciproche tra Marcos e Duterte
Filippine, la CNN sospende le trasmissioni

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VIDEO JENIN. Soldati israeliani travestiti uccidono tre palestinesi all’ospedale Ibn Sina


I militari, armati di fucili con silenziatori, senza trovare alcuna resistenza, hanno giustiziato tre combattenti nella struttura sanitaria. L'esercito ha comunicato di aver trovato una pistola. Il Ministero della Sanità palestinese chiede all'ONU di prot

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Pagine Esteri, 30 gennaio 2024. Alle prime luci dell’alba circa 12 militari israeliani infiltrati hanno fatto irruzione all’ospedale Ibn Sina di Jenin. Il video registrato dalle telecamere di sorveglianza mostra il loro ingresso. Travestiti per sembrare arabi, con le tuniche tipiche maschili, con il velo da donna o con la divisa medica, hanno nascosto i fucili forniti di silenziatori tra gli abiti, in una sedia a rotelle e in una culla per neonati. Obiettivo del raid l’uccisione di tre combattenti palestinesi, uno dei quali precedentemente ferito e in degenza al terzo piano della struttura sanitaria.

Nonostante la versione delle forze armate israeliane parli dell’ospedale come di una base operativa di Hamas, i soldati non hanno trovato alcuna resistenza né all’ingresso della struttura né durante l’accesso ai vari piani e alle sale di ricovero. L’esercito ha pubblicato la fotografia di una pistola che uno dei tre combattenti, Mohammed Jalamneh, di 27 anni, avrebbe avuto con sé durante e che gli è stata “confiscata”. I militari, dopo le tre esecuzioni, sono usciti dall’ospedale e dal campo profughi senza difficoltà.

I tre palestinesi uccisi sono stati accusati, in un comunicato delle forze armate, di far parte di una cellula terroristica di Hamas e di essere in procinto di organizzare un attentato terroristico.

Le altre due vittime sono due fratelli, Mohammad e Basil Al Ghazawi. Quest’ultimo era rimasto ferito alcune settimane fa in un bombardamento israeliano.

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Il Ministero della Sanità palestinese ha chiesto alle Nazioni Unite e alle organizzazioni per i diritti umani di garantire la sicurezza e la protezione delle strutture ospedaliere, delle ambulanze e del personale sanitario. Non è la prima volta che l’ospedale Ibn Sina è stato oggetto di un attacco da parte dell’esercito israeliano. In precedenti raid i militari avevano bloccato le ambulanze, circondato la struttura con i carri armati e ordinato al personale medico di lasciare l’ospedale uscendo con le mani alzate.

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Israele-Marocco: l’intesa per le relazioni commerciali passa dai territori occupati


Ieri nuovi raid del Fronte Polisario hanno preso di mira le basi marocchine nella regione di Amagli Dachra. L'attacco è una risposta all’aumento di presenza delle forze di occupazione e una prova di forza contro un apparato repressivo che guarda alle forz

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di Alessandra Mincone

Pagine Esteri, 30 gennaio 2024. Lunedì 29 Gennaio nuovi raid del Fronte Polisario hanno preso di mira le basi marocchine nella regione di Amagli Dachra, in risposta all’aumento di presenza delle forze di occupazione, provocando danni materiali e morti tra le fila dell’esercito marocchino. L’attacco è una prova di forza contro un apparato repressivo che guarda alle forze armate israeliane per attingere a nuovi strumenti di guerra, forti degli apparati giuridici e del consenso statunitense e non solo.

Negli ultimi anni, l’intesa tra Israele e Marocco ha favorito la stabilizzazione di un nuovo asse geo politico in ambito economico e militare nell’area del Medio Oriente e dell’Africa Subsahariana. Tutto è iniziato ufficialmente grazie all’adesione del Marocco agli Accordi di Abramo fortemente sostenuti dall’Amministrazione Trump, nell’ottica della normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele ed Emirati Arabi Uniti in una funzione anti-iraniana; funzione non troppo nascosta nonostante la promozione di una fiorente cooperazione tra le parti e l’adozione di un’agenda strategica volta all’espansione degli ideali di pace nel Medio Oriente, per quanto si legge agli art.6 e art.7 del Trattato.

Nel dicembre 2020, l’allora presidente degli Stati Uniti aveva ottenuto la firma del Marocco solo dopo aver assecondato il riconoscimento della sovranità marocchina sui territori occupati del Sahara Occidentale, in barba ai tentativi delle Nazioni Unite di risolvere la disputa della “contesa” organizzando un referendum sull’indipendenza della Rasd (Repubblica democratica araba dei Saharawi).

Nell’estate del 2023 anche Israele ha legittimato l’occupazione marocchina nel Sahara, ma dopotutto la Monarchia di Rabat sembrava avere già messo da parte le ostilità culminate nel 2000, quando dopo lo scoppio della seconda intifada palestinese e del sostegno marocchino alla teoria di una soluzione a due Stati, erano state sospese le relazioni diplomatiche. Dopo la sigla degli accordi di Abramo, il Governo guidato dal PJD non aveva maturano alcuna influenza contro il Re Mohammad VI, ma anzi, al rifiuto di riconoscere lo Stato d’Israele, poiché “simbolo di incoraggiamento della violazione dei diritti del popolo palestinese”, il monarca aveva anteposto il divieto a organizzare manifestazioni popolari in solidarietà alla causa palestinese.

Dall’autunno del 2020 ad oggi, Israele e Marocco hanno siglato una trentina di memorandum d’intesa. A poco meno di un anno dalla formalizzazione delle relazioni, il Marocco si impegnava a concedere ad una società israeliana, la Ratio Petroleum, i diritti esclusivi per condurre attività di esplorazione in oltre cento chilometri quadrati al largo delle coste di Dakhla, città saharawi osteggiata dalla giurisdizione marocchina dal periodo di realizzazione della quinta fase del Muro della Vergogna, avutasi nel 1985. Nell’inverno del 2022 una seconda società israeliana, la NewMed Energy, firmava un accordo per l’estrazione e la produzione di gas naturale e petrolio al largo delle coste di Boujdour, altra città storicamente tra le più pescose del Sahara, e già sfruttata da numerose società europee grazie agli accordi sulla pesca tra Marocco-UE.

Nello stesso inverno, un altro settore che ha visto il rafforzamento tra investitori e banchieri marocchini e israeliani è stato quello dell’energia rinnovabile.

Proprio durante la Cop27 in Egitto, l’israeliana H2Pro, azienda produttrice di idrogeno verde, firmava un accordo da centinaia di migliaia di dollari di profitto con la società marocchina Gaia Energy: “una pietra miliare nelle relazioni marocchino-israeliane, dimostrazione del trionfo della cooperazione regionale sul cambiamento climatico e chiaro indicatore del ruolo chiave che l’innovazione può svolgere nella diplomazia” aveva dichiarato il CEO di H2Pro, Talmon Marco. Con il memorandum, iniziava il progetto di importazione della tecnologia israeliana finalizzato a produrre energia rinnovabile su un territorio già provvisto di turbine eoliche e pannelli solari fotovoltaici, stimando che già dal 2030 l’idrogeno potrà valere 1 dollaro al chilogrammo, competendo quindi sul mercato in qualità di elemento chimico più economico al mondo e in grado di disincentivare il ricorso ai combustibili fossili: “combinando la potenza delle risorse di energia rinnovabile di Gaia con la tecnologia di produzione di idrogeno verde efficiente ed economica di H2Pro, porteremo il Marocco e la nostra regione un passo più vicino a questa visione”, aggiungeva invece il CEO di Gaia Energy, Moundir Zniber.

Il Marocco, già da qualche anno vanta un titolo tra le eccellenze internazionali specializzate nell’installazione di impianti eolici e solari. Ma da quanto emerso aldilà del panorama dei processi di transazione ecologica decantati alla Cop27, finora garantisce un’autonomia energetica che non di rado viene riutilizzata in contesti estrattivi, come in quello dei giacimenti di fosfato saharawi. Ne è un esempio l’impianto eolico attivo a Foum el-Oued, città situata nella stessa regione della capitale El Aaiùn nel Sahara. L’impianto riesce da solo a rifornire l’energia necessaria al funzionamento della miniera più vasta del mondo, nella città di Bu Craa cioè sempre in Sahara.

L’operazione apparentemente ecologica, in realtà, sta svilendo le riserve di fosfati, che stando ai dati che riporta l’Osservatorio nazionale delle risorse saharawi, si prevedono in esaurimento entro i prossimi trecento anni. Così come anche l’estrazione intensiva di idrocarburi concessa nelle acque saharawi sta minacciando la vita sui fondali.

Ma uno degli elementi da cui si evince l’importanza a consolidare la partnership tra Israele e Marocco è senza dubbio quello che riguarda l’alleanza militare e la promozione dell’industria di armamenti.

Nel contesto della cooperazione per fronteggiare il fenomeno del terrorismo e arginare lo sviluppo delle relazioni militari nell’area di influenza iraniana, infatti, il Ministro della difesa Benny Gantz firmava nel 2021 un accordo quadro a Rabat, in previsione di un rafforzamento dei legami tra i servizi di intelligence israeliani e marocchini, dell’investimento comune per le spese militari e del coinvolgimento degli eserciti in addestramenti di difesa congiunti.

Secondo un rapporto rilasciato dal Dipartimento britannico per le imprese, datato 2014, la compravendita di armi tra Israele e Marocco ha origini che risalgono ancor prima agli Accordi di Abramo. Israele negli ultimi dieci anni avrebbe venduto sistemi di spionaggio e cyber guerra attraverso paesi terzi e in totale segretezza. A riprova di ciò, il Fronte Polisario rilasciava delle immagini satellitari già nel 2018, che premettevano la presenza di droni di fabbricazione israeliana nell’aereoporto di Dakhla, e denunciava l’utilizzo di velivoli targati israele contro gli obiettivi delle forze di difesa saharawi durante la ripresa delle ostilità tra le forze di occupazione marocchine e le forze di liberazione saharawi. L’alleanza militare non sarebbe una novità per il Polisario, che alla luce dei nuovi accordi bellici tra le due potenze, ricordava come il Regno del Marocco avesse già ottenuto il supporto di Israele nella costruzione del Muro militare e con l’invio di carri armati, come anche ammesso dal ricercatore dell’Istituto israeliano per le politiche estere regionali, Einat Levi.

Quella che gli americani avevano definito una normalizzazione dei rapporti diplomatici, è parsa in realtà una nuova alleanza di guerra tra il regime sionista e i regimi reazionari “in contrasto coi valori dei diritti umani e della democrazia”, aveva scritto l’attivista e giornalista investigativo marocchino Abdellatif El Hamamouchi.

Nel settembre 2022, il sito spagnolo Infodron informava dell’acquisto da parte del Marocco di centocinquanta droni VTOL WanderB e ThunderB dalla Bluebird aero system, società di progettazione e produzione di apparecchi per sistemi aerei tattici senza pilota, posseduta al 50% dall’IAI, l’Industria aeronautica israeliana. Il primo pacchetto di droni WanderB, ottenuto a un costo stimato di cinquanta milioni di dollari, era già stato testato nell’esercitazione militare della FAR ad Ourzazate nel 2019. Grazie alle componenti acquistate, lo sviluppo dei motori e di altre parti dei droni verrebbe ultimato in Marocco nell’ottica della costruzione di un’industria bellica locale. L’accordo tra i Ministri della difesa, prevedeva finanche la collaborazione dei due paesi nella realizzazione di un centro di ricerca coadiuvato. Sempre il sito Infodron, evidenziava anche l’acquisto nel 2021 dall’IAI di droni harops nel modello kamikaze, vale a dire aerei armati senza pilota che localizzano e attaccano i radar di droni nemici, per poi esplodere al momento dell’impatto, a un costo di circa 22 milioni di dollari.

Dalla rapidità con cui si sono sviluppati i rapporti militari dopo gli Accordi di Abramo, è emerso come il Marocco negli ultimi anni abbia espresso non una semplice passiva subordinazione verso le importazioni dall’industria bellica israeliana, piuttosto una vera e propria ambizione mirata a sviluppare progetti per la crescita di una propria industria della guerra. Tra il 2021 e 2022, con l’attuazione del decreto Legge 10.20 sui materiali e sulle attrezzature per la difesa e la sicurezza, le armi e le munizioni, il Regno del Marocco sanciva di fatto le basi giuridiche per inserirsi nella classifica dei futuri produttori e esportatori di armamenti. L’operazione marocchina, venduta nel quadro di una modernizzazione della difesa sostenibile e nel contrasto al traffico di armi illecite, si innalzerebbe in favore del principio di un’autonomia logistico-operativa in correlazione al bisogno dell’autosufficienza delle attrezzature per la difesa e la sicurezza nazionale dei paesi in via di sviluppo. La “politica dell’industria della difesa” (PID), viene definita dalla succitata Legge “la consacrazione di una volontà di emancipazione per la ricerca di una libertà d’azione” oltre che “l’alternativa appropriata alla tirannia dei limiti giuridici e delle restrizioni politiche che caratterizzano il commercio dei materiali di difesa e sicurezza”.

Gli investimenti sulle energie rinnovabili e non, e le affinità belliche tra Israele e Marocco, non rappresentano semplicemente lo sfondo geopolitico sul quale si muovono le resistenze palestinesi e saharawi, ma allo stato attuale esprimono una brutale escalation coloniale già tangibile a partire dalla Striscia di Gaza, da anni considerata un laboratorio di guerra a cielo aperto e dove alla catastrofe umanitaria si somma la catastrofe ambientale. Il recente studio prodotto dai ricercatori del Social science research network inglese, ha quantificato che i bombardamenti aerei unitamente all’invasione di terra a Gaza, abbiano provocato quasi trecentomila tonnellate di anidride carbonica in poco più di sessanta giorni dal 7 Ottobre, a esclusione di emissioni inquinanti difficilmente calcolabili come quelle di gas metano.

L’attacco del 29 gennaio da parte del Fronte Polisario alle basi marocchine nella regione di Amagli Dachra, risponde alla presenza delle forze armate marocchine, sempre più massiccia che echeggia come una sirena d’allarme per i prossimi genocidi sulle rive nord africane del mediterraneo.

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AFGHANISTAN – L’anno nuovo è iniziato nel sangue. Attentati dell’Isis a raffica


Nel primo mese del 2024, si è intensificata la frequenza degli attentati a Kabul. Molti sono stati rivendicati dallo Stato Islamico. La nuova escalation fa tremare il Paese. L'articolo AFGHANISTAN – L’anno nuovo è iniziato nel sangue. Attentati dell’Isis

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Di Valeria Cagnazzo

(foto di archivio – ABNA)

Pagine Esteri, 30 gennaio 2024 – Il 2024 è iniziato all’insegna della violenza in Afghanistan, dove in sole quattro settimane il numero di esplosioni e attacchi nella città di Kabul ha superato quello registrato nel 2023. Dall’ascesa dell’autoproclamato governo talebano, gli attacchi terroristici e gli scontri nel Paese si erano progressivamente ridotti. L’ emirato islamico dell’Afghanistan ha fatto della rinnovata sicurezza nel Paese uno dei motivi fondamentali della sua propaganda. Il primo mese del 2024, però, con l’intensificarsi delle violenze nella capitale a danno dei civili, lascia presagire un ulteriore deterioramento della situazione.

La prima esplosione si è verificata il 6 gennaio, nel distretto di Dash-e-Barchi, uccidendo due passeggeri, secondo altre fonti cinque, di un minibus e facendo almeno 14 feriti. Il giorno successivo, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato. Il quartiere è abitato dalla comunità hazara, da sempre nel mirino del gruppo terroristico.

Il 9 gennaio, tre persone sono rimaste uccise e almeno quattro ferite nell’esplosione di un ordigno magnetico installato in un’automobile, nel 16° distretto di Kabul, nell’area di Alokhil. Il portavoce del Comando di Sicurezza della città in quell’occasione ha annunciato l’immediato arresto da parte della polizia del presunto responsabile.

Solo due giorni dopo, l’11 gennaio, nelle strade di Kabul è tornato a scorrere sangue. La mattina presto, una prima esplosione, di un ordigno collocato sotto a un’automobile, si era verificata vicino a una moschea nella città, senza fare apparentemente vittime. Poche ore dopo, una bomba è esplosa fuori da un centro commerciale, di nuovo nel quartiere hazara di Dash-e-Barchi, provocando 2 morti e diversi feriti. Quindici di loro sono stati portati nell’ospedale chirurgico per vittime di guerra della ONG Emergency nella città. In quell’occasione, l’ospedale ha attivato il protocollo delle mass casualties, come spiegato dal Country Director dell’organizzazione, Francesco Sacchi: “Il bersaglio di questi attacchi è la popolazione civile: i minibus che trasportano i lavoratori, i mercati… E mentre lo scorso anno per otto mesi di fila da marzo a ottobre non si erano registrati attentati, ora in meno di una settimana, dal 6 all’11 gennaio, ci sono stati quattro attacchi a Kabul. Fatti che preoccupano, sia per il numero che per la cadenza degli ultimi attacchi”.

Il 20 gennaio, a essere colpita è stata la provincia di Kunar: secondo le fonti governative, sarebbero morte tre persone e ferite sei. Il 25 gennaio un’altra esplosione, questa volta sarebbe stata registrata nei pressi dell’ambasciata russa di Kabul: avrebbe provocato la morte di due membri dello staff del consolato e diversi feriti. Il ministero degli Esteri dell’autoproclamato emirato islamico dell’Afghanistan ha espresso nella stessa giornata la sua forte condanna per l’attacco e l’impegno a rafforzare le misure di sicurezza nei confronti delle ambasciate internazionali.

E’ del 29 gennaio, infine, la notizia di un nuovo attentato, sempre nella città di Kabul, nella zona PD4. Secondo quanto dichiarato dall’ONG Emergency immediatamente dopo l’esplosione, già tre vittime sarebbero state ricevute nel suo ospedale di chirurgia di guerra, una di queste è un uomo severamente ferito al midollo spinale da una scheggia.

L’aumentata frequenza degli attacchi è un triste presagio per i prossimi mesi: nonostante il governo de facto dei talebani annunci nuove strategie per rafforzare la sicurezza nel Paese, l’intensificarsi della violenza rivela le intenzioni delle formazioni terroristiche presenti sul territorio, in particolare quelle dello Stato Islamico, rivale all’emirato talebano nel Paese: con i nuovi attentati rivendica una forza in espansione, soprattutto ai danni delle minoranze come quella hazara. La sua strategia del terrore sta tornando a far tremare il Paese. Pagine Esteri

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📣 #Maturità2024: Greco al Liceo classico, Matematica al Liceo scientifico, Economia Aziendale per gli Istituti tecnici del Settore economico indirizzo “Amministrazione, Finanza e Marketing”, Topografia per l’indirizzo “Costruzioni, Ambiente e Territo…


FPF Announces International Technology Policy Expert as New Head of Artificial Intelligence


FPF has appointed international technology policy expert Anne J. Flanagan as Vice President for Artificial Intelligence (AI). In this new role, Flanagan will lead the privacy organization’s portfolio of projects exploring the data flows driving algorithmi

FPF has appointed international technology policy expert Anne J. Flanagan as Vice President for Artificial Intelligence (AI). In this new role, Flanagan will lead the privacy organization’s portfolio of projects exploring the data flows driving algorithmic and AI products and services, their opportunities and risks, and the ethical and responsible development of this technology.

Flanagan joins FPF with almost 20 years of experience in international strategic technology governance and development. She has a proven track record of bringing together stakeholders worldwide, including businesses, governments, academics, and civil society organizations, to co-design policy frameworks that address our time’s most intractable technology policy issues.

“Anne is a true leader of efforts to establish policies and standards for emerging technologies,” said Jules Polonetsky, CEO of FPF. “The vast amounts of data that enable AI and the myriad uses are creating some of the most exciting opportunities for progress, but also some of the gravest risks the world has faced. We’re eager for Anne to build on FPF’s extensive current portfolio of AI projects and open up new initiatives.”

As Deputy Head of Division for Telecommunications Policy & Regulation at the Department of Communications, Climate Action, and Environment in Ireland, Flanagan was responsible for developing Ireland’s technical policy positions and diplomatic strategy regarding EU legislation on telecommunications, digital infrastructure, and data. She represented Ireland in the EU Digital Single Market Strategic Group at the European Commission and the Working Party on Telecommunications and Information Society at the Council of the European Union. Flanagan also played a crucial role in the EU’s early approach to AI governance, contributing to the foundational work on the EU’s Digital Single Market.

Since moving to the U.S. in 2019, Flanagan has held several senior positions in technology policy, including at the World Economic Forum’s Centre for the Fourth Industrial Revolution and, most recently, Reality Labs Policy at Meta Platforms Inc. In all of these senior roles, her research and expertise has helped technology business leaders shape responsible and sustainable technology development.

“I have seen global leaders, from governments to CEOs, struggle with developing AI in an ethical and responsible manner,” said Flanagan. “This is complicated by the unprecedented speed in AI innovation and an intersection with other emerging technologies and policy issues. As we think about managing AI, human centricity needs to be at the forefront of any approach, and therefore, the importance of data stewardship becomes vital. I’m excited for this opportunity at such a distinguished organization as the Future of Privacy Forum, where these concerns are already front and center. I look forward to working towards building sustainable and trustworthy policy solutions with diverse stakeholders globally.”

Since 2015, FPF has worked with corporate, civil society, and policy stakeholders to develop best practices for managing risks posed by AI and has worked to assess whether data protection practices such as fairness, accountability, and transparency are sufficient to answer the ethical questions they raise. More recently, FPF explored the challenges and responsible applications regarding AI in the workplace with its 2023 Best Practices for AI and Workplace Assessment Technologies and updated its 2020 report, The Spectrum of Artificial Intelligence and accompanying Spectrum of Artificial Intelligence Infographic. Additional FPF AI projects include Automated Decision-making Under the GDPR, Generative AI for Organizational Use: Internal Policy Checklist, Unfairness By Algorithm: Distilling the Harms of Automated Decision-Making and more.

Flanagan holds a Masters in Economics and Political Science from Trinity College Dublin, a Masters in International Relations from Dublin City University, and a Masters of Business Administration from Trinity College Dublin. A former appointee to the UK Government’s International Data Transfers Expert Council, Flanagan is also a Member of the Board of Advisors of the Innovation Value Institute (IVI) at Maynooth University and a recognized Woman Leader in Data and AI at WLDA.tech.


fpf.org/blog/fpf-announces-int…

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La destra israeliana si riunisce sulla ricostruzione delle colonie a Gaza


12 ministri del governo Netanyahu e 15 parlamentari della coalizione di maggioranza si sono impegnati a ricostruire gli insediamenti ebraici israeliani nel cuore della Striscia di Gaza e a incoraggiare l’“emigrazione” della popolazione palestinese L'arti

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della redazione

Pagine Esteri, 29 gennaio 2024 – Ieri sera fronte a un pubblico di migliaia di coloni e di attivisti di destra, 12 ministri del governo Netanyahu e 15 parlamentari della coalizione di maggioranza si sono impegnati a ricostruire gli insediamenti ebraici israeliani nel cuore della Striscia di Gaza e a incoraggiare l’“emigrazione” della popolazione palestinese dopo la fine della guerra.

I ministri del Likud, il partito di maggioranza relativa, presenti all’evento erano Miki Zohar, Haim Katz, Idit Silman, Shlomo Kahri, May Golan e Amichai Chikli. Hanno partecipato anche i ministri di Otzma Yehudit (Potere Ebraico) Ben Gvir, Yitzhak Wasserlauf e Amichai Eliyahu, insieme a Bezalel Smotrich e Orit Strock di Sionismo Religioso. Presenti anche un ministro il Partito del Giudaismo della Torah e l’influente rabbino Dov Lior. La folla, circa 3mila persone, è giunta in maggioranza dalle comunità sioniste religiose. Presenti centinaia di giovani e molte famiglie, compresi bambini piccoli.

A nome degli organizzatori della conferenza che si è tenuta al Centro Congressi di Gerusalemme, la presidentessa dell’associazione dei coloni, Nachala, e attivista degli insediamenti Daniella Weis ha chiesto che i 2,3 milioni palestinesi di Gaza “lascino il territorio” e vadano all’estero. “Milioni di profughi di guerra vanno da un paese all’altro in tutto il mondo”, ha dichiarato Weiss, contestando che solo quelli che ha descritto come i “mostri cresciuti a Gaza (i palestinesi)” restino collegati ad essa. Weiss ha quindi proclamato che “Solo il popolo di Israele si stabilirà sull’intera Striscia di Gaza e la governerà”.

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“E’ ora di tornare a casa a Gush Katif”, ha detto da parte sua il ministro della Sicurezza e leader dell’estrema destra, facendo riferimento al nome del blocco di insediamenti israeliani a Gaza evacuato con il Piano di Disimpegno del 2005. Ben Gvir e il suo collega Smotrich, insieme a sei parlamentari della coalizione, hanno firmato quello che è stato soprannominato il “Patto di vittoria e rinnovamento degli insediamenti” a Gaza. Uno striscione alzato dalla folla diceva: “Solo un trasferimento [di palestinesi da Gaza] porterà la pace”.

Israele ha smantellato i 21 insediamenti ed evacuato 8.000 coloni da Gaza circa 19 anni fa.

Netanyahu non ha partecipato alla conferenza e sabato sera aveva dichiarato di essere contrario al reinsediamento a Gaza di coloni. Ha inoltre smentito che il tema della conferenza rappresenti una politica del suo governo. Una posizione conseguenza anche dell’opposizione degli Stati Uniti e di altri paesi alleati di Israele alla colonizzazione di Gaza, al centro di offensiva israeliana devastante che ha fatto oltre 26mila morti, decine di migliaia di feriti e distrutto interi centri abitati palestinesi.

Qualcuno però sostiene che la colonizzazione di Gaza diventerà un pilastro della campagna elettorale della destra quando Israele andrà al voto. Pagine esteri

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



Se la (dis)informazione è arma di una guerra ibrida. L’opinione del gen. Tricarico


Ho ripreso a leggere il Corriere della Sera, di cui ero fedelissimo, solo quando anni fa sparì o quasi dal quotidiano milanese la firma di Andrea Purgatori, un giornalista che non passava giorno che non inventasse di sana pianta qualcosa sulla tragedia di

Ho ripreso a leggere il Corriere della Sera, di cui ero fedelissimo, solo quando anni fa sparì o quasi dal quotidiano milanese la firma di Andrea Purgatori, un giornalista che non passava giorno che non inventasse di sana pianta qualcosa sulla tragedia di Ustica, giungendo alla fine a firmare ben trentadue versioni diverse sulla dinamica e sulle cause dell’attentato al DC9 Itavia del 27 giugno 1980. Mettendo nel contempo a punto un colossale imbroglio ai danni della verità, oltre che del cittadino, delle istituzioni e non ultimo, dell’erario.

Non sono invece un lettore assiduo de Il Fatto Quotidiano e tuttavia, la stima per il suo fondatore Antonio Padellaro e la indubbia postura di giornalista che non fa sconti, sistematicamente documentato e credibile sui vari dossier di Marco Travaglio non possono insieme annullare l’incredibile sortita di Giampiero Calapà, il quale, in un articolo pubblicato il 27 gennaio dal titolo: “Crosetto segreto: ‘Putin vince e attacca i Baltici. Poi Trump…”, ha messo infila una serie di variopinte falsità a carico del ministro della Difesa, accusato in buona sostanza di sostenere a porte chiuse tesi e visioni in netta contrapposizione a quelle manifestate pubblicamente, anche in campo internazionale.

In altri termini, se all’epoca cancellai il Corriere della Sera dalle mie letture per le motivazioni legate alla mendacia di Purgatori, oggi stessa sorte mi sembra dover indicare per Il Fatto Quotidiano a causa degli scoop del meno noto ma ugualmente caratterizzato Calapà.

Più nel concreto, ho letto l’articolo de Il Foglio (che ha potuto ascoltare l’audio dell’evento), e ho avuto la possibilità di riscontrare da fonti terze, e personalmente dagli organizzatori dell’evento al Grand Hotel, che nulla, ma veramente nulla, di quanto attribuito al ministro della Difesa corrispondeva a verità; la sciatteria dell’estensore balzava addirittura agli occhi, seppure ve ne fosse stato bisogno, da quel “chat house” detto e ripetuto al posto di “Chatham House”, per certificare il carattere di riservatezza dell’evento organizzato da Ernst and Young.

Non vale la pena entrare nel merito della questione (il falso è falso), quanto invece riflettere su come sia possibile che certo giornalismo sia sceso a questi livelli.

Mi sentirei di paragonare lo scivolone de Il Fatto all’incredibile chiamata alle armi contro il governo di Marcello Degni, il magistrato contabile collocato dal PD presso la Corte dei Conti.

In quella circostanza Elly Schlein si guardò bene dal censurare il comportamento riprovevole di un “suo uomo”, innescando forti sospetti se non la certezza, che distaccare propri uomini presso le istituzioni dello Stato equivalesse a continuare a contare sulla loro militanza attiva, in costanza di fedeltà al partito e, se necessario, di infedeltà al mandato istituzionale.

Esprimere riprovazione dal Nazareno per il comportamento di Degni sarebbe equivalso a sconfessare pubblicamente se stessi, ossia l’obbligo della militanza, la linea della sola fedeltà al partito, ad ogni costo.

Tornando a Il Fatto, se Marco Travaglio non dovesse sanzionare in qualche maniera Calapà o addirittura continuasse a tacere sull’argomento, commetterebbe lo stesso errore di Schlein, dando purtroppo la sgradevole ma incontrovertibile sensazione che il giornalismo – certamente il suo – venga ormai praticato nell’inosservanza e forse nel disprezzo, dei principi cardine ed irrinunciabili della deontologia professionale.

Non comprendendo – e questo è lo strano che unisce ancora una volta la politica politicante a certo giornalismo – che, non essendo gli italiani degli sprovveduti, l’effetto boomerang non tarderà a palesare i suoi risultati.

Se oggi dovessi spiegare a qualcuno il significato della dizione “eterogenesi dei fini” non avrei dubbi nel farmi assistere dall’esempio decisamente calzante dell’articolo su Crosetto; spiegando che il quotidiano, ricorrendo come nel caso di Calapà ad ogni mezzo, leggasi mistificazione, falsità e fantasiose invenzioni, pur di affermare la linea editoriale, provocherà esattamente l’effetto contrario, una semplice alzata di spalle da parte di chi doveva essere inchiodato alle proprie responsabilità.

Con buona pace per il ruolo della stampa a guardia della democrazia ed a tutela dalla degenerazione del potere.

Non sarei stupito se proprio un’alzata di spalle fosse, quantomeno in prospettiva, la reazione di Crosetto e degli altri esponenti di governo più impegnati nella compagine che gli italiani hanno votato. E se non lo fosse, da cittadino, da elettore e soprattutto da servitore pluridecennale dello Stato, la reclamerei a gran voce rispetto al comportamento di certa stampa che sembra aver smarrito ogni giorno di più la propria funzione.


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In Cina e Asia – Evergrande, tribunale di Hong Kong ordina liquidazione


In Cina e Asia – Evergrande, tribunale di Hong Kong ordina liquidazione evergrande
I titoli di oggi: Evergrande, tribunale di Hong Kong ordina liquidazione Cina e Stati Uniti tornano a parlare di contrasto alla diffusione del fentanyl Cina e Corea del Nord “rafforzeranno la comunicazione strategica Cina, ricompense a chi presenta delle donne da sposare agli scapoli nelle zone rurali La Cina è “il leader delle rinnovabili” India e Francia rafforzano le relazioni ...

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Africa Rossa – In attesa del Piano Mattei, la Cina si allarga in Africa


Africa Rossa – In attesa del Piano Mattei, la Cina si allarga in Africa Africa
Il Piano Mattei prenda forma: venticinque capi di Stato e di governo, i vertici europei da Ursula von der Leyen a Roberta Metsola, rappresentanti dell’Onu, della Fao e del Fondo monetario. È un parterre decisamente ricco quello che, tra domenica 28 e lunedì 29 gennaio, sarà protagonista a Roma della prima conferenza di alto livello Italia-Africa. Convitato di pietra la ...

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#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato all’ISI Sandro Pertini di Lucca che ha attivato nuovi corsi per contrastare la dispersione scolastica e all’IIC Niccolò Pisano di Marina di Pisa, che sarà demolito e ricostruito secondo criteri di una did…


#laFLEalMassimo – Episodio 112: Regole Stringenti e Formalità Burocratiche


Come sempre in apertura ricordo il sostegno di questa rubrica al popolo ucraino ingiustamente e ingiustificatamente aggredito dalla follia espansionista russa che minaccia la libertà di tutte le società aperte del mondo libero. Venendo alle faccende di ca

Come sempre in apertura ricordo il sostegno di questa rubrica al popolo ucraino ingiustamente e ingiustificatamente aggredito dalla follia espansionista russa che minaccia la libertà di tutte le società aperte del mondo libero.

Venendo alle faccende di casa si parlato molto dell’abbassamento dei limiti di velocità nel comune di Bologna, dividendosi come sempre in fazioni ideologiche con scarsa attenzione ai fatti e alle valutazioni quantitative.
Sul tema un articolo de lavoce.info titola in modo abbastanza esplicito “Zone 30, un dibattito senza dati” per sostenere che le analisi svolte e le valutazioni convenienza sono basate su un set informativo inadeguato e insufficiente.

Ma non si può condannare troppo un’amministrazione locale, magari mossa da lodevoli intenti secondo si sostenitori della misura o più interessata o interessata a fare cassa con le multe secondo i detrattori.

Come sempre avviene in questo paese il problema è culturale e risiede nell’ingenua illusione che la soluzione dei problemi possa venire dall’introduzione di regole più restrittive ignorando colpevolmente che l’elefante nella stanza risiede nel modo in cui queste vengono fatte rispettare e di quanto sia semplice o conveniente infrangerle.

Non funzionano le restrizioni all’uso dei contanti o le infinite nuove regole fiscali, spesso in contraddizione le une con le altre, perché spesso si tratta appunto di norme di facciata, di messe in piedi per apparire formalmente adempienti a questa o quella istanza dei propri sostenitori o qualche normativa sovranazionale. Troppe regole troppo stringenti sono il sogno bagnato di burocrati e oppressori e l’incubo dei cittadini liberi.

Una società civile e moderna dovrebbe avere poche regole semplici e meccanismi adeguati che ne salvaguardino il rispetto. L’alternativa è semplice demagogia, captatio benevolentiae e maldestro tentativo gattopardiano cambiamento tutto affinché nulla cambi.

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L’offensiva diplomatica contro l’Unrwa è un attacco alla questione dei profughi palestinesi


Nove paesi, inclusa l'Italia, tagliano i fondi all'agenzia dell'Onu perché 12 dei suoi 13mila dipendenti avrebbero partecipato all'assalto di Hamas del 7 ottobre. Israele ora vuole l'Unrwa fuori da Gaza. L'articolo L’offensiva diplomatica contro l’Unrwa

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di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 28 gennaio 2024 – È un’offensiva politica e diplomatica senza precedenti, parallela all’invasione militare che sta radendo al suolo Gaza, quella che Israele, l’Amministrazione Biden e alcuni dei loro alleati – Italia, Australia, Gran Bretagna, Canada e Finlandia – hanno lanciato contro l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste milioni di profughi palestinesi. Sulla base della documentazione prodotta dall’intelligence israeliana contro 12 lavoratori dell’Unrwa – che impiega molte migliaia di palestinesi – accusati di aver partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di Israele (1.200 morti), gli Stati uniti hanno sospeso i fondi per l’agenzia appena un’ora dopo la decisione della Corte internazionale di Giustizia (Cig) che all’Aja aveva definito «plausibile» l’accusa di «genocidio» a Gaza. L’Italia e gli altri paesi hanno fatto lo stesso nelle ore successive. Un tempismo a dir poco sospetto, da far pensare a un coordinamento deciso con largo anticipo da Tel Aviv e Washington.

La vicenda della partecipazione all’assalto di Hamas in Israele dei 12 lavoratori dell’Unrwa era già emersa nelle settimane passate. È tornata in primo piano, proprio venerdì sera. Mentre si attendevano i primi, sebbene improbabili, riflessi sul terreno delle decisioni della Corte dell’Aja, i riflettori da Israele sotto indagine internazionale per «genocidio» si sono spostati sull’Unrwa. Il commissario generale dell’agenzia, Philippe Lazzarini, ha provato a contenere la deflagrazione del caso annunciando il licenziamento dei 12 e la piena volontà di fare chiarezza sull’accaduto, ma non è servito a molto. In poche ore l’aiuto umanitario è diventato «aiuto al terrorismo». Di fronte ai «crimini dell’Onu» Israele evidentemente ora si ritiene dispensato dall’obbligo di cooperare con le agenzie delle Nazioni unite al fine di garantire senza limitazioni l’ingresso e la distribuzione di generi di prima necessità ai civili di Gaza, come richiesto dai giudici internazionali. «Il terrorismo mascherato da attività umanitaria è una vergogna per l’Onu e per i principi che sostiene di rappresentare», ha scritto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

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L’attacco frontale all’Unrwa non è una novità. Israele insiste da tempo affinché l’Unrwa cessi di esistere e di rappresentare la questione dei profughi palestinesi nata dalla Nakba nel 1948. Quest’ultima vicenda è solo l’ultimo capitolo di una campagna che si è fatta più intesa dal 2009 in poi con l’ascesa al potere in Israele del premier di destra Benyamin Netanyahu. Su X il ministro degli esteri Israel Katz è stato esplicito. «Israele cercherà di impedire all’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi di operare a Gaza dopo la guerra», ha detto Katz, annunciando che l’Unrwa non dovrà fare parte del cosiddetto «day after». «L’Unrwa perpetua la questione dei rifugiati, ostacola la pace e funge da braccio civile di Hamas a Gaza», ha proseguito Katz sollecitando le Nazioni unite a varare sanzioni contro i dirigenti dell’agenzia per i profughi. Durante il suo mandato, Donald Trump, accogliendo la tesi di Israele del peso dell’Unrwa nel tenere viva la questione dei profughi palestinesi e del loro diritto al ritorno nella terra d’origine (Risoluzione 194 dell’Onu), tagliò i fondi Usa dell’agenzia e ne chiese la chiusura. Mossa che trovò alleati in esponenti politici di vari paesi occidentali, Italia inclusa. Biden dopo il 2020 riprese i finanziamenti, ora li ha sospesi.

Con oltre 340 milioni di dollari nel 2022, gli Stati uniti sono il ​​più donatore più importante dell’agenzia nata con la risoluzione 302 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’8 dicembre 1949 e che ha iniziato ad operare il 1° maggio 1950. Gli altri due principali finanziatori sono la Germania e l’Unione europea. Negli ultimi anni l’Unrwa ha visto diminuire progressivamente le sue risorse – per il crescente disinteresse internazionale nei confronti dei profughi palestinesi e per l’inizio nel mondo di altre gravi crisi umanitarie – e ha dovuto lanciare appelli per tenere in piedi le sue attività principali, tra le quali l’istruzione e la sanità per gli oltre 5 milioni di profughi nei Territori occupati, in Libano, Siria e Giordania. Colpire l’Unrwa significa mettere a rischio a Gaza il suo ruolo essenziale nel fornire assistenza salvavita ai palestinesi, compresi cibo, medicine, alloggi e altro sostegno umanitario. Sarebbe una catastrofe nella catastrofe tenendo conto di ciò che servirà alla popolazione di Gaza per uscire dall’emergenza umanitaria se e quando finirà l’offensiva israeliana. «Gettare discredito su tutta l’Unrwa, per ciò che hanno fatto alcuni dei suoi lavoratori, che pure vanno condannati, è assurdo» ha detto al manifesto la direttrice di +972 ed intellettuale israeliana Orly Noy. «Le motivazioni di Israele sono evidentemente politiche – ha aggiunto – punendo l’Unrwa si negano i diritti dei profughi e si puniscono tutti i palestinesi».

Intanto la guerra va avanti. «Se la fermassimo adesso, significherebbe rinunciare a una vittoria decisiva», scriveva ieri Yedidia Stern sul Jerusalem Post commentando le voci dubbiose del successo dell’offensiva a Gaza. Secondo il JPPI Israeli Society Index, all’inizio del conflitto il 78% degli israeliani era certo della vittoria, ora il 61%. Slogan contro Benyamin Netanyahu e il leader di Hamas Yahya Sinwar si sentono anche in video con gruppi di civili palestinesi che camminano tra le macerie di Gaza. Per alcuni sono manifestazioni spontanee di dissenso nei confronti delle mosse fatte dal movimento islamico, per altre fonti sarebbero pilotate. Ieri altre migliaia di palestinesi hanno lasciato Khan Yunis sotto attacco e si sono dirette a piedi verso la zona di Mawasi. A Rafah le forti piogge hanno allagato le tende degli sfollati gettando centinaia di civili nella disperazione. Tra venerdì e sabato i bombardamenti israeliani hanno ucciso altri 174 palestinesi, facendo salire a 26.257 il numero dei morti dal 7 ottobre.

Ieri sera, mentre migliaia di israeliani chiedevano in strada le sue dimissioni, Benyamin Netanyahu è tornato sul procedimento all’Aja, anche per ribadire che non fermerà l’attacco a Gaza. «La disponibilità della Corte» anche solo ad esaminare il caso contro Israele, ha detto, «dimostra che molti nel mondo non hanno imparato nulla dall’Olocausto. La lezione principale è che ci difenderemo da soli. Israele deve essere forte e determinato». Su richiesta dell’Algeria, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunirà la prossima settimana sulla decisione dei giudici dell’Aja che chiede a Israele di prevenire atti di genocidio a Gaza. Pagine Esteri

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“Esistono prove sufficienti per indagare il genocidio” ma la Corte di Giustizia non ordina il cessate in fuoco


La sentenza obbliga legalmente Israele a prendere tutte le misure necessarie per prevenire atti di genocidio e a consegnare eventuali prove delle stesse azioni genocidiarie. La sentenza è stata votata da 15 giudici su 17. L'articolo “Esistono prove suffi

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Pagine Esteri, 26 gennaio 2024. La Corte internazionale di giustizia ha emesso la sua sentenza iniziale riguardo alla causa presentata contro Israele dal Sudafrica, dichiarando che “esistono prove sufficienti per valutare l’accusa di genocidio”. La sentenza obbliga legalmente Israele a prendere tutte le misure necessarie per prevenire atti di genocidio e a consegnare eventuali prove delle stesse azioni genocidiarie. La sentenza è stata votata da 15 giudici su 17.

Questa prima decisione ha un’importante eco internazionale e potrebbe rappresentare un primo passo verso la condanna di Israele per genocidio. La giudice Joan E. Donoghue ha infatti affermato che la Corte ha giurisdizione per pronunciarsi sulle misure di emergenza del caso e che le operazioni militari di Israele hanno provocato un numero enorme di morti, feriti, una massiva distruzione e lo sfollamento della popolazione. L’ordine è che Israele prevenga l’uccisione o il ferimento dei palestinesi di Gaza, e le condizioni calcolate per distruggere in tutto o in parte la popolazione della Striscia.

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Joan E. Donoghue, giudice della Corte Internazionale di Giustizia

Le dichiarazioni dei rappresentanti politici israeliani sono state riportate, dalla giudice che ha presieduto la seduta, come esempi di linguaggio disumanizzante e come prova dell’intenzione di commettere una punizione collettiva.

Il Ministro degli Esteri del Sudafrica, Naledi Pandorthe, ha commentato la decisione, dichiarando che la Corte ha emesso un ordine importante per salvare delle vite a Gaza ma che avrebbe voluto che la sentenza avesse contenuto il “cessate il fuoco”.

Il Ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir è stato il primo membro del governo israeliano a commentare l’ordine, definendo “antisemita” la Corte internazionale di Giustizia: “La decisione della corte antisemita dell’Aia dimostra ciò che era già noto: questa corte non cerca giustizia, ma piuttosto la persecuzione degli ebrei“. Ha continuato dichiarando che “Le decisioni che mettono in pericolo la continua esistenza dello Stato di Israele non devono essere ascoltate. Dobbiamo continuare a sconfiggere il nemico fino alla vittoria completa”. Ben Gvir ha anche accusato il Tribunale internazionale dell’Aia di essere rimasto “in silenzio durante l’Olocausto”. In realtà, la corte è stata fondata il 26 giugno 1945.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che “l’affermazione stessa che Israele stia commettendo un genocidio contro i palestinesi non è solo falsa, è oltraggiosa e la volontà della corte di discuterne è una vergogna che non verrà cancellata per generazioni”.

Anche Hamas ha commentato la sentenza in un comunicato: “è un importante sviluppo che contribuisce a isolare Israele e a smascherare i suoi crimini a Gaza”.

Israele ha provato con tutte le sue forze ad evitare la pronuncia, movimentando i propri diplomatici, facendo pressioni sui governi e rilasciando dichiarazioni infuocate contro i rappresentanti del Sudafrica. Appena ieri, prima che la Corte si riunisse, il governo Netanyahu ha detto, per bocca del suo portavoce Eylon Levi “ci aspettiamo che la Corte respinga le false accuse”. Molti altri Stati hanno però sostenuto la denuncia del Sudafrica, soprattutto quelli arabi.

Ora Israele sa di essere seriamente sotto inchiesta per il crimine di genocidio. I rappresentanti governativi sono stati avvisati, in qualche modo, che le dichiarazioni pubbliche potranno essere utilizzate contro loro stessi, come prova di incitamento al genocidio. Questo vale anche per i vertici militari, ai quali potrebbe essere ordinato di cambiare registro linguistico. Ma è improbabile che ciò avvenga con alcuni rappresentanti del governo, come il ministro israeliano Amichai Eliyanu, che un giorno prima della sentenza dell’Aia ha confermato il suo invito a sganciare una bomba nucleare su Gaza.


Il Sudafrica ha denunciato il 29 dicembre Israele alla Corte Internazionale di Giustizia. L’accusa, mossa all’interno di un documento di 84 pagine, è di compiere deliberatamente un genocidio, tentando ripetutamente di distruggere i palestinesi in quanto gruppo. Tali intenzioni, secondo i rappresentanti sudafricani, sono state più volte chiaramente espresse dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della difesa Yoav Galant.

Oltre ai bombardamenti e alle uccisioni mirate, la documentazione fa riferimento alla scelta deliberata, da parte del governo israeliano, di infliggere condizioni di vita intese a distruggere una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese.

La Corte internazionale di giustizia è l’organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite. Il suo scopo è quello di definire in base al diritto internazionale controversie giuridiche presentate dagli Stati e di dare pareri su questioni sottoposte da organismi delle Nazioni Unite e da agenzie indipendenti.

Al momento della denuncia Israele ha commentato, attraverso il portavoce del Ministero degli affari esteri Lior Haiat, che la richiesta del Sudafrica “costituisce un uso spregevole della Corte” e che il governo sudafricano starebbe “cooperando con un’organizzazione terroristica che chiede la distruzione dello Stato di Israele”, aggiungendo poi che Hamas è “responsabile della sofferenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza, perché li usa come scudi umani e ruba loro aiuti umanitari”.

Lior Haiat ha dichiarato inoltre che “Israele è impegnato nel diritto internazionale e agisce in conformità con esso e dirige i suoi sforzi militari solo contro l’organizzazione terroristica di Hamas e le altre organizzazioni terroristiche che cooperano con Hamas. Israele ha chiarito che i residenti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni ai non coinvolti e per consentire agli aiuti umanitari di entrare nella Striscia di Gaza”.

Nel documento presentato alla Corte Internazionale di Giustizia, si legge, tra le altre cose:

“I fatti invocati dal Sudafrica nel presente ricorso e che dovranno essere ulteriormente sviluppati nel presente procedimento dimostrano che, in un contesto di apartheid, espulsione, pulizia etnica, annessione, occupazione, discriminazione e continua negazione del diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione – Israele, in particolare dal 7 ottobre 2023, non è riuscito a prevenire il genocidio e non è riuscito a perseguire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio. Ancora più grave, Israele si è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Tali atti includono l’uccisione, il causare gravi danni mentali e fisici e l’infliggere deliberatamente condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica come gruppo.

Le ripetute dichiarazioni dei rappresentanti dello Stato israeliano, anche ai massimi livelli, del presidente, del primo ministro e del ministro della Difesa israeliani esprimono intenzioni genocide. Tale intenzione deve essere correttamente dedotta anche dalla natura e dalla condotta dell’operazione militare israeliana a Gaza, tenuto conto, tra l’altro, dell’incapacità di Israele di fornire o garantire cibo, acqua, medicine, carburante, riparo e altra assistenza umanitaria essenziale per l’assediato popolo palestinese, spinto sull’orlo della carestia.

Ciò emerge chiaramente anche dalla natura e dalla portata degli attacchi militari israeliani contro Gaza, che hanno comportato il bombardamento prolungato per più di 11 settimane di uno dei luoghi più densamente popolati del mondo, costringendo all’evacuazione di 1,9 milioni di persone, l’85% della popolazione di Gaza dalle loro case e spingendoli in aree sempre più piccole, senza un riparo adeguato, in cui continuano ad essere attaccati, uccisi e feriti.

Israele al momento ha ucciso oltre 21.110 palestinesi, tra cui oltre 7.729 bambini – con oltre 7.780 altri dispersi, presumibilmente morti sotto le macerie – e ha ferito oltre 55.243 altri palestinesi, causando loro gravi danni fisici e mentali. Israele ha inoltre devastato vaste aree di Gaza, compresi interi quartieri, e ha danneggiato o distrutto oltre 355.000 case palestinesi, insieme a estesi tratti di terreni agricoli, panifici, scuole, università, aziende, luoghi di culto, cimiteri, centri culturali e di siti archeologici, edifici municipali e tribunali e infrastrutture critiche, comprese strutture idriche e igienico-sanitarie e reti elettriche, perseguendo al contempo un attacco implacabile al sistema medico e sanitario palestinese.

Israele ha ridotto e continua a ridurre Gaza in macerie, uccidendo, ferendo e distruggendo la sua popolazione e creando condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica come gruppo”.

All’inizio di novembre il Sudafrica aveva ritirato i propri diplomatici in Israele e l’Assemblea Nazionale sudafricana ha votato la sospensione di tutte le relazioni diplomatiche con Tel Aviv.

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Giornata della protezione dei dati: il 74% degli esperti afferma che le autorità di protezione dei dati continuerebbero a rilevare "violazioni rilevanti" nella maggior parte delle aziende noyb ha condotto un'indagine tra oltre 1000 professionisti della protezione dei dati che lavorano in aziende europee DPO Survey Header


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Giornata della protezione dei dati: il 74% degli esperti afferma che le autorità di protezione dei dati continuerebbero a rilevare "violazioni rilevanti" nella maggior parte delle aziende noyb ha condotto un'indagine tra oltre 1000 professionisti della protezione dei dati che lavorano in aziende europee DPO Survey Header


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LISA: parte la missione che studierà le onde gravitazionali dallo spazio l reccom.org

"LISA rileverà, in tutto l’Universo, le increspature nello spaziotempo causate dalla collisione di enormi buchi neri al centro delle galassie. Ciò consentirà agli scienziati di risalire alla loro origine, di tracciare il modo in cui crescono fino a diventare milioni di volte più massicci del Sole e di stabilire il ruolo che svolgono nell’evoluzione delle galassie."

reccom.org/lisa-missione-studi…



Oggi è il #GiornodellaMemoria. Tale data è stata scelta simbolicamente dal Parlamento italiano in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.


Giorno della Memoria, a Bologna le prove generali della sopraffazione


Piccolo fatto locale emblematico di un grande problema nazionale. Ieri, a Bologna, ho partecipato ad un convegno sull’antisemitismo organizzato dai presidenti del Museo ebraico e della Comunità ebraica locali. Doveva esserci il sindaco del Pd, ma non c’er

Piccolo fatto locale emblematico di un grande problema nazionale. Ieri, a Bologna, ho partecipato ad un convegno sull’antisemitismo organizzato dai presidenti del Museo ebraico e della Comunità ebraica locali. Doveva esserci il sindaco del Pd, ma non c’era. Doveva esserci il rettore dell’Alma Mater, ma non c’era. C’era, invece, un consistente presidio di forze dell’ordine a difesa dei relatori e del pubblico e c’era un manipolo dei collettivi universitari con megafono e striscione. Sullo striscione, la scritta “Il nuovo genocidio è in Palestina…resistenza fino alla vittoria”. Dove la vittoria coincide con la cacciata degli ebrei dal Medio Oriente.

Due considerazioni. La prima. A nessun filo istraeliano verrebbe in mente di andare a contestare un convegno organizzato da organizzazioni filo palestinesi, per i filo palestinesi è invece naturale contestare i filo israeliani e tentare di ridurli al silenzio. Accade un po’ ovunque a livello nazionale ed internazionale, ma a Bologna, dove la sinistra gruppettara e massimalista è sempre stata coccolata dalle autorità accademiche e cittadine, accade un po’ più che altrove. Forse sbagliando, immagino, e questa è la seconda considerazione, che sia stato per questo motivo che il sindaco Matteo Lepore e il Magnifico Rettore Giovanni Molari ieri abbiano preferito non metter piede né faccia in un contesto che secondo lo spirito di fazione imperante è un contesto “ebraico”.

È stato un peccato, perché la sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio era gremita. È stato un peccato, perché le relazioni del professor Asher Colombo dell’Istituto Cattaneo e di Emanuele Ottolenghi della Fondation for Defence of Democracy di Washington sono state molto interessanti. Interessanti e rivelatrici. Dal sondaggio tra gli studenti universitari di tre grandi atenei del Nord Italia illustrato dal primo e dai dati raccolti nei campus e nella società americana dal secondo emergono verità incontrovertibili: l’antisionismo è molto spesso il frutto dell’antisemitismo, è un sentimento che oggi caratterizza la sinistra estrema persino più dell’estrema destra, non ha nulla a che vedere con la sproporzione della reazione israeliana al pogrom del 7 ottobre: preesisteva tale e quale; i bombardamenti su Gaza gli hanno solo dato voce e, nella logica di chi ne è avvinto, lo hanno legittimato.

In rappresentanza del sindaco di Bologna, un assessore ex grillino oggi Pd, Massimo Bugani, ieri ha fatto un discorso fumoso all’insegna del vogliamoci bene. Appariva piuttosto chiaro che i suoi interlocutori ideali non si trovavano in sala, ma erano quelli assembrati fuori dal palazzo.

È stato solo un piccolo fatto locale, certo. Ma forse non è sbagliato leggerlo come la prova generale di quel che accadrà domani, Giorno della Memoria, a livello nazionale.

Formiche.net

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Operazioni multidominio nello Spazio. Ecco l’accordo Covi-Asi


L’ampiezza geografica disegnata dagli impegni fuori area delle Forze armate, nonché la dinamicità e la mutevolezza degli attuali scenari geostrategici, richiedono servizi spaziali sempre più moderni e diversificati. Questa la ragione dietro la firma di og

L’ampiezza geografica disegnata dagli impegni fuori area delle Forze armate, nonché la dinamicità e la mutevolezza degli attuali scenari geostrategici, richiedono servizi spaziali sempre più moderni e diversificati. Questa la ragione dietro la firma di oggi di un Accordo operativo tra il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante del Comando operativo di vertice interforze (Covi) e Teodoro Valente, presidente dell’Agenzia spaziale italiana che fa seguito all’accordo quadro siglato il 10 novembre 2022 tra il ministero della Difesa e l’Asi per la collaborazione nell’ambito delle attività spaziali mediante la realizzazione di studi di comune interesse. Come sottolineato dal generale Figliuolo, “le ormai ineludibili telecomunicazioni satellitari e i prodotti di osservazione della terra consentono ai comandanti di esercitare le proprie funzioni con maggiore tempestività ed efficacia, ma anche al Covi di assicurare unicità di comando e processi decisionali rapidi, corti e flessibili”. Secondo il presidente Valente “questo accordo costituisce un rafforzamento della collaborazione strategica tra l’amministrazione Difesa e l’Agenzia introducendo nuove modalità di cooperazione su temi spaziali nell’ottica della dimensione sempre più operativa e interconnessa del dominio Spazio”.

L’Accordo prevede la collaborazione tra le due parti sulle tematiche delle infrastrutture spaziali operative, l’addestramento e lo svolgimento di operazioni satellitari coordinate, lo studio di sistemi operativi di terra interoperabili civili, duali e militari, con l’obiettivo di condividere dati, prodotti e decisioni sulle operazioni spaziali. “Il settore spaziale è, oggi, sempre più centrale e interconnesso ai territori legati alla Difesa, alla sicurezza dei cittadini e degli interessi del nostro Paese”, ha spiegato Valente, a cui ha fatto eco anche il generale Figliuolo: “. La firma di questo accordo contribuisce a rafforzare il valore della connotazione interagenzia del Covi che, con il supporto dell’Asi, si estende anche nella dimensione spaziale”. Il documento prevede, inoltre, lo studio della collaborazione nell’ambito delle capacità di interoperabilità orbitali nonché la cooperazione su operazioni spaziali di comune interesse anche o solo per motivi addestrativi e di standardizzazione delle operazioni.

Per lo svolgimento di tutte le attività siglate nell’intesa, sarà costituito un Gruppo direzione operazioni (Gdo), composto da due rappresentanti per ciascuna parte, nominati rispettivamente dal comandante del Covi e dal presidente di Asi, con i compiti di organizzare e sovraintendere lo svolgimento e l’applicazione dell’accordo. Il gruppo nominerà al suo interno un presidente, nel rispetto del principio dell’alternanza, su base annuale. I membri avranno mandato di durata biennale, svolgeranno i loro compiti a titolo gratuito e senza corresponsione di alcun gettone di presenza, compenso, rimborso o altro emolumento. Fondamentale in questo quadro sarà anche la collaborazione del Comando delle operazioni spaziali, dipendente dal Covi, guidato dal generale Luca Monaco, che contribuisce efficacemente alla creazione della Joint operational picture, che permette di abilitare il ruolo del comandante del Covi a comandante delle operazioni multi-dominio (terra, mare, aria, cyber e spazio).


formiche.net/2024/01/operazion…



DEAF - DEAF


Il disco è una bomba di 11 tracce, in generale della durata di poco più di un minuto, ma con qualche pezzo di due o tre minuti. In questo poco tempo i DEAF concentrano il meglio della storia del thrash e non solo, con evidenti incursioni talvolta nel metal classico e talvolta nel punk. Il tutto con una scelta di suoni esemplare, che non dà spazio a trigger o chitarre boiler come purtroppo va di moda nel genere oggi, ma con un bel tripudio di valvole e dinamica! Il disco è tutto registrato in analogico, e ci trovo alcune affinità col sound di Prank degli Antares ( disco eccezionale di quello che per me è il miglior gruppo italiano in attività) nonostante il genere diverso. @Musica Agorà

iyezine.com/deaf-deaf

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I “civili” Stati Uniti assassinano il “tarlo” Kenneth Smith l Fronte Ampio

«Nei "civili" Stati Uniti, però, la domanda che si pone "l’opinione pubblica" non è se sia civile e umano per uno stato ordinare l’assassinio di un uomo ma semplicemente se, usando l’azoto come strumento di morte, lo stato "ti ucciderà in un modo conforme al requisito costituzionale che non sia crudele e non sia tortura".»

fronteampio.it/i-civili-stati-…



“Esistono prove sufficienti per indagare il genocidio” ma la Corte di Giustizia non ordina il cessate in fuoco


La sentenza obbliga legalmente Israele a prendere tutte le misure necessarie per prevenire atti di genocidio e a consegnare eventuali prove delle stesse azioni genocidiarie. La sentenza è stata votata da 15 giudici su 17. L'articolo “Esistono prove suffi

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Pagine Esteri, 26 gennaio 2024. La Corte internazionale di giustizia ha emesso la sua sentenza iniziale riguardo alla causa presentata contro Israele dal Sudafrica, dichiarando che esistono prove sufficienti per valutare l’accusa di genocidio. La sentenza obbliga legalmente Israele a prendere tutte le misure necessarie per prevenire atti di genocidio e a consegnare eventuali prove delle stesse azioni genocidiarie. La sentenza è stata votata da 15 giudici su 2.

I 17 giudici della Corte dell’Aia hanno comunicato pochi minuti fa la prima decisione, che ha un’importante eco internazionale e potrebbe rappresentare un primo passo verso la condanna di Israele per genocidio. La giudice Donoghue ha infatti affermato che la Corte ha giurisdizione per pronunciarsi sulle misure di emergenza nel caso e che le operazioni militari di Israele hanno provocato un numero enorme di morti, feriti, una massiva distruzione e lo sfollamento della popolazione.

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Joan E. Donoghue, giudice della Corte Internazionale di Giustizia

Le dichiarazioni dei rappresentanti politici israeliani sono state riportate, dalla giudice che ha presieduto la seduta, come esempi di linguaggio disumanizzante e come prova dell’intenzione di commettere una punizione collettiva.

Il Ministro degli Esteri del Sudafrica ha commentato la sentenza, dichiarando che la Corte ha emesso un ordine importante per salvare delle vite a Gaza.

Israele ha provato con tutte le sue forze ad evitare la pronuncia, movimentando i propri diplomatici, facendo pressioni sui governi e rilasciando dichiarazioni infuocate contro i rappresentanti del Sudafrica. Appena ieri, prima che la Corte si riunisse, il governo Netanyahu ha detto, per bocca del suo portavoce Eylon Levi “ci aspettiamo che la Corte respinga le false accuse”. Molti altri Stati hanno però sostenuto la denuncia del Sudafrica, soprattutto quelli arabi.

Ora Israele sa di essere seriamente sotto inchiesta per il crimine di genocidio. I rappresentanti governativi sono stati avvisati, in qualche modo, che le dichiarazioni pubbliche potranno essere utilizzate contro loro stessi, come prova di incitamento al genocidio. Questo vale anche per i vertici militari, ai quali potrebbe essere ordinato di cambiare registro linguistico. Ma è improbabile che ciò avvenga per alcuni rappresentanti del governo, come il ministro israeliano Amichai Eliyanu, che un giorno prima della sentenza dell’Aia ha confermato il suo invito a sganciare una bomba nucleare su Gaza.

SEGUONO AGGIORNAMENTI


Il Sudafrica ha denunciato il 29 dicembre Israele alla Corte Internazionale di Giustizia. L’accusa, mossa all’interno di un documento di 84 pagine, è quella di compiere deliberatamente un genocidio, tentando ripetutamente di distruggere i palestinesi in quanto gruppo. Tali intenzioni, secondo i rappresentanti sudafricani, sono state più volte chiaramente espresse dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal ministro della difesa Yoav Galant.

Oltre ai bombardamenti e alle uccisioni mirate, la documentazione fa riferimento alla scelta deliberata, da parte del governo israeliano, di infliggere condizioni di vita intese a distruggere una parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese.

La Corte internazionale di giustizia è l’organo giurisdizionale principale delle Nazioni Unite. Il suo scopo è quello di definire in base al diritto internazionale controversie giuridiche presentate dagli Stati e di dare pareri su questioni sottoposte da organismi delle Nazioni Unite e da agenzie indipendenti.

Al momento della denuncia Israele ha commentato, attraverso il portavoce del Ministero degli affari esteri Lior Haiat, che la richiesta del Sudafrica “costituisce un uso spregevole della Corte” e che il governo sudafricano starebbe “cooperando con un’organizzazione terroristica che chiede la distruzione dello Stato di Israele”, aggiungendo poi che Hamas è “responsabile della sofferenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza, perché li usa come scudi umani e ruba loro aiuti umanitari”.

Lior Haiat ha dichiarato inoltre che “Israele è impegnato nel diritto internazionale e agisce in conformità con esso e dirige i suoi sforzi militari solo contro l’organizzazione terroristica di Hamas e le altre organizzazioni terroristiche che cooperano con Hamas. Israele ha chiarito che i residenti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni ai non coinvolti e per consentire agli aiuti umanitari di entrare nella Striscia di Gaza”.

Nel documento presentato alla Corte Internazionale di Giustizia, si legge, tra le altre cose:

“I fatti invocati dal Sudafrica nel presente ricorso e che dovranno essere ulteriormente sviluppati nel presente procedimento dimostrano che, in un contesto di apartheid, espulsione, pulizia etnica, annessione, occupazione, discriminazione e continua negazione del diritto del popolo palestinese alla autodeterminazione – Israele, in particolare dal 7 ottobre 2023, non è riuscito a prevenire il genocidio e non è riuscito a perseguire l’incitamento diretto e pubblico al genocidio. Ancora più grave, Israele si è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Tali atti includono l’uccisione, il causare gravi danni mentali e fisici e l’infliggere deliberatamente condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica come gruppo.

Le ripetute dichiarazioni dei rappresentanti dello Stato israeliano, anche ai massimi livelli, del presidente, del primo ministro e del ministro della Difesa israeliani esprimono intenzioni genocide. Tale intenzione deve essere correttamente dedotta anche dalla natura e dalla condotta dell’operazione militare israeliana a Gaza, tenuto conto, tra l’altro, dell’incapacità di Israele di fornire o garantire cibo, acqua, medicine, carburante, riparo e altra assistenza umanitaria essenziale per l’assediato popolo palestinese, spinto sull’orlo della carestia.

Ciò emerge chiaramente anche dalla natura e dalla portata degli attacchi militari israeliani contro Gaza, che hanno comportato il bombardamento prolungato per più di 11 settimane di uno dei luoghi più densamente popolati del mondo, costringendo all’evacuazione di 1,9 milioni di persone, l’85% della popolazione di Gaza dalle loro case e spingendoli in aree sempre più piccole, senza un riparo adeguato, in cui continuano ad essere attaccati, uccisi e feriti.

Israele al momento ha ucciso oltre 21.110 palestinesi, tra cui oltre 7.729 bambini – con oltre 7.780 altri dispersi, presumibilmente morti sotto le macerie – e ha ferito oltre 55.243 altri palestinesi, causando loro gravi danni fisici e mentali. Israele ha inoltre devastato vaste aree di Gaza, compresi interi quartieri, e ha danneggiato o distrutto oltre 355.000 case palestinesi, insieme a estesi tratti di terreni agricoli, panifici, scuole, università, aziende, luoghi di culto, cimiteri, centri culturali e di siti archeologici, edifici municipali e tribunali e infrastrutture critiche, comprese strutture idriche e igienico-sanitarie e reti elettriche, perseguendo al contempo un attacco implacabile al sistema medico e sanitario palestinese.

Israele ha ridotto e continua a ridurre Gaza in macerie, uccidendo, ferendo e distruggendo la sua popolazione e creando condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica come gruppo”.

All’inizio di novembre il Sudafrica aveva ritirato i propri diplomatici in Israele e l’Assemblea Nazionale sudafricana ha votato la sospensione di tutte le relazioni diplomatiche con Tel Aviv.

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7 Essential Tips to Protect Your Privacy in 2024


Today, almost everything we do online involves companies collecting personal information about us. Personal data is collected and used for various reasons – like when you use social media, shop online, redeem digital coupons at the store, or browse the in

Today, almost everything we do online involves companies collecting personal information about us. Personal data is collected and used for various reasons – like when you use social media, shop online, redeem digital coupons at the store, or browse the internet.

Sometimes, information is collected about you by one company and then shared or sold to another. While data collection can benefit both you and businesses – like connecting with friends, getting directions, or sales promotions – it can also be used in invasive ways unless you take control.

You can protect your personal data and information in many ways and control how it is shared and used. On this Data Privacy Day or Data Protection Day in Europe, recognized annually on January 28 to mark the anniversary of Convention 108, the first binding international treaty to protect personal data, the Future of Privacy Forum (FPF) and other organizations are raising awareness and promoting best practices for data privacy.

FPF is partnering with Snap Inc. to provide a privacy-themed Snapchat filter to spread awareness of the importance of data privacy to your networks. Share the pictures you took using our interactive lens on social media using the hashtag #FPFDataPrivacyDay2024.

Here are 7 quick, easy steps you can take to better protect your privacy online and when using your mobile device.

1. Check Your Privacy Settings on Social Media

Many social media sites include options on how to tailor your privacy settings to limit how data is collected or used. Snap provides privacy options that control who can contact you and many other options. Start with the Snap Privacy Center to review your settings. You can find those choices here.

Snap also provides options for you to view any data they have collected about you, including account information and your search history. Downloading your data allows you to view what information has been collected and modify your settings accordingly.

Instagram allows you to manage various privacy settings, including who has access to your posts, who can comment on or like your posts, and manage what happens to posts after you delete them. You can view and change your settingsfacebook.com/help/instagram/19…here.

TikTok allows you to decide between public and private accounts, allows you to change your personalized ad settings, and more. You can check your settingssupport.tiktok.com/en/account-…here.

Twitter/X allows you to manage what information you allow other people on the platform to see and lets you choose your ad preferences. Check your settings here.

Facebook provides a range of privacy settings that can be found here.

In addition, you can check the privacy and security settings for other popular applications such as BeReal and Pinterest here. Be sure to also check your privacy settings if you have a profile on a popular dating app such as Bumble, Hinge, or Tinder.

What other social media apps do you use often? Check to see which settings they provide!

2. Limit Sharing of Location Data

Most social media apps and websites will ask for access to your location data. Do they need it for some obvious reason, like helping you with directions, showing your nearby friends, or perhaps a store location you’re looking for? If not, feel free to opt-out of location data. Be aware that location data is often used to personalize ads and recommendations based on locations you have recently visited. Allowing access to location services may also permit sharing of location information with third parties.

To check the location permissions allowed for apps on an iPhone or Android, follow the below steps.

iPhone

  • Navigate to “Settings,” then “Privacy & Security,” and then “Location Services.”
  • Search for each app downloaded on your phone
  • Open each and make sure “Never” is selected or only “While Using.”

Android

  • Navigate to “Settings,” then “Location,” and then “App Location Permissions.”
  • Select the app you would like to prevent from accessing your location.
  • Make sure “Not Allowed” is selected or “Allowed only while in use.”


3. Keep Your Devices & Apps Up to Date

Keeping software current and up to date is the only way to ensure your device is protected against the latest software vulnerabilities. Installing the latest security software, web browsers, and operating systems is the best way to protect against various online threats. By enabling automatic updates on your devices, you can be sure that your apps and operating systems are always up to date.

Users can check the status of their operating systems in the settings app.

For iPhone users, navigate to “Software Update,” and for Android devices, look for the “Security” page in settings.

4. Use a Password Manager

Utilizing a strong and secure password for each web-based account helps ensure your personal data and information are protected from unauthorized use. Remembering passwords for every account can be difficult, and using a password manager can help. Password managers save passwords as you create and log in to your accounts, often alerting you of duplicates and suggesting the creation of a stronger password.

For example, if you use an Apple product when signing up for new accounts and services, you can allow your iPhone, Mac, or iPad to generate strong passwords and safely store them in iCloud Keychain for later access. Some of the best third-party password managers can be found here.

5. Enable Two-Factor Authentication

Two-factor authentication adds an additional layer of protection to your accounts. The first authentication is the standard username and password combination used for years. The second factor is a text message or email with a code sent to a personal device. This added step makes it harder for malicious actors to access your accounts. Two-factor authentication only adds a few seconds to your day but can save you from the headache and harm that comes from compromised accounts. To be even safer, use an authenticator app as your second factor.

Remember to adjust your settings regularly, staying on top of any privacy changes and updates made on the web applications you use daily. Protect your data by being intentional about what you post online and encouraging others to look at the information they may share. By adjusting your settings and making changes to your web accounts and devices, you can better maintain the security and privacy of your personal data.

6. Use End-to-End Encryption for Secure Messaging

Using applications with secure end-to-end encryption, such as Signal and ProtonMail, ensures that only you and the intended recipient can read your messages. Other applications such as WhatsApp and Telegram are also end-to-end encrypted, though be sure to update your settings in Telegram as messages are not encrypted by default.

As many of us share sensitive information with our families and friends, it’s critical to be mindful of how our personal information is shared and who has access to it.

What better time to reassess our data practices and think about this important topic than during Data Privacy Day?

7. Turning off Personalized Ads

Take control of how companies use your personal information to advertise to you by going into the settings of your applications. See below for how-to guides with quick, step-by-step instructions to turn off ad personalization for popular apps you may be using:

If you’re interested in learning more about one of the topics discussed here or other issues driving the future of privacy, sign up for our monthly briefing, check out one of our upcoming events, or follow us on Twitter, LinkedIn, or Instagram.

FPF brings together some of the top minds in privacy to discuss how we can all benefit from the insights gained from data while respecting the individual right to privacy.


fpf.org/blog/7-essential-tips-…



📣 Fino al #10febbraio sono aperte le iscrizioni ai percorsi della nuova filiera tecnologico-professionale 4+2, sulla piattaforma #Unica.


VIDEO. Il campo profughi palestinese di Dheisheh, specchio dell’occupazione


Il direttore del Centro Culturale Ibdaa, Khaled Seifi, è stato arrestato dell'esercito israeliano e rimarrà in prigione per sei mesi, in detenzione amministrativa senza alcuna accusa. Dheisheh, storica roccaforte della sinistra palestinese, anche prima de

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Pagine Esteri, 26 gennaio 2024. Il campo profughi di Dheisheh, a Betlemme, è stato fondato nel 1949 per accogliere 3.000 profughi palestinesi costretti a lasciare le proprie case dopo la nascita dello Stato d’Israele. Oggi ospita circa 19.000 persone.

Da sempre roccaforte della sinistra palestinese, durante la Prima Intifada Dheisheh venne recintato e fu costruito un piccolo tornello come unica via di ingresso e di uscita. Oggi quel tornello è stato sostituito dal checkpoint, che chiude dal tramonto all’alba e a seconda delle decisioni dei militari israeliani.

Nonostante si trovi formalmente sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese, nel campo l’esercito israeliano effettua numerose incursioni, assaltando case private, sedi delle associazioni e scuole, anche quelle gestite dalle Nazioni Unite, come documentato dall’UNRWA.

I raid, già numerosi nel 2022, sono aumentati dopo la guerra del 7 ottobre, così come le limitazioni ai movimenti. La situazione economica è peggiorata, la povertà aumenta. Il servizio video di Eliana Riva.

player.vimeo.com/video/9066502…

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La posizione della Cina sulle tensioni del mar Rosso


La posizione della Cina sulle tensioni del mar Rosso 12039233
Washington chiede aiuto sugli Houthi, Pechino pesa la sua posizione diplomatica e i rischi sul commercio. Critica gli attacchi alle navi ma anche quelli contro il territorio yemenita

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In Cina e Asia – Cina e Stati Uniti pronti a discutere di Medio Oriente


In Cina e Asia – Cina e Stati Uniti pronti a discutere di Medio Oriente medio oriente
I titoli di oggi:

Cina e Stati Uniti pronti a discutere di Medio Oriente
Cina, Li Qiang incontra una delegazione di dirigenti di imprese giapponesi
La Cina denuncia le “provocazioni” degli Stati Uniti nello Stretto di Taiwan
Capodanno lunare, previsti 9 miliardi di viaggi interni
Critiche contro l'organizzazione del Premio Hugo per le possibili interferenze cinesi
Cina, papa Francesco nomina nuovo vescovo
Cina, un nuovo piano per promuovere l’innovazione hi-tech
Corea del Sud, parlamentare del partito al governo aggredita

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La NATO guida il riarmo globale tra cyberwar e tecnologie quantistiche


Per rafforzare il proprio dispositivo bellico in prospettiva di uno scontro "inevitabile" con la Russia, la NATO sta affidando commesse miliardarie per la produzione di sofisticati sistemi militari L'articolo La NATO guida il riarmo globale tra cyberwar

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di Antonio Mazzeo

Pagine Esteri, 26 gennaio 2024 – Alea iacta est. Il dado è tratto. Ciò che disse Cesare prima di varcare il Rubicone e iniziare la guerra contro Pompeo, lo hanno ripetuto duemila anni dopo i Capi di Stato maggiore della difesa dei 31 paesi membri della NATO più la new entry di Svezia. Solo che stavolta sarà guerra totale e in ogni angolo del pianeta, prima contro Mosca e poi contro Pechino. E se sarà necessario, generali e ammiragli si dichiarano pronti ad usare le più sofisticate tecnologie di distruzione di massa.

Il 17 e 18 febbraio i vertici delle forze armate dell’Alleanza si sono dati appuntamento a Bruxelles per il Military Committee NATO: all’ordine del giorno come accelerare il processo di trasformazione delle strategie e delle “capacità di combattimento” e come garantire l’implementazione immediata dei nuovi “piani di difesa” approvati al summit di Vilnius della scorsa estate. È in atto una spasmodica corsa verso il riarmo globale e la NATO si candida a divenire il motore della ricerca e dello sviluppo delle tecnologie di morte, possibilmente in partnership con le grandi holding del complesso militare-industriale e con un ampio numero di attori della società “civile” (università, centri di ricerca, start up, agenzie spaziali nazionali e internazionali, ecc.).

“Le regole su cui si basa l’ordine internazionale sono sotto un’immensa pressione”, ha esordito il vicesegretario generale della NATO, Mircea Geoană, all’apertura della sessione di lavoro del Military Committee dedicata alle “priorità della deterrenza”. Geoană è pure ricorso al minaccioso frasario dei tempi più bui della Guerra fredda, condendolo con suggestivi accenni geologici. “Le placche tettoniche del potere stanno cambiando”, ha enfatizzato il vicesegretario NATO. “Oggi, la nostra pace è minacciata. Guerra, terrorismo, instabilità e gli stati autoritari minacciano i nostri valori. E come risultato ci troviamo di fronte ad un mondo più pericoloso come non accadeva da decenni. In questa nuova era di difesa collettiva, non solo difendiamo la sicurezza fisica della nostra popolazione che conta un miliardo di persone: noi stiamo difendendo la libertà e la democrazia (…) Abbiamo bisogno di una NATO ancora più forte di prima…”.

Nel corso del suo intervento, Mircea Geoană ha delineato i punti prioritari del processo di rafforzamento dell’architettura militare che saranno discussi dai capi di governo dei paesi NATO in occasione del summit che si terrà a luglio a Washington, un appuntamento destinato ad assumere una rilevanza storica anche perché potrebbe riconsegnare la leadership assoluta dell’alleanza agli Stati Uniti d’America. “Al prossimo vertice di Washington, noi andremo oltre: faremo ciò serve per assicurare la sicurezza del nostro popolo, delle nostre nazioni e del sistema basato sul diritto internazionale”, ha affermato il vicesegretario. “Rafforzeremo la nostra difesa collettiva, specialmente nel settore aereo e missilistico, e aumenteremo il nostro sostegno all’Ucraina”. (1)

Ad enfatizzare l’importanza dei nuovi “piani di difesa” collettiva ci ha pensato il presidente del Military Committee, l’ammiraglio olandese Rob Bauer. “Questi sono i piani di difesa più completi che la NATO ha mai avuto dalla fine della Guerra fredda”, ha spiegato Bauer. “Mai come adesso i piani difensivi della NATO e delle nazioni aderenti sono stati così strettamente interconnessi (…) Essi contengono i requisiti della struttura della forza militare (Force Structure Requirements), con cui è stato fissato il numero e la tipologia degli equipaggiamenti e dei sistemi d’armi richiesti, in tutte le regioni geografiche e i domini. Militarmente, i nuovi piani di difesa richiedono più persone, più attività addestrative ed esercitazioni, più arsenali e capacità operative, maggiori programmi di investimento per la difesa”. (2) Dunque ancora più soldi per gli apparati di guerra che verranno sottratti dai bilanci della sanità, dell’istruzione e del welfare nell’ambito di un processo di militarizzazione sempre più soffocante della società e dell’economia nordamericana ed europea.

Alla guerra in sinergia con le industrie ed i centri di ricerca

I 31+1 Capi di Stato maggiore della difesa NATO hanno discusso e approvato le “indicazioni aggiuntive” ai due Comandi strategici dell’Alleanza. Scopi e funzioni sono stati sintetizzati dal generale Chris Badia, vicecomandante supremo dell’Allied Commander Transformation (ACT), il comando con sede a Norfolk (Virginia), preposto a condurre i processi di trasformazione strategica della NATO. “Abbiamo la necessità che l’Alleanza e le nazioni membri siano più agili e più flessibili”, ha spiegato Badia. “Per questo dobbiamo guardare a strutture di comando in grado di adattarsi rapidamente alle minacce in continua evoluzione, ad un’interoperabilità costante, a sistemi d’azione unitari pronti ad essere impiegati fin dal primo minuto quando sarà necessario”.

“Poichè la guerra di domani sarà ancora più complessa dal punto di vista dei molteplici domini, abbiamo bisogno di essere ancora più rapidi da tutti i punti di vista e migliori dei nostri avversari”, ha aggiunto il vicecomandante di ACT. “Otterremo questo attraverso operazioni integrate multidominio, quindi conducendo un conflitto senza soluzione di continuità in ambito navale, terrestre ed aereo. Ma insieme a questi classici domini ce ne sono due nuovi, quelli cibernetico e dello spazio”. E relativamente al settore spaziale e delle cyberwar, il generale Chris Badia ha spiegato che la NATO punta ad accrescere la cooperazione con gli attori non militari: “In particolare nel settore spazio esistono diverse infrastrutture civili. Non è necessario duplicare ogni cosa in questo campo ma al contrario è meglio procedere verso un’estensione e trasformazione congiunta. Come possiamo cooperare con il mondo civile e trovare tutte queste sinergie? Sincronizzando e facendo convergere ad esempio gli attori militari e non militari e, non ultimo per importanza, arrivando alla loro integrazione”. (3)

La modernizzazione dell’apparato bellico della NATO punta parecchio sullo sviluppo delle tecnologie quantistiche e della quantum strategy. Al vertice dei ministri degli esteri della NATO del 28 novembre 2023 è stata approvata la prima strategia quantistica della storia dell’Alleanza. “Le tecnologie quantistiche stanno per rivoluzionare il mondo dell’innovazione e possono cambiare le regole del gioco della sicurezza, incluse quelle delle guerre moderne”, spiegano i vertici della NATO. “Per questo la quantistica è una delle aree tecnologiche che l’Alleanza ha priorizzato per le sue implicazioni per la difesa e la sicurezza. Essa include l’intelligenza artificiale, la raccolta dati e il computing, l’automatizzazione, le biotecnologie, gli human enhancements (4), le tecnologie ipersoniche, l’energia e la propulsione, i nuovi materiali, le future generazioni di reti di comunicazione e spaziali”. Le prime aree d’intervento della quantum strategy in campo militare e sicuritario comprendono il telerilevamento, il “posizionamento preciso”, la navigazione e la tempistica, in particolare per “rafforzare l’identificazione dei sottomarini” e “potenziare e rendere più sicure le comunicazioni dei dati impiegando una crittografia quantum-resistente”. Anche in questi settori la NATO punta ad una sempre più stretta cooperazione con il mondo accademico ed industriale onde “sviluppare un ecosistema transatlantico di tecnologie quantistiche”. Sei delle 44 società già selezionate nell’ambito del nuovo programma DIANA (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic) a cui la NATO ha destinato oltre un miliardo di euro, sono specializzate nella ricerca quantistica. (5) Un polo accelerativo-innovatore del programma sta sorgendo a Torino in partnership con la Città dell’Aerospazio del team Politecnico-Leonardo SpA.

Come alimentare il fratricida conflitto russo-ucraino

Al prossimo vertice NATO di Washington, generali e ammiragli sperano di arrivare con intese di cooperazione ancora più stringenti con alcuni paesi partner, estendendo e rafforzando ulteriormente l’alleanza de facto in ambito europeo, asiatico ed oceanico. Non a caso al Military Commettee di Bruxelles hanno partecipato i Capi di stato maggiore di Austria, Australia, Corea del Sud, Giappone, Irlanda, Nuova Zelanda e Svizzera, paesi partner del cosiddetto Interoperability Advocacy Group. “Ad essi offriamo accordi di difesa individuali che contemplino lo scambio di informazioni classificate e la partecipazione alle attività addestrative”, spiega la NATO.

Ma è ancora una volta l’Ucraina ad essere al centro delle mire espansionistiche dell’Alleanza nell’esplosivo fronte orientale. Al meeting di Bruxelles i vertici dell’Alleanza hanno incontrato i responsabili delle forze armate di Kiev nell’ambito del NATO-Ukraine Council lanciato il luglio scorso a Vilnius, per fare il punto sul sanguinoso conflitto con la Russia esploso due anni fa. Nonostante l’evidente fallimento della controffensiva ucraina e gli insostenibili costi in termini di vite umane e risorse finanziarie e infrastrutturali, la NATO ha assicurato che sosterrà ancora il governo Zelensky con ulteriori aiuti in armi e munizioni. “Abbiamo consegnato una vasta gamma di sistemi di difesa aerea all’Ucraina e oggi riaffermiamo il nostro impegno a rafforzare ulteriormente le difese ucraine”, ha dichiarato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. “Condanniamo duramente gli attacchi russi con missili e droni contro i civili ucraini, anche con l’uso di armi provenienti dalla Corea del Nord e dall‘Iran. Per due anni di fila, Putin sta cercando di logorare l’Ucraina con attacchi massicci, ma egli non ci riuscirà. La crudele campagna della Russia rafforza solo la determinazione dell’Ucraina. Mosca intensifica i suoi strike sulle città e i civili ucraini, ma noi continueremo a fornire assistenza ai coraggiosi ucraini affinché essi possano respingere la guerra di aggressione della Russia”. (6)

Ancora più ciniche e brutali le parole dell’ammiraglio Rob Bauer: pur di giustificare il cieco appoggio a Kiev, egli è giunto a mistificare ciò che realmente avviene nei campi di battaglia. “L’Ucraina ha inflitto gravi perdite alla Russia: sono più di 300.000 le vittime russe, tra morti e feriti”, ha dichiarato il presidente del NATO Military Committee. “Migliaia di carri armati e blindati russi e centinaia di aerei sono stati distrutti. Le forze armate ucraine sono riuscite a liberare parti significative del loro paese, cacciando via i russi da circa il 50% del territorio che avevano occupato all’inizio del conflitto. Un altro successo è rappresentato dal fatto che gli ucraini sono stati capaci di condurre attacchi in profondità, distruggendo funzioni chiave dei russi. Senza possedere una reale marina militare, è stata respinta la flotta russa del Mar Nero e l’apertura di un corridoio del grano è stata un’altra vittoria enorme (…) Il solo modo di ottenere una soluzione negoziata duratura è rafforzare la posizione ucraina nel campo di battaglia”. (7)

Il 18 gennaio, a conclusione dei lavori del Military Commette, il comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale statunitense Christopher Cavoli, ha ritenuto doveroso rivelare due fatti importanti che con tutta probabilità incideranno pesantemente sulle già critiche relazioni NATO-Russia. La prima notizia riguarda l’Italia e il ruolo sempre più rilevante che ha assunto nelle scelte geostrategiche dell’Alleanza. “Voglio dare un aggiornamento sulla Forza di Reazione Rapida della NATO (Allied Reaction Force), una componente fondamentale per la realizzazione dei nostri piani militari”, ha esordito Cavoli. “La Forza di Reazione Rapida è capace di effettuare uno spettro completo di missioni e serve da riserva strategica per il dispiegamento in tempi strettissimi. Nell’autunno dello scorso anno, la NRDC-Italy è stata selezionata come quartier generale. Attualmente le sue unità si stanno addestrando in preparazione del nuovo ruolo assegnato”. NRDC-Italy è l’acronimo di NATO Rapid Deployment Corps, il Comando multinazionale delle forze di pronto intervento che ha sede a Solbiate Olona (Varese) e di cui fanno parte più di 400 militari provenienti da 18 paesi dell’Alleanza.

La più grande esercitazione bellica della “nuova” NATO

Il generale Christopher Cavoli si è dichiarato ottimista che l’infrastruttura ospitata in territorio italiano possa ottenere la “certificazione” di quartier generale ad interim dell’Allied Reaction Force, a partire dalla prossima primavera. Da qui il secondo annuncio shock. “La certificazione è prevista a conclusione dell’esercitazione di deterrenza Steadfast Defender 2024 che prenderà il via la prossima settimana e proseguirà fino a tutto maggio”, ha affermato il Comandante delle forze alleate in Europa. “Steadfast Defender sarà l’esercitazione più grande da decenni a questa parte e vi parteciperanno approssimativamente 90.000 militari di tutti e 31 i paesi membri dell’Alleanza e della Svezia, nostro buon partner. L’alleanza dimostrerà la sua abilità nel rafforzare l’area euro-atlantica grazie al trasferimento transatlantico di truppe dal Nord America. Questo rafforzamento avverrà in uno scenario di conflitto emergente simulato contro un avversario di quasi pari forza. Steadfast Defender sarà una chiara dimostrazione della nostra unità, forza e determinazione nel proteggere i nostri valori e le regole su cui si basa l’ordine internazionale”. (8)

La cerimonia che ha sancito il via alla mega-esercitazione militare è stata celebrata mercoledì 24 gennaio a bordo della nave da sbarco “USS Gunston Hall”, in partenza da Norfolk per l’Europa. Secondo l’ufficio stampa della NATO a Steadfast Defender 2024 prenderanno parte una cinquantina di unità navali, dalle portaerei ai cacciatorpediniere, così come più di 80 aerei da combattimento, elicotteri e droni e almeno 1.100 veicoli da combattimento tra cui 133 carri armati e 533 veicoli di fanteria. Un dispiegamento di forze che non si era mai visto in Europa dopo la fine della Guerra fredda: all’esercitazione NATO “Trident Juncture” nel 2018, la più rilevante dopo la caduta del Muro di Berlino, avevano partecipato “solo” 50.000 militari.

Buona parte dei war games si svolgeranno in Germania, Polonia, Romania, Norvegia e nelle Repubbliche baltiche. Le unità di pronto intervento terrestri, aeree e navali simuleranno la controffensiva a un possibile attacco “nemico” sul fronte orientale. Nel mirino dei reparti d’assalto il “corridoio Suwalki” che attraversa la frontiera tra Polonia e Lituania tra l’enclave russa di Kaliningrad e la Bielorussia, ritenuto come uno dei punti più “critici” della NATO in caso di conflitto con Mosca. (9)

Mentre il Pentagono non ha ancora fatto sapere quanti uomini e mezzi trasferirà in Europa per le esercitazioni di Steadfast Defender, le autorità di Londra hanno comunicato la presenza di 20.000 militari britannici più un imponente numero di mezzi navali (anche una portaerei della classe Queen Elizabeth), sottomarini, cacciabombardieri di ultima generazione (gli F-35 a capacità nucleare), aerei d’intelligence e un’ampia gamma di forze terrestri. (10)

A conferma della propria intenzione di rafforzare il dispositivo bellico nella prospettiva di un “inevitabile” scontro con la Russia, la NATO sta affidando commesse miliardarie per la produzione di sofisticati sistemi militari. Poche settimane fa la NATO Support and Procurement Agency (NSPA), l’agenzia che si occupa di appalti logistici per l’Alleanza Atlantica, ha firmato un contratto del valore di 5,5 miliardi di dollari con COMLOG (joint venture tra l’azienda statunitense RTX Raytheon e la holding europea produttrice di sistemi missilistici MBDA) per la produzione di un migliaio di sistemi terra-aria “Patriot” che saranno consegnati prevalentemente ad una coalizione di paesi tra cui Germania, Paesi Bassi, Romania e Spagna. Buona parte dei missili saranno realizzati nello stabilimento MBDA di Schrobenhausen (Germania). Il sistema “Patriot” sarà impiegato per neutralizzare aerei ed elicotteri ed intercettare missili balistici tattici a grande distanza. Dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022, la NATO ha schierato batterie del sistema missilistico terra-aria in alcuni paesi dell’Europa orientale. Consegne dei “Patriot” sono state fatte anche alle forze armate ucraine. (11)

Si svuotano i granai e si riempiono gli arsenali

A fine dicembre il Dipartimento di Stato USA ha approvato la vendita alla NATO Support and Procurement Agency di 940 missili terra-aria FIM-92K “Stinger” e relativo equipaggiamento per il valore stimato di 780 milioni di dollari. I sistemi missilistici saranno realizzati negli States dai colossi Raytheon e Lockheed Martin. I FIM-92K “Stinger” sono una variante migliorata dell‘omonimo sistema di difesa aerea portatile con maggiori capacità di acquisizione, tracciamento ed ingaggio degli obiettivi. Per la sua versatilità possono essere impiegati in ampi contesti ambientali da parte di singole unità, veicoli terrestri o piattaforme aeree contro aerei, elicotteri e droni.

Sempre la Nato Support and Procurement Agency ha siglato nei giorni scorsi un contratto per l’acquisto di circa 220.000 proiettili di artiglieria da 155 millimetri. Il valore della commessa supera l’1,2 miliardi di dollari e rientra nell’ambito delle iniziative varate dall’Alleanza per rafforzare le capacità di “deterrenza” dei paesi membri e sostenere direttamente l’Ucraina nella guerra contro la Russia. Nel periodo compreso tra il luglio e il dicembre 2023 la NATO aveva già stipulato contratti per munizioni per 10 miliardi di dollari. Lo scorso novembre l’agenzia NSPA ha acquistato pure sei Boeing E-7A “Wedgetail” (basati sull’aeromobile civile B-737), velivoli di comando e controllo di prossima generazione che sostituiranno i più vecchi E-3A Awacs (Airborne Warning and Control System), gli aerei radar della NATO che operano dalle basi militari di Geilenkirchen (Germania), Konya (Turchia), Aktion (Grecia) e Trapani-Birgi (Italia). (12)

Al rafforzamento delle dotazioni di munizioni degli alleati europei della NATO darà un importante contributo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. A fine dicembre è stata firmata una modifica a un precedente contratto affidato a Raytheon per la fornitura di ulteriori munizioni guidate di precisione “StormBreaker” (SDB II o GBU-53/B) per 344 milioni di dollari circa. Il contratto prevede le vendite militari estere a favore di Italia, Germania, Finlandia e Norvegia. La consegna delle bombe “StormBreaker” sarà completata entro l’agosto 2028. (13)

Note:

  1. nato.int/cps/en/natohq/news_22…2
  2. nato.int/cps/en/natohq/news_22…3
  3. nato.int/cps/en/natohq/opinion…
  4. Per human enhancements, i settori scientifici e di ricerca della cosiddetta “umanistica digitale” intendono il potenziamento delle prestazioni umane, fisiche, intellettive, cognitive ed emotive per mezzo di un uso intenzionale delle nuove tecnologie e delle conoscenze tecnico-scientifiche.5
  5. nato.int/cps/en/natohq/news_22…6
  6. nato.int/cps/en/natohq/news_22…7
  7. nato.int/cps/en/natohq/opinion…
  8. ansa.it/europa/notizie/rubrich…9
  9. stripes.com/theaters/europe/20…10
  10. nato.int/cps/en/natohq/news_22…11
  11. https://www.avionews.com/item/1256116-nato-acquista-220-000-proiettili-di-artiglieria.html12
  12. https://aresdifesa.it/stormbreaker-per-italia-ed-altri-alleati-nato/

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L'articolo La NATO guida il riarmo globale tra cyberwar e tecnologie quantistiche proviene da Pagine Esteri.



La strage dimenticata nel Sudan devastato dai signori della guerra


La guerra civile tra il regime militare e i ribelli rischia di mandare in pezzi il Sudan e ha già creato un'enorme emergenza umanitaria e sanitaria. Gli Emirati Arabi Uniti armano i miliziani responsabili di crimini di guerra L'articolo La strage dimenti

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 26 gennaio 2024 – La rivolta popolare che nel 2019 ha rovesciato la dittatura reazionaria e islamista di Omar al-Bashir, al potere da ormai tre decenni, sembrava potesse portare il Sudan sulla strada della transizione verso la democrazia e lo sviluppo.

Dal golpe alla guerra civile
Ma il 25 ottobre 2021 il colpo di stato militare, diretto dal generale Abdel Fattah al-Burhan, ha posto fine ad ogni speranza di liberazione, nonostante il tentativo di resistenza di un vasto fronte di forze politiche, sociali e sindacali che hanno pagato con centinaia di morti le continue mobilitazioni contro il nuovo regime.

Il 15 aprile del 2022, poi, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemeti, ha lanciato le sue Forze di Supporto Rapido (la milizia nata dal movimento dei famigerati janjaweed) contro l’ex alleato al-Burhan, capo delle Forze Armate Sudanesi sostenuto dagli ambienti ancora fedeli al vecchio dittatore al-Bashir.
La vasta ribellione delle FSR ha scatenato una guerra civile che in nove mesi ha causato decine di migliaia di vittime, ridotto in macerie numerose città e portato il Sudan sull’orlo dell’implosione.

Una mediazione impossibile
Alcune settimane fa un accordo raggiunto grazie alla mediazione dell’Etiopia sembrava aprire uno spiraglio. Il 2 gennaio le Forze di Supporto Rapido hanno infatti firmato ad Addis Abeba, con il “Coordinamento delle forze civili democratiche” (Taqaddum, una piattaforma formata da decine di partiti politici, comitati popolari, sindacati, organizzazioni della società civile), una dichiarazione diretta a stabilire una tabella di marcia per porre fine ai combattimenti e aprire le trattative con al-Burhan. Subito dopo, però, molte realtà politiche interne ed esterne a Taqaddum hanno disconosciuto l’accordo firmato da Dagalo e dall’ex premier Abdallah Hamdok, denunciando quello che hanno definito un “tradimento”. D’altronde il rifiuto del presidente de facto di partecipare all’incontro organizzato da Hamdok in Etiopia aveva già reso inefficace il documento siglato.

Nei giorni scorsi poi, la scena si è ripetuta all’incontro organizzato dall’IGAD – Inter Governamental Agency for Development, l’organizzazione regionale del Corno d’Africa e dell’Africa Orientale alla quale l’Unione Africana ha delegato la ricerca di una soluzione delle diverse crisi in atto nel quadrante – il 18 gennaio a Entebbe, in Uganda. Alla riunione, alla quale erano presenti i rappresentanti dell’Onu, dell’Unione Europea, di vari paesi arabi e degli Stati Uniti, si sono infatti presentati sia l’ex primo ministro e coordinatore di Taqaddum Abdallah Hamdok, sia il capo delle Forze di Supporto Rapido, Dagalo. Il capo della giunta militare, al-Burhan, ha dato invece forfait accusando l’iniziativa di rappresentasse una violazione della sovranità del Sudan. Non contento, al-Burhan ha sospeso l’adesione del Sudan all’IGAD e ha richiamato l’ambasciatore di Khartum in Kenya, accusando Nairobi di «ospitare la ribellione e (…) cospirare contro il Sudan». La mossa è stata decisa dopo che il 3 gennaio il presidente keniota William Ruto ha ricevuto Dagalo, che nelle ultime settimane ha intrapreso un tour che ha fatto tappa anche in Ruanda, Uganda, Etiopia e Gibuti nel tentativo di accreditarsi come rappresentante legittimo del suo paese.

Etiopia contro tutti
Ad aggravare il quadro, recentemente, la firma da parte dell’Etiopia di un accordo con la regione separatista somala del Somaliland per l’ottenimento di uno sbocco al mare, che ha causato la dura reazione di Mogadiscio ma anche dell’Eritrea, dell’Egitto e dello stesso governo golpista sudanese. L’esplosione di nuove tensioni regionali indebolisce ulteriormente i già infruttuosi tentativi dei paesi dell’area di costringere i contendenti sudanesi ad un accordo.

Le credibilità di molti degli attori regionali, del resto, è minata dal fatto che vari paesi sono direttamente o indirettamente coinvolti nella guerra civile, interessati ai proventi della vendita di armi o a conquistare un ruolo egemone in un Sudan ridotto in pezzi.

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Dagalo con Mohammed bin Zayed

Lo zampino degli Emirati Arabi Uniti
La potenza regionale più attiva in Sudan sembra essere Abu Dhabi che, del resto, in passato ha già fornito varie flotte di droni da bombardamento all’esercito etiope, garantendogli una schiacciante superiorità aerea contro i ribelli del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, e ingenti carichi di armi all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, in guerra con il governo di Tripoli riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale.

Ora da più parti si accusano gli Emirati Arabi Uniti di armare i miliziani delle Forze di Supporto Rapido che, durante la dittatura di Omar al-Bashir hanno combattuto per anni assieme alle forze di Abu Dhabi contro i ribelli houthi yemeniti.

Nonostante gli emiratini continuino a negare ogni coinvolgimento, numerosi media hanno documentato i carichi di armi inviati ai janjaweed da parte della piccola ma potente petromonarchia, a tal punto che a metà dicembre al-Burhan ha espulso 15 diplomatici di Abu Dhabi. In precedenza Yassir al-Atta, membro della giunta golpista, aveva esplicitamente accusato gli Emirati di rifornire i ribelli attraverso l’Uganda, la Repubblica Centrafricana e il Ciad. Recentemente, un documento diffuso dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, basato su fonti di intelligence e testimonianze di osservatori indipendenti, definisce “credibili” le ricostruzioni secondo cui gli Emirati hanno più volte fornito armi ai miliziani ribelli tramite la base aerea di Amdharass, nel nord del Ciad. I più di 100 voli registrati, secondo Adu Dhabi, trasportavano invece soltanto “aiuti umanitari” destinati ai profughi.

Ma i legami tra il leader delle RSF e la petromonarchia araba sono noti e consistenti. Il centro dell’impero economico di Dagalo – e del fratello – è a Dubai, mentre il generale è ritenuto molto vicino al vicepresidente degli Emirati Mansour bin Zayed ed ha fatto un lungo viaggio ad Abu Dhabi nella scorsa primavera, prima di ordinare la ribellione contro il suo ex alleato al-Burhan, che ora è sostenuto dall’Egitto di al Sisi.

Il Sudan va in pezzi
Mentre la guerra civile ha messo il paese in ginocchio, in varie regioni il vuoto di potere ha portato alla formazione di milizie regionali più o meno indipendenti dai due contendenti, che dettano legge a livello locale utilizzando la violenza e minacciano la stessa integrità dello stato sudanese.

Di fatto il paese è spaccato a metà. I paramilitari di Dagalo controllano gran parte della capitale, le regioni occidentali, il Darfur e una parte della provincia del Kordofan. L’esercito “regolare”, fedele al regime, invece, occupa alcuni quartieri di Omdurman, la città gemella di Khartum, il nord del paese, le regioni orientali e la valle del Nilo.

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In giallo le zone controllate dalle Forze di Supporto Rapido, in rosa quelle controllate dall’esercito

Crimini di guerra e pulizia etnica
Recentemente i combattimenti tra le opposte fazioni e si sono allargati a territori finora relativamente tranquille. Entrambe le fazioni si stanno rendendo responsabili di crimini di guerra e atrocità contro la popolazione, bombardando in maniera indiscriminata i centri abitati e sottoponendo gli oppositori a torture e detenzioni arbitrarie.

In particolare, l’avanzata delle Forze di Supporto Rapido di Dagalo nel Darfur Occidentale ha provocato nella sola capitale regionale Geneinatra i 10 e i 15 mila morti. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite i janjaweed hanno preso deliberatamente di mira i civili nelle strade, nelle case e nei campi profughi, colpendo anche le colonne di profughi in fuga verso il Ciad, con esecuzioni sommarie e stupri. Le RSF, i cui membri sono reclutati per la maggior parte tra le tribù arabe delle regioni occidentali, sono accusate di uccisioni di massa a sfondo etnico contro la popolazione nera africana, in particolare quella Masalit, maggioritaria nel Darfur Occidentale, oltre che di saccheggi e distruzioni punitive.

Mentre la capitale Khartum è sempre più una città fantasma, con interi quartieri ridotti in macerie e abbandonati dai loro abitanti, da dicembre gli scontri si sono estesi alle regioni orientali e meridionali, costringendo alla fuga centinaia di migliaia di persone. Particolarmente intensi sono stati gli scontri nello stato di Gezira, a sud di Khartum, una regione che viene abitualmente definita “il granaio del Sudan”.

Emergenza umanitaria e sanitaria
I profughi sarebbero in totale già 7,5 milioni; di questi, circa 1 milione e mezzo si sarebbero rifugiati in Ciad, Sud Sudan ed Egitto. Gli altri hanno cercato riparo nei territori scampati agli scontri fino al momento del loro arrivo, dovendo però poi spesso fuggire di nuovo a causa dello scoppio di ulteriori combattimenti e dovendo comunque confrontarsi con una grave penuria di cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria.

Il paese, nonostante il sostanziale disinteresse dai circuiti mediatici principali, è investito da una crisi gravissima. Secondo l’Ufficio dell’ONU per il coordinamento umanitario (OCHA), circa 25 milioni di sudanesi hanno o avranno bisogno nei prossimi mesi di assistenza. Nel solo stato di Khartum, denuncia un dossier diffuso da Medici Senza Frontiere, almeno 3 milioni di persone non hanno alcun accesso all’assistenza medica.

Nelle zone interessate dalla guerra civile, afferma l’associazione Care International, l’80% degli ospedali e dei presidi sanitari ha dovuto chiudere a causa dell’inagibilità delle strutture e della mancanza di elettricità. La situazione, in mancanza di una svolta allo stato improbabile, può solo peggiorare. – Pagine Esteri

12037436* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria

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Identifying Privacy Risks and Implementing Best Practices for Body-Related Data in Immersive Technologies


As organizations develop more immersive technologies, and rely on the collection, use, and transferring of body-related data, they need to ensure their data practices not only maintain legal compliance, but also more fulsomely protect people’s privacy. To

As organizations develop more immersive technologies, and rely on the collection, use, and transferring of body-related data, they need to ensure their data practices not only maintain legal compliance, but also more fulsomely protect people’s privacy. To guide organizations as they develop their body-related data practices, the Future of Privacy Forum created the Risk Framework for Body-Related Data in Immersive Technologies. This framework serves as a straightforward, practical guide for organizations to analyze the unique risks associated with body-related data, particularly in immersive environments, and to institute data practices that earn the public’s trust. Developed in consultation with privacy experts and grounded in the experiences of organizations working in the immersive technology space, the framework is also useful for organizations that handle body-related data in other contexts. This post will build on our previous blog post where we discussed the importance of understanding an organization’s data practices and evaluating legal obligations. In this post we will focus on identifying the risks data practices raise and implementing best practices to mitigate these risks.

I. Identifying and assessing risk to individuals, communities, and society

Beyond legal compliance, leading organizations also should seek to ensure their products, services, and other uses of body-related data are fair, ethical, and responsible. Body-related data, and particularly the aggregation of this data, can give those with access to it significant insight into an individual’s personal life and thoughts. These insights include not just an individual’s unique ID, but potentially their emotions, characteristics, behaviors, desires, and more. As such, it is important for safeguards to prevent harmful uses of body-related data. Proactively identifying the risks their data handling raises will help organizations determine which best practices are most appropriate.

As demonstrated in the chart below, privacy harms may stem from particular types of data being used or handled in particular ways, or transferred to particular parties. Organizations should consider the factors related to data type and data handling that impact the risks associated with their data practices.

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When assessing the risks their data practices raise, organizations should ask themselves questions including:

  • What are the harms that each risk may create, and how severe might they be?
  • Who is likely to be the most significantly harmed by the realization of any given risk?
  • What organizational goal or objective is a given data practice serving?
  • Are there any public policy or legal considerations impacting an organization’s analysis of their data practices?
  • Might technology change in the near future in a way that makes certain data practices more or less likely to result in harm, or more or less harmful?
  • Are there any alternatives to a given data practice that are more privacy-friendly, while still allowing the organization to achieve its objectives?
  • Does a given data practice raise risks that are too significant or implicate sufficiently serious harms such that it should be abandoned altogether?


II. Implementing relevant best practices

There are a number of legal, technical, and policy safeguards that can help organizations maintain statutory and regulatory compliance, minimize privacy risks, and ensure that immersive technologies are used fairly, ethically, and responsibly. These best practices should be implemented in a way that is intentional—adopted as appropriate given an organization’s data practices and associated risks; comprehensive—touching all parts of the data lifecycle and addressing all relevant risks; and collaborative—developed in consultation with multidisciplinary teams within an organization including stakeholders from legal, product, engineering, privacy, and trust and safety.

The chart below summarizes some of the major best practices organizations can apply to body-related data, as well as specific recommendations for each.

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It is critical to note that no single best practice stands alone, and instead the contemplation of best practices should be considered comprehensively and implemented together as part of a coherent strategy. In addition, any strategy and practices must be evaluated on an ongoing basis as technology, data practices, and regulations change.

As organizations grapple with the privacy risks that body-related data raises, risk-based approaches to evaluating data practices can help organizations ensure they are not just compliant but also that they value privacy. FPF’s Risk Framework for Body-Related Data in Immersive Technologiesserves as a starting point for organizations that collect, use, or transfer body-related data to develop best practices that prioritize user privacy. As technologies become more immersive, the unique considerations raised in this framework will be relevant for a growing number of organizations and the virtual experiences they create. Organizations can use this framework as a guide as they examine, develop, and refine their data practices.


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