Etiopia: iniziata la guerra della fame degli assediati
La fame ha fatto scoppiare il nuovo round di combattimenti
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USA: primarie dem, largo ai moderati (per ora)
Gli esiti delle primarie che si sono svolte negli scorsi giorni a New York, in Florida e in Oklahoma hanno offerto alcuni segnali potenzialmente indicativi sia in vista delle prossime elezioni di midterm, sia di quelli che sono le dinamiche di lungo periodo della politica statunitense. In Oklahoma, dove a novembre si voterà per il [...]
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Australia, consulente di coppia nella rivalità tra Stati Uniti e Cina
La concorrenza USA-Cina è una sfida decisiva del presente. Molta attenzione si è concentrata sul comportamento di queste due grandi potenze e sul loro impatto sugli affari globali. Ma poiché la rivalità tra Stati Uniti e Cina persiste, una domanda importante è cosa possono fare le terze parti, in particolare Paesi come l’Australia che hanno [...]
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Sproporzione
Inutile girarci attorno o avere timore nell’osservarlo: colpisce la sproporzione. Non si tratta di mettere a confronto le personalità o le biografie, ma le parole e la visione del futuro, gli interessi italiani e il modo in cui, nel presente, si difendono. Mario Draghi non ha tratto un bilancio dell’azione del governo che ancora presiede, ha disegnato un progetto, ha esposto un programma. Ha invitato tutti ad andare a votare (giusto) e ricordato che saranno gli elettori a decidere del prossimo Parlamento e, quindi, del prossimo governo (giustissimo). Su questo punto torno. Ma ha anche esposto una visione che ha messo in luce la sproporzione con ciascuno e con l’insieme che su quello stesso palco si era esibito.
Non esiste Italia ricca e sicura senza collocazione indissolubilmente interna all’Unione europea e all’Alleanza atlantica. Non esiste Italia prospera se non dentro i mercati globali, laddove protezionismo e isolazionismo impoveriscono. E immiseriscono, aggiungerei. Non esiste alcuna sovranità nazionale senza l’affrancarsi dalle forniture di gas che una potenza imperialista e aggressiva, la Russia, utilizza per ricattare. Già oggi abbiamo dimezzato quella dipendenza, nell’autunno del 2024 sarà totale. Indietro non si torni <<mai più>>. Non esiste Italia autorevole se non partendo dal riconoscimento che altri europei hanno accettato di tassare i propri cittadini per permettere al nostro Paese, con i fondi NGEU, di riprendersi rapidamente, né potrà esserci credibilità se non dando attuazione a quanto il Pnrr prevede, non solo nella spesa, ma anche nelle riforme che ci siamo impegnati a fare, che abbiamo il dovere di varare, che è nel nostro interesse realizzare. E non esiste libertà se non al fianco dell’Ucraina, Paese libero aggredito brutalmente da un’azione criminale. È con questi principi che si è riusciti a realizzare il più veloce recupero produttivo, dopo la pandemia; la più consistente riduzione percentuale, dal dopo guerra a oggi, del debito pubblico; una crescita del prodotto interno lordo, per l’anno in corso, del 3.4%; un record di occupazione. Fatti, non promesse.
Non c’è un “lascito politico”, né una “agenda” da consegnare ai successori. C’è il quadro in cui chiunque governi dovrà muoversi. E ove intenda muoversi fuori da quel quadro c’è la rovina dei risultati fin qui raggiunti e degli interessi nazionali indisponibili. Non c’è, né doveva o poteva esserci, una indicazione elettorale. C’è il rammentare che fuori dall’Unione europea, fuori dall’euro e fuori dalla Nato, tutte cose reclamate da taluni, qualche volta nel recentissimo passato e qualche altra nel loro detestabile presente, l’Italia si rattrappirà in un nazionalismo capace di demolire la Patria.
Osservando la sproporzione vien da chiedersi se lo stesso Draghi non avrebbe potuto essere più accomodante, in modo da restare qualche altro mese al governo, scrivere la legge di bilancio e riconsegnare la guida nell’estate del 2023. E, sebbene la sproporzione stringa il cuore di chi l’Italia la ama per convinzione e non per slogan, la risposta è: No. Avrebbe sbagliato. Anzi, è proprio nel non avere abbozzato che c’è il solo e profondo lascito politico. E morale. Perché si dimostra che un’Italia in linea con la forza del Paese esiste. Perché una democrazia non può campare di supplenze. Perché una classe dirigente si misura con i problemi che deve affrontare e con l’esempio che ha ricevuto. Perché agli elettori è consegnato il delicato potere di scegliere: se volessero farlo per tifo e contrapposizione, senza visione degli interessi italiani, ne pagherebbero, ne pagheremmo le conseguenze. Tocca al palco dei politici razionalizzare la sproporzione con il palco di Draghi, ricordando che il vincitore non è chi entra a Palazzo di sghembo, con falsi alleati, ma chi può uscirne solitario ed eretto.
Il tempo per raddrizzare questa campagna elettorale stortignaccola c’è ancora. Se ne trovi la lucidità e il coraggio.
La Ragione
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Frammenti #05 - 25 agosto 2022
Colao io non compro niente, lasciami in pace
Due giorni fa ho letto un tweet che riportava un’affermazione di Vittorio Colao: "La digitalizzazione in maniera trasparente ti dice so chi sei, so a cosa hai diritto e anticipo il tuo bisogno."
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Nello specifico, si riferisce al suo progetto di identità digitale. Vorrebbe creare una sorta di “Schengen del digitale”; un sistema nazionale digitale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni acquisiscono in modo automatizzato e pervasivo i dati di cui hanno bisogno per conoscere i “bisogni” dei cittadini (welfare) e anticiparli. In pratica, secondo lui sarebbe un mezzo per rendere più efficiente il welfare di stato, automatizzando l’erogazione di bonus, incentivi, detrazioni, assegni e quant’altro senza che il cittadino debba richiederli.
E se il mio bisogno fosse invece quello di essere lasciato in pace?
Personalmente non sento il bisogno di essere oggetto di analisi da parte di uno Stato onnipotente e onnisciente, che sa chi sono, cosa faccio, quanto guadagno, quali sono le mie relazioni private e familiari, dove tengo i miei soldi e cosa ci faccio, quali sono le mie idee politiche e così via.
Non sento neanche il bisogno di uno stato che si arroga il diritto di decidere unilaterlamente di cosa “ho diritto” e quali siano i miei “bisogni”. Trovo molto pericoloso pensare che lo Stato sia titolare di un potere del genere, quello di anticipare i bisogni delle persone.
Cosa ne è della libertà di autodeterminazione e della libertà di pensiero, che si concretizzano anche nella capacità di dissenso riguardo determinate scelte politiche? Se io sono contrario al welfare di stato non voglio essere inerme nei confronti di un sistema che invece mi eroga bonus, incentivi e quant’altro contro la mia stessa volontà. Attenzione a fare “il bene” degli altri con la forza…
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Cryptoanarchia e comunità virtuali
Ogni tanto qualcuno mi chiede: Matte ma secondo te come si può uscire da questo sistema di stati-nazione sempre più estesi e onnipotenti?
Ebbene io credo che il sistema sia già stato superato, ma che serviranno ancora diversi anni per rendersene conto davvero.
I più lungimiranti ne parlavano già quasi 30 anni fa. Ad esempio, il libro “The Sovereign Individual” parla espressamente del superamento del concetto di stato nazione, verso un mondo di individui sovrani collegati tra loro. Ne ha parlato recentemente Federico Rivi nella sua newsletter, che consiglio di seguire.
Un altro contributo sul tema fu quello di Timothy May, Cypherpunk e autore del Crypto Anarchist Manifesto, che nel 1994 scriveva un breve saggio chiamato “Criptoanarchia e comunità virtuali”, in cui parlava di Internet come di un luogo dove regnava l’anarchia; non intesa come assenza di regole, ma nel senso di assenza di governo, che poi è il vero significato politico di anarchia.
Secondo lui la crittografia sarebbe diventato lo strumento con cui sostenere i “muri” delle comunità virtuali fondate su sistemi anonimi o pseudoanonimi.
Il futuro che immaginava May nel 1994 era un mondo di individui divisi in due categorie: coloro che avrebbero saputo cogliere le opportunità delle nuove tecnologie, e coloro che invece sarebbero rimasti schiavi del sistema1. Gli strumenti di crittografia, Internet, e oggi anche Bitcoin danno alle persone il potere di separarsi dallo Stato e di decidere autonomamente cosa fare della propria vita. I tempi oggi sono maturi, ma quanti sapranno cogliere l’occasione?
Consiglio la lettura del saggio, che trovate qui (in inglese).
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Libertarianism holds that the only proper role of violence is to defend person and property against violence, that any use of violence that goes beyond such just defense is itself aggressive, unjust, and criminal”
― Murray N. Rothbard
“Something that is inevitable is the increased role of individuals, leading to a new kind of elitism. Those who are comfortable with the tools described here can avoid the restrictions and taxes that others cannot. If local laws can be bypassed technologically, the implications are pretty clear.
The implications for personal liberty are of course profound. No longer can nation-states tell their citizen-units what they can have access to, not if these citizens can access the cyberspace world through anonymous systems.”
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"Le politiche ultraliberiste degli ultimi anni e a vantaggio di pochi, hanno gettato le basi per il presente di oggi. 30 anni passati a smontare tutte le solide basi strutturali dello Stato sociale che, pur con decine di contraddizioni, poneva l’interesse nazionale e la tutela dei cittadini al primo posto, facendo sue le istanze strategiche a tutela della popolazione. La sanità, così come l’apparato energetico e non solo, sono servizi di prima tutela, devono essere pubblici."
Analisi del Max Planck Institute sui suoi elettori: il PD è il partito della destra neo-liberale
«Il Fatto quotidiano di ieri pubblica un'analisi del Max Planck Institute sul voto Dem che conferma cose che sappiamo già da un pezzo: gli elettori di questo partito sono in larga maggioranza benestanti, abitano nelle grandi città e nutrono opinioni "di centro" (leggi neoliberal-liberiste) in economia e "di sinistra" (leggi politically correct) in tema di diritti individuali e civili ( di quelli sociali non gliene importa un baffo).»
Altri tre nuovi post con il monitoraggio dei temi digitali nei programmi dei partiti che si presentano alle #politiche2022
Ancora tre post con il monitoraggio sui temi digitali nei programmi delle #elezioni2022:
- Unione Popolare
- Impegno Civico
- +Europa
(spoiler per chi ha fretta: solo +Europa ci ha soddisfatto)
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Digitale 2022: +Europa
Il programma della lista è disponibile qui (documento – Link locale) L’impressione che abbiamo avuto del programma di +Europa è decisamente positiva. I temi digitali sono stati toccati con precisione e accuratezza; è chiara l’impronta liberale che vede i principi dello stato di diritto come la bussola politica. Ci ha sorpreso negativamente solo il fatto di aver circoscritto il diritto alla privacy...
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Digitale 2022: Impegno Civico
Il manifesto della lista è disponibile qui (Manifesto – Link locale), ma non abbiamo ancora potuto trovare il programma. Non sappiamo se il “manifesto” costituisca anche una sorta di programma. Al momento siamo costretti ad assumere che sia così, ma siamo certi di sbagliarci. Fatta questa precisazione, abbiamo poco altro da dire, in quanto non c’è traccia di nulla che possa essere fatto rientrare...
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Digitale 2022: Unione Popolare
Il programma della lista è disponibile qui (documento originale – Link locale) Programma abbastanza stringato e, perciò, l’assena pressoché totale di temi legati alla digitalizzazione può essere semplicemente dovuta a questo. Tuttavia questa constatazione non ci sembra sufficiente per giustificare questa mancanza. Se si esclude infatti il riferimento alle forme di partecipazione da ottenersi anche...
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Digital Service Package: come regolare le piattaforme digitali?
Luna Bianchi, Leila B. Mohamed, Luca Nannini, Eleonora Bonel) Il 5 luglio 2022, al termine della sessione plenaria del Parlamento Europeo, è stato approvato il Digital Services Package, il primo set normativo composto dal Digital Service Act (DSA) e dal Digital Markets Act (DMA), volto a regolare rispettivamente i servizi e il mercato digitali al fine di creare uno spazio online più sicuro e...
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Etiopia, nuovi combattimenti in zona di confine tra Amhara e Tigray
Scoppiano combattimenti ed un nuovo fronte di guerra nei dintorni di Kobo, nella regione Amhara sul confine meridionale con lo stato regionale del Tigray.
Lo confermano testimonianze di alcuni residenti:
“Sto sentendo il suono di armi pesanti a partire da questa mattina”, ha detto a Reuters un contadino della zona di Kobo che non voleva essere nominato. “La scorsa settimana, ho visto le forze speciali di Amhara e milizia Fano dirigersi al fronte in autobus”.
Anche il portavoce delle forze tigrine per mezzo social riporta che:
“Il regime di Abiy ha lanciato un’offensiva contro le nostre posizioni nel fronte meridionale. Dopo una settimana di provocazioni utilizzando le divisioni delle forze speciali Amhara, la milizia Amhara da tutta la regione e oltre e Fano da Wollo, il comando meridionale si è unito alla mischia lanciando un’offensiva su larga scala. Le nostre forze stanno eroicamente difendendo le nostre posizioni. La campagna ben orchestrata dal regime alla comunità internazionale è stata ora rivelata per il dramma che è sempre stata!”Etiopia, nuovi combattimenti in zona di confine tra Amhara e Tigray
Il 15 agosto c’erano state già nuove avvisaglie di una potenziale escalation nonostante la tregua umanitaria unilaterale dichiarata dal governo etiope: infatti nel giorno di ferragosto, mentre gli italiani erano in ferie indisturbati dalla catastrofe umanitaria in atto per milioni di etiopi, a Dedebit, c’è stato un’offensiva e scontro armato utilizzando mezzi pesanti federali sulle forze tigrine.
Un secondo residente ha detto di aver sentito anche armi pesanti e ha confermato che negli ultimi due giorni c’è stato un importante spostamento della milizia di Fano e delle forze speciali dalla vicina regione di Amhara all’area.
Sui social sono comparsi anche video che immortalavano il passaggio di mezzi pesanti e autobus.
Come riportato da Reuters, il portavoce del governo etiope Legesse Tulu, il portavoce militare colonnello Getnet Adane e la portavoce del primo ministro Billene Seyoum non hanno risposto alle richieste di commento.
Mentre il comando militare delle forze tigrine ha pubblicato un comunicato:Dichiarazione del Comando militare dell’Esercito Tigray
Questa offensiva che molti osservatori indicano come punto di ripresa della guerra genocida, ci sono molte ipotesi e speculazioni che si potrebbero sviscerare. Quello che rimane una disumanità reale e certa è che milioni di persone stanno subendo violenze dettate oltre che dai nuovi bombardamenti, anche da volontà politiche: stritolati da una morsa che crea sofferenza e morte.
Sono milioni i tigrini ancora isolati ed in attesa di supporto umanitario ormai da 22 mesi: molte zone rurali non sono mai state raggiunte dagli aiuti e tonnellate di materiale umanitario sta marcendo a Mekellé per mancanza di carburante per i potenziali mezzi di distribuzione: discriminante aggiuntiva è che i conti correnti, linee elettrica e telecomunicazioni sono ancora bloccate. Il Tigray è ancora confinato ed assediato, nonostante le dichiarazioni diplomatiche del governo centrale. Nelle regioni confinanti Amhara e Afar ci sono altrettanti milioni di sfollati interni in attesa di supporto umanitario. Una stima recente delle Nazioni Unite parlano di 13 milioni di persone in tutto il nord Etiopia ad essere bisognose di sostegno per la loro sopravvivenza.
In tutto questo contesto America ed Europa stanno seguendo e supportando gli sforzi disattesi dei comunicati di risoluzione pacifica e dei dichiarati negoziati di pace del governo centrale etiope. Anche l’Italia fa la sua parte sostenendo con nuovi progetti di cooperazione per lo sviluppo e la crescita economica dell’Etiopia, senza nulla proferire sulla tutela dei diritti umani ed in primis della vita di milioni di persone che non rischiano di morire per gli effetti del cambiamento climatico come sta capitando con la siccità dilagante in Somalia, in Kenya, ma per mere e becere volontà politiche.
Torno con le mie mirabolanti domande di #mastoaiuto sul tema #informatica e #WebDesign. L'argomento di oggi è il tema scuro nei siti e nell'interfaccia del computer/cellulare. O come lo chiamano in modo tutto figo #DarkMode.
Io mi sento più rilassato quando lavoro con il tema scuro su progetti grafici o scrittura. Mi aiuta a concentrarmi meglio su quello che sto facendo. Ma quando si tratta di #accessibilità mi viene un dubbio enorme: se faccio un sito con tema scuro, accontento tutti i lettori?
Io ho sempre fatto attenzione a non usare mai lo sfondo totalmente nero #000 con testi totalmente bianchi #fff perché anche solo pensarlo mi si bruciano le retine. Ho sempre fatto una mediazione di grigi o comunque colori complementari che abbiano lo stesso un elevato contrasto, ma più morbido. Ho già chiesto ad alcune persone con difficoltà di lettura come si trovassero con i miei siti e hanno risposto che riescono a leggere senza affaticarsi. Ma l'esperienza di persone che si conta sulle dita di una mano non fa statistica.
Ora, questo approccio che a me piace è sempre stato venduto anche come ecologico perché inciderebbe meno sull'energia impiegata dal monitor, con gran gioia della bolletta, della batteria e dell'ambiente stesso. Ma è davvero così?
Leggo articoli online che si contraddicono, perciò mi piacerebbe sentire il parere da gente vera come voi. In realtà un tema chiaro incide poco o nulla sulle performance e quindi è meglio stare più leggeri per non mettere in difficolta i lettori online, oppure c'è un vero e tangibile risparmio energetico e quindi è buono l'impegno nel fare temi scuri ma il più possibile accessibili?
Andrea reshared this.
Gmail creates “Spam Emails”, despite CJEU judgment
Gmail crea "email di spam", nonostante la sentenza della CGUE Oggi noyb.eu ha presentato una denuncia contro Google all'Autorità francese per la protezione dei dati (CNIL). Il gigante tecnologico ha ripetutamente ignorato la sentenza della Corte di giustizia europea (CJEU) sul marketing diretto
Presentazione del libro “Cronache dal passato. Palermo 1860. Intrighi, Segreti. Misteri” a Villa Piccolo
Presentazione del libro di Anna Maria Corradini, presso Villa Piccolo a Capo d’Orlando.
Dialoga con l’Autrice Milena Romeo.
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Piano inclinato
O non se ne parla o ci si tiene sul vago. A scorrere i programmi dei partiti sembra che il solo problema legato al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sia riuscire a spendere i soldi. C’è anche chi, dopo essersi speso nel criticare le istituzioni europee, ma volendo incassare la posta di quei fondi, pensa d’essere ficcante osservando che la parte prevalente è in prestito. Come se fosse un diritto avere regali, posto che ci sono anche soldi regalati, laddove non è un diritto neanche disporre di prestiti a tassi agevolati. Perché quel prestito lo riceviamo a un tasso, quindi un costo, nel tempo, inferiore a quello che paghiamo normalmente. Sottolineare che è un prestito segnala confusione d’idee. C’è dell’altro, a inclinare il piano.
Nel programma del centro destra si legge l’impegno (e vorrei vedere) al <<pieno utilizzo>> dei fondi europei, aggiungendo che, <<in accordo con la Commissione europea>>, taluni aspetti andranno rivisti. A dar voce a questo concetto è stata Giorgia Meloni. Come speso capita, alla ricerca di caratterizzarsi e con gli avversari alla ricerca dell’errore, le cose prendono a torcersi, tanto che Enrico Letta è intervenuto subito dopo dicendo che non si può rivedere l’impianto. Solo i dettagli, aggiunge Paolo Gentiloni, membro della Commissione. Fermi, state discutendo del nulla, perché: 1. che i piani possano essere rivisti, alla luce di cambiamenti intercorsi, è scritto nelle regole; 2. proprio per la natura dei cambiamenti non significa che modifichi il progetto, ma aggiusti l’attuazione; 3. se chi vuole aggiustamenti li propone in accordo con la Commissione, né potrebbe essere diversamente, state dicendo la stessa cosa, con il cipiglio di chi si rimbrotta.
Sarebbe bello e civile un impegno collettivo, coerente con i programmi presentati: affermiamo che chiunque vinca darà attuazione al Pnrr. Non lo diranno, troppo civile. Ma c’è dell’altro, su cui tacciono, che inclina ancor di più il piano.
Il tema non è (solo) quello degli impegni presi con le autorità europee, cui dobbiamo quelle disponibilità, venir meno ai quali sarebbe un micidiale rogo della credibilità nazionale. Il tema è che, fin dall’inizio, è stato chiarito che l’efficacia di quella imponente spesa, per investimenti, dipende dalla capacità e tempestività nell’accompagnarla con le riforme. Ed è qui che siamo messi male.
Perché se, in piena campagna elettorale, si parla di scuola con riferimento pressoché esclusivo a stabilizzazioni e stipendi, se si parla dei quattrini da spendere in digitalizzazione senza aggiungere un pensiero che sia uno sulla didattica digitale (ad esempio la valorizzazione degli insegnanti migliori, socializzando le loro lezioni, o facendo sparire il mercato assurdo dei libri di testo) butta male. Se si parla di fisco per dire che “deve diminuire la pressione fiscale”, concetto vacuo che può essere attributo a diversi, oppure per proporre flat tax con diverse aliquote, che è come volere millepiedi bipedi, o, ancora, per proporre patrimoniali e regalare salari costruiti con meno prelievi, senza una parola su coperture e costi, siamo messi male. Se si parla di pensioni non per equilibrare un sistema che contiene una terribile ingiustizia a carico dei giovani, ma per promettere di poterci andare prima e fregarli meglio, siamo messi peggio.
La politica latita proprio sulla parte di Pnrr che le compete, quella della produzione parlamentare e governativa. Serve a niente e significa anche meno affermare, come si legge in diversi programmi: occorre fare le riforme che gli italiani aspettano da anni. Primo, perché mi devi dire quali e come, chi ci perde e chi ci guadagna. Secondo, perché chi lo scrive si trova in quel posto da lunga pezza, sicché porta la sua parte di responsabilità per il tempo e i quattrini che si sono persi. Molte riforme non si sono fatte perché i “vincitori”, a destra e sinistra, erano diversi e avversari fra loro. Tal quale quello che ripropongono. E il piano diviene scosceso.
La Ragione
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Tasse e fisco da cambiare: vecchi problemi antiche ricette
Da anni Techetecheté è il programma più visto del palinsesto estivo. Pescando nel ricco archivio della Rai, questa striscia quotidiana consola gli spettatori con il tepore zuccheroso della nostalgia. In campagna elettorale, i partiti sembrano ispirarsi a quel modello. Rischiamo un autunno con energi e riscaldamento razionati. Veniamo da un’esperienza di pandemia e lockdown di cui porteremo a lungo i segni. Ci viene quotidianamente spiegato che dobbiamo cercare di spendere i fondi del Pnrr, e di farlo nei tempi concordati se non limitando sprechi e spese inutili.
Eppure la campagna elettorale è per ora un juke box di grandi classici: flat tax, patrimoniale, dote giovani, presidenzialismo, eccetera.
I nostri politici non saranno molto creativi, ma l’eterno ritorno di alcune promesse non va preso sotto gamba: da una parte, segnala che quelle promesse non sono mai state mantenute (infatti restano attuali). Dall’altra, se esse hanno ancora presa è perché quei problemi non sono stati risolti nel corso degli anni, fra una elezione e l’altra semplicemente si smette di parlarne. Questo è vero soprattutto in campo fiscale. La proposta del centrodestra di una flat tax, ovvero di un’imposta ad aliquota unica, viene facilmente liquidata come una posticcia reminiscenza reaganiana. Nel 1994, Forza Italia prometteva già una semplificazione del sistema fiscale (da 200 a 10 imposte) e una aliquota unica «al 30%». Nella legislatura del centrodestra, il governo fece approvare una delega (2004) che avrebbe dovuto portare a due soli scaglioni dell’imposta sul reddito, 23 e 33%. Nell’ultima campagna elettorale (2018), la Lega proponeva, come fa ora, una flat tax al 15%, mentre Forza Italia si fermava su un valore più alto, il 23% del reddito.
Il guaio è che la pressione fiscale pesava per il 40% del Pil nel 1994, quando il Cavaliere propose per la prima volta il passaggio a una aliquota unica; era scesa, di poco, al 39,5% nel 2001 e nel 2021 è stata del 43,5%. Se dovessimo ragionare sul numero dei tributi, difficilmente avremmo l’impressione di un trentennio di grandi semplificazioni.
In compenso, il sistema fiscale ha una sua fisionomia che tutti sappiamo essere problematica ma a cui non mette mano nessuno. Anzitutto, è molto oneroso per chi lavora: come ricorda un rapporto della Commissione finanze della Camera, «l’aliquota implicita di tassazione sul lavoro, che include anche i contributi sociali versati dal datore e dal lavoratore, è stata pari nel 2018 al 42,7 per cento (la terza più alta), a fronte di una media del 38,6 per cento per l’area dell’euro».
Contro l’ipotesi di una aliquota proporzionale, in molti sbandierano il requisito costituzionale della progressività del nostro Fisco: ma più che progressivo il sistema è opaco. Non è detto che due persone che hanno lo stesso reddito paghino le stesse imposte, dipende da come ciascuno dei due è capace di navigare il vasto mare di detrazioni e deduzioni. Le «spese fiscali» in Italia contavano, nel 2020, di 602 voci. Più in generale, gli interventi che sono stati fatti, negli ultimi vent’anni, vanno tutti nella direzione di definire dei «regimi di eccezione», che coincidono con attività che si ritiene auspicabile vengano intraprese, e dunque coi gruppi sociali che le presidiano.
L’imposta ad aliquota unica non basta, è stato detto più volte, a «semplificare» il sistema. È vero. Ma essa rappresenterebbe quello che non si è fatto in questi anni: cioè una riforma ambiziosa, del tipo che in qualche modo costringe a mettere ordine. È probabile che la moltiplicazione delle spese fiscali sia un effetto collaterale inevitabile della nostra democrazia. Rappresenta il tentativo della classe politica di rispondere a domande specifiche, che le vengono sottoposte da questo o quel gruppo d’interesse. Proprio per questo, però, varrebbe la pena intraprendere una drastica revisione di quelle che ci sono: ne verranno delle altre, lo sappiamo, ma intanto facciamo pulizia.
Il rischio della campagna elettorale Techetecheté è confondere le cose di cui si parla da anni con quelle che effettivamente sono state fatte, e alla fine indurci a cambiare canale, un po’ stufi di rivedere sempre le stesse scene. Se il centrodestra parla di nuovo della flat tax, il centrosinistra di nuovo le oppone i medesimi argomenti di cinque anni fa. Sarebbe incostituzionale: in realtà, non è vero, è il sistema fiscale nel suo complesso che deve essere progressivo non l’aliquota della singola imposta (altrimenti sarebbero incostituzionali anche la cedolare secca o l’imposta sulle plusvalenze finanziarie). È iniqua. Non si può fare. Ce l’ha l’Ungheria di Orbán (ma anche la Lituania e la Georgia antiputiniane e, per la verità, la Bolivia di Evo Morales).
In questa cacofonia di vecchie canzoni, si rischia di perdere di vista il punto. La pressione fiscale in Italia è ancora troppo alta oppure no? Lo è nonostante l’ampio ricorso al deficit di bilancio che sposta le tasse sulle spalle dei nostri figli? Come fare per non ritrovarci di nuovo, fra cinque anni, con gli stessi problemi e le stesse promesse?
Corriere della Sera, 22 agosto 2022
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I partiti fragili
C’erano una volta i partiti. Erano associazioni e si erano sviluppate con la conquista del suffragio universale, che aveva portato alla cittadinanza attiva milioni di persone. Nel secondo dopoguerra, quasi il 9 per cento della popolazione italiana con più di 14 anni era iscritto a un partito. Avevano poderose articolazioni territoriali, organizzazioni laterali giovanili e organizzazioni collaterali. Riunivano ogni due o tre anni i rappresentanti degli iscritti in congressi dove si scontravano correnti, si presentavano mozioni contrapposte, si votava sui programmi e sulle persone. La Democrazia cristiana ha avuto per molti anni fino a due milioni di iscritti (anche se talvolta i tesseramenti erano «gonfiati»), distribuiti in più di un migliaio di sezioni; un congresso, che
si riuniva ogni due o tre anni, composto di rappresentanti degli iscritti e di rappresentanti dei parlamentari; un consiglio nazionale di circa duecento componenti, che si riuniva tre o quattro volte per anno; una direzione di una trentina di membri, che si riuniva ogni mese; numerose organizzazioni collaterali. Il Partito comunista aveva dimensioni e articolazione simili.
Ha avuto in qualche anno fino a due milioni e mezzo di iscritti, un numero di cellule oscillante tra 30 e 60 mila e di sezioni tra 7 e 16 mila, e i suoi organi collegiali erano altrettanto, se non più attivi, di quelli democristiani. Il Partito socialista, pur se di dimensioni più ridotte quanto a iscritti, aveva una vita interna altrettanto democratica. Insomma, per quasi cinquanta anni della storia repubblicana, i partiti hanno rispecchiato la frase pronunciata da Piero Calamandrei alla Assemblea costituente il 4 marzo 1947: «una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti».
Se allora era iscritto ai partiti quasi il 9 per cento della popolazione con più di 14 anni, oggi è solo poco più dell’1 per cento che si iscrive ai partiti. Anche i votanti diminuiscono (mentre la popolazione è aumentata): nel secondo dopoguerra si recava alle urne circa il 93 per cento degli aventi diritto al voto; la percentuale è scesa ora al 73 per cento, e tende a diminuire. Le stesse basi dei partiti diventano fluide: agli iscritti si aggiungono gli esterni, si tende ad assimilare elettori ed eletti, si distinguono iscritti e militanti. Si diffondono quelli che sono stati definiti «falsi antidoti»: le «agorà» diventano succedanei delle sezioni; «primarie aperte» prendono il posto di scelte fatte dagli iscritti. C’è chi si iscrive temporaneamente, per far vincere un candidato a elezioni interne. Il dirigente di un partito ha segnalato recentemente il fenomeno di adesioni per motivi di gestione del potere, più che per motivi ideali. La struttura dei partiti è quella propria delle oligarchie. Quando si debbono formare le liste, una volta frutto di faticose riunioni degli organi collegiali, in periferia e al centro, si riuniscono ora i pochi stretti collaboratori del «leader», che scelgono all’interno e all’esterno dei partiti (i «candidati civici»), che vengono «paracadutati» in uno o più collegi (il moto della politica è dal basso verso l’alto, mentre qui la tendenza si inverte).
Da un sondaggio di due anni fa emerge che solo il 9 per cento della popolazione ha fiducia nei partiti. Questo è confermato anche dai pochi che contribuiscono al loro finanziamento: solo poco più del 3 per cento dei contribuenti destina ai partiti il 2 per mille e sono poco più di 7 mila le persone che danno ai partiti donazioni liberali. Quanto alla vita interna, gli statuti dei partiti sono stati definiti «simulacri formali»; i programmi non nascono da dibattiti interni, ma sono commissionati ad esperti capaci di sfiorare il ridicolo inserendo il tonno rosso nel programma; i plebisciti prendono il posto delle elezioni; gli organi di garanzia non sono pienamente indipendenti; l’organizzazione è verticalizzata, intorno a un «leader»; persino i siti dei partiti dicono pochissimo, facendo apparire modelli quelli della tanto vituperata burocrazia.
Il Pd ha un segretario che non è passato al vaglio di un congresso nazionale, ma che ha preparato le liste dei candidati alle elezioni nazionali, mentre ha due ex segretari che hanno traslocato in altre formazioni (fenomeno unico al mondo, credo). La Lega dovrebbe tenere un congresso nazionale ogni tre anni: la scadenza è dicembre di quest’anno, ma non sono ancora cominciate le «conte» provinciali, ed è difficile che si possa svolgere a quella data. Il Movimento 5 Stelle ha svolto le «parlamentarie», ma meno della metà degli iscritti si è espresso.
Tutti questi dati mostrano che è in corso una vera e propria agonia dei partiti. Questi sono «fragili, volatili, inconsistenti», come ha scritto Mauro Calise, che ha studiato a lungo la forma partito. Stiamo vivendo una «recessione democratica», ma non della democrazia statale, bensì della sua principale componente, che si riflette sulla democrazia nazionale. La politica attiva, che era impegno di molti, è ora diventata cosa di pochi. Gli elettori vanno in numeri sempre più ridotti alle urne non perché siano indolenti o disinteressati (la partecipazione politica passiva è quasi dieci volte più alta di quella attiva), ma perché i partiti offrono loro scelte sempre più ridotte (un nome, una lista bloccata, nessuna possibilità di esprimere preferenze), mentre consentono ai candidati di presentarsi in più collegi, decidendo poi quale scegliere. I partiti, fatti di vertici, mostrano incapacità di interrogare le istanze popolari e di offrire una sintesi delle soluzioni. Vengono chiamati forze politiche, ma non sono né forze, né politiche. Contano solo in quanto occupano le istituzioni.
Passata la fase elettorale, ai partiti si impone una duplice riflessione. La prima riguarda i modi per assicurare la democrazia nel loro interno. La costituzione tedesca richiede ai partiti di darsi ordinamenti democratici. Quella italiana richiede ai sindacati di rispettare la democrazia al loro interno (ma questi non lo fanno), mentre ai partiti impone solo di competere con metodo democratico. Per anni, si è tentato di stabilire per legge che i partiti debbono rispettare principi democratici. Ma i partiti potrebbero provare a farlo autonomamente. Seconda riflessione: cercare di capire come può servire a rendere più democratici i partiti la democrazia digitale, imparando dagli errori del Movimento 5 Stelle e cercando di coniugare la democrazia ottocentesca con quella del nuovo millennio e di trasformare le comunità virtuali in comunità di interessi e di idealità. Come può essere democratico lo Stato, se non lo sono i partiti, che rappresentano ancora il principale strumento di democratizzazione dello Stato?
Corriere della Sera, 22 agosto 2022
L'articolo I partiti fragili proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
"Se vuoi fare qualcosa di terribile con la tecnologia, non puoi semplicemente lanciarlo su persone con denaro e capitale sociale. Si lamenteranno e la tua idea andrà in fumo. Le implementazioni tecnologiche di merda di successo iniziano con le persone di cui puoi abusare impunemente (prigionieri, bambini, migranti, ecc.) Per poi risalire il gradiente dei privilegi. La chiamo la curva di adozione della tecnologia di merda."
Frammenti #04 - 22 agosto 2022
Fotografi tuo figlio? Sei un pedofilo
Può sembrare una battuta di cattivo gusto, ma non lo è. Da tempo Google, Meta e Twitter implementano sistemi di analisi automatizzata delle immagini con algoritmi di machine learning che dovrebbero identificare i contenuti pedopornografici.
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Questi algoritmi possono essere implementati per scansionare i contenuti caricati in Cloud, sui social, o perfino sulla memoria del dispositivo stesso, come proposto da Apple lo scorso anno. Come sa bene chi mi legge, l’Unione Europea ha proposto di implementare queste tecnologie anche nei servizi di comunicazione come Whatsapp, Instagram Direct, Messenger e così via.
In caso di falso positivo, come accaduto a questo papà che ha fotografato il figlio per il dottore, le conseguenze possono essere gravissime.
Le immagini e il titolare dell’account vengono segnalati alle autorità di polizia e starà poi alla persona dimostrare di non essere un pedofilo. Non è esattamente simpatico trovarsi invischiati in un’indagine del genere, partendo da una presunzione di colpevolezza. E se la notizia viene per caso diffusa, addio reputazione - per sempre.
Qualche approfondimento sul tema:
- Chatcontrol: sorveglianza globale delle comunicazioni
- Le nuove armi di sorveglianza delle comunicazioni in USA, UK, UE
- Abusi sui minori, la nuova scusa per la sorveglianza delle comunicazioni
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Il guinzaglio digitale al collo dei bambini
Continuiamo parlando di bambini, stavolta nell’ambito scolastico. In questi ultimi mesi si stanno diffondendo strumenti di controllo e sorveglianza degli studenti analoghi a quelli usati da alcune aziende per monitorare i lavoratori. L’ultimo di questi è un software che permette alle scuole di monitorare il tempo passato in “pausa” dagli studenti, ad esempio per andare in bagno.
Lo scopo chiaramente non è contare i minuti che gli studenti passano al bagno (seppur sono sicuro che qualcuno lo userà per rompere il cazzo), ma è quello di fornire dati di comportamento su larga scala agli amministratori scolastici, che insieme agli innumerevoli altri software a disposizione delle scuole daranno il potere di profilare e valutare gli studenti in base ai dati prodotti dalla sorveglianza.
Come saremmo cresciuti noi se fin da piccoli avessimo considerato normale essere sorvegliati e valutati per i nostri comportamenti in ogni luogo e tempo? Il rischio di crescere una generazione di droidi sottomessi all’autorità è molto alto.
Hai letto gli ultimi articoli su Privacy Chronicles?
- La privacy [non] è per i criminali: la guerra degli stati di tutto il mondo a chi usa strumenti per proteggere la propria privacy si fa sempre più ferrata. L’ultimo caso, quello dell’arresto dello sviluppatore del software Tornado Cash, è particolarmente preoccupante. È tempo di riscoprire la cultura Cypherpunk.
- Elezioni? Tranquilli, tutti aumenteranno sorveglianza e controllo sociale: manca poco alle elezioni. Cambiano i partiti e le proposte, ma una verità rimane assoluta nel tempo, ogni movimento statalista non potrà che aumentare la sorveglianza di massa e il controllo sociale.
- Welfare, la nuova divinità: dall’800 a oggi i progressisti socialisti hanno usato la scusa dello stato sociale, del bene comune, della salute pubblica e della lotta alla povertà per attuare la loro idea di società perfetta. Il Great Reset, ad esempio, è nient’altro che questo. Il Ministro Speranza da bravo Progressista dice infatti: “fare il ministro significa anche affermare una determinata idea di società”.
Meme del giorno
Citazione del giorno
“The direct use of physical force is so poor a solution to the problem of limited resources that it is commonly employed only by small children and great nations”― David Friedman
Il partito più pro-establishment? Il Pd, naturalmente... - Contropiano
«A conti fatti, se volessimo stilare una classifica dei partiti italiani sulla base di un ipotetico range che si estenda tra i due estremi della nota dicotomia “sistema-antisistema”, il partito che, sulla base delle politiche perseguite e poi, una volta al governo, messe in atto con cristallina efficienza e senza colpo ferire, e che, dunque, risulta più saldamente ed utilmente collocato sul punto più estremo del range coincidente, peraltro, con un ultraliberismo sfrenato cui si è aggiunto, di recente, anche un granitico ed ostentatissimo oltranzismo atlantista e guerrafondaio, non possiamo che constatare che quel partito è, in tutta evidenza, il Partito Democratico.»
La privacy [non] è per i criminali
L’attenzione dei legislatori di tutto il mondo verso chi usa strumenti per proteggere la privacy di comunicazioni e transazioni si fa sempre più preoccupante, specie per alcuni sviluppi che arrivano dagli Stati Uniti, fino ai Paesi Bassi.
L’ultimo caso è quello di Tornado Cash, un servizio di mixer di cryptovalute che, come le tecnologie di Coinjoin per Bitcoin, aiuta a preservare la privacy delle transazioni su rete Ethereum, implementando la cosiddetta “plausible deniability”, di cui vi ho parlato a marzo con riferimento a Bitcoin.
I siti specializzati di cryptovalute e Bitcoin ne hanno parlato molto in questi giorni.
Per approfondire consiglio gli articoli di Gianluca Grossi sul sito di Criptovaluta.it, che riporta così la notizia: “La foga regolatrice degli USA si è abbattuta su Tornado Cash, innescando degli effetti a cascata che hanno visto entrare in blacklist da parte di USDC tutti o quasi gli indirizzi che hanno interagito con il mixer. […] Il Tesoro USA, una sorta di equivalente del nostro MEF, ha deciso di inserire Tornado Cash nella lista di servizi in blacklist. Una lista nera di quanto viene utilizzato, secondo il Tesoro USA, da terroristi di grande rilievo e anche piccole canaglie del mondo criminale”.
Poco dopo il blocco da parte del Tesoro USA, è arrivata un’altra notizia - anche più preoccupante: l’arresto di uno sviluppatore del team di Tornado Cash. Sempre Criptovaluta.it riporta così la notizia: “Mercoledì 10 agosto FIOD [gli agenti che si occupano di reati “finanziari” nei Paesi Bassi, NDR] ha arrestato un 29enne ad Amsterdam. È sospettato di essere coinvolto nell’offuscamento di flussi di denaro criminali e di aver facilitato il riciclaggio di denaro con il mixing di criptovalute attraverso Tornado Cash, servizio di mixing per Ethereum”.
Non è ancora chiaro quali siano davvero le motivazioni dell’arresto, ma salvo che la persona non abbia davvero partecipato ad attività di riciclaggio, la notizia si porta dietro una serie di implicazioni che in verità sembrano niente più che il risultato dell’escalation sociale e politica degli ultimi anni contro strumenti per proteggere la privacy.
Libertà, codice e Cypherpunks
Ayn Rand diceva che il pensiero non seguito dall’azione è un’attività fraudolenta.
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Un protocollo social più decentralizzato di ActivityPub
ActivityPub è un buon protocollo, ma secondo me non perfetto. Resta troppo incentrato sull'avere un server dedicato principale grosso. Ciò si vede nelle sue implementazioni server, con software come Mastodon, Pleroma, e chi più ne ha più ne metta: software relativamente pesanti e difficili da ospitare, cosa che va a peggiorare l'accentramento perché meno gente avrà possibilità di ospitarli e quindi andrà su istanze già presenti.
Non so se esiste già, nel caso fatemelo conoscere, altrimenti probabilmente potrei idearlo io, un protocollo più semplice e molto più decentralizzato, basato su server più stupidi e client più intelligenti.
Rimuovere completamente i server causerebbe una peggiore esperienza utente: ogni client dovrebbe rimanere acceso nel momento in cui gli amici si collegano per scaricare nuovi messaggi, inoltre alcuni provider bloccano le connessioni in entrata. Sarebbe ideale, ma è irrealistico.
Per questo, si sceglie di tenere il minimo indispensabile come server: uno HTTP che serve file statici. Un tale server può essere ospitato ovunque, persino sul router di casa, ma in ogni caso i provider che ne danno di gratuiti online sono tantissimi.
Qui viene il bello: ogni utente ha un server e un dominio o indirizzo IP statico, si identifica con un URL (che può essere la root, oppure una cartella, nel caso si voglia avere altra roba Web sullo stesso dominio).
Il client del social (la app) chiede come login i dati di accesso FTP, SSH, Git, o chissà quali altri sistemi di caricamento di file via Internet, e tutti i contenuti di ogni utente (i messaggi, i file, i like messi, ...) vengono caricati sul server HTTP.
Quando un client vuole aggiornare il feed degli utenti seguiti, scarica un file d'indice (come un feed RSS) da ciascun server, e scarica eventuali nuovi elementi lì segnati.
L'unico potenziale problema qui può sorgere in caso si seguano centinaia e centinaia di utenti, perché la app dovrà scaricare ciascun file ad ogni aggiornamento. Ovviamente, usando un formato di dati efficiente e compresso il problema si riduce, così come si riduce spezzettando l'indice in segmenti, oppure si potrebbero integrare nel protocollo delle liste di aggregazione opzionali (che richiederebbero un server fatto apposta), a cui ciascun utente può passare il proprio elenco di utenti seguiti, e la sua app chiederà le differenze di tutti al server di aggregazione anziché alle centinaia di serve degli utenti.
Per i messaggi privati, si può semplicemente implementare un sistema di cifratura, così che le app possano semplicemente caricare i contenuti privati assieme a quelli pubblici sul server HTTP, e anche se terzi potrebbero scaricarli andando a frugare tra i file dei server altrui, non potranno leggerli.
Che ne pensate?
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@Luca Nucifora eh e come? stai praticamente quasi creando un protocollo da capo così :'/. ActivityPub è troppo incentrato sui server attivi, il massimo che si può fare è ideare qualche integrazione AP in un protocollo come ho pensato il mio. Fosse anche prevedere un sottoprotocollo per i bridge. Anzi, togliamo il forse, è qualcosa da fare.
Comunque, ho anche continuato a cercare, ma nessun protocollo già esistente funziona in modo abbastanza vicino a cosa vorrei io.
Io magari inizio a scrivere qualcosa (documenti, non codice) a riguardo, almeno per descrivere l'idea a linee meno grosse di cosa il mio post di Friendica dice. Magari trovo gente a cui l'idea interessa particolarmente..
È la fine dei social network? Una riflessione di Johannes Ernst su #Facebook, #TikTok e il design delle piattaforme
Scott Rosenberg , in un pezzo dal titolo “Tramonto del social network” , scrive ad Axios:
Segna la scorsa settimana come la fine dell'era dei social network, iniziata con l'ascesa di Friendster nel 2003, ha plasmato due decenni di crescita di Internet e ora si chiude con il lancio di Facebook di un'ampia riprogettazione simile a TikTok.
Una dichiarazione travolgente. Ma penso che abbia ragione:
Facebook è fondamentalmente una macchina pubblicitaria. Come altri prodotti Meta. Non ci sono davvero "tecnologie che avvicinano il mondo", come dice la home page di Meta . Almeno non principalmente.
Questa macchina pubblicitaria ha avuto un successo sorprendente, portando a un fatturato trimestrale recente di oltre $ 50 per utente in Nord America ( fonte ). E Meta di certo ha spinto così tanto, altrimenti non sarebbe stata nelle cronache per aver oltrepassato il consenso dei suoi utenti anno dopo anno, scandalo dopo scandalo.
Ma ora una macchina pubblicitaria migliore è in città: TikTok. Questa nuova macchina pubblicitaria non è alimentata da amici e familiari, ma da un algoritmo di dipendenza. Questo algoritmo di dipendenza calcola i tuoi punti di minor resistenza e ti riversa una pubblicità dopo l'altra in gola. E non appena ne hai ingoiato un altro, scorri un po' di più e, così facendo, chiedi più pubblicità, a causa della dipendenza. Questa macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza è probabilmente vicina al massimo teorico di quante pubblicità si possono versare in gola a qualcuno. Un'opera d'arte straordinaria, come ingegnere devo ammirarla. (Naturalmente quell'ammirazione si trasforma rapidamente in qualche altra emozione del tipo disgustoso, se hai qualche tipo di morale.)
Quindi Facebook si adatta e passa a un'altra macchina pubblicitaria basata sulla dipendenza. Il che non sorprende nessuno, penso.
E poiché non si è mai trattato di "riavvicinare il mondo", abbandonano quella missione come se non gli importasse mai. (Questo perché non l'hanno fatto. Almeno MarkZ non l'ha fatto, ed è l'unico, irresponsabile signore supremo dell'impero Meta. Una struttura azionaria a due classi te lo dà.)
Con il gigante che rivolge la sua attenzione altrove, dove finisce il social networking? Perché i bisogni e i desideri di “avvicinare il mondo” e di mettersi al passo con amici e familiari sono ancora lì.
Penso che lasci il social networking, o ciò che lo sostituirà, in un posto molto migliore. Che ne dici di questa volta che costruiamo prodotti il cui obiettivo principale è in realtà la missione dichiarata? Condividi con gli amici, la famiglia e il mondo, per unirlo (non dividerlo)! Invece di qualcosa di non correlato, come fare un sacco di entrate pubblicitarie! Che concetto!
Immagina cosa potrebbero essere i social network!! I giorni migliori del social networking sono ancora avanti. Ora che i pretendenti se ne vanno, possiamo effettivamente iniziare a risolvere il problema. I social network sono morti. Viva ciò che emergerà dalle ceneri. Potrebbe non essere chiamato social networking, ma lo sarà, solo meglio.
Qui il post originale in inglese: reb00ted.org/tech/20220727-end…
Questo lavoro è concesso in licenza in base a una licenza internazionale Creative Commons Attribution-NonCommercial 4.0 • Altri usi? Chiedere! Utilizza i cookie solo per analisi self-hosted.
Di Johannes Ernst. Imprenditore. Pirata. Pastore di gatti. Detentore di opinioni spesso insolite, in genere prima che giunga il loro momento, ma forse non in questo caso.
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Pietro Novelli, il grande e solitario artista del ‘600 | www.palermoviva.it
"Si parla poco di Pietro Novelli, pittore e architetto monrealese: le sue opere sono tantissime ma della sua vita solitaria sappiamo davvero pochissimo."
Il Tribunale dell'Inquisizione e le Carceri segrete di Palazzo Steri-Chiaramonte a Palermo
Mi è sempre piaciuto camminare per le vie del centro storico della mia Palermo, una città avvolta da tanti misteri, segreti, leggende, ma anche ricca di fatti e storie vere, affascinanti ed intriganti, una città da scoprire o riscoprire ogni volta che mi addentro nei suoi vicoli, una Palermo a volte sconosciuta anche a me che vi sono nato.
Amo le sue tradizioni, le usanze, le credenze popolari, che si tramandano tra le varie generazioni e che restano sempre vive attraverso i ricordi di chi a sua volta è rimasto inevitabilmente affascinato delle storie raccontate da coloro che le hanno vissute in prima persona.
Cammino e mi soffermo ad ammirare le imponenti e meravigliose opere d’arte e penso a un tempo antico, a quanta vita è passata, alle maestranze che hanno realizzato queste maestose strutture, mettendo in campo tutte le tecniche costruttive di quei tempi, anche rudimentali, eseguite da veri maestri d’arte dalle doti ineguagliabili.
Opere che rappresentano per questa città gli evidenti segni del passaggio delle varie dominazioni che si sono susseguite nel tempo.
E c’è un palazzo, nella grande Piazza Marina, è il palazzo Steri-Chiaramonte che, per le storie drammatiche che l’hanno interessato, viene visto dai palermitani, e non solo, come austero e tenebroso. Ma è un palazzo come tanti altri, segnato purtroppo da avvenimenti tragici, che questa volta non appartengono a leggende metropolitane, ma a fatti realmente accaduti durante la dominazione spagnola.
Il palazzo fu costruito all’inizio del 1300 su un edificio arabo, fu la grande dimora di Manfredi di Chiaramonte, esponente di spicco della potente famiglia dei Chiaramonte, conte dell’immenso Feudo di Modica, detto “Regnum in Regno”.
Il potere della famiglia diede presto fastidio agli spagnoli e nel 1392 il re Martino il Giovane, decise di fermare le ambizioni politiche di Andrea di Chiaramonte, discendente ed erede di Manfredi, decapitandolo davanti al suo palazzo e sequestrandogli ogni bene.
Nel 1487 Ferdinando II il Cattolico, Re di Spagna, inviò a Palermo i suoi inquisitori, delegati ad istituire il primo Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia.
Il “Santo Uffizio”, così chiamato, inizialmente si stabilì a Palazzo dei Normanni, dove rimase fino al 1551, tuttavia le carceri a disposizione non erano sufficienti e pertanto per questo motivo fu commissionato all’architetto Diego Sànchez la realizzazione di uno spazio carcerario più ampio.
Per la costruzione di tale struttura, venne scelto uno spazio alle spalle di Palazzo Chiaramonte Steri, che dai primi anni del 1600 divenne la nuova sede dell’Inquisizione Spagnola.
È il carcere segreto dell’Inquisizione, il luogo dove per due secoli, dai primi del Seicento al 1782, gli uomini inviati in Sicilia da Torquemada interrogarono e torturarono innocenti in nome di Dio.
Per gli uomini del Sant’Uffizio i carcerati erano eretici, bestemmiatori, streghe, fattucchiere, amici del demonio. In realtà molti erano artisti, intellettuali scomodi, nemici dell’ortodossia politica e religiosa, oppure poveracci finiti negli ingranaggi di una gigantesca macchina di malagiustizia.
Piazza Marina divenne il luogo preferito dove eseguire i roghi e le esecuzioni dei condannati a morte.
Il 16 Marzo 1782 il tribunale del Sant’Uffizio venne ufficialmente abolito ed il viceré Caracciolo, profondamente contrario alle pratiche inquisitorie, non tardò ad ordinare la scarcerazione immediata dei prigionieri, nonchè purtroppo anche il rogo di tutti gli atti del tribunale, al fine di cancellare qualsiasi traccia dei soprusi, delle violenze, degli orrori delle segrete avvenute a Palazzo Steri.
Durante alcuni lavori di recupero e di restauro del palazzo, Giuseppe Pitrè, famosissimo etnografo palermitano, tra il 1906 e il 1907, dopo aver scavato per oltre sei mesi negli intonaci che avevano coperto tutte le possibili tracce, scoprì i Graffiti dello Steri, disegni e scritte lasciati dai prigionieri.
Un breve video che ho realizzato, molto suggestivo, ricostruisce, proprio attraverso la visione di quelle scritte e dei graffiti, la sofferenza di quei penitenziati ingiustamente detenuti la cui sola speranza di uscirne vivi, ritrovando la propria libertà, era solo la fede in Dio.
Ecco come @kenforflorida è diventato l'unico buon politico di #TikTok. L'articolo di @violastefanello è sul @DailyDot
ECCO COME KEN RUSSELL È DIVENTATO L'UNICO BUON POLITICO DI TIKTOK
Uno dei TikTok più importanti pubblicati da Ken Russell, pubblicato a giugno, inizia come molti altri sull'app di condivisione video: con una donna accovacciata sul pavimento per cambiarsi con un vestito succinto su una canzone di Megan Thee Stallion.
Le migliaia di utenti che sono rimasti in giro per guardare la fine del video, tuttavia, sono state colpite da una svolta inaspettata degli eventi: invece di cambiare l'abito di un creatore di contenuti, hanno visto il democratico della Florida Ken Russell cadere sul pavimento al ritmo della canzone prima di guardare vicino alla telecamera e chiedendo: “Ehi, sei registrato per votare? Ci sono le primarie il 23 agosto e le elezioni generali l'8 novembre!
Di Viola #Stefanello su #DailyDot
dailydot.com/debug/ken-russell…
How Ken Russell became TikTok’s only good politician
Ken Russell routinely goes viral on TikTok. But will his efforts give him enough of a bump to win a Florida primary race?Viola Stefanello (The Daily Dot)
L’infaticabile Emmanuel ZIMMERT ha appena aggiunto due nuove app online ai servizi liberi di La Digitale: si tratta di Digicut e Digitranscode.
Il primo permette di tagliare un estratto da un file audio o video utilizzando il solo browser,
il secondo permette di convertire file audio e video in diversi formati, sempre dal browser.
L’interfaccia è solo in francese, ma i comandi sono talmente semplici che sono comprensibili anche in questa lingua, si parte sempre dalla scelta di un file sul nostro computer (Sélectionner un fichier).
Per festeggiare questa doppia uscita agostana ecco una traduzione a/al caldo delle due brevi guide all’uso. I due documenti sono distribuiti con licenza Creative Commons BY-NC-SA.
I testi originali si trovano qui:
ladigitale.dev/blog/digicut-po…
ladigitale.dev/blog/digitransc… e
È sempre bene ricordare che gli strumenti di La Digitale sono messi a disposizione gratuitamente e sono finanziati in modo partecipativo, è possibile sostenere il progetto utilizzando questa pagina: opencollective.com/ladigitale
Digicut, per tagliare un estratto da un file audio o video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digicut è un'applicazione online che permette di tagliare un estratto da un file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) o da un video (.wmv, .avi , . webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server La Digitale.
L'operazione è molto semplice: basta navigare all'interno del file e cliccare sui pulsanti Définir début (Imposta inizio) e Définir fin (Imposta fine) negli orari definiti per indicare i punti di inizio e fine dell'estratto.
Per i video sono disponibili due impostazioni aggiuntive:
• la possibilità di effettuare catture in formato jpeg (pulsante con l'icona della fotocamera a destra del pulsante Estrai);
• la possibilità di salvare l'estratto con la massima precisione: l'elaborazione è molto più lenta, ma risolve i problemi di schermata nera all'inizio o alla fine dell'estratto.
Digitranscode, per convertire file audio e video
di EZ
5 agosto 2022 - 3 minuti
Digitranscode è un'applicazione online che converte file audio (.mp3, .wav, .m4a, .ogg, .flac, .aac, .wma) e video (.wmv, .avi, .webm, .mkv, .ogm, .mp4, .m4v, .mov, .flv) in diversi formati.
I file vengono elaborati localmente nel browser e non vengono caricati sul server di La Digitale.
Lo strumento offre anche impostazioni per ottimizzare le dimensioni dei file.
Per l'audio:
• qualità (velocità di trasmissione dati in Kb al secondo): 96 / 128 /192 / 256
• la frequenza di campionamento (in Hz): 22050 / 44100 / 48000
• il numero di canali: mono (1 canale) / stereo (2 canali)
• il formato di uscita: mp3, ogg, aac, m4a
Ad esempio, per ottimizzare un file audio con voce per la pubblicazione online: 96 o 128 kb/s / 44100 Hz / mono / ogg o mp3.
Per il video:
• qualità (bit rate video in Kb al secondo): qualità originale / da 1000 a 3000
• risoluzione (in pixel): risoluzione originale / 640x480 (SD) / 1280x720 (HD) / 1920x1080 (Full HD)
• il formato di uscita: mp4, webm, mkv, mov
Lo strumento consente anche di estrarre da un video la traccia audio in formato mp3 o di rimuovere la traccia audio dal file transcodificato.
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Instagram sa che non ti piacciono i suoi cambiamenti. Ma non gliene frega niente. L'articolo di Taylor Lorenz su Washington Post
INSTAGRAM È IN PIENA CRISI DI IDENTITÀ
Una rapida successione di nuove funzionalità e test ha lasciato anche gli utenti più fedeli dell'app, tra cui Kim Kardashian, a chiedersi a cosa serva Instagram...
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Etica Digitale (Feddit) reshared this.
Instagram sa che non ti piacciono i suoi cambiamenti. Ma non gliene frega niente. L'articolo di Taylor Lorenz su Washington Post
INSTAGRAM È IN PIENA CRISI DI IDENTITÀ
Una rapida successione di nuove funzionalità e test ha lasciato anche gli utenti più fedeli dell'app, tra cui Kim Kardashian, a chiedersi a cosa serva Instagram...
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Purtroppo la sua più grande forza sta nella quantità di utenti ridicolmente alta che possiede. Nom usando instagram a volte me lo scordo, ma è il biglietto da visita/vetrina della maggior parte delle persone, giovani soprattutto.
Quando ci si conosce ci si aggiunge su instagram, se ti piace il tipo/a assedi il suo account e guardi le storie ecc.
Per cui sì, può fare schifo e permettersi di farlo.
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Rilascio Lemmy v0.16.6: correzioni di bug (19-07-2022)
Scritto da @dessalines@mastodon.social e @nutomic@soc.ialis.me, 19-07-2022
Alcune correzioni di bug:
- Risolto il problema per cui gli attori possono avere una chiave pubblica vuota (correzioni #2347 ) ( #2348 )
- Definizione esplicita della restituzione o meno di attori eliminati ( #2335 )
- Impossibilità di bloccare l'amministratore ( #2340 )
- Aumenta il limite di recupero RSS a 20. Correzioni n. 2319 ( n. 2327 )
- Correzione della lunghezza del campo db post_report.original_post_name (correzioni #2311 ) ( #2315 )
- Aggiunta dell'uso del pub per i db crates in api_common ( #2305 )
- Accetta i "Mi piace" privati ( #1968 ) ( #2301 )
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Andrea
in reply to Maurizio Carnago • •@bluoltremauri
Partiamo dalla cosa più semplice:
A quanto so, non ci sono problemi di accessibilità riguardo i temi scuri.
Le persone che proprio non li sopportano possono usare le opzioni del browser per forzare il tema chiaro (almeno, quelli che lo hanno ossia i desktop - assicurati che sul tuo sito funzioni la modalità lettura di quelli mobile).
Io so che bisogna assicurarsi che il contrasto sia chiaro e accessibile: in questo senso: bianco su nero o nero su bianco sono uguali.
Qui trovi linee guida di accessibilità web in generale: developer.mozilla.org/en-US/do…
Quanto a risparmio energetico, gli sfondi scuri possono essere peggio:
Testo chiaro su sfondo scuro è più difficile da leggere, perché, nonostante il contrasto (quello effettivo) sia uguale, c'è meno luce che finisce nei tuoi occhi (indipendentemente dal tipo di superficie contenente il testo, che sia un display o un pezzo di carta), e si fa più fatica a distinguere le lettere. Chiamiamo la quantità di luce che finisce negli occhi "contrasto percepito".
Non solo questo:
Considerando che maggiore è il contrasto sia effettivo che percepito e meglio si legge, e il contrasto è maggiore quando la differenza tra zone chiare e scure è più accentuata...
A parità di illuminazione ambientale, e parlando di schermi che producono la propria luce che finisce negli occhi di chi legge, in ogni caso per leggere meglio (fino a un certo punto, ad esempio sei in una stanza buia, luminosità al massimo è insopportabile) si dovrebbe sempre alzare l'illuminazione dello schermo per avere buon contrasto percepito, ma:
- Su schermi OLED, dove i pixel neri sono spenti, il contrasto effettivo tra zone nere e bianche è sempre più alto di un LCD; alzare la luminosità aumenta tanto il consumo energetico su sfondo chiaro, ma su sfondo scuro il consumo è trascurabile
- Su schermi LCD, dove i pixel neri in realtà sono semplicemente "chiusi", e fanno passare meno della retroilluminazione (meno, ma non niente, e puoi vedere chiaramente che una schermata 100% nera su un LCD in realtà si vede grigina luminescente!); alzare la luminosità comporta sempre lo stesso consumo energetico, MA, il contrasto effettivo su un LCD è sempre più basso di un OLED perché i pixel neri fanno trapelare luce, e considerando che in ogni caso per vedere meglio bisogna avere sia buon contrasto percepito che effettivo... su un LCD finirai con l'alzare la luminosità su sfondo scuro per migliorare entrambi i contrasti, quindi addirittura a consumare più energia di quanta ne consumeresti per leggere un testo nero su bianco con lo stesso livello di comfort!
Spero di averti fatto capire - sto qua degli sfondi chiari o scuri su schermi diversi meriterebbe un articolo di blog...
E ora che ti ho detto tutto questo, però:
A meno che il sito non debba avere i colori che ha per una scelta artistica (ma in quel caso, di nuovo, assicurati almeno che l'HTML del tuo sito sia buono e quindi analizzabile dalle modalità di lettura dei browser, chi non sopporta il tuo tema potrà leggere con quella), se la tua scelta è puramente pratica.. allora non decidere tu, usa CSS per far decidere al browser (e al sistema operativo) di chi visita la tua pagina: usa le media query per dichiarare un tema chiaro, e un tema scuro. Fine.
Vedi developer.mozilla.org/en-US/do…
Un esempio:
/* Tema chiaro, predefinito */
body {
background-color: #FFFFFF;
color: #000000;
}
/* Tema scuro, secondario - Usato solo dai browser supportati (tutti quelli aggiornati, da anni) e che hanno preferenza di tema scuro */
@media (prefers-color-scheme: dark) {
body {
background-color: #000000;
color: #FFFFFF;
}
}
Si può volendo anche invertire il tutto, mettendo come predefiniti (specificati senza media query) i colori scuri, e specificando con @media (prefers-color-scheme: light) i colori chiari per chi preferisce quelli.
Maurizio Carnago
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