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PALESTINA/ISRAELE. Il fallimento dei «due Abbas»


La rinascita di Benyamin Netanyahu è una debacle per il presidente dell'Anp Mahmoud Abbas e per il deputato arabo Mansour Abbas. Traditi dalle loro illusioni fanno ora i conti con un esecutivo di estrema destra apertamente anti-palestinese L'articolo PAL

di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 19 gennaio 2023 – Nel caffè della Cisgiordania, avvolti dal fumo dei narghilè, i palestinesi discutono della debolezza politica del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen). Nei caffè della Galilea si parla invece dei rapporti più tesi in Israele tra ebrei e arabi e del «fallimento» del deputato islamista del Mansour Abbas. Con il suo partito, Raam, Mansour Abbas per un anno e mezzo ha fatto parte della coalizione «anti-Netanyahu» guidata prima dal nazionalista religioso Naftali Bennett e poi dal centrista laico Yair Lapid, passando alla storia di Israele come il primo esponente politico arabo membro a pieno titolo di un «governo sionista». Il ritorno al potere di Benyamin Netanyahu, alla testa di un esecutivo di estrema destra apertamente anti-palestinese, è una debacle per i «due Abbas».

Tra il 2020 e il 2021 Abu Mazen, illuso prima dall’ingresso alla Casa Bianca di Joe Biden e poi dalla fine del lungo regno di Netanyahu, si era convinto di poter riportare la questione palestinese sul tavolo delle diplomazie, grazie alla ripresa dei rapporti con la nuova Amministrazione Usa dopo la «rottura» durata quattro anni con Donald Trump. Le cose sono andate diversamente. Biden ha rimosso i palestinesi dalla sua agenda e si è limitato a riaprire il rubinetto, e solo in parte, degli aiuti umanitari all’Anp. Il governo Bennett/Lapid da parte sua ha continuato il blackout delle comunicazioni con i palestinesi e Abu Mazen ha avuto contatti occasionali, spesso carichi di tensione, solo con il ministro della difesa Benny Gantz. Lapid inoltre lo scorso agosto ha ordinato un altro massiccio attacco militare contro Gaza (circa 50 morti) e dopo gli attentati della scorsa primavera a Tel Aviv e altre città israeliane (18 morti) ha dato piena libertà di azione all’esercito che da mesi entra ed esce dai centri abitati palestinesi in Cisgiordania facendo morti e feriti. Incursioni che contribuiscono alla crescita della militanza palestinese armata, soprattutto a Jenin e Nablus, con riflessi diretti sulla credibilità e la stabilità dell’Anp accusata di «collaborazionismo» con Israele, a tutto vantaggio degli islamisti di Hamas.

Con questo governo israeliano le cose non potranno che complicarsi per tutti i palestinesi, dal cittadino comune al leader politico. Il ministro delle finanze israeliano ed esponente di punta dell’estrema destra Bezalel Smotrich ha di fatto il controllo del 60% del budget annuale dell’Anp. A tale percentuale corrispondono i dazi doganali e le imposte – tra 150 e 200 milioni di dollari al mese – che Israele raccoglie per conto dell’Anp. Fondi palestinesi che i passati governi israeliani hanno già congelato in più occasioni, con la motivazione di voler bloccare i sussidi versati dell’Anp alle famiglie dei prigionieri politici in carcere in Israele. Smotrich quindi potrà gestire un potente strumento di pressione sulla leadership palestinese, già fragile e ricattabile. Smotrich e il resto del governo israeliano hanno già messo in atto la minaccia annunciando il taglio dei fondi destinati all’Anp per decine di milioni di dollari. Per l’87enne Abu Mazen, in cattive condizioni di salute, i margini di manovra si fanno sempre più stretti mentre alle sue spalle sgomitano i pretendenti alla carica di presidente.

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Mansour Abbas

Non se la passa meglio l’altro Abbas, quello della Galilea. Un anno e mezzo fa ripeteva con orgoglio di aver cambiato per sempre la politica israeliana grazie alla sua «coraggiosa» adesione al governo Bennett/Lapid. Ora viene accusato da più parti di aver inutilmente causato il crollo della Lista araba unita. In un anno e mezzo Mansour Abbas ha ricevuto promesse non mantenute e annunci di fondi pubblici per le aree a maggioranza araba mai stanziati dal passato governo. Con il ritorno al potere di Netanyahu «l’esperimento arabo» nell’esecutivo è morto e sepolto. Mansour Abbas stenta a riconoscerlo e lancia accuse agli altri partiti arabi, responsabili a suo dire di non aver soccorso il passato governo. La Lista araba unita difficilmente risorgerà e i leader dei singoli partiti, in ordine sparso, annunciano che contro Netanyahu e i suoi ministri sarà avviata una mobilitazione popolare. «Saremo un’opposizione combattiva ma non basta, avvieremo anche un campagna congiunta arabo-ebraica», ha annunciato il deputato Ahmed Tibi. Pagine Esteri

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Tutti i dossier sul tavolo della riunione di Ramstein. Scrive Jean


Domani, 20 gennaio, si terrà a Ramstein una riunione dei 40 Stati che forniscono armi all’Ucraina. L’Italia dovrebbe comunicare la composizione della sua sesta tranche di aiuti militari, recentemente autorizzata dal Parlamento. Gli altri principali Stati

Domani, 20 gennaio, si terrà a Ramstein una riunione dei 40 Stati che forniscono armi all’Ucraina. L’Italia dovrebbe comunicare la composizione della sua sesta tranche di aiuti militari, recentemente autorizzata dal Parlamento. Gli altri principali Stati hanno già fatto. È opportuno che non vi siano ulteriori ritardi. Il “piatto forte” della riunione riguarderà la fornitura di carri armati. Sono necessari agli ucraini per riconquistare i territori perduti. Una decisione positiva significherebbe che il “Gruppo di sostegno all’Ucraina” ha accettato gli obiettivi di Kiev. Finora aveva dominato la cautela, per il timore di provocare un’escalation del conflitto, come nel caso del rifiuto della no fly zone e nella restrizione della gittata dei missili forniti all’Ucraina.

L’invio di nuove armi a Kiev ha sollevato critiche in Italia da una parte dell’opposizione. Gli slogan utilizzati sono stati: “Trattative non armi” e “l’Ucraina ha già armi a sufficienza”. Dato che il nostro Paese ha deciso di sostenere Kiev, sarebbe un tradimento difficilmente giustificabile, anche per ragioni di principio e di prestigio nazionale. Le pretese degli oppositori all’invio di armi – espresse dai due slogan prima ricordati – sono poi del tutto scollate dalla realtà.

Per quanto riguarda l’inizio di trattative e la cessazione anche temporanea dei combattimenti, l’Italia non ha il “peso” politico necessario. La possibilità di usare nei riguardi di Kiev la leva degli aiuti militari è del tutto irrilevante. Fornisce all’Ucraina solo poco più dell’1% del totale delle armi e munizioni che riceve dall’Occidente. Una dissociazione dal “gruppo di sostegno all’Ucraina”, avrebbe un impatto politico. Non tanto sugli esiti del conflitto, quanto uno fortemente negativo sulla posizione e il prestigio internazionale dell’Italia. I vantaggi che un “niet” avrebbe sul consenso dell’opinione pubblica a favore dei partiti che lo sostengono sarebbero marginali, rispetto ai danni che ne deriverebbero. Non otterremmo nulla da Mosca, se non qualche sperticato elogio di essere “costruttori di pace”, beninteso della “pace del Cremlino”.

A parte ogni altra considerazione, i nostri alleati non apprezzerebbero tale “strategia di Caino” e ce la farebbero pagare cara. “Strategia di Caino” perché le critiche all’invio di armi sono spesso ipocritamente accompagnate da dichiarazioni – spesso da urla – di amicizia per gli ucraini aggrediti. Un tempo il diniego di fornire a Kiev i mezzi per difendersi veniva giustificato sostenendo che l’aggressione di Mosca fosse colpa della Nato. Visto che la motivazione ha perso ogni credibilità, oggi vengono giustificate soprattutto in due altri modi.

Primo, con il fatto che gli ucraini avrebbero ricevuto già armi a sufficienza e che un loro ulteriore rafforzamento rischierebbe di provocare un’escalation forse anche nucleare del conflitto. Secondo, che gli ucraini non potranno mai vincere la Russia, con le sue enormi capacità di mobilitazione. Esse verranno attivate malgrado il crescente dissenso dell’opinione pubblica e le palesi divisioni dell’élite del Cremlino fra realisti/moderati e radicali fautori di una guerra ad oltranza, non adeguatamente utilizzate dall’Occidente per cercare un accordo e sostituire i combattimenti con negoziati.

Tali motivazioni mi sembrano inconsistenti. Cercano malamente di mascherare i propri veri obiettivi, che riguardano la ricerca del consenso interno perseguita in modo cinico, senza considerare l’interesse generale.

Il significato dell’affermazione che l’Ucraina abbia già armi a sufficienza andrebbe dimostrato. Sufficienza per fare che cosa? Per rioccupare i territori perduti o per non cederne altri? Sufficienza rispetto alle attuali o alle future forze che saranno schierate dai russi? Come si fa a dire che Kiev abbia già armi a sufficienza quando le sue città continuano a subire rilevanti danni? Bisognerebbe fare almeno un’eccezione per i sistemi contraerei e antimissili. Saranno gli ucraini in condizioni di resistere ad una nuova mobilitazione russa e al potenziamento del Gruppo Wagner con carcerati (secondo il portavoce del Pentagono avrebbe in Ucraina i 50.000 uomini, di cui 10.000 a contratto e 40.000 carcerati)?

Non è vero che non vi siano stati vari tentativi di negoziati di pace. Dall’inizio del conflitto ve ne sono stati molti. Finora i loro risultati sono stati limitati. Hanno riguardato lo scambio di prigionieri e le esportazioni di grano. Certamente hanno anche la limitazione del conflitto, per evitarne in particolare l’escalation nucleare. Una seria trattativa di pace potrebbe iniziare solo quando entrambi i contendenti riterranno di poter ottenere al tavolo negoziale risultati migliori di quelli che sperano di raggiungere sul campo di battaglia. Oggi non è così. Occorrerà attendere i risultati delle offensive che sia russi che ucraini stanno preparando. In caso di successo ucraino e di crisi al Cremlino, sarà possibile una trattativa; qualora il successo fosse dei russi, verosimilmente gli ucraini continueranno la loro resistenza con la strategia della guerriglia, a cui si erano preparati dopo il 2014 quando erano persuasi di non poter resistere a un’aggressione russa; qualora infine entrambe le offensive fallissero e la guerra si trasformasse in una di logoramento, si potrebbero creare le condizioni per il congelamento del conflitto, secondo il modello attuato in Corea.

A parer mio, se si vuole far terminare o congelare il conflitto, il modo più logico di farlo è proprio quello di fornire agli ucraini le armi necessarie per infliggere ai russi perdite inaccettabili. A consolidare l’intransigenza di Kiev nel rifiuto di cedere alla Russia qualsiasi parte del suo territorio nazionale – quindi, in pratica, di rifiutare ogni negoziato – è intervenuto il nuovo terremoto nel comando militare russo, sintomo del contrasto fra una fazione più realistica e moderata e una più radicale, nonché fra i militari e le forze che fanno capo direttamente a Putin, come il Gruppo Wagner e le milizie cecene.

Il Capo di Stato Maggiore Generale, Victory Gerasimov, esponente della prima, ha sostituito all’improvviso il gen. Sergei Surovikin, legatissimo al capo del gruppo Wagner e fautore di una guerra ad oltranza. Certamente Surovikin non aveva ottenuto risultati brillanti. Kherson era stata evacuata; l’offensiva missilistica contro le città e il sistema elettrico ucraino non aveva piegato Kiev; i riservisti mobilitati avevano subito consistenti perdite, a cui non erano corrisposti adeguati successi; il caos dei rifornimenti logistici continuava. Ma la sua improvvisa sostituzione e relativo ridimensionamento non dipendono dai risultati ottenuti in Ucraina. Comunque, un nuovo fallimento potrebbe indurre il Cremlino a trattare.

Eventuali trattative non potranno essere limitate all’Ucraina. Dovranno estendersi all’architettura europea di sicurezza e, forse, anche a quella dell’Asia-Pacifico. Come abbiamo già suggerito, i tavoli negoziali dovranno essere due. Uno fra la Russia e l’Ucraina. Il secondo fra la Nato e la Russia o l’Eurasia. In esso dovranno essere considerate quelle che, alquanto impropriamente, Macron ha definito “garanzie di sicurezza alla Russia”.


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Il presidente della Fondazione Einaudi ospite di Prato Riparte – reportpistoia.com


L’appuntamento è per lunedì prossimo all’ex chiesino di San Giovanni. L’avvocato Giuseppe Benedetto presenterà il suo libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere” I vertici della Fondazione Luigi Einaudi a Prato, ospiti del laboratorio poli

L’appuntamento è per lunedì prossimo all’ex chiesino di San Giovanni. L’avvocato Giuseppe Benedetto presenterà il suo libro “Non diamoci del tu. La separazione delle carriere”

I vertici della Fondazione Luigi Einaudi a Prato, ospiti del laboratorio politico Prato Riparte. Nuovo evento organizzato nell’ex chiesino San Giovanni per lunedì 23 gennaio alle ore 19, ed è un nuovo evento che alza il tiro del laboratorio che porta in città il presidente della Fondazione Einaudi, l’avvocato Giuseppe Benedetto che presenterà il suo libro “Non diamoci del tu – La separazione delle carriere” con prefazione dell’attuale Ministro della Giustizia Carlo Nordio. E con lui ci saranno Andrea Cangini, Benedetta Frucci e Marco Mariani, rispettivamente Segretario generale, membro del Comitato scientifico e Direttore affari Europei della stessa Fondazione Einaudi.

E’ opportuno ricordare che la Fondazione Luigi Einaudi è il centro di ricerca che promuove la conoscenza e la diffusione del pensiero politico liberale. E’ stata costituita nel 1962 da Giovanni Malagodi. Come vision si impegna perché ogni cittadino sia in condizione di vivere, di crescere, di rapportarsi con gli altri e di prosperare in pace, attraverso il riconoscimento delle diversità, la difesa delle libertà individuali e della dignità umana, la promozione del confronto libero e costruttivo sui fatti e le idee. Come mission ha quella di promuove il liberalismo per elaborare risposte originali alla complessità dei problemi contemporanei legati alla globalizzazione e alla rapida evoluzione tecnologica, al fine di favorire le Libertà individuali e la prosperità economica.

Proprio la settimana scorsa l’avvocato Giuseppe Benedetto, insieme ad Alessandro De Nicola, Oscar Giannino e Sandro Gozi, è stato tra gli organizzatori dell’iniziativa Costituente Libdem, tenutasi a Milano nell’auditorium San Fedele, con l’incontro dal titolo “Le sfide della liberaldemocrazia in Europa. Come rafforzare Renew Europe e Partito democratico europeo”. Un evento al quale hanno partecipato i leader dei principali partiti italiani che rientrano nel campo liberale riformista, a cominciare da Carlo Calenda e Matteo Renzi, rispettivamente segretari di Azione e Italia Viva ma che ha visto anche le presenze di Benedetto Della Vedova (Più Europa), Giulia Pastorella, Maria Stella Gelmini, Marco Cappato e molti altri esponenti del mondo della politica, delle istituzioni, dell’università e della cultura. Un evento che, riportato su un piano nazionale, altro non è stato che una riproposizione in grande di quello che Prato Riparte sta portando avanti da quasi due anni in città.

reportpistoia.com

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#daleggere il pezzo di Lucia Lipari su HuffingtonPost Da non perdere il pezzo di Lucia Lipari, appena pubblicato su HuffingtonPost a proposito della sovraesposizione mediatica alla quale, sempre più spesso, i genitori “condannano” i più piccoli a caccia di like, consensi e in un numero modestissimo di casi, denari. Il fenomeno, noto come sharenting, ha...


CISGIORDANIA. Uccisi altri tre palestinesi. 12 dall’inizio dell’anno


Una dalle vittime, Samir Aslan, aveva cercato di opporsi all'arresto del figlio da parte dei soldati. L'articolo CISGIORDANIA. Uccisi altri tre palestinesi. 12 dall’inizio dell’anno proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/01/13/primo-pia

AGGIORNAMENTO 14 GENNAIO

Due combattenti del Jihad sono stati uccisi la scorsa notte a Jabaa (Jenin) da forze israeliane. Un terzo palestinese, ferito il 2 gennaio dal fuoco di soldati è spirato nel corso della notte. Sale a 12 il bilancio di palestinesi uccisi dall’inizio del 2023.

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 13 gennaio 2023 – I soldati sono penetrati ieri prima dell’alba di Qalandiya. A quell’ora il silenzio regnava ancora nel campo profughi tra Gerusalemme e Ramallah proprio accanto al posto di blocco israeliano più grande della Cisgiordania ben noto per il delirio quotidiano di auto in colonna per centinaia di metri, cumuli di rifiuti, macerie, autobus e taxi collettivi con a bordo passeggeri rassegnati a lunghe attese, permessi da esibire prima di poter passare. E per il Muro di separazione costruito da Israele e sul quale domina ancora un grande ritratto di Marwan Barghouti, il più conosciuto dei prigionieri politici palestinesi trasferito a inizio settimana in un carcere del Neghev, Nafha, assieme ad altri 70 detenuti.

Testimoni e famigliari riferiscono che Samir Aslan, 41 anni ha sentito dei forti colpi alla porta di casa. Ha aperto e trovato soldati israeliani intenzionati ad arrestare il figlio Ramzi, nel quadro di un raid che ieri ha visto finire in manette 15 giovani palestinesi. Come siano andate le cose non è chiaro ma Samir Aslan ha cercato di opporsi all’arresto del figlio. Ad un certo punto un militare gli ha sparato colpendolo in pieno petto. Le immagini che circolano in rete lo mostrano a terra, immobile, circondato dai soldati. L’uomo è morto poco dopo. I soccorsi, fatti passare con ritardo dai soldati, non hanno potuto far nulla per salvarlo. Aslan non era armato. L’esercito israeliano ha riferito solo di un fitto lancio di pietre contro i soldati entrati nel campo e del ritrovamento di armi, ma non a casa di Aslan. Qualche ora dopo è stato ucciso un altro palestinese, Habib Kamil, 25 anni, di Qabatiya (Jenin). I soldati l’hanno inseguito e ucciso in un uliveto. Era, secondo alcune fonti, militante in un gruppo armato. Con Aslan e Kamil sale a sette il numero dei palestinesi uccisi in Cisgiordania da forze israeliane, dall’inizio del 2023. Un ottavo palestinese stato ucciso due giorni fa nei pressi di Hebron dopo che aveva ferito con un coltello un israeliano.

Nel nord della Cisgiordania occupata, da mesi terreno di incursioni quasi quotidiane dell’esercito israeliano, spicca nelle ultime ore un blitz nella città vecchia di Nablus, la roccaforte della Fossa dei Leoni. Questo gruppo armato è l’obiettivo prioritario delle forze speciali israeliane. Nonostante l’uccisione dei suoi comandanti e di non pochi dei suoi membri, continua a compiere attacchi mordi e fuggi nell’area di Nablus che rendono sempre più arduo il movimento dell’esercito israeliano in quella zona. Nel frattempo, si infoltiscono i ranghi di altri gruppi armati e ogni giorno si segnalano lanci di pietre e molotov e atti di resistenza popolare contro le forze di occupazione anche a sud della Cisgiordania. Il programma e il pugno di ferro del governo di estrema destra religiosa guidato da Benyamin Netanyahu da un lato isola e sanziona l’Autorità Nazionale di Abu Mazen ma dall’altro finisce per accrescere la militanza armata tra i palestinesi convinti ormai della fine definitiva di qualsiasi possibilità per un accordo politico che metta fine all’occupazione militare israeliana.

Proteste non mancano neanche in Israele contro il nuovo governo, ma non a sostegno dei diritti dei palestinesi. Ieri centinaia di ex giudici e avvocati hanno manifestato contro la riforma del sistema giudiziario che ha in mente il ministro della giustizia Yariv Levin e che mira a restringere i poteri e l’autonomia della magistratura. Si moltiplicano in questi giorni le prese di posizioni contro i propositi di Levin e anche gli Usa si dicono contrari ai passi annunciati dal ministro. Domani sera molte migliaia di israeliani, come è avvenuto sabato scorso, si riuniranno in piazza Habima a Tel Aviv per manifestare contro il governo. Si prevede che le organizzazioni di sinistra radicale sventoleranno le bandiere palestinesi di cui il ministro Ben Gvir ha proclamato l’illegalità. Pagine Esteri

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E se la Turchia bloccasse l’ adesione alla NATO di Finlandia e Svezia?


Il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu incontrerà il suo omologo statunitense Antony Blinken a Washington questa settimana. Ci sono scarse aspettative tra gli osservatori che la visita risolva tutte le questioni in sospeso in quella che è stata una relazione bilaterale sempre più travagliata, con l’amministrazione Biden che tiene le distanze da Ankara per […]

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Prepararsi al 2023. Riunito il Comitato militare della Nato


Si è conclusa la prima delle due giornate della 188esima riunione annuale del Comitato militare della Nato, nella sessione che riunisce insieme i capi di Stato maggiore della Difesa dei Paesi alleati. Ad aprire i lavori vi erano il vicesegretario generale

Si è conclusa la prima delle due giornate della 188esima riunione annuale del Comitato militare della Nato, nella sessione che riunisce insieme i capi di Stato maggiore della Difesa dei Paesi alleati. Ad aprire i lavori vi erano il vicesegretario generale della Nato, Mircea Geoană, insieme al presidente del Comitato militare dell’Alleanza Atlantica, Rob Bauer. In attesa di completare l’iter di adesione – che, come ricordato nella giornata di ieri dalla premier finlandese Sanna Marin al World Economic Forum di Davos, “dovrebbe essere più veloce” e non dovrebbe incontrare ostacoli – erano presenti anche i rappresentati di Finlandia e Svezia. Come racconta una nota diffusa dalla stessa Nato, obiettivo di quest’anno è discutere del rafforzamento della Difesa e della deterrenza dell’Alleanza “aumentando la prontezza, sviluppando le capacità e collegando più strettamente che mai la pianificazione militare nazionale e quella della Nato”. Non solo, anche la guerra russo-ucraina rappresenterà uno dei temi centrali per il Comitato.

Priorità strategiche per la Difesa alleata

Questa prima giornata di lavori ha visto tre diverse sessioni di lavoro, dedicate alle considerazioni strategiche del Comandante supremo alleato per la trasformazione (Sact) e del Comandante supremo alleato in Europa (Saceur), e in ultimo ai rischi legati al mantenimento di un adeguato ed efficiente livello di prontezza delle forze. Mentre domani le sessioni includeranno i partner operativi dell’Alleanza per discutere delle diverse missioni. Come la missione Kfor, la forza internazionale di mantenimento della pace guidata dalla Nato in Kosovo, e alla missione Nato in Iraq. Le quali precederanno la conferenza stampa congiunta che vedrà insieme Bauer, il Sact Philippe Lavigne, per parlare di bilanciamento delle capacità, e il Saceur Christopher Cavoli che fornirà invece considerazioni strategiche sulla postura dell’Alleanza, dal fianco orientale agli altri teatri.

Sicurezza globale instabile: l’Ucraina

Nel suo discorso di apertura, l’ammiraglio Bauer ha parlato del degrado dell’ambiente di sicurezza globale provocato dalla guerra in Ucraina. “Purtroppo, stiamo assistendo all’alba di una nuova era di difesa collettiva. Tuttavia, è un’era per la quale la Nato è pronta. Abbiamo dimostrato al mondo che siamo in grado di aumentare rapidamente la nostra presenza quando e dove necessario”, ha sottolineato il presidente del Comitato. “Abbiamo fornito un’assistenza senza precedenti per sostenere il diritto all’autodifesa dell’Ucraina. E questo ha fatto la differenza sul campo di battaglia. Questo sostegno è fondamentale per plasmare il futuro dell’Ucraina”, ha invece evidenziato Geoană facendo riferimento allo strenuo sostegno profuso dagli alleati in favore dello Stato aggredito. In conclusione, per il vicesegretario generale: “il 2023 sarà un anno difficile. E dobbiamo sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario”.

Puntare su Difesa, produzione di armi e digitale

Dal canto suo il vicesegretario generale, nel corso del suo intervento ha parlato delle tre aree di lavoro più strategiche per gli alleati, in vista anche del prossimo vertice Nato che si terrà quest’anno a Vilnius, in Lituania. Esse sono: investire maggiormente in Difesa (come testimonia la richiesta ai Paesi alleati di destinare alla Difesa almeno il 2% del proprio Pil nazionale), aumentare la produzione di armi e munizioni e infine trasformare la Nato affinché sia sempre più pronta per l’era digitale. A detta sua, inoltre, la Nato “deve mantenere la capacità militare e l’abilità di difendere l’Alleanza da tutte le sfide, ora e in futuro, anche in operazioni multidominio”.

(Foto: Nato)


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#uncaffèconLuigiEinaudi ☕ – Quando il medio-ceto…


Quando il medio-ceto comprenda la più parte degli uomini viventi, noi non avremo una società di uguali, no, che sarebbe una società di morti, ma avremo una società di uomini liberi da Il nuovo liberalismo, “La città libera”, 15 febbraio 1945 L'articolo
Quando il medio-ceto comprenda la più parte degli uomini viventi, noi non avremo una società di uguali, no, che sarebbe una società di morti, ma avremo una società di uomini liberi

da Il nuovo liberalismo, “La città libera”, 15 febbraio 1945

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Etiopia: dopo 600 mila morti una pace molto fragile


Due anni di guerra potrebbero aver provocato in Tigray circa 600 mila morti. Dopo il cessate il fuoco la situazione migliora ma la pace è molto fragile. Pesa l'incognita Eritrea. Nel frattempo si riaccendono i combattimenti in Oromia L'articolo Etiopia:

di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 19 gennaio 2023 – Probabilmente, un bilancio esatto delle vittime del conflitto che ha insanguinato il nord dell’Etiopia negli ultimi due anni non sarà mai disponibile. Ma quelli forniti finora da diverse fonti parlano tutti di alcune centinaia di migliaia di morti.
In un’intervista al “Financial Times”, ad esempio, il mediatore dell’Unione Africana sul conflitto in Tigray, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, afferma che in due anni di guerra potrebbero essere morte fino a 600 mila persone.
Obasanjo ha ricordato che lo scorso 2 novembre, quando a Pretoria i funzionari etiopi hanno firmato un accordo di pace con i rappresentanti della guerriglia tigrina, i partecipanti alle trattative hanno parlato di una media di mille morti al giorno nei due anni di scontri tra l’esercito federale di Addis Abeba – e le milizie regionali alleate – e le forze del Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino (Tplf).
«Sulla base dei rapporti dal campo, il numero di morti potrebbe essere compreso tra 300 mila e 400 mila solo tra le vittime civili causate dalle atrocità, dalla fame e dalla mancanza di assistenza sanitaria» ha detto sempre al “Financial Times” Tim Vanden Bempt, membro del gruppo di ricercatori attivo all’Università belga di Gand che indaga sulle conseguenze del conflitto.

Due anni di guerra e centinaia di migliaia di vittime
I combattimenti hanno avuto inizio il 4 novembre 2020, quando il primo ministro federale Abiy Ahmed ordinò l’intervento delle truppe etiopi contro le milizie del governo regionale del Tigray che poche ore prima avevano assaltato alcune caserme. A fianco di Ahmed – riconfermato nonostante la scadenza del suo mandato dopo la sospensione delle elezioni legislative a causa della pandemia – si schierarono anche le truppe dell’Eritrea e le milizie di alcuni stati regionali etiopi, come l’Amhara. Al fianco del TPLF – che aveva a lungo gestito il potere a livello federale prima di essere estromesso dalla corrente panetiopista capeggiata da Ahmed – si è schierato invece l’Esercito di Liberazione Oromo, che pur rappresentando l’etnia alla quale appartiene il primo ministro si batte per l’autodeterminazione del proprio territorio.

Per alcuni mesi sembrò che le truppe federali e gli eritrei – nemici storici di Addis Abeba prima che nel 2018 Ahmed siglasse la pace con il regime di Asmara aggiudicandosi un Nobel per la Pace – fossero in grado di sbaragliare le forze ribelli. Ma poi un’offensiva congiunta di tigrini e Oromo ha inflitto cocenti sconfitte alle truppe federali tanto che ad un certo punto i ribelli sembravano in grado di conquistare addirittura la capitale federale dopo aver conquistato ampie porzioni dell’Amhara e dell’Afar, nel centro-nord del paese.

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L’Etiopia cerca nuovi alleati
Mentre Usa e Ue, ex sostenitori di Addis Abeba, imponevano sanzioni all’Etiopia, in soccorso di Abiy Ahmed si sono schierati Cina, Turchia, Russia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, fornendo armi, supporto diplomatico e ingenti prestiti. Nel luglio 2021 l’Etiopia ha firmato con Mosca un accordo che impegna la Russia a fornire addestramento e tecnologie d’avanguardia per riorganizzare l’esercito di Addis Abeba. In cambio Mosca ha ottenuto un trattamento di favore nell’acquisizione di licenze per estrazioni minerarie ed energetiche.
Negli ultimi anni Ahmed ha rafforzato molto il legame con Pechino, che ha nel frattempo finanziato e realizzato decine di opere pubbliche e infrastrutture nel paese, compreso il treno che collega la capitale etiope con Gibuti, preso più volte di mira dal Tplf.
Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri cinese Qin Gang, nell’ambito di un lungo tour africano, ha firmato con l’omologo etiope Demeke Mekonnen diversi accordi bilaterali, tra i quali la cancellazione di una porzione consistente del debito etiope con Pechino (negli ultimi 10 anni la Cina ha prestato ad Addis Abeba 14 miliardi). Pechino ha confermato l’impegno per la realizzazione del Centro Africano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa Cdc, l’agenzia sanitaria dell’Unione Africana), la cui sede – interamente finanziata dalla Cina con 80 milioni – sorgerà ad Addis Abeba.

Sono stati soprattutto i droni da bombardamento ricevuti dagli alleati – i cinesi Wing Loong 2, i turchi Bayraktar Tb2 e gli iraniani Mujaher-6 – a permettere alle truppe federali di infliggere dure sconfitte al Tplf costringendolo ad arroccarsi nel Tigray e a dichiarare un cessate il fuoco unilaterale. Le forze federali hanno ampiamente fatto ricorso ai bombardamenti indiscriminati sulle città tigrine, colpendo duramente la popolazione già stremata.

Una pace molto fragile
Una lunga e difficile trattativa, mediata dall’Unione Africana, ha finalmente portato alla firma del cessate il fuoco e alla stesura di un’agenda condivisa per un ritorno alla normalità.
Nelle ultime settimane sono stati indubbiamente fatti dei passi avanti. Ieri, ad esempio, le truppe federali sono entrate ad Adigrat, a lungo controllata dal Tplf. Nei giorni scorsi, invece, sono state le milizie amhara a ritirarsi da Scirè, nel Tigray occidentale, ottemperando agli impegni assunti in sede negoziale. Già a fine dicembre la polizia federale etiope era tornata a schierarsi a Mekelle, la capitale del Tigray, dopo due anni di assenza.
Il 10 gennaio, poi, le forze tigrine hanno iniziato a consegnare le armi pesanti sotto il monitoraggio di un apposito team dell’Unione Africana istituito grazie all’accordo raggiunto dalle parti a Nairobi lo scorso 22 dicembre. Il team, in coordinamento con i rappresentanti dei due schieramenti e l’Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo (Igad, che riunisce 8 paesi del Corno d’Africa) è incaricato di monitorare l’applicazione dell’accordo di cessazione delle ostilità e di segnalare ritardi e violazioni.
Nel frattempo, la ministra della Salute Lia Tadesse ha annunciato la riattivazione delle strutture sanitarie distrutte o paralizzate dal conflitto, la distribuzione dei medicinali salvavita e l’avvio delle vaccinazioni contro il morbillo. Anche gli aeroporti di Mekelle e Scirè sono stati riaperti ed alcuni voli hanno riportato nella regione alcuni degli abitanti che erano dovuti fuggire a causa dei combattimenti o delle persecuzioni.

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Guerriglieri del Fronte di Liberazione del Popolo Tigrino

Disastro umanitario
Nella regione stanno arrivando anche, seppure a rilento, gli aiuti internazionali destinati alla popolazione, in precedenza bloccati quasi completamente dal governo federale.
Nel Tigray «si stima che 9 persone su 10 abbiano bisogno di assistenza umanitaria e 400mila circa siano vittime di una pesante carestia aggravata dal fatto che l’arrivo di aiuti umanitari è ancora limitato» scrive in un rapporto il Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani.
La siccità, oltre alla paralisi dell’economia locale, alla distruzione di molte infrastrutture e all’abbandono dei campi da parte degli sfollati, hanno causato in Tigray un vero e proprio disastro umanitario. Anche in altre regioni aride del paese, nel sud, le cose non vanno meglio: secondo Save the Children, attualmente 12 milioni di persone (su 115 milioni di abitanti totali) patirebbe la fame e 4 milioni di bambini sarebbero malnutriti.

L’incognita eritrea
Quella raggiunta il 2 novembre a Pretoria rischia di essere una pace incerta e provvisoria.
L’incognita maggiore è rappresentata dalla presenza in Tigray delle truppe eritree, negata per mesi sia da Abiy Ahmed sia dal dittatore di Asmara Isaias Afewerki, prima che la presenza di almeno metà dell’esercito del piccolo paese – resosi indipendente da Addis Abeba nel 1993 dopo una sanguinosa guerra durata due decadi – diventasse troppo ingombrante per continuare a nasconderla.
L’Eritrea rappresenta il “convitato di pietra” dell’accordo di cessate il fuoco permanente – alla quale non ha preso parte – e l’atteggiamento di Afewerki potrebbe rappresentare un ostacolo non secondario alla normalizzazione della situazione. Finché tutte le truppe eritree non avranno abbandonato il territorio tigrino, infatti, le milizie del Fronte di Liberazione difficilmente potranno disarmare. Al momento, il Tplf manterrebbe 20 mila miliziani armati schierati nelle zone di confine del Sudan.
Secondo Obasanjo e vari testimoni sul campo, gli eritrei avrebbero cominciato a rientrare lentamente in patria abbandonando ad esempio Axum e Scirè.
Ma ancora a gennaio il Centro di Coordinamento regionale per le emergenze – un gruppo di organizzazioni attive nel Tigray – ha denunciato le ennesime atrocità commesse dalle forze di Asmara contro i civili tigrini e contro gli oppositori di Afewerki che si erano rifugiati nella regione al confine con l’Eritrea.
Nei giorni scorsi molti dei 16 mila tigrini ospitati nel campo di Um Rakuba, nel Sudan orientale, hanno denunciato di non poter tornare a casa perché il loro territorio, nel Tigray occidentale, è occupato dalle milizie e da coloni Amhara o da soldati eritrei.
Secondo fonti tigrine citate dall’Avvenire, alla fine di novembre le truppe eritree avrebbero ucciso «3000 persone in una località a pochi km da Adua, 78 ad Adiabo e 85 nella provincia di Irob».
Nella regione, accusano sempre fonti tigrine, circa 120 mila donne sarebbero state violentate dai soldati etiopi ed eritrei e dai miliziani Amhara. Anche i guerriglieri del Tplf, però sono stati spesso accusati di atrocità nei confronti delle popolazioni delle regioni occupate durante l’offensiva contro Addis Abeba.

Difficilmente Afewerki – che arma milizie tigrine opposte al Tplf – rinuncerà a indebolire ulteriormente il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, che guidava l’Etiopia durante la guerra per l’indipendenza dell’Eritrea.
Anche se finora ha rappresentato un utile alleato del leader etiope, il regime di Asmara potrebbe tentare di rimanere nel Tigray anche senza il consenso di Abiy Ahmed. Numerosi analisti si interrogano sull’effettiva capacità del governo etiope di costringere i combattenti eritrei ad andarsene. Ne potrebbero nascere nuovi scontri, questa volta tra i due paesi prima rivali e poi alleati.

Oppure, il premier etiope potrebbe tacitamente tollerare o addirittura sollecitare la permanenza delle truppe eritree in Tigray per garantirsi il controllo del territorio e al tempo stesso permettere all’esercito federale di concentrare le proprie forze contro la ribellione Oromo, che nelle ultime settimane sembra incendiarsi.

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La ribellione Oromo
Mentre a nord si raffreddava il sanguinoso conflitto con i tigrini, Abiy Ahmed ha lanciato un’offensiva su vasta scala per distruggere le milizie dell’Esercito di Liberazione Oromo, che si batte per l’autodeterminazione della regione più vasta e popolosa dello stato (gli Oromo sono circa il 40% della popolazione totale) e la cui insurrezione si è recentemente estesa grazie all’indebolimento delle forze federali impegnate in Tigray. Anche in questo caso l’esercito federale sta facendo ampio uso dei droni sia contro le milizie dell’OLA che contro la popolazione civile. La stessa “Commissione per i diritti umani” di Addis Abeba ha documentato numerose esecuzioni sommarie compiute dalle truppe governative. D’altra parte l’OLA ha preso di mira gli Amhara che vivono nella regione mentre migliaia di Oromo sono stati cacciati o uccisi nelle regioni circostanti.
La situazione si sta «rapidamente deteriorando», ha avvisato l’agenzia di coordinamento degli aiuti dell’ONU. Centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e i servizi essenziali sono sospesi.
I rappresentanti Oromo che sostengono il governo federale chiedono ora al governo di implementare un accordo di pace simile a quello adottato per il Tigray, invocando la mediazione dell’Unione Africana, e accusano Abiy Ahmed di aver esacerbato le contraddizioni etniche nel paese. – Pagine Esteri

4904597* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

L'articolo Etiopia: dopo 600 mila morti una pace molto fragile proviene da Pagine Esteri.



In Cina e Asia – Xi rassicura sul Covid, ma le previsioni sui decessi non sono positive


In Cina e Asia – Xi rassicura sul Covid, ma le previsioni sui decessi non sono positive lavoratori pandemia
Xi rassicura sul Covid, ma le previsioni sui decessi non sono positive
Figure di spicco entrano nella Conferenza consultiva politica del popolo cinese
Pechino contesa tra Mosca e Kiev
Anche le donne entreranno nelle forze di riserva di Taiwan

L'articolo In Cina e Asia – Xi rassicura sul Covid, ma le previsioni sui decessi non sono positive proviene da China Files.



L’intelligenza artificiale (AI) arriva in un tribunale e a febbraio prossimo negli Stati Uniti assumerà il ruolo di “avvocato difensore”: da uno smartphone ascolterà quanto avverrà in aula e suggerirà all’accusato come difendersi attraverso degli auricolari. La causa con la quale esordirà in tribunale riguarda una multa per eccesso di velocità e rappresenterà un precedente...


Crosetto vede l’ambasciatore israeliano Bar. Ecco i temi dell’incontro


Questa mattina Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha incontrato Alon Bar, ambasciatore israeliano in Italia. Dall’incontro è emersa “la volontà di intensificare la collaborazione tra Italia e Israele”, si legge in una nota diffusa dal ministero della

Questa mattina Guido Crosetto, ministro della Difesa, ha incontrato Alon Bar, ambasciatore israeliano in Italia. Dall’incontro è emersa “la volontà di intensificare la collaborazione tra Italia e Israele”, si legge in una nota diffusa dal ministero della Difesa. I temi principali al centro del colloquio sono stati, oltre ai rapporti bilaterali, la cooperazione in ambito difesa, Ucraina e Mediterraneo allargato. Nel corso del colloquio l’ambasciatore Bar ha anche espresso il suo ringraziamento per l’importante contributo dell’Italia in Libano (Unifil) a favore della stabilizzazione della regione, si legge nello stesso comunicato. I due “hanno sottolineato le eccellenti relazioni bilaterali tra Israele e Italia in generale e in particolare nei settori della cooperazione militare e di sicurezza e hanno discusso le questioni regionali in agenda”, si apprende invece da una nota della diplomazia israeliana.

LA POLITICA

L’incontro giunge due giorni dopo la telefonata tra Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio dei ministri e ministro degli Esteri, ed Eli Cohen, ministro degli Esteri israeliano. Tajani ha annunciato all’omologo l’intenzione di visitare presto Israele, al fine di rafforzare il partenariato bilaterale in ogni settore, a cominciare dalla cooperazione economica e industriale. Cohen ha ribadito all’omologo che Israele è interessato a promuovere ed espandere le buone e cordiali relazioni tra i due Paesi nei settori dell’economia e del commercio, della tecnologia, dell’innovazione, della cultura e del turismo. Come raccontato nelle scorse settimane da Formiche.net, le diplomazie dei due Paesi sono al lavoro per un summit bilaterale tra i governi da organizzare a Gerusalemme già nella prima metà dell’anno.

LA DIFESA

A luglio il generale Amir Eshel, allora direttore generale del ministero della Difesa israeliano, era stato a Roma per incontrare l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, Capo di Stato maggiore della Difesa, e il generale Luciano Portolano, Segretario generale della Difesa. L’obiettivo della visita era stato ribadire i legami tra i due Paesi e avviare un percorso di continuo potenziamento della cooperazione industriale anche in nuovi settori e attraverso il coinvolgimento delle rispettive Forze armate. Pochi giorni prima il gruppo italiano Leonardo aveva annunciato la fusione (perfezionata a fine novembre) tra la controllata statunitense Leonardo Drs (80,5%) e la società israeliana Rada Electronic Industries (19,5%).

LA SPONDA USA

Come raccontato allora su Formiche.net, l’accordo tra Leonardo Drs e Rada non è il primo a vedere un passaggio statunitense tra gli accordi del gruppo con Israele: ad aprile il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti aveva sottoscritto, infatti, un accordo con la società italiana per la fornitura di nuovi elicotteri da addestramento e multi-missione AW119Kx destinati a Israele, in aggiunta ai sette velivoli ordinati direttamente dal Paese mediorientale (un contratto del valore di 29 milioni di dollari). Una fornitura, si osservava ancora, che è rientrata nell’ambito dei Foreign military sales per Israele, il programma del governo statunitense per trasferire articoli e servizi di Difesa ai Paesi alleati. Non è stata neppure la prima volta che Tel Aviv ha scelto gli addestratori italiani: attualmente sono operativi a Israele una trentina di aerei M-346 utilizzati per formare i piloti dell’Aeronautica israeliana.


formiche.net/2023/01/crosetto-…



Nella puntata inaugurale del podcast di Radio Activa Plus, A little privacy, please! abbiamo parlato con Sergio Aracu e Marco Trombadore, di un tema che mi sta particolarmente a cuore: la privacy degli ultimi, degli emarginati, di chi rischia di restare indietro nella società. Nei prossimi giorni, sui miei canali social, troverete maggiori informazioni sull’uscita dell’episodio. Nel frattempo, grazie a...

sergiej reshared this.



Campagna "Noi non paghiamo": al Centro Popolare Autogestito Firenze Sud cena e concerto



Il 14 gennaio 2023 il Centro Popolare Autogestito Firenze Sud ha ospitato una cena di sottoscrizione e un concerto dei cuneesi #LouTapage e dei #MalasuerteFiSud, band che attorno al CPAFiSud gravita da quasi venticinque anni. Entrambe le iniziative, gremite, sono servite a sostenere la campagna #Noinonpaghiamo.
La #Lega ha deplorato anche di recente l'esistenza del Centro Popolare Autogestito Firenze Sud -che da trentaquattro anni ospita iniziative in cui i "valori" occidentali sono volta per volta confutati, svalutati, disprezzati, disconfermati o semplicemente derisi- e ha deplorato anche l'iniziativa specifica.
Due ottimi motivi per dare a entrambe le cose rilievo in ogni sede. Si è quindi pensato di pubblicare qualche video su Youtube, di scriverne sul Cinguettatore, su Instagram e su Blogger.
Tra i brani suonati dai Lou Tapage una cover di Fabrizio de André esplicitamente dedicata a Alfredo #Cospito, al momento in cui scriviamo vicino ai novanta giorni di sciopero della fame in segno di protesta contro il duro regime carcerario cui è sottoposto al sostanziale fine di chiudergli la bocca.
Ripetiamo.
Cospito è nato a #Pescara e non a #Shiraz e non è nemmeno una bella ragazza.
Soprattutto, certe cose vanno benissimo se fatte a #Tehran, a l'#Avana, a #Minsk o a #Caracas: gli appassionati di #raveparty si mettano fiduciosi sulla strada per #Kiev, troveranno l'approvazione dell'intero gazzettificio peninsulare e delle madri non sposate che si atteggiano a difensori dei valori cattolici cui il gazzettame ha tirato la volata per anni. Attenzione a non sbagliare latitudini perché nell'"Occidente" della democrazia da esportazione l'esistenza delle pecore nere non è prevista e basta una scritta su un muro per vedersela con la gendarmeria politica nel tripudio delle tolleranze zero e dei giri di vite che sono la passione degli stessi gazzettieri di cui sopra.


Fitness normativa: TLC vs OTT. Ora che la multa del #GarantePrivacy irlandese a #Meta ha cambiato lo scenario della pubblicità online, 4 Tlc europee ambiscono a rivoluzionare il settore


FITNESS NORMATIVA: TLC VS OTT. ORA CHE LA MULTA DEL #GARANTEPRIVACY IRLANDESE A #META HA CAMBIATO LO SCENARIO DELLA PUBBLICITÀ ONLINE, 4 TLC EUROPEE AMBISCONO A RIVOLUZIONARE IL SETTORE!

@Etica Digitale

Quattro delle più grandi società di telecomunicazioni europee hanno formalmente informato la Commissione europea di una joint venture per costruire una piattaforma tecnologica per la pubblicità digitale, secondo una comunicazione depositata, pubblicata lunedì (9 gennaio).

Secondo il documento pubblicato un gruppo di pesi massimi delle telecomunicazioni, tra cui Deutsche Telecom, Orange, Telefonica e Vodafone, vuole "offrire una soluzione di identificazione digitale a norma privacy per supportare le attività di marketing e pubblicità digitale di marchi ed editori".

L'articolo di Luca Bertuzzi continua su Euractiv

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Irish Data Protection Authority gives € 3.97 billion present to Meta. Authority allegedly unable to assess financial benefit from Meta's GDPR violations.


L'Autorità irlandese per la protezione dei dati personali consegna a Meta 3,97 miliardi di euro. L'Autorità non sarebbe in grado di valutare i benefici finanziari derivanti dalle violazioni del GDPR da parte di Meta. Il DPC ha chiuso un occhio sui ricavi generati da Meta dalla violazione del GDPR dal 2018. Ignorando la richiesta dell'EDPB di includere le entrate illecite di Meta, ha ridotto la multa di 3,97 milioni di euro. Pot of Gold for Meta


noyb.eu/en/irish-data-protecti…






CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII


CONFESSIONI DI UNA MASCHERA GENNAIO MMXXIII
Si è chiuso un anno. Nel peggiore dei modi? Probabilmente, ma non per i motivi che si potrebbe essere portati a pensare. Non sono e non possono essere gli imbarazzanti elementi che rappresentano le tre forze di governo a condizionare il nostro umore. Ci sono cose ben più gravi a cui pensare, ad esempio, restando in tema, consideriamo molto peggio l’assenza di un’alternativa a trio di cui sopra. Che sono, è bene ricordarlo, non la causa del male ma i suoi sintomi, la manifestazione conseguente. Il nostro ragionamento deve quindi, per forza di cose, andare oltre, alzarsi da un punto di vista concettuale.

iyezine.com/confessioni-di-una…

in reply to iyezine_com

ah, ok... 😁 😄 🤣

Per quanto mi riguarda, io l'avrei pubblicato comunque in "musica", ma capisco le tue perplessità, perché in effetti il pezzo ha un perimetro più ampio



Cosa succede dopo l’invio della domanda delle #IscrizioniOnline?
Scoprite tutti i passaggi con il video tutorial ▶️ youtube.com/watch?v=13XDnllsh8…




📚 Prende il via da oggi l’iniziativa "Il libro del mese", promossa dalla Biblioteca del Ministero dell’Istruzione e del Merito e inserita fra le attività di valorizzazione del patrimonio librario del MIM.


Nei topi, la rigenerazione delle punte delle dita mancanti dei piedi può avvenire grazie all'aiuto delle cellule alla base dell'unghia


La rigenerazione delle punte delle dita mancanti dei piedi può avvenire grazie all'aiuto delle cellule alla base dell'unghia.

@Scienza e innovazione

Le cellule mesenchimali associate alle unghie contribuiscono e sono essenziali per la rigenerazione della punta delle dita dorsali.
Lo studio di Neemat Mahmud, Christine Eisner, Sruthi Purushothaman, Mekayla A. Storer, David R. Kaplan e Freda D. Miller è stato pubblicato su Science Direct.

Dalle analisi effettuate sul mesenchima induttivo dell'unghia, la base dell'unghia sembrerebbe essere essenziale per la rigenerazione della punta del dito dei mammiferi.

La firma trascrizionale per queste cellule che include Lmx1b è stata individuata e mostra che il mesenchima dell'unghia che esprime Lmx1b è essenziale per la formazione del blastema.

La rigenerazione delle punte delle dita mancanti dei piedi può avvenire grazie all'aiuto delle cellule alla base dell'unghia.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.



Firmata in Vaticano da cristiani, ebrei e islamici la dichiarazione "Rome Call for AI Ethics" in occasione di #RomeCall, evento curato dalla Fondazione #RenAIssance diretta da @PaoloBenanti


Firmata in Vaticano da cristiani, ebrei e islamici la dichiarazione "Rome Call for AI Ethics"

@Etica Digitale

Il Papa. «Un’etica per gli algoritmi: non possono decidere la vita delle persone»

Firmata in Vaticano da cristiani, ebrei e islamici la dichiarazione "Rome Call for AI Ethics" per un approccio consapevole e critico all'Intelligenza artificiale, presenti i vertici di Microsoft e Ibm

L'articolo di Francesco Ognibene è su l'Avvenire

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Mastodon Vs Twitter: la soluzione alla crisi delle #BigTech è la decentralizzazione? Edoardo Lisi intervista Filippo Della Bianca su Il Bollettino


[h2]MASTODON VS TWITTER: LA SOLUZIONE ALLA CRISI DELLE BIGTECH È LA DECENTRALIZZAZIONE?[/2]

@devol

Mastodon è ormai l’anti-Twitter, il nuovo spazio social dove confluiscono gli “esuli” dell’uccellino blu. La nuova politica di Elon Musk incentrata sul profitto e la libertà incondizionata di espressione non va giù a utenti e dipendenti, che abbandonano la nave che naufraga. L’ultima decisione del miliardario sudafricano di imporre il lavoro in presenza per aumentare la produttività ha provocato licenziamenti di massa. La soluzione alla crisi delle Big Tech è la decentralizzazione?

L'intervista di @Edoardo Lisi :unverified: a @:fedora: filippodb :BLM: :gnu: è disponibile sul sito de "Il Bollettino"

Questa voce è stata modificata (2 anni fa)

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Ciò che Resta di una Stella Distrutta da un Buco Nero | Universo Astronomia

"Utilizzando il telescopio Hubble gli astronomi hanno catturato in dettaglio gli istanti finali della vita di una stella divorata da un vorace buco nero supermassiccio. Quando la stella incauta si è avvicinata troppo all’oscuro oggetto, è stata catturata dalla sua possente stretta gravitazionale ed è stata fatta a pezzi, mentre il gas che la costituiva precipitava gradualmente nelle sue fauci, rilasciando nello spazio intense radiazioni."

universoastronomia.com/2023/01…

Poliverso & Poliversity reshared this.



#NotiziePerLaScuola

“Professione futuro”, la trasmissione realizzata grazie alla collaborazione Ministero-RAI per far conoscere meglio a studenti e famiglie la formazione tecnica e professionale.

Qui tutte le puntate ▶️ raiscuola.



Creazione e Distruzione nei Pilastri dell'Aquila | Universo Astronomia

"Nascono miriadi di nuove stelle all’interno dei celeberrimi Pilastri della Creazione, immortalati in questa strepitosa ripresa del telescopio James Webb."

universoastronomia.com/2023/01…



Rilasciata la nuova versione di Friendica 2023.01


Friendica 2023.01 è disponibile

@Che succede nel Fediverso?

In questa versione sono incluse alcune altre correzioni di bug per la distribuzione dei messaggi del forum e miglioramenti al processo di aggiornamento delle informazioni sui nodi.

Per i dettagli, consultare il file CHANGELOG nel repository.

LINK AL POST UFFICIALE

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Alcune app alternative di Twitter risultano ancora non funzionare e Musk tace. Ci auguriamo che questo non comporti malfunzionamenti nell'integrazione tra #Friendica e #Twitter


Alcune app alternative di Twitter risultano ancora non funzionare e Musk ancora non ha fatto sapere nulla

@Le Alternative

Sono passati alcuni giorni da quando praticamente tutti i principali client Twitter di terze parti hanno smesso di funzionare e gli sviluppatori affermano di non aver ancora sentito nulla dalla società su ciò che sta accadendo. I problemi sembravano iniziare giovedì sera, con alcuni utenti che segnalavano di ricevere errori relativi all'autenticazione...

Link all'articolo di The Verge

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Twitter apps are still broken and Musk is still silent! News about Twitter integration in Friendica?


@Friendica Support

It’s been a few days since pretty much every major third-party Twitter client broke, and developers say they still haven’t heard anything from the company about what’s going on. The issues seemed to begin on Thursday evening, with some users reporting that they were getting errors related to authentication.

Is anyone experiencing issues with Twitter integration in Friendica?

Friendica Support reshared this.

in reply to Signor Amministratore ⁂

And now tweets are back on my Friendica timeline. Well, I guess I'll just keep this addon working for now. At least I can use it to tell people where I've gone once Twitter kills off my Friendica app once and for all.

Friendica Support reshared this.

in reply to Kyle 🎙 🎶

@Kyle 🎙 🎶 I'm seeing however that this disruption of compatible Twitter apps, many of which target Apple users, is driving a new wave of migration to mastodon, by Apple users off Twitter. It's a pity that there is no nice friendly app for Apple users... 😢

Friendica Support reshared this.

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
Signor Amministratore ⁂
Twitter apps are still broken and Musk is still silent! News about Twitter integration in Friendica?
I can confirm that, after a mysterious stop that coincided with the first moments of failure of the third-party apps, I too started posting on twitter from Friendica! All good, while it lasts! 😀
@Anders Rytter Hansen

Friendica Support reshared this.



#NotiziePerLaScuola

Bando di concorso "Inventiamo una banconota", la X edizione della competizione indetta dalla Banca d'Italia in collaborazione con il MIM, dedicata alle studentesse e agli studenti delle primarie e secondarie di I e II grado pe…



Firenze. La Lega accoglie Matteo Piantedosi


Il 13 gennaio 2023 Federico #Bussolin e altri ben vestiti della #Lega hanno accolto negli uffici governativi di #Firenze il ministro degli affari interni dello stato che occupa la penisola italiana, tale Matteo #Piantedosi.
Ogni governo "occidentalista" che si avvicenda a decidere il destino dello stato che occupa la penisola italiana -e purtroppo, con esso, anche di molte persone che sarebbero perfettamente in grado di decidere del proprio senza l'intervento di ben vestiti di alcun genere- invia a Firenze qualcuna tra le sue massime autorità a illustrare come e qualmente la costruzione di un "Centro di Permanenza Temporanea", di un "Centro di Identificazione e di Espulsione" o comunque di un campo di concentramento per indesiderabili sia indispensabile alle magnifiche sorti e progressive della città e all'ordinato svolgervisi della vita associata.

Il fatto che sia il governo dello stato che occupa la penisola italiana ad auspicare la realizzazione di una cosa del genere è motivo sufficiente per desiderare l'esatto contrario.



che problema abbiamo in Italia con i prezzi dei computer?

Guardo spesso gli annunci dell'usato, e trovo prezzi sensati solo da annunci esteri (perlopiù Germania o UK). Gli Italiani riempiono le piattaforme di annunci pensando di riuscire a vendere il loro amato laptop stracotto con intel core i5 da 2 gen (fuori produzione dal 2011) a 4 gen (fuori produzione dal 2014), dai 200€ in su. Con batteria morta, tastiera e porte I/O usurate, spesso qualche piccola noia al display.

Quando le catene a ogni volantino propongono almeno un laptop nuovo a 250€ (nel caso di Chromebook) o 350€ ("entry level" ma comunque incomparabilmente più veloci di una macchina di 10 anni fa e coperte da garanzia).

Le catene, poi, per l'Italia propongono macchine meno performanti a prezzi più alti rispetto a quello che si compra all'estero per lo stesso ammontare. Qui lo standard sembrano ancora essere i pc con 8 gb di ram, e quelli con 16 li passano come "gaming" o "workstation".

Eppure non mi sembra che qui la tecnologia sia poco gradita. Forse vogliamo "il meglio" solo in ambito smartphone, e siamo un mercato di serie b per i pc?

Unknown parent

friendica (DFRN) - Collegamento all'originale
J. Alfred Prufrock
@Mario Pietre euro. Ho corretto il post, grazie



Se il nemico è la Cina, la propaganda si vede meglio | Contropiano

«In conclusione, è chiaro che questo non è “giornalismo”, ma semplice propaganda bellica. E come sempre la propaganda è rivolta al proprio “interno”, a persuadere la propria popolazione (italiana ed europea) che “fuori c’è la jungla” ed è meglio non mettere in discussione la “nostra” classe dirigente (imprenditori, politici, giornalisti, ecc). Perché potrebbe andarci molto peggio…»

contropiano.org/news/internazi…

in reply to Giuseppe Pecoraro

Ma seriamente dice che i media italiani, servili, se la prendono con la Cina? È l’esatto contrario. Nonostante le macroscopiche violazioni dei diritti umani, è tutto un leccare il culo alla Cina per via degli interessi economici.



Il futuro distopico delle automobili


Nel 1960 un computer, oltre che costare più di $120.000, occupava facilmente la metà di una stanza. Oggi un computer è invece talmente leggero, piccolo e poco costoso che chiunque ne porta sempre in tasca almeno uno, lo smartphone. Ci stiamo però affaccia

Nel 1960 un computer, oltre che costare più di $120.000, occupava facilmente la metà di una stanza. Oggi un computer è invece talmente leggero, piccolo e poco costoso che chiunque ne porta sempre in tasca almeno uno: lo smartphone. Ci stiamo però affacciando a un mondo nuovo — un mondo in cui non siamo noi a portare in giro i nostri computer, ma sono i nostri computer a portare in giro noi.

Mi riferisco ovviamente alle automobili di nuova generazione, che sono davvero dei computer con le ruote. Ogni automobile ha ormai centinaia di unità di controllo elettroniche che attraverso un software monitorano o controllano i sistemi interni e meccanici del veicolo.

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Un esempio molto evidente sono i cosiddetti ADAS (Advanced driver-assistance system), che semplificano alcune attività e possono anche aumentare il comfort e la sicurezza di viaggio. Si passa dalla semplice rilevazione degli ostacoli per aiutare il parcheggio fino ai software per l’adaptive cruise control o i più tradizionali ABS e ESC.

Tutto molto bello, se non fosse che la trasformazione delle automobili in computer con le ruote può creare i presupposti per diversi e gravi problemi che riguardano proprio la nostra privacy e libertà.

Over the Air Software


Quello che non molti sanno, o a cui non pensano, è che oltre ad essere computer, le nuove automobili sono anche computer connessi.

Moltissimi modelli oggi hanno installate delle sim-card che attraverso connessioni 4G e 5G permettono al veicolo di connettersi a reti-wifi di ogni tipo. Basta essere saliti su un’auto degli ultimi 2 anni e aver smanettato un po’ con la dashboard per aver notato che è infatti possibile connettere l’auto a Internet tramite wi-fi, proprio come uno smartphone o un laptop.

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