Le organizzazioni per la salute e i diritti digitali sollecitano i legislatori dell'UE a sostenere i diritti dei pazienti nella nuova legge sui dati sanitari
Più di una dozzina di organizzazioni che rappresentano pazienti, operatori sanitari, persone con disabilità, organizzazioni dei consumatori e dei diritti digitali, nonché lavoratori e sindacati hanno scritto ai membri del Parlamento europeo, esortandoli a garantire che i diritti dei pazienti e il controllo sui loro le informazioni sanitarie private sono confermate nel proposto European Health Data Space (EHDS).
Attraverso l'EHDS, i legislatori vogliono creare sistemi sanitari digitali interoperabili e moderni in tutta l'UE. Sfortunatamente, la proposta della Commissione europea non riesce a proteggere i pazienti quando si tratta della condivisione e dell'uso delle loro informazioni mediche personali da parte di terzi. I pazienti non avrebbero voce in capitolo sulla condivisione e lo sfruttamento commerciale dei loro dati e non sarebbero nemmeno informati su chi li riceve.
Il Parlamento europeo deve introdurre un regime di consenso "opt-in" in modo che gli utenti dei dati siano tenuti a ottenere un consenso valido dai pazienti le cui cartelle cliniche personali vorrebbero utilizzare per scopi secondari.
IL POST DI EDRI CONTINUA QUI
Health and digital rights organisations urge EU lawmakers to uphold patients’ rights in new health data law - European Digital Rights (EDRi)
European lawmakers must ensure patients have control over their private medical records by adding an ‘opt-in’ consent requirement.European Digital Rights (EDRi)
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Terzopolisti immaginari
Il carattere non c’entra niente. Assume un peso quando la politica se ne è già andata via. In quello che, temerariamente, ha accettato di farsi chiamare “Terzo polo”, la gara a chi comanda è appassionante solo per chi vi partecipa. Per tutti gli altri è solo una ragione ulteriore per non andare a votare o acconciarsi a votare altro. Il modo in cui si sono infilati in questo vicolo cieco mi fa pensare che siano stati ciechi alla storia e sordi alla politica. Di voti ne hanno presi tanti, ma non basta. Se ne può prendere il quintuplo, contare nulla e sparire in fretta. Se la storia li avesse guidati e la politica assistiti avrebbero dovuto dire: no, non siamo un Terzo polo. Per le seguenti ragioni.
C’è un ricordo, che conserviamo fra le cose care. Un comizio per la chiusura della campagna referendaria, nel 1974, a favore del divorzio. La Malfa, Malagodi, Nenni e Saragat si tengono per mano. Perché non furono mai un partito unico? Perché quando s’univano, liberali e repubblicani o socialisti e socialdemocratici, prendevano meno voti che separatamente? Perché quella era la logica del sistema proporzionale. Dove, aprano le orecchie gli odierni identitaristi, non è che contassero le “identità”, ma la rappresentanza degli interessi e le idealità: per un liberale i lamalfiani erano praticamente socialisti, per un repubblicano i malagodiani dei contabili conservatori. Unendosi perdevano una quota di riottosi. Eppure si deve a loro un miracolo: l’Italia è un Paese conservatore, che vota destra e statalista, ma che deve la sua ricchezza alle riforme della sinistra democratica e il suo sistema produttivo al rigorismo della destra liberale. Poi ci si tiene per mano, in nome di una battaglia comune.
Se si resta in un sistema proporzionale le forze intermedie sono diverse fra loro, se si fa finta di passare a un sistema maggioritario non esistono terzaforzismi. In Germania c’è il sistema proporzionale e ci sono liberali e verdi. In Inghilterra c’è il maggioritario e non ci sono. Nel proporzionale ci si rappresenta da sé, nel maggioritario si lavora a modificare e colonizzare i due schieramenti.
Una politica intermedia, oggi e qui, può funzionare se apre un confronto-scontro a destra sul Pnrr e le riforme che mancano e un confronto-scontro a sinistra per l’uscita dal falso maggioritario. In questo modo provando a liberare la destra dal pauperismo protezionista e la sinistra dal masochismo dell’alleanza con il proprio becchino. Se, invece, si manovra a pescar fuoriusciti e organizzare sorprese parlamentari si rinuncia a fare politica e si usa la dote elettorale non per rappresentare un elettorato ancora più vasto, ma per giocarselo ballando la taranta del trasformismo altolocato.
Il carattere delle persone è quel che resta quando tutto il resto è perso. Il che è di nessun interesse politico e attiene all’egolatria imitativa di chi è in terapia intensiva. Miniature pretensiose.
L'articolo Terzopolisti immaginari proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
CHI FINANZIA IL FACTCHECKER CHE BLACKLISTA I CONSERVATORI?
@Giornalismo e disordine informativo
Due gruppi senza scopo di lucro statunitensi legati al Global Disinformation Index , un'entità britannica che inserisce nella lista nera i media conservatori, si rifiutano di rivelare dettagli chiave sulle loro operazioni, citando un'oscura legge federale di esenzione sulle "molestie", secondo un'indagine del Washington Examiner.
> La mancanza di trasparenza sui moduli fiscali depositati dai gruppi GDI potrebbe portare i legislatori e i gruppi di controllo a spingere le loro indagini sulla presunta rete di tracciamento della "disinformazione", che è stata messa sotto accusa da quando un rapporto del Washington Examiner del 9 febbraio ha dettagliato i suoi sforzi per fornire agli inserzionisti blacklist di siti Web conservatori. Diversi membri repubblicani del Congresso, tra cui il presidente del Comitato per la supervisione e la responsabilità della Camera James Comer (R-KY), hanno chiesto chiarimenti al Dipartimento di Stato per aver indirizzato i fondi della sovvenzione al GDI tra il 2020 e il 2021.
L'articolo di Gabe Kaminsky continua sul Washigton Examiner
Disinformation Inc: 12 Republicans press State Department over grants to Global Disinformation Index
This is part of a Washington Examiner series on self-styled 'disinformation' tracking groups that are blacklisting and trying to defund conservative media. Here is where you can read other stories in the series.Gabe Kaminsky (Washington Examiner)
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La Russia come l’Isis
«Non guardate questo video». Perfino gli account ucraini, di solito molto efficaci nel mobilitare un’ondata di indignazione, non postano il link al filmato dell’orrore. Bombe sugli ospedali, sui condomini, esecuzioni sommarie, torture, bambini rapiti: ogni giorno si sfonda una barriera dell’indicibile, impossibile, insopportabile. Quello che fa raggelare nel video della decapitazione con un coltello di un soldato ucraino per mano di militari russi non è nemmeno il suo grido di dolore, né la sbrigativa efficienza dei boia, né l’evidente normalità del massacro compiuto di cui il comando è al corrente. A rendere il video davvero una nuova frontiera dell’orrore è il fatto che non si tratta di un “leak”: non è una denuncia degli ucraini per screditare gli invasori, è uscito sui canali della propaganda russa, ed è stato ripostato e commentato (positivamente) proprio da chi ne esce devastato senza possibilità di redenzione, i russi stessi.
In tutte le guerre, si aprono abissi di odio e ferocia. Quello che cambia è l’esibizione di quella che dovrebbe venire secretato, l’orgoglio della mostruosità, la normalità del disumano. “Gole profonde” da Mosca spiegano che la decapitazione è stata compiuta dal gruppo Wagner, e che il video è stato pubblicato intenzionalmente, per incoraggiare gli ucraini a torturare a loro volta i prigionieri russi, fermando così l’emorragia di militari di Mosca che si arrendono al nemico (3 mila soltanto a marzo, secondo Kyiv). È evidente che l’esecuzione sia stata compiuta, filmata e diffusa per terrorizzare.
Il paragone con l’Isis, nello sfoggio pubblico di violenza, è inevitabile ed è venuto in mente a molti. Per allontanarsi da questo parallelo, sarebbe bastata una condanna, una promessa di indagare e punire. Non sono arrivati. Il parlamento russo era troppo impegnato ad approvare, all’unanimità, la legge che trasforma i maschi russi in reclute da mandare in trincea con un click. I tribunali russi erano intenti a condannare a 25 anni per “alto tradimento” politici di opposizione come Vladimir Kara-Murza. La polizia russa era troppo impegnata ad arrestare chi scrive “no alla guerra” sui muri. L’esercito era indaffarato a reclutare galeotti da spedire al fronte. La magistratura era troppo impegnata a leggere tonnellate di delazioni contro i “nemici del popolo”.
In un Paese dove le maestre denunciano i bambini (e i bambini le maestre) per un disegno pacifista, dove il leader dell’opposizione in cella perde 8 chili in 15 giorni perché torturato con la fame, la Tv inneggia alla bomba atomica, gli intellettuali decantano Stalin e i giudici tolgono i
figli ai dissidenti, il limite dell’orrore è stato sfondato da tempo. Il paragone con l’Isis regge nella furia con la quale la Russia resuscita il suo passato più oscuro, cancellando con le sue mani ogni residuo rispetto o empatia che poteva suscitare.
Il 12 aprile è l’anniversario del volo di Yuri Gagarin, ma la Russia preferisce essere celebre non per le conquiste dello spazio, ma per i mercenari di Wagner che decapitano prigionieri. Il Paese che presiede il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si sta trasformando nel Mordor, come lo chiamano gli ucraini, la terra dell’oscurità inventata da Tolkien, abitata da orchi governati con la tortura e la morte. Nel suo ultimo libro “L’antimondo russo” il filosofo Mikhail Epshtein scrive che quello russo è l’unico impero a comportarsi come colonizzatore spietato anche verso il proprio popolo, e a non cercare di migliorarne la vita, perché una dittatura di orchi non è capace di governare uomini liberi e felici. In una cultura politica, ereditata da Stalin e da Ivan il Terribile, che confonde la paura con il rispetto, ed esige la prima come segno del
secondo, il video dell’orrore è una promessa anche ai sudditi di Putin, ormai privati di vie di fuga.
L'articolo La Russia come l’Isis proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
EU Parliament study slams online child abuse material proposal
The European Parliament’s impact assessment of the proposal for the child sexual abuse material (CSAM) online, obtained by EURACTIV, raises hefty concerns about the privacy and technical implications of the draft law. The European Commission’s proposal to fight the dissemination...
UN'ASSOCIAZIONE INSEGNA IL FACTCHECKING A MIGLIAIA DI INDONESIANI
@Giornalismo e disordine informativo
> Bu Iroh è determinata a vedere suo nipote e a convincere suo marito a smettere di credere a ogni WhatsApp che trasmette informazioni fattuali. Vestita con un trench rosso e un berretto con una gigantesca lente d'ingrandimento in mano, porta il marito in giro per la città ascoltando le false idee della gente sul vaccino e sfatandole.
Mafindo ha un team centrale di nove persone, con migliaia di volontari in tutta l'Indonesia che aiutano a condurre corsi di formazione, verificare i fatti e coinvolgere più membri del pubblico nel lavoro dell'organizzazione.
This citizen-run organization is teaching thousands of Indonesians to fact-check
"During a casual conversation in an informal setting, people would listen to us."Nieman Lab
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Miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo non hanno mai lasciato i paesi donatori.
Sara Harcourt, Senior Policy Director di ONE, movimento globale che si batte per porre fine alla povertà estrema e alle malattie prevenibili entro il 2030, ha denunciato come miliardi di dollari di donazioni da record del 2022 per i paesi in via di sviluppo non abbiano mai lasciato i paesi donatori.
Via social Sara, basandosi su dati OECD-Development Assistance Committee (DAC), ha denunciato in un thread quanto segue:
“I livelli record di aiuti nel 2022 per i quali i paesi donatori si congratulano con se stessi sono un miraggio. Le entrate sono in: 29,3 miliardi di dollari in aiuti non hanno mai lasciato i paesi donatori.“
Aggiungendo che:
“I livelli di aiuto hanno raggiunto il tetto record di 204 miliardi di dollari nel 2022, con un aumento del 13,6% in termini reali rispetto al 2021. Sembra incredibile, vero? Fino a quando non ti rendi conto che la maggior parte dell’aumento è dovuto ad aiuti che non hanno mai lasciato i paesi donatori.
Se si escludono gli aiuti spesi all’interno dei paesi donatori per i rifugiati, la spesa COVID e gli aiuti bilaterali all’Ucraina, l’APS è aumentato di appena il 3,5% nel 2022 (in termini di flusso).
Diversi tipi di “aiuti” in realtà non raggiungono mai i paesi in via di sviluppo
Diversi tipi di “aiuti” in realtà non raggiungono mai i paesi in via di sviluppo. Ma il maggior contributo alla spesa dei donatori nel 2022 sono stati i costi per i rifugiati a causa della guerra in Ucraina. Grazie alle regole #OECD, i donatori possono contare comesono stati stanziati i soldi spesi per sostenere i rifugiati all’interno del proprio paese.
Nel 2022, 29,3 miliardi di dollari, ovvero il 14,4% degli aiuti totali per i rifugiati, sono i costi andati per i donatori. Questo è senza precedenti. Durante la crisi dei rifugiati siriani nel 2016, i costi dei donatori hanno raggiunto il picco dell’11% dell’aiuto totale.
Nel frattempo, gli aiuti bilaterali destinati ai paesi meno sviluppati e ai paesi africani sono diminuiti nel 2022.
Nel frattempo, gli aiuti bilaterali destinati ai paesi meno sviluppati e ai paesi africani sono diminuiti nel 2022. Sostenere i rifugiati è assolutamente la cosa giusta da fare. Ma non dovrebbe andare a scapito degli aiuti ad altri paesi che soffrono di insicurezza alimentare, inflazione record e aumento del costo del debito.
Nel Regno Unito, sono stati spesi in patria 4,5 miliardi di dollari di aiuti, il che ha portato direttamente a tagli ai programmi nei paesi a basso reddito.
Approfondimento: UK aid budget ‘totally transformed’ as another £1.5B cut looms
I bilanci degli aiuti dovrebbero essere concentrati sulla fine della povertà e affrontare le crisi nei paesi vulnerabili, non saccheggiati per finanziare i costi interni. Non dovremmo permettere ai donatori di stabilire le regole a loro vantaggio.
Vuoi esplorare tu stesso i dati #globalaid ? Visita la dashboard APS di ONE Campaign con le cifre più recenti sugli aiuti, ricercabili per tipi di aiuti e donatori.”
FONTE: twitter.com/Sara_Harcourt/stat…
GERUSALEMME. Patriarca cattolico: il governo israeliano ha peggiorato la vita dei cristiani
della redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – In una intervista all’agenzia stampa statunitense Associated Press (Ap) il Patriarca latino, capo della Chiesa cattolica in Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa, ha denunciato che l’ascesa al potere del governo di destra del primo ministro Benyamin Netanyahu ha peggiorato la vita dei cristiani nella culla della loro religione. La comunità cristiana, ha detto Pizzaballa, è oggetto di attacchi crescenti da parte di estremisti ebrei israeliani incoraggiati, a suo dire, da esponenti dell’esecutivo guidato da Netanyahu.
L’aumento degli incidenti anticristiani arriva quando i gruppi di destra, galvanizzati dai loro alleati al governo, sembrano aver colto l’attimo per espandere gli sforzi per stabilire enclavi ebraiche nei quartieri arabi di Gerusalemme est.
“La frequenza di questi attacchi è diventata qualcosa di nuovo”, ha spiegato Pizzaballa, “queste persone (gli estremisti, ndr) si sentono protette… l’atmosfera culturale e politica ora giustifica o tollera azioni contro i cristiani”.
Le difficoltà per le minoranze cristiane non sono una novità nella brulicante Città Vecchia che Israele si è annessa unilateralmente, contro il diritto internazionale, nel 1967. Ma ora la situazione sembra peggiorata perché l’attuale governo di destra di Netanyahu include leader dei coloni in ruoli chiave, come il ministro delle finanze Bezalel Smotrich e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir accusato di istigazione al razzismo anti-arabo.
Israele si proclama garante della libertà di culto a Gerusalemme. Ma i palestinesi cristiani ritengono che le autorità israeliane non proteggano i loro siti da attacchi mirati. Le tensioni sono aumentate dopo che la polizia israeliana, nei giorni scorsi, ha caricato con violenza i fedeli musulmani nel complesso della moschea di Al-Aqsa. A ciò si aggiunge il no di Israele all’arrivo a Gerusalemne per la Pasqua di 700 cristiani di Gaza e le proteste degli ortodossi per le restrizioni della polizia israeliana alle presenze nel S.Sepolcro per la cerimonia del “Fuoco sacro”.
Le aggressioni fisiche e le molestie al clero spesso non vengono denunciate ma sono stati documentati almeno sette gravi casi di vandalismo contro le proprietà delle chiese da gennaio a metà marzo, un forte aumento rispetto ai sei casi anticristiani registrati in tutto il 2022. I leader della chiesa incolpano gli estremisti israeliani per la maggior parte degli incidenti.
“Questa escalation porterà più violenza”, ha avvertito Pizzaballa. “Creerà una situazione che sarà molto difficile da correggere”.
A marzo, una coppia di israeliani ha fatto irruzione nella basilica accanto al Giardino del Getsemani, dove si dice sia stata sepolta la Vergine Maria. Entrambi si sono avventati su un prete con un’asta di metallo prima di essere arrestati. A febbraio, un religioso ebreo americano ha strappato dal piedistallo una rappresentazione di Cristo alta 3 metri e l’ha fracassata sul pavimento, colpendone la faccia con un martello, nella Chiesa della Flagellazione sulla Via Dolorosa, lungo la quale si crede Gesù abbia trascinato la sua croce. “Niente idoli nella città santa di Gerusalemme!” ha urlato l’aggressore. A gennaio, ebrei religiosi hanno abbattuto e vandalizzato 30 tombe contrassegnate da croci di pietra in uno storico cimitero cristiano della città.
I cristiani affermano che la polizia israeliana non ha preso sul serio la maggior parte degli attacchi. Pagine Esteri
L'articolo GERUSALEMME. Patriarca cattolico: il governo israeliano ha peggiorato la vita dei cristiani proviene da Pagine Esteri.
Pubblicata la newsletter #DigitalBridge di Mark Scott, giornalista di Politico!
Oggi si occupa di Meta, Moldavia, 6G, AI e tanto altro
— Meta ormai coinvolta in un gioco del pollo con i garanti Privacy europei sul come spostare i dati delle persone dall'Europa agli Stati Uniti.
— Moldavia che sta effettivamente vivendo ora una guerra ibrida mai così intensa, principalmente online (e la risposta delle piattaforme è stata minima)
— le battaglie politiche per il 6G già in corso (anche se nessuno se ne sta occupando)
— le preoccupazioni di Jen Easterly, direttore della US Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, in riferimento a come gli hacker possono utilizzare strumenti di intelligenza artificiale in attacchi futuri
— L'Alan Turing Institute e il Consiglio d'Europa che scrivono un manuale su come l'IA influenzerà i diritti umani
— l'interessante sezione (da pagina 27 in poi) sull'autoritarismo digitale e l'influenza malevola, della valutazione annuale delle minacce della comunità dell'intelligence statunitense
QUI LA NEWSLETTER COMPLETA
Digital Bridge: Meta’s privacy standoff — Moldovan interference — 6G politics
POLITICO's weekly transatlantic tech newsletter uncovers the digital relationship between critical power-centers through exclusive insights and breaking news for global technology elites and political influencers.Mark Scott (POLITICO)
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Digital Bridge: Meta’s privacy standoff — Moldovan interference — 6G politics
POLITICO’s weekly transatlantic tech newsletter for global technology elites and political influencers.
By MARK SCOTT
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ARE YOU READY FOR ANOTHER DIGITAL BRIDGE? I’m Mark Scott, POLITICO’s chief technology correspondent, and as the months tick down to the summer, I’m getting myself in shape for those days at the beach. ICYMI, this is now my preferred exercise style. All I need now is to find a bear to train with.
There’s something for everyone this week:
— Meta is in a game of chicken with transatlantic privacy officials over how it can move people’s data from Europe to the United States.
— Everyone talks about hybrid warfare. But Moldova is actually living that reality out now, mostly online — and it’s not pretty.
— Here’s something no one has time for (but is already happening): the political battles for 6G have already begun.
WHO’S GOING TO BLINK FIRST? META OR PRIVACY OFFICIALS?
SOMETIME THURSDAY OR POSSIBLY FRIDAY, European Union data protection watchdogs will back a preliminary decision by Ireland’s Data Protection Commission to strip Meta of its last legal route for shipping data across the Atlantic. The company says that may force it to stop offering Facebook and Instagram within the 27-country bloc, though that’s a pretty empty threat (I’ll explain why below). But the decision marks the latest twist in a decade-long battle over privacy rights and how far American national security agencies can go when accessing information from non-U.S. citizens.
Here’s how the timing will work. After the European Data Protection Board, the pan-EU group of privacy regulators, makes its decision this week, Ireland (whose watchdog has the final say because that is where Meta is headquartered within the bloc) will have until mid-May to rubberstamp the decision. Two things will happen next. Meta almost certainly will appeal the ruling against its so-called standard contractual clauses, which are complex legal instruments required to move data between both regions. That will push any final decision against the company into the fall.
Ireland’s privacy regulator also has a lot of discretion over when that decision — banning Meta’s use of standard contractual clauses; imposing a sizable fine; and, potentially; forcing the company to delete people’s data transferred under that instrument — will come into force. Expect a three-to-six-month implementation period, again pushing Meta’s threat of shuttering its EU-focused services until the fall. That’s why that threat is so hollow. It’s not really what the company will do. It’s more of a public relations campaign to explain to its European users what’s at stake.
And that’s where the separate ongoing discussions around a new EU-U.S. data transfer deal come in. Ever since the White House published its executive order aimed at giving Europeans greater legal remedies to challenge how their data was accessed by U.S. national security agencies (more on that here), European officials have been reviewing those changes to eventually approve a new transatlantic data pact. Such an agreement would supersede Meta’s specific issues around standard contractual clauses, and end the legal uncertainty (for all) around such EU-U.S. transfers.
The new Data Privacy Framework was supposed to be done by July — more than enough time for either Meta to appeal this week’s separate privacy ruling or Ireland’s privacy regulator to give the company enough leeway to make this issue go away. But a last-minute snag may now scupper those plans. As part of the new transatlantic data pact, the U.S. Department of Justice is currently reviewing the surveillance practices of individual European countries. Its focus is on what legal remedies American citizens have to appeal such EU national security access — similar to what Europeans are about to get via U.S. courts, according to two people with direct knowledge of those discussions. They spoke on the condition of anonymity to outline the ongoing negotiations.
That oversight — which has become a precursor for American officials before they will grant Europeans access to the newly-created U.S. legal appeal process — is now likely to push back final ratification of the new EU-U.S. data agreement until September, one of those individuals added. Given that Meta is likely to win a reprieve in its own data transfer case until around that time, it’s added additional pressure on negotiations around transatlantic privacy issues that have been boiling away for more than a decade.
Does that mean Meta will turn off its services within Europe? No. Don’t believe the headlines that will say that this week. The issue, as you can see above, is a lot more complicated than that. It involves two separate processes (one involving Europe’s privacy regulators and Meta; another between EU and U.S. officials), which, while independent from one another, are also inextricably linked. For me, it’s another sign that maybe the current Western status quo on privacy matters (as discussed in last week’s newsletter) needs a rethink.
WELCOME TO MOLDOVA: THE HOT HYBRID WAR
DORIN [b]FRĂSĬNEANU WAS SCROLLING THROUGH FACEBOOK this week and saw what he and his fellow Moldovans have been bombarded with for months: ads via the social networking giant that promoted Russian disinformation. But as Frăsîneanu was, until February, foreign policy adviser to the country’s prime minister, Dorin Recean, a pro-Western politician, the ongoing Kremlin-backed propaganda flooding into the small Eastern European country represented an ongoing kick in the teeth.
“Facebook has the biggest reach because it’s where you can upload fake videos and spread them,” he told me. Other platforms like Telegram and Google’s YouTube also have allowed such messaging — mostly that Moldova should not side with Ukraine in its war with Russia; that the West is to blame for the conflict; and that Moldova would be better served by partnering with Russia. But it’s Facebook, whose users numbers in Romanian-speaking Moldova far outgun those of the other companies, that poses the biggest problem, according to Moldovan officials and independent social media experts who spoke to Digital Bridge.
Welcome to what hybrid war really looks like — far away from the headlines associated with the ongoing war in Ukraine or the political tussles around Russian interference (or Hunter Biden’s laptop) in the U.S., Moldova shares a border with Ukraine; Russian troops are located in Transnistria, a breakaway part of the country; and Russian-linked politicians, most notably Ilan Shor, have been sanctioned by Washington for their ties to Moscow (he denies those charges). Maia Sandu, Moldova’s president, has repeatedly warned that the Kremlin is interfering in the country to undermine its Western-focused government in favor of those who want closer ties to Russia.
This certainly goes beyond digitally-focused propaganda and disinformation. Moldova, for instance, relies heavily on its larger Eastern neighbor for energy imports, making it particularly susceptible to Kremlin-induced pressure. But as the potential threat of actual invasion has embedded away, the country now finds itself at the heart of an online interference campaign that has seen the EU, U.S. and United Kingdom all wade in to shore up a country on the frontline of this new form of warfare.
“Russian actors, some with current ties to Russian intelligence, are seeking to stage and use protests in Moldova as a basis to foment a manufactured insurrection against the Moldovan government,” John Kirby, the White House’s coordinator for strategic communications at the National Security Council, said earlier this month. Such protests — primarily in support of Shor’s pro-Kremlin ȘOR political party — have been promoted heavily via social media and Google search ads, according to research from Reset, a tech accountability campaigning group.
So far, the platforms’ response has been minimal. Google has removed scores of YouTube-related content associated with pro-Russian views in Moldova, but Facebook ads linked to Kremlin-friendly local politicians are still showing up daily, often through anonymous users, and not via accounts directly associated with the likes of Shor. In response, Meta said it worked with local fact-checkers in the Eastern European country and held meetings with Moldovan officials — even before the most-recent protests — to listen to their concerns. “We took away Ilan Shor’s ability to advertise on our apps when he was added to the U.S. sanctions list,” Al Tolan, a Meta spokesperson, added.
Still, Frăsîneanu, the former Moldovan official, told me his government’s interactions with the companies, at least while he was an adviser, had been minimal, at best. He and his team often tried to flag harmful material, but didn’t have a contact at the company to whom they could flag it. “It’s been difficult to get them to pay attention to what’s going on,” he added. “What do we do with Big Tech and how do we ensure that it’s used for good things and not, you know, for spreading fake news?”
That’s why Recean, the country’s prime minister, and leaders of seven other Eastern European countries recently penned an open letter to “CEOs of Big Tech” urging them to do more about the real-world consequences of online interference in countries with longstanding problematic ties to Russia. “Foreign information manipulation and interference, including disinformation is being deployed to destabilize our countries, weaken our democracies,” the politicians wrote. “All our countries are under attack, too, because while direct targets differ, the ultimate goals of information warfare are universal.”
BY THE NUMBERS
**Join online U.K. Editor Jack Blanchard as he speaks one-to-one with a senior cabinet minister on the future of tech within the U.K., on Wednesday, April 19 at 6:30 p.m. BST. Register today.**
LET’S GET READY FOR 6G POLITICS
I KNOW WHAT YOU’RE THINKING. It’s hard to get even a so-called 5G connection (I wrote this in 2016, and I’m still waiting), so why are we talking about the next generation of mobile telecommunication networks? Well, countries are already lining up their lobbying bandwagons for the initial standards meetings that will lay the groundwork to determine which companies’ intellectual property will underpin these networks when they start rolling out, at best, by the end of the decade. This will most likely pit European, Japanese, South Korean and U.S. companies against those from China in the latest round of tech-related geopolitics as Washington seeks to woo its international partners to push back against Beijing.
Already, China Mobile has issued 6G recommendationsin the hopes of convincing others to follow its technological approach. The way telecom standards works is that mostly industry-led groups determine which companies’ intellectual property should become the global standard, and that technology is then licensed, globally, for all to use. Europe has Nokia and Ericsson, arguably the West’s largest telecom standards players. Asia has the likes of Samsung, while the U.S. has Intel. But it’s China, whose local players Huawei and ZTE are still global players, that is making a coordinated play for 6G market share. Here’s one to look out for: Expect some form of 6G coordination between Washington and Brussels during next month’s EU-U.S. Trade and Tech Council summit in Sweden.
WONK OF THE WEEK
WE’RE BREAKING OUT THE LONG-HAUL FLIGHTS this week to head down to Aotearoa, a.k.a. New Zealand, where Jacinda Ardern, the country’s recently-departed prime minister, will become special envoy to the so-called Christchurch Call, a multistakeholder group dedicated to combating online extremism, on April 17.
The former Kiwi leader was instrumental in setting up that organization in the wake of the 2019 massacre in Christchurch that left 51 people dead and was livestreamed via social media. That tragedy, unfortunately, has been repeated over and over again in the subsequent years — most recently during a deadly shooting in Kentucky this week that was also shared widely online.
“Terrorist and violent extremist content online is a global issue, but for many in New Zealand it is also very personal,” Chris Hipkins, New Zealand’s current prime minister, said in a statement that made reference to the 2019 attack in Christchurch. “Jacinda Ardern’s commitment to stopping violent extremist content like we saw that day is key to why she should carry on this work. Her relationships with leaders and technology companies and her drive for change will help increase the pace and ambition of the work we are doing through the Christchurch Call.”
THEY SAID WHAT, NOW?
“I am really, really worried in a way that I’ve never been that worried, and I used to deal with ISIS all the time every day,” said Jen Easterly, director of the U.S. Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, in reference to how hackers may use artificial intelligence tools in future attacks. “We just don’t know where this is going to end up, so I am more worried than I have been in a long time about the downstream potential of the use of this technology by bad actors.”
WHAT I’M READING
— In the wake of China’s new data protection rules, known as PIPL, the country’s app developers gave more consent to users to opt out of specific data collection practices, though many who did so were unable to use these specific apps, according to researchers from the University of Oxford and Tsinghua University.
— Russian-linked hackers targeted NATO digital infrastructure in a coordinated cyberattack, causing only minor damage to public-facing websites. Ferhat Dikbiyik has more.
— The European Commission’s antitrust proposals, which include requirements for interoperability between encrypted messaging services, do not appear to have a strong grasp on the technical implications of what has been proposed, according to a critique from Matthew Green.
— The Cyberspace Administration of China published draft rules for so-called generative artificial intelligence that would require companies to conduct security and risk assessments before implementing the technology. Read the text here.
— Confused about how AI is going to affect human rights, democracy and the rule of law (aren’t we all)? The Alan Turing Institute and the Council of Europe have written a primer on everything that you need to know.
— The annual threat assessment of the U.S. intelligence community has a section (page 27 onward) on digital authoritarianism and malign influence. It’s worth a read.
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EU Parliament’s Research Service confirms: Chat control violates fundamental rights
Today, the European Parliament’s Research Service (EPRS) presented a new study on the legality of the proposed Child Sexual Abuse / Chat Control Regulation to the European Parliament’s lead Committee on Home Affairs (LIBE). The legal experts conclude that “when weighing the fundamental rights affected by the measures of the CSA proposal, it can be established that the CSA proposal would violate Articles 7 and 8 of the Charter of Fundamental Rights with regard to users. This violation of the prohibition of general data retention and the prohibition of general surveillance obligations cannot be justified.” And also: „A detection order on the content of interpersonal data either on the device or the server will compromise the essence of the right to privacy under Article 7 CFR in the form of confidentiality of telecommunications. It constitutes a form of access on a generalised basis, pursuant to Schrems, where it involves an analysis of all communications going through the server.“
The experts made clear that an “increase in the number of reported contents does not necessarily lead to a corresponding increase in investigations and prosecutions leading to better protection of children. As long as the capacity of law enforcement agencies is limited to its current size, an increase in reports will make effective prosecution of depictions of abuse more difficult.”
In addition, the study finds: “It is undisputed that children need to be protected from becoming victims of child abuse and depictions of abuse online… but they also need to be able to enjoy the protection of fundamental rights as a basis for their development and transition into adulthood.” It warns: „With regards to adult users with no malicious intentions, chilling effects are likely to occur.“
In order to align the proposal with fundamental rights and make it court-proof, the experts recommend: „It should be noted that when the CSA proposal would address the above observations and would require detection orders to also be specific with regards to the group of individuals to be monitored, the detection of known material could be considered specific enough so as not to violate the prohibition of general monitoring obligations (for internet access services and hosting services) and would comply with communications secrecy (for interpersonal communication). Technically, it could be feasible to program detection technologies for known material to monitor only the exchanges of a particular type of group, thereby, preventing overly wide detection orders in terms of affected users. Such groups could for instance be members of a forum or chat group (where previously CSAM was exchanged).“
After the presentation of the study, critical questions on the proposal were voiced by Members of almost all political groups, including by Sven Simon (EPP), Paul Tang and Birgit Sippel (S&D), Moritz Körner (Renew), Patrick Breyer (Greens/EFA) and Swedish members Alice Kuhnke (Greens/EFA) and Charlie Weimers (ECR). The Commission representative was hashly criticised for admittedly not even having read the study.
Pirate Party MEP Patrick Breyer, shadow rapporteur (negotiator) for his group in the Civil Liberties Committee (LIBE) and long-time opponent of mass scanning of private communications, comments:
“The EU Parliament’s Scientific Service now confirms in crystal clear words what I and numerous human rights activists, law enforcement officials, legal experts, abuse victims and child protection organisations have been warning about for a long time: the proposed general, indiscriminate scanning of our private conversations and photos destroys the digital privacy of correspondence and violates our fundamental rights. A flood of mostly false suspicious activity reports would make effective investigations more difficult, criminalise children en masse and fail to bring the abusers and producers of such material to justice. According to this expertise, searching private communications for potential child sexual exploitation material, known or unknown, is legally feasible only if the search provisions are targeted and limited to persons presumably involved in such criminal activity.
I think negotiators understand that if we give in to the impulse and best intentions to do everything possible, but fail to respect the legal limits imposed by fundamental rights, detection provisions will be struck down by the Court of Justice altogether, and we’ll be left with nothing, and fail to achieve anything to better protect children and victims. This disaster must be avoided at all cost. No one is helping children with a regulation that will inevitably fail before the European Court of Justice.
What we really need instead of untargeted chat control and identification obligations for age verification is obliging law enforcement agencies to have known exploitation material removed from the internet, as well as Europe-wide standards for effective prevention measures, victim support and counselling, and for effective criminal investigations.”
Riapre i cancelli l’ambasciata iraniana a Riyadh
della redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – L’ambasciata iraniana in Arabia saudita ha riaperto i cancelli ieri per la prima volta in sette anni nel quadro di un accordo volto a ristabilire i legami diplomatici tra Teheran e Riyadh e che dovrebbe allentare una lunga rivalità che ha alimentato crisi e conflitti in tutto il Medio oriente. L’agenzia Reuters ha scritto che ieri sono stati riaperti i pesanti cancelli dell’ambasciata iraniana a Riyadh e che alcune persone hanno ispezionato l’edificio. I due paesi avevano interrotto i rapporti nel 2016, dopo l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran seguito all’esecuzione di un importante religioso sciita da parte di Riyadh. Ma i rapporti avevano iniziato a peggiorare un anno prima, dopo che l’Arabia saudita e gli Emirati erano intervenuti militarmente in Yemen, dove i ribelli sciiti Houthi, alleati dell’Iran, avevano preso il potere estromettendo da Sanaa il governo sostenuto dai sauditi. Negli anni successivi, Riyadh e Teheran sono giunte a pochi passi dallo scontro militare. Circa due anni fa l’inizio di colloqui tra i due paesi mediati dall’Iraq. Infine è giunto l’intervento della Cina che a marzo ha portato alla firma a Pechino di uno storico accordo di riconciliazione tra sauditi e iraniani.
La riconciliazione tra le due potenze regionali ha contribuito alla ridefinizione parziale dell’ordine mediorientale con la fine dell’isolamento arabo della Siria – che ha appena ripreso le relazioni diplomatiche con la Tunisia e sarà riammessa nella Lega araba – e il riavvicinamento tra Turchia ed Egitto. E ha frenato il progetto avviato da Israele e Usa attraverso gli Accordi di Abramo per la creazione di un fronte israelo-arabo contro l’Iran. Pagine Esteri
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Ministero dell'Istruzione
#Scuola, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato due decreti di riparto di risorse #PNRR destinati alla formazione di studenti, docenti e personale scolastico per un importo complessivo di 1 miliardo e 200 milioni.Telegram
Mosca sostituisce l’Europa con l’Africa e aumenta le esportazioni di benzina
di Redazione
Pagine Esteri, 13 aprile 2023 – Nel primo trimestre di quest’anno la Russia ha incrementato le esportazioni di benzina di quasi il 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, spedendo i carichi direttamente in Africa e individuando nuove rotte commerciali dopo che l’Unione Europea ha sanzionato il petrolio russo.
Mosca ha incrementato le spedizioni di carburante soprattutto verso la Nigeria, la Tunisia e la Libia, dopo che il 5 febbraio l’Unione Europea ha vietato i prodotti russi.
La Russia è stata costretta a trovare acquirenti alternativi dopo che gli hub commerciali di Anversa-Rotterdam-Amsterdam e il porto lettone di Ventspils hanno evitato i suoi prodotti.
Un tetto di prezzo di 100 dollari al barile per la benzina e il gasolio russi, imposto dal Gruppo delle Sette Nazioni, dall’UE e dall’Australia, ha costretto Mosca a trovare nuovi mercati. In precedenza esportava circa 2,5 milioni di tonnellate (60.000 barili al giorno) di benzina all’anno in Europa.
Gli sforzi della Russia per incrementare le vendite di benzina in Africa sono stati favoriti dalla riduzione delle esportazioni dai Paesi Bassi, dove il 1° aprile sono entrate in vigore nuove normative che richiedono che le miscele di carburante per i mercati di esportazione rispettino gli standard sul contenuto di zolfo, benzene e manganese.
«Sembra che l’Europa stia perdendo quote di mercato a favore della Russia in termini di esportazioni di benzina verso la Nigeria», hanno dichiarato in una nota gli analisti della società di consulenza FGE.
Il limite di prezzo della benzina è più del doppio di quello imposto alla nafta, rendendo più redditizio per i venditori russi miscelare la nafta alla benzina, ha osservato FGE, e vendere a 100 dollari al barile piuttosto che a 45 dollari.
La Russia ha esportato 1,9 milioni di benzina tra gennaio e marzo di quest’anno, in aumento rispetto agli 1,3 milioni di tonnellate del primo trimestre del 2022, secondo i dati di Refinitiv.
Un altro tracker di navi, Kpler, stima le esportazioni di gennaio-marzo a 2,2 milioni di tonnellate, in aumento rispetto a circa 1,5 milioni di tonnellate nello stesso periodo dell’anno scorso.
Secondo i dati diffusi da Kpler, l’Africa ha importato volumi record di benzina russa nel primo trimestre, pari a 812.000 tonnellate, equivalenti a circa un terzo delle esportazioni totali russe di carburante.
La Nigeria è emersa come il primo acquirente africano di benzina russa, importando 488.000 tonnellate nel primo trimestre, rispetto alle 38.000 tonnellate dello stesso periodo dell’anno scorso. – Pagine Esteri
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China Files School 2023 – Capire il secolo asiatico
Dopo il successo delle passate formazioni (qui l'ultimo ciclo del 2022) arriva una nuova edizione della nostra China Files School. Si svolgerà tra l'8 e il 25 maggio e sarà focalizzata su tutti i luoghi e dossier più “caldi” legati a Cina e Asia. Le iscrizioni aprono ora, con 20 posti disponibili. Ecco come partecipare
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Un acceleratore per il caccia del futuro. Ecco l’iniziativa della Difesa
Palazzo Baracchini accelera sul caccia di sesta generazione Global combat air programme (Gcap). Il ministero della Difesa ha infatti lanciato la Gcap acceleration initiative destinata a aziende e centri di ricerca per accrescere il network di eccellenze italiane a supporto dell’impegno nazionale volto a realizzare il velivolo del futuro con Regno Unito e Giappone. Quaranta esplorazioni tecnologiche che raccoglieranno le migliori proposte volte per la piattaforma che i tre Paesi stanno sviluppando insieme, destinato a sostituire i circa novanta caccia F-2 giapponesi e gli oltre duecento Eurofighter di Gran Bretagna e Italia.
Le aree di ricerca
Sistemi di propulsione, sistemi ottici e laser, sensori infrarossi, materiali e metamateriali per bassa osservabilità e a elevate performance termiche, sistemi di navigazione, generazione di modelli e sviluppo di digital twins di sistemi aeronautici, intelligenza artificiale applicata alla gestione di sistemi autonomi e sistemi di missione, cyber security e dispositivi elettronici integrati. Queste solo alcune delle principali aree di indagine che saranno sviluppate dalla Gcap acceleration initiative. Le migliori proposte saranno poi selezionate per la fase di co-progettazione insieme al ministero della Difesa e alle industrie già coinvolte nel programma Gcap.
Supporto industriale
L’iniziativa, infatti, è promossa in collaborazione con la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad), le quattro aziende del consorzio italiano che lavorano sul Gcap, Leonardo, Avio Aero, Elettronica, MBDA Italia, e il Cefriel del Politecnico di Milano. Università, centri di ricerca, imprese e startup saranno coinvolte per condividere idee, competenze e tecnologie di frontiera per lavorare insieme a soluzioni innovative che possano essere applicate nel processo di maturazione tecnologica del Gcap. In particolare l’iniziativa potrà avvalersi di una orma informatica realizzata in collaborazione con Cefriel tramite la quale fare scouting tecnologico.
Il Gcap
Il progetto del Global combat air programme prevede lo sviluppo di un sistema di combattimento aereo integrato, nel quale la piattaforma principale, l’aereo più propriamente inteso, provvisto di pilota umano, è al centro di una rete di velivoli a pilotaggio remoto con ruoli e compiti diversi, dalla ricognizione, al sostegno al combattimento, controllati dal nodo centrale e inseriti in un ecosistema capace di moltiplicare l’efficacia del sistema stesso. L’intero pacchetto capacitivo è poi inserito all’intero nella dimensione all-domain, in grado cioè di comunicare efficacemente e in tempo reale con gli altri dispositivi militari di terra, mare, aria, spazio e cyber. Questa integrazione consentirà al Tempest di essere fin dalla sua concezione progettato per coordinarsi con tutti gli altri assetti militari schierabili, consentendo ai decisori di possedere un’immagine completa e costantemente aggiornata dell’area di operazioni, con un effetto moltiplicatore delle capacità di analisi dello scenario e sulle opzioni decisionali in risposta al mutare degli eventi.
Il programma congiunto
L’avvio del programma risale a dicembre del 2022, quando i governi di Roma, Londra e Tokyo hanno concordato di sviluppare insieme una piattaforma di combattimento aerea di nuova generazione entro il 2035. Nella nota comune, i capi del governo dei tre Paesi sottolinearono in particolare il rispettivo impegno a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, a difesa della democrazia, per cui è necessario istituire “forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza credibile”. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare le proprie capacità militari avanzate e il vantaggio tecnologico.
Il mercato si mangia i servizi pubblici | Jacobin Italia
"Accade in Toscana: l’operazione Multiutility, promossa dai sindaci Pd con l’appoggio della destra, trasforma in Spa beni comuni e pezzi di welfare. Ma esiste un’opposizione dal basso che sta mettendo in discussione il progetto."
In Cina e in Asia – Xi: le forze armate si preparino per i combattimenti veri
Xi: le forze armate si preparino per i combattimenti veri
Arrestato per corruzione il giudice della corte suprema cinese
Pechino rafforza il suo ruolo come mediatore nei conflitti internazionali
La Cina riscrive la storia sulla pandemia
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Così l’Italia potrebbe attirare investimenti nelle aziende tecnologiche
Come gli effetti della politica fiscale possono attrarre risorse ed investimenti dall’estero
L’aspettativa che la situazione economica-finanziaria in Israele si deteriori e l’attesa di eventuali azioni dell’attuale governo per limitare i trasferimenti di risorse finanziarie fuori dal proprio territorio nazionale ha generato molta apprensione nella “startup nation”. Il contesto di percepita instabilità ha determinato iniziative per ricollocare risorse finanziarie e parte delle operations in altri paesi.
Ne è un esempio Riskfied, azienda “tech” quotata al New York Stock Exchange con una capitalizzazione oggi non molto distante da 1 miliardo di dollari, che ha comunicato l’intenzione di trasferire 500 milioni di dollari fuori da Israele (Fonte Globes, 8 Marzo 2023), ha avviato un piano assunzioni nel dipartimento di ricerca e sviluppo a Lisbona e ha comunicato il pieno supporto ai dipendenti che hanno interesse al trasferimento in Portogallo. Certamente la percezione di instabilità internazionale, in particolare in un paese a noi vicino e importante come Israele, non giova al contesto generale, ed è auspicabile che la tensione possa risolversi nel minor tempo possibile.
E’ sempre più evidente, però, che la competitività di un’economia non può essere ridotta solo al PIL ma deve considerare anche la dimensione politica, sociale e culturale. La capacità di attrazione di investimenti esteri, e quindi la presenza di un ambiente caratterizzato da infrastrutture, istituzioni e politiche efficienti che incoraggino la creazione di valore sostenibile da parte delle imprese, consente l’evoluzione del sistema produttivo stesso.
In tale ottica, “l’attesa” riforma della politica fiscale rappresenta un elemento cardine per mantenere la competitività del nostro Paese. La riforma che ci si aspetta dovrebbe favorire la crescita delle imprese sia in termini di giro d’affari che in termini di consistenza patrimoniale, superando alcune delle principali criticità del tessuto produttivo nazionale, da tempo oramai note. In tal senso l’auspicata riduzione progressiva delle aliquote fiscali per le imprese, premiando quelle che investono e assumono a tempo indeterminato in Italia, va in questa direzione.
La riforma della politica fiscale, inoltre, dovrebbe auspicabilmente creare le condizioni per favorire l’ingresso di risorse e competenze da paesi esteri, fronteggiando anche la concorrenza sleale dei paradisi fiscali europei, che invece genera un flusso di risorse e di competenze inverso, ovvero dal nostro territorio nazionale verso altri paesi. Certamente, oltre al vincolo di bilancio dello Stato e dunque di sostenibilità nel tempo, gli interventi di politica fiscale focalizzati e sistemici su specifici settori produttivi o funzioni aziendali hanno mostrato nel tempo una maggiore efficacia e capacità di conseguire i risultati attesi.
Il settore tecnologico rappresenta uno degli elementi principali per mantenere la competitività del Paese, e la capacità di attrarre risorse e competenze qualificate da uno dei Paesi più avanzati in tale ambito, potrebbe rappresentare un’opportunità unica per generare un effetto moltiplicatore sulle competenze già presenti e la creazione di un ecosistema di innovazione attrattivo anche per altri Paesi. Lo sviluppo del settore tecnologico è quello che trasversalmente può generare una crescita in tutti i settori, generando un indotto capace di favorire un impatto sull’ammodernamento di tutto il Paese.
L’Italia ha da sempre un ruolo centrale, seppur faticoso, nell’area del mediterraneo e certamente può rappresentare la porta per l’integrazione europea, per un paese come Israele, con cui si condividono radici culturali e che certamente rispetto al Portogallo rappresenta un contesto economico più avanzato e dimensionalmente assai più consistente, considerato che il nostro PIL è maggiore di quello del Portogallo per circa nove volte.
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Def-inire.
C’è un filo che lega il Def (documento di economia e finanza), approvato ieri dal governo, l’impegno per il pieno successo del Pnrr e le nomine nelle imprese controllate dallo Stato. Che destano nervosismo nella maggioranza. E c’è una partita politica, che accompagna lo sgranarsi di quella collana.
I dati Eurostat confermano un dato positivo e un danno permanente. Il dato positivo è che, fra il 2021 e il 2022, l’occupazione è cresciuta più della media Ue (+1.9% rispetto a +1.5%). Il danno permanente è che in nessun Paese europeo si lavora in meno numerosi che in Italia: da noi il 60.1% della popolazione attiva; nella media Ue il 69.9; ma in Germania (la prima potenza industriale, noi siamo la seconda) il 77.2%. Queste sono medie, se guardiamo dentro la realtà italiana troviamo aree che superano la quota europea e aree d’inammissibile arretratezza. Non solo lavoriamo in pochi, ma non si trovano italiani disposti o capaci di fare molti lavori. Siccome la crescita della ricchezza è frutto del lavorare e dell’intraprendere, noi sommiamo una crescita inferiore al possibile e uno squilibrio territoriale non sostenibile. E questo ci porta al Def.
La dottrina spendarola, a destra e a sinistra, detta una solenne sciocchezza: più lo Stato spende e più si cresce. Se fosse vero, con il debito che ci ritroviamo e, quindi, la spesa in deficit fatta, dovremmo essere i campioni europei. Ma non è vero. Però è affasciante, specie se si punta a raccattare voti usando i soldi dei contribuenti onesti. Per questo è significativamente positivo che il Def descriva un calo progressivo del peso del debito pubblico sul prodotto interno lordo, in continuità con i conti del governo Draghi. Perché segnala che non si è abbracciata la dottrina spendarola. E questo origina già dalla campagna elettorale, quando Forza Italia e Lega reclamavano lo spendarolo “sfondamento di bilancio” e Fratelli d’Italia s’opponeva. Il partito d’opposizione era più draghista dei due al governo. E questo è il punto relativo alla partita politica. Ci arriviamo.
Nel Def il deficit resta alto (4.5), ma in linea con le previsioni. Il 2023 si conferma anno di crescita (l’opposto della recessione inesistente, di cui si strillazzava in campagna elettorale), semmai più marcata: 1%. Senza, però, che ci sia traccia dei soldi Pnrr. Non che il governo non pensi di utilizzarli (sarebbe una follia), ma, prudentemente, non ne contabilizza gli effetti nell’immediato, guarda un po’ oltre. Se tutto andrà per il meglio, insomma, si rivedrà al rialzo la crescita e il governo (giustamente) s’attaccherà una medaglia al petto. Ma può andare per il meglio? Qui si arriva alle nomine.
Sono sempre state politiche e sono sempre state spartitorie. I moralismi a intermittenza sono immorali. Preferirei meno Stato nel mercato e diversa procedura, ma questa è la zuppa ed è inutile far boccuccia. La novità è un’altra: da quelle grandi società passa parte significativa delle opere Pnrr. Qui non si giocano delle poltrone, ma la testa dell’operazione. Non è che Meloni, come taluni scrivono, voglia tutto per sé, è che non vuole si riproduca la divisione della campagna elettorale sullo sfondamento, per cui taluni puntano al fallimento per poi inscenare il vittimismo e la rottura europea (con il plauso del Cremlino). Sono forze che vogliono ingabbiare una Meloni già impastoiata con le proprie stesse parole sbagliate: si è ancora fermi sulla concorrenza e il 20 aprile si pronuncia la Corte di giustizia sui balneari.
L’interesse dell’Italia è che quegli investimenti riescano. Un dovere da definire e adempiere. Sarebbe interesse comune che anche l’opposizione se ne rendesse conto, anche perché governare dopo un fallimento sarebbe atroce. Ma, riuscendoci, il partito pragmatico di centro diventerà l’attuale destra e quelli che volevano stare al centro verranno sbattuti alla destra protestataria. A quel punto o si fa il salto, portando in Parlamento il dialogo istituzionale, o si resta nella marana delle false alleanze, incapaci di governare.
L'articolo Def-inire. proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
MEPs to call for renegotiation of EU-US data transfer framework
EU lawmakers are set to adopt a non-binding resolution urging the European Commission not to endorse the Data Privacy Framework for transatlantic data flows until fundamental rights concerns are fully addressed. The draft motion, seen by EURACTIV, is expected to...
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile.
Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.
Ministero dell'Istruzione
Dopo il riscontro ottenuto nelle prime tre settimane, l’esposizione de “Il libro del mese” dedicata al Centenario dell’Aeronautica Militare proseguirà fino al 28 aprile. Qui tutti i dettagli ▶️ https://www.miur.gov.Telegram
Hikikomori. Un’indagine in Italia | La Città di Sotto
"I ragazzi e le ragazze in ritiro sociale volontario usano l’isolamento come forma di autodifesa, rispondendo con questa forma di resistenza ai principi, ai dettami, ai tempi e alle forme relazionali di una società che li vuole sempre prestazionali, impeccabili, senza possibilità di errore. Abbiamo voluto accendere una luce sulle loro storie e bussare a quelle porte chiuse. Non per giudicarli, ma per provare a riaccompagnarli al mondo."
Gli stipendi devono crescere poco: il governo Meloni lo ha scritto davvero | L'Indipendente
«Il governo Meloni tutelerà la “moderazione della crescita salariale per prevenire una pericolosa spirale salari-prezzi”, come si legge nel comunicato stampa dell’ultimo Consiglio dei ministri. In poche parole, gli stipendi devono crescere poco perché tanto, prima o poi, l’inflazione si arresterà risolvendo il problema. A pagarne le spese, nel frattempo, è il potere di acquisto degli italiani che per sopravvivere tra inflazione e caro vita devono attingere ai propri risparmi.»
Fr. #26 / Di faide social e spioni
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Elon Musk vs Substack
Paura e delirio nelle strade di Twitter per una faida tra Elon Musk e Substack. Tutto inizia qualche giorno fa, dopo l’annuncio di un nuovo servizio da parte della piattaforma che ospita anche Privacy Chronicles: Substack Notes, una sorta di estensione social che in sarà molto simile al funzionamento di Twitter.
Re Elon non ha preso bene la notizia, iniziando così una serie di azioni di guerriglia contro tutto ciò che è Substack: tweet, menzioni, link. Ad esempio, negli ultimi giorni era impossibile interagire con i tweet contenenti link ad articoli su Substack, e i link stessi venivano identificati come contenuto potenzialmente malevolo. Una censura di massa che ha colpito anche me.
Twitter è fico, ma vogliamo parlare di Privacy Chronicles?
Oggi Elon sembra invece aver cambiato idea, e la situazione è tornata altrettanto velocemente alla normalità. Come mai? È una questione di proprietà privata e incentivi economici.
Come saprete, se c’è una cosa che Elon Musk odia più della concorrenza sono i mass media mainstream, che ricambiano cortesemente. Censurando Substack, una delle primarie fonti d’informazione alternative, Elon ha però finito per agevolare i primi, censurando la voce di milioni di persone che permettono a Twitter di essere quello che è.
Elon ha ragione da vendere a voler intralciare con ogni mezzo un suo competitor, ma non può farlo: censurare Substack significherebbe contraddire i suoi stessi principi e finire per autodistruggere ciò che rende Twitter un social unico nel suo genere.
Nel diventare il Regno di Elon Musk, Twitter oggi ha chiari incentivi economici per essere molto più equilibrato e libero rispetto a quando era invece una democrazia rappresentativa con un Board eletto, che non avendo skin in the game poteva prendere decisioni scellerate senza alcuna conseguenza.
Based FBI
Secondo un dossier FBI intitolato “Involuntary Celibate Violent Extremism” usare termini sui social come “Chad”, “Based”, “Red Pill”, “Stacy” potrebbe farvi finire in una watchlist di persone considerate a rischio di estremismo violento.
Fonte: zerohedge.com/political/fbi-do…
Non è ben chiaro cosa ci faccia l’FBI con queste watchlist, ma dato che ricadono nell’ambito del terrorismo domestico, certamente nulla di buono.
Se i Twitter Files12 ci hanno insegnato qualcosa, è che della buona sorveglianza non va mai sprecata. Attività di questo tipo, agevolate dai social, possono portare a una profilazione politica delle persone che tornerà molto utile durante le prossime elezioni presidenziali.
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Tesla ti spia nel garage
Secondo il Seattle Times i dipendenti di Tesla avrebbero l’abitudine di guardarsi le registrazioni delle telecamere montate sulle Tesla e condividerle tra loro. Sì, anche i video registrati nei cortili di casa.
Per chi non lo sapesse, le automobili Tesla posseggono telecamere in grado di registrare e analizzare l’ambiente circostante grazie a un servizio chiamato Sentry Mode. Con il Sentry Mode l’auto può anche svolgere delle funzioni automatizzate come far suonare l’allarme nel caso in cui il sistema (dotato di algoritmi di machine learning, presumo) identifichi qualcosa come una minaccia. Le registrazioni sono ovviamente disponibili ai tecnici Tesla per diversi motivi, che ci fanno poi un po’ quello che vogliono.
Il Sentry Mode può essere configurato per evitare le registrazioni in alcuni luoghi e può anche essere disattivato, ma tra il dire e il fare… In ogni caso non c’è nessun problema: pare che Tesla abbia iniziato ad avvertire i clienti che il Sentry Mode potrebbe violare le normative sulla privacy.
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Certo è che il concetto di “auto-sorveglianza” assume tutto un altro significato.3
Meme del giorno
Citazione del giorno
“Democracy virtually assures that only bad and dangerous men will ever rise to the top of government.”
Hans-Hermann Hoppe
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Il governo degli Stati Uniti ne è convinto: TikTok è un problema di sicurezza nazionale e va vietato. Il sentimento comune è che il social network di ByteDance potrebbe essere a tutti gli effetti un cavallo di Troia del governo cinese per spiare gli Stati Uniti. Come misura preventiva, già a dicembre l’installazione dell’app è stata vietata su qualsiasi dispositivo federale…
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4 days ago · 5 likes · Matte Galt
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La fuga di documenti segreti sull’Ucraina è la punta dell’iceberg: l’analisi che fa tremare gli Usa. Di @Idart87 su @fanpage
@Politica interna, europea e internazionale
La divulgazione di documenti top secret del Ministero della Difesa Usa su Twitter e Telegram, verificatasi nei giorni scorsi, rappresenta la peggiore violazione della sicurezza nazionale degli ultimi anni, ma si tratta solo della punta dell'iceberg, trattandosi di materiali che avevano iniziato a circolare molto prima che tutto ciò fosse notato.
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Ministero dell'Istruzione
🌊 Oggi, 11 aprile, si celebra la #GiornatadelMare. Il Ministero sarà a Genova il 14 aprile per festeggiare, insieme a 700 studenti e alla Guardia Costiera, questo evento.Telegram