Nella Turchia di Erdoğan con una poesia si rischia l’ergastolo
di Eliana Riva – Pagine Esteri, 12 maggio 2023
Il sogno dell’isolano in cella
[…]
La mia isola è boscosa.
Una foresta di amicizia, cameratismo, cavalleria,
copre tutta la mia isola.
Il sole della grazia illumina l’uomo ventiquattro ore al giorno.
Noi isolani non conosciamo il buio.
Sono un isolano, maledetta cella, isolano.
Giusto. Come potresti conoscere la mia isola, cella millenaria, feudale, militarista.
E tu, che ti muovi e ti gonfi fino a sembrare un bue.
Invidioso mostro rana, conosci la mia isola?
Il mondo è oscuro, un’isola così dove il sole non tramonta mai
non esiste sulla terra.
Giusto, nano delle tenebre, povero disgraziato?
E tu, poeta dei pipistrelli, pietoso Cacomcho?
Non esiste un’isola del genere, né nelle poesie, né nelle fiabe.
Un’isola del genere è contro la natura delle cose.
Non è così per te, poeta delle tenebre?
Quello che dici non è contro la natura delle cose, ma contro la natura delle tenebre.
I nani delle tenebre, i vecchi bisbetici, i farabutti…
Saranno esposti nello zoo della Turchia di domani.
[…]
di Mahir Çayan
Per queste parole pubblicate nel suo libro, per questa poesia di Mahir Çayan, rivoluzionario marxista morto nel 1972, una giovane donna turca è stata accusata di finanziare il terrorismo.
Rischia già 2 ergastoli Ayten Öztürk, confermati in due gradi di giudizio, è ai domiciliari in attesa della sentenza definitiva. È da qui, dalla sua casa di Istanbul, che ha scritto il suo libro “Resistenza e vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, in cui racconta del rapimento, dei 6 mesi di tortura, della prigionia, dei processi farsa.
Abbiamo già parlato di lei su Pagine Esteri, siamo andati a trovarla solo 3 mesi fa, abbiamo raccolto la sua testimonianza, ci ha raccontato tutto quello che ha subito e spiegato perché non intende arretrare. Costi quel che costi.
In Turchia si terranno, tra pochissimi giorni, il 14 maggio, le elezioni. Il partito del presidente Erdoğan, l’Akp, per i sondaggi è al momento secondo, a qualche punto in percentuale di distanza dal Partito Popolare della Repubblica di Kılıçdaroğlu.
Tutto potrebbe accadere. Ma la strada che la Turchia ha da percorrere per raggiungere la democrazia resta un cammino lungo che necessita di un cambiamento di direzione netto. Oggi la Turchia di Erdoğan è quella che in una retata a pochi giorni dal voto arresta 126 persone tra giornalisti, avvocati, artisti, politici, membri della sinistra. L’accusa è sempre la stessa per gli oppositori: terrorismo.
Anche Ayten Öztürk è un’oppositrice politica e fa parte di una minoranza, quella degli aleviti, discriminata e perseguitata dal governo del presidente conservatore.
Nel suo libro “Resistenza e Vittoria. Nei centri di tortura segreti del fascismo”, Ayten ha raccontato la sua storia e ha raccolto pensieri e riflessioni sul suo Paese, la Turchia, sulla sua politica interna e su quella estera. È un libro auto-pubblicato di 313 pagine che comincia così:
“Come le favole, inizio con «C’era una volta»… Ma quello che racconto in questo libro non è una favola. È la verità! Sono esistita e scomparsa in un istante. Questa è la storia di una sparizione durata 6 mesi! L’unica cosa che rimane di me è il filmato della telecamera che mi ha ripreso all’aeroporto libanese, ma il governo del Libano, che ha collaborato con quello turco, ha negato tutto. E così hanno permesso mesi di tortura. Chissà con quali accordi mi hanno consegnata alle autorità turche. Tanto da provare poi a cancellare la mia voce, il mio viso, la mia immagine.
Sei mesi di resistenza dopo il rapimento dal Libano, in una prigione segreta di Ankara, al buio, alla sete, al dolore e alla tortura! Sei mesi di vita che ho perso! A sei mesi il bambino inizia a gattonare. Emette i primi suoni. Le sue mani afferrano gli oggetti. In sei mesi volevano rubarmi la vita, la salute, le aspirazioni.
In sei mesi, hanno cercato di strapparmi a me stessa, ai miei valori e alle mie convinzioni con ogni tipo di tortura: l’elettricità, l’elettroshock, le molestie, il tentativo di stupro, l’abbandono in una bara, l’annegamento, le impiccagioni e le percosse. Ogni parte del mio corpo era livida, gonfia e segnata. Ho perso 25 chili. 898 cicatrici si sono aperte sul mio corpo. Sono stata abbandonata in un campo, in uno stato irriconoscibile.
Perché? Perché sono una rivoluzionaria… Perché lotto per un paese libero, indipendente, uguale e giusto… Perché amo la mia patria, il mio popolo, i miei compagni…”
Ayten si trovava in Siria quando è scoppiata la guerra. Tentava di raggiungere la Grecia facendo scalo a Beirut. All’aeroporto è stata trattenuta e poi consegnata ai servizi segreti turchi cha l’hanno portata,occhi e bocca bendati, ad Ankara. Ci ha raccontato le torture subite, lo sciopero della fame, l’alimentazione forzata e poi l’abbandono in un terreno sul quale la polizia ha finto un casuale ritrovamento. Il direttore del carcere in cui è stata portata si è rifiutato di ammetterla: nonostante nelle ultime settimane fosse stata curata e alimentata forzatamente dai suoi aguzzini, le sue condizioni rimanevano gravi. Così è andata in ospedale, poi in prigione e in fine agli arresti domiciliari.
Rischia due ergastoli con accuse insensate ed è solo in attesa del giudizio definitivo, quello della Corte Suprema. In tribunale è comparso un testimone che l’ha accusata di aver assistito al linciaggio di un uomo, un pedofilo con precedenti penali che è stato aggredito dalla folla. Non è morto. Ayten, dice il testimone, sarebbe stata lì, sul marciapiede opposto a quello dove si stavano svolgendo i fatti e non avrebbe fatto nulla per evitare il pestaggio. Forse anzi, ha dichiarato e poi ritirato il testimone, incitava la folla. Lei nega tutto. Il tribunale l’ha così giudicata: colpevole. E poi ha deciso la condanna: ergastolo.
Il testimone, invece, identificato come uno degli artefici del pestaggio, ha goduto, per la sua dichiarazione, di un importante sconto di pena.
Un altro testimone dice di averla vista nella sede di un’associazione per i diritti umani: l’Associazione per i diritti e le libertà è legale in Turchia e la sede è aperta e accessibile a tutti. Il tribunale l’ha giudicata colpevole di tentare di rovesciare il governo e l’ha condannata all’ergastolo.
Due ergastoli, quindi, confermati in due gradi di giudizio. Tutto dopo aver denunciato le torture. Nonostante ciò, ha continuato a parlare e a denunciare l’accanimento giudiziario, le ingiustizie che sta subendo, così come fanno i suoi avvocati.
Nei primi giorni di Maggio la polizia, che irrompe spesso a casa di Ayten, soprattutto all’alba, ufficialmente per perquisizioni e controlli vari, l’ha interrogata. Sul suo libro, sulla poesia di Mahir Çayan, su ciò che ha scritto sulla Palestina. Una fotografia che Ayten ha pubblicato sui social è stata inclusa come prova nel fascicolo di indagine. Tutte le copie del libro sono state confiscate e la vendita è stata vietata.
È stata avviata un’indagine contro Öztürk per “propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”. Il poema di Çayan è stato considerato propaganda per il Partito popolare di Liberazione-Fronte della Turchia, l’organizzazione che lo stesso Çayan fondò insieme ad altre persone nel 1970. L’organizzazione è stata messa al bando. Come prova a sostegno dell’accusa è stata usata la fotografia a cui prima accennavamo: Ayten è nella sua casa e sul muro alle sue spalle pendono delle immagini. Tra le altre ci sono le foto di Helin Bölek e Ibrahim Gökçek. Erano due musicisti, membri della band Grup Yorum, il famoso gruppo folk fu accusato di sostenere il terrorismo. Una delle loro canzoni parla di Çayan. Pochi giorni prima di morire Gökçek scriveva:
“Sono sempre stato un musicista, e ora mi ritrovo a essere un terrorista. Mi hanno preso che ero un chitarrista, e hanno usato le mie dichiarazioni facendo di me uno strumento. Eravamo un gruppo che si esibiva davanti a un milione di persone, siamo diventati dei terroristi ricercati”.
Helin Bölek e İbrahim Gökçek sono entrambi morti di sciopero della fame dopo essere stati arrestati, sempre con l’accusa di sostenere il terrorismo.
In 4 anni, dal 2016 al 2020 1,6 milioni di persone sono state accusate di terrorismo in Turchia[1].
Secondo la polizia turca, però, non solo Ayten sosterrebbe il Partito popolare di Liberazione ma lo finanzierebbe pure, attraverso i proventi della vendita del volume.
Un’altra accusa formulata a partire dal suo libro è quella di “insincerità”. O meglio, è accusata di aver incolpato il suo Paese (il suo governo, in realtà) di non essere stato sincero.
Nella sua deposizione nell’ambito dell’indagine condotta dall’Ufficio investigativo sul terrorismo e sulla criminalità organizzata dell’ufficio del procuratore generale di Istanbul, Öztürk è stata interrogata anche in merito alle valutazioni fatte sulla Palestina.
Il rapporto stilato dalla polizia fa riferimento a uno specifico passaggio all’interno del libro, nel quale Ayten esprime un proprio giudizio sui rapporti intercorsi tra la Turchia e il popolo palestinese. Il rapporto dice “[nel libro viene riportato] che il nostro Paese non era sincero quando affermava di difendere il popolo palestinese e che ciò che è avvenuto a Davos è stato un inganno”.
Nella città svizzera di Davos si è tenuto, nel 2009, il World Economic Forum. Erdoğan era presente e il 29 gennaiopartecipò a un confronto con l’allora presidente israeliano Shimon Peres. Fu molto contrariato dalla gestione dell’evento da parte del moderatore che concesse a Peres di parlare per 25 minuti. 12 furono riservati ad Erdoğan. Quando l’incontro doveva essere già terminato, il presidente turco continuò a chiedere al moderatore di dargli “un minuto” (per questo l’evento è ricordato anche come “un minuto”), prese la parola e accusò senza mezzi termini il presidente israeliano di essere un assassino:
“…lei presidente Peres, ha un tono di voce molto forte e io credo sia perché si sente colpevole. Tu uccidi persone, ricordo i bambini che hai ucciso sulla spiaggia, ricordo due ex premier del tuo paese che dissero che si sentivano molto felici quando entravano in Palestina sui carrarmati […]. Lo trovo molto triste perché ci sono molte persone lì che vengono uccise”.
Terminata la dichiarazione andò via, dicendo che non sarebbe più tornato a Davos. Nel suo Paese fu accolto come un eroe, con bandiere turche e palestinesi che sventolavano insieme. Come si può immaginare, anche nei Territori Palestinesi Occupati lo scontro retorico tra i due ebbe una grande eco. Nei palestinesi sparsi per il Medio Oriente albeggiò la speranza che potesse essere, Erdoğan, la figura forte che li avrebbe difesi da Israele e dall’occidente. Anche nei campi profughi, dove a centinaia di migliaia vivono i palestinesi dalla Nakba, dal 1948, germogliò timida questa fiducia. Ayten era in Siria quando avvenne il confronto di Davos e viveva la vita del campo profughi di Yarmouk, uno dei campi più grandi e popolosi del Medio Oriente, che avrebbe avuto un triste destino, occupato dall’ISIS negli anni della guerra siriana. Nel suo libro ricorda così il campo:
“Questo quartiere, abitato da giovani che se ne stanno senza far niente negli internet café e agli angoli delle strade, da uomini adulti disoccupati seduti davanti ai portoni a fumare e bere tè e caffè tutto il giorno e da donne con il velo che passano con le borse della spesa in mano, puzza di povertà dall’inizio alla fine. Tanto che lo paragonavo ai quartieri poveri di Istanbul. Purtroppo, quando questa povera gente dal cuore grande ci ha accolto, era inebriata dagli inganni turchi di «one minute» e «Davos». Pochi sapevano che quelle cose avevano lo scopo di ottenere un effetto positivo sui popoli del Medio Oriente per poter realizzare lì i propri progetti. Essere dalla parte del popolo palestinese significa essere contro Israele sionista e l’arcinemica America. Ma i legami militari, politici e commerciali che la Turchia ha sia con Israele che con gli Stati Uniti sono bastati a svelare questo inganno”.
Queste parole, pensieri e testimonianze, scritte in un libro autoprodotto e stampato nell’agosto del 2022, potrebbero rappresentare l’ultimo tassello di un quadro di sopraffazione e violenza che toglie la voce alla vittima e magnifica il carnefice, ragno dalle mille zampe che si trascina con comodità sulle mura vischiose e flaccide di una giustizia che in Turchia semplicemente non esiste.
“Il vero crimine non è raccontare ma torturare” ci ha detto Ayten. “Non c’è nulla nel libro che possa essere considerato un reato. Ma aspetto ancora che si apra un’indagine sui torturatori”.
[1] swp-berlin.org/en/publication/…
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Il Lazio destina 23 milioni alle cliniche private in un enorme caso di conflitto d’interesse | L'Indipendentr
"Lo stupore di fronte alla logica neoliberista ha già da tempo lasciato spazio alla consapevolezza. Destinare 23 milioni di euro non per migliorare la sanità pubblica ma per potenziare quella privata è il chiaro segnale del trionfo dell’ideologia che da circa quarant’anni domina su scala globale. Non stupiscono nemmeno i giochi di potere che si nascondono alle spalle di questi massicci investimenti ai privati."
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PRIVACY DAILY 114/2023
ConCorrenza
Una buona medicina contro l’aumento dei prezzi è la concorrenza. Se non è facile trovare governanti e legislatori disposti a somministrarla è perché gli interessi al mantenimento delle rendite – a danno dei consumatori – sono presenti e attivi, mentre quelli all’apertura della competizione sono futuri e resi inattivi dal non essere compresi e imbrogliati. Dietro questa faccenda, solo in apparenza tecnicamente economica, c’è la ragione per cui cittadini ed elettori che non hanno chiari i propri interessi finiscono con il favorire quelli altrui.
L’aumento dei prezzi non ha una sola origine. Ha un innesco, ma poi concorrono cose diverse. L’inflazione non erode solo il potere d’acquisto: divora anche i risparmi, la ricchezza delle famiglie. E noi italiani siamo grandiosi produttori di risparmi, sicché abbiamo un interesse materiale a volerla bassa, l’inflazione. Se ad aprile la media dell’eurozona era del 7% e da noi dell’8,3%, significa che ci stiamo impoverendo più velocemente di altri. Peccato che lo Stato sia un grandioso produttore di debiti, sicché vederli erodere dall’inflazione non è che gli dispiaccia poi troppo.
Se la massa monetaria – la quantità di moneta in circolazione – è divenuta eccessiva, l’aumento dei tassi d’interesse è un utile rimedio. Difatti tutte le banche centrali occidentali li hanno alzati e annunciano che saliranno ancora. Ma quello strumento non è magico e non è neanche detto che funzioni, senza contare che rendere più costoso il credito non aiuta di certo la crescita economica. Ma c’è almeno un altro fronte che può essere aggredito: quello della formazione dei prezzi. Abbiamo tutti fatto caso a uno sgradevole dettaglio: quando il prezzo di una materia prima cresce, che sia il gas o il grano, immediatamente si alza il prezzo del prodotto finito, che sia il pieno o una spaghettata; quando però il prezzo della materia prima comincia a scendere (e da mesi scendono sia il gas che il grano) non solo il prezzo del prodotto finito si adegua con calma e senza spingere, ma può capitare che non si adegui affatto o che, come è il caso della pasta, cresca. Su quel fronte lì il tasso d’interesse non sposta un capello.
Da noi esiste un ufficio denominato “Mister prezzi”. Non so quale sia il suo costo complessivo, ma so che sono soldi buttati. Fare il controllore dei prezzi presuppone una conoscenza e una tempestività d’intervento che esclude il controllore possa far altro che inutilmente bofonchiare. La concorrenza al contrario funziona: se un produttore tiene a lungo i prezzi alti si genera la convenienza di un altro produttore a fregargli il mercato praticando un prezzo inferiore; se un negoziante specula sui prezzi, approfittando dell’inflazione per aggiungere un personale sovrappiù arrotondante, il negoziante vicino farà sapere che i suoi prezzi sono più bassi e attirerà parte della clientela del concorrente. E così via. Il presupposto di questo gioco virtuoso è l’informazione, ovvero il conoscere i prezzi del giorno in posti diversi. Nell’era del digitale è tecnicamente facile e a sua volta attività lucrosa. La conseguenza del gioco è un calo dei prezzi, quindi una efficace azione contro l’inflazione. E, del resto, veniamo da molti anni con inflazione bassissima perché la (benedetta) globalizzazione ha ampliato la platea dei competitori, facendo precipitare i prezzi di molti prodotti.
Allora perché non ci sono le manifestazioni di piazza a favore della concorrenza? Perché l’interesse di chi è più forte è quello di evitarla, potendo così pelare i clienti, ma siccome non può dirlo in questi termini inventa trincee che evochino racconti diversi, come quella dei balneari o dei tassisti. Sicché chi approfitta si fa passare per vittima e le vittime è già tanto se non si sentono dei profittatori. Ora arriva il caldo e il prezzo del medesimo ombrellone dell’anno scorso sarà più alto. Buona inflazione e buon impoverimento ai bagnanti che non hanno capito e difeso il loro interesse. Quello alla concorrenza.
L'articolo ConCorrenza proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
La Cina firma un accordo di libero scambio con l’Ecuador
di Redazione
Pagine Esteri, 11 maggio 2023 – L’Ecuador e la Cina hanno firmato un accordo di libero scambio, approfondendo i legami tra il paese andino e la seconda economia più grande del mondo e frustrando l’opposizione degli Stati Uniti alla crescente influenza di Pechino nella regione.
Stando al Ministero dell’Economia di Quito, l’accordo dovrebbe aumentare le esportazioni non petrolifere dell’Ecuador nei prossimi 10 anni dai 3 ai 4 miliardi di dollari. Il trattato consentirà l’accesso preferenziale del 99% delle esportazioni dell’Ecuador verso la Cina, riguardando soprattutto prodotti agricoli e agroindustriali tra cui gamberetti, banane, fiori recisi, cacao e caffè.
La Cina è già il principale partner commerciale non petrolifero dell’Ecuador ed è diventata una fonte di finanziamento sempre più importante per il paese latinoamericano, nel quale ha finanziato numerose infrastrutture. Gli Stati Uniti sono invece il maggiore partner commerciale dell’Ecuador per quanto concerne gli scambi petroliferi.
Washington ha cercato di contrastare la crescente influenza di Pechino in America Latina, dove la Cina ha già firmato accordi di libero scambio con Perù, Cile e Costa Rica.
«Questa è un’opportunità per ampliare la cooperazione» ha affermato il ministro del commercio cinese Wang Wentao, apparso da Pechino in collegamento video. Ma l’accordo, che deve ancora essere ratificato dall’assemblea nazionale dell’Ecuador, rischia di incontrare forti resistenze nel paese. Il presidente Guillermo Lasso affronta il possibile impeachmentda parte del congresso guidato dall’opposizionecon l’accusa di appropriazione indebita. Con un processo previsto per la prossima settimana, il presidente potrebbe non essere più in carica quando l’accordo sarà discusso dal parlamento.
Paradossalmente Lasso è un conservatore filoamericano che ha cercato di approfondire i legami commerciali e di attirare maggiori investimento dagli Stati Uniti, ma il suo ambasciatore a Washington, Ivonne Baki, nel 2021 si era lamentato del fatto che l’amministrazione Biden non prestava sufficiente attenzione all’Ecuador e non capiva l’urgenza di aiutare il suo alleati in America Latina. Negli ultimi mesi, quindi, il suo governo ha cercato un aumento delle relazioni commerciali con Pechino, già molto consistenti.
La Cina è diventata il partner finanziario più importante dell’Ecuador negli ultimi dieci anni, a partire dal mandato dell’ex presidente di sinistra Rafael Correa, che è stato in carica dal 2007 al 2017.
Lasso in questi anni ha anche tentato di ottenere la firma di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti ma con scarsi risultati. – Pagine Esteri
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Intervista a Davide Dormino lo scultore autore dell'opera ‘Anything to Say?’ L’opera d’arte per Assange, Snowden e Manning
Dai più piccoli borghi del Belpaese alla Città Eterna, da Parigi all’Est-Europa, dalla vicina Svizzera fino alla terra dei canguri: queste solo alcune delle tappe che dal 2015 Davide Dormino – artista e scultore romano – ha percorso per esporre nelle maggiori piazze la sua opera più importante. Si chiama Anything to Say? ed è una scultura in bronzo a grandezza naturale raffigurante Julian #Assange, Edward #Snowden e Chelsea #Manning, ciascuno in piedi su una sedia. Al loro lato ce n’è una quarta, questa volta vuota per invitare noi spettatori a salire al fianco di coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare le peggiori malefatte dei governi mondiali. Ma quali importanti incontri hanno scaturito l’idea dell’opera? Quanto tempo e sacrifici ci sono voluti per realizzarla?
L'articolo completo
Intervista all’autore di ‘Anything to Say?’ L’opera d’arte per Assange, Snowden e Manning - L'INDIPENDENTE
Dai più piccoli borghi del Belpaese alla Città Eterna, da Parigi all’Est-Europa, dalla vicina Svizzera fino alla terra dei canguri: queste solo alcune delle tappe che dal 2015 Davide Dormino - artista e scultore romano - ha percorso per esporre nelle…Iris Paganessi (Lindipendente.online)
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DeButtare
Si parla dei giovani come fossero soggetti deboli da sostenere. Li si descrive un giorno come assopiti sul divano e il giorno appresso come in fuga verso un indeterminato “estero”. Si generalizza facendo a gara nel cordoglio, nel crucciarsi per l’alloggio non confortevole o rattristarsi nel caso la loro vita sia lacerata dal sopruso di una bocciatura. Li si vuole conservare nei luoghi comuni perché questo è il modo migliore per non essere costretti a cambiamenti per il bene comune. Eppure ci sono dati che urlano la distanza fra la realtà e la sua rappresentazione.
Per qualche giorno si giocherà al piccolo costituzionalista, lasciando immaginare che se ci fosse l’intesa la via sarebbe in discesa. In realtà è lunga e nel suo scorrere si farà a tempo a dimenticarsene molte volte. Ma sarebbe un raggiro lasciar supporre che possa trovarsi nella riscrittura della Carta la chiave per ricondurre ai fatti forze politiche e culturali in fuga dalla realtà.
La disoccupazione italiana è nell’intorno dell’8%, quella giovanile supera il 22%. Tolta la crescente quota di quelli che non studiano e non lavorano – che il politicamente corretto vuole che siano compatiti e inducano tristezza, laddove sarebbe bene scuoterli con indignazione avvertendoli che ciascuno di noi ha un ruolo nella propria vita, che dare la colpa a “la società” o “il sistema” è il modo migliore per perdere senza neanche gareggiare – i giovani cercano lavoro e le aziende cercano lavoratori. Ma gli uni e le altre continuano a cercare. Per forza, avvertono quelli per cui è sempre colpa degli altri: le paghe sono troppo basse. Questo è però l’ultimo dei problemi.
In un Paese in cui lavora il 60,2% della popolazione attiva, dovendo mantenere gli altri il costo del lavoro sarà alto e le paghe basse. Per sempre. Se si aumenta il costo del lavoro si va fuori mercato, se si diminuisce il cuneo fiscale a debito si va fuori di testa. Si deve lavorare più numerosi, più produttivamente e più a lungo. Il che fa bene anche alla morale. L’insulto non sono le paghe basse – che cominciammo tutti con tre soldi – ma la protezione dei garantiti, il mettere in conto ai giovani pensioni che non avranno mai, una scuola poco formativa, un mondo del lavoro poco meritocratico, quindi la prospettiva inaccettabile che la paga resti povera a lungo.
Nonostante questo e i disoccupati, a smentire il luogo comune dei divanati mantenuti c’è il fatto che molti giovani lavorano. Nelle condizioni date. E uno studio dell’Istituto Piepoli avverte che, udite udite, sono anche soddisfatti. Il 55% è preoccupato per l’assenza di lavoro. Ma fra i lavoratori compresi fra 16 e i 26 anni il 38% si dichiara soddisfatto e ammette di avere scoperto un lavoro cui non pensava e in cui si trova bene, il 28% è soddisfatto perché sta facendo il lavoro per cui ha studiato, per il 18% è quello che avrebbe sempre voluto fare, mentre il 16% non è soddisfatto manco per niente. Dentro questo 16% la metà lamenta la paga bassa. Ora prendete giornali e discussione politica e ditemi se le due cose si somigliano. Manco da lontano. C’è un abisso fra chi parla del lavoro e chi lavora veramente.
La scena è occupata dal partito unico della spesa pubblica, secondo cui basta dare di più per diffondere felicità. Che poi tocchi pagare è triste ovvietà occultata. Non mancano i giovani in gamba: manca loro la libertà di crescere, di competere e di vincere. Chi emigra non cerca protezioni ma opportunità. Si deve aprirle loro anche dentro ai confini, il che farebbe crescere la ricchezza di tutti. Non saranno la Repubblica presidenziale o il premierato (ammesso che chi ne parla li distingua) ad aprire il mercato, ma la concorrenza, la preparazione e l’innovazione. Se politica e giornali preferiscono parlare di divani, attendati, sfiduciati è perché capiscono che quelli li aiuteranno a conservarsi. Mentre quanti sono capaci di camminare e correre senza compatimenti potrebbero essere presi dalla sindrome del debuttante, che s’accorge di potere buttare via quel che gli ostruisce la strada.
L'articolo DeButtare proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
SHIREEN ABU AKLEH. CPJ: Israele non ha indagato seriamente sull’uccisione di 20 giornalisti
della redazione
Pagine Esteri, 11 maggio 2023 – Nel giorno del primo anniversario dell’uccisione a Jenin della giornalista di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, colpita da fuoco israeliano, il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) accusa Israele di non aver indagato adeguatamente sull’uccisione attribuita alle sue forze armate di almeno 20 giornalisti dal 2001, in prevalenza palestinesi. Secondo il CPJ la morte dei giornalisti e le indagini insufficienti costituiscono una “grave minaccia alla libertà di stampa”.
Nel caso di Abu Akleh, colpita alla testa durante un raid israeliano nel campo profughi di Jenin, il rapporto del CPJ rileva che “finora nessuno è stato ritenuto responsabile” della sua morte, aggiungendo che l’uccisione dela giornalista “non è stata un evento isolato”. Il Comitato aggiunge che dal 2001, 18 palestinesi e due giornalisti europei – uno italiano (Raffaele Ciriello) e uno britannico – sono stati uccisi dal fuoco militare israeliano e nessuno è mai stato rinviato a giudizio.
“Il grado con cui Israele indaga sugli omicidi di giornalisti dipende in gran parte dalla pressione esterna. Ci sono state indagini superficiali sulla morte di giornalisti con passaporti stranieri, ma questo è raramente accaduto per i giornalisti palestinesi uccisi. Alla fine, nessuno ha visto alcuna parvenza di giustizia”, denuncia Sherif Mansour, coordinatore del CPJ per il Medio Oriente.
Il portavoce dell’Esercito israeliano ha risposto all’accusa sostenendo che le sue forze non hanno preso di mira di proposito i giornalisti uccisi che erano presenti durante “manifestazioni violente” o “attacchi armati”. Ha aggiunto che queste uccisioni sono state indagate regolarmente.
Dal 2014 nelle forze armate israeliane esisterebbe un sistema di “valutazioni conoscitive dei fatti” sulle morti dei civili che possono trasformarsi in un’indagine penale da parte dell’avvocato generale militare. Ma nei nove anni da quando il sistema è stato istituito, nessun caso riguardante la morte di un giornalista è arrivato a un procedimento penale e nessun soldato è mai stato ritenuto responsabile.
Oltre a quello di Shireen Abu Akleh il rapporto cita in particolare le uccisioni del video giornalista palestinese Yasser Murtaja e del giornalista freelance Ahmed Abu Hussein, entrambi colpiti da cecchini israeliani in incidenti separati mentre coprivano le proteste palestinesi presso la recinzione di Gaza nel 2018. Il sindacato dei giornalisti palestinesi all’epoca accusò Israele di averli presi di mira “deliberatamente”.
L’esercito israeliano ha replicato che i due giornalisti erano “presumibilmente presenti sulla scena di violenti disordini” e “non è stato riscontrato alcun sospetto che giustificherebbe l’apertura di un’indagine penale” nei confronti dei soldati.
Nel caso di Murtaja, il CPJ afferma che l’allora ministro della difesa israeliano Avigdor Liberman passò settimane “cercando di screditare il giornalista” affermando che era un membro dell’ala armata del gruppo militante Hamas, senza presentare alcuna prova.
Nel caso di Abu Hussein, attivisti per i diritti umani presentarono una richiesta di indagine sulla sua morte. Ma l’Esercito israeliano ha chiuso il caso due anni dopo senza interrogare alcun testimone, affermando che non vi è stato alcun intento criminale da parte dei suoi soldati.
Secondo il diritto internazionale, l’uso di armi da fuoco da parte delle forze di sicurezza contro i civili è definito come una misura di ultima istanza e può avvenire solo per fermare una “minaccia imminente di morte o lesioni gravi”. Pagine Esteri
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Einaudi: il pensiero e l’azione – “L’uomo” con Paolo Silvestri
Ministero dell'Istruzione
ITS: nell’ambito delle riforme previste dal #PNRR il Ministero dell’Istruzione e del Merito e la Conferenza Stato-Regioni e Province Autonome hanno raggiunto l’intesa sui primi tre decreti attuativi della legge 99/22 sul sistema terziario dell’Istruz…Telegram
La mafia è digitale: così la criminalità prolifera sui social network | L'Indipendente
«Le mafie, estremamente abili a trovare metodi all’avanguardia per pubblicizzarsi e comunicare nel mondo digitale, sono sempre più “influencers” della rete. È quanto spiega il nuovo report della Fondazione Magna Grecia, presieduta da Nino Foti, a cura di Marcello Ravveduto (professore di Digital Public History dell’Università di Salerno), in cui sono stati analizzati di 90 GB di video TikTok, due milioni e mezzo di tweet, 20mila commenti a video YouTube e centinaia fra profili e pagine di Facebook e Instagram.»
European Youth Parliament a Ragusa: La Fondazione Einaudi sostiene il Parlamento Europeo Giovani
La Fondazione Luigi Einaudi parteciperà alla Sessione Regionale del Parlamento Europeo Giovani che si terrà a Ragusa dal 12 al 14 maggio.
L’evento avrà come protagonisti circa 70 studenti delle scuole superiori della Regione Siciliana e uno staff internazionale composto da giovani provenienti da tutta Europa. L’obiettivo è promuovere la cultura delle istituzioni come luogo delle soluzioni, dell’Europa come casa unitaria dei nostri valori, del confronto e della diversità come uniche stelle polari della crescita sociale. Si tratterà di un evento nel quale giovanissimi studenti avranno l’opportunità di assumere nuove competenze vestendo pienamente il ruolo di Europarlamentari e simulando una sessione dell’Europarlamento, crescendo così nella convinzione del rispetto delle posizioni altrui e confrontandosi con tematiche importanti della legislazione europea attinenti ad un più generale tema, il potere del progresso e dell’innovazione.
Le 8 tematiche che verranno affrontate a Ragusa2023 nelle altrettante commissioni saranno legate al più generale tema del potere del progresso e dell’innovazione. La Fondazione Einaudi, oltre a sostenere interamente l’iniziativa con il suo patrocinio e ad essere dunque partner dell’evento, parteciperà ai lavori della Commissione nella persona dell’Avv. Gian Marco Bovenzi, project manager della stessa.
L’evento è articolato in tre fasi principali: nel corso del Teambuilding i ragazzi imparano a conoscere i propri compagni di commissione mediante una serie di giochi e di attività interattive che mirano a rompere il ghiaccio e a creare un forte spirito di gruppo; durante il Committee Work ci si confronta e si riflette su una tematica specifica insieme ai propri compagni di commissione, analizzando i problemi e le sfide ad essa legate per poi proporre soluzioni in merito e giungere alla stesura di una risoluzione scritta; ogni commissione presenta poi le proprie proposte nella parte conclusiva della sessione, l‘Assemblea Generale. Dopo una fase di dibattito durante la quale i delegati possono sollevare punti dal posto o tenere discorsi al podio, ogni risoluzione viene messa ai voti.
Per scaricare il pdf del programma clicca sul link: Scheda Progetto Ragusa2023
L'articolo European Youth Parliament a Ragusa: La Fondazione Einaudi sostiene il Parlamento Europeo Giovani proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
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AI Act: Lead committees to ban facial surveillance in Europe
Today, the two lead committees of the European Parliament voted to fully ban biometric mass surveillance in Europe’s public spaces, namely by using the controversial facial recognition technology. The decision was taken by 57:36:10 votes. The committees also voted to ban Clearview AI-type facial recognition databases, biometric categorisation and emotion recognition in the proposed EU Act on Artificial Intelligence, as long advocated for by Pirate Party MEPs. The committee vote will need to be confirmed by all lawmakers in a plenary vote, and the Parliament will then need to negotiate a compromise with the second chamber representing national governments.
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party and Greens/EFA leader of the campaign for a ban on biometric mass surveillance, comments:
“Today’s vote is a historic breakthrough for the movement to prevent a China-style dystopian future of biometric mass surveillance in Europe. There is no evidence whatsoever that this error-prone technology ever found a single terrorist. We will continue to fight against facial surveillance technology in our public spaces, because they wrongfully report large numbers of innocent citizens, systematically discriminate against under-represented groups and have a chilling effect on a free and diverse society. In the upcoming plenary vote, monitoring our behavior in public to report us for allegedly ‘abnormal’ activity needs to be added to the list of bans. This mass surveillance technology, which the French government plans to bring to Europe, chills diversity and pushes us into conformity, which is the opposite of the open society we want to live in.“
Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament and opinion rapporteur for the AI Act in the CULT Committee, comments:
“I believe that prohibiting real-time facial recognition systems, social credit scoring systems, or setting clear rules for technology to monitor students during online tests (e-proctoring) are the main achievements of the negotiated compromise on the AI Act. According to the new rules, artificial intelligence systems will not be able to discriminate against people or violate fundamental human rights. Especially e-proctoring systems became very popular in recent years with the rise of remote learning due to the COVID-19 pandemic. They can evaluate outputs from the camera and microphone on the student’s device, which can lead to mistaken conclusions about a student’s behavior. For example, the system may discriminate against people from poorer backgrounds who live in noisy environments or mistakenly identify a student with a disability or darker skin as cheating. That is why I am happy I was able to achieve including those technologies into the high risks category of AI systems.”
Full text adopted: europarl.europa.eu/meetdocs/20… (bans on p. 128 pp.)
PRIVACY DAILY 113/2023
Costi e requisiti. Perché Abu Dhabi rinuncia agli elicotteri Airbus
Il governo degli Emirati arabi uniti ha terminato un contratto con Airbus Helicopters per l’acquisto degli elicotteri H225. Ad annunciarlo, in una intervista a Breaking Defense, Muammar Abdulla Abushehab, il capo del settore affari industriali per la Difesa e sicurezza del Tawazun council, l’autorità emiratina per le acquisizioni destinate alle Forze armate e alla polizia di Abu Dhabi. Il contratto, da quasi ottocento milioni di euro, prevedeva l’acquisto di dodici H225 Caracal, elicotteri multiruolo prodotti dal gigante aerospaziale francese Airbus. Il contratto venne siglato nel dicembre del 2021, in occasione della visita del presidente francese. Il Caracal è la versione militare dell’elicottero H225 di Airbus, capace di essere equipaggiato con diversi tipi di sistemi d’arma, da mitragliatori a razzi antinave. Attualmente è in servizio con le forze armate francesi ed è esportato in undici Paesi.
Le difficoltà del contratto
“Abbiamo riscontrato delle difficoltà del proseguire con il contratto per via degli alti costi per il ciclo di vita, le limitazioni nell’adattamento a un design modulare per i futuri requisiti di missione, e le complessità tecniche della proposta”, ha specificato ancora Abushehab. Secondo il funzionario del Tawazun, ente indipendente che lavora affianco al ministero della Difesa emiratino e che ha tra i compiti quello di esplorare le ripercussioni sull’innovazione tecnologica dei programmi, la cancellazione non è un atto politico, ma basato esclusivamente su ragioni tecniche e finanziarie. “L’azienda non aveva la seria motivazione di rispondere alle nostre richieste per soddisfare le pressanti esigenze del governo – ha detto il funzionario emiratino – e il mancato raggiungimento degli obiettivi di valore aggiunto per il Paese è stato un altro fattore che ha portato alla decisione di rescindere il contratto”.
Sviluppo emiratino
Per Abushehab “in questo momento, il nostro obiettivo principale è sviluppare valore all’interno del Paese attraverso tutte le operazioni che intraprendiamo in collaborazione con i nostri partner locali e internazionali”. Infatti, tra gli obiettivi del Tawazun c’è anche quello di assicurarsi che tutti i progetti e le operazioni di acquisizione possano sostenere e generare proprietà intellettuale, ricerca e sviluppo o linee di produzione all’interno dello stato emiratino. I contratti stretti finora dal Consiglio con tutti i principali appaltatori della Difesa, tra cui è presente l’italiana Leonardo, oltre a Raytheon, Boeing, Saab, L3 Harris e altre, prevedono il sostegno a progetti di sviluppo all’interno dei laboratori degli Emirati Arabi Uniti. “Gli appaltatori della difesa possono ora ottenere crediti di compensazione partecipando ad attività economiche che stimolano l’economia locale, accelerano il trasferimento di tecnologia e know-how, offrono opportunità di lavoro e formazione e migliorano la catena di approvvigionamento”, ha infatti concluso Abushehab.
Clearview AI data use deemed illegal in Austria, however no fine issued
L'utilizzo dei dati di Clearview AI è considerato illegale in Austria, ma non è stata comminata alcuna multa La DPA austriaca ha deciso: Clearview AI, l'azienda che vende software di riconoscimento facciale alle forze dell'ordine negli Stati Uniti, non può più elaborare dati biometrici.
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PRIVACY DAILY 112/2023
#30 / Sì, la privacy è un feticcio
Il feticcio della privacy
Il ministero dell’Interno ha recentemente annunciato di voler potenziare l’apparato di sorveglianza italiano introducendo sistemi di videosorveglianza con riconoscimento facciale nelle stazioni. Lo scopo è, come sempre, garantire più sicurezza.
Qualche giorno dopo Repubblica ha pubblicato un articolo a firma di Andrea Monti, giurista e professore universitario, intitolato “Il feticcio della privacy e le polemiche sul riconoscimento facciale”.
Se anche tu ami il feticcio della privacy, che aspetti a iscriverti?
Nell’articolo Monti cerca di spiegarci i motivi giuridici e tecnici per cui dovremmo accettare ogni proposta di sorveglianza “per la sicurezza” pacatamente e passivamente: è fuori discussione che il superiore interesse dello Stato e la tutela della collettività non possano essere globalmente limitati “in nome della privacy, dice Monti.
Il prof. Monti non è certo un paladino della privacy, che ha definito come “feticcio” più di una volta, arrivando anche ad affermare che non esiste come diritto autonomo, nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani affermi il contrario. In ogni caso, non è questo il punto.
Il prof. Monti infatti ha ragione da vendere: “opporsi all’impiego di tecnologia per garantire la sicurezza perché qualcuno potrebbe abusarne equivale ad affermare di non avere fiducia nelle istituzioni. Se così fosse, allora la inevitabile conseguenza logica di questa posizione sarebbe il dover entrare in clandestinità per rovesciare uno Stato che ha tradito gli ideali democratici. Chi ha il coraggio di fare un’affermazione del genere lanci il primo tweet”.
La sfiducia verso le “istituzioni” è esattamente il motivo per cui è lecito opporsi alla diffusione incontrollata di tecnologie di sorveglianza nelle nostre città. Di esempi di abuso ce ne sono molti, e non serve guardare lontano per comprendere il modo in cui un governo possa abusare dei suoi poteri di sorveglianza per opprimere determinati gruppi politici o minoranze. E ricordiamolo: la più piccola minoranza al mondo è l’individuo.
E se i governi cambiano nel tempo, ricordiamoci che una telecamera è invece per sempre. Le telecamere nelle nostre città aumentano sempre e non diminuiscono mai: la Cina, che continua a installare telecamere, è arrivata ad averne quasi 600 milioni.
Chi può assicurarci che la fiducia verso le istituzioni venga ripagata? Chi può assicurarci che fra 5, 10, 50 anni i sistemi di sorveglianza costruiti e potenziati nel tempo non saranno mai usati e abusati da qualcuno? Chi può assicurarci che lo Stato, in un determinato momento storico, non abbia il potere e l’incentivo di perseguire e opprimere milioni di persone per ciò che pensano o fanno? D’altronde, la storia ci insegna che è molto facile giustificare qualsiasi atrocità sotto l’egida della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico.
Affermare la supremazia dell’interesse di Stato e della collettività (che non esiste) sui diritti individuali, come la privacy, equivale a dire che alcuni uomini — i più violenti tra noi — hanno il diritto assoluto di disporre totalmente di tutti gli altri, giustificando così qualsiasi abuso e oppressione.
Sì, la privacy è un feticcio — un ostacolo al potere, che altrimenti sarebbe illimitato. È anche l’unico modo per vivere un’esistenza libera e morale. Senza privacy non può esserci alcuna libertà. Alla provocazione del prof. Monti non si può quindi che rispondere così:
We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.—That to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed, —That whenever any Form of Government becomes destructive of these ends, it is the Right of the People to alter or to abolish it, and to institute new Government.
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Tornano le tessere della fame
Da luglio 2023 saranno attive in Italia ben 1.300.000 “carte acquisti” per la spesa. Saranno postepay ricaricabili e daranno diritto di acquistare fino a €380 di beni alimentari autorizzati dal Ministero. Saranno ad esempio esclusi gli alcolici.
L’attribuzione delle nuove tessere annonarie passerà dai Comuni, che tramite INPS avranno a disposizione l’elenco dei beneficiari. I Comuni dovranno quindi verificare le anagrafiche e le informazioni relative ai nuclei familiari per assegnare le tessere ai più meritevoli — cioè coloro che casualmente possiedono i criteri arbitrari fissati per legge.
E se tra ordine pubblico e privacy vince sempre l’ordine pubblico, lo stesso può dirsi tra welfare e privacy. Ma noi eretici lo sappiamo bene: non esistono pasti gratis, e prima o poi arriverà qualcuno a chiedere il conto.
Exposed
Anche quest’anno torna Privacy Week, che non è più soltanto il più bell’evento nazionale su privacy e tecnologia, ma ora anche una piattaforma per la fruizione di contenuti on-demand come newsletter, podcast, webinar e molto altro.
Intanto è già uscito il primo episodio del nostro podcast: Exposed.
Ascolta il primo episodio di Exposed, il Podcast di Privacy Week
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Meme del giorno
Citazione del giorno
There's no way to rule innocent men. The only power any government has is the power to crack down on criminals. Well, when there aren't enough criminals one makes them. One declares so many things to be a crime that it becomes impossible for men to live without breaking laws. Who wants a nation of law-abiding citizens? What's there in that for anyone?
Ayn Rand
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Anche il Ministero si unisce alle celebrazioni con un evento che vedrà la partecipazione di 80 tra studenti e docenti in arrivo da tutta Italia, protagonisti di un laboratorio di tre giorni, che si concluderà proprio…
MA.CA.BRO -MECHANÈ
Secondo disco per i Ma.Ca.Bro, al secolo il duo Stefano Danusso e Cristiano Lo Mele il chitarrista dei Pertubazione, intitolato Mechanè. I due musicisti vantano una lunga militanza sulla scena musicale italiana, e si sono incontrati all’inizio degli anni duemila grazie al musicista Totò Zingaro e da quel momento hanno cominciato a collaborare componendo colonne sonore molto valide come “La passione di Anna Magnani” di Enrico Cerasuolo, “Manuale di storie dei cinema” di Stefano D’Antuono e Bruno Ugioli,“Linfe” di Lucio Viglierchio, “Incontro con le macchine” di Alessandro Bernard,“Phonetrip” di Moomie. #elettronica #chitarre #minimalismo #colonnesonore #macabro #mechanè @icebergrecords
Ma.Ca.Bro -Mechanè 2023
Ma.Ca.Bro -Mechanè - Ma.Ca.Bro -Mechanè : Una raccolta molto interessante ed intrigante, un lavorio sonoro e mentale che non è facile da trovare di tale livello. - Ma.Ca.BroMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
Pier Paolo Pasolini - Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia - 10/06/1974
2 giugno: sull'«Unità» in prima pagina c'è il titolo delle grandi occasioni e suona: «Viva la repubblica antifascista.»
Certo, viva la repubblica antifascista. Ma che senso reale ha questa frase? Cerchiamo di analizzarlo.
Essa in concreto nasce da due fatti, che la giustificano del resto pienamente: 1) La vittoria schiacciante del «no» il 12 maggio, 2) la strage fascista di Brescia del 28 dello stesso mese.
La vittoria del «no» è in realtà una sconfitta non solo di Fanfani e del Vaticano, ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista. Perché? Fanfani e il Vaticano hanno dimostrato di non aver capito niente di ciò che è successo nel nostro paese in questi ultimi dieci anni: il popolo italiano è risultato - in modo oggettivo e lampante - infinitamente più «progredito» di quanto essi pensassero, puntando ancora sul vecchio sanfedismo contadino e paleoindustriale.
Ma bisogna avere il coraggio intellettuale di dire che anche Berlinguer e il partito comunista italiano hanno dimostrato di non aver capito bene cos'è successo nel nostro paese negli ultimi dieci anni. Essi infatti non volevano il referendum; non volevano la «guerra di religione» ed erano estremamente timorosi sull'esito positivo delle votazioni. Anzi, su questo punto erano decisamente pessimisti. La «guerra di religione» è risultata invece poi un'astrusa, arcaica, superstiziosa previsione senza alcun fondamento.
Gli italiani si sono mostrati infinitamente più moderni di quanto il più ottimista dei comunisti fosse capace di immaginare. Sia il Vaticano che il Partito comunista hanno sbagliato la loro analisi sulla situazione «reale» dell'Italia.
Sia il Vaticano che il partito comunista hanno dimostrato di aver osservato male gli italiani e di non aver creduto alla loro possibilità di evolversi anche molto rapidamente, al di là di ogni calcolo possibile.
Ora il Vaticano piange sul proprio errore. Il pci invece, finge di non averlo commesso ed esulta per l'insperato trionfo.
Ma è stato proprio un vero trionfo?
Io ho delle buone ragioni per dubitarne. Ormai è passato quasi un mese da quel felice 12 maggio e posso perciò permettermi di esercitare la mia critica senza temere di fare del disfattismo inopportuno.
La mia opinione è che il cinquantanove per cento dei «no», non sta a dimostrare, miracolisticamente, una vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia: niente affatto: esso sta a dimostrare invece due cose:
1) che i «ceti medi» sono radicalmente - direi antropologicamente - cambiati: i loro valori positivi non sono più i valori sanfedisti e clericali ma sono i valori (ancora vissuti solo esistenzialmente e non «nominati») dell'ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. E' stato lo stesso Potere - attraverso lo «sviluppo» della produzione di beni superflui, l'imposizione della smania del consumo, la moda, l'informazione (soprattutto, in maniera imponente, la televisione) - a creare tali valori, gettando a mare cinicamente i valori tradizionali e la Chiesa stessa, che ne era il simbolo.
2) che l'Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c'è più, e al suo posto c'è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tipo che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante ecc.).
Il «no» è stato una vittoria, indubbiamente. Ma la reale indicazione che esso dà è quella di una «mutazione» della cultura italiana: che si allontana tanto dal fascismo tradizionale che dal progressismo socialista.
Se così stanno le cose, allora, che senso ha la «strage di Brescia» (come già quella di Milano)? Si tratta di una strage fascista, che implica dunque una indignazione antifascista? Se son le parole che contano, allora bisogna rispondere positivamente. Se sono i fatti allora la risposta non può essere che negativa; o per lo meno tale da rinnovare i vecchi termini del problema.
L'Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. E' questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L'Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neo-fascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano.
Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un'organizzazione culturale arcaica, all'organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini.
L'omologazione «culturale» che ne è derivata riguarda tutti: popolo e borghesia, operai e sottoproletari. Il contesto sociale è mutato nel senso che si è estremamente unificato. La matrice che genera tutti gli italiani è ormai la stessa. Non c'è più dunque differenza apprezzabile - al di fuori di una scelta politica come schema morto da riempire gesticolando - tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili. Nel comportamento quotidiano, mimico, somatico non c'è niente che distingua - ripeto, al di fuori di un comizio o di un'azione politica - un fascista da un antifascista (di mezza età o giovane: i vecchi, in tal senso possono ancora esser distinti tra loro). Questo per quel che riguarda i fascisti e gli antifascisti medi. Per quel che riguarda gli estremisti, l'omologazione è ancor più radicale.
A compiere l'orrenda strage di Brescia sono stati dei fascisti. Ma approfondiamo questo loro fascismo. E' un fascismo che si fonda su Dio? Sulla Patria? Sulla Famiglia? Sul perbenismo tradizionale, sulla moralità intollerante, sull'ordine militaresco portato nella vita civile? O, se tale fascismo si autodefinisce ancora, pervicacemente, come fondato su tutte queste cose, si tratta di un'autodefinizione sincera? Il criminale Esposti - per fare un esempio - nel caso che in Italia fosse stato restaurato, a suon di bombe, il fascismo, sarebbe stato disposto ad accettare l'Italia della sua falsa e retorica nostalgia? L'Italia non consumistica, economa e eroica (come lui la credeva)? L'Italia scomoda e rustica? L'Italia senza televisione e senza benessere? L'Italia senza motociclette e giubbotti di cuoio? L'Italia con le donne chiuse in casa e semi-velate? No: è evidente che anche il più fanatico dei fascisti considererebbe anacronistico rinunciare a tutte queste conquiste dello «sviluppo». Conquiste che vanificano, attraverso nient'altro che la loro letterale presenza -
divenuta totale e totalizzante - ogni misticismo e ogni moralismo del fascismo tradizionale.
Dunque il fascismo non è più il fascismo tradizionale. Che cos'è, allora?
I giovani dei campi fascisti, i giovani delle SAM, i giovani che sequestrano persone e mettono bombe sui treni, si chiamano e vengono chiamati «fascisti»: ma si tratta di una definizione puramente nominalistica. Infatti essi sono in tutto e per tutto identici all'enorme maggioranza dei loro coetanei. Culturalmente, psicologicamente, somaticamente - ripeto - non c'è niente che li distingua. Li distingue solo una «decisione» astratta e aprioristica che, per essere conosciuta, deve essere detta. Si può parlare casualmente per ore con un giovane fascista dinamitardo e non accorgersi che è un fascista. Mentre solo fino a dieci anni fa bastava non dico una parola, ma uno sguardo, per distinguerlo e riconoscerlo.
Il contesto culturale da cui questi fascisti vengono fuori è enormemente diverso da quello tradizionale. Questi dieci anni di storia italiana che hanno portato gli italiani a votare «no» al referendum, hanno prodotto - attraverso lo stesso meccanismo profondo - questi nuovi fascisti la cui cultura è identica a quella di coloro che hanno votato «no» al referendum.
Essi sono del resto poche centinaia o migliaia: e, se il governo e la polizia l'avessero voluto, essi sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969.
Il fascismo delle stragi è dunque un fascismo nominale, senza un'ideologia propria (perché vanificata dalla qualità di vita reale vissuta da quei fascisti), e, inoltre, artificiale: esso è cioè voluto da quel Potere, che dopo aver liquidato, sempre pragmaticamente, il fascismo tradizionale e la Chiesa (il clerico-fascismo che era effettivamente una realtà culturale italiana) ha poi deciso di mantenere in vita delle forze da opporre - secondo una strategia mafiosa e da Commissariato di Pubblica Sicurezza - all'eversione comunista. I veri responsabili delle stragi di Milano e di Brescia non sono i giovani mostri che hanno messo le bombe, né i loro sinistri mandanti e finanziatori. Quindi è inutile e retorico fingere di attribuire qualche reale responsabilità a questi giovani e al loro fascismo nominale e artificiale. La cultura a cui essi appartengono e che contiene gli elementi per la loro follia pragmatica è, lo ripeto ancora una volta, la stessa dell'enorme maggioranza dei loro coetanei. Non procura solo a loro condizioni intollerabili di conformismo e di nevrosi, e quindi di estremismo (che è appunto la conflagrazione dovuta alla miscela di conformismo e nevrosi).
Se il loro fascismo dovesse prevalere, sarebbe il fascismo di Spinola, non quello di Caetano: cioè sarebbe un fascismo ancora peggiore di quello tradizionale, ma non sarebbe più precisamente fascismo. Sarebbe qualcosa che già in realtà viviamo, e che i fascisti vivono in modo esasperato e mostruoso: ma non senza ragione.
pubblicato sul Corriere della Sera il 10 giugno 1974 con il titolo «Gli italiani non sono più quelli»
Il gigante dei browser Mozilla decolla con Mastodon
Con Mozilla, un nuovo, grande player sta sbarcando sul Fediverso. Anche altre società e piattaforme stanno lavorando a tali progetti. Il suo ingresso potrebbe potenziare e dare Maggiore risalto a #mastodon e a tutti gli altri software del #fediverso
Fediverse: Browser-Riese Mozilla startet bei Mastodon durch
Mit Mozilla tritt ein neuer, großer Akteur im Fediverse auf. Andere Firmen und Plattformen arbeiten auch an solchen Projekten. Ihr Einstieg könnte das dezentrale soziale Netzwerk beflügeln.netzpolitik.org
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Brezza - Dialogue Mapping
Brezza è il nome del nuovo inizio per Fabio che in questi ultimi tre anni ha prodotto molto e ricomincia da qui. "Dialogue mapping" è un disco di ambient elettroacustico, nato prendendo le mosse dall'improvvisazione dal vivo alla quale si aggiungono poi elementi diversi, come quando si disegna e si aggiungono linee, oggetti, persone e anche assenze e ombre.
#ambient #liveimpro #brezza #eniac #dialoguemapping #electronic #ambient #drones #electro-acoustic #electronica #glitch
iyezine.com/brezza-dialogue-ma…
Brezza - Dialogue Mapping - 2023
Brezza - Dialogue Mapping - Brezza è il nome del nuovo progetto di Fabio Battistetti già Eniac che conosciamo da anni su queste pagine e che ha pubblicato anche con la nostra label In Your Ears. - BrezzaMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
LOUD AS GIANTS – EMPTY HOMES
I Loud As Giants sono una coppia di musicisti di cui basta il nome per capire che la materia trattata è di alta qualità : Justin K. Broadrick e Dirk Serries. @Musica Agorà
iyezine.com/loud-as-giants-emp…
Loud As Giants - Empty Homes 2023
Loud As Giants - Empty Homes - I Loud As Giants sono una coppia di musicisti di cui basta il nome per capire che la materia trattata è di alta qualità : Justin K. Broadrick e Dirk Serries. - Loud As GiantsMassimo Argo (In Your Eyes ezine)
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The Court of Justice confirmed that there is no "threshold" for GDPR damages
La Corte di giustizia ha confermato che non esiste una "soglia" per i danni da GDPR Oggi la CGUE ha emesso la prima decisione sui danni emotivi ai sensi del GDPR.
I miei stupidi intenti - Bernardo Zannoni
"La storia di un animale, di una faina che scopre il mondo, le sue verità e le sue menzogne. Come fosse un personaggio strappato a Camus, e al tempo stesso a un film della Pixar. Un esordio sorprendente.
«Esistono vari modi di strillare un libro magnifico. Ma solo un modo è giusto per I miei stupidi intenti: leggetelo, leggete questo romanzo in stato di grazia».
Marco Missiroli
Questa è la lunga vita di una faina, raccontata di suo pugno. Fra gli alberi dei boschi, le colline erbose, le tane sotterranee e la campagna soggiogata dall’uomo, si svela la storia di un animale diverso da tutti. Archy nasce una notte d’inverno, assieme ai suoi fratelli: alla madre hanno ucciso il compagno, e si ritrova a doverli crescere da sola.
Gli animali in questo libro parlano, usano i piatti per il cibo, stoviglie, tavoli, letti, accendono fuochi, ma il loro mondo rimane una lotta per la sopravvivenza, dura e spietata, come d’altronde è la natura. Sono mossi dalle necessità e dall’istinto, il più forte domina e chi perde deve arrangiarsi. È proprio intuendo la debolezza del figlio che la madre baratta Archy per una gallina e mezzo. Il suo nuovo padrone si chiama Solomon, ed è una vecchia volpe piena di segreti, che vive in cima a una collina. Questi cambiamenti sconvolgeranno la vita di Archy: gli amori rubati, la crudeltà quotidiana del vivere, il tempo presente e quello passato si manifesteranno ai suoi occhi con incredibile forza. Fra terrore e meraviglia, con il passare implacabile delle stagioni e il pungolo di nuovi desideri, si schiuderanno fra le sue zampe misteri e segreti. Archy sarà sempre meno animale, un miracolo silenzioso fra le foreste, un’anomalia. A contraltare, tra le pagine di questo libro, il miracolo di una narrazione trascinante, che accompagna il lettore in una dimensione non più umana, proprio quando lo pone di fronte alle domande essenziali del nostro essere uomini e donne.
I miei stupidi intenti è un romanzo ambizioso e limpido, ed è stato scritto da un ragazzo di soli venticinque anni. Come un segno di speranza, di futuro, per chi vive di libri."
Roberto Resoli reshared this.
Non solo una questione di #privacy: "Ministro Piantedosi, il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici è una pessima idea!" L'appello di Diletta Huyskes di #PrivacyNetwork_ su Wired
Il riconoscimento biometrico, specie quando implementato da autorità pubbliche, apre a una serie di rischi e minacce che vanno ben oltre, e che riguardano profondamente il cuore della libertà e della democrazia. L’esistenza stessa di questi strumenti nei luoghi pubblici, come le stazioni per esempio, dove transitano migliaia di persone diverse ogni giorno a prescindere da cosa fanno e dove il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, vuole installare telecamere con riconoscimento facciale per questioni di sicurezza, sottopone chiunque a una sorveglianza continua.
wired.it/article/riconosciment…
Piantedosi vuole introdurre il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici
Però non sa che c'è una moratoria fino a fine anno. E che serve il parere del Garante della privacy, che in passato ha bocciato queste iniziativeKevin Carboni (Wired Italia)
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Hanno fatto la festa al lavoro | Coniare Rivolta
"Il Consiglio dei ministri del 1° maggio 2023 sarà ricordato come uno dei momenti più alti dell’odio verso i lavoratori e i poveri manifestato da questo Governo, ma anche come esito prevedibile di una politica economica che la cosiddetta opposizione (politica e sindacale) contesta in maniera ingenua e approssimativa, quando va bene, o esplicitamente da destra (!) quando va male."
Prova senza `titolo` con #hashtag @menzione, _underscore e €strani &simboli
@Test: palestra e allenamenti :-)
Testar non nuoce
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Alberto V
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