Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Mario Trimarchi sul tema “La proprietà e le proprietà”
Undicesimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La undicesima lezione si svolgerà lunedì 4 dicembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Mario Trimarchi (Ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile presso l’Università di Messina), che relazionerà sul tema “La proprietà e le proprietà in Salvatore Pugliatti”.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Come sta cambiando la scuola – Gazzetta del Sud
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Francesco Pira sul tema “Etica dell’intelligenza artificiale”
Decimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La decima lezione si svolgerà giovedì 30 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Francesco Pira (Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “Etica dell’intelligenza artificiale” di Luciano Floridi.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Ben(e)detto del 2 dicembre 2023
noyb fa causa a CRIF e AZ Direct per trattamento illegale e segreto dei dati
@noyb.eu ha intentato una causa contro l'agenzia di riferimento del credito CRIF GmbH e il rivenditore di indirizzi AZ Direct. Le aziende scambiano segretamente i dati degli indirizzi di quasi tutti gli adulti in Austria.
In questo modo CRIF ottiene informazioni che sono state effettivamente raccolte a fini pubblicitari, al fine di calcolare la solvibilità. Come confermato in due decisioni dall’autorità austriaca per la protezione dei dati , ciò viola il #GDPR. noyb ora, tra le altre cose, sta facendo causa per provvedimenti ingiuntivi e danni.
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Kim Bo young, la scrittrice coreana regina del genere sci-fi: "La fantascienza è un genere globale. L’Italia? L’ho amata”
Creazionismo ed evoluzionismo, scienza e teologia, passato e presente. Nei racconti di L’origine delle specie, Kim Bo-Young, voce di spicco della letteratura sci-fi coreana, mostra al lettore il mondo da prospettive inconsuete e lo fa riflettere su quesiti di portata esistenziale. Dopo la recensione della sua ultima opera, China Files le ha fatto qualche domanda per provare a conoscerla meglio e comprendere il suo successo
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In Cina e Asia – Cop28, la Cina annuncerà nuovi obiettivi
Cop28, la Cina annuncerà nuovi obiettivi
L’Ucraina fa esplodere i collegamenti ferroviari tra Russia e Cina
Xi chiede alla guardia costiera di difendere la sovranità cinese, mentre le Filippine rafforzano al sorveglianza sul Mar cinese meridionale
Cina, consigliere di stato esorta al pagamento dei salari arretrati
Cina, report evidenzia i problemi finanziari per i troppi dipendenti pubblici
Cina, cresce il debito personale
Aukus, i ministri della Difesa si impegnano a sviluppare nuove tecnologie in ambito militare
Filippine: l'IS rivendica attentato a Marawi
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Extension of voluntary chat control is an admission of EU Commission’s failure!
Now that the EU plans for mass screening of private communications and undermining secure end-to-end encryption (chat control 2.0) have been put on ice due to a lack of majority among EU governments, the EU Commission is proposing an extension of the existing voluntary chat control regulation, which is currently set to expire on 3 August 2024, by two years. The planned fast-track procedure has not yet been communicated by the EU Commission. For Pirate Party lawmaker and most prominent opponent of chat control Patrick Breyer, who is also his group’s lead negotiator on the file, the proposal is an admission of failure:
“Proposing to continue working with the status quo is an admission of failure of the scandalous methods of Home Affairs Commissioner ‘Big Sister’ Ylva Johansson to implement authoritarian chat control in Europe.” Due to her unprecedented, radical attack on digital privacy and secure encryption, ‘big sister’ Johansson is directly responsible for the complete failure to achieve any better protection of our children from abuse. Johansson’s personal crusade for and ideological obsession with mass surveillance is blocking truly effective preventive measures, for example by requiring online services to be secure by design. Victims of child sexual abuse deserve politicians who are capable of protecting children in an effective, politically and legally feasible way – this is cross-party consensus in the EU Parliament.”
At the same time, Breyer criticises the instrument of voluntary chat control: “The Commission’s report on the supposed effectiveness of voluntary chat control has been overdue for months. No surprise: the voluntary mass surveillance of our private communications by US services such as Meta, Google or Microsoft makes no significant contribution to rescuing abuse victims or convicting producers of child sexual abuse material. It instead criminalises thousands of minors, overburdens law enforcement and opens the door to arbitrary private justice by internet companies.”
“The regulation on voluntary chat control is both unnecessary and violates fundamental rights: Social networks as hosting services do not need the regulation to screen public posts. And the error-prone NCMEC reports that result from the indiscriminate screening of private communications by Zuckerberg’s Meta will end as a result of the announced introduction of end-to-end encryption by the end of the year. The legal opinion of a former ECJ judge finds that voluntary chat control violates fundamental rights. A victim of child sexual abuse and I are taking legal action against this.”
The EU Commission intends to inform the justice and interior ministers on 4 December 2023.
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Palau diventa il 196esimo Paese membro dell'INTERPOL
Tra gli eventi della 91ma Assemblea Generale dell'INTERPOL di Vienna (dove 100 anni fa fu creato quello che viene definito "corpo di polizia mondiale"), l'accesso di Palau come 196esimo Paese membro dell'Organizzazione.
La posizione di Palau
Palau, ufficialmente Repubblica di Palau, è uno Stato insulare nell'oceano Pacifico, situato a circa 500 km a est delle Filippine. Ha ottenuto l'indipendenza dagli Stati Uniti d'America nel 1994.
La richiesta di Palau è stata approvata con una maggioranza di oltre due terzi dei voti.
Palau istituirà quindi il suo Ufficio centrale nazionale (BCN). Le BCN sono organismi nazionali preposti all'applicazione della legge e operano in conformità con la legislazione nazionale. Costituiscono l'unico punto di contatto di quel paese con la sede del Segretariato generale dell'INTERPOL a Lione, in Francia, nonché con le BCN di altri paesi.
La bandiera di PALAU
Cosa comporta l'adesione all'INTERPOL
L’adesione all’INTERPOL significa che le forze dell’ordine nazionali possono condividere e ricevere istantaneamente informazioni di polizia vitali da tutto il mondo in una serie di aree criminali tra cui la tratta di esseri umani, il traffico di droga, la criminalità informatica, la criminalità automobilistica e il terrorismo.
Palau beneficerà inoltre delle capacità di polizia fornite dal Segretariato generale, quali formazione, analisi, squadre di specialisti e supporto da parte del Centro di comando e coordinamento.
Attraverso I-24/7, la rete di comunicazione globale sicura della polizia dell'INTERPOL, i paesi possono inviare messaggi e anche accedere a più database globali, inclusi quelli su persone ricercate, veicoli a motore rubati, documenti di viaggio rubati e smarriti, impronte digitali, DNA e riconoscimento facciale.
Naturalmente l’INTERPOL rispetta la sovranità di ciascun paese membro. I paesi membri mantengono la piena proprietà dei dati che condividono con INTERPOL e decidono con quali altri paesi i loro dati vengono condivisi.
INTERVISTA: “L’attacco contro Gaza e i suoi civili va avanti perché lo vogliono Usa e Europa”
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di Michele Giorgio
(questa intervista è stata pubblicata in origine da forumalternativo.ch)
(foto Wafa)
Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – La posizione dell’Occidente è stata e resta decisiva per il consenso alla guerra di Israele contro Gaza e il movimento islamico Hamas. Il governo guidato da Benyamin Netanyahu ha più volte fatto riferimento a questo appoggio per accreditare la legittimità dell’ offensiva militare che ha fatto oltre 15mila morti tra i palestinesi. Sull’atteggiamento di Stati Uniti ed Unione europea verso Gaza e sulla sua possibile evoluzione abbiamo intervistato l’analista Mouin Rabbani, tra gli esperti principali di affari palestinesi e in passato all’International Crisis Group.
Mouin Rabbani
Mouin Rabbani, lei è uno degli analisti internazionali più assidui nel commentare gli sviluppi della guerra di Gaza e le sue gravi conseguenze in termini di vite umane e distruzioni. Quando finirà, a suo avviso, l’offensiva di Israele?
Molto dipenderà dall’atteggiamento che avranno i governi occidentali al momento tutti schierati con Israele e l’avanzata delle sue forze armate contro Gaza. C’è una convinzione che esista un livello di morte, distruzione e sofferenza oltre il quale i governi occidentali cesseranno o ridurranno significativamente la loro partecipazione di fatto alla guerra di Israele. Tuttavia, questa supposizione riflette un malinteso fondamentale sul modo in cui tali governi formulano le loro politiche. Finora, Israele ha imposto un assedio globale alla Striscia di Gaza, privando milioni di persone di tutte le forniture essenziali tranne l’ossigeno; sta radendo al suolo intere città e quartieri; ha ucciso molte migliaia di civili, tra i quali tanti bambini. Lo ha fatto come parte di una campagna di bombardamenti il cui scopo trasparente è la vendetta, la distruzione fisica e la punizione di un’intera società. Né la campagna di bombardamenti ha ridotto in modo significativo le capacità militari di Hamas e delle organizzazioni palestinesi nella Striscia di Gaza. Se il volume delle morti, delle distruzioni e delle sofferenze palestinesi avesse un peso nei calcoli dei governi occidentali, ebbene lo avrebbe già fatto sentire. Non è così e, indipendentemente da altri sviluppi, non lo farà. Mentre le forze israeliane bombardano scuole, ospedali, colonne di rifugiati, strutture delle Nazioni unite, zone autoproclamate sicure e tutte le forme di infrastrutture civili, la maggior parte dei governi occidentali continua a schierarsi in piena solidarietà con il governo israeliano. Papa Francesco è praticamente l’unico leader occidentale a non aver compiuto il pellegrinaggio da Netanyahu. I governi Usa ed europei inquadrano loro politica attorno al “diritto di Israele a difendersi”. È un diritto che non hanno mai concesso al popolo palestinese in una sola occasione.
Sta dicendo che non dobbiamo aspettarci una conclusione in tempi brevi delle offensive militari israeliane?
Fare previsioni è un azzardo in queste circostanze. Allo stesso tempo sono convinto che potrà causare un cambiamento nella politica occidentale solo il fallimento militare israeliano. Per questo l’Amministrazione Biden prova a convincere Israele a formulare obiettivi più raggiungibili della cosiddetta distruzione di Hamas che gran parte degli osservatori ritiene un traguardo irrealistico. La storia ci corre in soccorso. Nel 2006, il Segretario di Stato Condoleeza Rice accolse con entusiasmo la guerra di Israele contro Hezbollah e il Libano come “i dolori del parto di un nuovo Medio Oriente”. Fiduciosi che Israele stesse polverizzando Hezbollah, gli Stati uniti respinsero per settimane gli sforzi volti a raggiungere la cessazione delle ostilità. Quando si accorsero che l’avanzata israeliana sta andando incontro al fallimento nel sud del Libano, cambiarono tono e fecero pressioni sul Consiglio di Sicurezza dell’Onu affinché adottasse una risoluzione di cessate il fuoco. In altre parole, finché gli Usa e altri governi occidentali rifiutano una tregua a Gaza e si concentrano su oscenità senza senso come le “pause umanitarie”, significa che credono ancora che Israele riuscirà o potrà avere un successo militare completo. Se invece cominceranno a pronunciare omelie sulla sofferenza dei civili palestinesi e ad allestire una vetrina di buoni sentimenti, vuol dire che hanno capito che Israele ha fallito.
Esiste uno scenario alternativo in cui Usa e Europa costringeranno il gabinetto di guerra israeliano a fermarsi?
Dovrebbero capire che la loro condotta e quella di Israele producono non solo sofferenze terribili a milioni di civili palestinesi ma anche una minaccia significativa ai loro interessi. Ciò potrebbe assumere la forma di una crescente instabilità nella regione e di minacce ai regimi arabi alleati oltre alla prospettiva di una guerra in tutta la regione che richiederebbe un intervento diretto che gli Stati uniti non vogliono.
Dopo l’attacco di Hamas al sud di Israele che ha ucciso circa 1200 civili e soldati e ha visto la presa in ostaggio di 200 israeliani e cittadini stranieri, il premier Netanyahu ha accusato il movimento islamico di essere come l’Isis e di voler massacrare tutti gli ebrei. Una lettura dell’accaduto largamente condivisa in Occidente.
La falsificazione storica e politica non è cominciata con questa guerra. E ancora una volta chiama in causa il doppio standard dei Paesi occidentali. Qualche mese fa il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha rilasciato una serie di dichiarazioni sugli ebrei d’Europa e sull’Olocausto che hanno suscitato una genuina indignazione europea. Naturalmente è giusto che la falsificazione storica venga condannata e sconfessata. Tuttavia, perché dovrei considerare le condanne europee di Abbas, quando l’affermazione fatta tempo fa da Netanyahu secondo cui l’Olocausto attuato dai nazisti e da Adolf Hitler sarebbe stato ispirato addirittura dal Mufti di Gerusalemme, Hajj Amin al-Husseini, è passata praticamente sotto silenzio? O quando il più alto funzionario dell’Unione europea, Ursula Von Der Leyen, raggiunge l’orgasmo nel suo messaggio per il 75esimo compleanno di Israele? Secondo Von Der Leyen, Israele è “una vivace democrazia nel cuore del Medio Oriente” che “ha letteralmente fatto fiorire il deserto”. Una terra senza popolo affinché un popolo senza terra continui a vivere. È forse storia vera questa?
L’Europa potrà mai svolgere un ruolo costruttivo nella questione palestinese?
Rispondo con due aneddoti. Negli anni ’90 ero amico di un diplomatico olandese distaccato a Bruxelles. Mi raccontava che i suoi sforzi per promuovere la corretta etichettatura, non con il “Made in Israel”, delle merci prodotte negli insediamenti coloniali israeliani nei Territori palestinesi occupati, sia nei Paesi Bassi che a Bruxelles, sono stati combattuti con le unghie e con i denti. Non da gruppi di pressione israeliani, ma dai suoi colleghi e superiori. È un dibattito che va avanti da decenni nonostante si tratti di una questione ampiamente chiarita e definita dal diritto internazionale dai regolamenti dell’Ue. Quindi perché dovremmo prendere sul serio l’Europa? Anni dopo ho partecipato a una cena presso l’ambasciata olandese ad Amman con deputati della commissione parlamentare dei Paesi Bassi per gli affari esteri. Il suo presidente disse che non avrebbero avuto contatti con Hamas fino a quando quest’ultimo rifiuterà l’esistenza di Israele. Quando gli chiesi se gli stessi criteri si applicassero anche all’estremista di destra Avigdor Lieberman, all’epoca astro nascente della politica israeliana, mi rispose che, a differenza di Hamas, Lieberman non faceva parte del governo israeliano. Eppure, quando Lieberman divenne ministro, è stato un partner per i governi europei pur proclamando la sua totale opposizione ai diritti dei palestinesi. Mi è capitato di trovarmi a Cipro quando il ministro degli esteri ha dato un caloroso benvenuto a Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza e tra i leader della destra israeliana più radicale e antipalestinese. Non ho dubbi che sia solo questione di tempo prima che anche Ben-Gvir venga normalizzato dalla democratica Europa. Perché i palestinesi dovrebbero prendere sul serio gli europei se si concentrano principalmente sui libri di testo palestinesi e sulla loro criminalizzazione con definizioni distorte di antisemitismo? Si è mai saputo di indagini svolte in Europa sui libri di testo israeliani che negano la storia e i diritti dei palestinesi nella loro terra?
Usa e Ue continuano a sostenere la soluzione a Due Stati, quindi la nascita di uno Stato palestinese, e manifestano sostegno a Mahmoud Abbas nel momento in cui Netanyahu lo proclama irrilevante ed esclude l’Anp da un possibile governo futuro di Gaza.
Non ho alcuna obiezione in linea di principio né alla soluzione a Due Stati né al suo appoggio da parte dell’Europa. Allo stesso tempo occorre andare oltre dichiarazioni scontate e ripetitive e guardare la realtà sul terreno. Chiedete a qualsiasi palestinese e ti dirà che l’Anp ormai serve solo gli interessi di Israele, di Usa e Europa. E più di tutto Usa e Ue dovrebbero domandarsi con obiettività se trent’anni di Accordi di Oslo (nel 1993, tra Israele e Olp, ndr) abbiano avvicinato o allontanato l’obiettivo della nascita dello Stato palestinese e la realizzazione del diritto internazionale in Medio Oriente. Data l’ovvia risposta a questa domanda, chiedo: non è forse giunto il momento di adottare un approccio diverso, in cui ci si concentri non sul dare ulteriore vita a un negoziato marcio, ma piuttosto ad avviare politiche per mettere fine al conflitto sulla base del diritto internazionale? Non credo che ciò possa avvenire nei prossimi anni. Perciò i palestinesi devono cambiare la natura del loro impegno soprattutto con l’Europa. Non devono considerare più l’Europa come un potenziale contrappeso agli Stati Uniti alleati di Israele, ma come un robusto pilastro nell’architettura dell’espropriazione palestinese. Pagine Esteri
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L'articolo INTERVISTA: “L’attacco contro Gaza e i suoi civili va avanti perché lo vogliono Usa e Europa” proviene da Pagine Esteri.
noyb cita in giudizio CRIF e AZ Direct per trattamento illegale e segreto dei dati noyb ha fatto causa per ottenere, tra le altre cose, provvedimenti ingiuntivi e danni.
La NATO dovrebbe prepararsi ad accogliere le “cattive notizie” dall'Ucraina, avverte Stoltenberg
@Politica interna, europea e internazionale
"Le guerre si sviluppano in fasi", ha detto Stoltenberg in un'intervista sabato all'emittente tedesca ARD. "Dobbiamo sostenere l'Ucraina sia nei momenti buoni che in quelli cattivi", ha detto.
"Dovremmo essere preparati anche alle cattive notizie", ha aggiunto Stoltenberg, senza essere più specifico.
politico.eu/article/nato-boss-…
NATO should be ready for ‘bad news’ from Ukraine, Stoltenberg warns
‘We have to support Ukraine in both good and bad times,’ NATO chief says in ARD interview.Bjarke Smith-Meyer (POLITICO)
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Uno sguardo fediverso all'ultima tornata di sovvenzioni di NLnet
NLNet ha annunciato 55 nuovi progetti a cui viene assegnata una sovvenzione NGI Zero. NGI Zero è il programma Next Generation Internet della Commissione Europea, che finanzia progetti che lavorano su quella che chiamano Internet di prossima generazione . Per maggiori informazioni su NLnet e NGI Zero, dai un'occhiata a questa intervista che ho fatto con NLnet quest'estate. L’ultima tornata di sovvenzioni prevede diversi progetti che si collegano in qualche modo al fediverso.
I finanziamenti riguardano i seguenti progetti:
- NodeBB
- fedidevs.com
- Bonfire
- GoToSocial
- Mobilizon
- PeerTube
- Commune, un progetto che però, a differenza dei precedenti, è basato su Matrix
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Speriamo che non ci siano prese di potere dovute al fatto che ci ha messo i soldi.
Preferirei che il modello cinese non si sviluppasse cosi tanto in occidente.
Abbiamo visto cosa si sono fidati di fare con il Chat Control, immagina quindi simili iniziative se non peggiori per i prossimi anni.
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Pechino ci vuole divisi, ma la nostra forza è nelle alleanze. Austin su Cina e Usa
È la terza volta che il generale quattro stelle dell’Esercito americano Lloyd Austin parla al Reagan National Defense Forum da capo del Pentagono. Ma stavolta il discorso (che ha tenuto sabato 2 dicembre) diventa un manifesto politico, l’eredità sua personale e in largo dell’amministrazione Biden sulla strategia militare americana. È così per il momento internazionale – le guerre in corso in Ucraina e Israele, le tensioni in altri hotspot in alte parti del mondo – e quello interno: tra un anno l’America sceglierà il suo prossimo presidente, e parte delle decisioni passeranno anche da come i candidati gestiranno certe sfide.
Seppur maggiormente orientati alle questioni nazionali, certe situazioni attirano le attenzioni dell’elettorato, e tra i dossier di politica internazionale ce n’è uno che più di tutti caratterizza l’attuale fase storica: il confronto con la Cina. È un tema bipartisan, su cui la linea competitiva è un rarissimo punto di contatto nelle polarizzazioni tra Democratici e Repubblicani. E assume tale valore anche perché gli elettori ne percepiscono gli effetti a ricaduta interna. Se Washington non manterrà il vantaggio su Pechino – sia esso economico, tecnologico, politico-valoriale, finanche militare – la prosperità americane potrebbe ridursi in futuro. Ed è a quello che le collettività statunitensi guardano.
Ragion per cui registrare quel che dice Austin nel discorso/manifesto dalla Reagan Presidential Library Simi Valley è utile anche per valutare le traiettorie future della politica e della strategia degli Usa. “La nostra Strategia di Difesa Nazionale descrive la Repubblica Popolare Cinese come ‘il più importante concorrente strategico dell’America e la sfida più importante per il Dipartimento della Difesa’. La Repubblica Popolare Cinese è il nostro unico rivale con l’intenzione e, sempre più spesso, la capacità di rimodellare l’ordine internazionale”, dice il segretario alla Difesa.
Austin spiega che Pechino “spera che gli Stati Uniti inciampino e diventino isolati all’estero e divisi in patria. Ma insieme possiamo evitare questo destino. Insieme ai nostri alleati e partner, abbiamo compiuto progressi straordinari nell’affrontare la sfida della Cina e nel forgiare un Indo Pacifico più sicuro”. E aggiunge: “In questo decennio decisivo, il 2023 sarà ricordato come un anno determinante per l’attuazione della strategia di difesa degli Stati Uniti in Asia”.
Gli Stati più Uniti che mai
Il Pentagono ha effettivamente compiuto evoluzioni nel rendere la posizione di forza statunitense nella regione “molto più distribuita, mobile e resiliente”, per usare la formula canonicamente utilizzata da Washington. Un lavoro che passa dalla presenza diretta all’aiuto ai partner a sviluppare le loro capacità di difesa (“Quest’anno ho fatto quattro viaggi nell’Indo Pacifico e ad ogni viaggio abbiamo fatto ancora più progressi”.
A febbraio, a Manila, gli Stati Uniti hanno annunciato l’espansione dell’accordo di cooperazione rafforzata in materia di difesa con le Filippine per consentire l’accesso degli Stati Uniti ad altre quattro strutture filippine. A maggio, il segretario era a a Tokyo per modernizzare ulteriormente l’alleanza con il Giappone, che ha raddoppiato il suo bilancio per la difesa. A luglio, Austin è stato il primo segretario alla Difesa a visitare la Papua Nuova Guinea, concordando un accordo di cooperazione in materia di difesa Chen a rafforzato la posizione americana tra le isole del Pacifico. Sempre quest’estate, a Nuova Delhi, è stata presentata una nuova tabella di marcia per la cooperazione industriale nel settore della difesa con l’India, strategia rafforzata anche nel recente “2+2” da cui esce una volontà congiunta di rafforzare la capacità militare – anche a livello produttivo – del Subcontinente. Sempre quest’estate, Usa, Corea del Sud e Giappone hanno stretto legami di sangue tramite i “Camp David Principles”. Infine, continua l’implementazione di quella che Austin definisce “la nostra storica partnership”, l’Aukus Australia e Regno Unito.
“Tutto questo si basa su una cruda realtà militare: alleati e partner ci aiutano a proiettare il potere e a condividere il peso della nostra sicurezza comune. Ma non prendetelo da me. Prendete esempio dal presidente Ronald Reagan, che ha detto che ‘la nostra sicurezza si basa in ultima analisi’ sulla ‘fiducia e la coesione’ del nostro sistema di alleanze”, ha aggiunto Austin. Un messaggio diretto a Pechino, che punterebbe a dividere e per quanto possibile isolare l’America, che invece con l’amministrazione Biden ha dimostrato di avere la capacità di ricreare il collante necessario per ricostruire con maggiore vigore alleanze e partnership che l’atteggiamento America First – più nazionalista, quasi isolazionista – di Donald Trump aveva messo in difficoltà. “Tuttavia, la nostra forza all’estero è radicata nella nostra forza in patria”, ricorda Austin – probabilmente pensando anche a Usa2024.
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #3dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità, indetta nel 1992 dalle Nazioni Unite.Telegram
INTERPOL. La dichiarazione di Vienna
A conclusione della 91ma Assemblea Generale dell' #INTERPOL di Vienna (dove 100 anni fa fu creato quello che viene definito "corpo di polizia mondiale"), il Presidente Ahmed Naser AL-RAISI ed il Segretrio Generale Jürgen STOCK hanno rilasciato la "Dichiarazione di Vienna", sull'impegno dell'Organizzazione nella lotta alla criminalità organizzata.
La Dichiarazione di Vienna definisce le cinque azioni prioritarie (traduzione non ufficiale, il testo ufficiale è scaricabile qui interpol.int/content/download/… ):
1. La lotta alla criminalità organizzata transnazionale deve diventare una priorità globale per la sicurezza nazionale.
I gruppi criminali organizzati, che operano oltre i confini, stanno minando le società, le comunità e le loro
economie. Le forze dell’ordine in molti paesi non riescono a far fronte al fatto che i criminali acquistano influenza politica,
lanciare attacchi informatici da diversi continenti o operare a livello transnazionale. Questo crimine transnazionale
epidemico deve essere trattato al più alto livello governativo come una priorità globale. Il mondo ha bisogno di
lavorare insieme per risolvere questa crisi di sicurezza.
2. Costruire una maggiore cooperazione per contrastare le attività criminali.
I paesi non possono più fare affidamento solo sugli scambi bilaterali o regionali. Condivisione delle informazioni attraverso
i confini sono fondamentali e devono essere la norma, non l’eccezione, se vogliamo sconfiggere il significativo
aumento della criminalità organizzata.
3. Maggiore condivisione delle informazioni.
I decisori responsabili della polizia, della giustizia e della sicurezza nazionale devono allineare gli sforzi nella costruzione
una risposta globale rimuovendo gli ostacoli ad una maggiore condivisione delle informazioni.
4. Potenziamento della polizia in prima linea.
Ogni agente di polizia è un anello della catena che protegge le proprie comunità così come la comunità
mondiale. Ogni agente di polizia, compresi quelli in prima linea e quelli che proteggono i nostri confini, devono farlo
avendo accesso alle informazioni di cui hanno bisogno dai database globali per interrompere l'attività criminale e
offrire un migliore supporto tecnologico, formazione e informazione sulla lotta alla criminalità globale.
5. Maggiori investimenti in innovazione e tecnologia.
Gli investimenti delle forze dell’ordine globali in tecnologia e innovazione vengono superati dai criminali.
La storia della cooperazione. Ultima parte. Fino ai giorni nostri.
A guerra conclusa, nel 1946, su iniziativa del Belgio, fu convocata l’anno dopo a Bruxelles la quindicesima Assemblea Generale per la ricostruzione dell’organizzazione. L’ICPC accettò l’offerta del governo francese di un quartier generale a Parigi insieme a uno staff del Segretariato Generale composto da funzionari di polizia francesi.
(Giuseppe Dosi)
Nello stesso anno fu scelto – su proposta di un funzionario di polizia italiano, Giuseppe Dosi (immagine precedente) – per l’indirizzo telegrafico il nome “INTERPOL”, che ancora contraddistingue l’Organizzazione.
Nel 1947 venne emesso il primo “Red Notice”, per le ricerche internazionali di un russo ricercato per l’omicidio di un poliziotto. Fu l’avvio del sistema di avvisi codificati a colori, ampliato nel corso degli anni per coprire altri avvisi, seppure l’“Avviso rosso” per le persone ricercate rimane uno strumento chiave e, per certi versi, un simbolo dell’Interpol ancora oggi.
Nel 1949 l’ICPC ottenne lo status consultivo dalle Nazioni Unite (che consentiva ad esso di tenere “accordi adeguati alla consultazione con organizzazioni non governative che si occupano di questioni di sua (dell’ONU, ndr) competenza”). Dal 1946 al 1955 i suoi membri crebbero da 19 Paesi a 55. Nel 1956 l’ICPC ratificò una nuova costituzione, sotto la quale fu ribattezzata Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale (OICP–Interpol).
Negli anni a seguire crebbe la connessione con altre Organizzazioni Internazionali: nel 1959 si tenne un primo incontro con la partecipazione del Direttore dell’Ufficio che si occupava di traffico di stupefacenti delle Nazioni Unite.
Il traguardo simbolico di cento Paesi membri fu raggiunto nel 1967. Nel 1972 lo status venne rafforzato da un accordo di sede con la Francia, Paese ospitante, che riconobbe INTERPOL come organizzazione internazionale. Quello stesso anno l’Assemblea Generale adottò le Regole sulla cooperazione internazionale di polizia e sul controllo degli archivi, un quadro giuridico necessario per il trattamento dei dati personali.
(attuale sede dell'Interpol)
Il 27 novembre 1989 il Presidente francese François Mitterrand inaugurò la nuova ed attuale sede, spostata a Lione (immagine precedente). Nel frattempo, gli Stati–membri erano saliti a 150.
L’Organizzazione ricercò nuove possibilità anche sotto l’aspetto prettamente operativo.
Negli anni ’70 la capacità di combattere l’imperversante terrorismo era ostacolata dall’articolo 3 della sua costituzione – che vietava “interventi o attività di carattere politico, militare, religioso o razziale” – e da una risoluzione del 1951 dell’Assemblea Generale che definiva un “reato come quello le cui circostanze e motivazioni sono politiche, anche se il fatto stesso è illegale ai sensi del diritto penale”.
Una fonte di questi ostacoli fu quindi rimossa nel 1984, quando l’Assemblea Generale rivide l’interpretazione dell’articolo 3, per consentire all’Interpol di intraprendere attività antiterroristiche in determinate circostanze ben definite.
Nel 1993 poi fu istituita l’Unità di intelligence criminale analitica, per studiare i collegamenti tra sospetti, crimini e luoghi, identificando così i modelli di criminalità e fornendo avvisi di minacce.
Nel 2001 l’Organizzazione è divenuta operativa 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, in seguito agli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti dell’11 settembre, quando il Segretario Generale promise che “le luci dell’INTERPOL non si spegneranno mai più”. Inoltre, venne istituita la carica di Direttore Esecutivo per i servizi di polizia, creata per sovrintendere su diverse Direzioni, comprese quelle per i Servizi di polizia regionali e nazionali, i Reati Specializzati e il Supporto operativo alla polizia.
Tale modernizzazione è stata implementata negli ultimi venti anni anche sotto l’aspetto tecnico, mediante l’AFIS, il sistema automatico di identificazione delle impronte digitali che ha velocizzato i tempi necessari per effettuare i controlli delle impronte digitali (una prova che ha sempre svolto un ruolo cruciale nella polizia, ma le impronte erano precedentemente su carta e venivano confrontate manualmente), ed il Sistema globale di comunicazione della polizia, che offre a tutti i Paesi membri una piattaforma sicura per accedere ai database e alle informazioni ed al database del DNA, per aiutare a collegare i crimini internazionali.
Attualmente più di 80 Paesi forniscono profili DNA di autori di reati e scene del crimine. Il database può essere utilizzato anche per persone scomparse e resti umani non identificati.
Nel 2004, INTERPOL ha aperto un ufficio di Rappresentanza Speciale presso le Nazioni Unite a New York. Seguirà uno presso l’Unione Europea a Bruxelles nel 2009.
Il resto è storia di oggi.
PER SAPERNE DI PIÙ:
L. SCHETTINI, La tratta delle bianche in Italia tra paure sociali e pratiche di polizia (XIX-XX secolo), in “Italia contemporanea”, dicembre 2018, n. 288.
M. DEFLEM, The Logic of Nazification: The Case of the International Criminal Police Commission (Interpol) in International Journal of Comparative Sociology 43(1):21–44, 2002.
M. DEFLEM, International Police Cooperation — History of, Pp. 795-798 in The Encyclopedia of Criminology, edited by Richard A. Wright e J. Mitchell Miller, Routledge, New York, 2005.
M. DEFLEM, Wild Beasts Without Nationality: The Uncertain Origins of Interpol, 1898–1910. Pp. 275–285 in The Handbook of Transnational Crime and Justice, edited by Philip Reichel, Thousand Oaks, CA: Sage Publications, 2005.
O. DI TONDO, Giuseppe Dosi, la polizia internazionale e la nascita dell'Interpol, in Giuseppe Dosi il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, (a cura di) R. CAMPOSANO, Ufficio Storico della Polizia di Stato, Roma, 2014.
R. BACH JENSEN, The Battle against Anarchist Terrorism: An International History, 1878–1934. New York: Cambridge University Press, 2014.
T. BEUGNIET, La conférence anti–anarchiste de Rome (1898) et les débuts d’une coopération internationale contre le terrorisme de la fin du XIXe siècle à la Première Guerre mondiale, mémoire, (dir.) Stanislas Jeannesson, Nantes, Université de Nantes, 2016.
Israele vuole creare una “zona cuscinetto” a sud di Gaza
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della redazione
Pagine Esteri, 2 dicembre 2023 – Israele vuole costituire una “zona cuscinetto” sul lato palestinese del confine tra Gaza e l’Egitto allo scopo, afferma, di prevenire “futuri attacchi di Hamas”. E ha informato delle sue intenzioni alcuni dei Paesi arabi con cui ha relazioni – in particolare l’Egitto e la Giordania – oltre all’Arabia saudita con cui intende normalizzare i rapporti e la Turchia. L’iniziativa non lascia intravedere una fine imminente dell’offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza – ripresa ieri e che ha ucciso in 24 ore 240 palestinesi, dopo una tregua di sette giorni –, però indica che Israele vuole “modellare il dopoguerra” dopo circa due mesi di bombardamenti e di attacchi di terra che hanno provocato 15mila morti e 35mila feriti tra i palestinesi, tra i quali migliaia di bambini e donne, oltre ad aver raso al suolo intere aree urbane.
Sino ad oggi nessuno Stato arabo si è detto pronto a “sorvegliare” o “amministrare” Gaza che in futuro, secondo i piani del gabinetto di guerra israeliano, sarà “senza Hamas” responsabile lo scorso 7 ottobre di un attacco nel sud di Israele che ha fatto circa 1200 morti civili e militari e 5mila feriti.
“Israele vuole questa zona cuscinetto tra Gaza e Israele, da nord a sud, per impedire a Hamas o ad altri militanti di infiltrarsi o attaccare Israele”, ha detto all’agenzia di stampa Reuters un funzionario mon meglio precisato della “sicurezza regionale”. Interpellato sui piani per una zona cuscinetto, Ophir Falk, consigliere per la politica estera del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha detto alla Reuters: “Il piano è più dettagliato di quanto è emerso. Si basa su un processo a tre livelli per il giorno dopo Hamas”. Ha aggiunto che i tre livelli implicano “la distruzione di Hamas, la smilitarizzazione di Gaza e la deradicalizzazione dell’enclave”. Più parti hanno ripetuto in queste settimane che è impossibile l’obiettivo di Israele di annientare Hamas che è qualcosa di più di una semplice forza militare e rappresenta una struttura complessa da un punto di vista ideologico, religioso e sociale.
Una fonte della sicurezza israeliana ha detto che l’idea della “zona cuscinetto” è “in fase di esame”, aggiungendo: “Non è chiaro al momento quanto sarà profonda, potrebbe essere 1 km o 2 km o centinaia di metri (all’interno di Gaza)… in questo modo Hamas non potrà organizzare capacità militari vicino al confine”.
Se questa “zona cuscinetto” sarà realizzata 2,3 milioni di palestinesi si ritroveranno in un territorio ancora più piccolo. Gaza è lunga appena 40 km e larga tra circa 5 km e 12 km. Un lembo di terra inferiore a 400 kmq e con una delle densità più alte al mondo.
Già in passato Israele ha pianificato di costituire una “zona cuscinetto” all’interno di Gaza da cui ha ritirato le sue truppe e i suoi coloni nel 2005, nel quadro del “piano di ridispiegamento” formulato dall’ex premier Ariel Sharon. Secondo la Reuters gli Stati uniti restano contrari a qualsiasi progetto volto a ridurre le dimensioni di Gaza. Da parte loro Giordania e Egitto mettono in guardia dall’intenzione di Israele di cacciare i palestinesi da Gaza, ripetendo la Nakba (catastrofe) del 1948, quando centinaia di migliaia di abitanti della Palestina furono cacciati via o furono costretti a scappare nei Paesi arabi vicini sotto la minaccia delle forze armate del nascente Stato di Israele.
Nelle scorse settimane era già emersa l’idea di Israele di creare una zona cuscinetto nel nord di Gaza. Gli Stati arabi non si oppongono a una barriera di sicurezza tra le due parti ma c’è disaccordo su dove sarà collocata. E’ da sottolineare che nessuna parte, da Israele agli Stati arabi fino ai Paesi occidentali, ritiene di coinvolgere gli abitanti palestinesi in queste discussioni sul “futuro” di Gaza e del resto dei Territori occupati. Pagine Esteri
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L'articolo Israele vuole creare una “zona cuscinetto” a sud di Gaza proviene da Pagine Esteri.
Cooperazione un po' di storia. La quarta parte. Nazificazione, II^ Guerra Mondiale. Heydrich ed Hoover.
Proseguiamo nella storia della cooperazione internazionale di polizia.
È ancora una guerra (questa volta la II^), anzi, a ben vedere, i suoi prodromi, a intralciare la organizzazione della cooperazione di polizia. Con l’annessione dell’Austria il 12 marzo 1938 (Anschluss) in attuazione della politica espansionistica di Adolf Hitler che mira alla creazione della “Grande Germania”, l’organizzazione fu di fatto rilevata dal regime nazista. In quello stesso anno, la presidenza dell’ICPC fu assegnata a un funzionario austriaco di fede nazista, in attuazione di un ampliamento iniziato in realtà sin dal 1935, allorquando all’undicesimo incontro ICPC a Copenaghen parteciparono in rappresentanza della Polizia Germanica funzionari di chiara matrice nazista.
(Reinhard Heydrich)
Il 24 agosto 1940 la finalizzazione della “nazificazione” dell’organizzazione internazionale di polizia fu simboleggiata dalla elezione alla Presidenza della Commissione del gerarca Reinhard Heydrich (immagine precedente), capo della tristemente nota Gestapo, e l’anno seguente con il trasferimento della sede della Commissione a Berlino, nella sede della Reichskriminalpolizeiamt (RKPA), il dipartimento centrale di investigazione criminale della Germania nazista.
Un solo esempio della nazificazione dell’ICPC rende più evidente la infusione dei principi nazisti di polizia con le pratiche di polizia esistenti: dopo che la sede fu trasferita a Berlino i moduli del mandato di perquisizione dell’ICPC furono modificati solo in un aspetto, l’aggiunta della categoria “RASSE” (razza) accanto alla voce “RELIGION”.
Sulla continuità della Commissione durante la Guerra, sotto la direzione della Polizia tedesca come abbiamo appena visto, è interessante notare che un rapporto del 1940 su una pubblicazione di settore dichiarava che l’ICPC aveva continuato a funzionare dallo scoppio della guerra “perché tutti gli stati della Commissione (tranne naturalmente l’Inghilterra e la Francia, ndr) – continuano la collaborazione di polizia nell’ambito di questa Commissione”. Un successivo articolo del 1942 che promuoveva il sistema di polizia nazista, dichiarava ancora che “nonostante la guerra, le relazioni internazionali, sebbene spesso in forme diverse” potevano essere mantenute e promosse.
In un libro pubblicato nel 1943, il segretario generale Oskar Dressler dichiarò che non meno di 21 Paesi – tra cui gli Stati Uniti – stavano ancora cooperando con il quartier generale dell’ICPC a Berlino. In effetti, gli Stati Uniti sono stati legalmente membri dell'ICPC durante la guerra, poiché l'approvazione dell'appartenenza alla Commissione non è mai stata revocata. Che si trattasse di una mera questione formale divenne chiaro quando, dopo la caduta della Germania nazista, si scoprì che l'ICPC, controllato dai nazisti, dopo il 1941 aveva ancora inoltrato circa 100 avvisi di ricerca al Federal Bureau of Investigation, un numero non identificato dei quali, secondo quanto riferito, era stato inoltrato dopo l'entrata in guerra degli USA. Il periodico dell’ICPC, Internationale Kriminalpolizei, continuò a essere pubblicato regolarmente durante gli anni della guerra. La pubblicazione conteneva principalmente articoli di interesse generale e avvisi amministrativi, tutti scritti dalla polizia o da simpatizzanti nazisti. Nel numero del 29 febbraio 1944 del periodico ICPC, apparve un breve articolo su “Il raduno dei membri dell’ICPC a Vienna”, tenutosi dal 22 al 24 novembre 1943. L’incontro fu probabilmente il primo svolto dal 1938, ma l’articolo non menzionava alcun evento o decisione degna di nota raggiunta durante la conferenza.
il direttore dello statunitense FBI (Federal Bureau of Investigation), Hoover
Atmosfera da romanzo giallo assume il destino dei dossier dell’ICPC dopo la conquista di Berlino da parte degli Alleati. Alla fine della guerra in Europa, voci giornalistiche asserivano che il 2 agosto 1945 le autorità dell’esercito americano avevano scoperto a Berlino gli archivi dell’ICPC formati dai fascicoli relativi a 18.000 criminali internazionali. Studiosi hanno affermato che parte dei documenti dell’ICPC sono stati distrutti durante i raid su Berlino, ma che alcuni sono stati recuperati dalle rovine e forse portati a Mosca dai militari sovietici. In una lettera del 4 dicembre 1945, il direttore dello statunitense FBI (Federal Bureau of Investigation), Hoover (immagine precedente) fu informato del “recupero degli archivi dell’ex Ufficio di Vienna”.
Nel maggio 1946, a Hoover fu detto allo stesso modo che Florent Louwage, il primo presidente dell’ICPC dopo la guerra, era “riuscito a nascondere alcuni dei documenti della Commissione in Germania” e ora aveva “in suo possesso a Bruxelles i fascicoli di circa 4.000 criminali”. Due anni dopo, l’addetto FBI a Parigi confermò che “una parte dei fascicoli della Commissione” era stata “recuperata”.
… continua …
Cooperazione. Dal Primo congresso alla creazione dell'INTERPOL.
(Johannes Schober)
Nei giorni in cui si festeggiano i 100 anni dell'INTERPOL, proprio a Vienna, capitale ove è nata, continuiamo a ripercorrere la storia della cooperazione di polizia. Dopo il Primo congresso, tenutosi nel Principato di Monaco nel 1914 ...
Si deve attendere la fine della I^ Guerra Mondiale per proseguire nelle ricerche di intese volte a implementare la collaborazione transnazionale. Un primo parziale tentativo è del settembre 1922: durante una riunione della polizia a New York, fu istituita la Conferenza internazionale della polizia (IPC): concepita come un’organizzazione per promuovere e facilitare la cooperazione internazionale tra le forze di polizia, in realtà la Conferenza diede vita ad un’organizzazione prevalentemente americana che si occupava principalmente di favorire standard di professionalità tra le forze dell’ordine locali degli Stati Uniti. L'IPC fu organizzato in modo indipendente da funzionari di polizia, in particolare all'interno del Dipartimento di polizia di New York. La cooperazione era pensata in modo da attuarsi tra i membri della Conferenza, al di fuori del contesto dei sistemi legali formali. A causa della distanza con l'Europa e altre parti del mondo e delle reti di telecomunicazioni non ancora sviluppate, e poiché gli Stati Uniti non avevano ancora una polizia federale ben strutturata, le operazioni di polizia statunitensi in quel momento rimanevano isolate.
L’iniziativa della Polizia Austriaca nel 1923, e del suo Capo Johannes Schober (Cancelliere federale dal 1921 al 1922 e dal 1929 al 1930, immagine precedente), fa sì che si tenga a Vienna una nuova, la seconda, Conferenza internazionale di polizia criminale, durante la quale viene finalmente deliberata la creazione della Commissione Internazionale di Polizia Criminale, primo nucleo di quello che sarà l’attuale Interpol – OIPC, l’organizzazione di polizia internazionale più duratura.
Quella che fu allora definita ICPC (International Criminal Police Commission), fu il risultato non di una iniziativa diplomatica, ma di una proposta presa indipendentemente da funzionari di polizia di vari Paesi, principalmente europei. L’esigenza era quella di provvedere al controllo di una criminalità mutata alla fine del primo conflitto mondiale anche mercé la maggiore apertura delle frontiere. La particolarità è che la Commissione fu istituita senza la firma di un trattato internazionale o di un documento legale. Le attività dell’ICPC sono state pianificate in occasione di riunioni di polizia e tramite corrispondenza tra funzionari di polizia, senza controllo da parte dei rispettivi Governi. Inoltre, per molto tempo dalla sua fondazione, l’ICPC non ha avuto uno status giuridico riconosciuto a livello internazionale e non è stata formalizzata alcuna procedura legale affinché un’agenzia di polizia, piuttosto che uno Stato nazionale, acquisisse l’appartenenza alla Commissione.
Non a caso l’evento ha luogo al temine della I^ Guerra Mondiale. In tale periodo infatti emerge un aumento transnazionale e un’internazionalizzazione del crimine: nuovi tipi di reato hanno luogo in Paesi in fase di rapido cambiamento sociale e progresso tecnologico. La Commissione istituì nuovi sistemi di mezzi tecnologicamente avanzati per la comunicazione e trasmissioni dirette da polizia a polizia, in reazione alle gravose procedure legali di estradizione. Tra il 1923 e il 1938, la Commissione tenne quattordici incontri internazionali in vari Paesi europei e approfondì costantemente le strutture organizzative. Nel corso degli anni, l’adesione all’ICPC si andava gradualmente ampliando. Basti dire che nel 1940 la Commissione rappresentava più di 40 stati, tra cui la maggior parte delle potenze europee (ad esempio Francia, Germania e Italia) e alcuni Paesi non europei, come Bolivia, Iran, e Cuba.
(Michael Skubl)
Il quartier generale dell’ICPC fu posto a Vienna. Nel maggio 1934, fu un funzionario della Polizia italiana, Antonio Pizzuto, a proporre che la presidenza dell’ICPC risiedesse stabilmente presso la Direzione della Polizia della capitale austriaca. La mozione fu accolta e il presidente della polizia di Vienna Michael Skubl (immagine precedente) divenne il presidente dell’ICPC. La sede conteneva divisioni specializzate sulla falsificazione di passaporti, assegni e valute, impronte digitali e fotografie e altri sistemi tecnici propri della polizia. Inoltre, mezzi di comunicazione diretta “da polizia a polizia”, come una rete radio e pubblicazioni, risultano tra i primi traguardi della neonata ICPC. Nel 1935 l’organizzazione contava 34 Paesi membri.
… continua …
Le falle di sicurezza nei sistemi di documentazione giudiziaria utilizzati in cinque stati degli Stati Uniti hanno messo in luce documenti legali sensibili
L'ex responsabile del motore a razzo Blue Origin denuncia il licenziamento illegittimo per aver denunciato sulla sicurezza
La denuncia è stata presentata lunedì presso la Corte Superiore della contea di Los Angeles. Include una narrazione dettagliata sugli sforzi del direttore del programma Craig Stoker, nell'arco di sette mesi, per aumentare le sue preoccupazioni sulla sicurezza e su un ambiente di lavoro ostile alla Blue Origin
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> instillando sempre il dubbio
Il dubbio non è un problema, soprattutto se paragonato alla disparità di accesso allo studio e al lavoro determinata dal pregiudizio
> le borse di studio riservate alle studentesse del PoliMi. Un'aberrazione a mio avviso
Sono d'accordo in linea di principio, ma viviamo nel mondo reale: se il problema delle performance delle donne nelle discipline STEM, mediamente inferiori a quelle degli uomini, non è dovuto a cause evolutive e in un certo senso "genetiche" (un'ipotesi possibile e molto suggestiva, ma mai dimostrata) allora questo ritardo è dovuto a una pressione sociale sbagliata da parte della società ed è quindi corretto iniziare a porre dei correttivi in tal senso, sia per quelle donne per cui il danno non è ancora stato fatto (bambine in età scolare e pre-scolare), sia per quelle per cui il danno è stato realizzato
Sfatare i 10 principali miti su mastodon
Il punto, però, è questo: ci sono molti miti e voci che circolano all'interno della base utenti di Mastodon che fraintendono o falsificano notevolmente le informazioni sulla piattaforma. Nell'interesse di correggere la situazione su un gran numero di cose, abbiamo stilato un elenco dei miti sui mastodonti più pervasivi.
10. Mastodon non ha algoritmi, perché gli algoritmi sono pessimi
9.Mastodon è la stessa cosa del Fediverso
8. Non ci sono nazisti su Mastodon
7. Mastodon dovrebbe evitare le funzionalità dei social network più popolari, perché sono vettori di abusi
6. Mastodon rispetta la tua privacy ed è l'ideale per comunicazioni sicure
5. Se ti trovi su un server scadente, puoi facilmente spostarti su uno buono
4. Mastodon e il Fediverso funzionano sostanzialmente come la posta elettronica.
3. Mastodon è molto più bello di altri posti!
2. Mastodon è compatibile con ActivityPub
1. Mastodon è facile da usare!
Mastodon e il Fediverso funzionano sostanzialmente come la posta elettronica.
Perché sarebbe un mito questo?
@onitoring il post spiega che ciò che viene effettivamente inviato sono i payload JSON, che vengono inviati alla MultiInbox di un server, quindi diffusi ai file Inbox
Inoltre il server ActivityPub importa tutta una serie di contenuti che non sono visibili solo a chi ha fatto l'iscrizione su quei contenuti, ma anche agli altri utenti dell'istanza. Il sistema quindi ricorda abbastanza un server mail, ed è utile come esempio, ma è estremamente più complesso
Weekly Chronicles #56
Questo è il numero #56 delle Cronache settimanali di Privacy Chronicles, la newsletter che parla di sorveglianza di massa, crypto-anarchia, privacy e sicurezza dei dati.
Nelle Cronache della settimana:
- Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay
- In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”
- I passaggi di stato dell’informazione
Nelle Lettere Libertarie: La strisciante minaccia delle leggi contro l’hate speech
Rubrica OpSec: una guida dettagliata per (provare a) rimanere anonimi online
Catholic Laity and Clergy for Renewal, l’organizzazione cattolica che spia i preti gay
Un’organizzazione “noprofit” cattolica ha investito più di 4 milioni di dollari per spiare ed esporre i preti gay. È la Catholic Laity and Clergy for Renewal e ha una missione: assicurarsi che i preti rispettino il voto di castità.
Per farlo non hanno assoldato oscuri hacker col cappuccio ricercati dall’INTERPOL, ma si sono limitati a comprare dataset aggregati da alcuni dei numerosi data broker che lavorano con il sistema RTB (Real-Time Bidding) — una pietra miliare della pubblicità online.
Il sistema RTB è la tecnologia che oggi permette di mettere all’asta spazi pubblicitari online in tempo reale, ad esempio mentre un utente cerca una pagina web o utilizza un’app sul telefono. Poiché gli spazi pubblicitari sono profilati, per funzionare ha bisogno di enormi quantità di dati aggregati, come:
- Dati demografici: informazioni che riguardano l’età, il sesso, l’educazione e l’ambito lavorativo e famigliare delle persone
- Abitudini: dati legati alle abitudini online, come ricerche, click, e così via
- Uso di app: le app raccolgono enormi quantità di dati di utilizzo che poi sono usati per profilare ulteriormente le persone
- Geolocalizzazione: informazioni che riguardano la posizione del dispositivo usato per navigare o per usare l’app, in un determinato momento
- Informazioni sul dispositivo: dettagli tecnici sul dispositivo usato per navigare o per usare l’app
Questi possono essere facilmente acquistati da aziende di data brokering il cui business model è raccogliere e rivendere tutte o alcune categorie di questi dati. Un mercato molto florido è quello dei dati di geolocalizzazione dei dispositivi. Una volta ottenuti, non serve altro che qualche capacità tecnica di analisi per intrecciare e correlare i dataset e cercare di identificare le persone a cui si riferiscono. È un po’ come costruire un puzzle.
In questo caso, l’organizzazione ha comprato alcuni database specifici per le app di dating gay per cercare di identificare i membri del clero che ne fanno uso. Il caso più noto è quello di Jeffrey Burril, segretario generale dell’American Bishops’ Conference, che è stato esposto e costretto poi a dimettersi.
Il lavoro di Catholic Laity and Clergy for Renewal ci insegna che contro un attaccante con sufficienti risorse e tempo a disposizione non c’è privacy o anonimato che tengano. Neanche gli amici più cypherpunk potrebbero dirsi al riparo da attacchi di re-identificazione mirati di questo tipo. Se agli enormi dataset oggi facilmente disponibili aggiungiamo anche le potenzialità OSINT dell’intelligenza artificiale… la frittata è fatta e le agenzie di intelligence banchettano.
In UE arriva il Data Act: aprirà le porte al “data-communism”
In UE è stato da poco approvato il testo del nuovo regolamento chiamato Data Act. Se avete l’impressione che esca un regolamento sui “dati” ogni due settimane, è perché più o meno è così. Da circa 3 anni l’UE è impegnata in una forsennata corsa verso la regolamentazione del cosiddetto “mercato digitale”, di cui i dati sono la prima risorsa.
noyb presenta un reclamo GDPR contro Meta per "Pay or Okay" Meta addebita fino a 251,88 euro per rispettare il diritto fondamentale alla privacy degli utenti dell'UE. Si tratta di una violazione del GDPR
FPF and The Dialogue Release Collaboration on a Catalog of Measures for “Verifiably safe” Processing of Children’s Personal Data under India’s DPDPA 2023
Today, the Future of Privacy Forum (FPF) and The Dialogue released a Brief containing a Catalog of Measures for “Verifiably Safe” Processing of Children’s Personal Data Under India’s Digital Personal Data Protection Act (DPDPA) 2023.
When India’s DPDPA passed in August, it created heightened protections for the processing of personal data of children up to 18. When the law goes into effect, entities who determine the purpose and means of processing data, known as “data fiduciaries,” will need to apply these heightened protections to children’s data. Under the DPDPA, there is no further distinguishing between age groups of children, and all protections, such as obtaining parental consent before processing a child’s data, will apply to all children up to 18. However, the DPDPA stipulates that if the processing of personal data of children is done “in a manner that is verifiably safe,” the Indian government has the competence to lower the age above which data fiduciaries may be exempt from certain obligations.
In partnership with The Dialogue, an emerging research and public-policy think-tank based in New Delhi with a vision to drive a progressive narrative in India’s policy discourse, FPF prepared a Brief compiling a catalog of measures that may be deemed “verifiably safe” when processing children’s personal data. The Brief was informed by best practices and accepted approaches from key jurisdictions with experience in implementing data protection legal obligations geared towards children. Not all of these measures may immediately apply to all industry stakeholders.
While the concept of “verifiably safe” processing of children’s personal data is unique to the DPDPA and not found in other data protection regimes, the Brief’s catalog of measures can aid practitioners and policymakers across the globe.
The Brief outlines the following measures that can amount to “verifiably safe” processing of personal data of children, proposing additional context and actionable criteria for each item:
1. Ensure enhanced transparency and digital literacy for children.
2. Ensure enhanced transparency and digital literacy for parents and lawful guardians of very young users.
3. Opt for informative push notifications and provide tools for children concerning privacy settings and reporting mechanisms.
4. Provide parents or lawful guardians with tools to view, and in some cases set, children’s privacy settings and exercise privacy rights.
5. Set account settings as “privacy friendly” by default.
6. Limit advertising to children.
7. Maintain the functionality of a service at all times, considering the best interests of children.
8. Adopt policies to limit the collection and sharing of children’s data.
9. Consider all risks of processing their personal data for children and their best interests via thorough assessments.
10. Ensure the accuracy of the personal data of children held.
11. Use and retain personal data of children considering their best interests.
12. Adopt policies regarding how children’s data may be safely shared.
13. Give children options in an objective and neutral way, avoiding deceptive language or design.
14. Put in place robust internal policies and procedures for processing personal data of children and prioritize staff training.
15. Enhance accountability for data breaches through notifying the parents or lawful guardians and adopting internal policies such as Voluntary Undertaking if a data breach occurs.
16. Conduct specific due diligence with regard to children’s personal data when engaging processors.
We encourage further conversation between government, industry, privacy experts, and representatives of children, parents, and lawful guardians to identify which practices and measures may suit specific types of services and industries, or specific categories of data fiduciaries.
Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta l’IC n.2 di Sinnai, in provincia di Cagliari, che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al #PNRR. I lavori di demolizione del plesso sono partiti il 22 novembre e dureranno circa un mese.Telegram
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
🔶 "Educazione alle relazioni", 15 milioni per i percorsi per le scuole.
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito. 🔶 "Educazione alle relazioni", 15 milioni per i percorsi per le scuole.Telegram
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informapirata ⁂
in reply to Andrea Russo • • •dichiarazioni irresponsabili
@politica
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El Salvador
in reply to informapirata ⁂ • • •“The more we support Ukraine, the faster the war will end."
Sicuramente. 🤐☠️
informapirata ⁂
in reply to El Salvador • • •Irrersponsabili ("We should also be prepared for bad news”), fallaci (“The more we support the Ukraine, the faster the war will end.") e dannose (“We’re not able to work as closely together as we should”).
Questo ennesimo scarto del laburismo mercantilista europeo (è una via di mezzo tra Prodi e D'Alema) si dimostra un segretario generale NATO scadente (oltre che scaduto: ilpost.it/2023/07/05/jens-stol…)
Il mandato di Jens Stoltenberg come segretario generale della NATO è stato prorogato fino allottobre del 2024
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