Bruxelles approva lo spionaggio sui media per motivi di “sicurezza nazionale” | L'Indipendente
"Impossibile non notare come la norma contenga un controsenso intrinseco, dal momento che aspira a garantire ai giornalisti una maggiore indipendenza e libertà da eventuali minacce aumentando la sorveglianza e il controllo sul loro operato. Il risultato, anzi, parrebbe essere proprio il contrario, ovvero condizionare ulteriormente l’attività di indagine dei professionisti dell’informazione, già sottoposta a crescenti restrizioni in diversi Paesi europei."
Guatemala. Presidenziali, ballottaggio nel centrosinistra tra Torres e Arevalo
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della redazione
Pagine Esteri, 26 giugno 2023 – La leader di “Une”, il partito di Unità nazionale della speranza (centrosinistra), ed ex first lady Sandra Torres è avanti ai suoi avversari nelle elezioni presidenziali tenute ieri in Guatemala. Ma è lontana dal poter vincere al primo turno. Con oltre il 90 per cento dei seggi elettorali scrutinati, Torres raccoglie il 15 per cento delle preferenze. “Vinceremo, non potranno toglierci la vittoria, chiunque esso sia”, ha detto ai suoi sostenitori riferendosi al secondo turno il prossimo 20 agosto.
Al secondo posto, con il 12 per cento, è posizionato il candidato di “Semilla” (sinistra ecologista) Bernardo Arevalo. Solo al terzo posto il candidato della destra Manuel Conde di “Vamos” (destra), con l’7,84 per cento dei voti.
Il voto di protesta comunque è quello più alto: il 17 per cento di chi si è recato alle urne ha annullato la scheda.
Da notare che una sentenza del Tribunale elettorale supremo del Guatemala, ha impedito all’imprenditore Carlos Pineda, del partito di destra “Prosperità cittadina”, in cima nei sondaggi prima del voto, di prendere parte alle elezioni. Pineda è stato il quarto candidato bloccato da una decisione delle autorità giudiziarie, circostanza che suscitato allarme dei centri per i centri per la tutela dei diritti umani e politici. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha parlato di “continua erosione dello stato di diritto in Guatemala”. Pagine Esteri
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Perù. Cancellata la legge per lo sfruttamento industriale, le organizzazioni indigene festeggiano
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dal Comunicato stampa di Survival International
Pagine Esteri, 26 giugno 2023. Straordinario colpo di scena in Perù, dove una importante commissione del Congresso ha bocciato il Progetto di Legge 3518, che i popoli indigeni del paese avevano anche definito “Progetto di legge genocida” per gli effetti devastanti che avrebbe avuto se fosse stato approvato.
Il PL 3518-2022 era già stato mandato al Congresso per il voto ma ora, grazie alla bocciatura e archiviazione da parte della “Commissione per la decentralizzazione”, il suo percorso è bloccato.
Teresa Mayo, ricercatrice di Survival International l’ha definita “una grande vittoria per i popoli indigeni del Perù, per le loro organizzazioni e per le migliaia di persone comuni che in tutto il mondo hanno sostenuto la campagna contro questo devastante progetto di legge.”
Le organizzazioni indigene peruviane AIDESEP e ORPIO hanno esercitato forti pressioni e oltre 13.000 sostenitori di Survival hanno scritto ai membri della Commissione per la decentralizzazione, esortandoli a bloccare il disegno di legge.
Il progetto legislativo era stato avanzato da membri del Congresso pro-Fujimori legati alla potente industria degli idrocarburi, e rappresentava una gravissima minaccia specialmente per le tante tribù incontattate del paese, le cui terre sarebbero state esposte allo sfruttamento industriale.
“Sono molto felice perché abbiamo lavorato duramente per fermare questo disegno di legge che viola i diritti dei popoli incontattati e di recente contatto. L’archiviazione del disegno di legge protegge i nostri parenti incontattati, i loro diritti e le loro vite, ed evita il genocidio e l’ecocidio che avrebbe scatenato” ha dichiarato Tabea Casique (Ashaninca) di AIDESEP.
Per Roberto Tafur, dell’organizzazione indigena peruviana ORPIO, la decisione mette in risalto “la partecipazione di coloro che hanno una coscienza che li ha spinti a preoccuparsi dei nostri fratelli PIACI. Perché la vita viene prima del denaro. Per arrivare qui abbiamo combattuto molto. E dobbiamo continuare a lottare per i nostri fratelli che sono nel folto della foresta, che non sanno che noi stiamo combattendo per loro”.
I popoli incontattati e di recente contatto sono noti collettivamente in Perù con il nome di PIACI. In Perù, l’industria del petrolio e del gas ha già avuto un impatto catastrofico su questi popoli. Negli anni ‘80, ad esempio, a seguito delle prospezioni petrolifere effettuate dalla Shell, furono introdotte malattie mortali che uccisero oltre la metà del popolo Nahua (che era precedentemente incontattato).
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“La sostenibilità digitale a scuola nel pieno rispetto del CAD e del GDPR”
#cosedagarante|Dalle ore 17.00, parteciperò al seminario “La sostenibilità digitale a scuola nel pieno rispetto del CAD e del GDPR”, ideato e curato da Massimo Corinti e promosso dalla rete “ARETE”. Qui il modulo di iscrizione al seminario nc.fuss.bz.it/apps/forms/s/JCZ… Per info qui fuss.bz.it/post/2023-06-26_inc…
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Ministero dell'Istruzione
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Sterilizzazioni forzate per i disabili: il Giappone fa mea culpa
Un rapporto fa luce sulle vittime, fra cui due bambini, della legge abrogata nel 1996. I cittadini con disabilità o malattie mentali sono stati operati anche con l’inganno Nel secondo dopoguerra in Giappone la presenza di persone con disabilità, malattie mentali o disturbi ereditari doveva essere ridotta. Con l’inganno o con la forza. In soccorso al governo intenzionato a portare ...
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In Cina e Asia – Rivolta Wagner: la Cina "sostiene la stabilità nazionale della Russia”
Rivolta Wagner: la Cina "sostiene la stabilità nazionale della Russia"
Gli Stati Uniti accusano quattro aziende cinesi di traffico dei precursori del fentanyl nel paese
Il viceministro degli Esteri cinese Ma Zhaoxu responsabile delle relazioni con gli Usa
Picco di viaggi in Cina. Ma secondo gli analisti servono sussidi alle famiglie
Disoccupazione giovanile in Cina: donne con lauree umanistiche tra le più colpite
La Cina non esporta più grafite in Svezia
Nel 73° anniversario della guerra di Corea, il Nord minaccia la distruzione degli Usa
Vietnam, Corea del Sud e Usa: focus sui minerali critici e la cooperazione militare
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“Web3 e Blockchain, il futuro della digitalizzazione in Italia”
A partire dalle 10.30 parteciperò a Roma al convegno “Web3 e Blockchain, il futuro della digitalizzazione in Italia”, organizzato da Olitec, Decripto e FederItaly. Per info qui eventbrite.co.uk/e/biglietti-w…
REPORTAGE. Il popolo dimenticato dei bambini sfollati e profughi
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di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 26 giugno 2023 – Ho conosciuto Saeed, nome di fantasia, qualche anno fa, in un piccolo ristorante nella valle della Bekaa, in Libano. Si mangiava all’aperto, in giardino, intorno a tavoli di plastica bianca. Sulle griglie si arrostiva la carne degli agnelli e dei vitelli sgozzati che stavano appesi per le zampe al soffitto all’ingresso del locale. Saeed aveva otto o nove anni, la sua mamma era stata invitata a quel tavolo da un’associazione di medici italiani che l’aveva conosciuta in una missione precedente e che adesso voleva donarle una busta di banconote per aiutarla a sfamare i suoi figli. Appena oltre la recinzione di rete a larghe maglie di quel giardino si scorgevano le montagne azzurrissime del suo Paese, la Siria. Saeed sedeva con la schiena drittissima, staccata dallo schienale. Non toccava neanche il cibo che gli veniva offerto, l’insalata tradizionale di prezzemolo, pomodori e pane croccante, i bocconcini di carne grigliata.
Era bene educato, Saeed, e nonostante i suoi occhi accarezzassero quei piatti con desiderio, non si azzardava a prendere del cibo, continuava a scuotere la testa e a ripetere grazie a quei medici occidentali. Poi sua madre gli aveva rivolto un cenno del capo, a dirgli che sì, gli era permesso di mangiare, e allora lui, ancora ringraziando, timidamente si era avvicinato al piatto. In Siria, solo quattro anni prima, era stato il figlio di un imprenditore e aveva vissuto in un quartiere benestante di Damasco. Nel salotto di casa sua, c’erano stati un televisore a schermo piatto e i joystick della sua playstation. Aveva avuto una brevissima vita agiata, Saeed. Poi era scoppiata la guerra. Sua madre si era messa lui e le sue sorelle in macchina e se li era portati, orfani di padre, oltre il confine con il Libano, in un viaggio notturno e clandestino.
Di colpo, la vita in una tenda, in un campo profughi sovraffollato dove bisognava mettersi in fila per il riso e poi per riempire una tanica d’acqua, e dove lei, la mamma, una laurea in ingegneria e mani morbide, si era trasformata in una tigre per difendere i suoi figli. Era bastato un viaggio notturno per cancellare dalla vita di Saeed la tv a schermo piatto, la playstation, la scuola in cui prendeva ottimi voti e le maestre gli dicevano che avrebbe fatto il dottore. Il passato, però, ancora gli si leggeva in quella schiena dritta, nelle guance che arrossivano, nei capelli dritti, tenacemente pettinati. Quando si era allontanato dal ristorante tenendo per mano la sua mamma, finalmente gli avevamo sentire pronunciare parole diverse da “Shoukran”. Lontano dalle nostre orecchie estranee una voce bambina era riemersa da qualche abisso per chiederle, rivolgendosi a quel mazzetto di banconote che avevano ricevuto: “Possiamo comprare un pallone?”.
Non ho più notizie di Saeed, la sua esistenza si è unita alla matassa di quelle di milioni e milioni di bambini sfollati nel mondo, come se non fossero tutti individui con volti, nomi, personalità come lui, che era gentile e riservato.Il più recente rapporto dell’Unicef parla di 43,3 milioni di bambini sfollati. Il numero più alto nella storia, eppure sempre un numero tra tanti. Un numero che, però, a pensarci bene, starebbe a significare che la popolazione di un Paese come la Spagna o l’Argentina potrebbe essere interamente costituita da bambini sfollati. Un popolo, una nazione di bambini costretti ad abbandonare la propria casa, per fuggire all’interno del proprio Paese o oltre i suoi confini, come Saeed, per salvarsi la vita. Solo nell’ultimo decennio, questa popolazione di bambini sradicati dalla loro terra è raddoppiata.
Nel 60% dei casi (25.8 milioni), si tratta di sfollati interni. Quando cercano rifugio all’estero, le destinazioni più frequenti sono la Turchia, l’Iran, la Colombia, la Germania e il Pakistan.
17,5 milioni di bambini sono in fuga dalla guerra. Il rapporto, che si ferma alla fine del 2022, non include tra questi i bambini fuggiti in questi mesi dal conflitto in Sudan, che secondo l’Unicef al momento dovrebbero essere almeno 940.000. Il conflitto tra Russia e Ucraina, poi, ha costretto almeno 4 milioni di bambini ucraini a lasciare la propria casa: oltre due milioni di loro hanno abbandonato il loro Paese e oltre un milione sono sfollati interni. Sono almeno un centinaio i conflitti attualmente in corso nel mondo, ed è dalle loro spirali di violenza, anche quando dimenticate, che le famiglie continuano a cercare di salvare i propri figli, ingrossando le fila dei rifugiati.
Vivere da rifugiati significa, nella maggior parte dei casi, non avere diritto alla protezione sociale, all’istruzione, alla salute, neppure a ricevere le vaccinazioni durante l’infanzia secondo calendario. Una vulnerabilità che ha un inizio, come l’arrivo di Saeed in Libano in piena notte, ma non vede una fine. Come ha notato, infatti, Verena Knaus, capo della commissione Unicef sulla migrazione e lo sfollamento, “La maggior parte di questi bambini che sono sfollati oggi molto probabilmente resterà sfollata per l’intera durata dell’infanzia”.
Faceva una riflessione analoga la giornalista Lucia Goracci alcuni giorni fa, commentando l’ennesima strage di migranti in mare al largo della Grecia il 16 giugno scorso, in cui si stima abbiano perso la vita 600 persone. A proposito di una ragazza di 20 anni che dal barcone aveva cercato di lanciare l’allarme col suo cellulare, scriveva, infatti: “Era di Daraa, dove la guerra civile siriana è cominciata. Aveva 20 anni. Cioè era una bimba di 8, quando la guerra è entrata dentro casa sua”. Se per i giornali e i libri di storia la durata delle guerre si misura in anni, per i bambini che ci nascono e ci vivono in mezzo e che poi, a volte, si trasformano in profughi, i conflitti corrispondono ad anni di infanzia perduta, talvolta a un’infanzia intera, dalla nascita all’adolescenza, senza possibilità di ripartire dall’inizio.
A sfollare i bambini non sono solo i conflitti ma anche i cambiamenti climatici. Deforestazione, siccità, alluvioni e inondazioni a causa del cambiamento climatico hanno costretto fino al 2022 almeno 12 milioni di bambini a emigrare dalle loro terre d’origine. Spesso, anche in questo caso, per trasferirsi in campi di rifugiati sovrappopolati in cui i diritti dell’infanzia non sono garantiti.
I bambini pagano le spese dei disastri bellici ed ecologici degli adulti in maniera per giunta sproporzionata: rappresentano il 31% della popolazione mondiale, ma costituiscono almeno il 60% del popolo di sfollati che si muove nel mondo. Un’emergenza che Catherine Russell, Direttrice esecutiva dell’Unicef, commenta così: “L’aumento (del numero di bambini sfollati, ndr) va di pari passo con l’impennata di conflitti, crisi e disastri climatici nel mondo. Ma sottolinea anche la risposta deludente di molti governi nel garantire che ogni bambino rifugiato o sfollato interno possa continuare a imparare, a rimanere in salute e a sviluppare il proprio pieno potenziale”.
A pochi giorni dalla Giornata mondiale del Rifugiato, il dato del Refugee Funding Tracker è scoraggiante: nei primi sei mesi del 2023, sarebbe stato versato solo il 22% dei 10 milioni di dollari che erano stati richiesti a livello mondiale per il soccorso dei rifugiati. Né le politiche occidentali nei confronti dei migranti lasciano presagire scenari molto migliori, per i bambini che da un giorno all’altro chiudono con la loro infanzia per trasformarsi in sfollati. Sarebbe forse un nuovo sistema da proporre nelle sedi istituzionali, quello di misurare la durata e la gravità dei conflitti e dell’emergenza climatica non in anni e in percentuali, ma in infanzie interrotte. Pagine Esteri
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PRIVACYDAILY
Irish Gov makes critizising Big Tech and Irish DPC a crime!
Il governo irlandese considera reato criticare le Big Tech e il DPC irlandese! Il governo irlandese tenta di introdurre di nascosto una disposizione nella legge irlandese sulla protezione dei dati che consente di dichiarare "riservata" qualsiasi parte della procedura. Le critiche legittime diventerebbero un reato.
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Mio figlio ha una 4 ruote
Durante lo stage "Mio figlio ha una 4 ruote" MF4R (policlinico.mi.it/news/2023-06…) organizzato a Lignano Sabbiadoro dal Sapre, un servizio pubblico del Policlinico di Milano che si occupa da più di 30 anni dei genitori di bambini affetti da SMA (atrofia spinale muscolare) promuovendone l'empowerment, si è svolta una camminata di circa 5 km percorribile a piedi, in bici, con carrozzine manuali/elettroniche e passeggini.
Il percorso, individuato con la collaborazione di #FIAB Monfalcone - BisiachINbici, tra la Riserva naturale regionale Foce dell'Isonzo-Isola della Cona e Marina Julia (Monfalcone) si è svolto su un tratto della pista ciclabile Adria Bike (adriabike.eu/it/interactive-ma…) scelto in particolare perché privo di barriere architettoniche.
Alla camminata ha partecipato un gruppo di circa 150 persone tra cui 50 bambini in carrozzina elettronica le cui famiglie arrivano da tutta Italia e dall'estero.
Un grande esempio del ruolo del servizio sanitario pubblico e un esempio (un po' più piccolo) dell'importanza di una mobilità sostenibile per tutti, non solo per gli amici della #bicicletta.
@maupao @macfranc @Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋 @:fedora: filippodb :cc: :gnu:
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Ancora un raid di coloni israeliani in Cisgiordania. L’esercito uccide due palestinesi armati
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della redazione
Pagine Esteri, 24 giugno 2023 – Per il sesto giorno consecutivo i coloni israeliani hanno attaccato villaggi palestinesi in Cisgiordania per vendicare l’uccisione martedì di quattro israeliani, il giorno dopo un raid dell’esercito a Jenin che ha ucciso sette palestinesi, tra cui un ragazzo e una ragazza di 15 anni.
Oggi è stato preso di mira Umm Safa, nella Cisgiordania centrale, in cui sono stati feriti alcuni abitanti e sono state date alle fiamme diverse case e automobili. Un soldato israeliano è stato ferito da una pietra.
Secondo il sindaco di Umm Safa, Marwan Sabah, almeno 100 coloni hanno attaccato la città sotto la protezione dell’esercito israeliano. “I soldati erano con loro e li hanno difesi”, ha detto, aggiungendo che “hanno lanciato gas lacrimogeni e sparato proiettili di gomma contro gli abitanti”. I palestinesi a loro volta hanno bruciato un veicolo militare israeliano.
La ministra della Sanità palestinese Mai Al-Kaila ha denunciato che i coloni hanno lanciato pietre contro un’ambulanza che trasportava un paziente dal villaggio di Beit Rima vicino a Umm Safa, ferendo leggermente l’autista.
In totale questa settimana i coloni israeliani hanno ferito decine di palestinesi e distrutto decine di case ed automobili palestinesi a Turmusaya, Urif, Huwara, Luban al Sharqieh, Jaloud e altri villaggi. Un palestinese è stato ucciso a Turmusaya dal fuoco della polizia israeliana.
Sempre oggi un palestinese di 17 anni, Isaq Al Ajloni, è arrivato al checkpoint di Qalandiya a nord di Gerusalemme e ha aperto il fuoco contro i militari. Al-Ajlouni, ha ferito leggermente una guardia di sicurezza prima di essere colpito e ucciso. Secondo la polizia, Al-Ajlouni era armato con un fucile M-16. L’uccisione è avvenuta poche ore il decesso in ospedale del 39enne Muhammad Idris, un residente del campo profughi di Askar (Nablus). Idris, un combattente, è stato colpito allo stomaco ieri a Nablus durante una incursione dell’esercito israeliano.
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All’anagrafe
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PODCAST. Russia, prova di forza di Prigozhin. Chi c’è dietro il capo della Wagner?
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di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 24 giugno 2023 – La milizia Wagner ha “pugnalato la Russia alla schiena”. Con queste parole Vladimir Putin ha commentato in un discorso televisivo la più grande crisi interna che il presidente russo abbia dovuto affrontare da quando nel febbraio 2022 ha ordinato quella che ha descritto come una “operazione militare speciale” in Ucraina. Con una mossa a sorpresa, dopo settimane di accuse e critiche rivolte all’establishment politico-militare, pur senza accattare direttamente Putin, il capo e fondatore della Wagner, Evgenij Prigozhin, ha annunciato nelle scorse ore di aver preso il controllo del quartier generale delle forze armate russe nel centro di Rostov, capoluogo dell’omonima regione della Federazione Russa vicina all’Ucraina. E sostiene di poter marciare con 25 mila dei suoi uomini anche su Mosca pur di ottenere la rimozione del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e del capo di stato maggiore, Valery Gerasimov, che accusa di una “guida disastrosa” della guerra contro l’Ucraina. Della situazione in queste ore in Russia e sui possibili appoggi di cui Prigozhin potrebbe godere in patria e all’estero abbiamo parlato con l’analista Danilo Della Valle.
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PODCAST. Russia, prova di forza di Prigozhin. Chi ha dietro il capo della Wagner?
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di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 24 giugno 2023 – La milizia Wagner ha “pugnalato la Russia alla schiena”. Con queste parole Vladimir Putin ha commentato in un discorso televisivo la più grande crisi interna che il presidente russo abbia dovuto affrontare da quando nel febbraio 2022 ha ordinato quella che ha descritto come una “operazione militare speciale” in Ucraina. Con una mossa a sorpresa, dopo settimane di accuse e critiche rivolte all’establishment politico-militare, pur senza accattare direttamente Putin, il capo e fondatore della Wagner, Evgenij Prigozhin, ha annunciato nelle scorse ore di aver preso il controllo del quartier generale delle forze armate russe nel centro di Rostov, capoluogo dell’omonima regione della Federazione Russa vicina all’Ucraina. E sostiene di poter marciare con 25 mila dei suoi uomini anche su Mosca pur di ottenere la rimozione del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e del capo di stato maggiore, Valery Gerasimov, che accusa di una “guida disastrosa” della guerra contro l’Ucraina. Della situazione in queste ore in Russia e sui possibili appoggi di cui Prigozhin potrebbe godere in patria e all’estero abbiamo parlato con l’analista Danilo Della Valle.
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Usa e Italia amici di vecchia di data. Crosetto incontra Austin
Un’amicizia speciale. È questo il legame che unisce il nostro Paese agli Stati Uniti, come ci ha tenuto a sottolineare il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in visita ufficiale a Washington per incontrare il segretario alla Difesa americana, Lloyd Austin. Dopo la nota di colore che ha visto Crosetto e Austin scambiarsi battute sulla reciproca altezza, i due si sono incontrati al Pentagono per parlare del rapporto bilaterale che unisce i due Paesi. Un vero e proprio “colloquio costruttivo a 360 gradi”, come lo ha definito Crosetto su Twitter. Sul tavolo diversi dossier, dalla rilevanza del Fianco sud della Nato, al Mediterraneo allargato, dai Balcani all’importanza dell’Africa, fino alla collaborazione bilaterale e multilaterale con alleati e partner.
La visita del ministro
Il ministro Crosetto ha innanzitutto ringraziato il suo omologo per i molti militari statunitensi dispiegati nel nostro Paese, i quali “fanno parte della nostra nazione come i nostri militari” e “fanno parte della nostra storia i tanti cimiteri di soldati americani in Italia”. E sono proprio questi soldati a ricordarci come “nella nostra lotta per diventare una democrazia e una Repubblica”, ha poi proseguito Crosetto. Proprio questa mattina inoltre, il ministro della Difesa italiana ha visitato il Cimitero militare di Arlington, creato durante la guerra di secessione. Una visita che ha lo ha “onorato” e lo ha colpito più di quanto si aspettasse. Per rendere omaggio ai caduti, Crosetto ha deposto una corona di fiori e, come ha riferito il ministero della Difesa, ha visitato “un locale museo che ripercorre i momenti salienti della storia americana e raccoglie gli omaggi dei rappresentanti delle Forze armate straniere che hanno visitato il cimitero”.
Una tradizione all’insegna della collaborazione
La cooperazione tra Italia e Stati Uniti ha radici nel passato e li vede ora uniti “da un legame speciale di amicizia”, come ha sottolineato Crosetto. Da oltre 70 anni i soldati americani vengono ospitati dal nostro Paese e non si può non far riferimento al fatto che, “gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo fondamentale nella nostra lotta per diventare un democrazia e una repubblica, e il colloquio di oggi è una occasione per parlare di ciò che vogliamo continuare a fare insieme”, ha spiegato ancora il ministro italiano. “L’Italia è un alleato fondamentale sul fianco sud della Nato, apprezziamo il suo robusto contributo per la sicurezza nel mondo, in ambito Nato, Ue e Onu, con la partecipazione a molte missioni internazionali, dai Balcani all’Artico, dal Medio Oriente all’Africa e ora all’Indo-Pacifico”, ha poi spiegato Austin.
Il sostegno all’Ucraina
Parlando invece del coinvolgimento dei due Paesi a sostegno dell’Ucraina, il segretario Usa ci ha tenuto a evidenziare come “l’Italia non ha mai pensato un momento da che parte stare nel conflitto ucraino e continua a sostenere Kiev anche con governi diversi”. Infatti, fin dalle primissime fasi dell’invasione russa dello scorso 24 febbraio, l’Italia, di concerto con i Paesi alleati della Nato, non si sono mai tirati indietro nel fornire aiuti militari e umanitari al Paese aggredito. Per questo Austin ha ringraziato il nostro Paese per l’assistenza fornita in questi oltre 15 mesi di conflitto.
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Etiopia, appello per il Tigray del Vescovo Tesfaselassie Medhin per sbloccare la sospensione degli aiuti umanitari
Dopo la decisione scellerata da parte del WFP – World Food Programme e di USAID di sospendere gli aiuti alimentari a milioni di persone in Tigray e in altre parti dell’ Etiopia, arriva l’ennesimo appello da parte di Abune Tesfaselassie Medhin, Vescovo dell’Eparchia di Adigrat.
I media politicizzati in Italia non scrivono più della catastrofe umanitaria in atto nello stato regionale del Tigray da quando è stato firmato l’accordo di Pretoria (accordo di cessazione ostilità siglato il 2 novembre 2022). Non che nei 2 anni prima, durante la guerra genocida, lo abbiano mai fatto, ma oggi, dopo l’accordo mediato dall’ Unione Africana e monitorato (forse anche stilato e redatto dagli USA di Joe Biden) i media del tricolore si sono sentiti legittimati a non scriverne e darne notizia: come se un paio di firme su dei fogli di carta potessero cancellare la richiesta di giustizia per le centinaia di migliaia di vittime, come potessero cancellare le violenze e gli abusi che continuano anche dopo quasi 8 mesi da quell’ accordo, come se si potesse nascondere come polvere sotto il tappeto la disumanità e le morti per fame aggravate anche dal blocco sugli aiuti umanitari deciso dalle agenzie umanitarie occidentali sotto l’egidia di USA ed Europa.
Scelta politicizzata, scelta criminale: come si può sospendere l’aiuto alimentare alle persone bisognose? E’ aumentata la percentuale di morti per fame anche tra i bambini sotto i 5 anni (28%)
Appello da parte di Abune Tesfaselassie Medhin, Vescovo dell’Eparchia di Adigrat per scongiurare il blocco sugli aiuti alimentari in Tigray, Etiopia
L’impatto fatale della sospensione degli aiuti alimentari umanitari alla popolazione bisognosa del Tigray e di altre parti del Paese.
Un appello a USAID e WFP – per scongiurare la decisione che porta la morte dei poveri e dei bisognosi
Un augurio di pace a voi e al bene umanitario che avete fatto la gratitudine è dovuta a tutti voi!!
Negli ultimi anni abbiamo visto come si è svolta una terribile guerra nella regione del Tigray e nelle aree circostanti. Durante questo conflitto, abbiamo assistito a come le forze combattenti hanno distrutto e saccheggiato le risorse alimentari dalle case e dai campi appartenenti alla gente. Per molti mesi è stato impedito al cibo di raggiungere coloro che ne avevano un disperato bisogno. E anche dopo che le scorte di cibo potevano essere consegnate, alcuni non potevano controllare la loro avidità e togliere il cibo a coloro che sono sfollati e disperati.
Secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, tutti gli esseri umani hanno diritto a un accesso affidabile a quantità sufficienti di cibo. In nome della nostra comune umanità non dovremmo mai permettere che venga portato via il cibo a coloro che cercano di nutrirsi per la propria sopravvivenza – non da coloro che scelgono la via della violenza e della guerra, non da coloro che cercano di distruggere i mezzi di sussistenza delle persone, non da coloro che cercano guadagno finanziario o valuta forte e non da quelli abbastanza ricchi e influenti da decidere sulla distribuzione delle scorte di cibo disponibili che condividiamo su questo pianeta.
Mentre la deviazione e il furto delle scorte di cibo che hanno avuto luogo per raggiungere la popolazione in disperato bisogno nel Tigray e in altre parti dell’Etiopia è totalmente inaccettabile e disumano, voglio invitare i decisori a considerare la nostra umanità condivisa e pregarli non pronunciare una condanna a morte su coloro che cercano di sopravvivere sulla scia di un terribile conflitto armato, coloro che stanno morendo ora.
È molto importante indagare in che modo quantità così elevate di cibo sono state sottratte ai bisognosi. È urgente migliorare il sistema di distribuzione alimentare, consentendo una maggiore trasparenza e un controllo più forte. Ma non biasimiamo i poveri per aver venduto una parte delle loro scorte alimentari ricevute attraverso donazioni mentre cercavano semplicemente di coprire i costi per medicine, libri scolastici e altre spese necessarie non fornite da donazioni. Ci deve essere un’altra soluzione a questo scandalo oltre a fermare la consegna di generi alimentari agli sfollati e ad altri che cercano disperatamente di nutrire se stessi e i propri figli. Oggi in centinaia muoiono di fame perché gli aiuti alimentari sono fermi da mesi e mesi: non può essere questo il prezzo da pagare per rimettere in sesto il sistema.
Ferma il cammino di coloro che facevano la guerra e distruggevano i raccolti; fermia coloro che impediscono agli aiuti di raggiungere gli affamati; dei responsabili di furto e corruzione; fermia coloro che hanno permesso che avvenisse il furto e hanno distolto lo sguardo per molti anni.
Ma non impedire il cibo a coloro che ne hanno un disperato bisogno, non togliere loro il diritto divino di nutrirsi
se stessi e non condannarli a una condanna a morte. La Chiesa cattolica, che ha vissuto nel mezzo di questa situazione sfrenata estremamente dolorosa nel Tigray desidera confermare ancora una volta il suo impegno di essere solidale in empatia, preghiera e impegno nel sostegno umanitario verso tutte le persone che stanno vivendo terribili sofferenze nel Tigray e in altre parti del Paese.
Possiamo noi tutti essere sempre benedetti con la Misericordia, l’Amore e la Pace di Dio,
+ Abune Tesfaselassie Medhin, Vescovo dell’Eparchia di Adigrat
Diocesi cattolica di Adigrat
Ref.No Ad.Ep/-006/23
EPARCHIA CATTOLICA ADIGRAT – TIGRAY ETIOPIA
Data 20 giugno 2023
7../P.O.Box 8 Ah / Tel.:251(0)344.452138/452203 Fax:251(0)344,452630 / e-mail: tselassiem@gmail.com
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Rilascio di Lemmy v0.18.0: API HTTP anziché WebSocket, Autenticazione a due fattori, Emoji personalizzate e Web App progressiva!
Di seguito l'annuncio di @Dessalines
ozne likes this.
É uscita Una nuova app per lemmy chiamata liftoff che mette il turbo a lemmy.
github.com/liftoff-app/liftoff
Non so se è dart/flutter che è più veloce di kotlin o se è solo scritta meglio di jerboa
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Ricorda molto Lemmur o sbaglio? Sembrerebbe quasi un fork...
Ben fatta comunque!
EDIT:
è effettivamente basata su Lemmur, sul sito non c'è scritto ma nelle info dell'app sì 😅
Etiopia, la ricostruzione di un medico sul massacro di Togoga, Tigray [2 anni dopo]
Durante il pieno svolgimento della guerra genocida in Tigray, stato regionale dell’Etiopia settentrionale, il 22 giugno 2021, l’aviazione etiope ha bombardato Togoga in un giorno di mercato.
Avevo scritto un aggiornamento su questo massacro per mezzo della difesa etiope che ha hattaccato indiscriminatamente un’area urbana e civili per la guerra contro “il terrorismo”, per fermare quelli considerati dalla legge etiope i membri del partito TPLF – Tigray People’s Liberation Front e tutti i loro sostenitori etichettati dissidenti.
La dottoressa Bisrat dopo 2 anni dal massacro di Togoga, via social ha condiviso un resoconto dettagliato dal punto di vista del supporto medico e sanitario.
Erano circa le 16:00 che ho avuto notizia dell’attacco aereo.
Un amico mi aveva chiesto di verificare se le vittime provenissero dall’attacco aereo in Togoga. Quando sono arrivata al pronto soccorso, ho visto quattro ambulanze in coda all’ingresso, stipate di medici e infermieri, in attesa di una lettera di autorizzazione dell’ufficio sanitario regionale del Tigray.Ambulanze in attesa di partire verso il luogo del massacro a Togoga – Tigray giugno 2021
Dopo l’arrivo della lettera, le ambulanze sono finalmente partite per il Togoga attraverso la rotta Mekelle-Tembien intorno alle 23:30. Altre due ambulanze sono arrivate per portare i professionisti a Kokolo (circa 15 chilometri a sud-ovest di Mekelle) dove abbiamo sentito di dozzine di feriti, compresi i bambini che hanno cercato di venire all’Ayder Hospital tramite un camion e sono stati restituiti dai militari.
Quindi, due dottori, me compreso, e due infermiere si sono offerti volontari per andare lì. Siamo partiti utilizzando una strada sconnessa attraverso il parco industriale di Mekelle alle 18:30.
Dopo aver raggiunto un posto di blocco di un insediamento militare nel parco industriale, ci siamo fermati e abbiamo aspettato per circa 20 minuti, ma nessuno si è avvicinato a noi. Siamo arrivati a Kokolo alle 19:30 solo per non trovare nessuno lì.
Dovevamo fermarci e decidere se andare in Togoga o tornare a Mekelle. Abbiamo deciso di andare sulla scena del massacro. Mentre viaggiavamo nell’oscurità, eravamo tutti davvero spaventati perché la strada era molto stretta e accidentata e l’esercito etiope poteva prenderci di mira.
Abbiamo dovuto mettere su musica rilassante nel tentativo di calmarci. Abbiamo raggiunto Togoga intorno alle 20:20: circa 7 ore dopo l’incidente. Abbiamo trovato decine di feriti sdraiati sul ciglio della strada che aspettavano impotenti le ambulanze.Abbiamo trovato decine di feriti sdraiati sul ciglio della strada che aspettavano impotenti le ambulanze. Massacro di Togoga Tigray giugno 2021
Alcuni sanguinavano; altri erano incoscienti; e altri soffrivano di fame d’aria. Sfortunatamente, non avevamo attrezzature mediche sufficienti per fornire anche il minimo indispensabile di cure di emergenza. Tutto quello che avevamo erano 10 sacchi di soluzione fisiologica normale, 10 cannule per fleboclisi, 2 scatole di guanti, 2 pacchi di garze e un paio di cerotti. Pensavamo che ci sarebbero state le quattro ambulanze che sono partite prima. Il mio telefono ha iniziato a squillare proprio quando siamo arrivati sul posto. Era la chiamata di un medico di emergenza di una delle quattro ambulanze.Alcuni sanguinavanao, altri erano in blocco respiratorio… Massacro di Togoga in giorno di mercato Tigray giugno 2021
Ci ha chiesto se avessimo raggiunto la zona e come ci fossimo riusciti visto che quando sono arrivati a Romanat gli è stato negato il passaggio. Gli ho raccontato del percorso che abbiamo seguito.
Nel frattempo, abbiamo iniziato a curare le vittime con quello che avevamo in un recinto scolastico: appese le flebo agli alberi di acacia.Soccorso ai feriti e alle vittime del massacro di Togoga Tigray giugno 2021
Abbiamo identificato quattro pazienti gravemente feriti e con loro io e un’infermiera siamo partiti verso Mekelle.
A metà strada, un amico delle ambulanze che ha tentato di percorrere il percorso che avevamo seguito ci ha chiamato e ci ha detto di tornare indietro poiché minacciavano di uccidere chiunque avesse cercato di entrare a Mekelle attraverso quella strada. Proiettili erano stati sparati contro le ambulanze che cercavano di passare.
È stata una notizia molto scioccante per noi. Qualcuno ci aveva dato un numero di telefono per chiamare il vicepresidente del governo ad interim in caso avessimo avuto problemi.Lo abbiamo chiamato chiedendo aiuto.
Ci ha detto che era meglio entrare da Romanat o passare la notte lì perché i militari erano arrabbiati e minacciavano chiunque cercasse di intrufolarsi per quella strada.
Abbiamo deciso di tornare e passare la notte a Togoga poiché non abbiamo considerato il ritorno a Mekelle attraverso Romanat come un’opzione praticabile. Cominciarono ad arrivare vittime che erano tornate a casa perdendo la speranza.
Abbiamo visto circa 50 persone ferite, tra cui una bambina di quattro anni. Tra le vittime c’erano anche 3 sorelle che hanno subito traumi che andavano dalle ustioni al viso a braccia e gambe mozzate. L’ultima vittima che abbiamo visto durante la notte è stata alle 3:00 del mattino del 23 giugno 2021.Abbiamo visto circa 50 persone ferite, tra cui una bambina di quattro anni. Togoga massacre Tigray giugno 2021
Dopo abbiamo dovuto cercare di riposarci a stomaco vuoto. Altri pazienti hanno poi iniziato ad arrivare al mattino seguente. Abbiamo continuato il laborioso compito di cercare di prestare assistenza tra paura e rabbia e senza scorte mediche sufficienti a portata di mano.
Abbiamo chiesto agli anziani il totale dei morti e ci hanno detto che erano circa 64 con più di 180 feriti.
Abbiamo chiesto agli anziani il totale dei morti e ci hanno detto che erano circa 64 con più di 180 feriti. La mattina presto abbiamo iniziato a sentire pesanti bombardamenti. Abbiamo quindi deciso di spostare i pazienti in un’area boschiva vicina. Eravamo davvero spaventati per le nostre vite.
Abbiamo continuato a chiamare i nostri colleghi per sapere se c’era qualche possibilità che arrivassero le ambulanze. Ci informarono che erano stati fatti diversi tentativi, ma nessuno dava il permesso. Il team ha poi discusso altre opzioni, come trasportare le vittime in una tradizionale barella di legno, poiché alcuni dei pazienti stavano diventando critici. Ma verso l’ora di pranzo è stata fatta una telefonata che ci informava che le ambulanze avevano il permesso di passare e che potevano arrivare in qualsiasi momento. Abbiamo perso diverse ore ad aspettarli.
Mentre continuavamo a prepararci all’arrivo delle ambulanze, siamo andati al mercato dove è avvenuto l’attacco aereo, intorno alle 14:00 del giorno successivo. Abbiamo visto macchie di sangue, circa 25 case rase al suolo e pomodori e patate sparsi.Direzione Togoga, giorno dopo il massacroin giorno di mercato in Tigray, giugno 2021
Quattro ambulanze sono finalmente arrivate alle 16:00 del 23 giugno 2021, molto tempo dopo: 27 ore dall’attacco aereo. Siamo tornati a Mekelle dopo 28 ore di un’esperienza scoraggiante. Purtroppo le sei ambulanze non sono bastate a portare tutte le vittime che necessitavano di cure mediche, così a molti è stato detto di restare dopo averli rassicurati che le ambulanze sarebbero tornate. Coloro che sono arrivati all’ospedale di riferimento di Ayder sono guariti, anche se con disabilità, tranne uno che è morto per la ferita che ha subito al polmone.
Il dolore e la disperazione che ho provato durante quelle 28 ore risuonano ancora nella mia mente.
Quattro ambulanze sono finalmente arrivate alle 16:00 del 23 giugno 2021, molto tempo dopo: 27 ore dall’attacco aereo.
Etiopia, le forze eritree aggravano i problemi socio-economici della Comunità Irob, Tigray orientale
I residenti nella woreda [distretto] di Irob, nel Tigray orientale (stato regionale dell’Etiopia settentrionale), affermano di trovarsi di fronte a una grave crisi socio-economica a causa della presenza delle forze eritree in violazione con l’accordo di Pretoria firmato il 2 novembre 2022 (dopo 2 anni di guerra etnica con risvolti genocidi sul popolo tigrino)
Fissuhe Mezegebu, residente ad Agerelekoma, ora residente nelle vicinanze di Haraza, Irob, ha dichiarato di non avere accesso alla strada che li riporta a casa a causa della presenza delle forze eritree.
Ha dichiarato:
“Le forze eritree abitano nella nostra casa, quindi non possiamo tornare indietro”.
Ha aggiunto che i residenti sono sfollati (IDP) e attualmente si stanno rifugiando sotto una giungla arsa, inospitale vicino ad Assimba.
Haleka Gebretsadik Abraha, un altro residente nelle vicinanze di Endamossa, distretto di Irob, ha testimoniato che le forze eritree hanno distrutto la loro proprietà e saccheggiato ciò che ne restava.
Dice di aver assistito alle forze eritree saccheggiare il bestiame e bruciare case con attacchi di artiglieria pesante e bruciando intenzionalmente case usando fiammiferi durante il combattimento attivo sul campo.
Genet Kahsay, una donna residente a Endamossa, nel distretto di Irob, ha detto che le persone sfollate dalle loro case chiedono cibo e donazioni di vestiti.
Ha aggiunto che le truppe eritree li hanno costretti a fuggire in caverne e valli per ripararsi.
I residenti hanno espresso la loro profonda preoccupazione per le sfide che potrebbero dover affrontare per ricostruire le case distrutte durante la guerra mentre si avvicina la stagione delle piogge.
Un altro residente esorta gli enti interessati a insistere sul ritorno dei residenti alle loro case.
“Dobbiamo tornare a casa nostra e iniziare la nostra vita informale come ai bei vecchi tempi”
Genet Kahsay, una donna residente a Enda Mossa, distretto di Irob, ha detto che le persone sfollate dalle loro case chiedono cibo e donazioni di vestiti.
Ha aggiunto che le truppe eritree li hanno costretti a fuggire in caverne e valli per ripararsi.
Mekelle, 23 giugno 2023 // Tigrai Television
Approfondimenti:
- Etiopia, aggiornamenti dalla comunità Irob, Tigray
- Tigray, rischiano di sparire le minoranze etniche Irob e Kunama
FONTE: twitter.com/Tigrai_TV/status/1…
GERUSALEMME. Fissata per il 28 giugno l’espulsione della famiglia palestinese Sub Laban
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testo e foto di Michele Giorgio
Pagine Esteri, 23 giugno 2023 – Nora e Mustafa Sub Laban, 68 e 73 anni, rischiano tra il 28 giugno e il 13 luglio di essere sgomberati con la forza dalla polizia dall’abitazione nella città vecchia di Gerusalemme in cui vivono in affitto protetto dagli anni ’50, per far posto a una famiglia di coloni israeliani. Le autorità israeliane hanno spostato in avanti la data dello “sfratto” fissata inizialmente per l’11giugno dopo la sentenza di una corte israeliana. È una vicenda che va indietro di decenni, addirittura dal 1978, ma che soprattutto dopo il 2001 ha visto i Sub Laban combattere nei tribunali israeliani contro l’accusa di non aver vissuto in modo continuativo nella casa.
«Mia madre affittò questa casa nel 1953, dalle autorità giordane che allora controllavano la zona araba di Gerusalemme», racconta Nora. «In questa casa ci sono nata e ho continuato a viverci assieme a mio marito e ai miei figli in affitto protetto», aggiunge facendo riferimento alla condizione in cui si trovano tante famiglie palestinesi residenti all’interno delle mura antiche a Gerusalemme Est occupata da Israele nel 1967. Garantite per decenni da intese tra Israele, Giordania e Nazioni Unite, ora si sentono indifese.
Il presidio degli attivisti sotto la casa dei Sub Laban
Da due settimane attivisti palestinesi, internazionali e israeliani mantengono un presidio sotto l’abitazione sperando di impedire, con la loro presenza, l’intervento della polizia. In questi giorni rappresentanti dell’Ue e dell’Onu e Luisa Morgantini, ex vicepresidente dell’Europarlamento, nonché delegazioni locali e internazionali, hanno visitato la coppia a rischio di espulsione. «Contro di noi sono state intentate cinque azioni legali sin dagli anni ‘80» spiega Nora. «I nostri avvocati – continua – hanno ribadito la validità dell’affitto protetto ma gli israeliani non vogliono rispettare quelle intese e affermano che non siamo stati sempre qui. Non è vero».
Nora Sub Laban
I Sub Laban resistono ma intorno diversi appartamenti hanno già visto andare via famiglie palestinesi che ci vivevano da molti anni per fare posto a nuovi «inquilini» di «società immobiliari» e «fondazioni» che hanno già preso diverse case in affitto protetto. L’ong Ir Amin riferisce che il problema degli sgomberi di famiglie palestinesi a Gerusalemme Est non è raro e non solo nella città vecchia. Diverse organizzazioni israeliane di destra operano per entrare in possesso case e edifici nei quartieri musulmano e cristiano, avviando procedimenti legali contro chi ci vive. Ci sono 16 casi di sfratto pendenti a Gerusalemme, cinque nella città vecchia. Un caso particolare è quello di 28 case palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah costruite su terreni che, secondo i giudici israeliani, appartenevano ad ebrei prima del 1948 e che sarebbero poi stati acquisiti da società ed associazioni, come Elad e Ataret Cohanim, legate alla destra religiosa. Ai palestinesi invece non è permesso reclamare le loro proprietà – un patrimonio immenso – confiscate dallo Stato di Israele dopo il 1948.
Luisa Morgantini e Nora Sub Laban
Ad alta tensione è anche il quartiere palestinese di Silwan, in cui i coloni israeliani negli ultimi 30 anni hanno occupato diverse abitazioni palestinesi e costruito una ampia “area archeologica biblica”, la Città di Davide, effettuando anche scavi sotterranei. L’amministrazione comunale israeliana inoltre afferma di voler abbattere una ottantina di case edificate senza i permessi edilizi. I palestinesi replicano che ottenere le autorizzazioni del Comune per le nuove costruzioni a Gerusalemme è – per motivi politici – particolarmente arduo e costoso e di essere, pertanto, costretti ad edificare senza permesso.
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“Basta scuse: la protezione dei bambini nelle piattaforme digitali deve essere una priorità”
Ne scrivo oggi su HuffingtonPost Italia nella rubrica Governare il Futuro Qui il testo completo huffingtonpost.it/rubriche/gov…
#laFLEalMassimo – Episodio 98 – Imprese e Cervelli in Fuga
Questa rubrica ribadisce in apertura il sostegno alla causa del popolo Ucraino ingiustamente invaso dalla Russia e ribadisce Si licet magnis componere Parva che la rilevanza di questa tragedia umanitaria per gli equilibri sociopolitici mondiali si sono pronunciati banchieri centrali di oggi e di ieri come Visco e Draghi.
Di recente si è discusso della possibilità che la Brembo, una importante azienda italiana che produce impianti frenanti, possa trasferire la propria sede legale nei Paesi Bassi come peraltro hanno fatto in passato altri nomi importanti.
L’elemento di attenzione è che la sede fiscale dell’impresa rimarrebbe in Italia, così come le azioni continuerebbero ad essere quotate alla borsa di Milano.
La nota dolente è che si tratta dell’ennesima conferma di quanto il nostro apparato giuridico e istituzionale sia inadeguato alla presenza di grandi imprese multinazionali. Non si può gridare con demagogia alla fuga dalla tasse, ma occorre prendere atto che si tratta di una scelta strategica per non sacrificare le aspirazioni globali di una grande impresa italiana.
Siamo dunque un paese dal quale oltre ai cervelli in fuga, che si spostano alla ricerca di ambienti più fertili e meritocratici, anche le aziende più innovative e vocate all’eccellenza sono costrette a uscire se vogliono perseguire l’obiettivo concreto di sviluppare il proprio potenziale.
I problemi dalle distorsioni del sistema giuridico alle inefficienze della pubblica amministrazione sono ampiamente noti, come sono note le soluzioni e le riforme necessarie. Possiamo chiederci per quanto ancora competenze, capitali, energie individuali dovranno defluire dal nostro paese prima che ci si renda conto che sono questi oggi i fattori determinanti la ricchezza delle nazioni e che, in mancanza di una drastica inversione di tendenza ci attende un futuro di povertà e arretratezza rispetto ai paesi a noi comparabili.
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Ministero dell'Istruzione
Riprende il viaggio di #NoiSiamoLeScuole, che questa settimana racconta l’IC “Manzoni” di Bovisio Masciago, in provincia di Monza e Brianza.Telegram
PaurOso
In Italia i poveri sono notevolmente diminuiti e anche la distanza reddituale fra chi guadagna di più e chi di meno. Siccome questa affermazione – che non teme smentite dai dati ufficiali, regolarmente raccolti con metodologie che si usano in tutta Europa – fa a pugni con la percezione di molti e con le propagande di informatori e politici, vale la pena di prestare attenzione e cercare di capire cosa generi sentimenti così negativi.
Dobbiamo a Marco Fortis, Fondazione Edison, il lavoro di scavo in dati già pubblici ma non pubblicati (si trovano su “Il Sole 24 Ore” di ieri). Nel senso che quando sono negativi vengono urlati – magari senza essere spiegati – mentre quando dicono altro li si trascura, commettendo un doppio errore, di raffigurazione e di indirizzo.
Secondo i dati diffusi dall’Istat, il 20,1% degli italiani è a rischio povertà. Una condizione nella quale ci si trova quando si consuma meno del 60% dei consumi mediani (che sono inferiori a quelli medi). Considerato che in quei consumi ci sono anche le vacanze, risulta evidente che un povero nell’Italia di oggi è più ricco di un povero degli anni Cinquanta. Ma se quello è il “rischio”, andiamo a vedere i dati di quanti si trovano in “severa deprivazione materiale e sociale”, ovvero i calcolati come già poveri (sono tali quanti non sono in grado di soddisfare almeno 7 di 13 bisogni basici, fra i quali c’è una cena fuori casa la settimana, la connessione Internet a casa e il potere svagarsi fuori casa e a pagamento). Ebbene: sono diminuiti moltissimo, passando fra il 2015 e oggi dal 12 al 4,5% degli italiani. In Francia e in Germania sono cresciuti, collocandosi rispettivamente al 7,5 e al 6,1%. Tale risultato si è forse ottenuto con politiche di sostegno o assistenza? No, con la crescita dell’occupazione e della produzione. Il mercato è stato più “sociale” della politica. In quanto alla distanza fra redditi alti e bassi – che in tutto il mondo si misura con il coefficiente di Gini (uno statistico italiano) – è diminuita, non aumentata. Tenuto presente che in Italia era già bassa. Non siamo mica gli Usa e molti di quelli che parlano della distanza cresciuta hanno in mente i miliardari americani.
E allora, va tutto bene? Viviamo nel migliore dei mondi? Questo è l’approccio retorico di chi non ha nulla da dire se non lamentare e dolere. No, non va tutto bene e per diverse ragioni. Intanto perché in un Paese che cresce più velocemente le distanze reddituali aumentano e non è un male. Poi perché si fa comunicazione e politica mescolando impoverimento e povertà, che non sono affatto la stessa cosa (posso essere impoverito e restare benestante). Se non si parte dalla realtà reale e anche dai miglioramenti non si saprà mai cosa funziona e perché, cosa non funziona e va cambiato. Se la raffigurazione è soltanto negativa serve esclusivamente a spendere di più, ovvero a sperperare i soldi dei contribuenti.
E poi c’è un nodo: l’inflazione erode il potere d’acquisto, mentre i redditi (mediamente) non crescono. Ciò comporta che il ceto medio che si trova poco al di sopra della povertà cominci a coltivare la paura di scivolare in basso. Questo è il sentimento spaventoso, che può diventare assai nocivo, specie se alimentato con conferme che non sono reali. Come trovarsi in un reparto ospedaliero in cui si diffonde la notizia del moltiplicarsi dei morti, mentre non viene detta una parola sui dimessi: per forza che hai paura.
Non si tratta di usare il colore rosa o il nero, men che meno l’essere filo o contro chi governa. Se si trucca la percezione della realtà non si racconta cosa serva a scacciare la paura: scuola meritocratica, che riscatti chi è in coda alla società; elasticità nel mondo del lavoro, per entrarci assai più numerosi; meno fisco e previdenza, destinati a pagare privilegi e rendite altrui. E l’occasione c’è, ora, con i fondi europei Ngeu. È il tempo di saper osare, anziché sprecarlo a consolare e promettere come risolutivo un assistenzialismo che è impoverente e debilitante.
L'articolo PaurOso proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
In Cina e Asia – Esplosione in un ristorante: Xi chiede revisione sulla sicurezza
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Caldo record a Pechino: il termometro supera i 40°
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Malesia: approvata depenalizzazione del suicidio
L'articolo In Cina e Asia – Esplosione in un ristorante: Xi chiede revisione sulla sicurezza proviene da China Files.
Piero Bosio
in reply to Informa Pirata • • •Ma perché un servizio importante come la telemedicina non lo gestisce il Servizio Sanitario Nazionale o Regionale?
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