Cosa ci guadagna Meta a "entrare nel Fediverso"? Nulla di economicamente rilevante, almeno nell'immediato. Il progetto è "soltanto" di natura strategica
Riportiamo per intero la nostra risposta a un thread comparso su feddit.it e in particolare all'osservazione di @Darjuz (È un’azienda è ovvio che cerca di inserirsi in un ambito che le sembra promettente per farsi i soldi…)
Non saprei. Il Fediverso non è facilmente monetizzabile e quella che sta facendo Meta non è un’operazione ad alto rendimento sebbene sia sicuramente un’operazione a bassissimo costo.Quello che Facebook non può sopportare è il fatto che gli utenti socializzino al di fuori del suo giardino recintato, in cui le persone sono costrette a consumare nel baretto aziendale! Per il momento sono pochi utenti, ma la minaccia può essere devastante sul lungo termine.
Ora, in qualsiasi azienda, se esiste un rischio esistenziale, si cerca di di battersi fino in fondo per eliminarlo o mitigarne gli effetti. Come ultima soluzione ci si può assicurare contro quel rischio.
Siamo arrivati al nocciolo della questione: questa iniziativa di Meta, non è altro che un piccolo costo assicurativo.
Come funziona questa assicurazione? Mi sembra abbastanza chiaro: Meta si trova a muovere truppe in un terreno sconosciuto per portare, come direbbe un’altra simpatica realtà che abbiamo imparato a conoscere meglio in quest’ultimo anno e mezzo, un’operazione speciale per degratuitizzare il Fediverso.
Questa operazione presenta una grandissima possibilità di successo, considerando l’immensa sproporzione a favore di Meta. Inoltre, sempre per riprendere la metafora Ucraina, Zuckerberg confida nell’avidità di alcuni importanti amministratori di istanza: «questi amministratori hanno concentrato sulle proprie istanze la maggior parte degli utenti del Fediverso, quindi parlano la mia stessa lingua e quindi saranno alleati della mia impresa contro il temibile spettro della gratuità. Basterà far avere loro quattro spicci e un piatto di lenticchie»
Funzionerà questa strategia? Ci sono molti elementi che suggeriscono di sì. Esattamente come la Russia aveva sufficienti elementi per immaginare una conquista dell’Ucraina in tempi piuttosto rapidi, perché « Noi siamo una superpotenza e tutti i russofoni d’Ucraina ci saluteranno come liberatori e imbraceranno le armi contro il loro governo antirusso»
Naturalmente, Questa è l’unica cosa che insegni la storia, anche i piani ben studiati non per questo si concretizzano…
Ecco perché è importante dare seguito alla proposta di defederazione delle istanze di Zuckerberg: Il motivo è che non bisogna mai dare nulla per scontato!
PS: riportiamo anche le osservazioni completamente diverse di @Uriel Fanelli (no, molto probabilmente non lo troverete perché avrà bloccato voi o la vostra istanza... 🙃) che prevede la volontaria non federazione da parte di Meta.
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“Privacy a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente ad oriente”
E’ stato un piacere partecipare all’incontro dedicato ai 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR e alla tutela dei dati personali da Occidente ad Oriente
Europee, la differenza la retorica e la realtà
Nel garbuglio delle dichiarazioni più o meno conflittuali dei leader del centrodestra in vista delle prossime elezioni europee si intravedono almeno due bluff. Il primo è quello di Matteo Salvini.
Il leader leghista cerca come meglio può di erodere i consensi di Giorgia Meloni e per farlo dà libero sfogo a quel sentimento antieuropeista che fino alle scorse Politiche caratterizzava anche Fratelli d’Italia. È una strategia spregiudicata, che compromette l’immagine dell’Italia come Paese affidabile agli occhi delle istituzioni europee e dei mercati finanziari. Ma quando Salvini invoca una maggioranza organica di centrodestra in Europa analoga a quella che governa l’Italia sa di chiedere l’impossibile. Così come i gollisti francesi non concepiscono alcun accordo politico con il Fronte nazionale di Marine Le Pen, i Cristiano democratici tedeschi non lo concepiscono con i neonazisti di Alternativa per la Germania (AfD). Nel negare tale prospettiva (“con Salvini è senz’altro possibile un’alleanza in Europa, il problema sono a AfD e Le Pen, che sono antieuropeisti”) Antonio Tajani ha dunque detto quel che tutti sanno. Anche Salvini. Il quale si arrocca di conseguenza nel gruppo europeo di Identità e democrazia assieme a Le Pen e AfD senza avere alcuna concreta possibilità di uscirne. Un bluff ai limiti del masochismo politico.
Ma è, tutto sommato, un bluff anche quello di Giorgia Meloni, che teorizza un’alleanza tra il Ppe e i Conservatori fingendo di non sapere che ad oggi tale alleanza non avrebbe i numeri per costituire una maggioranza all’Europarlamento. Come ha ricordato Giovanni Orsina sulla Stampa, a Bruxelles la maggioranza necessaria per eleggere il presidente della Commissione conta infatti 353 europarlamentari, ma per una navigazione politica vagamente serena ne occorrerebbero 400. Se il prossimo anno gli attuali sondaggi verranno confermati dal voto dei cittadini, i Conservatori saranno 83: troppo pochi per dar vita ad un’alleanza di governo con i soli popolari (la somma dei due partiti darebbe 248 parlamentari) senza Identità e democrazia. Ad oggi, pertanto, una coalizione su modello di quella che nel 2019 elesse Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea appare l’unica prospettiva realistica, dal momento che i socialisti vengono accreditati dai sondaggi di ben 142 parlamentari.
È dunque cominciata la campagna elettorale per le europee. È cominciata con due bluff e con un conflitto interno alla maggioranza che può forse fare l’interesse di questo o quel leader, ma che ci certo non fa l’interesse dell’Italia.
L'articolo Europee, la differenza la retorica e la realtà proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Bisogna aumentare la produzione di munizioni. Il punto del gen. Portolano
L’attuale modello produttivo del munizionamento può sembrare vantaggioso in tempo di pace, ma espone i suoi limiti in situazioni di crisi, quando la domanda aumenta in maniera inaspettata. È questo il nodo centrale espresso dal segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano, in audizione davanti alla commissione Esteri e Difesa del Senato, nell’ambito dell’analisi sulla legge a sostegno della produzione di munizioni. “Nel settore della produzione di armamenti abbiamo assistito a un cambiamento da un’economia strategica ad un’economia di mercato” ha detto il generale, sottolineando come tale approccio abbia “condotto a un sistema economico sempre più interconnesso che ha portato negli anni a preferire dinamiche di delocalizzazione e frammentazione dei processi produttivi con la conseguente perdita di alcune capacità produttive essenziali”.
L’efficienza nella produzione in tempo di crisi
In particolare, si è affermato secondo Portolano un modello di supply chain definito just in time “in cui la produzione è perfettamente allineata alla domanda e non si prevedono scorte di magazzino”. Tale modello just in time ha prodotto due effetti, secondo Portolano: “ha intaccato la sovranità tecnologica e l’autonomia strategica dei Paesi europei” dipendenti dall’estero per le materie prime, semilavorati e sottocomponenti. Tutto ciò “ha ridotto la flessibilità di adeguamento della produzione in caso di aumento inatteso della domanda”, una soluzione economicamente valida se in pace, ma assolutamente inadatta di fronte alle crisi.
Le lezioni ucraine
Ovviamente, la guerra in Ucraina è un momento di crisi per l’intero Occidente. Alla guerra scatenata dal Cremlino, l’Europa ha risposto supportando Kiev “attingendo alle proprie scorte di armamenti e munizioni”, che tuttavia “si stanno dimostrando non adeguate a sostenere lo sforzo ucraino intenso e prolungato”. Di fronte a questa realizzazione i Paesi hanno cercato di aumentare la produzione, ma il tentativo ha fatto emergere ulteriori due aspetti: “il sottodimensionamento della capacità produttiva, tarata per sostenere la domanda tipica del tempo di pace, e la presenza di numerose vulnerabilità nella catena di approvvigionamento”. Ci troviamo, per il generale, nel paradosso per cui l’Occidente “sta supportando un Paese in guerra con una logica del tempo di pace”, una sfida “a cui non eravamo preparati”.
Gli opifici nazionali
Per il generale, l’obbiettivo è chiaro, incrementare la produzione: “La necessità del ramp up si applica allo stesso modo sia alla produzione di munizioni e missili sia a quella di nuovi sistemi d’arma”, con un focus speciale, dettato dall’urgenza, sulle munizioni, “perché se non saremo in grado di assicurare un adeguato livello di disponibilità in tempi rapidi potremmo mettere a rischio la possibilità di successo dello sforzo ucraino”. Senza le munizioni, infatti, anche i sistemi più all’avanguardia non funzionano. La soluzione? Per il generale è investire “sugli opifici nazionali, anche beneficiando dei finanziamenti dell’Ue” un modo per dare più flessibilità al sistema, conferendo “maggiore autonomia nella gestione dei processi produttivi, garantendo flessibilità al sistema di difesa nazionale, che acquisirebbe la capacità di modulare la produzione in funzione delle esigenze” oltre ad assicurare una maggiore “indipendenza da attori esterni, autonomia strategica e resilienza nazionale”.
Threads e il Fediverso. Alcune considerazioni sul nuovo social di Meta e la federazione con le altre istanze ActivityPub
C'e' una certa eccitazione nel Fediverso (o "Mastodon" per i cefalopodi) per via della notizia che "Threads" abbia un'interfaccia ActivityPub, ovvero sarebbe capace di federarsi con il Fediverso, cioe' con qualsiasi altra cosa parli ActivityPub. Ci sono gia' le petizioni dei sysadmin , che rifiutano a priori di federarsi. E che a mio avviso sono tempo perso.
Etiopia, situazione fuori controllo nel campo per sfollati di Abiy Addi, Tigray
Sono passati 8 mesi dall’accordo di cessazione ostilità firmato a Pretoria il 2 novembre 2022 tra governo federale etiope e TPLF – Tigray People’s Liberation Front, rappresentanti dello stato regionale del Tigray.
Accordo di tregua dopo 2 anni di guerra dai risvolti etnici e genocidi, guerra considerata la più atroce degli ultimi tempi: si stima un minimo di 600.000 vittime tra i civili, crimini di guerra, repressione politica, massacri e atrocità (stupri per vendetta, arresti e detenzioni arbitrarie di massa, 90% del sistema sanitario regionale distrutto, campi, raccolti saccheggiati e incendiati, bestiame rubato o macellato e blocco degli aiuti alimentari umanitari come armi da guerra) legittimate e mascherate da “guerra al terrorismo”.
Arriva oggi, 5 luglio, l’aggiornamento condiviso da Jan Nyssen, professore dell’Università di Ghent (che col suo team ha prodotto le stime sul numero di vittime prodotte dalla guerra genocida in Tigray)
Un amico di Abiy Addi ha avuto l’opportunità di entrare nel campo per sfollati di Abiy Addi e di parlare con la gente; mi ha inviato questo rapporto di testimone oculare il 4 luglio.È molto doloroso visitare il centro per sfollati di Abiy Addi. La gente correva da me aspettandosi che io stessi molto meglio di loro, visto che vedevano che riuscivo almeno a sopravvivere.
Tra i circa 53.000 sfollati, 841 sono disabili e soffrono per la scarsità di cibo. Finora sono morti 26 sfollati. Ci sono anche minori non accompagnati che soffrono.
Un conteggio del centro sanitario di Abiy Addi indica che 676 persone sono sul punto di morire nel campo per sfollati.
Nel campo ci sono 2200 sopravvissuti alla violenza sessuale correlata al conflitto (Conflict- Related Sexual Violence – CRSV), di cui 500 non ricevono alcun aiuto. Molti di loro hanno malattie croniche.
Ci sono 891 donne in condizioni critiche nel campo.
Il centro per sfollati è in una TVET (Vocational Education and Training – scuola di formazione tecnico-professionale), ma non c’è posto per tutti. Più di 4000 persone sono senza riparo.
Generalmente, le persone nel centro per sfollati hanno deciso che stanno solo aspettando la morte entro domani o dopodomani.
La maggior parte degli sfollati proviene dalla zona occidentale del Tigray, in particolare Humera e Maykadra.
Gli sfollati avevano la speranza di tornare a casa quando lo scorso novembre è stata annunciata la cessazione delle ostilità; ma ora, 2 anni e mezzo dopo essere stati espulsi dal loro posto, si rendono conto che non ci sarà ritorno a casa ma che preferiranno morire qui. Vanno a mendicare ovunque in città, ma ricevono pochissimo sostegno dalla comunità ospitante perché anche queste persone non hanno reddito e non ci sono più aiuti alimentari nemmeno per loro. Da tutti questi anni, le persone non hanno comprato vestiti. Molti sono nudi, i bambini camminano a piedi nudi. Non c’è nemmeno istruzione per i bambini nel centro per sfollati.
Gli sfollati hanno bisogno di sostegno alimentare, hanno bisogno di tornare a casa. Formalmente, ad Abiy Addi è stato istituito un comitato di protezione per gli sfollati.
Sono presenti diverse ONG internazionali, ma con pochi mezzi. Assistono alcune migliaia di famiglie con farina, olio e sale. Forniscono acqua pulita e organizzano la pulizia dell’ambiente da parte di volontari. 670 donne hanno ricevuto kit di dignità [sanitario e nutrizionale]. Alcuni sopravvissuti alla violenza di genere ricevono sostegno in denaro e formazione per proteggersi.
La mia impressione generale è che la situazione nel centro per sfollati di Abiy Addi sia fuori controllo – letteralmente dal tigrino: “oltre la capacità di gestione”.
Considerazioni finali
Il Professor Jan Nyssen in chiusura alla testimonianza condivisa aggiunge che:
Numerose persone nel campo per sfollati interni (IDP) di Abiy Addi nel Tigray centrale (circa 100 chilometri a ovest di Mekelle in linea d’aria) sono purtroppo morte a causa di problemi legati alla fame. Questi campi per sfollati servono come vivido promemoria delle terribili condizioni che continuano ad affliggere la popolazione del Tigray, con centinaia di migliaia di persone che cercano sicurezza all’interno dei suoi confini. La fine del 2020 e l’inizio del 2021 hanno visto la maggior parte degli sfollati espulsi dal Tigray occidentale dalle forze militari della regione di Amhara che ancora occupano la zona occidentale del Tigray.Gli aiuti alimentari sono stati sospesi dal PAM e dall’USAID a causa dei diffusi furti organizzati ai massimi livelli in Etiopia. Abbiamo scritto un articolo di opinione su questa sospensione degli aiuti alimentari con André Crismer e lo abbiamo pubblicato sul quotidiano belga “La Libre”: Nel Tigray, ancora afflitto dalla carestia, gli aiuti alimentari sono stati sospesi.
Approfondimenti:
- Etiopia, quasi un migliaio di persone morte di fame in Tigray causa sospensione del supporto alimentare
- Etiopia, appello per il Tigray del Vescovo Tesfaselassie Medhin per sbloccare la sospensione degli aiuti umanitari
- Etiopia, 54.000 sfollati ad Abiy Addi senza cibo, medicinali e altre zone del Tigray senza aiuti
- Etiopia, mancanza di aiuti adeguati agli sfollati interni (IDP) in Tigray
- Etiopia, la disastrosa situazione degli sfollati in Tigray nonostante l’accordo di cessazione ostilità
- Etiopia, 47.000 nuovi sfollati da 10 woreda del Tigray occidentale arrivano a Endabaguna, vicino Shire
- Etiopia, IDP, sfollati interni in Tigray non dovrebbero essere puniti doppiamente
Archivio:
L’adesione alla Nato divide l’Irlanda
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di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 5 luglio 2023 – L’invasione russa dell’Ucraina ha rafforzato le argomentazioni degli ambienti politici e militari che perorano l’ingresso nell’Alleanza Atlantica dei paesi finora rimasti fuori. È accaduto principalmente nei paesi scandinavi, con la Finlandiaentrata nella NATO in tempi record e la Svezia che dovrà attendere il via libera della Turchia (in cambio dell’abbandono della protezione finora concessa ai movimenti curdi).
Anche in Irlanda gli ambienti atlantisti stanno cercando di approfittare dei timori suscitati nell’opinione pubblica dall’operazione bellica di Mosca per avvicinare il paese all’alleanza militare guidata da Washington, ponendo fine alla tradizionale neutralità del paese celtico.
Aderire alla Nato, anzi no
A premere per la storica svolta sono in particolare i leader della coalizione politica che governa il paese dal 2020, formata dai partiti di centrodestra Fianna Fáil e Fine Gael e dai Verdi.
«Non abbiamo bisogno di un referendum per entrare nella Nato. È una decisione politica del governo. La brutale aggressione e invasione russa dell’Ucraina illustra l’entità della minaccia al multilateralismo» aveva perentoriamente affermato l’allora Taoiseach (Primo Ministro) e leader del Fianna Fáil Micheál Martin nel giugno del 2022, riaprendo il dibattito sulla questione dopo i primi timidi tentativi degli anni precedenti. A dargli manforte quello che all’epoca era il Tánaiste (“il secondo”, cioè vicepremier) e leader del Fine Gael Leo Varadkar, che in base a un accordo tra le formazioni che compongono la maggioranza il 17 dicembre del 2022 ne ha preso il posto alla guida dell’esecutivo, mentre Martin ha assunto la carica di Ministro degli Esteri e della Difesa.
L’iter intrapreso, però, si è dimostrato assai più accidentato di quanto previsto, nonostante il sostegno espresso dal presidente statunitense Joe Biden (che può vantare le sue ascendenze irlandesi) in visita a Dublino nell’aprile scorso.
I molti no e i dubbi espressi anche da vari esponenti dei propri stessi partiti hanno convinto i leader dell’esecutivo ad ammorbidire i toni, negando addirittura recentemente di aver mai proposto l’ingresso di Dublino nel Patto Atlantico.
«Non si tratta di aderire alla NATO o di cambiare la nostra politica di neutralità militare di lunga data (ma) la nostra sicurezza e il nostro benessere economico vengono messi alla prova in modi nuovi e più impegnativi», ha detto Varadkar, provando a rettificare il tiro.
Il presidente Higgins
Le accuse del Presidente della Repubblica
Ma le polemiche non si sono placate. Contro le argomentazioni di Martin e Varadkar è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Michael Higgins affermando, in un’intervista pubblicata il 18 giugno dal quotidiano Business Post che i ministri «stanno giocando con il fuoco», dicendosi preoccupato per la «deriva» verso la NATO della politica estera del paese. L’Irlanda deve evitare di «farsi seppellire dalle agende» e dagli interessi di paesi terzi, ha spiegato il popolare e storico esponente del Partito Laburista, eletto per due volte consecutive – nel 2011 e poi nel 2018 – alla presidenza. Poi ha rincarato la dose, avvisando che l’isola deve evitare di «pavoneggiarsi e battere il petto» e di seguire coloro che vorrebbero che Dublino «marciasse in prima fila» in alleanze militari come la NATO. Higgins ha anche criticato il presidente francese Macron e il suo obiettivo di trasformare l’Europa in un pilastro dell’Alleanza Atlantica. L’Irlanda, attraverso la sua politica estera, dovrebbe impegnarsi in «una [politica estera] più inclusiva, più profonda, più ampia, più sicura di sé, non solo in consultazione con le potenze imperiali in via di estinzione, ma con le popolazioni emergenti del mondo» ha spiegato.
L’anziano esponente politico (nonché poeta e scrittore) si è infine scagliato contro la decisione del governo di promuovere una serie di Forum consultivi sulla politica di sicurezza internazionale, incontri che si sono tenuti nel mese di giugno allo scopo di approfondire ed estendere il dibattito su quelli che sono stati presentati come i necessari cambiamenti da apportare alla politica estera irlandese in virtù dei nuovi scenari. Higgins ha esplicitamente criticato la faziosità dei panel di “esperti” predisposti dal governo per condurre il dibattito, composti per lo più da personaggi – comandanti militari, docenti ed esponenti politici, oltre a funzionari stranieri – favorevoli all’avvicinamento alla NATO. Il Presidente si è chiesto come mai non siano stati invitati anche rappresentanti dei paesi europei che vogliono rimanere neutrali come l’Austria o Malta.
Il ricatto della “minaccia esterna”
Il capo dello stato, che nell’ordinamento irlandese ha esclusivamente compiti di rappresentanza e garanzia, è stato fortemente criticato. Ma il vicepremier Martin subito dopo ha dovuto chiarire che i forum consultivi promossi – simili a quelli organizzati in passato per introdurre cambiamenti legislativi storici come la depenalizzazione dell’aborto o la legalizzazione dei matrimoni omosessuali – non intendono imporre «una discussione binaria sulla neutralità» e che il governo «non intende cambiare la politica irlandese di neutralità militare».
«In 20 anni di lavoro al quartier generale della NATO di Bruxelles la questione dell’adesione dell’Irlanda non è mai stata discussa nemmeno una volta» ha inoltre detto James Mackey, un alto funzionario dell’Alleanza Atlantica invitato a intervenire in uno dei forum.
Eppure i massimi esponenti del governo insistono sul fatto che l’invasione russa dell’Ucraina costringe Dublino a mettere in discussione le vecchie certezze. I settori atlantisti (così come i dirigenti della NATO) evidenziano la scarsa preparazione militare e tecnologica del paese di fronte all’incremento della guerra ibrida da parte di Mosca. I timori sono cresciuti dopo che nel 2021 un attacco di hacker presumibilmente russi ha a lungo paralizzato il servizio sanitario pubblico dell’isola.
Recentemente, poi, Mosca avrebbe inviato delle navi militari al largo delle coste irlandesi per mappare i cavi in fibra ottica che collegano l’isola con gli Stati Uniti. Per contrastare proteggere le proprie infrastrutture – ad esempio i gasdotti con la Scozia – Dublino disporrebbe attualmente soltanto di sei pattugliatori e di due aerei, e avrebbe quindi la necessità di rivolgersi ai propri alleati dell’UE e della Nato. Non a caso nelle scorse settimane alcuni funzionari del governo irlandese hanno espresso la volontà di collaborare con il neonato Centro di coordinamento delle infrastrutture sottomarine critiche del Patto Atlantico, affidato al generale Hans-Werner Wiermann.
Non è neanche un caso che i forum consultivi aperti al pubblico e promossi dal governo irlandese siano stati incentrati proprio sulla vulnerabilità dell’isola (vera o presunta), un argomento che preoccupa molti cittadini.
Protesta contro la Nato a Dublino
Manifestazioni e contestazioni
Ma la strategia di Varadkar e Martin non ha impedito che i forum fossero oggetto di una capillare contestazione. In particolare il primo incontro, organizzato presso l’University College di Cork il 22 giugno, ha visto un gruppo di giovani attivisti del Connolly Youth Movement (un’organizzazione comunista e repubblicana) interrompere l’intervento del Tánaiste Martin esponendo uno striscione che recitava «Guerre della Nato, milioni di morti». All’esterno un centinaio di persone di vari collettivi protestavano con slogan come «Resta neutrale, opponiti alla guerra» e «combatti la guerra non le guerre». Anche i forum di Galway e di Dublino sono stati oggetto di contestazioni.
«Non possiamo permettere che la neutralità venga riformulata e descritta come una debolezza da coloro che vorrebbero che ci allineassimo ulteriormente alla NATO» ha affermato il responsabile esteri del partito repubblicano di sinistra Sinn Fein, Matt Carthy. Durante il forum di Cork, il deputato ha affermato che «l’Irlanda dovrebbe concentrarsi sulla fine del conflitto piuttosto che sulla sua partecipazione alla guerra» e che finora «la neutralità dell’Irlanda ha servito bene il paese». «Vogliamo difendere la neutralità irlandese e vogliamo vederla sancita nella nostra costituzione» ha invece spiegato a EURACTIV l’eurodeputato repubblicano Chris MacManus, che ha accusato il governo irlandese di voler manipolare l’opinione pubblica attraverso un dibattito fortemente sbilanciato.
La formazione, che i sondaggi danno in testa alle intenzioni di voto, ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina e difeso la strategia occidentale di sostegno a Kiev, chiedendo però a Dublino un maggiore protagonismo nella ricerca di una mediazione per giungere quanto prima al cessate il fuoco.
«Una politica estera irlandese indipendente, con al centro l’uguaglianza e l’umanitarismo, la costruzione della pace e la cooperazione, può svolgere un ruolo importante in un mondo sempre più teso (…) La neutralità non è una politica di indifferenza o isolazionismo (…). Neutralità positiva significa svolgere un ruolo costruttivo nella promozione dei diritti umani e della libertà, difendere le persone dall’oppressione, sostenere la pace e partecipare come forze di pace agli sforzi delle Nazioni Unite» ha scritto Gerry Adams.
Riferendosi all’operato dell’esecutivo irlandese, poi, l’ex leader repubblicano ha aggiunto: «Invece di perseguire una strategia di politica estera indipendente, ad esempio sul sostegno ai diritti dei palestinesi, hanno ammanettato lo stato a un’agenda di politica estera dell’UE che rifiuta di sfidare il regime di apartheid di Israele. Hanno anche sostenuto misure come la fine delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo che hanno salvato migliaia di vite in passato».
Altre formazioni di sinistra come People Before Profit (PBP) e anche il più moderato Labour accusano l’esecutivo di Dublino di voler portare l’Irlanda nella NATO attraverso un iter truffaldino e poco trasparente, “di nascosto”, e denunciano le crescenti politiche di militarizzazione.
Intanto i sondaggi rilevano un atteggiamento ambivalente da parte dell’opinione pubblica irlandese. Secondo una rilevazione realizzata a giugno da Ipsos per conto del quotidiano “Irish Times”, il 61% dei sondati sostiene la neutralità dell’Irlanda e solo un quarto è a favore di un cambiamento, ma il 55% appoggia comunque un “aumento significativo” delle capacità militari del paese.
Militari irlandesi
Dublino opta per il giro largo
Una strada già intrapresa dell’esecutivo, che entro il 2028 vuole portare la spesa militare da 1,1 a 1,5 miliardi. Si tratta di un aumento record del bilancio della Difesa per un paese che fino al 2022 ha destinato a questo capitolo solo lo 0,3% del proprio Pil e che, anche in virtù della neutralità militare inaugurata subito dopo l’indipendenza dal Regno Unito, può contare su un esercito composto da appena 8.500 unità e che può utilizzare all’estero solo in missioni di pace approvate dalle Nazioni Unite.
Vista la diffusa e trasversale opposizione, probabilmente Dublino dovrà rinunciare, almeno per ora, ad un’adesione formale all’Alleanza Atlantica, ma l’attuale esecutivo sta già facendo dei passi per portare il paese all’interno dei meccanismi di integrazione militare della Natoe dell’Unione Europea.
A febbraio l’Irlanda ha deciso di partecipare alla missione di assistenza militare dell’UE in Ucraina, fornendo 30 membri delle forze di difesa irlandesi per addestrare le forze armate ucraine. Inoltre, a settembre del 2022, Dublino ha fornito a Kiev aiuti militari “non letali” per 55 milioni di euro attraverso il Fondo Europeo per la Pace (EPF).
Fin dal 2001, poi, l’aeroporto di Shannon è a disposizione dell’aviazione militare degli Stati Uniti e della Nato, nonostante le periodiche manifestazioni pacifiste e antimilitariste.
Prima ancora, nel 1999 Dublino ha aderito al programma “Nato Partnership for Peace” (PfP), una sorta di anello esterno dell’Alleanza Atlantica, mentre lo scorso anno l’esecutivo di centrodestra ha aderito alla struttura di cooperazione strutturata permanente (PESCO) dell’UE che persegue l’integrazione delle forze armate del continente.
Questi passi potrebbero rivelarsi sostanzialmente irreversibili, visto che i nuovi dirigenti del Sinn Fein, in vista di un possibile ingresso nel governo della Repubblica dopo le prossime elezioni, potrebbero rinunciare alla rottura con questi meccanismi di integrazione militare, come il PfP e la PESCO. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.
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L'articolo L’adesione alla Nato divide l’Irlanda proviene da Pagine Esteri.
Minimalìa
Anche sul salario minimo si rischia l’ennesima malìa, fra magica aspettativa e inutile seduzione. L’ennesima sfida fra sbandieratori, non troppo attenti al significato dei vessilli che sventolano. Lo strumento è così vario che, al contrario del purgante che conoscemmo con Carosello, non <<basta la parola>>.
La prima questione è già equivoca in sé, ovvero dovere stabilire se quel minimo lo si iscrive in una legge o lo si regola con i contratti. L’opposizione e la Cgil, vorrebbero la prima cosa, mentre il governo, Cisl e Uil la seconda. Messa così non ha senso, perché i contratti collettivi esistenti hanno già un minimo retributivo applicabile, mentre ha senso parlare di salario minimo generale solo se la legge lo impone quale punto di partenza di ogni altra contrattazione. Quindi: a. in Italia esiste già per circa l’85% dei lavoratori dipendenti, assunti con contratti collettivi; b. se lo si vuole fissare per tutti occorre usare la legge. Solo che si usa “salario minimo” avendo ciascuno in mente ipotesi e rappresentazioni diverse.
Una cosa è la retribuzione minima consentita per ogni ora lavorata, altra la retribuzione minima consentita tenendo conto anche della tredicesima, del trattamento fine rapporto e di altri premi. Nel secondo caso la legge diventa uno strumento troppo rigido e non si può che cedere il passo alla contrattazione. Il che porta dritto allo stabilire il livello cui fissarlo. Mi pare ci si orienti sui 9 euro, ma anche questo significa poco se non si capisce cosa è compreso e cosa escluso. Dentro il mercato unico europeo, tanto per capirsi, si adottano salari minimi nazionali che vanno da circa 2 euro a poco più di 13. E ci vuole fantasia per supporre che si stia parlando delle stesse cose.
Sono diverse le regolamentazioni nazionali, ma anche il potere d’acquisto e il tasso d’inflazione. E questo vale anche dentro i nostri confini, sicché un salario minimo fissato a X sarà più alto dove il costo della vita è più basso e viceversa. Quindi non sarebbe uguale neanche fra due lavoratori italiani. Con uno strambo risultato: sembrerebbero favoriti gli italiani delle aree meno sviluppate, mentre buona parte di quelle tipologie salariali si concentra nei servizi, che si trovano prevalentemente nelle aree più sviluppate; mentre il lavoro in condizioni di sostanziale schiavitù, soprattutto nei campi, è e resterà in nero, quindi immune dal minimo codificato.
In queste condizioni supporre che il salario minimo cancelli il lavoro povero ha l’aria d’essere una pia illusione, rischiando, in alcune aree e settori di cancellare il lavoro, spingendo l’impresa fuori mercato. Tutto questo non significa né che le cose vadano bene come vanno, né che ci si debba rassegnare a che vadano male, significa, però, che portare il lavoro povero ad essere prima dignitosamente e poi lautamente retribuito non è una questione che si risolva tondeggiando le parole con cui compitare l’ennesimo decreto, destinato a sempiterna attesa della propria attuazione, bensì lavorando sulle ragioni profonde di quella condizione: 1. scarsa formazione del lavoratore, rimediabile, specie per i giovani, con il far funzionare non solo le scuole, ma anche gli aggiornamenti continui; 2. scarsa meritocrazia retributiva, che si rimedia con maggiore competizione ed elasticità del mercato del lavoro (che aiuterebbe anche il sindacato ad avere un ruolo più attivo nel lavoro e nel sottrarsi alla sorte presente, di rappresentare più che altro pensionati).
Perché la discussione abbia un senso è necessario, almeno, che si scriva sulla lavagna il significato delle parole, di modo da cogliere non solo le evocazioni sentimentali, ma le conseguenze fattuali delle posizioni di ciascuno. Altrimenti ci si muove nel solito “significante” lacaniano, il cui lato divertente è che quasi nessuno capisce quel che legge e dice, mentre quelli che dicono di capirlo o sono fra i re degli allocchi o concorrono per la corona degli imbonitori. La malìa non aiuta, fosse anche mini.
L'articolo Minimalìa proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
I talebani vietano i saloni di bellezza: “miglioriamo la vita delle donne”
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Pagine Esteri, 5 luglio 2023. La notizia circolava già da qualche giorno ma la conferma è arrivata nella giornata di oggi. Fonti governative hanno annunciato l’ordine di chiusura di tutti i saloni di bellezza.
Gli esercizi commerciali hanno un mese di tempo, a partire da oggi, per dismettere ogni attività e comunicare l’avvenuta chiusura. L’ordine, spiegano, viene dato in base a “istruzioni orali rilasciare del leader supremo”, Haibatullah Akhunzada, il quale ha affermato che il suo governo sta prendendo le misure necessarie per il miglioramento della vita delle donne in Afghanistan.
Le motivazioni non si conoscono, o per meglio dire non sono state ancora comunicate ufficialmente. “Condivideremo con i media i motivi della decisione una volta che i saloni saranno chiusi”, ha dichiarato all’AFP Mohammad Sadeq Akif Muhajir, portavoce del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.
È solo l’ultimo di una serie di divieti che allontanano le donne dalla vita pubblica e sociale, impedendone l’istruzione, il lavoro, separandole dagli spazi pubblici come parchi e palestre. Nonostante i talebani avessero promesso, una volta tornati al potere, di optare per misure meno restrittive rispetto a quelle adottate negli anni ’90, le condizioni di vita delle donne afghane continuano a peggiorare.
L’obiettivo ultimo è chiaramente quello di imprigionarle negli unici ambiti che, secondo i talebani, sono loro congeniali: famiglia, casa, matrimonio, riproduzione, accudimento. Pagine Esteri
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In Cina e Asia – Ue-Cina, dialogo sul Clima. Ma Pechino cancella la visita di Borrell
I titoli di oggi:
Clima, Ue e Cina cercano un dialogo. Ma Pechino cancella la visita di Borrell
Meta tenta il rientro in Cina, ma non sarà semplice
Cina, He promette di mutare i geni per prevenire l'Alzheimer
Ucraina, le esercitazioni della Pla fanno luce sulle preoccupazioni cinesi
Thailandia, arriva l'accordo sul presidente della Camera
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Investimenti, tecnologia e export. Le necessità della Difesa per l’Aiad
Sulla Difesa, non possiamo sprecare né risorse, né tempo, il Paese non può permetterselo. A dirlo è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervenendo all’assemblea dell’Aiad, la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, svoltasi a Roma, ospitata del Centro alti studi della Difesa (Casd) guidato dall’ammiraglio Giacinto Ottaviani. Per il ministro “i soldi pubblici sono troppo importanti per essere sprecati” e per questo sarà necessaria una cooperazione tra industria e Difesa costante e quotidiana. “Dalle vostre capacità dipende il futuro delle Forze armate – ha continuato Crosetto rivolgendosi alle aziende – dal vostro lavoro dipende il fatto che i soldati che difendono il Paese siano i più sicuri al mondo”. Una questione da cui dipende la stessa sicurezza della nazione “perché è la deterrenza ciò che ci salva dal conflitto, deterrenza che dipende dalla tecnologia, che a sua volta dipende dalle capacità espresse dal settore industriale della Difesa e dell’aerospazio”.
Una politica industriale della Difesa
Per il capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, “i tempi sono maturi per una politica industriale della Difesa e dell’aerospazio”. Secondo l’ammiraglio, “l’industria deve essere messa in grado di produrre le capacità necessarie ai bisogni delle Forze armate”. In questo senso, i piani strategici messi in campo dal ministero della Difesa, possono fornire “l’architrave per una politica industriale” realistica, che punti all’ammodernamento delle forze, mantenendo al contempo la sovranità tecnologica nazionale. Per migliorare l’ecosistema industriale, ha continuato l’ammiraglio, bisogna mettere in campo alcune misure che “aumentino la trasparenza delle misure amministrativi, con i processi autorizzativi che devono essere intellegibili anche alle aziende per permettere la strutturazione della loro programmazione”. Per il capo di Stato maggiore, inoltre, il tempo sarà un fattore-chiave, e l’attuale finestra temporale è positiva e va colta. “abbiamo un governo con un’ampia solidità, un ministro profondo conoscitore del settore, e risorse adeguate”, a cui si aggiunge il fatto che la guerra in Ucraina “ha squarciato la coltre di negatività e mistificazione che avvolgeva l’importanza della Difesa e le necessità di uno strumento militare all’altezza”.
L’export della Difesa
Di fondamentale importanza, ha sottolineato sempre il ministro, l’aspetto delle esportazioni della Difesa, fonte fondamentale di finanziamento per le società del settore. Per questo, per il ministro, uno degli obiettivi del comparto sarà anche quello di realizzare prodotti “che hanno un mercato internazionale”, un orizzonte senza il quale non sarebbero sostenibili nel lungo periodo. Quello delle esportazioni è stato un tema toccato anche dal segretario generale di Aiad, Carlo Festucci, che ha presieduto l’iniziativa insieme al presidente della Federazione, Giuseppe Cossiga, che sul tema ha voluto sottolineare “i limiti della legge 185” sulle esportazioni di materiale d’armamento e la necessità di una “banca completamente dedicata a sostenere le esportazioni, e in particolare l’export della Difesa”. L’obiettivo, per Festucci, è riuscire a mettere tutti i fattori nazionali a sistema per essere competitivi a livello internazionale: “La competitività è una esigenza europea – ha sottolineato il segretario generale – e dobbiamo presentarci all’estero come un blocco compatto; l’Aiad vuole essere un aggregatore di realtà”.
La competitività globale
“Abbiamo tutto l’interesse a che le nostre realtà abbiamo successo internazionale, perché oggi il 70% del fatturato industriale viene dall’export”, ha sottolineato anche il segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti, generale Luciano Portolano. “C’è una consapevolezza internazionale della necessità di colmare i gap tecnologico, cosa che espone il sistema a dinamiche di mercato competitive”. Da una parte, ha spiegato ancora il generale Portolano, cìè la tendenza a rifornirsi da piattaforme off-the-shelf, dall’all’altra una difesa dell’autonomia strategica e sovranità tecnologica europea. “Le soluzioni più idonee – per il generale – non sono quelle più estreme”. Serve invece una strategia che faccia convergere le esigenze di sviluppo militare con obiettivi di crescita e competitività delle industrie. Le strade da percorrere per raggiungere tale obiettivo sono tre, gli accordi government-to-government (G2G); quelli government-to-business (G2B) e infine quelli business-to-business (B2B). I primi “offrono soluzioni rapide off-the-shelf e per quei Paesi senza una struttura consolidata per il procurement; nelle situazioni dove esiste un processo competitivo è necessario spingere su iniziative G2B, mentre il B2B è valido con quelle nazioni che vogliono aumentare il proprio know how aziendale”, principi che possono valere anche quando si parla di procurement nazionale.
Parola all’industria
“Stiamo assistendo a due cambiamenti epocali”, ha detto l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, nella sua prima uscita ufficiale da manager del gruppo di Piazza Monte Grappa. “Da un lato da Difesa è fatta da ‘bullet and byte’, dove i Paesi più forti sono quelli con una capacità di calcolo pro capite più alta, e dall’altro la Difesa sta inglobando sempre più nuovi concetti di sicurezza, delle infrastrutture, dell’energia, fino a quella alimentare”. Inoltre, la guerra in Ucraina, al di là della tragedia umana, ha anche dimostrato la necessità impellente di dotarsi di una Difesa adeguata. Come registrato dal presidente di Elt Group, Enzo Benigni, adesso “c’è un allineamento stellare tra il governo, un ministro che conosce i problemi della difesa profondamente, con il quale colloquiare”. Per il presidente di Fincantieri, Claudio Graziano, è necessario comprendere che le aziende della Difesa “lavorano sempre in un ambiente geopolitico” e che fanno parte “dei quattro poteri dello Stato, oltre a quello politico, militare e diplomatico”.
Lo spazio globale, tra l’altro, è fondamentale anche per quanto riguarda la supply chain, come ha ricordato l’amministratore delegato di Iveco Defence Vehicles, Claudio Catalano, “sempre più spesso abbiamo sofferto sospensioni o rallentamenti sui contratti per la ritardata o mancata autorizzazione all’esportazione da parte di un Paese fornitore”, una contingenza che ha portato l’azienda a sviluppare in Italia la maggior parte della propria catena del valore “elementi essenziali verso l’autonomia strategia e la sovranità tecnologica”. Ruolo-chiave lo giocheranno anche le piccole e medie imprese “la spina dorsale del Paese” come le ha definite Antonio Alunni, in rappresentanza delle Pmi all’assemblea Aiad. La collaborazione tra piccole e grandi imprese, allora, può essere la chiave verso un aumento di competitività che faccia posizionare il Paese al meglio nella competizione internazionale.
Il futuro della Nato e il ruolo dell’Italia. Lo studio del Comitato atlantico
All’approssimarsi del vertice di Vilnius, che riunirà i capi di Stato e di governo dei Paesi Nato per fornire una nuova direzione strategica all’Alleanza, è giunto il momento di fare il punto sulle sfide che intraprenderà la Nato e le possibilità per il nostro Paese. Questi sono stati i temi al centro dell’evento “Il futuro della Nato e il ruolo dell’Italia”, organizzato dal Comitato atlantico italiano e promosso dal senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione politiche dell’Ue. Un confronto volto a promuovere una riflessione sui futuri assetti geopolitici e strategici che la Comunità euro-atlantica, e più in generale l’Occidente, sono chiamati ad affrontare. Riflessione che prende vita nell’approfondita analisi redatta dal Comitato atlantico italiano, volta a individuare le strategie efficaci per tutelare e promuovere gli interessi nazionali in ambito euro-atlantico, con una particolare attenzione al Mediterraneo allargato.
Lo studio
È stata la Sala caduti di Nassirya del Senato a fare da sfondo alla presentazione del nuovo studio del Comitato (scaricabile al link) che raccoglie nelle sue 40 pagine elementi di riflessione e proposte destinate a rafforzare il ruolo dell’Italia nella Nato. “È più di un policy paper”, ha infatti raccontato Fabrizio W. Luciolli, presidente del Comitato atlantico italiano, che ha posto l’accento sullo “scenario di epocale complessità che attende il vertice di Vilnius e che richiede una riflessione profonda”, così come “una straordinaria capacità di adattare gli strumenti al mutare dello scenario di sicurezza”. Tra le molte sfide che attendono l’Alleanza, rientrano anche le strategie per sostenere una piena sinergia tra la Nato stessa e l’Ue, così come tra la Comunità euro-atlantica e altre organizzazioni internazionali like-minded. Per provvedere al meglio a tali esigenze di sicurezza, lo studio intende anche promuovere una comprensione più diffusa della necessità di destinare il 2% del Pil all’Alleanza atlantica, per poter far fronte ai suoi compiti di deterrenza e difesa. Sul punto, come ha osservato il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, siamo “in ritardo” sull’adeguamento della spesa militare al livello richiesto dall’Alleanza.
Occhi puntati sul Dragone
Il summit si prepara dunque a essere storico per la Nato, anche in risposta alla sfida sistemica e valoriale della Cina e le instabilità del Sud. “La Cina è un alleato della Russia sul piano politico”, ha osservato Terzi, mentre “per l’Europa e l’Occidente è un Paese partner, ma anche un avversario sistemico”. Tuttavia, l’auspicio è che in futuro possa diventare sempre più un concorrente costruttivo. In tale contesto, le tensioni del quadrante Indo-Pacifico, e in particolare “ciò che avviene attorno a Taiwan, rappresenta una sfida a tutto il mondo ma soprattutto una sfida all’Occidente”, ha evidenziato ancora Terzi, parlando inoltre dell’indivisibilità della sicurezza, delle diverse infrastrutture della Nuova via della seta e facendo cenno al processo di trasformazione che vede Pechino fondere sempre più gli strumenti civili e militari.
Il ruolo italiano
Di fronte a una Nato che è ormai “cambiata totalmente”, come osservato dall’onorevole Lorenzo Cesa, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare Nato, “è sempre più centrale occuparsi dell’Alleanza Atlantica” e “rafforzare il ruolo dell’Europa nella Nato”, e l’Italia può fare la sua parte. In quanto secondo Paese Nato contributore in termini di risorse umane e quinto sul piano finanziario, l’Italia è pronta quindi a giocare un ruolo da protagonista in seno all’Alleanza, soprattutto se guarderà sempre più al Mediterraneo allargato.
PRIVACYDAILY
#37 / Pesca a strascico
Causa miliardaria contro OpenAI (chatGP)
Dopo le peripezie italiche arrivano guai anche oltre oceano per OpenAI, l’azienda acquisita da Microsoft che sviluppa e gestisce chatGPT. Pare infatti che il 28 giugno un gruppo di persone abbiano intentato un’azione legale congiunta per chiedere a OpenAI un risarcimento danni di ben tre miliardi di dollari.
OpenAI è accusata di aver allenato il suo algoritmo usando dati acquisiti illegalmente dal web1 con la tecnica dello scraping. In italiano si potrebbe tradurre con raschiare o grattare, ed è quella tecnica automatizzata che permette di raccogliere a strascico dati disponibili pubblicamente su Internet — come ad esempio post e foto sui social network.
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I casi analoghi non mancano, come ad esempio quello di ClearViewAI che ha raccolto ben trenta miliardi di foto dal web per allenare i suoi algoritmi di riconoscimento facciale e poi vendere i servizi a polizia e intelligence statunitensi. In quel caso ci furono diverse sanzioni milionarie da parte delle autorità ma non mi risulta che l’azienda se ne sia curata più di tanto.
In almeno un caso la Federal Trade Commission ha intimato la distruzione di algoritmi allenati senza il consenso dei soggetti a cui facevano riferimento i dati. Se i giudici dovessero decidere che OpenAI ha allenato i suoi modelli in modo illecito, giungerebbero alla stessa decisione? Probabilmente no, dato che anche ClearViewAI è ancora in piedi.
Le reti a strascico di Google
Un recente aggiornamento alla privacy policy di Google lascia intendere che è ufficialmente iniziata una gara con OpenAI che sarà combattuta a suon di reti da pesca virtuali.
Nell’ultima versione dell’informativa si legge che l’azienda userà dati disponibili pubblicamente per allenare i suoi modelli di intelligenza artificiale come Google Translate, Bard (il competitor di ChatGPT) e altri servizi in Cloud2.
“Se tu o le tue informazioni sono presenti su un sito web, potremmo indicizzarle ed esporle sui servizi Google”.
Sembra davvero non esserci scampo. Siamo tutti condannati ad essere cavie da laboratorio e fattori di produzione per i nuovi scintillanti strumenti di intelligenza artificiale che amiamo. Ora scusate ma vado a rinnovare l’abbonamento a ChatGPT, che mi è più simpatico di Bard.
Alcuni documenti interni a Twitter mostrano che l’FBI ha collaborato con l’intelligence Ucraina (SBU - Security Service of Ukraine) per censurare alcuni account Twitter e ottenere informazioni personali sui proprietari.
Non dovrebbe essere una novità per chi ha seguito le vicende dei Twitter Files, di cui fanno parte anche questi documenti più recenti, ma dovrebbe certamente ricordarci il livello di sorveglianza e censura costante a cui siamo assoggettati noi altri del mondo libero.
“Thank you very much for your time to discuss the assistance to Ukraine, I am including a list of accounts I received over a couple of weeks from the Security Service of Ukraine. These accounts are suspected by the SBU in spreading fear and disinformation. For your review and consideration.”
La lista è di circa 163 account, tra cui alcuni di giornalisti americani e canadesi colpevoli di aver espresso la loro opinione sulla guerra in Ucraina in termini non favorevoli alla propaganda occidentale.
Il referente interno, Yoel Roth, il dirigente che gestiva direttamente i rapporti con l’FBI, è stato licenziato a novembre 2022 da Elon Musk poco prima della diffusione dei Twitter Files.
Per chi avesse perso le puntate precedenti, consiglio questo breve ripasso:
Strike: news e trend topic di privacy
Per chi bazzica LinkedIn, ogni lunedì sera c’è STRIKE, un nuovo format video in cui insieme a due colleghi parlo di news e trend topic di privacy.
Sono già usciti i primi due episodi, in cui abbiamo parlato della nuova stagione di Black Mirror (spoiler alert) e del nuovo sistema IT-Alert.
È probabile che nel prossimo futuro verrà proposto anche su altre piattaforme social, ma per ora è solo su LinkedIn. È una produzione di Privacy Week, la media company che si occupa di privacy, cybersecurity, nuove tecnologie e diritti umani.
Qui trovate i primi due episodi:
Meme del giorno
Citazione del giorno
“On matters of style, swim with the current, on matters of principle, stand like a rock.”
Thomas Jefferson
Articolo consigliato
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Summit Sco a distanza di sicurezza
Si è svolto in formato virtuale il vertice annuale dei leader della Shanghai Cooperation Organization. Una scelta del paese ospitante, l'India, per evitare imbarazzi nel ricevere Vladimir Putin al primo intervento internazionale dopo la rivolta del Gruppo Wagner. Sotto traccia le frizioni tra Nuova Delhi e Pechino. L'Iran entra nel gruppo. Prosegue intanto la chip war con le restrizioni cinesi su gallio e germanio
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Dante Alighieri - Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
Immaginare di fare un viaggio in barca a vela con i due amici del cuore. Senza una meta precisa, in compagnia delle tre donne amate, passando il tempo a parlare(?!) di amore. Dante.
Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.
E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:
e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi
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Il mio 4 luglio in difesa della libertà
Quando dettero vita a una repubblica basata sulle libertà dell’individuo e sul pluralismo politico, impegnandosi a vivere da «Stati liberi e indipendenti», i padri fondatori dell’America cambiarono la Storia. Quello fu ed è il più grandioso tentativo mai fatto di affrancare l’umanità dalla tirannide, e mise fine a secoli di sudditanza per creare un nuovo tipo di Nazione, in cui tutti sono uguali e vivono liberi.
Questa realtà straordinaria fu creata il 4 luglio 1776. Il 24 febbraio 2022 noi ucraini abbiamo fatto la stessa scelta. Il popolo americano si è schierato dalla nostra parte e, ne sono sicuro, resterà al nostro
fianco fino alla fine.
Oggi, mentre gli americani celebrano la loro libertà e la loro indipendenza, noi festeggiamo con voi, sognando il giorno in cui ogni centimetro quadrato di Ucraina sarà libero dalla tirannide che cerca di annientarci.
Più o meno una decina di anni fa, l’attuale leader della Russia scrisse che «l’America non è un’eccezione». Quello che ha fatto in seguito dimostra ciò che intendeva dire.
Nel corso della Storia umana, molti dittatori hanno dichiarato di avere un’influenza globale, ma nessuno di loro è riuscito a ispirare il resto del genere umano a lottare per il meglio della natura umana. Per questo, gli odierni tiranni della Russia – come tutti i tiranni – sono sostanzialmente deboli e con il passare del tempo il loro regime si sgretolerà. Quando odia l’America e ne nega il ruolo eccezionale nella lotta per la libertà, il despota in sostanza ammette la sua inevitabile sconfitta. All’assolutismo russo io dico che il mondo ha bisogno di più eccezionalismo americano, nondimeno.
Nel 2014, quando scesero in piazza per scacciare il tiranno appoggiato dai russi, gli ucraini lo fecero perché volevano a tutti i costi essere liberi, far parte dell’Occidente, essere governati dagli ideali forgiati durante la Rivoluzione Americana, l’idea che «tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità».
Nel 2022, quando ha invaso l’Ucraina, la Russia ha provato non soltanto ad assoggettare tutto il popolo ucraino al regime dittatoriale di Vladimir Putin, ma anche ad annientare gli ideali che ispirano gli uomini a essere liberi. Da quando l’Ucraina si è conquistata l’indipendenza, gli ucraini hanno sempre sostenuto la democrazia, hanno difeso la dignità di ogni individuo, hanno lottato per vivere in un mondo libero insieme alle altre nazioni europee.
Se osserva l’Ucraina, la tirannide russa vede di non essere né eterna né sostenibile: un’Ucraina libera e indipendente; un’Ucraina forte e democratica che diffonde la vera democrazia e la libertà qui, sul fianco
orientale dell’Europa, e soprattutto in Russia. Un’Ucraina integrata nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord e nell’Occidente è garanzia che la libertà continuerà a prevalere e la pace trionferà.
La dittatura russa sta cercando in ogni modo possibile di attirare altri nemici della libertà, in particolare il regime iraniano che cerca di intimorire le libere nazioni di tutto il mondo e che fornisce alla Russia armi che tutti i giorni massacrano innocenti civili ucraini. Se la Russia dovesse prevalere sull’Ucraina – Dio non volesse -, altri Paesi si sentirebbero incoraggiati a prendere le armi e fare guerra ai popoli liberi di altre regioni del pianeta. La Russia si sentirebbe spronata ad invadere l’Europa ancor più in profondità, arrivando a un confronto diretto con la Nato.
Tutti gli scenari di questo tipo possono essere nullificati soltanto con la difesa a oltranza della libertà, di coloro che aspirano a essere liberi e delle alleanze nate a tutela della libertà.
Noi ucraini e voi americani non rinunceremo mai alla libertà.
L'articolo Il mio 4 luglio in difesa della libertà proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
ECJ ruling on Meta browsing records: Breakthrough for online privacy
Pirate Party MEP Patrick Breyer, who has sued in court for more than 10 years against the clickstream logging, celebrates today’s ECJ ruling against the U.S. Internet company Meta as a breakthrough for online privacy:
“Following the business model of surveillance capitalism, Internet corporations, like stalkers, pervasively record our browsing behavior in order to be able to analyze our personality, our likes and weaknesses. Based on these personality profiles, they keep us online and manipulate us into buying products or voting for certain parties.
„Today’s landmark ruling by the European Court of Justice likely means the end of the common practice of clickstream logging, which I’ve been fighting for over a decade. Meta’s pretexts to justify this practice have largely been dismissed. Even for security purposes, indiscriminate and pervasive logging of all our clicks in an identifiable way is not necessary.
„Big Tech will need to be honest and give us the choice of paying for their services with money, or with our privacy. Today’s landmark ruling will change the Internet landscape and give non-commercial, decentralized and free services a much needed boost.
„No one has the right to record everything we say and do online. As generation Internet, we have the right to be able to inform ourselves online just as privately and uninhibited as our parents were able to do read newspapers, listen to radio or watch TV. The Court of Justice today rejected the NSA-style method of a total recording of our digital lives and helped the fundamental rights to privacy, freedom of information and freedom of expression on the Internet to prevail!”
Maronno Winchester reshared this.
Completata la traduzione di Riprendersi la città. Guida per i cittadini, con 40 idee per riappropriarsi della città.
Cinque mesi fa era stata pubblicata la prima parte della traduzione italiana, ora finalmente abbiamo completato tutta la traduzione della guida (44 pagine in formato .pdf).
La guida si può scaricare da qui: dgxy.link/riprendersi_la_citta
#MobilitàSostenibile #PianificazioneUrbanistica #città #PisteCiclabili #bicicletta #SpazioPubblico
Come avevo già scritto, "Recuperar la ciudad. Reclaim the city", è una guida scritta da un gruppo di attivisti spagnoli che si propone di individuare degli strumenti e delle azioni concrete per limitare lo strapotere del traffico automobilistico privato, promuovere una mobilità sostenibile e ridare alla città il suo carattere di spazio pubblico fruibile da tutti i cittadini.
Si è trattato di una traduzione collaborativa: come attività di educazione civica ho proposto alla mia classe quinta linguistico dell’IIS Carlo Emilio Gadda di Paderno Dugnano di suddividersi in gruppi e ciascun gruppo aveva il compito di tradurre una parte delle 40 idee che venivano presentate nella guida. Per i molti impegni degli studenti, il lavoro di traduzione si è sviluppato in un periodo di tempo più lungo del previsto e ha richiesto un’ulteriore revisione linguistica, visto che l’argomento e la terminologia della guida non erano dei più familiari, almeno per le studentesse della mia classe (che comprende un solo impavido studente). Anche la successiva impaginazione di testi e immagini, di cui mi sono occupato io, ha richiesto un tempo superiore al previsto. Alla fine però ce l’abbiamo fatta e la guida è stata messa a disposizione di tutta la classe per poter essere usata eventualmente nel colloquio orale dell’esame di stato. Naturalmente sia la traduzione che l’impaginazione si possono sempre migliorate.
Le 40 idee presentate nella seconda parte della guida offrono un catalogo davvero ampio di buone pratiche che i cittadini possono intraprendere, si tratta in realtà di un piccolo manuale di educazione civica che potrebbe essere davvero utile per aumentare la consapevolezza di tutti sull’importanza dell’utilizzo e della condivisione degli spazi pubblici e sulla necessità di promuovere una mobilità davvero sostenibile.
Salvo alcune idee che contengono specifici riferimenti al contesto e alla legislazione spagnoli, le altre idee hanno una validità davvero universale.
Perché non diffondere questa guida nelle amministrazioni pubbliche e nelle scuole?
Per intanto la traduzione italiana è a disposizione di tuttə, condividetela pure senza risparmio 😀
La guida è distribuita con licenza Creative Commons BY-NC-SA
Naturalmente un grandissimo grazie (muchissimas gracias 😀 a @Marcos M. e a tutte le persone che hanno collaborato alla stesura della versione originale in spagnolo.
Si può scaricare il testo da qui: dgxy.link/riprendersi_la_citta
#MobilitàSostenibile #PianificazioneUrbana #SpazioPubblico #città #PisteCiclabili #bicicletta #traduzioni @macfranc @Rivoluzione mobilità urbana🚶🚲🚋
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Ottima iniziativa questa traduzione!
Ho subito preso a prestito un'immagine (dal sito spagnolo) per una risposta sul fediverso: sociale.network/@Pare/11065994…
Due domande.
In futuro si potrebbe prevedere una pubblicazione in un formato che faciliti l'esercizio dei diritti della licenza CC BY-NC-SA?
Perché forse servirebbe un secondo passaggio di localizzazione. Controllando qui e là che i codici stradali italiano e spagnolo concordino. Che ne dite?
Ciao, sì sono d'accordo, sarebbe utile fare un confronto tra il codice stradale spagnolo e quello italiano, probabilmente qualche differenza c'è, ma arrivare a questa prima versione è stato già un bel successo.
Spero di aver capito bene l'altra domanda, se serve un'edizione editabile della guida, la puoi scaricare da qui (in formato .odt): framadrive.org/s/6KzEnrYZCjkNW…
Grazie per l'apprezzamento 😀
“Privacy: a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente a Oriente, un confronto tra PIPL e GDPR”
Domani a partire dalle 9.00 avrò il piacere di partecipare con Agostino Ghiglia al convegno “Privacy: a 5 anni dall’entrata in vigore del GDPR, la tutela dei dati personali da Occidente a Oriente, un confronto tra PIPL e GDPR” nella Sala del Refettorio, Palazzo San Macuto, Via del Seminario a Roma
I talebani vietano i saloni di bellezza: “miglioriamo la vita delle donne”
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Pagine Esteri, 4 luglio 2023. La notizia circolava già da qualche giorno ma la conferma è arrivata nella giornata di oggi. Fonti governative hanno annunciato l’ordine di chiusura di tutti i saloni di bellezza.
Gli esercizi commerciali hanno un mese di tempo, a partire da oggi, per dismettere ogni attività e comunicare l’avvenuta chiusura. L’ordine, spiegano, viene dato in base a “istruzioni orali rilasciare del leader supremo”, Haibatullah Akhunzada, il quale ha affermato che il suo governo sta prendendo le misure necessarie per il miglioramento della vita delle donne in Afghanistan.
Le motivazioni non si conoscono, o per meglio dire non sono state ancora comunicate ufficialmente. “Condivideremo con i media i motivi della decisione una volta che i saloni saranno chiusi”, ha dichiarato all’AFP Mohammad Sadeq Akif Muhajir, portavoce del Ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.
È solo l’ultimo di una serie di divieti che allontanano le donne dalla vita pubblica e sociale, impedendone l’istruzione, il lavoro, separandole dagli spazi pubblici come parchi e palestre. Nonostante i talebani avessero promesso, una volta tornati al potere, di optare per misure meno restrittive rispetto a quelle adottate negli anni ’90, le condizioni di vita delle donne afghane continuano a peggiorare.
L’obiettivo ultimo è chiaramente quello di imprigionarle negli unici ambiti che, secondo i talebani, sono loro congeniali: famiglia, casa, matrimonio, riproduzione, accudimento. Pagine Esteri
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Poland slams child sexual abuse material regulation as unnecessary
Paweł Lewandowski, Polish Undersecretary of State at the Chancellery of the Prime Minister told EURACTIV that the regulation to fight child sexual abuse material (CSAM) online is unnecessary as there are other regulations about safety on the internet.
Data protection enforcement must strengthen citizens’ rights, not weaken them!
Today, the European Commission presented a draft regulation to improve cooperation between European data protection authorities. MEP and digital freedom fighter Patrick Breyer (Pirate Party) warns:
“My data must belong to myself – this is the central power balance question in the information age. However, the enforcement of data protection law against global internet corporations suffers from procrastination and industry-friendliness, especially in Ireland. We urgently need to take action here. However, the EU Commission does not want to introduce deadlines to speed up proceedings. Reducing the participation rights of victims of data protection violations and scandals is not an acceptable way to speed up proceedings! We need enforcement reform to strengthen citizens’ rights against corporations, not to weaken them.”
Emergenza rifiuti ed inceneritori: Ass. Alfonsi, CGIL, Lavoratori AMA e comitati ricorrenti al T.A.R. ne discutono il 5 luglio a LiberiAmo Roma, festa provinciale di Rifondazione Rifo
Rifiuti, problema o risorsa? No Combustione-Si recupero materie e lavoro Questo il titolo del dibattito, che si preannuncia incandescente alla luce delle recRifondazione Comunista
GDPR Procedures Regulation: "Stripping citizens of procedural rights"
Regolamento GDPR sulle procedure: "Spogliare i cittadini dei diritti procedurali" Oggi la Commissione europea ha presentato una proposta per risolvere la (mancanza di) cooperazione tra alcune autorità di protezione dei dati (DPA). Si tratta di un passo indietro, non di un passo avanti.
Emergenza idrica in Uruguay: entro 10 giorni senza acqua potabile
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Pagine Esteri, 4 luglio 2023. L’Uruguay rischia di rimanere senza acqua potabile. La peggiore siccità degli ultimi 74 anni ha fatto scendere le riserve di acqua sotto l’1,8%.
Le autorità hanno fatto sapere che se non avverrà, nei prossimi giorni, un’alluvione di portata sorprendente, entro una settimana, al massimo dieci giorni, l’acqua potabile sarà terminata.
Il presidente Luis Lacalle Pou ha dichiarato che piogge consistenti sono poco probabili nel periodo di luglio e agosto e che si spera termineranno presto i lavori al Paso Belastiquí, che consentiranno di prendere acqua dolce dal fiume San José.
La situazione è preoccupante per la presenza, nell’acqua potabile che rimane a disposizione, di livelli elevati di sodio e cloruro.
L’emergenza idrica è stata proclamata e le condizioni sono preoccupanti soprattutto nell’area di Montevideo, dove vive metà della popolazione dell’Uruguay. Pagine Esteri
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Esercito israeliano rioccupa Jenin. Campo profughi distrutto, centinaia di famiglie sfollate
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della redazione
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Aggiornamenti
4 luglio ore 10.47. È salito a 10 il numero dei palestinesi uccisi durante l’incursione dell’esercito israeliano nella città e nel campo profughi di Jenin, centinaia i feriti. La Mezzaluna Rossa ha evacuato almeno 1000 famiglie. La situazione all’interno del campo profughi è diventata insostenibile. I mezzi israeliani hanno distrutto strade e infrastrutture.
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Video mostrano escavatori che producono profondi solchi lungo le vie principali, diventate cumuli di macerie. La rete idrica e quella elettrica sono danneggiate. L’ospedale pubblico è pieno di feriti ma i medici hanno difficoltà a raggiungere la struttura, che viene attaccata dal lancio di gas da parte dell’esercito israeliano e dal passaggio di mezzi corazzati ed escavatori.
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Il vice portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, Farhan Haq, ha esortato “tutte le parti a rispettare il diritto internazionale umanitario, evitando l’uso eccessivo della forza nei centri abitati”.
Proteste e manifestazioni contro l’attacco e l’occupazione israeliana di Jenin si stanno tenendo in varie città della Cisgiordania occupata.
Ore 22.30. La Mezzaluna Rossa comunica che più di 500 famiglie sono state evacuate dal campo profughi palestinese di Jenin. Le condizioni, dichiara, sono diventate insostenibili per i danni causati dall’esercito israeliano.
Pagine Esteri, 3 luglio 2023 – Anticipata da giorni dai media locali e invocata da ministri e parlamentari della destra estrema al governo, è cominciata l’ampia operazione dell’esercito israeliano contro la città palestinese di Jenin e il suo campo profughi, nel nord della Cisgiordania.
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Sono coinvolti migliaia di soldati, carri armati Merkava sono schierati nei pressi della città e droni hanno colpito diversi obiettivi. Il bilancio al momento parla di cinque palestinesi uccisi e di altri 25 feriti, 7 dei quali sono in condizioni critiche.
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Non si segnalano vittime tra i soldati, nonostante l’intenso fuoco di sbarramento da parte di decine di combattenti palestinesi che avrebbero anche abbattuto un drone e fatto esplodere un ordigno sotto una ruspa militare israeliana. Giungono in queste ore notizie di rastrellamenti e ampie distruzioni, particolare delle strade del campo profughi.
Difficile prevedere quanto durerà la rioccupazione di Jenin. Nei giorni scorsi si parlava di 48 ore ma è improbabile che in un tempo così breve le forze israeliane possano avere ragione di organizzazioni armate ben strutturate. Il rischio, oltre ad un bagno di sangue, è che l’operazione inneschi reazioni a catena in Cisgiordania dove la lotta armata è ormai vista da molti come l’unico mezzo per mettere fine all’occupazione militare israeliana.
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Migliaia di palestinesi la scorsa notte hanno già sfilato in protesta a Nablus e altri centri abitati. Alla periferia di Ramallah i soldati hanno ucciso un manifestante. Pagine Esteri
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Edith Wharton – L’età dell’innocenza
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CJEU declares Meta/Facebook's GDPR approach largely illegal
La CGUE dichiara ampiamente illegale l'approccio di Meta/Facebook al GDPR Nella decisione odierna, la CGUE ha dichiarato ampiamente illegale l'approccio di Meta/Facebook al GDPR, analogamente al precedente contenzioso di noyb davanti all'EDPB che ha portato a una multa di 390 milioni di euro.
In Cina e Asia – Chip war, Pechino frena le esportazioni di gallio e germanio
I titoli di oggi: Chip war, Pechino frena le esportazioni di gallio e germanio
Wang Yi accusa gli Usa di interferire nelle relazioni Cina-Giappone-Corea del Sud
Hong Kong, emesso mandato d'arresto per otto cittadini fuggiti all'estero
Si è spento Yuan Mingfu, il mediatore di piazza Tian'an Men
Corea del Sud, al via due settimane di scioperi
Italia e Corea del Sud in un forum sull'etica del Metaverso
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Oggi inizia la Sessione Suppletiva degli #EsamiDiStato2023.
Alle 8.30 è stata pubblicata la chiave ministeriale per decrittare il testo della cornice nazionale generale di riferimento per i percorsi professionali di nuovo ordinamento contenuto nel p…
Ministero dell'Istruzione
Oggi inizia la Sessione Suppletiva degli #EsamiDiStato2023. Alle 8.30 è stata pubblicata la chiave ministeriale per decrittare il testo della cornice nazionale generale di riferimento per i percorsi professionali di nuovo ordinamento contenuto nel p…Telegram
PRIVACYDAILY
Forza e debolezza della Cina come attore finanziario globale
Dai negoziati sul debito dello Zambia all'internazionalizzazione dello yuan: la Cina ha assunto una centralità indiscussa nelle dinamiche della finanza globale. Anche grazie all'appoggio del Sud globale. Ma non è tutto oro quel che luccica.
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Robaque
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Boh, io sono qui da poco e ammetto di essere ignorante di queste cose, ma io sarei per la defederazione immediata. Con le corporazioni è bene sempre non fidarsi.
— e non solo non fidarsi di loro, ma sopratutto sempre opporsi 😅
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Robaque
in reply to LadroDiGalline • • •Però certo è meglio anche approfondire la propria conoscenza haha
Mi ha convinto molto questa pagina linkata da questo comment
UprisingVoltage
2023-07-05 14:55:24
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Casiraghi
in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂ • • •Ciao, sono qui da poco anche io, ma sinceramente non capisco perché questa situazione viene vista come un attacco o una guerra.
Meta è una azienda informatica che sta lanciando un nuovo prodotto. Per farlo ha scelto di utilizzare un linguaggio ed una piattaforma già esistenti, e qualunque siano i suoi motivi ha tutto il diritto di farlo.
Non può imporre scelte agli altri attori della piattaforma. Farà delle proposte, forse, come possono essere le richieste di federazione, ma poi ogni altro attore deciderà come reagire.
Chi scrive qui probabilmente non è un fan dell'impostazione di business di aziende come meta, e fa bene a segnalare tutte le nefandezze (vedi il meme sui permessi richiesti dalle app), ma allo stesso tempo tutti noi siamo clienti di quelle stesse aziende (usiamo WhatsApp, usiamo Google maps, ecc.).
Insomma, non penso che sia utile per nessuno fare la guerra alle cose nuove che nascono. Guardiamole, studiamole e magari spieghiamo i loro potenziali pericoli a chi non li coglie. Ma non rimaniamo nemmeno ciechi di fronte alle possibilità che offrono.
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in reply to Casiraghi • • •Sono abbastanza d'accordo con il tuo discorso tranne per questa parte:
Molti di quelli che sono qui non utilizzano e soprattutto non vorrebbero utilizzare WhatsApp e Google Maps ma spesso e volentieri ne sono obbligati. Per WhatsApp ne sono obbligati perché utilizza un protocollo proprietario e se tutta la tua famiglia usa WhatsApp ne sei obbligato anche tu. Google invece ha creato un ecosistema così dipendente da sé stesso che alcune applicazioni (non sue, degli altri!) non funzionano se non si ha installato Google Maps sul proprio smartphone.
Insomma seppur capisco il tuo discorso non darei così per scontato che tutti (soprattutto qui dentro) utilizzino senza problemi le applicazioni delle Big Tech. Sul mio smartphone per esempio c'è installato GrapheneOS e non c'è traccia di alcuna applicazione Google.
Detto questo, come dicevo sono abbastanza d'accordo con quanto dici. Un po' perché non amo molto la narrativa bellicosa né quella del bene vs male o del noi contro loro. Sono tendenzialmente per il costruire anziché demolire. Tuttavia comprendo le paure di molti: dietro l'ascia di guerra si nasconde soprattutto paura. Paura che Meta, e non è difficile immaginarlo, imbracci la strategia dell'EEE arrivando qui come un bulldozer e spianando tutto. La paura è che i server che si federano con loro esplodano per via del numero gigantesco di utenti che si porta dietro e la paura che inizino, come hanno sempre fatto tutte le corporazioni, a fare forzature sui protocolli liberi per poi distinguersi e farne uno tutto loro lasciando tutti gli altri con le braghe calate.
Se posso ti consiglio questo articolo chiamato WhatsApp e l’addomesticamento degli utenti che ho personalmente tradotto in italiano e portato su Le Alternative per farlo conoscere a più persone possibili. La trovo una bella esperienza passata da non dimenticare.
Microsoft business strategy in acquiring software platforms
Contributors to Wikimedia projects (Wikimedia Foundation, Inc.)skariko
2021-12-13 08:00:00
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Casiraghi
in reply to skariko • • •Grazie, spunti molto interessanti e mi trovo d'accordo, hai specificato meglio di me il tema whatsapp / maps 👍🏻
Aggiungo anche io un link che ho trovato molto interessante, ed è la posizione ufficiale del curatore di Mastodon sulla questione.
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LadroDiGalline
in reply to Casiraghi • • •Per questo va bene il "guardiamole, studiamole", però credo sia il caso di evitarle come la peste, perché tanto già sappiamo quali sono queste "opportunità".
Inoltre il fatto che grandi aziende si interessino al protocollo ActivityPub, che è aperto, mi preoccupa un bel po'. Non è mai successo che un azienda che detiene un monopolio de facto abbia usato la sua potenza per influenzare uno standard vero? VERO? [meme di anakin e padme]
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La Scimmia di Mare
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LadroDiGalline
Unknown parent • • •Eggià. Quando un servizio è in posizione dominante diventa difficile da estirpare. Per questo sarebbe il caso di agire prima che Meta diventi dominante sul fediverso.
Comunque di questa cosa se ne parla da un bel po', vedi
[https://www.lealternative.net/2019/10/28/alternative-a-gmail/] e
[https://www.lealternative.net/2021/12/15/degooglizzazione/]
skariko
2019-10-28 08:33:47
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andw93
Unknown parent • • •Io per primo ho un mare di amici ancora con libero e qualcuno migrato su mail tipo Proton
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La Scimmia di Mare
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