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You live in a digital neofeudalism


We're not in the Middle Ages, screamed the Knight of the Order of the Wokes.

The Middle Ages are often invoked to describe a dark, brutal period without freedom, where the masses were at the mercy of a few feudal lords and rulers who fought over lands and resources.

They say life back then wasn't much to write home about. Fortunately, today we are much more civilized. At least, that’s what they say.

We have discovered representative democracy, expelled the cowardly monarchs who plagued us, eliminated the scourge of serfdom, and forgotten the picturesque chivalric orders with their oaths of loyalty to the rulers. But is it really so?

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My impression is that representative democracy and the proliferation of eccentric ideas about social justice and social equity have actually created the conditions for the resurgence of a global digital neo-feudalism.

At the apex of this new feudal pyramid, we undoubtedly have a small but powerful elite of people with vast wealth and power who use supranational tools, both known and unknown, to exercise and manifest their will.

Among them, first and foremost, is the International Monetary Fund (IMF), a financial instrument of the United Nations and the ultimate authority for much of the world. Then there are central banks like the Federal Reserve Bank or the European Central Bank.

Lastly, we must not forget supranational administrative entities such as the World Health Organization (WHO), the aforementioned United Nations (UN), or the somewhat obscure Financial Action Task Force (FATF), which, nevertheless, has a huge impact on our lives. And how could we forget our beloved European Union and the globalist think-tank that is the World Economic Forum?

The combination of people and supranational structures makes up what we could define today as the head of the empire.

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In Cina e Asia – Wang Yi in Russia per colloqui sulla sicurezza


In Cina e Asia – Wang Yi in Russia per colloqui sulla sicurezza russia
I titoli di oggi:

Wang Yi in Russia per quattro giorni di colloqui sulla sicurezza
Cina-Usa: il vicrepresidente Han incontra Blinken
Cina, esercitazioni nel mar Giallo dopo quelle di Stati Uniti e alleati
Corea del Sud: leader dell'opposizione in sciopero della fame, rischia l'arresto
L'Ue nomina nuovo direttore dell'ufficio per l'Asia-Pacifico
Cina, bozza di legge solleva polemiche su rischi di abuso di potere

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IL SUD-EST ASIATICO AIUTA LA CINA NELLA CACCIA AGLI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI


IL SUD-EST ASIATICO AIUTA LA CINA NELLA CACCIA AGLI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI 9344146
Il caso dell'avvocato Lu Siwei conferma come il Sud-est asiatico si sta dimostrando un’area del mondo particolarmente collaborativa quando si tratta di rimpatriare le voci scomode in Cina.

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Call for Nominations: 14th Annual Privacy Papers for Policymakers


The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with t

The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with the opportunity to inject ideas into the current policy discussion, bringing relevant privacy research to the attention of the U.S. Congress, federal regulators, and international data protection agencies.

The award will be given to authors who have completed or published top privacy research and analytical work in the last year that is relevant to policymakers. The work should propose achievable short-term solutions or new means of analysis that could lead to real­-world policy impact.

FPF is pleased to also offer a student paper award for students of undergraduate, graduate, and professional programs. Student submissions must follow the same guidelines as the general PPPM award.

We encourage you to share this opportunity with your peers and colleagues. Learn more about the Privacy Papers for Policymakers program and view previous year’s highlights and winning papers on our website.

FPF will invite winning authors to present their work at an annual event with top policymakers and privacy leaders in spring 2024 (date TBD). FPF will also publish a printed digest of the summaries of the winning papers for distribution to policymakers in the United States and abroad.

Learn more and submit your finished paper by October 20th, 2023. Please note that the deadline for student submissions is November 3rd, 2023.


fpf.org/blog/call-for-nominati…

informapirata ⁂ reshared this.



Cina e Unione europea hanno tenuto oggi a Pechino il secondo dialogo digitale di alto livello co-presieduto dalla vicepresidente per i Valori e la Trasparenza dell’UE Vera Jourova e dal vicepremier cinese Zhang Guoqing, mentre all’orizzonte si profila un potenziale scontro...



Il Consiglio dei Ministri di oggi ha approvato il disegno di legge per l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e per la revisione della valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti.


Se Salvini cerca di strappare alla Meloni la bandiera di leader “coerente” di destra


Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi

Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi non abbiamo cambiato opinione”: sono state queste le prime parole che il segretario leghista ha pronunciato ieri dal palco. Parole non casuali.

È così partita la campagna salviniana per strappare alla Meloni quella bandiera che, a torto o a ragione, secondo tutti gli osservatori ha rappresentato la chiave del proprio successo elettorale: la coerenza. Bandiera inevitabilmente scolorita e lacerata nel passaggio dalla demagogia degli anni trascorsi all’opposizione alle responsabilità imposte dalla funzione di governo. Bandiera che Matteo Salvini intende intestarsi grazie all’ormai rodato ruolo di leader di lotta e al tempo stesso di governo. Umberto Bossi lo fece con Silvio Berlusconi premier, Salvini lo sta facendo con Giorgia Meloni, dopo averlo fatto con Giuseppe Conte.

In vista della propria ascesa al ruolo di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni evitò di pronunciarsi a favore di Marine Le Pen nel ballottaggio con Emmanuel Macron. Salvini, invece, lo fece. E ieri è tornato ad esibire come un valore quasi sacro il rapporto che lo lega alla leader della destra nazionalista francese, sulla cui amicizia, appunto, “non abbiamo cambiato idea”.

Nessuno, dal palco di Pontida, ieri ha pronunciato la parola “Ucraina” o evocato il nome di Vladimir Putin. Tutti hanno parlato di Europa e tutti l’hanno fatto in chiave critica oltre che in aperta contrapposizione a quelle “libertà” che sono state per vent’anni il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e che ieri erano con tutta evidenza il filo conduttore della kermesse leghista.

Salvini sa bene che l’atlantismo e l’europeismo di Giorgia Meloni disorientano parte non marginale della sua base elettorale e persino dei suoi eletti. “Abbiamo ormai rinunciato al cambiamento”, ha scritto ieri, con amara rassegnazione, l’intellettuale d’area Marcello Veneziani sulla Verità. Parlava a nome di una destra che c’è, Veneziani, e che si sente tradita nei propri ideali fondanti. Una destra che si ritrova nelle tesi del generale Vannacci, che non a caso Salvini intende candidare alle elezioni europee di giugno. Una destra che fatica a trovare una bussola per orientarsi nel presente a cui Mattei Salvini ha usucapito i punti di riferimento cardinali del passato abusando, come è accaduto ieri a Pontida, dei concetti di “comunità” e di “identità”, regolarmente enunciati col favore del “buon Dio”.

“Noi non siamo cambiati” era il senso del messaggio securitario agli immigrati, ma in realtà ai propri elettori, lanciato da Giorgia Meloni con l’intervento video dello scorso venerdì. “Lei è cambiata, ma noi no”, è il senso impresso da Matteo Salvini alla kermesse di Pontida.

Per i prossimi otto mesi, sarà questa la sfida. E, naturalmente, nessuno dei due avrà il coraggio di ammettere cambiamenti fisiologici, né di spiegarli con la differenza che passa tra stare all’opposizione e stare al governo. Ovvero, con la differenza che passa tra fare propaganda e fare politica.

Huffingtonpost

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Etiopia: Nazioni Unite denunciano stupri etnici, omicidi e detenzioni arbitrarie


Nonostante l'accordo di pace, in Etiopia si moltiplicano gli stupri etnici, gli omicidi e le detenzioni arbitrarie. La denuncia delle Nazioni Unite L'articolo Etiopia: Nazioni Unite denunciano stupri etnici, omicidi e detenzioni arbitrarie proviene da Pa

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di Redazione

Pagine Esteri, 18 settembre 2023 – Nonostante la fine ufficiale del conflitto civile con la firma nel novembre dell’anno scorso di un accordo di pace, in Etiopia continuano i combattimenti e le violazioni dei diritti umani. A denunciarlo sono stati gli esperti delle Nazioni Unite, secondo i quali il conflitto si sta diffondendo in tutto il paese mettendo a rischio la stabilità regionale.

«Le ostilità in Etiopia sono ora su scala nazionale, con violazioni significative in aumento soprattutto nella regione di Amhara, ma in corso anche in Oromia e altrove» ha affermato in un rapporto la Commissione di esperti sui diritti umani sull’Etiopia. Nel suo rapporto di 21 pagine, la Commissione ha documentato le atrocità di vasta portata perpetrate da tutte le parti in conflitto dal 3 novembre 2020. Queste includono uccisioni di massa, stupri, furti di cibo, distruzione di scuole e strutture mediche, sfollamenti forzati e detenzioni arbitrarie. «Sebbene la firma dell’accordo abbia in gran parte messo a tacere le armi, non ha risolto il conflitto nel nord del Paese, in particolare nel Tigrè, né ha portato ad alcuna pace globale. La situazione in Etiopia rimane estremamente grave», ha affermato il presidente della Commissione, Mohamed Chande Othman, presentando il rapporto.

Secondo il documento, le truppe eritree e i membri delle milizie amhara continuano a commettere gravi violazioni nel Tigrè, tra cui lo stupro sistematico e la violenza sessuale su donne e ragazze, in violazione degli impegni assunti dal governo federale in materia di diritti umani e integrità territoriale.

La Commissione ha inoltre denunciato episodi di arresti, detenzioni e torture di civili da parte delle forze governative in Oromia e sta già ricevendo numerose segnalazioni di violazioni contro i civili nella regione di Amhara dopo la proclamazione dello stato di emergenza, nell’agosto scorso. «Particolarmente preoccupante è lo stupro contro donne e ragazze da parte delle forze eritree nel Tigrè» ha denunciato la commissaria Radhika Coomaraswamy.

«La continua presenza di truppe eritree in Etiopia è un chiaro segno non solo di una radicata politica di impunità, ma anche del continuo sostegno e tolleranza di tali violazioni da parte del governo federale», ha aggiunto. «Intere famiglie sono state uccise, parenti costretti ad assistere a crimini orribili contro i loro cari, mentre intere comunità sono state sfollate o espulse dalle loro case; molti hanno troppa paura di tornare, altri non sono in grado di farlo» ha concluso Coomaraswamy.

All’inizio di settembre decine di civili sarebbero stati uccisi dall’esercito etiope nella regione di Amara, nel nord del paese, nel corso di violenti scontri con il gruppo paramilitare Fano. Lo hanno raccontato diversi testimoni all’agenzia di stampa Reuters e al giornale inglese Guardian. Le uccisioni sarebbero avvenute nella città di Majete, dove domenica 3 settembre alcuni membri del gruppo Fano avrebbero compiuto un attacco armato contro i militari. Gli scontri sarebbero durati poche ore, e in seguito l’esercito avrebbe perquisito le case della città alla ricerca dei miliziani del gruppo Fano. Secondo quanto hanno raccontato i testimoni, nel corso delle perquisizioni l’esercito avrebbe ucciso decine di civili, tra cui anche bambini. – Pagine Esteri

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  Lo sciopero di 8 ore proclamato da Fim, Fiom e Uilm nello stabilimento Stellantis di Melfi, che coinvolge anche le fabbriche dell’indotto re tutta l


Etiopia, a quasi un anno di cessate il fuoco, gli esperti ONU mettono in guardia da abusi e violazioni in atto, inclusi crimini di guerra e contro l’umanità.


A quasi un anno dalla firma dell’accordo per la cessazione delle ostilità in Etiopia, nel Paese vengono ancora commessi atrocità, crimini di guerra e crimini contro l’umanità e la pace resta sfuggente, ha affermato la Commissione internazionale di esperti

A quasi un anno dalla firma dell’accordo per la cessazione delle ostilità in Etiopia, nel Paese vengono ancora commessi atrocità, crimini di guerra e crimini contro l’umanità e la pace resta sfuggente, ha affermato la Commissione internazionale di esperti sui diritti umani L’Etiopia ha messo in guardia nel suo ultimo rapporto pubblicato oggi.


Approfondimenti:


Nel suo rapporto di 21 pagine, la Commissione ha documentato le atrocità di vasta portata perpetrate da tutte le parti in conflitto dal 3 novembre 2020. Queste includono uccisioni di massa, stupri, fame, distruzione di scuole e strutture mediche, sfollamenti forzati e detenzioni arbitrarie.

“Anche se la firma dell’accordo può aver messo a tacere le armi, non ha risolto il conflitto nel nord del paese, in particolare nel Tigray, né ha portato ad alcuna pace globale”, ha detto il presidente della Commissione Mohamed Chande Othman. “La situazione in Etiopia rimane estremamente grave”.

“Gli scontri violenti sono ormai su scala quasi nazionale, con notizie allarmanti di violazioni contro i civili nella regione di Amhara e di atrocità in corso nel Tigray”, ha detto Othman. “La situazione in Oromia, Amhara e in altre parti del Paese – compresi i modelli continui di violazioni, l’impunità radicata e la crescente cartolarizzazione dello Stato – comporta rischi evidenti di ulteriori atrocità e crimini”.


L’ultimo rapporto della Commissione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha confermato che le truppe eritree e i membri della milizia Amhara continuano a commettere gravi violazioni nel Tigray, tra cui lo stupro sistematico e la violenza sessuale su donne e ragazze, in violazione degli impegni assunti dal governo federale in materia di diritti umani e integrità territoriale.

La Commissione ha inoltre scoperto modelli in corso di arresto, detenzione e tortura di civili da parte delle forze governative in Oromia e sta già ricevendo numerose segnalazioni credibili di violazioni contro i civili di Amhara dall’annuncio dello stato di emergenza nell’agosto 2023.

“Non possiamo sopravvalutare la gravità delle violazioni perpetrate in Etiopia da tutte le parti durante il recente conflitto. Particolarmente preoccupante è il fatto che alcuni di questi crimini siano tuttora in corso, in particolare lo stupro e la violenza sessuale contro donne e ragazze da parte delle forze eritree nel Tigray”, ha affermato la commissaria Radhika Coomaraswamy. “La continua presenza di truppe eritree in Etiopia è un chiaro segno non solo di una radicata politica di impunità, ma anche del continuo sostegno e tolleranza di tali violazioni da parte del governo federale”.

“Le atrocità hanno devastato le comunità e hanno gravemente eroso il tessuto della società”, ha affermato Coomaraswamy. “Intere famiglie sono state uccise, parenti costretti ad assistere a crimini orribili contro i loro cari, mentre intere comunità sono state sfollate o espulse dalle loro case; molti hanno troppa paura di tornare, altri non sono in grado di farlo. È probabile che il trauma, sia individuale che collettivo, persista per generazioni”.

“La necessità di un processo credibile, inclusivo e significativo di verità, giustizia, riconciliazione e guarigione non è mai stata così urgente”, ha aggiunto Coomaraswamy.


Il rapporto rileva che il governo etiope non è riuscito a prevenire o indagare efficacemente sulle violazioni e ha invece avviato un processo di consultazione sulla giustizia di transizione imperfetto in cui le vittime rimangono ignorate. All’inizio di quest’anno, il governo federale ha pubblicato la bozza delle “Opzioni politiche dell’Etiopia per la giustizia di transizione”, avviando una serie di consultazioni su un potenziale processo di giustizia di transizione nazionale. La Commissione, tuttavia, ha riscontrato che il processo è stato affrettato per rispettare una scadenza arbitraria fissata dal governo e non ha coinvolto sufficientemente le vittime in molte aree, compresi i rifugiati etiopi che vivono nei paesi vicini.

“La giustizia di transizione ha lo scopo di aiutare i paesi a fare i conti con le atrocità del passato, ma il nostro impegno con centinaia di vittime, le loro famiglie e rappresentanti indica una completa mancanza di fiducia nella capacità o nella volontà delle istituzioni statali etiopi di portare avanti un processo credibile – in particolare perché i funzionari e gli enti statali sono polarizzati e privi di indipendenza”, ha affermato il commissario Steven Ratner.

“Quando osserviamo le attuali iniziative di giustizia di transizione in Etiopia, è difficile non rimanere colpiti dalle prove di ‘quasi-compliance’ – tentativi deliberati del governo di eludere il controllo internazionale attraverso la creazione di meccanismi nazionali e la strumentalizzazione di altri”, ha detto Ratner. “Ciò è servito principalmente ad alleviare la pressione internazionale e a prevenire un maggiore coinvolgimento o indagini a livello internazionale. Per le centinaia di migliaia di vittime delle atrocità commesse in tutta l’Etiopia, non si può permettere che ciò continui”.


Il rapporto della Commissione mette in guardia circa la continua presenza della maggior parte degli indicatori e dei fattori scatenanti contenuti nel quadro di analisi delle Nazioni Unite per i crimini atroci . Ha evidenziato il rischio di ulteriori atrocità su larga scala, esprimendo profonda preoccupazione per il fatto che molti dei fattori di rischio caratteristici di futuri crimini atroci rimangano presenti in Etiopia.

La Commissione ha inoltre notato un modello allarmante di crescente cartolarizzazione dello Stato attraverso l’imposizione di stati di emergenza e l’istituzione di “posti di comando” militarizzati senza controllo civile. Tali strutture sono spesso accompagnate da gravi violazioni.

Proprio il mese scorso, l’Etiopia ha annunciato uno stato di emergenza di sei mesi, stabilendo un sistema di posti di comando in tutta la regione di Amhara, con diversi centri urbani della regione ora sotto coprifuoco. La Commissione sta già ricevendo segnalazioni di detenzioni arbitrarie di massa di civili amhara e di almeno un attacco con droni effettuato dallo Stato.

“Siamo profondamente allarmati dal deterioramento della situazione della sicurezza ad Amhara e dalla continua presenza di fattori di rischio per crimini atroci. Questa situazione in evoluzione ha enormi implicazioni per la stabilità in Etiopia e nella regione più ampia, e in particolare per le decine di milioni di donne, uomini e bambini che la chiamano casa”, ha affermato Othman. “L’importanza di un monitoraggio e di indagini indipendenti continui e solidi non può essere sopravvalutata”.


Contesto : la Commissione di esperti sui diritti umani in Etiopia è stata istituita dal Consiglio per i diritti umani il 17 dicembre 2021, attraverso la risoluzione S-33/1 , per condurre indagini approfondite e imparziali sulle accuse di violazioni e abusi del diritto internazionale sui diritti umani e sulle violazioni del diritto internazionale umanitario e diritto internazionale dei rifugiati in Etiopia commessi dal 3 novembre 2020 da tutte le parti in conflitto, comprese le possibili dimensioni di genere di tali violazioni e abusi.


FONTE: ohchr.org/en/press-releases/20…


tommasin.org/blog/2023-09-18/e…



Tutto pronto per #TuttiAScuola! Come sempre le scuole saranno protagoniste e animeranno la cerimonia assieme a tanti ospiti.

Vi aspettiamo tra poco in diretta dall’Istituto Tecnico “Saffi-Alberti” di Forlì!

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41 anni dalla strage di Sabra e Shatila: un orrore mai dimenticato


Dal 16 al 18 settembre 1982 le Falangi libanesi massacrarono uomini, donne e bambini inermi. Per tre giorni, ininterrottamente, i miliziani usarono armi da fuoco, coltelli, accette per fucilare, decapitare, sgozzare e mutilare un numero imprecisato di civ

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 18 settembre 2023. Dal 16 al 18 settembre 1982 le Falangi libanesi massacrarono uomini, donne e bambini inermi. Per tre giorni, ininterrottamente, i miliziani usarono armi da fuoco, coltelli, accette per fucilare, decapitare, sgozzare e mutilare un numero imprecisato di civili (dalle centinaia ai 3.500 morti) rimasti senza protezione alcuna all’interno dei campi profughi di Sabra e Chatila.

Erano palestinesi, rifugiati in Libano dopo essere stati cacciati dalle proprie case durante la Nakba, la loro “Catastrofe” cominciata (e mai terminata) insieme alla nascita dello Stato di Israele.

Proprio Israele aveva cominciato in Libano, nel giugno del 1982, un’invasione di terra con l’obiettivo dichiarato di cacciare i combattenti palestinesi dal Paese. La forza bellica dell’esercito israeliano travolse città, quartieri, campi profughi e l’enorme impiego di mezzi militari consentì di raggiungere, in pochi mesi, la capitale, Beirut. I campi profughi di Sabra e Chatila vennero circondati. I combattenti palestinesi, chiusi al loro interno, si preparavano a quello che sarebbe stato senz’altro un massacro: le poche armi di cui erano in possesso non avrebbero mai potuto competere con i mezzi israeliani.

Le forze internazionali, però, intervennero. Gli Stati Uniti di Ronald Regan si fecero promotori di una mediazione e garanti dell’accordo che le pari raggiunsero: i combattenti palestinesi avrebbero lasciato Sabra e Chatila, portando via le proprie armi e Israele avrebbe lasciato vivere coloro che rimanevano, quasi esclusivamente donne, anziani, bambini e bambine.

Poco meno di un mese prima Bashir Gemayel, capo militare delle Falangi libanesi, partito denominato Katā’eb, una formazione di estrema destra fondata dal padre Pierre Gemayel, venne eletto Presidente della Repubblica. Avrebbe dovuto insediarsi a breve ma venne ucciso da un attentato il 14 settembre.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Nonostante i responsabili della sua morte non fossero i palestinesi, le Falangi intendevano vendicare il proprio leader con il sangue dei profughi. Ma a controllare i campi era l’esercito israeliano e nessuno entrava o usciva da lì senza il consenso dei vertici militari, sotto il comando del Ministro della Difesa Ariel Sharon.

Gli israeliani avevano completamente chiuso il perimetro, osservavano i campi dall’alto degli edifici che li circondavano e li illuminavano, se necessario, con i fari che avevano montato tutto intorno.

Il 16 settembre i militari israeliani ebbero l’ordine di far passare i miliziani delle Falangi libanesi, a centinaia, armati e pronti alla vendetta. La popolazione dei campi fu colta di sorpresa. Gli abitanti, inermi, subirono per tre giorni e tre notti la furia dei miliziani che si fermavano solo quando, stremati dalla fatica fisica delle uccisioni, andavano a riposare lasciando il posto a unità più fresche.

Dopo la strage alcuni dei corpi furono gettati in fosse comuni, nel tentativo di coprire le dimensioni del massacro. Ma i cadaveri erano troppi e molti furono lasciati per le strade, preda delle mosche e degli animali. Uno dei primi a giungere nei campi dopo il ritiro dei libanesi fu Robert Fisk, giornalista inglese che scrisse un terribile e indimenticabile articolo intitolato, appunto, “Ce lo dissero le mosche”. Ciò che si aprì dinanzi agli occhi suoi e degli internazionali che arrivarono fu uno scenario di morte, violenza estrema e indiscriminata impossibile da dimenticare.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Per quel massacro nessuno pagò. Israele tentò dapprima di nascondere la propria responsabilità ma quando le immagini e le notizie cominciarono a circolare, l’eco divenne internazionale. Ovunque si parlava della strage, sui giornali, nelle università. Il tradimento della comunità internazionale venne smascherato, le responsabilità furono chiaramente definite. Eppure. Eppure la commissione di inchiesta israeliana che si occupò della questione, la Commissione Kahan, riconobbe una responsabilità “indiretta” di Israele e del suo Ministro della Difesa, colpevole, secondo il suo giudizio, solo di aver sottovalutato le possibili conseguenza dell’azione falangista all’interno dei campi profughi.

Elie Hobeika, colui che guidava e comandava le milizie cristiano-maronite di estrema destra durante l’attacco a Sabra e Chatila, divenne, nel 1990, Ministro per i Profughi in Libano. Venne ucciso da un attentato nel 2002, dopo aver dichiarato di essere pronto a parlare dinanzi alla Corte Penale Internazionale delle reali responsabilità israeliane in merito al massacro del 1982.

Sabra e Chatila esistono ancora. Così come i profughi palestinesi, che vivono in condizioni di povertà, indigenza, in mancanza delle basilari misure sanitarie e di sicurezza, ammassati l’uno sull’altro perché, nonostante la crescita della popolazione dei campi, la legge libanese non gli permette di acquistare un’abitazione. Gli è vietato esercitare in Libano, se non all’interno dei campi profughi, circa 70 professioni, tra le quali quelle di medico, insegnante, ingegnere, avvocato, commercialista.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Molti abitanti dei campi in Libano, quelli più giovani, soprattutto, provano a fuggire verso l’Europa, affrontando lunghi e pericolosi viaggi in mare che spesso si trasformano in terribili naufragi.

A gennaio del 2023 Pagine Esteri ha prodotto un documentario in occasione dei 40 anni dalla strage. “Il cielo di Sabra e Chatila”, girato in Libano a settembre del 2022, racconta le fasi della strage e quella che è oggi la vita all’interno dei campi profughi palestinesi in Libano. Durante l’anno si sono tenute numerose proiezioni in varie regioni di Italia, da nord a sud. La versione inglese è stata trasmessa in chiaro dal Palestine Museum degli Stati Uniti ed è in uscita una nuova versione in francese.

Le prossime proiezioni sono previste ad Acerra (NA) il 21 settembre, a Roma, all’interno del Falastin Festival il 30 settembre, e a Salerno, con Mediterraneo Contemporaneo il 6 ottobre. Per ulteriori notizie è possibile consultare il calendario qui.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔸#TuttiAScuola, a Forlì l'inaugurazione del nuovo anno scolastico. L’evento è in diretta, dalle 16.



Oggi saremo a Forlì per #TuttiAScuola, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2023/2024.

Si parlerà di attualità, lavoro, salute, sport, scuole italiane all’estero, storie di riscatto sociale.



In Cina e Asia – Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni


In Cina e Asia – Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni xi biden usa cina
I titoli di oggi:
Cina-Usa, Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni
Covid, l'Oms chiede “massima accessibilità” alla Cina sulle origini del virus
Economia, delocalizzare dalla Cina non funziona?
L'Irlanda multa TikTok, “minorenni a rischio”
Niente colloqui? I giovani lavoratori cinesi si rivolgono alle dating app
La Cina lancia la nuova Smart Card per i residenti stranieri
Crisi immobiliare, arrestati dipendenti di Evergrande
Sfida Apple-Huawei: sui social cinesi si parla del nuovo iPhone 15
Corea del Nord, Kim ispeziona armi e navi da guerra russe

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Sisci: Zuppi in Cina, "un favore del Vaticano a Pechino”


Sisci: Zuppi in Cina, zuppi
"S. Em.za il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Inviato del Papa Francesco, è stato ricevuto, presso il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, da S.E. il Sig. Li Hui, Rappresentante Speciale per gli Affari Euroasiatici. Il colloquio, svoltosi in un clima aperto e cordiale, è stato dedicato alla guerra in Ucraina e alle sue drammatiche conseguenze, sottolineando la necessità di unire gli sforzi per favorire il dialogo e trovare percorsi che portino alla pace. È stato inoltre affrontato il problema della sicurezza alimentare, con l’auspicio che si possa presto garantire l’esportazione dei cereali, soprattutto a favore dei Paesi più a rischio." Il comunicato della Santa Sede riassume così l'incontro di ieri tra Li Hui e il cardinale Zuppi, arrivato in Cina per portare avanti la missione di pace affidatagli da Bergoglio. Cosa aspettarsi? Ne abbiamo parlato con Francesco Sisci, esperto di rapporti tra Cina e Vaticano.

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SPIONAGGIO. Dopo Pegasus arriva Sherlock, lo spyware israeliano “invincibile”


Agisce attraverso la pubblicità. Quando vediamo l'annuncio, senza neanche cliccare su di esso, il codice si attiva, individua le vulnerabilità e inizia ad operare prendendo il controllo del telefono o del computer. L'articolo SPIONAGGIO. Dopo Pegasus arr

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di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 18 settembre 2023 – La rivelazione fa impallidire persino quella che anni fa fece scoprire al mondo la pericolosità dello spyware israeliano Pegasus usato dai governi di mezzo mondo per tenere sotto costante controllo non solo i criminali ma anche dissidenti politici, attivisti per i diritti umani e giornalisti. All’ombra della pandemia di coronavirus, scrive Haaretz Magazine, quando sono stati sviluppati strumenti per tracciare la diffusione del virus tra le persone, alcune aziende israeliane hanno messo a punto tecnologie in grado di sfruttare la innocua seppur molesta pubblicità online per raccogliere dati inaccessibili dei cittadini e mettere sotto sorveglianza i loro telefoni e computer.

A chi non è capitato di leggere su Facebook il post di un amico che ha visitato una città e di veder comparire dopo un po’ sullo schermo del telefono la pubblicità di hotel e alloggi turistici. Annunci che – noi non lo sappiamo – si fanno la guerra tra di loro per continuare a seguirci per giorni. Ma se questa guerra digitale resta limitata al settore commerciale, alcune aziende israeliane hanno intuito che la pubblicità può essere una strada comoda per iniettare software spia nei telefoni e nei computer. E ora vendono questi strumenti di sorveglianza.

Una di queste aziende, rivela l’inchiesta di Haaretz, è la Insanet di cui non si sapeva praticamente nulla. Sarebbe di proprietà di ex alti ufficiali e funzionari della Difesa israeliana, tra cui un ex capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Dani Arditi. Lo spyware della Insanet, noto come Sherlock, attraverso gli annunci pubblicitari traccia e infetta senza ostacoli. Grazie all’autorizzazione del ministero della Difesa è già venduto a livello globale e ne sarebbe entrato in possesso anche un regime autoritario. Un’altra azienda israeliana, Rayzone, ha sviluppato un prodotto simile. Rispetto allo spyware Pegasus, contro il quale Apple, Microsoft e Google sono riuscite a predisporre delle contromisure, queste nuove tecnologie di sorveglianza hanno il vantaggio di non poter essere ancora contrastate. Sino ad oggi buona parte degli esperti di sicurezza neppure era a conoscenza dell’esistenza di questa nuova minaccia.

Sherlock e i prodotti simili permettono di monitorare i cittadini e di ottenere accesso a una quantità illimitata di informazioni: messaggi, chiamate, attività sui social, email, posizione del dispositivo, contatti e fotografie. Possono anche accendere la fotocamera e il microfono del telefono o del pc senza che l’utente se ne accorga. Qualcuno dirà che questo lo fanno già Pegasus e altri spyware. La novità è il mezzo utilizzato per introdurre il software spia: la pubblicità. Un annuncio apparentemente innocuo viene inserito in una pagina web o in un’applicazione a cui siamo collegati. Sembra normale, come qualsiasi altro. Invece contiene un codice che sfrutta le vulnerabilità del nostro dispositivo. Quando vediamo l’annuncio, senza neanche cliccare su di esso, il codice si attiva e inizia ad operare. Cerca qualsiasi debolezza per installare il software spia. In meno di un secondo la nostra vita digitale è nelle mani di chi ci controlla. La Insanet è andata oltre tutto, spiegano gli esperti citati da Haaretz. La portata e l’impatto della tecnologia di Sherlock sono enormemente più grandi di quelli di Pegasus. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre dal quotidiano Il Manifesto

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Una critica femminista al regolamento CHATCONTROL. La politica digitale femminista si interroga criticamente se l’uso delle tecnologie paternalistiche.

@Privacy Pride

«...la non negoziabilità dei diritti fondamentali fa parte di una prospettiva di politica digitale femminista. Il diritto alla privacy e il diritto alla protezione contro la violenza non dovrebbero essere contrapposti. Sono tutti essenziali per la partecipazione sociale e democratica di tutti, in particolare dei gruppi sottorappresentati e, non ultimi, dei bambini e degli adolescenti.

Le proposte politiche devono essere sottoposte a una valutazione dell’impatto contestuale e sociale in modo che l’uso delle tecnologie prescritto dalla legge non oscuri i problemi esistenti o addirittura crei nuove sfide. Il passato dimostra che tali valutazioni d’impatto di solito coprono solo il livello giuridico o tecnico. Tuttavia, per creare soluzioni davvero sostenibili ed eticamente responsabili, è necessario includere anche fattori civili ed economici. Anche la realizzazione tecnica deve essere accompagnata criticamente e analizzata iterativamente. Perché non è chiaro quali soluzioni si stiano sviluppando riguardo alle normative aperte alla tecnologia. È quindi ancora più importante che il legislatore sia responsabile della creazione di una base che stabilisca una linea rossa chiara per le tecnologie altamente problematiche dal punto di vista etico e giuridico.

Il regolamento CSA mostra la complessità del rapporto tra problemi sociali e potenziali soluzioni digitali e quanto rapidamente il tecnosoluzionismo possa portare a conseguenze negative indesiderate. È responsabilità dei legislatori svelare tali complessità e sviluppare approcci risolutivi personalizzati e convenienti che riducano al minimo gli impatti negativi.»

Il post completo è su FEMINISTTECHPOLICY

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Il cittadino italo-palestinese Khaled El Qaisi si trova ancora detenuto nelle carceri israeliane dal 31 agosto scorso quando fu arrestato senza alcuna motivazio



#laFLEalMassimo – Episodio 101: Affitti Brevi e Centri Storici in via di Estinzione


Apro l’episodio consigliando a tutti il film 20 days in Mariupol: per quanto alcune immagini siano molto forti è importante capire perché questa battaglia ha bisogno del supporto di ognuno di noi. Venendo alle questioni del nostro paese sembrerebbe che i

Apro l’episodio consigliando a tutti il film 20 days in Mariupol: per quanto alcune immagini siano molto forti è importante capire perché questa battaglia ha bisogno del supporto di ognuno di noi.

Venendo alle questioni del nostro paese sembrerebbe che i centri storici delle città italiane vengano percepiti come animali in via di estinzione o creature viventi da proteggere con le assurde leggi sugli affitti brevi.

Fermiamoci un attimo a pensare: a chi fa danno se uno affitta casa sua per una notte sola? Quanto sono credibili queste controfattuali elucubrazioni sulla iper-gentrificazione dei centri storici che diventano come dei parchi divertimento? Ma soprattutto, se anche fosse a chi fa danno se centro urbano evolve naturalmente da luogo di residenza a museo a disposizione di visitatori paganti?

Una volta costruivamo le città in luoghi poco accessibili e facilmente difendibili dalle invasioni, oggi preferiamo abitare in posti che siano decentemente collegati col resto del mondo, a chi interessa tutelare il castello scomodo dove non vuole abitare più nessuno?

Le culture e i bisogni delle persone cambiano e anche lo smartworking sta svuotando parzialmente centri direzionali a beneficio di periferie più comode e sostenibili, perché intervenire sui contratti di affitto redatti tra adulti consenzienti nel rispetto delle leggi?

Io credo che la libertà di ciascuno di disporre delle cose proprie sia più importante degli interessi di minoranza di residenti ricchi che non vuole turisti intorno e i politici che la pensano diversamente dovrebbero spiegarci perché l’ingerenza che loro propongono dovrebbe corrispondere con gli interessi della collettività

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Il neofeudalesimo digitale


Non siamo mica nel medioevo, gridò il Cavaliere dell'Ordine dei Woke.

Il medioevo viene spesso chiamato in causa per indicare un periodo buio, brutale, senza libertà, in cui le masse erano alla mercé di pochi signori e sovrani che si contendevano terre e risorse.

La vita, dicono, non doveva essere granché. Fortunatamente, oggi siamo molto più civilizzati.

Abbiamo scoperto la democrazia rappresentativa, scacciato i vili monarchi che ci affliggevano, eliminato la piaga della servitù della gleba e dimenticato i pittoreschi ordini cavallereschi, coi loro giuramenti di fedeltà ai sovrani. Ma è davvero così?

La mia impressione è che la democrazia rappresentativa e la proliferazione di strampalate idee di giustizia ed equità sociale abbiano invero creato i presupposti per la reviviscenza di un neofeudalesimo digitale globale.

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All’apice della nuova piramide feudale abbiamo certamente una piccola ma poderosa elite di persone con tanti soldi e potere che usano strumenti sovranazionali conosciuti e sconosciuti per esercitare e manifestare la loro volontà.

Tra questi troviamo prima di tutto il Fondo Monetario Internazionale (IMF), strumento finanziario delle Nazioni Unite e di ultima istanza per gran parte del mondo. Poi ci sono le banche centrali, come la Federal Reserve Bank o la Banca Centrale Europea.

Infine, non bisogna dimenticare enti sovranazionali amministrativi come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le già citate Nazioni Unite (ONU) o il semisconosciuto Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (FATF), che però ha un enorme impatto sulle nostre vite. E come dimenticare poi la nostra beneamata Unione Europea e il think-tank globalista che è il World Economic Forum?

L’insieme di persone e strutture sovranazionali compone quello che oggi potremmo definire come la testa dell’impero.

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Nell'esprimere il nostro cordoglio per il tragico incidente ai familiari sentiamo il dovere di riaffermare che riteniamo le Frecce Tricolori uno spreco di soldi


VIDEO. Al Dar Jacir di Betlemme “Il Mare in Mezzo”: canti, musiche e danze italo-palestinesi


Il programma, organizzato e guidato da Emily Jacir, ha prodotto una varietà di risultati, tra cui spazi per la creazione, l'apprendimento e lo scambio, e altri processi di costruzione della comunità come laboratori, spettacoli, musica, canto e danza. L'a

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della redazione

Pagine Esteri, 16 settembre 2023 – Grande successo per “Il Mare in Mezzo” a Dar Jacir a Betlemme. L’evento è nato cinque anni fa con la collaborazione e una vasta rete di ballerini e musicisti tra la Cisgiordania meridionale e il Sud Italia, insistendo sulla comune eredità mediterranea. Il programma, organizzato e guidato da Emily Jacir – un’artista ed educatrice che utilizza un’ampia gamma di media e metodologie che includono film, video, fotografia, scultura, installazione e performance – ha prodotto una varietà di risultati, tra cui spazi per la creazione, l’apprendimento e lo scambio, e altri processi di costruzione della comunità come laboratori, spettacoli, musica, canto e danza.

Hanno collaborato il coreografo Andrea De Siena, fondatore della Scuola Pizzica di San Vito che da anni tiene lezioni di danza in tutta Europa; Fabrizio Piepoli cantante, polistrumentista e produttore pugliese che insegna canto e musica tradizionale al Conservatorio di Lecce; la ballerina ed educatrice di movimento Giulia Pesole; e il coro di Betlemme ed Hebron dell’Amwaj oltre a vari artisti e musicisti palestinesi. A dare un contributo importante sono stati anche il Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme, il Centro OSUN per i diritti umani e le arti del Bard College.

GUARDA I VIDEO

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Cavo Dragone nuovo presidente del Comitato militare Nato. Tutte le sfide


Sarà l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone a prendere il posto dell’ammiraglio olandese Rob Bauer nel ruolo di presidente del Comitato militare della Nato, l’organizzazione che riunisce i capi di Stato maggiore della Difesa di tutti i Paesi alleati. In quest

Sarà l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone a prendere il posto dell’ammiraglio olandese Rob Bauer nel ruolo di presidente del Comitato militare della Nato, l’organizzazione che riunisce i capi di Stato maggiore della Difesa di tutti i Paesi alleati. In questa veste, l’ufficiale italiano sarà responsabile delle attività delle strutture militari della Nato. Il Comitato militare Nato, infatti, dirige le operazioni condotte dalle forze Alleate (attraverso l’Allied command operations), e ne redige le dottrine operative, logistiche e addestrative (grazie all’Allied command transformation).

La nomina

Per l’Italia, la nomina di Cavo Dragone rappresenta un passo importante e il segnale di un riconoscimento al ruolo che il nostro Paese svolge all’interno della Nato. L’Italia è tradizionalmente uno dei principali contributori militari della Nato, sia in termini di truppe sia di mezzi. La presenza di una figura come Cavo Dragone in una posizione apicale come appunto quella di presidente del Comitato militare potrebbe aiutare il nostro Paese nell’avanzare le proprie posizioni all’interno dell’Alleanza, accrescendone al contempo il peso specifico nelle decisioni. Il risultato è anche frutto del sostegno che la candidatura di Cavo Dragone al ruolo di presidente del Comitato militare Nato sia stata sostenuta in pieno dal governo, con l’ufficializzazione del supporto a maggio da parte del ministro degli Esteri Antonio Tajani, seguita al passo indietro di Mario Draghi al ruolo di successore di Jens Stoltenberg.

Curriculum

L’ammiraglio ha riscosso negli ultimi anni un apprezzamento trasversale e internazionale, sopratutto negli Usa. Ad aprile si è recato a Washington, dove ha incontrato i vertici del Pentagono e dove è stato intervistato dall’autorevole think tank Atlantic Council. Classe 1957, piemontese, pilota e paracadutista, Cavo Dragone è da ottobre 2021 capo di Stato maggiore della Difesa, e dovrebbe terminare il mandato a novembre 2024. Prima, dal giugno 2019, è stato capo di Stato maggiore della Marina militare. Dal 2016, ha guidato il Comando operativo di vertice interforze (l’attuale Covi), lo strumento attraverso cui la Difesa esercita il comando operativo delle Forze schierate in teatro per missioni o operazioni in tutto il globo.

Profilo operativo

L’ammiraglio Cavo Dragone vanta tra l’altro un profilo altamente operativo, che lo ha visto comandare le Forze aeree della Marina e il Raggruppamento subacquei e incursori. Gli incarichi di vertice sono stati preceduti da due anni alla guida Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali (Cofs) e dal comando triennale dell’Accademia navale. Nei primi anni 2000 è stato inoltre per un biennio al comando della portaerei Garibaldi.

Le sfide

Ora Cavo Dragone avrà il compito delicato di presidente del Comitato militare della Nato, e dunque di responsabile delle o priorità strategiche per la Difesa alleata e del mantenimento di un adeguato ed efficiente livello di prontezza delle forze del Patto. Il tutto in uno scenario di sicurezza globale sempre più instabile, a partire dall’Ucraina, che avrà ancora bisogno del sostegno degli alleati. Altro dossier cruciale sarà il livello di produzione di munizioni e sistemi d’arma nello spazio transatlantico, giudicato attualmente insufficiente a garantire la difesa europea e nordamericana. Le priorità attuali della Nato, infatti, come registrato dallo stesso Comitato militare, sono gli investimenti nella Difesa (come per esempio l’obiettivo per gli alleati di assegnare al budget militare almeno il 2% del proprio Pil nazionale), l’aumento della produzione di armi e munizioni e infine la trasformazione della Nato affinché sia sempre più pronta per l’era digitale e delle operazioni multidominio.


formiche.net/2023/09/cavo-drag…



Non tutte le mie creazioni DIY sono orripilanti. Stavolta, per fare un regalo sia a me che non, abbellisco delle mollette per capelli, nel primo modo che mi viene a mente.


La festa per i 10 anni di AirPress nel servizio di SkyTg24 con Crosetto, Valente e Cristoforetti


Il ministro della Difesa Guido Crosetto, il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Teodoro Valente, l’astronauta Samantha Cristoforetti parlano ai microfoni di Alessandro Taballione (SkyTg24). Alla Lanterna di Roma si sono festeggiati i 10 anni di AirP

Il ministro della Difesa Guido Crosetto, il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Teodoro Valente, l’astronauta Samantha Cristoforetti parlano ai microfoni di Alessandro Taballione (SkyTg24). Alla Lanterna di Roma si sono festeggiati i 10 anni di AirPress, la rivista del gruppo Formiche specializzata in difesa e aerospazio. Hanno partecipato parlamentari, rappresentanti delle istituzioni, vertici delle Forze Armate e manager delle più importanti aziende del settore. Nel video il servizio integrale:

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Iran, il racconto di militante che combatte il regime: “Mi hanno arrestato e massacrato di botte”


La chiamata è arrivata di primissima mattina. Non hanno bisogno di presentarsi, loro. Quando sul display del cellulare compare “numero sconosciuto” sai già di chi si tratta. Ho risposto e una voce carica di odio mi ha ordinato di presentarmi in un certo

La chiamata è arrivata di primissima mattina. Non hanno bisogno di presentarsi, loro. Quando sul display del cellulare compare “numero sconosciuto” sai già di chi si tratta. Ho risposto e una voce carica di odio mi ha ordinato di presentarmi in un certo ufficio. Ero preparato, gli avvocati dei diritti umani che seguono i miei amici attivisti mi avevano consigliato di non accogliere la convocazione telefonica e così ho fatto. Ma non è bastato. La mattina dopo hanno fatto irruzione nel piccolo ostello economico di Teheran dove abito da tre mesi, perché i miei conti bancari sono stati congelati e ho dovuto lasciare l’appartamento in cui vivevo.

Erano agenti in borghese, mercenari. Sono entrati sfondando la porta, stavo facendo la doccia. Mi hanno lasciato vestire e intanto spaccavano il tavolo, il letto, i vetri delle finestre. Poi è toccato a me. Mi hanno stretto in un angolo e si sono scatenati, manganellate, calci, pugni, sputi. Hanno perquisito furiosamente le mie borse, hanno prelevato i miei scritti e hanno rubato i vestiti, le scarpe, l’orologio, perfino le vitamine. In strada ci aspettava una macchina. Ho viaggiato con gli occhi bendati e la testa piegata sulle loro gambe affinché non vedessi dove andavamo. Mi sono ritrovato in una piccola cella, avevo dolori ovunque per le scariche di taser somministratemi durante il viaggio. Tremavo. Saranno passate ore prima che mi portassero nella stanza dove mi aspettavano due uomini, due di loro. Uno tirava calci e schiaffi alla cieca, l’altro mi chiedeva forsennatamente se avessi intenzione di partecipare all’anniversario della rivoluzione, mi chiamava traditore, bastardo, diceva che avevo preso soldi dall’America e da Israele per attaccare la repubblica islamica, urlava che non c’era posto per quelli come me in Iran.

Ripeteva che appena il nostro leader l’avesse ordinato ci avrebbero ammazzati tutti in un solo giorno senza neppure bisogno di giustiziarci, sarebbe bastato investirci per le strade con la macchina, sarebbe bastato simulare un incidente, cento incidenti, mille incidenti. Poi la minaccia più sinistra: “Stavolta, se parteciperai ancora alle proteste, ti troveremo subito e finirai in un carcere dove ci sono molti detenuti con forti appetiti sessuali, ti metteremo a loro disposizione”. Avevo la lingua pesante, non riuscivo a rispondere. E loro picchiavano, picchiavano. Mi sono risvegliato nella cella, era notte, credevo fosse un incubo e volevo svegliarmi, ma ero sveglio. Urinavo sangue, anche le feci erano rosse. Sono rimasto così per cinque giorni, detenuto illegalmente, torturato, alimentato solo ad acqua. Finché mi hanno sottoposto un foglio da firmare in cui promettevo che non avrei partecipato a nessuna manifestazione. Io però gli impegni li prendo solo con me stesso:pensavo questo attraversando i corridoi lugubri in cui ho visto attivisti che non conoscevo e altri che conoscevo, non potevano parlare tra di noi.

Sono tornato all’ostello, dove mi aspettava il direttore, un uomo per bene che mi ha aiutato molto, non ha mai chiesto che pagassi più di quanto potevo, ossia un solo mese. È stato lui ad accompagnarmi al pronto soccorso, dopo avermi accolto e rincuorato insieme ad altri ospiti della struttura, tra cui un neozelandese e due olandesi. Martedì sera in ospedale il medico ha detto che sarei dovuto restare ricoverato per tre giorni ma sfortunatamente la mia assicurazione sanitaria è stata cancellata dal governo e non ho soldi per permettermi una degenza del genere, così ho preso le medicine che mi sono state prescritte e sono rientrato in ostello. Vogliono farci vivere nel terrore dell’incertezza, ci stanno col fiato sul collo, li sentiamo arrivare, ma qualche volta arrivano e qualche altra no. Dobbiamo sapere che loro ci braccano. A tanti amici in questi giorni è capitato quello che è capitato a me: sono stati convocati telefonicamente e dopo essersi rifiutati di andare all’appuntamento sono stati presi in casa, in ufficio. Una mia amica è stata raggiunta a Isfahan dove si era recata per lavoro, l’hanno trovata in albergo. Il trattamento è sempre lo stesso. Gli agenti in borghese, i mercenari, piombano all’improvviso come fossero a caccia di criminali, ammanettano gli attivisti e li trascinano per la strada, picchiano duro convinti della loro impunità e poi prendono tutto quello che trovano, carte, documenti, dispositivi elettronici ma anche abiti, oggetti, collane. Sto male fisicamente ma so che il corpo guarirà, mi hanno bastonato tante volte. Sto male soprattutto dentro, sono nauseato da questo odio e questa violenza, da questo sistema senza legge. Prendo impegni solo con me stesso e con i miei compagni, ecco perché ancora ieri, nonostante il dolore allo stomaco, ho raggiunto le proteste a Enqulab street, a Jomhuri street e nella metropolitana. Lo farò ancora, il giorno dell’anniversario della rivoluzione e fino alla vittoria. Hanno minacciato di mettermi in cella assieme a detenuti molto violenti Avevo dolori ovunque per le continue scariche di taser che ho subìto La rivoluzione Le manifestazioni di protesta scoppiate aTeheran il 16 settembre 2022 dopo l’uccisione di Mahsa Amini.

La Stampa

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Privatocrazia sanitaria, in Italia il 60% dei fondi per la salute pubblica finisce ai privati. Il monito di Nicoletta Dentico | AFV

"La situazione ha raggiunto livelli più che allarmanti: almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati, in particolare per l’acquisto di servizi medici e farmacologici; più del 50% delle istituzioni sanitarie che si occupano di malattie croniche sono in mano ai privati, così come lo sono più dell’80% delle istituzioni di assistenza sanitaria residenziale. I tagli della prossima legge di bilancio assecondano questa metastasi.”

ancorafischiailvento.org/2023/…



StAffettati


L’idea s’era già affacciata, ma il suo costo ne aveva suggerito l’accantonamento. Ora riciccia, con la pretesa di dimostrarsi una buona cosa per i giovani. L’immagine che hanno usato è quella della staffetta, del passarsi il testimone: dal lavoratore anzi

L’idea s’era già affacciata, ma il suo costo ne aveva suggerito l’accantonamento. Ora riciccia, con la pretesa di dimostrarsi una buona cosa per i giovani. L’immagine che hanno usato è quella della staffetta, del passarsi il testimone: dal lavoratore anziano a quello giovane. Ma caricando di ulteriori costi le casse pubbliche promette maggiori pressioni fiscali e previdenziali future, il che non è proprio nell’interesse dei più giovani. Quella staffetta li affetta. Il testimone è un torsolo.

Da quel che si capisce, lo schema potrebbe essere il seguente: un lavoratore cui manchi qualche mese o qualche anno alla pensione (più dura e più costa) accetta un part-time e in quel tempo collabora alla formazione di un altro lavoratore, di età non superiore a 35 anni, che sia stato assunto a tempo pieno e indeterminato. In questo modo si ritarderebbe l’andata in pensione del primo e si faciliterebbe l’ingresso nel mondo del lavoro del secondo. Ma per quale motivo un’azienda dovrebbe scegliere di far lavorare la metà del tempo un collaboratore già formato e di fargli utilizzare il tempo per formare un altro collaboratore che si è dovuto assumere senza che sappia fare quel che gli si vorrebbe far fare? È così evidente che nessuno lo farebbe che la proposta ha un’appendice: non dovendoci essere nessun onere aggiuntivo per le imprese, lo Stato si carica il costo dei contributi dell’uscente e dell’entrante, aggiungendo l’agevolazione fiscale per il datore di lavoro. Un marchingegno generatore di debiti e che non tiene conto della realtà su quei due lati del mercato del lavoro.

Sul lato dei pensionandi la faccenda è nota: ogni forma di agevolazione all’andare in pensione e qualsiasi numero si metta alle “quote”, il risultato è un maggiore onere a carico degli altri lavoratori e contribuenti. Il ministro dell’Economia Giorgetti lo aveva detto: con questa leva demografica non c’è margine per regalie. Ma oramai parla per sé e in gran parte a sé. Questo, però, non può tradursi in una costrizione al lavoro controvoglia, per sua natura scarsamente produttivo. La via d’uscita c’è: ciascuno vada in pensione quando gli pare, ma esclusivamente sulla base dei contributi versati. Quello è un sistema giusto, che non scippa niente a nessuno e che porterebbe a quel che s’è già visto in occasione di anticipi pensionistici che i lavoratori hanno rifiutato: si continua a lavorare per convenienza economica. Ed è bene che sia così.

Sul lato dei giovani forse non è chiara la situazione: non mancano i posti di lavoro, mancano i lavoratori. Mancano per cattiva dislocazione e mancata formazione e, relativamente a questa seconda deficienza, si tratta anche di offerte di lavoro qualificato e con prospettive di far strada o carriera che dir si voglia. La spesa pubblica è utile se indirizzata alla formazione: un investimento a favore della ricchezza del lavoratore e di quella produttiva, quindi della ricchezza generale.

Il lavoro serve a far crescere la ricchezza e il benessere. Il lavoro non è una quantità predeterminata, sicché per fare entrare uno si deve far uscire l’altro. Al contrario: più si lavora, più si crea ricchezza e innovazione e più si creano occasioni e posti di lavoro (altrimenti si dovrebbe tornare alla zappa per moltiplicare le radiose opportunità bracciantili). Il lavoro sussidiato si candida a essere improduttivo, quindi un non-lavoro che genera squilibri e debiti. I quali porteranno aggravi fiscali, che sono il ddt sterminatore del lavoro e dell’impresa.

Siamo tutti consapevoli che far politica è anche far propaganda, trovare parole facili, evocare sogni. Bene. Se poi diventano incubi la colpa non è soltanto dei politici, ma anche dei cittadini che lo consentono. Un giorno, dal loggione, uno prese a disturbare Ettore Petrolini mentre recitava; l’attore sopportò un poco, poi si spinse sul proscenio e si rivolse verso l’alto: «Io nun ce l’ho co’ te, perché così ce sei nato, ce l’ho co’ quello che te sta accanto e nun te butta de sotto».

La Ragione

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La nuova strategia cyber del Pentagono commentata dall’avv. Mele


La miglior difesa è l’attacco. Si può riassumere con questa espressione popolare la nuova strategia cyber del Pentagono, frutto anche dell’esperienza della guerra in Ucraina. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne ha diffuso mercoledì un riassu

La miglior difesa è l’attacco. Si può riassumere con questa espressione popolare la nuova strategia cyber del Pentagono, frutto anche dell’esperienza della guerra in Ucraina. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne ha diffuso mercoledì un riassunto declassificato dopo aver approvato e pubblicato a maggio l’aggiornamento della dottrina dopo cinque anni. Infatti, si legge nel documento, il Pentagono si è impegnato a utilizzare le operazioni informatiche offensive per “frustrare” e “disturbare” le potenze straniere e le organizzazioni criminali che minacciano gli interessi degli Stati Uniti, pur riconoscendo i rischi di escalation nel cosiddetto quinto dominio. Gli Stati Uniti “non possono semplicemente difendersi davanti al problema” degli attacchi informatici, in particolare quelli cinesi, ha osservato Mieke Eoyang, un alto funzionario del dipartimento.

La minaccia numero uno è, è noto, la Cina, con le sue mire su Taiwan e sul Mar Cinese. Gli attacchi informatici cinesi forniscono indicazioni per i “preparativi per la guerra” di Pechino, recita il documento del Pentagono. In caso di conflitto, i cyber-attori cinesi “cercheranno probabilmente di interrompere le reti fondamentale che consentono la proiezione di potenza delle forze congiunte (statunitensi, ndr) in combattimento”. Ma la sola forza offensiva potrebbe non bastare. Nel documento si parla di “altri strumenti” da utilizzare come deterrente. Non vengono citati. Ma spesso i funzionari statunitensi, come ricordano anche i media locali, citano in particolare sanzioni e arresti.

C’è poi la Russia, e il documento riflette le lezioni apprese in questo anno e mezzo di guerra, come osserva l’avvocato Stefano Mele, partner e responsabile del dipartimento cybersecurity law dello studio legale Gianni & Origoni. “Stiamo assistendo oggi, dopo un anno e mezzo dall’inizio dell’aggressione russa dell’Ucraina, a un cambiamento della strategia di Mosca nell’utilizzo del cyber-spazio”, dice a Formiche.net. “Finora, infatti, le forze armate russe hanno sfruttato il quinto dominio della conflittualità soprattutto per attività di supporto operativo alle operazioni militari convenzionali. Ciò, al fine di creare effetti (temporanei) sulle infrastrutture critiche colpite, oppure per amplificare gli effetti – anche psicologici – degli attacchi armati (un esempio sono gli attacchi informatici ai sistemi di pronto soccorso prima di un bombardamento). Oggi, invece, l’attenzione pare essere sempre più focalizzata sulle attività di cyber spionaggio e di raccolta di informazioni a supporto delle operazioni militari. Di conseguenza, sono cambiati anche i sistemi informatici colpiti: la Russia, infatti, appare da un po’ di tempo più concentrata sui sistemi utilizzati per la situational awareness e per la gestione del conflitto sul campo di battaglia, al fine di avvantaggiarsi di queste informazioni per ottenere un vantaggio tattico immediato”, aggiunge.

Dal documento emerge, inoltre, una forte attenzione ala cooperazione militare. “La strategia americana si basa da anni su due pilastri: defending forward e persistent engagement”, ricorda Mele. “Quest’ultimo, in particolare, ci insegna che nel quinto dominio della conflittualità, date le sue caratteristiche intrinseche, è inevitabile essere già preparati per ogni possibile attività operativa e soprattutto essere sempre in un costante stato di allerta leggermente sotto il livello del conflitto. Per questo, è importante il richiamo statunitense alla cooperazione internazionale in un campo in cui le reti ci rendono tutti interconnessi e, dunque, a rischio effetto spillover anche se il conflitto o l’operazione non ci riguarda direttamente”, conclude l’avvocato.


formiche.net/2023/09/cyber-pen…



Lunedì 18 settembre si terrà la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2023/2024!

L’Istituto tecnico “Saffi-Alberti” di Forlì ospiterà la XXIII edizione dell’evento #TuttiAScuola.



“TEAM ITALY ”


A partire dalle 14.30 avrò il piacere di partecipare alla presentazione della squadra che rappresenterà l’Italia alle competizione di fine ottobre in Norvegia ad Amar in collaborazione con il laboratorio Olicyber ed organizzato da Cybersecurity National Lab. Nella locandina tutti i dettagli per seguire la presentazione


guidoscorza.it/team-italy/



Polonia gli F-35 italiani di ultima generazione al confine con la Russia


Cresce il coinvolgimento dell’Italia nel sanguinoso conflitto russo-ucraino: nessuna dichiarazione ufficiale del governo né dibattito parlamentare. L'annuncio in un bellicoso tweet dello Stato Maggiore dell’Aeronautica. L'articolo Polonia gli F-35 italia

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di Antonio Mazzeo –

Pagine Esteri, 15 settembre 2023. Atterrati a Malbork in Polonia gli F35A della Task Force Air 32° Wing che garantirà il supporto alle operazioni NATO Air Policing attraverso missioni aeree di difesa e deterrenza sul fianco Est dei Paesi. Cresce pericolosamente il coinvolgimento dell’Italia nel sanguinoso conflitto russo-ucraino: nessuna dichiarazione ufficiale del governo e men che meno uno straccio di dibattito parlamentare, appena un tweet dello Stato Maggiore dell’Aeronautica zeppo di hashtag e annunci bellicosi (#ForzeArmate – #Una ForzaperilPaese -#WeAreNato – #StrongerTogether).

Il 13 settembre sono atterrati nella base aerea di “Krolewo” a Malbork in Polonia nord-orientale (a meno di un centinaio di Km dal confine con l’enclave russa di Kaliningrad) due cacciabombardieri di quinta generazione F-35A dell’Aeronautica italiana; altri due F-35 sono attesi entro un paio di giorni. “I caccia italiani arrivano in Polonia a sostegno della deterrenza e della difesa della NATO”, riporta l’ufficio stampa dell’Allied Air Command, il Comando centrale delle forze aeree dell’Alleanza di stanza nella grande base di Ramstein, Germania. “Gli aerei pattuglieranno i cieli sul fianco orientale europeo nell’ambito delle missioni di Air Policing della NATO. Oltre ad unirsi ai caccia dell’Aeronautica polacca e di altri paesi partner, i velivoli italiani contribuiranno anche alle attività addestrative che l’Alleanza Atlantica conduce nell’ambito delle sue rafforzate attività di vigilanza”.

Le attività di Air Policing consistono nella “continua sorveglianza” dello spazio aereo, nonché nell’“identificazione di eventuali violazioni alla sua integrità”, dinanzi alle quali scattano “appropriate azioni di contrasto”, come ad esempio, il decollo rapido (scramble) dei caccia intercettori. Pericolosissimi faccia a faccia tra top gun delle forze avversarie che possono sfociare in veri e propri duelli aerei, specie se gli incontri ravvicinati avvengono negli spazi aerei di frontiera esplosivi come quelli tra la Polonia nord-orientale e l’enclave della Russia nel Mar Baltico.

“Lo schieramento di moderni aerei da caccia di quinta generazione in Polonia – appena sei mesi dopo la fine di un dispiegamento simile da parte degli F-35 dell’Aeronautica italiana – dimostra la capacità della NATO di posizionare capacità di combattimento avanzate in modo flessibile”, ha affermato il generale Gianluca Ercolani, Capo di Stato Maggiore dell’Allied Air Command. “È un’altra prova del fatto che gli alleati operano integrati, secondo efficienti accordi di comando e controllo aereo per eseguire una significativa deterrenza e difesa lungo il fianco orientale”.

Ancora più enfatiche le dichiarazioni del tenente colonnello Ciro Maschione, a capo del distaccamento dei cacciabombardieri F-35A “Task Force Air – 32nd Wing” dell’Aeronautica Militare. “Con l’offerta dei nostri aerei da caccia alla NATO, sottolineiamo che l’Italia è pienamente impegnata a sostenere le missioni collettive e durature dell’Alleanza”, spiega Maschione. “L’Italia è stata il primo alleato a schierare i propri F-35 in una missione NATO – in Islanda – aprendo la strada all’integrazione dei moderni velivoli di quinta generazione nelle operazioni aeree dell’Alleanza insieme a Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti”.

L’Aeronautica Militare aveva già schierato nella base polacca di Malbork quattro cacciabombardieri EF-2000 “Eurofighter Typhoon” dalla fine di luglio alla fine di novembre 2022. In poco meno di quattro mesi di attività la task force “White Eagle” ha effettuato oltre 500 ore di volo, nonché 23 Alpha Scramble “per la presenza di velivoli russi che operavano senza autorizzazioni nella zona di competenza degli assetti aerei italiani”. L’altissimo rischio che le operazioni dei caccia italiani potevano concludersi con un confronto-scontro con i Mig della Federazione Russa è stato ammesso dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “Una settimana intensa quella che gli uomini della Task Force Air White Eagle hanno affrontato fino ad oggi, a causa dei numerosi interventi richiesti dal Combined Air Operation Center di Uedem (altro Centro di comando e controllo aereo della NATO in Germania, ndr)”, ha riferito l’Aeronautica in un comunicato del 22 settembre 2022. “Considerata la complessità del momento, le difficoltà di operare così vicini al confine (i piloti italiani si sono trovati a operare a soli 5 minuti di volo da Kaliningrand, a 20 minuti dalla Bielorussia e a 25 dal territorio ucraino) e, non ultimo, il rischio che qualunque errore possa essere considerato come una provocazione, è assolutamente pleonastico rappresentare come la prontezza operativa di tutta la Task Force, messa duramente alla prova dal continuo operare in tutte le ore della giornata, sia stata garantita dalla preparazione professionale del personale italiano e dell’apparato logistico che ogni giorno li supporta”.

Dall’agosto 2023 l’Italia è pure presente con la Task Force Air Baltic Horse III alle attività di Air Policingdella NATO in Lituania. La missione è denominata Baltic Air Policing ed è condotta anch’essa sotto la supervisione del NATO Allied Air Command di Ramstein. “Il contingente italiano assicura il servizio di Quick Reaction Alert, ovvero la sorveglianza e protezione dei cieli atlantici sul fianco nord-orientale”, spiega lo Stato Maggiore dell’Aeronautica. “La Task Force Air Baltic Horse III è rischierata presso l’aeroporto lituano di Siauliai per contribuire a garantire l’integrità dello spazio aereo della Lituania e delle repubbliche baltiche, rafforzando le attività di sorveglianza delle forze aree dei paesi NATO già presenti nella regione”.

La task force schierata a Siauliai è posta sotto la diretta dipendenza nazionale del COVI(Comando Operativo di Vertice Interforze) ed impiega quattro caccia EF-2000“Eurofighter Typhoon” provenienti dal 4° Stormo dell’Aeronautica di stanza a Grosseto, dal 36° (Gioia del Colle), dal 37° (Trapani-Birgi) e dal 51° (Istrana, Treviso). “La Task Force italiana in Lituania rappresenta l’espressione più autentica della proiettabilità di una Forza Armata moderna, capace di produrre effetti operativi ovunque sia necessario, adattandosi repentinamente ed efficacemente alle mutevoli condizioni di impiego dettate dall’attuale scenario geopolitico”, ha enfatizzato il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Luca Goretti, in occasione della sua recente visita alla base aerea lituana. Un altro teatro operativo ad alto rischio di deflagrazione: anche questo scalo dista infatti un centinaio di km dall’enclave russa di Kaliningrad e a 200 km dalla Bielorussia.

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“MONEY PAY DAY – Lo stato dell’innovazione nei pagamenti in Italia”


Dalle 12.30 parteciperò all’evento “MONEY PAY DAY – Lo stato dell’innovazione nei pagamenti in Italia”, organizzato da Money.it nell’ambito della Future Week, per affrontare il tema della privacy nei pagamenti con particolare attenzione all’utilizzo della intelligenza artificiale e della moneta digitale Qui tutti i dettagli eventbrite.it/e/biglietti-mone…


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In Cina e Asia –


In Cina e Asia – li shangfu
I titoli di oggi:

Li Shangfu indagato per corruzione?
La Cina prima per ricerca avanzata nei settori chiave dell'Aukus
La Cina accusa gli Stati Uniti di spionaggio digitale
La vicepresidente della Commissione europea in Cina per il dialogo digitale
Cina, primo carico di gas naturale dalla Russia arrivato attraverso la rotta artica
Taiwan, la compagna di corsa di Terry Gou e il nuovo progetto cinese sullo Stretto
CICIR: il riavvicinamento tra Russia e Corea del Nord aumenta il rischio di nuova "guerra fredda"
Thailandia, Pita Limjaroenrat si è dimesso da leader del Move Forward

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Libia: la tragedia di Derna in un paese devastato dalla guerra


A Derna, in Libia, i morti causati dalle inondazioni potrebbero arrivare a 20 mila. Una tragedia causata dal cambiamento climatico e amplificata dalla guerra L'articolo Libia: la tragedia di Derna in un paese devastato dalla guerra proviene da Pagine Est

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di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 15 settembre 2023 – Aumenta di ora in ora il triste bilancio delle inondazioniche hanno colpito la Libia. Secondo i conteggi più aggiornati, almeno 8000 persone sono morte solo nella città costiera di Derna, nel nord-est del paese, a causa del cedimento di due dighe causato dal ciclone subtropicale “Daniel” che ha spazzato la zona durante la notte tra il 10 e l’11 settembre. Le due dighe costruite dalla ditta jugoslava Hidrotehnika-Hidroenergetika tra il 1973 e il 1979 sono state investite da raffiche di vento fino a 180 km orari, accompagnate da intensissime pioggie, liberando con il loro crollo milioni di litri cubi di acqua che si sono abbattute con violenza inaudite sulle abitazioni cancellando interi quartieri.

Il bilancio sarebbe destinato a crescereancora molto visto che, secondo alcune fonti locali, i dispersi sarebbero almeno altri 10 mila mentre nella città devastata si contano circa 20 mila sfollati. Le squadre della Mezzaluna Rossa continuano a recuperare centinaia di corpi sulla spiaggia della città. Il sindaco di Derna ha affermato ad alcune agenzie di stampa di temere che la città possa ora essere colpita da un’epidemia «a causa del gran numero di corpi che giacciono sotto le macerie e nell’acqua». Nell’area stanno lavorando senza soste squadre di soccorso locali e altre arrivate dall’estero, in particolare da Egitto, Tunisia, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Qatar. A rendere più difficili i soccorsi sono le condizioni di molte strade che sono state letteralmente spazzate via rendendo inaccessibili molte aree.

Polemiche e accuse
Intanto però monta la polemica per le eventuali responsabilità nella tragedia.
Ieri il capo dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) Petteri Taalas ha affermato che la maggior parte delle vittime delle inondazionisi sarebbero potute evitate se il paese avesse avuto un servizio meteorologico funzionante in grado di emettere un avviso di allerta con alcune ore di anticipo, permettendo un’evaquazione anticipata dei cittadini che avrebbe salvato molte vite. Secondo varie fonti, però, gli allarmi sarebbero stati emessi, ma sarebbe mancato un intervento tempestivo da parte delle autorità.
Mohamed al-Menfi, capo del consiglio formato da tre membri che funge da presidenza del governo libico riconosciuto a livello internazionale ha informato che l’organismo da lui presieduto ha chiesto al procuratore generale di indagare sul disastro.

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Khalifa Haftar e Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh

La Libia, uno stato fallito
Ma le divisioni del paese in almeno tre semistati – la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan – formatisi in seguito all’intervento militare della Nato, alla guerra civile e alla forte ingerenza di almeno una decina di potenze straniere, rendono la Libia uno “stato fallito” ormai da più di un decennio. Se queste divisioni e le costanti tensioni politiche e militari hanno impedito che si potesse evitare la tragedia, ora stanno avendo ripercussioni negative sulle operazioni di salvataggio dei superstiti e sull’accertamento delle responsabilità.

Dopo la rivolta contro il regime di Muammar Gheddafi del 2011 e l’intervento militare di vari paesi aderenti all’Alleanza Atlantica – in particolare Francia e Stati Uniti, ma anche l’Italia – e la deflagrazione del paese, la città di Derna è stata a lungo in preda al caos. Nel 2015 venne occupata da milizie jihadiste in guerra tra loro e con quelle di altre regioni; ad un certo punto ad affermarsi furono i miliziani dello Stato Islamico, che avevano a lungo combattuto sia in Siria sia in Iraq prima di tornare in patria accompagnati da commilitoni di vari paesi in cerca di gloria e bottino. Nel 2018 il cosiddetto governo della Cirenaica, diretto dal generale Khalifa Haftar, decise di prendere il controllo sulla zona, obiettivo che raggiunse solo dopo lunghi e aspri combattimenti contro le milizie del cosiddetto Califfato insediato proprio a Derna.

Secondo varie denunce alcune ore prima del disastro l’amministrazione locale avrebbe richiesto l’evaquazione della popolazione alle autorità.
Il giorno prima che arrivasse la tempesta Daniel, l’ufficio del capo del governo della Cirenaica, Osama Hamad, avrebbe emesso un’allerta rivolta ai cittadini di Derna e delle città vicine, cosa che aveva già fatto anche il ministero dell’Interno del governo di unità nazionale di Tripoli.

Ma l’uomo forte della Cirenaica Haftar e il suo “Libyan Nation Army” avrebbero invitato la popolazione a restare in casa, amplificando la tragedia. Ma il portavoce dell’Esercito nazionale libico, il generale Ahmed al-Mismari, respinge ogni accusa di negligenza, affermando di aver fatto tutto quanto in suo potere per limitare i danni.
Ad Al Jazeera, intanto, il vicesindaco di Derna Ahmed Madroud ha denunciato che le due dighe crollate non erano oggetto di lavori di manutenzione ormai dal 2002.

Ovviamente il cosiddetto Governo di Unità Nazionale che regna a Tripoli ma è riconosciuto (e puntellato) da varie potenze occidentali, arabe e dalla Turchia, guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, cercherà di sfruttare la tragedia per screditare i rivali della Cirenaica, sostenuti invece dall’Egitto e dalla Russia che nella regione ha inviato ormai alcuni anni fa i mercenari della compagnia militare privata “Wagner”.

Le colpe della Nato e della competizione globale tra potenze
Ma le responsabilità per il crollo della struttura statale libica, oltre che per la tragedia di Derna, vanno equamente distribuite tra i signori della guerra locali e le diplomazie che dal 2011 si spartiscono le spoglie di un paese ricco di petrolio e di gas ma che si è trasformato in una trappola mortale per i suoi 7 milioni di abitanti residui, in preda agli scontri etnici e religiosi, alla corruzione, all’arbitrio del più forte, alla devastazione del territorio e ora anche del cambiamento climatico.

L’intervento della Nato e gli appetiti delle potenze in competizione hanno letteralmente demolito uno dei paesi che, retto sì da un regime autoritario e repressivo, nel 2010 manteneva secondo la Banca Mondiale «alti livelli di crescita economica» e vantava «alti indicatori di sviluppo umano».
Oggi i regimi repressivi si sono moltiplicati almeno per tre – quanti sono i governi che si contendono il paese – senza contare le centinaia di milizie che a livello locale fanno il bello e il cattivo tempo, al servizio delle compagnie petrolifere e dei governi stranieri che alle popolazioni locali regalano solo insicurezza e rovine. – Pagine Esteri

9285034* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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N. 161/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Più di 100 professori universitari da tutta Europa e non solo, chiedono alle istituzioni europee di inserire nel futuro regolamento sull’Intelligenza artificiale (AI Act) l’obbligo di valutare l’impatto sui diritti fondamentali (FRIA). La proposta del Parlamento europeo va già in questa direzione ma rischia di uscire indebolita dal... Continue reading →