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Sei palestinesi uccisi a Jenin, Gerico e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze


Quattro sono morti in un raid dell'esercito nel campo profughi di Jenin, il quinto durante una manifestazione sul confine tra Gaza e Israele. L'ultimo questa mattina nel campo di Aqabat Jaber (Gerico) L'articolo Sei palestinesi uccisi a Jenin, Gerico e G

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AGGIORNAMENTO

Un palestinese di 19 anni, Durgam Al Akhras, è stato ucciso dall’esercito israeliano questa mattina nel campo profughi di Aqabat Jabr (Gerico). I soldati hanno circondato una casa e arrestato due giovani. Subito dopo sono cominciate le proteste della popolazione del campo. Dozzine di ragazzi hanno lanciari pietre contro le forze israeliane che hanno risposto sparando ad altezza d’uomo. Al-Akhras è stato colpito alla testa ed è morto poco dopo.

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della redazione

Pagine Esteri, 20 settembre 2023 – Nelle ultime 24 ore quattro palestinesi sono stati uccisi e circa 30 feriti (alcuni sono gravi) dal fuoco dei soldati israeliani e da droni kamikaze nel campo profughi di Jenin. Il quinto è stato colpito ieri pomeriggio durante una manifestazione a ridosso delle linee tra Gaza e Israele ed è morto poco dopo all’ospedale. Il

Mahmoud as-Saadi, 23 anni, Mahmoud Ararawi, 24 anni, Raafat Khamaiseh, 22 anni, e Atta Musa, 29 anni, tutti combattenti, sono stati uccisi nel raid militare più sanguinoso da quello del 3 e 4 luglio scorsi, sempre nel campo profughi di Jenin, in cui morirono 12 palestinesi e un soldato israeliano (colpito, si è poi appreso, da fuoco amico). Le brigate combattenti palestinesi hanno risposto all’incursione con un intenso fuoco di sbarramento con armi automatiche. Non ci sono stati feriti tra i soldati israeliani.

9363718L’esercito ha detto di aver utilizzato anche il Rafael SPIKE FireFly, un drone suicida, contro i palestinesi. Mentre le truppe si ritiravano dal campo profughi, un veicolo militare è stato messo fuori uso da una bomba sul ciglio della strada. Successivamente è stato trasportato via.

Sempre ieri, è stato ucciso dal fuoco dei soldati un palestinese di 25 anni, Yusef Radwan, durante una manifestazione di protesta lungo le linee tra Gaza e Israele. Altri 11 sono rimasti feriti, uno è in gravi condizioni.

Almeno 185 palestinesi, tra i quali civili innocenti, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est sono stati uccisi dall’inizio dell’anno, la maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati. Pagine Esteri

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In Cina e Asia – Cina e Russia insieme contro "la campagna lanciata dall’Occidente”


In Cina e Asia – Cina e Russia insieme contro russia
I titoli di oggi:

Cina e Russia insieme contro "la campagna lanciata dall'Occidente"
Camere di commercio Usa e Ue pessimiste sulla Cina
Biden invita a tenere testa alla Cina, ma apre alla collaborazione
Crisi immobiliare, Sunac e Country Garden ottengono respiro dai creditori
Cina, donna condannata a morte per traffico di bambini negli anni '90
Hong Kong: Pechino rafforza il controllo sui consolati stranieri
L'India risponde al Canada: "accuse assurde intorno alla morte del militante Sikh"

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Cinque palestinesi uccisi a Jenin e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze


Quattro sono morti in un raid dell'esercito nel campo profughi di Jenin, il quinto durante una manifestazione sul confine tra Gaza e Israele L'articolo Cinque palestinesi uccisi a Jenin e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze proviene da Pagine Est

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della redazione

Pagine Esteri, 20 settembre 2023 – Nelle ultime ore quattro palestinesi sono stati uccisi e circa 30 feriti (alcuni sono gravi) dal fuoco dei soldati israeliani e da droni kamikaze nel campo profughi di Jenin. Un quinto è stato colpito ieri pomeriggio durante una manifestazione a ridosso delle linee tra Gaza e Israele ed è morto poco dopo all’ospedale.

Mahmoud as-Saadi, 23 anni, Mahmoud Ararawi, 24 anni, Raafat Khamaiseh, 22 anni, e Atta Musa, 29 anni, tutti combattenti, sono stati uccisi nel raid militare più sanguinoso da quello del 3 e 4 luglio scorsi, sempre nel campo profughi di Jenin, in cui morirono 12 palestinesi e un soldato israeliano (colpito, si è poi appreso, da fuoco amico). Le brigate combattenti palestinesi hanno risposto all’incursione con un intenso fuoco di sbarramento con armi automatiche. Non ci sono stati feriti tra i soldati israeliani.

9363494L’esercito ha detto di aver utilizzato anche il Rafael SPIKE FireFly, un drone suicida, contro i palestinesi. Mentre le truppe si ritiravano dal campo profughi, un veicolo militare è stato messo fuori uso da una bomba sul ciglio della strada. Successivamente è stato trasportato via.

Sempre ieri, è stato ucciso dal fuoco dei soldati un palestinese di 25 anni, Yusef Radwan, durante una manifestazione di protesta lungo le linee tra Gaza e Israele. Altri 11 sono rimasti feriti, uno è in gravi condizioni.

Almeno 185 palestinesi, tra i quali civili innocenti, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est sono stati uccisi dall’inizio dell’anno, la maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati. Pagine Esteri

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“Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa”


Oggi a partire dalle 15 interverrò al Convegno “Cybersecurity e Digitalizzazione: evoluzioni normative e fattori abilitanti per competere in Europa” organizzato da CSQA per discutere dei rapporti tra GDPR e Cybersecurity, con uno speciale focus sul tema delle certificazioni


guidoscorza.it/cybersecurity-e…



PRIVACYDAILY


N. 162/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Hunter Biden ha fatto causa all’Agenzia delle Entrate per le rivelazioni che due agenti hanno fatto al Congresso e ai media sulle sue tasse.La causa afferma che due agenti dell’IRS che si occupano da tempo di indagini penali, Gary Shapley e Joseph Ziegler, hanno rivelato illegalmente dettagli fiscali... Continue reading →


Future of Privacy Forum and Leading Companies Release Best Practices for AI in Employment Relationships


Expert Working Group Focused on AI in Employment Launches Best Practices that Promote Non-Discrimination, Human Oversight, Transparency, and Additional Protections. Today, the Future of Privacy Forum (FPF), with ADP, Indeed, LinkedIn, and Workday — lead

Expert Working Group Focused on AI in Employment Launches Best Practices that Promote Non-Discrimination, Human Oversight, Transparency, and Additional Protections.

Today, the Future of Privacy Forum (FPF), with ADP, Indeed, LinkedIn, and Workday — leading hiring and employment software developers — released Best Practices for AI and Workplace Assessment Technologies. The Best Practices guide makes key recommendations for organizations as they develop, deploy, or increasingly rely on artificial intelligence (AI) tools in their hiring and employment decisions.

Organizations are incorporating AI tools into their hiring and employment practices at an unprecedented rate. When guided by a framework centered on responsible and ethical use, AI hiring tools can help match candidates with relevant opportunities and inform organizations’ decisions about who to recruit, hire, and promote. However, AI tools present risks that, if not addressed, can impact job candidates and hiring organizations and pose challenges for regulators and other stakeholders.

FPF and the AI working group recommend:

  • Developers and deployers should have clearly defined responsibilities regarding AI hiring tools’ operation and oversight;
  • Organizations should not secretly use AI tools to hire, terminate, and take other actions that have consequential impacts;
  • AI hiring tools should be tested to ensure they are fit for their intended purposes and assessed for bias;
  • AI tools should not be used in a manner that harmfully discriminates, and organizations should implement anti-discrimination protections that go beyond laws and regulations as needed;
  • Organizations should not use facial characterization and emotion inference technologies in the hiring process absent public disclosures supporting the tools’ efficacy, fairness, and fitness for purpose;
  • Organizations should implement AI governance frameworks informed by the NIST AI Risk Management Framework;
  • Organizations should not claim that AI hiring tools are “bias-free;” and
  • AI hiring tools should be designed and operated with informed human oversight and engagement.
“When properly designed and utilized, AI must process vast amounts of personal data fairly and ethically, keeping in mind the legal obligations organizations have to those with disabilities and people from underrepresented, marginalized and multi-marginalized communities. This is why developers and deployers of AI in the employment context should use these Best Practices to show their commitment to ethical, responsible, and human-centered AI tools in compliance with civil rights, employment and privacy laws.”
Amber Ezzell, FPF Policy Counsel

“The intersection between hiring, employment, and AI tools presents complex opportunities and challenges for organizations, particularly concerning issues of equity and fairness in the workplace. Our Best Practices will guide U.S. companies as they create and use AI technologies that impact workers, ensuring that they address key issues regarding non-discrimination, responsible AI governance, transparency, data security and privacy, human oversight, and alternative review procedures.”
John Verdi, Senior Vice President of Policy at FPF


Leading policy frameworks, including the NIST’s AI Risk Management Framework (AI RMF), Civil Rights Principles for Hiring Assessment Technologies, the Data and Trust Alliance’s initiative Algorithmic Safety: Mitigating Bias in Workforce Decisions, and more, helped inform the Best Practices guide.


“AI tools can help candidates discover and describe their skills and find new opportunities that match their experience. The Best Practices assist organizations in instituting guardrails around using AI systems responsibly and ethically.”
Jack Berkowitz, ADP’s Chief Data Officer

“The use of automated technology in the workplace can result in better matches for both job seekers and employers, increased access to diverse candidates and a broader pool of applicants, and greater access to hiring tools for small to mid-sized businesses. These Best Practices provide concrete guidance for using the tools responsibly.”
Trey Causey, Indeed’s Head of Responsible AI

“We know that a responsible and principled approach to AI can lead to more transparency and better matching of job seeker skills to employer needs. The Best Practices are a real step forward and reflect the accountability needed to ensure these technologies continue to power opportunity for all members of the global workforce.”
Sue Duke, LinkedIn’s VP of Global Public Policy

“Since 2019, Workday has partnered with government officials and thought leaders like the Future of Privacy Forum to advance smart safeguards that cultivate trust and drive responsible AI. We’re proud to have co-developed these Best Practices, which offer policymakers a roadmap to responsible AI in the workplace and call on other organizations to join us in endorsing them.”
Chandler Morse, Workday’s Vice President of Public Policy


While existing anti-discrimination laws can apply to the use of AI tools for hiring, the AI governance field is still maturing. FPF’s Best Practices engages the broader AI governance field in the ethical use and development of AI for employment. The guide may also be updated to reflect developing AI regulatory requirements, frameworks, and technical standards.

Read the full Best Practices Guide Here


fpf.org/blog/future-of-privacy…




Anche quest’anno le scuole hanno animato, assieme a tanti ospiti, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico, #TuttiAScuola.

Potete rivivere i momenti più belli della giornata in questo video ▶️ youtube.com/watch?v=IVMY0bWK7y…



Il 10 ottobre EDRi esporrà davanti al Parlamento Europeo un grande collage di tutte le foto utilizzando l'hashtag CELEBRATEENCRYPTION su Twitter, Facebook, Mastodon e Instagram

@Privacy Pride

Per partecipare all'iniziativa #CelebrateEncryption, promossa da @EDRi condividi sui social media le foto di te e dei tuoi amici che promuovono la privacy e celebrano la crittografia. Qui puoi trovare alcune idee.

E scrivi nel commento perché la crittografia è importante per te!

#CELEBRATEENCRYPTION

Ora è il momento di mostrare il proprio sostegno alla crittografia e influenzare il Parlamento europeo a fare meglio per i bambini e per tutti gli altri. Partecipa all'azione #CelebrateEncryption e condividi le foto di te e dei tuoi amici promuovendo la privacy e celebrando la crittografia.




La stanchezza dell’Occidente


Spetterà agli esperti militari valutare i rapporti di forza, gli equilibri sul terreno, nel momento in cui l’inverno rallenterà l’offensiva ucraina. Ciò che appare al momento plausibile è che — a meno di clamorose e poco probabili novità sul fronte diplom

Spetterà agli esperti militari valutare i rapporti di forza, gli equilibri sul terreno, nel momento in cui l’inverno rallenterà l’offensiva ucraina. Ciò che appare al momento plausibile è che — a meno di clamorose e poco probabili novità sul fronte diplomatico — la guerra russo-ucraina continuerà anche nel prossimo anno. Ciò obbliga a interrogarsi sulla saldezza futura del fronte occidentale, sulla capacità delle democrazie americana ed europee di continuare a sostenere la resistenza ucraina all’invasione. Se quel sostegno venisse meno si aprirebbe la strada alla vittoria russa. Negli Stati Uniti, una parte dei repubblicani è favorevole ad abbandonare
l’Ucraina al suo destino e Joe Biden potrebbe essere in grave difficoltà se le elezioni del novembre 2024 si tenessero con la guerra ancora in atto.
L’Europa non è da meno.

La stanchezza dell’opinione pubblica è palpabile e registrata dai sondaggi. La principale causa è che il prolungarsi del conflitto ha fatto evaporare, per molti europei, la drammaticità, e il senso di pericolo, che tutti avevano avvertito nelle sue fasi iniziali. L’assuefazione del pubblico amplia la libertà di manovra delle forze — assai visibili in Francia, in Germania, in Italia — che sono sempre state schierate con Putin. O per una autentica vicinanza al regime russo o, più semplicemente, per anti americanismo. Non avendo potuto conquistare subito l’Ucraina, avendo dovuto ripiegare su una guerra di posizione, è sulla stanchezza occidentale e sulla volubilità delle nostre opinioni pubbliche che Putin conta per conquistare l’agognato
trofeo o, nella peggiore delle ipotesi (dal suo punto di vista), per mantenere il controllo dei territori conquistati. Disponendo di una riserva illimitata di uomini e molte più risorse, se l’Ucraina fosse privata del sostegno occidentale, Putin riuscirebbe a schiacciare quello che considera un insetto.

Se ciò avvenisse, il mondo occidentale, e l’Europa per prima, si troverebbero in guai molto seri. Non solo assisteremmo alla tragedia della popolazione ucraina esposta alle vendette di un potere spietato, privo di vincoli che possano impedire rappresaglie efferate. Ma dovremmo anche affrontare un radicale cambiamento degli equilibri geopolitici. Ci sarebbe una immediata e irrimediabile perdita di credibilità della Nato e degli Stati Uniti. La Russia eserciterebbe a quel punto pressioni difficilmente contrastabili per spingere le democrazie europee ad accettarne influenza e diktat. In un tempo forse piuttosto breve la qualità della vita pubblica delle democrazie europee cambierebbe. Perché esse dovrebbero fare i conti, anche nella loro vita interna, con il potere russo. Un grande pensatore politico, Alexis de Tocqueville, nell’Ottocento, sosteneva che le democrazie, per la loro volubilità, sono assai meno attrezzate dei regimi autoritari a tenere una linea coerente di politica estera. È ciò su cui conta Putin per spuntarla in Ucraina. La tesi di Tocqueville è stata spesso contestata. Si è notato che, nonostante la loro apparente fragilità, le democrazie sono in grado di contare, nei momenti di crisi, su una riserva di legittimità e di consenso interno normalmente superiore a quella a cui può attingere un regime autoritario. Si è visto, soprattutto, che, se coinvolte in guerre, le democrazie sono in grado di mettere in campo risorse ,e una volontà di combattere da parte
della popolazione, che i regimi autoritari non possono nemmeno sognarsi. La determinazione degli ucraini nella resistenza ai russi sta lì a testimoniare, del resto, quanta verità in ciò ci sia. Però è anche vero che una cosa è combattere per la «propria» vita e quella dei propri cari, per la «propria» libertà, per la «propria» terra, un’altra cosa è rimanere impegnati in uno sforzo prolungato nel tempo di sostegno a un popolo combattente. E se, almeno in questi casi, la tesi di Tocqueville fosse corretta?

Da quando è iniziata l’invasione, i governi dell’Unione, in accordo con la Nato, hanno tenuto la barra sufficientemente dritta (ma non dimentichiamo certe incertezze e ambiguità, per esempio di parte tedesca). Ma in democrazia ciò che davvero conta in ultima istanza è l’orientamento dell’opinione pubblica. Se cambiano umori e atteggiamenti degli elettori, cambia anche, prima o poi, la posizione dei governi. È un problema per l’America. Ed è un problema per l’Europa. Le democrazie europeo-occidentali ,protette dalla pax americana, hanno potuto godere dei benefici della pace — stabilità delle loro democrazie e benessere — dalla Seconda guerra mondiale in poi. Gli europei hanno così perduto la memoria delle tragedie della prima metà del secolo XX.
Hanno cominciato a pensare che la storia, con i suoi furori e anche le sue nefandezze, non li riguardasse più. I drammi dovuti alla ferocia umana appartenevano a mondi geograficamente e culturalmente lontani. Potevano guardare le immagini di quei drammi in televisione, comodamente seduti in poltrona. Era la variante europea della «fine della storia». Tutto ciò è comprensibile. È psicologicamente difficile per chi ha creduto di avere conquistato definitivamente una condizione di pace civile, rendersi conto che il mondo è di nuovo assai pericoloso. Anche per noi.

Le parole, in queste condizioni, cadono nel vuoto. Ricordate cosa si diceva in Europa dopo il rovinoso abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti? Si diceva, anche in Italia, che la sicurezza dell’Europa era a rischio e che era ormai venuto il momento di dare vita a una solida difesa europea. Alle parole non sono seguiti i fatti. Per la semplice ragione che le opinioni pubbliche (e anche gran parte delle classi dirigenti) non credono sul serio che i cambiamenti in
atto impongano, pur senza rinunciare alla Nato e alla partnership con gli Stati Uniti, di investire risorse significative a favore della propria sicurezza. Per dire che la stanchezza che si avverte in settori dell’opinione pubblica occidentale, ed europea in particolare, di fronte alla guerra in atto, ha ragioni storiche profonde che possono essere spiegate. Un grande storico britannico, Arnold Toynbee, in un’altra epoca, in un altro frangente anch’esso difficile per l’Europa,
osservò: historyis again on the move , la storia è di nuovo in movimento. Se noi europei ne saremo consapevoli, se manterremo, nei mesi e negli anni a venire, la necessaria lucidità, aiuteremo gli ucraini a salvarsi. E aiuteremo noi stessi.

Corriere della Sera

L'articolo La stanchezza dell’Occidente proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Aggiornamento sulla detenzione in Israele di Khaled El Qaisi


Pubblichiamo il comunicato diffuso dalla famiglia e dall'avvocato dello studente universitario italo-palestinese Khaled El Qaisi arrestato lo scorso 31 agosto dalle guardie di frontiera israeliane al valico di Allenby tra Cisgiordania e Regno Hashemita de

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Pubblichiamo il comunicato diffuso dalla famiglia e dall’avvocato italiano dello studente universitario italo-palestinese Khaled El Qaisi arrestato lo scorso 31 agosto dalle guardie di frontiera israeliane al valico di Allenby tra Cisgiordania e Regno Hashemita della Giordania e ancora detenuto.

COMUNICATO

Lo scorso giovedì, 14 settembre, si è tenuta a Rishon Lezion a sud di Tel Aviv, l’ultima udienza conclusasi con una proroga della detenzione per altri 7 giorni, al termine dei quali si troverà nuovamente a comparire davanti al giudice il 21 settembre. Il legale, impossibilitato per legge fino alla sera di mercoledì 13 a comunicare col proprio assistito, ha finalmente potuto avere un colloquio con Khaled e il giorno successivo hanno potuto, a differenza delle altre udienze, essere contestualmente presenti in aula. Tuttavia, ad eccezione di un’altra sola visita e di una telefonata tra l’avvocato e Khaled, non ci sono notizie del suo attuale stato di salute psico-fisico.

La nostra viva preoccupazione è rivolta alla totale assenza di quei diritti quasi universalmente condivisi la cui osservanza consente di definire un processo “equo” e un arresto “non arbitrario”.

Sono 19 i giorni di detenzione in cui Khaled viene quotidianamente sottoposto a interrogatorio senza la presenza del suo difensore, è solo mentre affronta domande e pressioni poste dai poliziotti nella saletta di un carcere. Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato il suo arresto e la protrazione dello stesso; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito. Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità. Inoltre, l’arresto si fonda esclusivamente su meri sospetti e non su indizi gravi di colpevolezza. Ciò che rappresenta maggior ragione di inquietudine e preoccupazione è che, se l’autorità israeliana non riuscirà ad acquisire prove per istruire un processo entro 45 giorni dall’arresto, potrebbe trovarsi costretta a revocare la detenzione penale ma potrà anche decidere di sostituirla con quella amministrativa, condizione giuridica nella quale si trovano altri 1200 palestinesi ristretti in carcere senza un’accusa formale, senza alcuna prova e senza poter conoscere le ragioni del loro trattenimento.

In considerazione della sempre più allarmante situazione di Khaled e del mancato rispetto dei suoi diritti umani si chiede che si faccia tutto il possibile per ottenerne l’immediata liberazione.

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L'articolo Aggiornamento sulla detenzione in Israele di Khaled El Qaisi proviene da Pagine Esteri.



Giappone. Il governatore di Okinawa all’ONU: “le basi Usa minacciano la pace”


Alle Nazioni Unite il governatore dell'isola di Okinawa (in Giappone) ha denunciata l'eccessiva concentrazione di forze militari statunitensi L'articolo Giappone. Il governatore di Okinawa all’ONU: “le basi Usa minacciano la pace” proviene da Pagine Este

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di Redazione

Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Il governatore della prefettura giapponese di Okinawa, Denny Tamaki, ha deciso di portare direttamente alle Nazioni Unite l’annoso scontro con il governo nazionale giapponese legato alla massiccia presenza di forze armate statunitensi sul territorio dell’isola sin dalla fine della Seconda guerra mondiale. Okinawa, pur rappresentando soltanto lo 0,6% della superficie totale del Giappone, ospita ben il 70% di tutte le forze militari statunitensi di stanza nel paese asiatico.
«Sono qui oggi per chiedere al mondo di esaminare la situazione a Okinawa» ha annunciato Tamaki durante una sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu a Ginevra, sostenendo che la concentrazione di basi militari Usa nel suo territorio, che genera oltretutto problemi di ordine pubblico e criminalità, costituisca «una minaccia per la pace».
Tamaki ha richiamato l’attenzione in particolare sui lavori di bonifica per il trasferimento a Henoko della base aerea statunitense attualmente a Futenma: «I lavori procedono nonostante i cittadini di Okinawa abbiamo espresso chiaramente la loro opposizione tramite un referendum democratico» ha denunciato il governatore.

Dopo l’intervento di Tamaki, un rappresentante del governo giapponese ha difeso i lavori in corso a Henoko, ricordando il recente via libera definitivo della Corte suprema giapponese e la necessità di trasferire la base di Futenma, che si trova al centro di un’area abitata. Okinawa, che si trova nell’estremo sud del Giappone, ha perso questo mese la battaglia legale intrapresa contro il governo nazionale nel tentativo di bloccare i lavori di bonifica del sito costiero. La Corte suprema giapponese – il tribunale di più alto livello del Paese – ha respinto il 4 settembre l’appello presentato da Okinawa per fermare i lavori: il sito bonificato, che si trova a Henoko, in un’area scarsamente popolata della prefettura, dovrebbe accogliere nei prossimi anni le infrastrutture, i mezzi e il personale statunitensi attualmente di stanza nella base aerea di Futenma, sita a sua volta a Okinawa nell’area densamente popolata di Ginowan.
Okinawa, che fin dalla fine della Seconda guerra mondiale sopporta in misura sproporzionata l’onere legato alla permanenza delle forze militari statunitensi in Giappone, chiedeva però che la base fosse trasferita in un’altra prefettura del Paese, e sin dal 2015 ha negato i permessi per i lavori di bonifica per la nuova base, citando anche danni all’ambiente e alla fauna marina, oltre che numerosi casi di stupro ai danni delle abitanti.
Il governatore della prefettura ha espresso la propria delusione durante una conferenza stampa: «Sino all’ultimo abbiamo sperato in un pronunciamento equo e neutrale. E’ davvero disdicevole», – Pagine Esteri

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Azerbaigian di nuovo all’attacco. Colpiti obiettivi armeni nel Karabakh


L’Azerbaigian, sostenuto militarmente da Turchia e Israele, denuncia “la continua presenza delle forze armate armene nel Karabakh” responsabili di aver piazzato mine. L’Armenia smentisce categoricamente L'articolo Azerbaigian di nuovo all’attacco. Colpit

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della redazione

Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Prosegue in queste ore la presunta “operazione antiterrorismo” dell’Azerbaigian nel Karabakh cominciata, secondo le spiegazioni date da Baku, perché “un veicolo (azero) è esploso dopo aver colpito una mina precedentemente piazzata dai gruppi di ricognizione e sovversione delle forze armate armene nella regione del Karabakh, con lo scopo di compiere un atto terroristico” e un altro automezzo “che trasportava personale militare” delle truppe di Baku è esploso per lo stesso motivo. Esplosioni che avrebbero fatto diversi morti e feriti. Ora le forze azere bombardano obiettivi azeri.

L’Azerbaigian, sostenuto militarmente da Turchia e Israele, denuncia infine “la continua presenza delle forze armate armene nella regione del Karabakh” tanto da “sentirsi costretto” ad agire per garantire la sua sicurezza e quella dei cittadini azeri. L’Armenia smentisce categoricamente questa descrizione dell’accaduto e denuncia come “inaccettabili” i tentativi di coinvolgerla in un conflitto più ampio.

Il premier armeno, Nikol Pashinyan, durante una riunione governativa, ha descritto la situazione ai confini dell’Armenia come “relativamente stabile”. “Ancora una volta confermo che l’Armenia non ha un esercito nel Nagorno-Karabakh”, ha detto esortando il popolo armeno a mantenere la calma, senza agire “in modo non calcolato o avventuroso”. A Yerevan intanto centinaia di abitanti di Erevan hanno organizzato una protesta per chiedere al governo di agire. I manifestanti scandiscono anche accuse contro il primo ministro chiamandolo “traditore”.

Armenia e Azerbaigian, in passato due repubbliche della ex URSS, sono in guerra intermittente sin dagli anni Ottanta per il controllo del Nagorno Karabakh. Di recente grazie alle forniture di armi sofisticate (droni in particolare) turche e israeliane, gli azeri hanno evidenziato una superiorità militare sull’avversario tanto da conquistare nell’ultimo conflitto aperto tra i due paesi importanti porzioni di territorio. Erevan accusa Baku di ostacolare le forniture di merci e generi di prima necessità alla popolazione armena nella regione contesa. Pagine Esteri

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pagineesteri.it/2023/09/19/mon…



Non serve cercare colpevoli a tutti i costi. La tragedia di Torino vista da Alegi


La morte della piccola Laura è una di quelle tragedie che nessuno vorrebbe mai accadesse. Una vita stroncata ad appena cinque anni non può avere senso, con tutto il suo significato di potenziale umano perduto per sempre e le inevitabili domande su come si

La morte della piccola Laura è una di quelle tragedie che nessuno vorrebbe mai accadesse. Una vita stroncata ad appena cinque anni non può avere senso, con tutto il suo significato di potenziale umano perduto per sempre e le inevitabili domande su come sia accaduto e come si possa evitarne il ripetersi.

Proprio per questo, è necessario rispettare il dolore evitando di trasformarlo nella ricerca di un capro espiatorio, o peggio di strumentalizzarlo a sostegno di ideologie e pregiudizi. Da Lidia Ravera al Codacons fino all’ultimo profilo Twitter, si sono scatenati tuttologi, antimilitaristi, ambientalisti, rigoristi e chi più ne ha, più ne metta.

L’incidente all’MB.339 delle Frecce tricolori in decollo dall’aeroporto di Torino-Caselle è una sequenza di fatalità, individualmente improbabili. Uno stormo di uccelli attraversa il cielo dell’aeroporto mentre gli aerei decollano. Uno o più uccelli colpiscono un aereo. Un motore si spegne, costringendo un pilota a lanciarsi. L’aereo rimbalza al suolo, sfonda la rete, salta un fosso, attraversa una strada. Colpisce un’auto, dalla quale i genitori riescono a estrarre due bambini. Prima di poter tirare fuori la bimba, l’auto esplode. Come nel celebre modello interpretativo di James Reason, i buchi si sono allineati e attraverso di loro è passato il disastro.

L’inchiesta dell’Ispettorato sicurezza volo spiegherà in ogni dettaglio le cause dell’evento, senza cercare il colpevole a tutti i costi. La magistratura verificherà l’esistenza di eventuali profili penali, tentando di mantenersi al di sopra delle emozioni. Nell’attesa, che non sarà breve, si possono forse fare alcune considerazioni.

Primo, Torino non è Ramstein, perché l’impatto con uno stormo di volatili durante la fase di decollo non è paragonabile a un errore durante l’esecuzione di una figura acrobatica. Qualsiasi altro aereo in decollo da Caselle avrebbe potuto subire lo stesso incidente, così come i volatili avrebbero potuto colpire un MB.339 a Rivolto o su qualsiasi altro aeroporto. Chi propone l’accostamento tra i due incidenti non sa di cosa parla.

Secondo, gli MB.339 sono in perfette condizioni. L’anzianità del progetto non compromette l’aerodinamica, il comportamento in volo o la sicurezza. Rende soltanto più costoso e lungo ottenere i livelli di qualità necessari. È per questo che l’Aeronautica militare ne ha previsto da tempo la sostituzione con gli M-345, il cui sviluppo è in ritardo per motivi indipendenti da essa.

Terzo, l’inquinamento. Poiché il Rolls-Royce Viper 632 ha una spinta di circa 1800 chili, l’intera pattuglia “spinge” circa un quarto dei Trent Xwb di un Airbus A350. Calcolando 32 esibizioni di mezz’ora e raddoppiando prudenzialmente per la diversa concezione dei motori, l’intera stagione acrobatica incide quanto un andata-ritorno da Roma a New York. Un po’ poco per urlare allo scandalo.

Quarto, non interessano a nessuno. Dal Gran premio di Monza alla sagra della salsiccia (davvero!), le centinaia di richieste che l’Aeronautica militare riceve ogni anno, così come le centinaia di migliaia di persone che si assiepano alle loro manifestazioni, testimoniano il grande seguito delle Frecce tricolori. Sono numeri che pochi eventi pubblici italiani fanno.

Quinto, il costo. È difficile capire quali voci di spesa calcolare, separando i costi di struttura (la base) da quelli dell’attività di volo generica (che andrebbe fatta comunque) o specifica. In più, bisognerebbe conteggiare anche il valore delle Frecce tricolori come contributo alla promozione del Paese e dell’industria, nonché come strumento di reclutamento per Forze armate che da oltre vent’anni sono divenute completamente volontarie. Non è un caso che nessuna delle forze aeree di riferimento abbia chiuso la propria pattuglia acrobatica.

Sesto, l’inutilità della Pattuglia. Le Frecce tricolori non sono un’eccezione italiana ma rispecchiano una tradizione presente in tutto il mondo. Dagli Asas de Portugal agli Zhetysu, passando per Krisatki e Sarang, nel 2022 erano censite 65 pattuglie acrobatiche militari, più nove temporanee e tre in corso di approntamento, senza trascurare le sei esibizioni in coppia.

Settimo, l’aereo militare. Benché progettato per addestrare piloti militari, l’MB.339 non è un caccia o un aereo da combattimento. È del tutto improprio associarlo a Top Gun o missioni di guerra.

In conclusione, buona parte delle critiche alle Frecce tricolori sono materialmente errate e si collegano a valutazioni esterne alla loro realtà operativa e fattuale. Da un certo profilo, le obiezioni sono legate più a criteri personali che a considerazioni oggettive, e potrebbero, con la stessa assoluta legittimità, essere applicate a qualsiasi altra attività, dai musei di arte contemporanea al teatro sperimentale, dal ponte sullo Stretto alle zip line. Dall’altro, gli attacchi di questi giorni recuperano temi da sempre presenti nella retorica antimilitare e antioccidentale, collegandoli strumentalmente alla tragedia di Torino senza aggiungere nulla in termini di analisi e riflessione.

Per carità, in un Paese libero anche queste opinioni hanno pieno diritto di essere espresse. Però sarebbe meglio concentrarsi sugli atti concreti, come la sicurezza delle strade perimetrali o la pulizia degli ambienti circostanti gli aeroporti, evitando di dare l’impressione di speculazione politica. O almeno così imporrebbe il rispetto sincero per la piccola vittima.


formiche.net/2023/09/incidente…



Andrea Muccioli – Fango e risate


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Presentazione del libro “Non diamoci del Tu – La separazione delle carriere” – 25 settembre 2023, Lodi


Intervengono ANGELA MARIA ODESCALCHI Presidente Ordine degli Avvocati di Lodi e Avvocato GUIDO SALVINI Magistrato presso il Tribunale di Milano PIERO TONY Comitato Scientific della Fondazione Luigi Einaudi Modera LORENZO MAGGI Presidente di Lodi Liberale

Intervengono

ANGELA MARIA ODESCALCHI
Presidente Ordine degli Avvocati di Lodi e Avvocato

GUIDO SALVINI
Magistrato presso il Tribunale di Milano

PIERO TONY
Comitato Scientific della Fondazione Luigi Einaudi

Modera

LORENZO MAGGI
Presidente di Lodi Liberale

Evento accreditato presso l’Ordine degli Avvocati di Lodi

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Washington e Teheran rilasciano prigionieri dopo lo scongelamento di 6 miliardi di dollari dell’Iran


Lo scambio, che comprende cinque iraniani e cinque americani, difficilmente faciliterà una nuova intesa tra i due Paesi sul programma nucleare iraniano. L'articolo Washington e Teheran rilasciano prigionieri dopo lo scongelamento di 6 miliardi di dollari

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della redazione

(foto di archivio del progetto Pexels/RDNE Stock)

Pagine Esteri, 19 settembre 2023 – Cinque statunitensi e cinque iraniani sono stati rilasciati nell’ambito di uno scambio di prigionieri mediato dal Qatar. Gli ex detenuti Usa sono sbarcati da un aereo sulla pista dell’aeroporto internazionale di Doha dopo essere arrivati ​​da Teheran. Successivamente sono partiti con un volo diretto negli Stati Uniti. Secondo la Press TV iraniana, due dei cinque cittadini iraniani imprigionati negli Stati uniti sono arrivati ​​in Iran dopo aver viaggiato attraverso il Qatar. Gli altri tre liberati hanno deciso di non tornare in Iran, due di loro resteranno negli Stati Uniti e uno si recherà in un paese terzo.

Nasser Kanaani, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, ha spiegato che i due ex prigionieri che avevano deciso di rimanere negli Stati Uniti lo hanno fatto “a causa della loro storia personale e di permanenza” negli Usa.

L’accordo tra Washington e Teheran ha permesso lo scongelamento di 6 miliardi di dollari di beni iraniani bloccati in Corea del Sud. “Fortunatamente i beni congelati dell’Iran in Corea del Sud sono stati rilasciati e, a Dio piacendo, oggi i beni inizieranno ad essere completamente controllati dal governo e dalla nazione”, ha commentato Kanaani. Successivamente il capo della banca centrale iraniana Mohammad Reza Farzin è intervenuto alla televisione di stato per confermare di aver ricevuto oltre 5,5 miliardi di euro (5,9 miliardi di dollari) su conti in Qatar.

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha definito il rilascio di cinque detenuti americani “un’azione puramente umanitaria”. “Può certamente essere un passo in base al quale in futuro potranno essere intraprese altre azioni umanitarie”, ha aggiunto Raisi rivolgendosi a un gruppo di giornalisti dopo il suo arrivo a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, Joe Biden ha accolto con favore il ritorno dei cinque cittadini statunitensi e ha ringraziato gli alleati per aver contribuito a garantirne il rilascio. “Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharghi e due cittadini che desiderano rimanere anonimi ​​si riuniranno presto ai loro cari… Sono grato ai nostri partner in patria e all’estero per i loro instancabili sforzi volti ad aiutarci a raggiungere questo risultato, compresi i governi di Qatar, Oman, Svizzera e Corea del Sud”, ha detto il presidente Usa che allo stesso tempo ha annunciato sanzioni contro l’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e il ministero dell’intelligence “per il loro coinvolgimento in detenzioni illegali”. “Continueremo a imporre sanzioni all’Iran per le sue azioni provocatorie nella regione”, ha affermato Biden.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha abbassato le aspettative che lo scambio di prigionieri porti a una svolta nel rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015, da cui l’ex presidente Donald Trump si era ritirato nel 2018. “Non siamo impegnati su questo ma vedremo in futuro se ci saranno opportunità”, ha detto Blinken.

Non è questo il parere di Israele che invece vede lo scambio dei prigionieri e lo scongelamento dei fondi come “una vittoria per l’Iran” e un passo in avanti verso un nuovo accordo sul programma nucleare, approvato anche dagli StatiUniti. Tel Aviv vede nelle ambizioni atomiche dell’Iran l’intenzione di costruire ordigni nucleari “che saranno puntati contro Israele”. E ha più volte minacciato di bombardare e distruggere le centrali iraniane.

Teheran da parte sua respinge le accuse, afferma di voler solo produrre energia atomica a scopi civili e denuncia le sanzioni americane e internazionali alle quali la sua economia è sottoposta da molti anni.

Israele punta il dito contro l’Iran ma è l’unico Paese del Medio oriente a possedere segretamente bombe nucleari – tra 100 e 200 secondo le stime fatte da esperti internazionali – e non ha mai firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare. Pagine Esteri.

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ARCHEOLOGIA E OCCUPAZIONE. Tell es-Sultan sito palestinese. Israele contro l’Unesco


PODCAST. Il governo Netanyahu condanna l'Onu per aver designato le rovine dell'antica Gerico, nella Cisgiordania sotto occupazione militare, come «Sito parte del patrimonio mondiale in Palestina». Il commento della studiosa e storica dell'arte Carla Benel

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Pagine Esteri, 19 settembre 2023. “Siamo di fronte a un sito di grande importanza per tutta l’umanità ma gli israeliani mantengono la loro posizione. Citano il racconto biblico che non è mai stato confermato dai ritrovamenti archeologici, anzi proprio gli scavi hanno chiarito che è fondato su miti”. Questo il commento che la studiosa e storica dell’arte Carla Benelli fa alla veemente protesta delle autorità israeliane alla decisione dell’Unesco di designare il sito palestinese di Tell Es-Sultan “Sito parte del patrimonio mondiale in Palestina”.

Ascolta il Podcast.
widget.spreaker.com/player?epi…

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Transparency of landmark judgements: European Parliament wants to introduce public access to EU court documents


The EU Parliament’s Legal Affairs Committee (JURI) today unanimously voted in favour of giving the public, civil society and the media a right of access to documents, positions … https://www.patrick-breyer.de/wp-content/uploads/2023/09/Final-Voting-list_

The EU Parliament’s Legal Affairs Committee (JURI) today unanimously voted in favour of giving the public, civil society and the media a right of access to documents, positions and arguments exchanged in court proceedings, subject to some exceptions. The proposal was originally made by MEPs René Repasi (S&D group) and Patrick Breyer (Pirate Party, Greens/EFA group). Whether the Parliament‘s amendment will become part of the reform of the Statute of the European Court of Justice will now be decided in the upcoming trilogue negotiations with the EU Council and the EU Commission.

Breyer explains: “Today‘s unanimous vote shows how great the need for a more transparent judiciary is. Regarding landmark judgements with far-reaching consequences, the public should have a right to know and discuss the positions voiced by our governments and institutions. In a democracy where freedom of the press reigns, it must be possible to hold the powerful accountable. At a time when the EU and its Court of Justice are in a crisis of confidence, transparency builds trust.

The introduction of a right of access to information complements the easening of workload proposed by the Court of Justice and does not delay it. Our proposal fully respects the Court‘s case law on the limits of access to information, for example to protect ongoing proceedings.”

18 civil society organisations have recently advocated for a right of access to information and an open judiciary. A joint statement by the European Federation of Journalists EFJ, Corporate Europe Observatory, Access Info Europe and others says: “Access to judicial documents is essential for transparency and accountability – both of which are crucial for building and maintaining trust in the judiciary and democratic processes in general. It is crucial that the public is able to see and understand the reasons for judicial decisions as well as the arguments put forward during the proceedings.”

Background:

The European Court of Human Rights in Strasbourg has always granted public access to documents submitted to the Court. Regarding the Luxemburg EU Court of Justice, however, insights can so far only be obtained indirectly by requesting the Commission to grant access to copies of court documents it holds, with the Commission being very reluctant to do so.

The European Court of Justice decides on the interpretation and validity of European law, including its compatibility with fundamental rights. Landmark court rulings have concerned, for example, data retention, upload filters, the right to be forgotten or the purchase of government bonds by the European Central Bank (“euro bailout”).


patrick-breyer.de/en/transpare…



You live in a digital neofeudalism


We're not in the Middle Ages, screamed the Knight of the Order of the Wokes.

The Middle Ages are often invoked to describe a dark, brutal period without freedom, where the masses were at the mercy of a few feudal lords and rulers who fought over lands and resources.

They say life back then wasn't much to write home about. Fortunately, today we are much more civilized. At least, that’s what they say.

We have discovered representative democracy, expelled the cowardly monarchs who plagued us, eliminated the scourge of serfdom, and forgotten the picturesque chivalric orders with their oaths of loyalty to the rulers. But is it really so?

Subscribe now

My impression is that representative democracy and the proliferation of eccentric ideas about social justice and social equity have actually created the conditions for the resurgence of a global digital neo-feudalism.

At the apex of this new feudal pyramid, we undoubtedly have a small but powerful elite of people with vast wealth and power who use supranational tools, both known and unknown, to exercise and manifest their will.

Among them, first and foremost, is the International Monetary Fund (IMF), a financial instrument of the United Nations and the ultimate authority for much of the world. Then there are central banks like the Federal Reserve Bank or the European Central Bank.

Lastly, we must not forget supranational administrative entities such as the World Health Organization (WHO), the aforementioned United Nations (UN), or the somewhat obscure Financial Action Task Force (FATF), which, nevertheless, has a huge impact on our lives. And how could we forget our beloved European Union and the globalist think-tank that is the World Economic Forum?

The combination of people and supranational structures makes up what we could define today as the head of the empire.

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In Cina e Asia – Wang Yi in Russia per colloqui sulla sicurezza


In Cina e Asia – Wang Yi in Russia per colloqui sulla sicurezza russia
I titoli di oggi:

Wang Yi in Russia per quattro giorni di colloqui sulla sicurezza
Cina-Usa: il vicrepresidente Han incontra Blinken
Cina, esercitazioni nel mar Giallo dopo quelle di Stati Uniti e alleati
Corea del Sud: leader dell'opposizione in sciopero della fame, rischia l'arresto
L'Ue nomina nuovo direttore dell'ufficio per l'Asia-Pacifico
Cina, bozza di legge solleva polemiche su rischi di abuso di potere

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IL SUD-EST ASIATICO AIUTA LA CINA NELLA CACCIA AGLI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI


IL SUD-EST ASIATICO AIUTA LA CINA NELLA CACCIA AGLI ATTIVISTI PER I DIRITTI UMANI 9344146
Il caso dell'avvocato Lu Siwei conferma come il Sud-est asiatico si sta dimostrando un’area del mondo particolarmente collaborativa quando si tratta di rimpatriare le voci scomode in Cina.

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Call for Nominations: 14th Annual Privacy Papers for Policymakers


The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with t

The Future of Privacy Forum (FPF) invites privacy scholars and authors with an interest in privacy issues to submit finished papers to be considered for FPF’s 14th annual Privacy Papers for Policymakers (PPPM) Award. This award provides researchers with the opportunity to inject ideas into the current policy discussion, bringing relevant privacy research to the attention of the U.S. Congress, federal regulators, and international data protection agencies.

The award will be given to authors who have completed or published top privacy research and analytical work in the last year that is relevant to policymakers. The work should propose achievable short-term solutions or new means of analysis that could lead to real­-world policy impact.

FPF is pleased to also offer a student paper award for students of undergraduate, graduate, and professional programs. Student submissions must follow the same guidelines as the general PPPM award.

We encourage you to share this opportunity with your peers and colleagues. Learn more about the Privacy Papers for Policymakers program and view previous year’s highlights and winning papers on our website.

FPF will invite winning authors to present their work at an annual event with top policymakers and privacy leaders in spring 2024 (date TBD). FPF will also publish a printed digest of the summaries of the winning papers for distribution to policymakers in the United States and abroad.

Learn more and submit your finished paper by October 20th, 2023. Please note that the deadline for student submissions is November 3rd, 2023.


fpf.org/blog/call-for-nominati…

informapirata ⁂ reshared this.



Cina e Unione europea hanno tenuto oggi a Pechino il secondo dialogo digitale di alto livello co-presieduto dalla vicepresidente per i Valori e la Trasparenza dell’UE Vera Jourova e dal vicepremier cinese Zhang Guoqing, mentre all’orizzonte si profila un potenziale scontro...



Il Consiglio dei Ministri di oggi ha approvato il disegno di legge per l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e per la revisione della valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti.


Se Salvini cerca di strappare alla Meloni la bandiera di leader “coerente” di destra


Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi

Mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi non abbiamo cambiato opinione”: sono state queste le prime parole che il segretario leghista ha pronunciato ieri dal palco. Parole non casuali.

È così partita la campagna salviniana per strappare alla Meloni quella bandiera che, a torto o a ragione, secondo tutti gli osservatori ha rappresentato la chiave del proprio successo elettorale: la coerenza. Bandiera inevitabilmente scolorita e lacerata nel passaggio dalla demagogia degli anni trascorsi all’opposizione alle responsabilità imposte dalla funzione di governo. Bandiera che Matteo Salvini intende intestarsi grazie all’ormai rodato ruolo di leader di lotta e al tempo stesso di governo. Umberto Bossi lo fece con Silvio Berlusconi premier, Salvini lo sta facendo con Giorgia Meloni, dopo averlo fatto con Giuseppe Conte.

In vista della propria ascesa al ruolo di presidente del Consiglio, Giorgia Meloni evitò di pronunciarsi a favore di Marine Le Pen nel ballottaggio con Emmanuel Macron. Salvini, invece, lo fece. E ieri è tornato ad esibire come un valore quasi sacro il rapporto che lo lega alla leader della destra nazionalista francese, sulla cui amicizia, appunto, “non abbiamo cambiato idea”.

Nessuno, dal palco di Pontida, ieri ha pronunciato la parola “Ucraina” o evocato il nome di Vladimir Putin. Tutti hanno parlato di Europa e tutti l’hanno fatto in chiave critica oltre che in aperta contrapposizione a quelle “libertà” che sono state per vent’anni il cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi e che ieri erano con tutta evidenza il filo conduttore della kermesse leghista.

Salvini sa bene che l’atlantismo e l’europeismo di Giorgia Meloni disorientano parte non marginale della sua base elettorale e persino dei suoi eletti. “Abbiamo ormai rinunciato al cambiamento”, ha scritto ieri, con amara rassegnazione, l’intellettuale d’area Marcello Veneziani sulla Verità. Parlava a nome di una destra che c’è, Veneziani, e che si sente tradita nei propri ideali fondanti. Una destra che si ritrova nelle tesi del generale Vannacci, che non a caso Salvini intende candidare alle elezioni europee di giugno. Una destra che fatica a trovare una bussola per orientarsi nel presente a cui Mattei Salvini ha usucapito i punti di riferimento cardinali del passato abusando, come è accaduto ieri a Pontida, dei concetti di “comunità” e di “identità”, regolarmente enunciati col favore del “buon Dio”.

“Noi non siamo cambiati” era il senso del messaggio securitario agli immigrati, ma in realtà ai propri elettori, lanciato da Giorgia Meloni con l’intervento video dello scorso venerdì. “Lei è cambiata, ma noi no”, è il senso impresso da Matteo Salvini alla kermesse di Pontida.

Per i prossimi otto mesi, sarà questa la sfida. E, naturalmente, nessuno dei due avrà il coraggio di ammettere cambiamenti fisiologici, né di spiegarli con la differenza che passa tra stare all’opposizione e stare al governo. Ovvero, con la differenza che passa tra fare propaganda e fare politica.

Huffingtonpost

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Etiopia: Nazioni Unite denunciano stupri etnici, omicidi e detenzioni arbitrarie


Nonostante l'accordo di pace, in Etiopia si moltiplicano gli stupri etnici, gli omicidi e le detenzioni arbitrarie. La denuncia delle Nazioni Unite L'articolo Etiopia: Nazioni Unite denunciano stupri etnici, omicidi e detenzioni arbitrarie proviene da Pa

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di Redazione

Pagine Esteri, 18 settembre 2023 – Nonostante la fine ufficiale del conflitto civile con la firma nel novembre dell’anno scorso di un accordo di pace, in Etiopia continuano i combattimenti e le violazioni dei diritti umani. A denunciarlo sono stati gli esperti delle Nazioni Unite, secondo i quali il conflitto si sta diffondendo in tutto il paese mettendo a rischio la stabilità regionale.

«Le ostilità in Etiopia sono ora su scala nazionale, con violazioni significative in aumento soprattutto nella regione di Amhara, ma in corso anche in Oromia e altrove» ha affermato in un rapporto la Commissione di esperti sui diritti umani sull’Etiopia. Nel suo rapporto di 21 pagine, la Commissione ha documentato le atrocità di vasta portata perpetrate da tutte le parti in conflitto dal 3 novembre 2020. Queste includono uccisioni di massa, stupri, furti di cibo, distruzione di scuole e strutture mediche, sfollamenti forzati e detenzioni arbitrarie. «Sebbene la firma dell’accordo abbia in gran parte messo a tacere le armi, non ha risolto il conflitto nel nord del Paese, in particolare nel Tigrè, né ha portato ad alcuna pace globale. La situazione in Etiopia rimane estremamente grave», ha affermato il presidente della Commissione, Mohamed Chande Othman, presentando il rapporto.

Secondo il documento, le truppe eritree e i membri delle milizie amhara continuano a commettere gravi violazioni nel Tigrè, tra cui lo stupro sistematico e la violenza sessuale su donne e ragazze, in violazione degli impegni assunti dal governo federale in materia di diritti umani e integrità territoriale.

La Commissione ha inoltre denunciato episodi di arresti, detenzioni e torture di civili da parte delle forze governative in Oromia e sta già ricevendo numerose segnalazioni di violazioni contro i civili nella regione di Amhara dopo la proclamazione dello stato di emergenza, nell’agosto scorso. «Particolarmente preoccupante è lo stupro contro donne e ragazze da parte delle forze eritree nel Tigrè» ha denunciato la commissaria Radhika Coomaraswamy.

«La continua presenza di truppe eritree in Etiopia è un chiaro segno non solo di una radicata politica di impunità, ma anche del continuo sostegno e tolleranza di tali violazioni da parte del governo federale», ha aggiunto. «Intere famiglie sono state uccise, parenti costretti ad assistere a crimini orribili contro i loro cari, mentre intere comunità sono state sfollate o espulse dalle loro case; molti hanno troppa paura di tornare, altri non sono in grado di farlo» ha concluso Coomaraswamy.

All’inizio di settembre decine di civili sarebbero stati uccisi dall’esercito etiope nella regione di Amara, nel nord del paese, nel corso di violenti scontri con il gruppo paramilitare Fano. Lo hanno raccontato diversi testimoni all’agenzia di stampa Reuters e al giornale inglese Guardian. Le uccisioni sarebbero avvenute nella città di Majete, dove domenica 3 settembre alcuni membri del gruppo Fano avrebbero compiuto un attacco armato contro i militari. Gli scontri sarebbero durati poche ore, e in seguito l’esercito avrebbe perquisito le case della città alla ricerca dei miliziani del gruppo Fano. Secondo quanto hanno raccontato i testimoni, nel corso delle perquisizioni l’esercito avrebbe ucciso decine di civili, tra cui anche bambini. – Pagine Esteri

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  Lo sciopero di 8 ore proclamato da Fim, Fiom e Uilm nello stabilimento Stellantis di Melfi, che coinvolge anche le fabbriche dell’indotto re tutta l


Etiopia, a quasi un anno di cessate il fuoco, gli esperti ONU mettono in guardia da abusi e violazioni in atto, inclusi crimini di guerra e contro l’umanità.


A quasi un anno dalla firma dell’accordo per la cessazione delle ostilità in Etiopia, nel Paese vengono ancora commessi atrocità, crimini di guerra e crimini contro l’umanità e la pace resta sfuggente, ha affermato la Commissione internazionale di esperti

A quasi un anno dalla firma dell’accordo per la cessazione delle ostilità in Etiopia, nel Paese vengono ancora commessi atrocità, crimini di guerra e crimini contro l’umanità e la pace resta sfuggente, ha affermato la Commissione internazionale di esperti sui diritti umani L’Etiopia ha messo in guardia nel suo ultimo rapporto pubblicato oggi.


Approfondimenti:


Nel suo rapporto di 21 pagine, la Commissione ha documentato le atrocità di vasta portata perpetrate da tutte le parti in conflitto dal 3 novembre 2020. Queste includono uccisioni di massa, stupri, fame, distruzione di scuole e strutture mediche, sfollamenti forzati e detenzioni arbitrarie.

“Anche se la firma dell’accordo può aver messo a tacere le armi, non ha risolto il conflitto nel nord del paese, in particolare nel Tigray, né ha portato ad alcuna pace globale”, ha detto il presidente della Commissione Mohamed Chande Othman. “La situazione in Etiopia rimane estremamente grave”.

“Gli scontri violenti sono ormai su scala quasi nazionale, con notizie allarmanti di violazioni contro i civili nella regione di Amhara e di atrocità in corso nel Tigray”, ha detto Othman. “La situazione in Oromia, Amhara e in altre parti del Paese – compresi i modelli continui di violazioni, l’impunità radicata e la crescente cartolarizzazione dello Stato – comporta rischi evidenti di ulteriori atrocità e crimini”.


L’ultimo rapporto della Commissione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha confermato che le truppe eritree e i membri della milizia Amhara continuano a commettere gravi violazioni nel Tigray, tra cui lo stupro sistematico e la violenza sessuale su donne e ragazze, in violazione degli impegni assunti dal governo federale in materia di diritti umani e integrità territoriale.

La Commissione ha inoltre scoperto modelli in corso di arresto, detenzione e tortura di civili da parte delle forze governative in Oromia e sta già ricevendo numerose segnalazioni credibili di violazioni contro i civili di Amhara dall’annuncio dello stato di emergenza nell’agosto 2023.

“Non possiamo sopravvalutare la gravità delle violazioni perpetrate in Etiopia da tutte le parti durante il recente conflitto. Particolarmente preoccupante è il fatto che alcuni di questi crimini siano tuttora in corso, in particolare lo stupro e la violenza sessuale contro donne e ragazze da parte delle forze eritree nel Tigray”, ha affermato la commissaria Radhika Coomaraswamy. “La continua presenza di truppe eritree in Etiopia è un chiaro segno non solo di una radicata politica di impunità, ma anche del continuo sostegno e tolleranza di tali violazioni da parte del governo federale”.

“Le atrocità hanno devastato le comunità e hanno gravemente eroso il tessuto della società”, ha affermato Coomaraswamy. “Intere famiglie sono state uccise, parenti costretti ad assistere a crimini orribili contro i loro cari, mentre intere comunità sono state sfollate o espulse dalle loro case; molti hanno troppa paura di tornare, altri non sono in grado di farlo. È probabile che il trauma, sia individuale che collettivo, persista per generazioni”.

“La necessità di un processo credibile, inclusivo e significativo di verità, giustizia, riconciliazione e guarigione non è mai stata così urgente”, ha aggiunto Coomaraswamy.


Il rapporto rileva che il governo etiope non è riuscito a prevenire o indagare efficacemente sulle violazioni e ha invece avviato un processo di consultazione sulla giustizia di transizione imperfetto in cui le vittime rimangono ignorate. All’inizio di quest’anno, il governo federale ha pubblicato la bozza delle “Opzioni politiche dell’Etiopia per la giustizia di transizione”, avviando una serie di consultazioni su un potenziale processo di giustizia di transizione nazionale. La Commissione, tuttavia, ha riscontrato che il processo è stato affrettato per rispettare una scadenza arbitraria fissata dal governo e non ha coinvolto sufficientemente le vittime in molte aree, compresi i rifugiati etiopi che vivono nei paesi vicini.

“La giustizia di transizione ha lo scopo di aiutare i paesi a fare i conti con le atrocità del passato, ma il nostro impegno con centinaia di vittime, le loro famiglie e rappresentanti indica una completa mancanza di fiducia nella capacità o nella volontà delle istituzioni statali etiopi di portare avanti un processo credibile – in particolare perché i funzionari e gli enti statali sono polarizzati e privi di indipendenza”, ha affermato il commissario Steven Ratner.

“Quando osserviamo le attuali iniziative di giustizia di transizione in Etiopia, è difficile non rimanere colpiti dalle prove di ‘quasi-compliance’ – tentativi deliberati del governo di eludere il controllo internazionale attraverso la creazione di meccanismi nazionali e la strumentalizzazione di altri”, ha detto Ratner. “Ciò è servito principalmente ad alleviare la pressione internazionale e a prevenire un maggiore coinvolgimento o indagini a livello internazionale. Per le centinaia di migliaia di vittime delle atrocità commesse in tutta l’Etiopia, non si può permettere che ciò continui”.


Il rapporto della Commissione mette in guardia circa la continua presenza della maggior parte degli indicatori e dei fattori scatenanti contenuti nel quadro di analisi delle Nazioni Unite per i crimini atroci . Ha evidenziato il rischio di ulteriori atrocità su larga scala, esprimendo profonda preoccupazione per il fatto che molti dei fattori di rischio caratteristici di futuri crimini atroci rimangano presenti in Etiopia.

La Commissione ha inoltre notato un modello allarmante di crescente cartolarizzazione dello Stato attraverso l’imposizione di stati di emergenza e l’istituzione di “posti di comando” militarizzati senza controllo civile. Tali strutture sono spesso accompagnate da gravi violazioni.

Proprio il mese scorso, l’Etiopia ha annunciato uno stato di emergenza di sei mesi, stabilendo un sistema di posti di comando in tutta la regione di Amhara, con diversi centri urbani della regione ora sotto coprifuoco. La Commissione sta già ricevendo segnalazioni di detenzioni arbitrarie di massa di civili amhara e di almeno un attacco con droni effettuato dallo Stato.

“Siamo profondamente allarmati dal deterioramento della situazione della sicurezza ad Amhara e dalla continua presenza di fattori di rischio per crimini atroci. Questa situazione in evoluzione ha enormi implicazioni per la stabilità in Etiopia e nella regione più ampia, e in particolare per le decine di milioni di donne, uomini e bambini che la chiamano casa”, ha affermato Othman. “L’importanza di un monitoraggio e di indagini indipendenti continui e solidi non può essere sopravvalutata”.


Contesto : la Commissione di esperti sui diritti umani in Etiopia è stata istituita dal Consiglio per i diritti umani il 17 dicembre 2021, attraverso la risoluzione S-33/1 , per condurre indagini approfondite e imparziali sulle accuse di violazioni e abusi del diritto internazionale sui diritti umani e sulle violazioni del diritto internazionale umanitario e diritto internazionale dei rifugiati in Etiopia commessi dal 3 novembre 2020 da tutte le parti in conflitto, comprese le possibili dimensioni di genere di tali violazioni e abusi.


FONTE: ohchr.org/en/press-releases/20…


tommasin.org/blog/2023-09-18/e…



Tutto pronto per #TuttiAScuola! Come sempre le scuole saranno protagoniste e animeranno la cerimonia assieme a tanti ospiti.

Vi aspettiamo tra poco in diretta dall’Istituto Tecnico “Saffi-Alberti” di Forlì!

▶️ https://youtube.



41 anni dalla strage di Sabra e Shatila: un orrore mai dimenticato


Dal 16 al 18 settembre 1982 le Falangi libanesi massacrarono uomini, donne e bambini inermi. Per tre giorni, ininterrottamente, i miliziani usarono armi da fuoco, coltelli, accette per fucilare, decapitare, sgozzare e mutilare un numero imprecisato di civ

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di Eliana Riva –

Pagine Esteri, 18 settembre 2023. Dal 16 al 18 settembre 1982 le Falangi libanesi massacrarono uomini, donne e bambini inermi. Per tre giorni, ininterrottamente, i miliziani usarono armi da fuoco, coltelli, accette per fucilare, decapitare, sgozzare e mutilare un numero imprecisato di civili (dalle centinaia ai 3.500 morti) rimasti senza protezione alcuna all’interno dei campi profughi di Sabra e Chatila.

Erano palestinesi, rifugiati in Libano dopo essere stati cacciati dalle proprie case durante la Nakba, la loro “Catastrofe” cominciata (e mai terminata) insieme alla nascita dello Stato di Israele.

Proprio Israele aveva cominciato in Libano, nel giugno del 1982, un’invasione di terra con l’obiettivo dichiarato di cacciare i combattenti palestinesi dal Paese. La forza bellica dell’esercito israeliano travolse città, quartieri, campi profughi e l’enorme impiego di mezzi militari consentì di raggiungere, in pochi mesi, la capitale, Beirut. I campi profughi di Sabra e Chatila vennero circondati. I combattenti palestinesi, chiusi al loro interno, si preparavano a quello che sarebbe stato senz’altro un massacro: le poche armi di cui erano in possesso non avrebbero mai potuto competere con i mezzi israeliani.

Le forze internazionali, però, intervennero. Gli Stati Uniti di Ronald Regan si fecero promotori di una mediazione e garanti dell’accordo che le pari raggiunsero: i combattenti palestinesi avrebbero lasciato Sabra e Chatila, portando via le proprie armi e Israele avrebbe lasciato vivere coloro che rimanevano, quasi esclusivamente donne, anziani, bambini e bambine.

Poco meno di un mese prima Bashir Gemayel, capo militare delle Falangi libanesi, partito denominato Katā’eb, una formazione di estrema destra fondata dal padre Pierre Gemayel, venne eletto Presidente della Repubblica. Avrebbe dovuto insediarsi a breve ma venne ucciso da un attentato il 14 settembre.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Nonostante i responsabili della sua morte non fossero i palestinesi, le Falangi intendevano vendicare il proprio leader con il sangue dei profughi. Ma a controllare i campi era l’esercito israeliano e nessuno entrava o usciva da lì senza il consenso dei vertici militari, sotto il comando del Ministro della Difesa Ariel Sharon.

Gli israeliani avevano completamente chiuso il perimetro, osservavano i campi dall’alto degli edifici che li circondavano e li illuminavano, se necessario, con i fari che avevano montato tutto intorno.

Il 16 settembre i militari israeliani ebbero l’ordine di far passare i miliziani delle Falangi libanesi, a centinaia, armati e pronti alla vendetta. La popolazione dei campi fu colta di sorpresa. Gli abitanti, inermi, subirono per tre giorni e tre notti la furia dei miliziani che si fermavano solo quando, stremati dalla fatica fisica delle uccisioni, andavano a riposare lasciando il posto a unità più fresche.

Dopo la strage alcuni dei corpi furono gettati in fosse comuni, nel tentativo di coprire le dimensioni del massacro. Ma i cadaveri erano troppi e molti furono lasciati per le strade, preda delle mosche e degli animali. Uno dei primi a giungere nei campi dopo il ritiro dei libanesi fu Robert Fisk, giornalista inglese che scrisse un terribile e indimenticabile articolo intitolato, appunto, “Ce lo dissero le mosche”. Ciò che si aprì dinanzi agli occhi suoi e degli internazionali che arrivarono fu uno scenario di morte, violenza estrema e indiscriminata impossibile da dimenticare.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Per quel massacro nessuno pagò. Israele tentò dapprima di nascondere la propria responsabilità ma quando le immagini e le notizie cominciarono a circolare, l’eco divenne internazionale. Ovunque si parlava della strage, sui giornali, nelle università. Il tradimento della comunità internazionale venne smascherato, le responsabilità furono chiaramente definite. Eppure. Eppure la commissione di inchiesta israeliana che si occupò della questione, la Commissione Kahan, riconobbe una responsabilità “indiretta” di Israele e del suo Ministro della Difesa, colpevole, secondo il suo giudizio, solo di aver sottovalutato le possibili conseguenza dell’azione falangista all’interno dei campi profughi.

Elie Hobeika, colui che guidava e comandava le milizie cristiano-maronite di estrema destra durante l’attacco a Sabra e Chatila, divenne, nel 1990, Ministro per i Profughi in Libano. Venne ucciso da un attentato nel 2002, dopo aver dichiarato di essere pronto a parlare dinanzi alla Corte Penale Internazionale delle reali responsabilità israeliane in merito al massacro del 1982.

Sabra e Chatila esistono ancora. Così come i profughi palestinesi, che vivono in condizioni di povertà, indigenza, in mancanza delle basilari misure sanitarie e di sicurezza, ammassati l’uno sull’altro perché, nonostante la crescita della popolazione dei campi, la legge libanese non gli permette di acquistare un’abitazione. Gli è vietato esercitare in Libano, se non all’interno dei campi profughi, circa 70 professioni, tra le quali quelle di medico, insegnante, ingegnere, avvocato, commercialista.

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Immagini del massacro di Sabra e Shatila

Molti abitanti dei campi in Libano, quelli più giovani, soprattutto, provano a fuggire verso l’Europa, affrontando lunghi e pericolosi viaggi in mare che spesso si trasformano in terribili naufragi.

A gennaio del 2023 Pagine Esteri ha prodotto un documentario in occasione dei 40 anni dalla strage. “Il cielo di Sabra e Chatila”, girato in Libano a settembre del 2022, racconta le fasi della strage e quella che è oggi la vita all’interno dei campi profughi palestinesi in Libano. Durante l’anno si sono tenute numerose proiezioni in varie regioni di Italia, da nord a sud. La versione inglese è stata trasmessa in chiaro dal Palestine Museum degli Stati Uniti ed è in uscita una nuova versione in francese.

Le prossime proiezioni sono previste ad Acerra (NA) il 21 settembre, a Roma, all’interno del Falastin Festival il 30 settembre, e a Salerno, con Mediterraneo Contemporaneo il 6 ottobre. Per ulteriori notizie è possibile consultare il calendario qui.

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#NotiziePerLaScuola

È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

🔸#TuttiAScuola, a Forlì l'inaugurazione del nuovo anno scolastico. L’evento è in diretta, dalle 16.



Oggi saremo a Forlì per #TuttiAScuola, la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico 2023/2024.

Si parlerà di attualità, lavoro, salute, sport, scuole italiane all’estero, storie di riscatto sociale.



In Cina e Asia – Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni


In Cina e Asia – Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni xi biden usa cina
I titoli di oggi:
Cina-Usa, Wang e Sullivan al lavoro per la ripresa delle relazioni
Covid, l'Oms chiede “massima accessibilità” alla Cina sulle origini del virus
Economia, delocalizzare dalla Cina non funziona?
L'Irlanda multa TikTok, “minorenni a rischio”
Niente colloqui? I giovani lavoratori cinesi si rivolgono alle dating app
La Cina lancia la nuova Smart Card per i residenti stranieri
Crisi immobiliare, arrestati dipendenti di Evergrande
Sfida Apple-Huawei: sui social cinesi si parla del nuovo iPhone 15
Corea del Nord, Kim ispeziona armi e navi da guerra russe

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Sisci: Zuppi in Cina, "un favore del Vaticano a Pechino”


Sisci: Zuppi in Cina, zuppi
"S. Em.za il Cardinale Matteo Maria Zuppi, Inviato del Papa Francesco, è stato ricevuto, presso il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, da S.E. il Sig. Li Hui, Rappresentante Speciale per gli Affari Euroasiatici. Il colloquio, svoltosi in un clima aperto e cordiale, è stato dedicato alla guerra in Ucraina e alle sue drammatiche conseguenze, sottolineando la necessità di unire gli sforzi per favorire il dialogo e trovare percorsi che portino alla pace. È stato inoltre affrontato il problema della sicurezza alimentare, con l’auspicio che si possa presto garantire l’esportazione dei cereali, soprattutto a favore dei Paesi più a rischio." Il comunicato della Santa Sede riassume così l'incontro di ieri tra Li Hui e il cardinale Zuppi, arrivato in Cina per portare avanti la missione di pace affidatagli da Bergoglio. Cosa aspettarsi? Ne abbiamo parlato con Francesco Sisci, esperto di rapporti tra Cina e Vaticano.

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SPIONAGGIO. Dopo Pegasus arriva Sherlock, lo spyware israeliano “invincibile”


Agisce attraverso la pubblicità. Quando vediamo l'annuncio, senza neanche cliccare su di esso, il codice si attiva, individua le vulnerabilità e inizia ad operare prendendo il controllo del telefono o del computer. L'articolo SPIONAGGIO. Dopo Pegasus arr

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di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 18 settembre 2023 – La rivelazione fa impallidire persino quella che anni fa fece scoprire al mondo la pericolosità dello spyware israeliano Pegasus usato dai governi di mezzo mondo per tenere sotto costante controllo non solo i criminali ma anche dissidenti politici, attivisti per i diritti umani e giornalisti. All’ombra della pandemia di coronavirus, scrive Haaretz Magazine, quando sono stati sviluppati strumenti per tracciare la diffusione del virus tra le persone, alcune aziende israeliane hanno messo a punto tecnologie in grado di sfruttare la innocua seppur molesta pubblicità online per raccogliere dati inaccessibili dei cittadini e mettere sotto sorveglianza i loro telefoni e computer.

A chi non è capitato di leggere su Facebook il post di un amico che ha visitato una città e di veder comparire dopo un po’ sullo schermo del telefono la pubblicità di hotel e alloggi turistici. Annunci che – noi non lo sappiamo – si fanno la guerra tra di loro per continuare a seguirci per giorni. Ma se questa guerra digitale resta limitata al settore commerciale, alcune aziende israeliane hanno intuito che la pubblicità può essere una strada comoda per iniettare software spia nei telefoni e nei computer. E ora vendono questi strumenti di sorveglianza.

Una di queste aziende, rivela l’inchiesta di Haaretz, è la Insanet di cui non si sapeva praticamente nulla. Sarebbe di proprietà di ex alti ufficiali e funzionari della Difesa israeliana, tra cui un ex capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Dani Arditi. Lo spyware della Insanet, noto come Sherlock, attraverso gli annunci pubblicitari traccia e infetta senza ostacoli. Grazie all’autorizzazione del ministero della Difesa è già venduto a livello globale e ne sarebbe entrato in possesso anche un regime autoritario. Un’altra azienda israeliana, Rayzone, ha sviluppato un prodotto simile. Rispetto allo spyware Pegasus, contro il quale Apple, Microsoft e Google sono riuscite a predisporre delle contromisure, queste nuove tecnologie di sorveglianza hanno il vantaggio di non poter essere ancora contrastate. Sino ad oggi buona parte degli esperti di sicurezza neppure era a conoscenza dell’esistenza di questa nuova minaccia.

Sherlock e i prodotti simili permettono di monitorare i cittadini e di ottenere accesso a una quantità illimitata di informazioni: messaggi, chiamate, attività sui social, email, posizione del dispositivo, contatti e fotografie. Possono anche accendere la fotocamera e il microfono del telefono o del pc senza che l’utente se ne accorga. Qualcuno dirà che questo lo fanno già Pegasus e altri spyware. La novità è il mezzo utilizzato per introdurre il software spia: la pubblicità. Un annuncio apparentemente innocuo viene inserito in una pagina web o in un’applicazione a cui siamo collegati. Sembra normale, come qualsiasi altro. Invece contiene un codice che sfrutta le vulnerabilità del nostro dispositivo. Quando vediamo l’annuncio, senza neanche cliccare su di esso, il codice si attiva e inizia ad operare. Cerca qualsiasi debolezza per installare il software spia. In meno di un secondo la nostra vita digitale è nelle mani di chi ci controlla. La Insanet è andata oltre tutto, spiegano gli esperti citati da Haaretz. La portata e l’impatto della tecnologia di Sherlock sono enormemente più grandi di quelli di Pegasus. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre dal quotidiano Il Manifesto

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Una critica femminista al regolamento CHATCONTROL. La politica digitale femminista si interroga criticamente se l’uso delle tecnologie paternalistiche.

@Privacy Pride

«...la non negoziabilità dei diritti fondamentali fa parte di una prospettiva di politica digitale femminista. Il diritto alla privacy e il diritto alla protezione contro la violenza non dovrebbero essere contrapposti. Sono tutti essenziali per la partecipazione sociale e democratica di tutti, in particolare dei gruppi sottorappresentati e, non ultimi, dei bambini e degli adolescenti.

Le proposte politiche devono essere sottoposte a una valutazione dell’impatto contestuale e sociale in modo che l’uso delle tecnologie prescritto dalla legge non oscuri i problemi esistenti o addirittura crei nuove sfide. Il passato dimostra che tali valutazioni d’impatto di solito coprono solo il livello giuridico o tecnico. Tuttavia, per creare soluzioni davvero sostenibili ed eticamente responsabili, è necessario includere anche fattori civili ed economici. Anche la realizzazione tecnica deve essere accompagnata criticamente e analizzata iterativamente. Perché non è chiaro quali soluzioni si stiano sviluppando riguardo alle normative aperte alla tecnologia. È quindi ancora più importante che il legislatore sia responsabile della creazione di una base che stabilisca una linea rossa chiara per le tecnologie altamente problematiche dal punto di vista etico e giuridico.

Il regolamento CSA mostra la complessità del rapporto tra problemi sociali e potenziali soluzioni digitali e quanto rapidamente il tecnosoluzionismo possa portare a conseguenze negative indesiderate. È responsabilità dei legislatori svelare tali complessità e sviluppare approcci risolutivi personalizzati e convenienti che riducano al minimo gli impatti negativi.»

Il post completo è su FEMINISTTECHPOLICY

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