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Ricerca preliminare sugli utenti per contrastare la disinformazione sui social network. Zappa: un progetto basato su Bonfire

@Che succede nel Fediverso?

Il progetto Zappa è finanziato da un contributo del fondo Cultura della Solidarietà per sostenere iniziative culturali transfrontaliere di solidarietà in tempi di incertezza e "infodemia". Lo scopo di questa ricerca iniziale sugli utenti era quello di aiutare a guidare lo sviluppo di un'estensione @Bonfire personalizzata per fornire alle comunità uno strumento dedicato per gestire la disinformazione online.

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Sul dovere del giudice di apparire imparziale


È sempre buona norma provare a mettersi nei panni dell’interlocutore, e dei fatti controversi sforzarsi di dare una rappresentazione a parti invertite. Ad esempio. Immaginiamo il caso di un giudice dichiaratamente di destra, una destra liberale, che nel 2

È sempre buona norma provare a mettersi nei panni dell’interlocutore, e dei fatti controversi sforzarsi di dare una rappresentazione a parti invertite. Ad esempio. Immaginiamo il caso di un giudice dichiaratamente di destra, una destra liberale, che nel 2019 avesse infarcito i propri social di giudizi sprezzanti sul reddito di cittadinanza, che fosse poi sceso in piazza per protestare animatamente contro il decreto con cui il primo governo Conte introdusse il sussidio e che, infine, dovendo sentenziare su un caso giudiziario inerente, avesse dichiarato illegittimo il decreto. Cosa avrebbero detto il presidente del Consiglio in carica, l’allora leader del Movimento 5stelle Luigi Di Maio e gli opinionisti dei giornali vicini al governo come il Fatto quotidiano? Avrebbero detto quel che Giorgia Meloni, molti esponenti della maggioranza e la totalità dei quotidiani affini al centrodestra dicono oggi della giudice catanese Iolanda Apostolico e della congruità della sentenza con cui ha scardinato il recente decreto del governo sui migranti. Avrebbero cioè detto che quella sentenza era viziata dall’ombra del pregiudizio. E avrebbero detto la verità.

Come ha ricordato il presidente della Prima commissione del CSM, Enrico Aimi, la Corte Costituzionale, le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, nonché la Corte europea dei Diritti dell’uomo hanno stabilito con chiarezza che il giudice non deve solo essere imparziale, ma deve anche apparire tale. E come può apparire imparziale nel giudicare una vicenda che riguarda le politiche di un governo di destra in materia di migranti un giudice di sinistra che, come la dottoressa Apostolico, ha scritto sui social e urlato in piazza frasi di fuoco contro i decreti Salvini? Non può, è ovvio.

Ineccepibile, dunque, il giudizio espresso oggi sul Riformista dal presidente delle Camere penali Gian Domenico Caiazza: “Padronissima, la giudice, di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma ad una condizione elementare: che di tutto potrà poi occuparsi professionalmente fuorché di quei temi”. La Apostolico avrebbe, dunque, dovuto astenersi dal giudicare sulle vicende inerenti i migranti di Pozzallo. Non avendolo fatto ha gettato un’ombra sulla sentenza del tribunale di Catania e sull’intera categoria togata cui appartiene.

Formiche.net

L'articolo Sul dovere del giudice di apparire imparziale proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



“Perché le case automobilistiche non prendono a bordo la privacy degli utenti?”


Nuovo appuntamento con la rubrica Privacy weekly, tutti i venerdì su StartupItalia. Uno spazio dove potrete trovare tutte le principali notizie della settimana su privacy e dintorni.


guidoscorza.it/perche-le-case-…



Domani a Milano, in Piazza Leonardo da Vinci, c'è depreDATI, l'evento rivolto a tutti i "non-specialisti", "non-geek", "non-maghi dell’informatica" che amano la propria privacy nel mondo digitale

@Etica Digitale (Feddit)

Sabato 7 Ottobre, al politecnico di Milano, @quinta :ubuntu: e @gualdo :privacypride: :cc: terranno #depreDATI, il laboratorio per difendersi dalla sorveglianza online:

🔐 depredati.eu

Il laboratorio si rivolge a non specialisti che hanno a cuore la propria privacy e che desiderano sottrarsi alla #profilazione delle Big Tech.

🔎L’obiettivo è informare sulle finalità anche non commerciali della profilazione; comprendere il grado dell’esposizione e suggerire i comportamenti da seguire, qua l'evento su mobilizon:

▶️QUI L'EVENTO SU MOBILIZON



Milano Digital Week - DepreDATI
Inizia: Sabato Ottobre 07, 2023 @ 9:30 AM GMT+02:00 (Europe/Rome)
Finisce: Sabato Ottobre 07, 2023 @ 12:30 PM GMT+02:00 (Europe/Rome)
DepreDATI è un laboratorio in cui si imparano e si condividono le <b>tecniche di difesa dalla sorveglianza digitale.</b></p><p>Si rivolge a tutti <b>coloro che hanno a cuore la propria privacy nel mondo digitale </b>e che<b> non vogliono essere profilati dalle Big Tech</b>. Si propone a non specialisti, non geek, non maghi dell’informatica, che vogliono riappropriarsi della loro vita digitale e non regalare la propria identità a chi ne trae profitto.</p><p>La progressiva privatizzazione di Internet da parte delle Big Tech ha costruito un’economia dal valore inimmaginabile. A ottobre 2022 la capitalizzazione dei GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) è stata stimata nell’ordine dei 7 triliardi di dollari, poco meno della metà del PIL di tutti i Paesi dell’Eurozona.</p><p>Uno dei principali fattori di questa economia è <b>la monetizzazione dei dati comportamentali degli utenti</b>. Gli utenti dei servizi Internet vengono costantemente profilati, e i loro profili, le loro identità digitali vengono venduti al migliore offerente; e gli acquirenti non sono solo fornitori di pubblicità, ma anche partiti politici ed enti governativi.</p><p>• DepreDATI – perché</p><p>DepreDATI intende <b>sviluppare consapevolezza sulla sorveglianza digitale</b>, perché crediamo che la divulgazione sia un valore. Il funzionamento e le tecniche del <b>capitalismo della sorveglianza </b>non sono di dominio pubblico ma impattano il dominio pubblico: per questo la divulgazione a un pubblico non specialistico è importante</p><p>• DepreDATI – come</p><p>L’approccio del laboratorio è concreto: spieghiamo e condividiamo <b>soluzioni per limitare la sorveglianza digitale </b>a livelli diversi, dai più semplici a quelli radicali su smartphone, tablet e PC.</p><p><b>Venue: Politecnico di Milano, Piazza Leonardo da Vinci 32, edificio 6 (dipartimento di chimica), Sala Pietro Pedeferri.</b>

in reply to Privacy Pride

bello. bene. ma...
...mi domando quanti "non geek" abbiano a cuore la propria privacy o quella dei propri cari/simili (o anche solo sapere cosa sia la privacy e cosa possa causare la non privacy).
Dovreste andare nelle medie e nelle superiori !! Ormai noi adulti ci siamo bruciati irriparabilmente...

Privacy Pride reshared this.

in reply to _aid_85_

@_aid_85_ c'è chi ama la privacy (femministe, persone lgbtqi+, sostenitori del diritto all'autodeterminazione, chi si preoccupa dei migranti) ma non lo sa.

Quanto all'invito, lo condividiamo in toto!

@quinta :ubuntu: @gualdo :privacypride: :cc:

Maronno Winchester reshared this.

in reply to _aid_85_

@_aid_85_
Ciao!

Grazie per il commento @_aid_85_

Credo che diffondere informazioni e consapevolezza possa aiutare tutti indipendentemente dall’età… in ogni caso portare depreDATI nelle scuole è qualcosa a cui pensiamo

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in reply to _aid_85_

@_aid_85_ personalmente avrei già inserito in tutti i programmi scolastici, di medie e superiori, ore per trattare un argomento che coinvolge sempre più persone…
in reply to Antony

@Antony bello ma difficile perchè "la scuola non ha risorse" (e credo sia ovvio che ne avrà sempre meno). Qualche incontro in alcune scuole qua e là mi sembra non certo idoneo ma più fattibile a oggi... magari alcuni dedicati anche agli insegnanti e ai presidi...


Che il ministro delle infrastrutture, ancora sotto processo in quanto accusato di sequestro di persona e abuso d'ufficio quando dirigeva il Viminale, oggi espon


#Scuola, dal 9 ottobre parte piano welfare per il personale scolastico e del Mim con sconti che andranno fino a un massimo del 30% su treni, aerei, negozi, agriturismi e mercati che aderiscono alle convenzioni sottoscritte tra Ministero, aziende e as…


Intesa Sanpaolo va in orbita con Musk. L’investimento in SpaceX


Intesa Sanpaolo chiama Elon Musk. Con una nota l’Istituto ha annunciato di investire in SpaceX, “in coerenza con il Piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei principali pilastri” che “ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di par

Intesa Sanpaolo chiama Elon Musk. Con una nota l’Istituto ha annunciato di investire in SpaceX, “in coerenza con il Piano d’Impresa 2022-2025 che fa dell’innovazione uno dei principali pilastri” che “ha riconosciuto al settore aerospaziale un ruolo di particolare rilievo nello sviluppo delle economie mondiali”. Perciò, la più grande banca italiana ha deciso di affidarsi a “un player che ha dimostrato una visione d’avanguardia del prossimo futuro”.

Nel comunicato, seguono poi i successi dell’azienda californiana. “È l’unica azienda privata capace di lanciare in orbita e riportare a terra un veicolo spaziale. Nel 2012, Dragon è stato il primo veicolo spaziale commerciale a consegnare un cargo per e dalla Stazione Spaziale Internazionale e nel 2020 è stata la prima compagnia privata a trasportare delle persone nella medesima stazione. Il suo 9”, inoltre, “è tuttora il primo e l’unico modulo spaziale riutilizzabile. Questo permette a SpaceX di riutilizzare le componenti più costose del veicolo, riducendo quindi i costi di accesso ai viaggi spaziali”. Siglarci una partnership, dunque, appare naturale.

A quanto ammonti l’investimento non è chiaro, visto che Intesa Sanpaolo non ha proferito parola in merito. Detto ciò, vista la solennità della comunicazione, va da sé che si tratti di una somma considerevole. Per i dettagli dell’accordo ci sarà dunque tempo, ma non serve molto per comprendere perché SpaceX sia un partner centrale per la strategia dei grandi attori internazionali che intendono investire nel futuro.

Il progetto Starship è infatti uno dei fiori all’occhiello della società di Musk. Si tratta di una nuova generazione di veicoli spaziali di lancio riciclabili, ma non per questo saranno inferiori agli altri. Saranno invece i più potenti mai realizzati, con l’intenzione di trasportare esseri umani su Marte o altri lidi del sistema solare. L’altro grande progetto è quello di Starlink, che garantisce la connessione a Internet a cinquanta Paesi in tutto il mondo tramite quattromila satelliti – molto utile quindi per i Paesi in via di sviluppo che non hanno le infrastrutture adatte o per le operazioni militari, come quelle degli ucraini.

Non a caso, a investire in SpaceX è stato anche il Pentagono. Il primo contratto da 70 milioni di dollari per Starship è stato siglato lo scorso primo settembre e “prevede il servizio end-to-end tramite la costellazione Starlink, terminali utente, apparecchiature ausiliarie, gestione della rete e altri servizi correlati”, ha riferito alla Cnbcla portavoce della Space Force, Ann Stefanek. L’accordo segue quello raggiunto a inizio giugno sempre tra la Difesa americana e l’azienda del magnate di Pretoria sui satelliti Starlink. Anche in quell’occasione, per ragione di sicurezza e riservatezza non sono stati rilasciati dettagli ma gli strumenti sarebbero stati inviati in Ucraina – probabilmente era il modo di Washington per venire incontro alle richieste di Musk, che aveva annunciato di non voler più aiutare Kiev fornendole il suo servizio gratuitamente.

Scontato che anche la Nasa si sia appoggiata al know-how di SpaceX. D’altronde, le due parlano la stessa lingua. L’obiettivo è incrementare le missioni lunari Artemis, così da ottenere nel giro di pochi anni un servizio di trasporto a pieno regime. Nel 2021 l’accordo con Musk prevedeva una missione esplorativa a partire dal 2025, ma non è l’unico. SpaceX ha infatti siglato diversi contratti pubblici, che l’hanno fatta diventare un punto di riferimento per la Nasa e per il Dipartimento di Difesa a stelle e strisce. Nell’agosto scorso di un anno fa, ad esempio, si era arrivati a una collaborazione per trasportare carichi militari su satelliti di SpaceX, per farli arrivare in tutto il mondo in tempi rapidissimi.

Per cogliere le sfide del futuro bisogna giocoforza affidarsi a chi ha come obiettivo ultimo quello di modellarlo. SpaceX è uno di questi attori e anche l’alta finanza italiana sembra averlo capito.


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“Internet Festival – Artificial Law#1 “


“Dobbiamo educare le persone a scegliere servizi e applicazioni di AI anche in considerazione di quanto siano rispettosi dei loro diritti e delle loro libertà


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Manovre russe nel Mediterraneo. L’ultimo sottomarino lascia il Mare nostrum


Durante la fase dei preparativi per l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia aveva radunato tre sottomarini classe Kilo aggiornata nel Mediterraneo. Uno di questi è stato spostato nel Mar Nero giorni prima dell’aggressione, lasciandone due ne

Durante la fase dei preparativi per l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia aveva radunato tre sottomarini classe Kilo aggiornata nel Mediterraneo. Uno di questi è stato spostato nel Mar Nero giorni prima dell’aggressione, lasciandone due nel Mediterraneo e quattro nel Mar Nero (più un Kilo più vecchio). Così è stato fino a settembre 2022, quando nel Mediterraneo è stato lasciato soltanto il Krasnodar (B-265).

Ora anche quest’ultimo sembra essere in partenza per il Mediterraneo, rivela l’esperto H I Sutton che ha notato come il sottomarino stia navigando in superficie con un rimorchiatore di supporto, il Sergey Balk. Questi movimenti sono coerenti con i trasferimenti a lunga distanza di questi sottomarini, scrive l’analista secondo cui il Krasnodar potrebbe ora lasciare il Mediterraneo e virare verso Nord, attraversando il Canale della Manica per dirigersi verso il Baltico. Così, la Russia non avrà più sottomarini della classe Kilo nel Mediterraneo, a causa, probabilmente, della mancanza di strutture per la manutenzione.

***UPDATE***
Here-> t.co/ZgpXaIZXCs#OSINT: Russia’s Last KILO Class Submarine Leaving Mediterranean. This will bring the submarine force based there to zero.

Would write more but new limit?
Nod @detresfa_ pic.twitter.com/uxQG37eUeB

— H I Sutton (@CovertShores) October 6, 2023

È possibile, però, continua H I Sutton, che un altro Kilo venga inviato nel Mediterraneo o che i sottomarini nucleari vi operino occasionalmente. La Russia ha già utilizzato un sottomarino a propulsione nucleare, probabilmente un Ssgn della classe Severodvinsk, l’anno scorso. Finora questi sottomarini hanno operato solo per un breve periodo, non essendo basati a Tartus, in Siria. come i Kilo.

Questi sono sottomarini diesel-elettrici di epoca sovietica che per mantenere un minimo standard di funzionamento sono stati sottoposti a macchinosi processi di aggiornamento. Testimonianza di come la deterrenza russa sia basata sulla narrazione più che sull’efficienza ed efficacia operativa reale.


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Radio Alhara. La Palestina fa rete con il mondo


Nella New Orleans degli anni '10, il jazz era il linguaggio della resistenza per gli afro-americani. Nella stessa tradizione, la musica della Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l'oppressione politica. L'artico

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Di Micol H. Meghnagi –

Pagine Esteri, 6 ottobre 2023È una domenica di settembre. Accovacciati davanti a una consolle, Elias e Yousef Anastas muovono i piatti, preparando il mix e regolando le atmosfere del brano ambient in diretta su Radio Alhara. Siamo al Wonder Cabinet, hub culturale alle porte del check-point 300 che divide Gerusalemme da Betlemme. Un progetto a firma dei fratelli Anastas, che ospita al suo interno anime molteplici, tra cui la prima casa fisica di Radio Alhara.

Era il momento dei lockdown in tutto il mondo, e sei amici decidono di dare vita ad una «communal radio», ovvero una stazione nata «dal basso» e basata sul desiderio di condividere musica e contenuti. I co-fondatori di Radio Alhara si sono incontrati sul dancefloor. La comunità culturale e musicale palestinese è il luogo in cui Elias e Yousef – che sono entrambi architetti e gestiscono insieme uno studio di architettura – hanno incontrato Yazan Khalil, già direttore del Khalil Sakakini Center, un’istituzione artistica e culturale di Ramallah. Ad Amman, i graphic designer Saeed Abu Jaber e Mothanna Hussein, hanno conosciuto il sound designer Ibrahim Owais, alle feste da loro organizzate. È stata l’esposizione di sedie progettate da Elias e Yousef presso lo studio di design di Saeed e Mothanna a far nascere l’amicizia tra i co-fondatori e la successiva formazione della stazione.

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Radio Alhara nasce quasi per gioco, su base volontaria e senza un vero e proprio progetto politico alle spalle. « Ci siamo ispirati ad una web radio di Beirut a cui abbiamo chiesto una mano per imparare a trasmettere, ma anche all’esperienza di Radio Quartiere nata a Milano nello stesso anno » – raccontano Elias e Yousef, co-fondatori di Radio Alhara. « Nel sito abbiamo inserito la possibilità di chattare e questo ha creato una comunità che ascoltava musica e allo stesso tempo interagiva. Essere online ha reso globale la dimensione di questo luogo digitale. La radio è uno spazio pubblico che appartiene a tutti. Oggi è una comunità di oltre 300 persone, da Tokyo a New York, passando per Betlemme», spiega Elias. Al Hara, in arabo, quartiere, è riuscita a penetrare in ogni angolo del mondo, con i suoi programmi in arabo, inglese, italiano, francese e una cartella Dropbox che invita chiunque a caricare un programma per la trasmissione.

Radio Alhara è diventata con il tempo anche uno spazio per le voci soppresse. Durante il movimento Black Lives Matter e l’uccisione di George Floyd, Radio Alhara ha risposto alla chiamata internazionale per un blackout delle trasmissioni. Dopo questa esperienza, è stata la volta della raccolta fondi per Beirut in seguito all’esplosione al porto, poi in solidarietà con le rivolte iraniane, con il Marocco e la Libia per il recente terremoto, e per la situazione in Palestina. «Nel 2020 abbiamo dato vita a Fil MishMish per rispondere al piano di Israele del 2020 di annettere altre terre della Cisgiordania. Una campagna di protesta online che ha portato 20.000 persone ad ascoltare la radio durante i tre giorni di lineup. Una manifestazione straordinaria di solidarietà sotto l’ombrello del rifiuto di ogni forma di violenza. Quando nel 2021, con i fatti avvenuti a Sheikh Jarrah sono stati censurati migliaia di account di palestinesi, abbiamo stretto una collaborazione con numerose web radio per creare quello che è diventato il Sonic Liberation Front: una programmazione gemella in tutte le emittenti in solidarietà con la Palestina».

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Ibrahim Owais, sound producer e co-fondatore di Radio Alhara. Foto di Micol H Meghnagi e Luca Bonaventura, Betlemme, luglio 2023

Lo spazio sociale della musica e della danza è stato storicamente un luogo di resistenza sociopolitica. A New Orleans negli anni Dieci del Novecento, il jazz è stato il linguaggio della resistenza per gli afroamericani, che hanno usato la musica per costruire collettivamente una cultura e un movimento nonostante i tentativi di sopprimerla. A Detroit, nei primissimi anni Novanta, la musica techno diventa un antidoto contro il conformismo delle istituzioni ed il loro distacco dalle reali esigenze dei popoli. Un sistema oppressivo radicalmente attaccato dalle note degli Underground Resistance in dischi come Riot Ep, Revolution For Change e Message To The Major. Nella stessa tradizione, la comunità musicale e culturale in Palestina, attraverso Radio Alhara, si dichiara uno spazio di resistenza contro l’oppressione politica, dove si è liberi nonostante le crescenti restrizioni dovute all’occupazione militare israeliana e alle repressioni interne per mano dell’Autorità Palestinese.

Radio Alhara si affida a una rete di stazioni radiofoniche in tutto il mondo che Elias descrive come una forma di «solidarietà strutturale». Le stazioni sorelle di Radio Alhara, che comprendono stazioni online indipendenti in quasi tutti i continenti, trasmettono a turno la programmazione giornaliera dell’emittente per aiutarla a raggiungere un pubblico globale più ampio, massimizzando l’ascolto attraverso un effetto domino. La visibilità della radio è stata favorita anche dal sostegno di artisti di fama mondiale. Il compositore e musicista cileno-americano Nicolas Jaar ha contribuito alla campagna Sonic Liberation Front eseguendo composizioni inedite e recitando un monologo dal vivo su come la disuguaglianza nell’accesso all’acqua sia stata un mezzo fondamentale di segregazione in Israele e Palestina. La popolarità di Jaar come musicista ha attirato alla sua trasmissione persone non informate sulla condizione in cui verte la Palestina. In altre parole, «usare il vettore della cultura e della musica per rivolgersi a un pubblico vario e diversificato funziona», conclude Yousef.

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Un’ora di ambient selezionato dai fratelli Anastas è seguita da una discussione tra i ricercatori Nora Akawi e Khyam Allami sulla sfida ai pregiudizi occidentali insiti nei software di produzione musicale. Il venerdì successivo, gli spettacoli passano da un pezzo di minimal techno libanese e una lettura di opere del romanziere tuareg Ibrahim Al-Koni. L’ibridazione di cultura, musica e arte di Radio Alhara confluisce anche nel mondo fisico, attraverso lo studio di architettura dei fratelli Anastas, AAU Anastas.

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Inaugurazione di Wonder Cabinet, Betlemme, maggio 2023. Foto di Micol H. Meghnagi e Luca Bonaventura

Il loro ultimo progetto, il Wonder Cabinet, inaugurato di recente a Betlemme, si pone come obiettivo quello di restituire voce alla scena artistica locale e internazionale nella Cisgiordania occupata. Tra i suoi spazi aperti, i dj mixano abilmente una gamma di musica che va dal jazz all’afro-punk. Ecco il marchio «Al Hara»: la capacità dei residenti della stazione di esibirsi in un quartiere immaginario o reale, che incoraggi con fervore la libertà di espressione. Queste note sono metafore potenti dell’idea che un giorno questo stesso tipo di libertà sarà raggiunto anche per la Palestina. Pagine Esteri

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Il Pakistan è (di nuovo) nelle mani dell’esercito


Il Pakistan è (di nuovo) nelle mani dell’esercito Khan Bhutto Sharif
La sempre più evidente presenza dell'esercito in politica è di nuovo la normalità, in Pakistan. La crisi della democrazia pakistana (della quale Imran Khan è più che un complice) è ormai cronica.

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In Cina e Asia – Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina


In Cina e Asia – Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina tibet
I titoli di oggi: Forum sul Tibet. Wang Yi difende l’integrità territoriale della Cina Il settore delle auto elettriche cinesi continua a crescere, nonostante le perdite He Lifeng, lo zar della diplomazia economica cinese Semiconduttori, cala la quota di Taipei e cresce il vantaggio di Pechino Spazio, la Cina vuole espandere la stazione Tiangong Ieri, in occasione di un forum ...

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“Internet Festival – Artificial Law#1 “


Dalle 11.30 parteciperò all’ Internet Festival nel panel Artificial Law#1 per parlare di diritti della persona, ai generativa e Chat Gpt con Stefano Da Empoli Carlo Rossi Chauvenet e la moderazione di Federica Meta. qui tutte le informazioni relative all’evento internetfestival.it/programma/…


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PRIVACYDAILY


N. 177/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: L’ente olandese per la tutela della privacy AP ha avvertito che le nuove norme che impongono alle sex workers di registrasi potrebbero portare a un aumento dello sfruttamento e del traffico di esseri umani. La nuova legislazione conferisce ai consigli locali il potere di istituire un registro delle... Continue reading →



Meloni usa Brunetta per dire no al salario minimo. Chi può prendere sul serio un parere del genere? Mentre la Corte Suprema di Cassazione con una sentenza stor


Chi è il gen. Iannucci, nuovo capo di Gabinetto di Crosetto


Il generale di corpo d’armata Giovanni Maria Iannucci, paracadutista dell’Esercito, ha assunto il nuovo ruolo di capo di Gabinetto del ministro della Difesa, in una cerimonia svolta presso il Circolo ufficiali delle Forze armate, a pochi passi dalla sede

Il generale di corpo d’armata Giovanni Maria Iannucci, paracadutista dell’Esercito, ha assunto il nuovo ruolo di capo di Gabinetto del ministro della Difesa, in una cerimonia svolta presso il Circolo ufficiali delle Forze armate, a pochi passi dalla sede del ministero a Palazzo Baracchini, alla presenza del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il generale Iannucci, fino a maggio al comando della missione Nato in Iraq, sostituirà il generale dell’Aeronautica Antonio Conserva, destinato ad assumere il ruolo di comandante del Comando logistico dell’Arma azzurra. Durante il suo mandato da capo di Gabinetto della Difesa, tra l’altro, il generale Conserva si era trovato a gestire momenti anche molto drammatici per la sicurezza del Paese, dall’emergenza Covid, l’operazione “Aquila Omnia” dall’Afghanistan fino all’aggressione della Russia all’Ucraina.
“Grazie al generale Conserva per il prezioso servizio prestato alla Difesa e alle istituzioni in un particolare momento storico e geopolitico internazionale”, si è rivolto il ministro Crosetto al generale uscente nel corso del suo intervento, a margine del rituale passaggio di consegne tra i due generali, con uno scambio di auguri di buon lavoro.

IL CURRICULUM

Il generale Iannucci ha iniziato e svolto la sua carriera come paracadutista dell’Esercito italiano accumulando diverse e molteplici esperienze operative. Promosso generale di brigata, ha prestato servizio come capo Reparto operazioni presso il Comando operativo di vertice interforze (Covi), e capo del III reparto Politica militare e Pianificazione dello Stato maggiore della Difesa. Tra gli incarichi internazionali, il generale Iannucci è stato fino a maggio il comandante della missione Nato in Iraq (Nmi), nella cui veste aveva accolto il ministro Crosetto nel corso della sua ultima visita a Baghdad a maggio. Prima di assumere il ruolo di capo di Gabinetto, il generale Iannucci era comandante delle Forze operative Sud, uno dei comandi di vertice, operativi e territoriali, dell’Esercito italiano, da cui dipendono cinque brigate dell’esercito (“Granatieri di Sardegna”, “Aosta”, “Pinerolo”, “Sassari”, e bersaglieri “Garibaldi”).


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SIRIA. 100 morti per attacco terroristico con drone durante cerimonia di consegna dei diplomi


Un drone ha causato una strage durante la consegna dei diplomi ai cadetti dell'Accademia militare di Homs L'articolo SIRIA. 100 morti per attacco terroristico con drone durante cerimonia di consegna dei diplomi proviene da Pagine Esteri. https://paginee

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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. All’interno dell’Accademia militare di Homs, in Siria, si stava svolgendo oggi la cerimonia della consegna dei diplomi ai cadetti, quando un drone ha causato una strage.

Sarebbero almeno 100 i morti e più di 120 i feriti, trasportati in diversi ospedali della zona.

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L’Accademia si trova a 140 chilometri a nord di Damasco. Il numero dei morti pare, purtroppo, destinato a salire, considerando le condizioni critiche di molti feriti. Tra le vittime donne e bambini, civili che partecipavano alla cerimonia.

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Mosca avrà una base navale in Abkhazia


Mosca costruirà una base militare in un porto dell'Abkhazia, una ex repubblica autonoma della Georgia resasi indipendente con l'aiuto russo. A Mosca serve un'alternativa a Sebastopoli, presa di mira dagli ucraini L'articolo Mosca avrà una base navale in

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di redazione

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – La Federazione Russa vuole realizzare in tempi brevi una base navale permanente sulla costa del Mar Nero nell’ex repubblica autonoma georgiana dell’Abkhazia.

L’Abkhazia è una delle due regioni separatiste della Georgia – l’altra è l’Ossezia del Sud – che Mosca ha riconosciuto come stati indipendenti nel 2008, a seguito di una breve guerra durante la quale le forze locali, sostenute dall’esercito russo, hanno sbaragliato le truppe georgiane che avevano attaccato Sukhumi dopo uno scontro tra i due schieramenti. Ma pur rimanendo ferma nel suo impegno come alleato della Russia, l’Abkhazia ha finora rifiutato l’idea di poter essere annessa alla Russia e insiste sul mantenimento della sua sovranità.

L’Abkhazia e la Russia hanno comunque già firmato un accordo e la nuova base militare russa sorgerà nel distretto di Ochamchira, ha detto Aslan Bzhania, presidente del territorio resosi indipendente da Tbilisi agli inizi degli anni ’90, in un’intervista pubblicata oggi dal quotidiano russo Izvestiya. L’annuncio è giunto dopo che nella giornata di ieri ieri Bzhania ha incontrato il leader russo Vladimir Putin.

«Tutto ciò mira ad aumentare il livello di capacità di difesa sia della Russia che dell’Abkhazia, e questo tipo di cooperazione continuerà» ha affermato Bzhania.

La notizia sulla nuova base navale arriva dopo che il Wall Street Journal ha riferito che il Cremlino ha ritirato una parte importante della sua flotta militare del Mar Nero dalla sua base principale in Crimea. Citando funzionari occidentali e immagini satellitari, il giornale ha scritto che la Russia ha spostato due sottomarini e tre fregate da Sebastopoli – presa pesantemente di mira dall’Ucraina con missili britannici che riescono a bucare le difese aeree russe nella penisola – verso altri porti che «offrono una migliore protezione».

Recenti attacchi ucraini hanno colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero a Sebastopoli e distrutto una nave anfibia e un sottomarino. – Pagine Esteri

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“Internet Festival “


Domani dalle 11.30 avrò il piacere di partecipare all’ Internet Festival nel panel Artificial Law#1 per parlare di diritti della persona, ai generativa e Chat Gpt con Stefano Da Empoli Carlo Rossi Chauvenet e la moderazione di Federica Meta.


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MIGRANTI. Ong: “Rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia”


Le Organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti dei minorenni migranti sono profondamente preoccupate dalle scelte del Governo nel Decreto-legge immigrazione e sicurezza L'articolo MIGRANTI. Ong: “Rispettare la Convenzione Onu sui diritti dell’infan

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Pagine Esteri, 5 ottobre 2023. Chiunque abbia meno di 18 anni è un minorenne e ha diritto a vivere e ad essere protetto e accolto come tale, difeso dai rischi di abusi, sostenuto nel proprio sviluppo. Senza condizioni e senza distinzioni. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non fa alcun distinguo: siano italiani o stranieri, maschi o femmine, con o senza documenti, i minorenni sono tutti uguali davanti al diritto internazionale, come per la nostra Costituzione e il nostro diritto interno.

Per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che abbiano meno di 18 anni, nessuno escluso, la stessa Convenzione, la più firmata al mondo e parte integrante del nostro diritto pubblico inviolabile di rango costituzionale, prevede un’accoglienza in affidamento in famiglia o in strutture loro dedicate, mai in promiscuità con adulti e certamente non in sezioni di centri destinati a questi ultimi, dei quali peraltro è nota la realtà di profonda inadeguatezza per un minorenne. Ogni trattamento differenziato di chi “ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni” come affermato dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri che il 27 settembre scorso ha approvato il Decreto-legge immigrazione e sicurezza, va incontro al fortissimo rischio di produrre discriminazioni tra minorenni italiani e stranieri e di porsi in drammatico contrasto con il principio del rispetto del superiore interesse del minore.

La determinazione dell’età, sulla quale il dibattito pubblico, spesso in maniera imprecisa e sommaria, si è soffermato nelle scorse settimane, ha tra i suoi scopi quello fondamentale di scongiurare il rischio che un/a minorenne venga per errore considerato/a un adulto/a. A questo tendono le procedure previste dalla L. 47/2017, attivabili soltanto in caso di fondato dubbio delle autorità sulle dichiarazioni dell’interessato, e i principi fondamentali su cui esse si basano: la presunzione di minore età, il margine di errore e l’applicazione di metodologie multidisciplinari che possono essere applicate, con gradualità e la minore invasività possibile e sempre in seguito a una puntuale, necessariamente preventiva, autorizzazione scritta e motivata della magistratura minorile. Lo scopo è scongiurare un nefando errore che possa portare un minorenne ad essere espulso o detenuto in spregio alle norme italiane, europee e internazionali.

Il testo delle norme adottate dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile, né è stato condiviso con chi, nella società civile, da decenni si occupa dei migranti bambini, bambine e adolescenti che arrivano in Italia. Tali norme, stando a quanto descritto dal comunicato stampa e illustrato in conferenza stampa dal Governo, vanno in senso nettamente opposto rispetto ai principi enunciati e rischiano di minare alle fondamenta le norme esemplari della L. 47, adottate nel 2017 ad ampia maggioranza parlamentare. Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, aspetti quali il mancato riferimento al fondato dubbio, la mancanza di previa autorizzazione scritta della magistratura minorile e del tutore, e l’applicazione di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici” disposti direttamente dalle forze di pubblica sicurezza, con successiva espulsione di chi, secondo questa procedura, fosse dichiarato erroneamente maggiorenne, aprono le porte a un destino rischioso e di possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.

Questo, per chiunque abbia a cuore la cura e la tutela di bambini e adolescenti, è inaccettabile.

L’Italia si è più volte distinta per l’attenzione ai minorenni, al centro della nostra civiltà e cultura giuridica, e per un generale approccio di tutela verso i piccoli e più giovani migranti, testimoniato ogni giorno da migliaia di tutori e tutrici volontarie, da famiglie affidatarie, attivisti, associazioni e da altre piccole e grandi comunità che più volte si sono strette a incoraggiare, supportare e proteggere i minori non accompagnati nei momenti più difficili.

Per la prima volta dalla sua adozione nel 2017, un Governo della Repubblica ha deciso di intaccare lo scrigno di protezione rappresentato dalla L. 47, senza peraltro chiarire quali siano i dati reali del presunto allarme, che a nessuna delle Organizzazioni firmatarie risulta, rispetto ad abusi diffusi della dichiarazione di minore età. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante l’Italia sia stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver collocato minorenni migranti in centri per adulti e aver condotto procedure di accertamento dell’età senza garanzie procedurali sufficienti.

Tutto questo ci rattrista profondamente, ci lascia attoniti. Tuttora la nostra fiducia nei principi costituzionali ci impedisce di credere che avremo a breve un testo di legge che consenta a un minore ultra16enne di permanere in un centro per adulti solo perché non italiano. E che sottoponga ragazzini e ragazzine, loro malgrado senza documenti, a esami non caratterizzati da quel rigore e da quelle garanzie che il nostro ordinamento e tutte le norme e gli standard europei e internazionali vigenti riservano a ogni minorenne in qualsiasi procedura lo riguardi.

Poiché il nostro lavoro è improntato alla fiducia e alla determinazione, ci impegneremo, in dialogo con tutte le istituzioni coinvolte, affinché ciò non avvenga. Non ne va soltanto del destino concreto di migliaia di adolescenti che già molto hanno sofferto, ma dello stesso concetto di protezione del minorenne in quanto tale nel nostro ordinamento, e quindi della tutela complessiva di chi rappresenta il futuro del paese.

Ai.Bi.

Amnesty International Italia

ASGI – Associazioni per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Caritas Italiana

Centro Astalli

CeSPI ETS

Cir Onlus – Consiglio Italiano per i rifugiati

CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

CISMAI

Cooperativa CIDAS

Cooperativa CivicoZero

Defence for Children International Italia

Emergency ONG

Oxfam Italia

INTERSOS

Salesiani per il Sociale APS

Save the Children Italia

SOS Villaggi dei Bambini

Terre des Hommes Italia

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Attentato suicida in Turchia. Esplosione vicino al parlamento


Il parlamento avrebbe dovuto riunirsi nel primo pomeriggio. Alla seduta avrebbe partecipato anche il presidente Erdogan L'articolo Attentato suicida in Turchia. Esplosione vicino al parlamento proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2023/10/0

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Pagine Esteri, 1 ottobre 2023. Nella mattinata di domenica, intorno alle 9.30 locali, una forte esplosione è stata avvertita nei pressi del parlamento turco, ad Ankara, vicino alla sede del Ministero dell’interno.

Proprio il ministro dell’interno, Ali Yerlikaya, ha dichiarato che due persone hanno tentato di compiere un attentato facendo esplodere un ordigno portato con un furgone all’interno dell’area che ospita diversi edifici e sedi governative. L’esplosione, effettivamente avvenuta, ha causato la morte di uno degli attentatori. L’altra persona coinvolta nell’attacco sarebbe poi stata uccisa dalle forze di sicurezza. Colpi di arma da fuoco sono stati uditi subito dopo l’esplosione.

Due agenti di polizia sono stati feriti e trasportati in ospedale. Le loro condizioni non sembrano gravi.

Nel primo pomeriggio di oggi il parlamento si sarebbe dovuto riunire per una seduta alla quale avrebbe dovuto partecipare anche il presidente Recep Tayyip Erdogan.

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Etiopia, la normalizzazione dell’ingiustizia per il Tigray


L’Europa ha preso la decisione ben porecisa secondo volontà politiche, di soprassedere, di non tutelare i diritti umani e la giustizia per le centinaia di migliaia di vittime che ha creato la guerra genocida in Tigray, Etiopia. La guerra (4 novembre 2020,

L’Europa ha preso la decisione ben porecisa secondo volontà politiche, di soprassedere, di non tutelare i diritti umani e la giustizia per le centinaia di migliaia di vittime che ha creato la guerra genocida in Tigray, Etiopia.

La guerra (4 novembre 2020, 2 novembre 2022) ha portato a stimare 800.000 morti, 120.000 stupri come vendetta sul popolo tigrino, attività di pulizia etnica, morti per fame come conseguenza del blocco alimentare umanitario prima e dopo la fine della guerra (le persone stanno morendo ancora oggi, il Tigray è ancora occupato dalla presenza amhara ed eritrea, gli abusi e le violenze sono in atto e sono presenti più di 1 milione di sfollati interni.Il sistema sanitario ancora oggi in grave crisi, è stato distrutto fin dal’inizio per l’80% a livello regionale. Campi, bestiame e raccolti, bruciati, distrutti e saccheggiati per affamare i civili.

Se tali numeri li paragoniamo ai poco più di 6 milioni di persone in Tigray (tra cui Irob e Kunama, minoranze etniche a ricschio) si può comprendere che la guerra di 2 anni è stata talmente micidiale per il popolo tigrino che si potrebbe categorizzare in un vera e propria volontà di sterminio della popolazione civile, genocidio.


Approfondimento: Etiopia, USA ed Europa hanno già scelto le sorti per la giustizia e le vittime della guerra genocida in Tigray


Il team di esperti di diritti umani delle Nazioni Unite è stato istituito nel dicembre 2021 (1 anno dopo che era iniziata la guerra in Tigray) per indagare i crimini di guerra e contro l’umanità in cui sono coinvolte tutte le forze. Da allora il team ICHREE, ha pubblicato 2 rapporti.

Nel primo report ha concluso che tutte le forze avevano commesso abusi durante la guerra in Tigray, alcuni come crimini di guerra. Il documento sentenziava anche che il governo etiope ha usato la fame come arma di guerra limitando l’accesso umanitario alla regione di oltre 6 milioni di persone, mentre erano in conflitto contro le forze tigrine.

Il secondo report, pubblicato nel settembre 2023 è stato affermato che il processo nazionale etiope per la giustizia di transizione (come punto fondante dell’accordo di tregua firmato a Pretoria il 2 novembre 2022) “è ben al di sotto” degli standard africani e nazionali.

Esistono lacune a livello normativo e di legge etiope che non permettono di giudicare crimini gravi come quelli di guerra e contro l’umanità e cosa non meno importante: nel contempo è da sottolineare che è lo stesso governo implicato nei crimini ada aver creato e a gestire il processo di giustizia di transizione.


Approfondimento: Etiopia, Perseguire Crimini Contro l’Umanità: Dov’é La Legge?


La commissione ONU verteva proprio sul fatto di una indipendenza nel processo di indagine per scongiurare proprio questi conflitti d’interessi: il team ha subìto vari tentativi da parte del governo etiope di essere fermato, dal blocco all’accesso alle aree di guerra a tentativi più formali in sedi internazionali tramite il voto anche degli alleati, come l’Eritrea.

Queste indagini sostenute dalle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani in Etiopia è destinata a scadere dopo che nessun Paese si è fatto avanti per chiedere una proroga, nonostante i ripetuti avvertimenti che gravi violazioni continuano a quasi un anno da quando il cessate il fuoco ha posto fine a una sanguinosa guerra civile. nel paese dell’Africa orientale.

Mentre l’Unione Europea conduceva i colloqui sulla questione, alla fine, non è stata presentata alcuna risoluzione per estendere il mandato della Commissione internazionale indipendente di esperti sui diritti umani sull’Etiopia – ICHREE, prima della scadenza del termine mercoledì al Consiglio dei diritti umani a Ginevra.

L’indagine verrà quindi sciolta alla scadenza del suo mandato questo mese.


Martedì 3 ottobre 2023 gli esperti della commissione hanno quasi implorato il consiglio di estendere l’indagine, avvertendo che le atrocità continuano nel Tigray, la provincia più settentrionale dell’Etiopia martoriata dalla guerra.

Tirana Hassan, direttore esecutivo di HRW – Human Rights Watch, ha affermato che:

“I membri dell’Unione Europea hanno abdicato alla loro responsabilità di garantire un controllo internazionale sui gravi abusi in Etiopia non rinnovando la commissione di esperti.

Per le numerose vittime delle atrocità commesse in Etiopia che riponevano le loro speranze nella Commissione, questo è un colpo devastante.”


Un diplomatico di un paese dell’UE, come riporta AP – Associated Press, ha riconosciuto che il blocco ha accettato di non presentare una risoluzione e ha invitato il governo etiope a istituire meccanismi “robusti, indipendenti, imparziali e trasparenti” per promuovere la giustizia di transizione alla luce dell’“estrema gravità dei crimini”. ” e violazioni dei diritti in Etiopia.

Secondo AP, il diplomatico ha aggiuto in condizione di anonimato:

“Ci aspettiamo progressi rapidi e tangibili nei prossimi mesi. La mancanza di progressi potrebbe mettere a repentaglio la graduale normalizzazione delle relazioni tra l’UE e l’Etiopia”.


Di tutt’altro parere e approccio alla luce del sole l’Europa, visto che i leader europei si sono ben mossi per salvaguardare la tutela delle proprie risorse e status quo in e con l’Etiopia grazie al rafforzamento di quelli che dai politicanti e governanti vengono definiti “rapporti di cooperazione internazionale” per “stabilità” e “sviluppo economico”.

Basti ricordare che martedì 3 ottobre 2023 l’Unione Europea ha annunciato un pacchetto di aiuti da 650 milioni di euro (680 milioni di dollari) per l’Etiopia, il primo passo del blocco verso la normalizzazione delle relazioni con il paese, nonostante le precedenti richieste di responsabilità sui crimini di guerra e contro l’umanità.

La stessa Italia per dichiarazione pubblica del Min. Esteri Antonio Tajani, ha dichiarato volontà politica di rafforzamento cooperazione con governi dell’ Etiopia e dell’ Eritrea.
Antonio Tajani, Ai Ministri degli Esteri Etiopia Eritrea Somalia ho confermato l'impegno del Governo a rafforzare cooperazione con i Paesi del Corno d'AfricaAntonio Tajani, Ai Ministri degli Esteri Etiopia Eritrea Somalia ho confermato l’impegno del Governo a rafforzare cooperazione con i Paesi del Corno d’Africa
Volontà politiche globali precise dedite al rafforzamento per perseguire il capitalismo a discapito di tutto il resto, anche della tutela della giustizia e delle vittime.

I critici hanno denunciato l’inazione del consiglio dei 47 paesi membri.


L’indagine delle Nazioni Unite è stata l’ultima grande indagine indipendente sulla guerra del Tigray, che ha ucciso centinaia di migliaia di persone ed è stata segnata da massacri, stupri di massa e torture.

Come la commissione ICHREE, anche a giugno 2023, l’Unione Africana ha abbandonato la propria indagine sulle atrocità e crimini della guerra in Tigray, dopo ampie pressioni da parte dell’Etiopia.

Laetitia Bader, direttrice del Corno d’Africa presso Human Rights Watch, ha affermato che il mancato rinnovo del mandato consente in sostanza all’Etiopia di abbandonare l’agenda del Consiglio e equivale a:

“Un feroce atto d’accusa contro l’impegno dichiarato dell’UE nei confronti della giustizia.

È l’ennesimo duro colpo per le innumerevoli vittime di crimini atroci che hanno riposto la loro fiducia in questi processi.”


La stabilità a lungo termine di una società e di un Paese si ottiene tutelando i diritti fondamentali degli individui e la giustizia. Senza le persone la società non esiste. La stabilità economica è un castello di carte e le persone non mangiano soldi.

Da non dimenticare una questione ancora aperta


Una questione ancora aperta, ma per la quale c’è già chi indaga per trasparenza e giustizia, è che accordi e in che termini il premier etiope Abiy Ahmed Ali ha preso con l’occidente per riuscire a bloccare le investigazioni sulle violazioni e abusi dei diritti umani in Etiopia.


Approfondimenti:


tommasin.org/blog/2023-10-05/e…



In Cina e in Asia – Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù


In Cina e in Asia – Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù 9611401
I titoli di oggi:

Le mire della Cina sulle infrastrutture del Perù
Alibaba nel mirino dei servizi del Belgio per spionaggio
La Cina guadagna spazio nell’Artico
A quanto ammonta la corruzione dei funzionari cinesi?
Sui social network cinesi sempre più giovani usano l’alias “momo”
Arrestati due giornalisti della redazione indiana di NewsClick
I produttori di armi dell’Indonesia riforniscono di armamenti il Myanmar
Sparatoria in Thailandia: il governo vuole regolamentare il possesso delle armi da fuoco

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Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo di Armenia


Russia e UE hanno tollerato la riconquista dell'Artsakh da parte delle truppe azere. Ma Erdogan e Aliyev vogliono il sud dell'Armenia per proiettare la propria potenza dal Mediterraneo all'Asia centrale L'articolo Turchia e Azerbaigian vogliono un pezzo

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 5 ottobre 2023 – Russia e occidente continuano a rimpallarsi le responsabilità per l’ennesima tragedia nel Caucaso.
Per Mosca, la colpa della disfatta degli armeni sarebbe da addebitare al governo armeno guidato da Nikol Pashinyan, che avrebbe tradito la Russia per cercare il sostegno della Nato e dell’UE, che ovviamente non è arrivato. Gli USA nella regione non hanno voce in capitolo, e gli europei sono troppo interessati al gas azero per fare la voce grossa con il dittatore Ilham Aliyev.
É oggettivo che Erevan si sia avvicinata all’Alleanza Atlantica e a Bruxelles, ma non solo in ossequio all’orientamento filoccidentale del primo ministro eletto dopo la “rivoluzione di velluto” del 2018. Se Pashinyan ha cercato nuove sponde a occidente (ma anche in Iran e in India) è anche perché era ormai chiaro che Mosca non aveva alcuna intenzione di spendersi per la difesa degli armeni. Nonostante un patto di mutua assistenza militare con Erevan, Putin non si è mosso neanche quando gli azeri hanno aggredito lo stato sovrano armeno nel settembre 2022, e non più solo l’autoproclamata – ma non riconosciuta da nessuno – Repubblica di Artsakh creata dagli armeni dell’Azerbaigian nel 1991.

Specularmente, per europei e statunitensi la responsabile unica della catastrofe sarebbe Mosca, che cinicamente ha mollato gli armeni per proteggere le consistenti relazioni avviate con il regime di Baku e con la Turchia, paese che importa ingenti quantità di petrolio e gas dalla Russia e che con Mosca ha sviluppato un rapporto di alleanza/competizione distanziandosi dagli interessi di Washington.

La Repubblica dell’Artsakh non esiste più
Paradossalmente sono vere entrambe le versioni: tutte le potenze attive nel Caucaso, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato mano libera all’esercito azero, provocando una catastrofe umanitaria e culturale la cui gravità, forse, la comunità internazionale comprenderà nei prossimi anni.
In neanche due settimane, man mano che le truppe azere prendevano possesso del territorio dell’Artsakh, più di centomila armeni – il 90% o forse più della popolazione totale dell’enclave – hanno abbandonato le loro case e le loro terre per rifugiarsi in Armenia, incolonnati per giorni su quel “corridoio di Lachin” che i 2000 peacekeeper russi schierati nel 2020 avrebbero dovuto difendere e che invece militari e funzionari azeri, travestiti da attivisti ecologisti, hanno completamente bloccato dando vita ad un assedio medievale.
Al termine di 10 mesi di assedio – che hanno causato fame ed estrema penuria di medicine e di carburante – la comunità armena del Nagorno-Karabakh era così stremata che quando a settembre le truppe azere hanno sferrato l’ennesimo attacco, il governo di Stepanakert ha resistito poche ore, dichiarando poi la resa totale.
Il 28 settembre il presidente dell’Artsakh Samvel Sergeyi Shahramanyan ha firmato il decreto che pone fine all’esistenza dell’entità dal primo gennaio del 2024. Le strade e le case di Stepanakerte delle altre città dell’enclave sono già deserte e presto la patria ancestrale degli armeni verrà ripopolata da profughi azeri (cacciati dagli armeni negli anni ’90) e da nuovi coloni inviati da Baku per assimilare le province riconquistate.

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La Turchia approfitta della miopia di Mosca
I peacekeeper russi non si sono mossi e neanche le truppe di Mosca di stanza nella base che la Federazione possiede in Armenia. «Putin non poteva certo rischiare di entrare in conflitto con l’Azerbaigian e la Turchia per difendere un paese il cui governo flirta con la Nato voltando le spalle a Mosca» ripetono i media controllati dal Cremlino. In realtà se forse intervenuta per bloccare l’aggressione azera all’Armenia del 2022 e per evitare il blocco del corridoio di Lachin nei mesi scorsi, Mosca avrebbe potuto utilizzare la sua influenza e il suo peso militare e politico per convincere Aliyev a non forzare la mano senza sparare un colpo. Anche solo cristallizzando lo status quo venutosi a creare dopo l’aggressione azera del 2020, grazie alla quale Baku ha recuperato le 7 province contigue all’Artsakh occupate dagli armeni durante la guerra che ha insanguinato la regione dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni ’90, Putin avrebbe evitato il precipitare degli eventi riuscendo senza scontentare troppo né Erevan né Baku.

Ma a furia di tollerare l’iniziativa dell’asse azero-turco, la presa di Mosca sull’area è notevolmente diminuita e si è affermata l’egemonia turca.
La Nato sfruttando la disillusione armena nei confronti della Russia per stringere accordi militari, economici e politici con Erevan, al solo scopo di indebolire il ruolo russo nel Caucaso. Martedì il parlamento armeno ha approvato l’adesione del paese alla Corte Penale dell’Aja; la mossa ha enormemente contrariato il Cremlino, sul cui inquilino pesa da mesi un mandato internazionale di cattura per crimini di guerra in Ucraina. D’altronde, i partiti e gli ambienti filorussi attivi in Armenia – protagonisti insieme ad altre forze di grandi manifestazioni per le dimissioni di Pashinyan, reo di aver abbandonato a se stessi gli armeni dell’Artsakh – hanno perso ogni credibilità di fronte all’opinione pubblica che considera Mosca non meno colpevole della catastrofe dell’occidente. Le minacce russe di un regime change a Erevan per togliere di mezzo Pashinyan (ma queste cose non le faceva solo il perfido occidente?) non aiutano.

All’UE interessa il gas azero
Anche le promesse di sostegno da parte dei paesi europei e di Washington si sono rivelate inconsistenti. Qualche mese prima dell’aggressione sul confine armeno era arrivata una pattuglia di inviati dell’Unione Europea, senza poteri e senza il sostegno dei propri governi. Durante lo scorso fine settimana, poi – quando l’Artsakh si era ormai svuotato dei suoi abitanti in fuga dalla repressione e dall’assimilazione azera – le Nazioni Unite hanno inviato una missione per “valutare le necessità umanitarie della situazione” nella regione interdetta da Baku ai giornalisti stranieri, mentre decine di leader politici e militari dell’enclave sono stati arrestati dagli occupanti.

Delle sanzioni all’Azerbaigian richieste da una settantina di parlamentari europei – Baku è governata da un regime autocratico spietato con gli armeni quanto con i dissidenti interni – neanche a parlarne: il gas e il petrolio estratti nel Mar Caspio sono troppo preziosi per l’Unione Europea, e soprattutto per Roma, alla ricerca di fonti alternative con cui rimpiazzare le forniture russe boicottate dopo l’invasione dell’Ucraina. Per non parlare dei miliardi in gioco nella ricostruzione delle province azere ripulite dagli armeni, molti dei quali finiscono nelle casse di aziende italiane ed europee.

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Lo schiaffo dell’Azerbaigian a Russia e Ue
Ma il vile comportamento delle varie potenze nei confronti degli armeni non è dettato esclusivamente dal cinismo.
La verità è che tanto a occidente quanto a Mosca i diversi governi hanno subito l’ennesima offensiva dell’asse azero-turco dimostrando una consistente miopia e scarsa lungimiranza.

Ieri l’edizione europea del giornale “Politico” ha informato che alcuni rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Unione Europea e Russia si sono incontrati a metà settembre in Turchia per una riunione diretta a sventare un peggioramento della situazione in Nagorno-Karabakh. L’incontro si sarebbe svolto il 17 settembre a Istanbul con la partecipazione di Louis Bono, consigliere senior di Washington per i negoziati nel Caucaso, di Toivo Klaar, rappresentante speciale dell’UE per la regione, e di Igor Khovaev, inviato speciale di Putin in Armenia e Azerbaigian. I tre paesi avrebbero chiesto e teoricamente ottenuto da Baku un allentamento dell’assedio agli armeni dell’Artsakh e la promessa di un rilancio dei colloqui di pace con Erevan. In quelle ore il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è più volte vantato dei presunti risultati ottenuti grazie alle pressioni europee sull’Azerbaigian.

Solo due giorni dopo l’incontro di Istanbul, il 19 settembre, le forze armate di Baku hanno attaccato i 10 mila miliziani dell’Artsakh, male armati e deperiti, in barba alle rassicurazioni offerte poche ore prima ai rappresentanti delle grandi potenze. Il regime azero ha giustificato “l’operazione antiterrorismo” come la necessaria risposta ad una imboscata armena ai propri militari, ma da settimane Baku stava ammassando truppe ai confini dell’Artsakh all’interno di un piano d’invasione evidentemente preordinato.

Durante l’offensiva le truppe azere hanno preso di mira una pattuglia di militari russi, uccidendone 5, compreso il vicecomandante del contingente russo Ivan Kovgan, e hanno bersagliato alcune postazioni dei peacekeeper russi. Solo degli errori, si sono giustificati a Baku; segnali della prepotenza dei soldati azeri che ormai si sentono padroni del Caucaso e non temono neanche il gigante russo, affermano altri.

Sulla base della stessa sensazione di onnipotenza, ieri le autorità azere hanno respinto l’invito a partecipare ad un incontro previsto per oggi a Granada, in Spagna, con i rappresentanti di Armenia, Unione Europea, Francia e Germania, per discutere il futuro della regione di cui Baku è rientrata in possesso dopo 30 anni e siglare un trattato di pace. Gli emissari di Aliyev hanno chiesto che alla riunione prendesse parte anche la Turchia, condizione respinta dai promotori dell’iniziativa, ed espresso forti riserve sulla partecipazione francese. Riconquistato l’Artsakh, Baku non ha alcuna reale necessità di negoziare con Erevan e anzi punta a nuove vittorie.

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Le aspirazioni egemoniche della Turchia, le rivendicazioni azere sull’Armenia e il ruolo di Israele
È inoltre evidente sin dall’inizio della crisi che dietro le pretese dell’Azerbaigian – ormai potenza energetica di primo livello – c’è proprio la Turchia. Ankara considera la repubblica turcofona una parte del grande popolo turco (“un popolo, due stati”) ma anche uno strumento per far valere le proprie aspirazioni da grande potenza in Asia centrale. Per questo in tutti questi anni Erdogan ha armato, addestrato e sostenuto con consiglieri e mercenari le truppe di Baku che contemporaneamente hanno potuto contare anche sul pieno sostegno di Israele. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute, tra il 2016 e il 2020 quasi il 70% delle armi acquistate dall’Azerbaigian grazie ai proventi dell’industria petrolifera provenivano proprio dallo “stato ebraico”, incuneatosi così in un’area dove non aveva in precedenza alcuna influenza. Anche pochi giorni prima dell’ultimo blitz contro l’Artsakh di settembre a Baku sarebbero atterrati vari cargo pieni di armi israeliane.

Forse Mosca e le cancellerie europee pensavano di contenere le ambizioni azere e turche tollerando la riconquista dell’Artsakh da parte di Baku, ma appare evidente che Azerbaigian e Turchia nutrono ben altre aspirazioni.
A pochi giorni dalla fulminante vittoria azera contro ciò che rimaneva dell’Artsakh, Aliyev ha incontrato il suo omologo turco Erdogan nella Repubblica del Nakhchivan, una exclave azera separata dal resto del paese da una regione dell’Armenia meridionale. Baku pretende la realizzazione di un corridoio stradale e ferroviario in territorio armeno che colleghi le due parti del paese, esistente fino all’inizio degli anni ’90 e poi saltato dopo l’inizio del conflitto tra le due ex repubbliche sovietiche. Per Erdogan il progetto è ancora più rilevante, perché concederebbe all’economia e alle aspirazioni imperiali turche una proiezione verso l’Asia centrale, le altre repubbliche turcofone ex sovietiche e la Cina, aggirando sia la Russia sia l’Iran.

Lunedì Erdogan e Aliyev hanno già inaugurato i lavori di realizzazione di un nuovo gasdotto che collegherà il Nakhchivan con la regione turca di Igdir, in attesa di poterlo prolungare fino a Baku passando nel corridoio di Zangezur.

Aliyev ha spesso chiarito che se non dovesse ottenere il corridoio di Zangezur con le buone – sul confine meridionale armeno e alle porte dell’Iran, che osserva con preoccupazione il precipitare della situazione a nord della sua frontiera e su è detto disponibile a inviare osservatori al confine tra Armenia e Azerbaigian – lo farebbe con la forza, prendendosi anche i territori dell’Armenia meridionale che d’altronde il “presidente a vita” azero ha definito ancora recentemente “Azerbaigian occidentale”. Senza un consistente sostegno esterno, economico e militare, l’Armenia non avrebbe alcuna chance di fermare le truppe azere e di impedire l’occupazione della provincia di Syunik, dove tra l’altro si trovano degli importanti giacimenti di rame e molibdeno.

A quel punto la Russia, il cui ruolo di paciere è già compromesso, si troverebbe a fronteggiare uno scenario alquanto spiacevale, dovendo decidere se fronteggiare anche militarmente l’iniziativa turco-azera, con tutte le conseguenze del caso, o se tollerare un’ulteriore ascesa di Ankara in un quadrante tradizionalmente di sua competenza.

La Francia offre protezione a Erevan
La difficoltà di Mosca nel Caucaso è tale che nei giorni scorsi la Francia – tradizionale protettore degli armeni e potenza energetica nucleare assai meno dipendente dal gas azero rispetto ai propri partner europei – ha deciso di entrare in scena con maggiore determinazione.
In visita a Erevan la Ministra degli Esteri di Parigi, Catherine Colonna, ha informato che Parigi ha accettato di consegnare non meglio precisati equipaggiamenti militari alla piccola nazione del Caucaso meridionale per garantire una migliore difesa del paese. Segno che l’ipotesi di un’aggressione militare azera all’Armenia è tutt’altro che remota.
Nel frattempo la moneta armena si è svalutata del 15% in un solo giorno e il piccolo e povero paese deve ora pensare a come sistemare i 100 mila profughi dell’Artsakh che nei giorni scorsi hanno varcato la sua frontiera. – Pagine Esteri

Leggi anche: L’Azerbaigian piega gli armeni, abbandonati da Russia e Nato

9609988* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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Chat control gate: EU Home Affairs Commissioner Johansson fails to credibly dispel lobbying revelations


Following reports from several European media outlets about the close involvement of foreign tech and law enforcement lobbyists in the preparation of the controversial Child Sexual Abuse or Chat Control Regulation …

Following reports from several European media outlets about the close involvement of foreign tech and law enforcement lobbyists in the preparation of the controversial Child Sexual Abuse or Chat Control Regulation [1], the European Parliament’s Civil Liberties Committee (LIBE) last week demanded “clarifications and explanations on the allegations” by EU Home Affairs Commissioner Ylva Johansson. In her response, Johansson attempts to dispel the affair.

[2]Patrick Breyer (Pirate Party), member of the Civil Liberties Committee and co-negotiator of the proposed regulation, comments:

“It was only to be expected that Johansson would reply to our letter with her usual propaganda, including citing a biased and suggestive Eurobarometer poll that violates the rules of good public opinion research. Other polls found overwhelming opposition.

[3]Contrary to the appearance she tries to create, only Thorn was provided with access to top Commissioners and President von der Leyen, certainly not civil society.

The opposition to the bill does not come mainly from Big Tech, but from IT security experts, human rights activists, journalists, and child welfare associations, including victims of child sexual abuse. [4] Big Tech in reality prompted the Chatcontrol 1 regulation, and collaborated in Johansson’s backdooring encryption working group. They are also involved in the lobby network WeProtect.

As independent fact-checkers have confirmed, Johansson’s words cannot be trusted.

[5]To be able to really hold her accountable for her foreign-interfered legislative proposal and lobbying in office, we need full access to all correspondence of DG Home with stakeholders, to see for ourselves the reality .”

[1] balkaninsight.com/2023/09/25/w…

[2] patrick-breyer.de/wp-content/u…

[3] patrick-breyer.de/en/poll-72-o… patrick-breyer.de/en/chatcontr…

[4] edri.org/our-work/most-critici…

[5] euractiv.com/section/platforms…


patrick-breyer.de/en/chat-cont…



Famiglie e carrello


La discordia innescata da un pomo è non soltanto un classico, ma anche un trastullo diversivo. Non privo di momenti epici e comici, con a declamare le magnifiche doti della famiglia ‘tradizionale’ quelli che poco la frequentano o troppo la moltiplicano e

La discordia innescata da un pomo è non soltanto un classico, ma anche un trastullo diversivo. Non privo di momenti epici e comici, con a declamare le magnifiche doti della famiglia ‘tradizionale’ quelli che poco la frequentano o troppo la moltiplicano e tutti pronti a difendere bimbi che poco si mettono al mondo. Inutile cercare dietro quelle parole, perché c’è il nulla. Ma è molto significativo che si cerchi affannosamente di dividersi sull’immaginario, laddove si potrebbe festeggiare la convergenza sostanziale, l’afflato unitario, il ritrovarsi giulivo.

Il 32,1% dei nuclei familiari è composto da genitori con figli (la grande maggioranza, che pesa il 23,4%, con un solo figlio), mentre quanti vivono da soli quotano il 33,3%. I primi sono oggi 8,2 milioni di persone, i secondi 8,4 milioni. Seguendo l’attuale andazzo, l’Istat calcola che nel 2040 (domani mattina) i primi si saranno ridotti a 6,4 milioni, mentre i secondi saranno cresciuti a 10,1 milioni.

Il mercato se n’è già accorto, regolando le confezioni: si possono prendere pomodori pelati in confezioni che un tempo sarebbero state considerate ridicolmente micragnose, ma che ben rispondono al doverci condire gli spaghetti per uno o due persone. La politica non se n’è accorta e continua a vivere di miti. Anche perché accorgersene significa dovere rivedere le politiche previdenziali e sanitarie, non soltanto quelle sentimentali. Ed è qui che il pomo torna utile.

Nel mentre ci si dilaniava attorno alla fenomenologia della pesca, sono successe due cose: la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e il carrello tricolore. Entrambe retoricamente riconducibili alle politiche per le famiglie. Ma se sul pomo il cielo è scuro e squarciato da lambi, sul resto si fa sereno e d’augelli popolato. Difatti, mi è sfuggita l’indignata reazione dell’opposizione per l’aumento del deficit e il rallentamento (si spera, perché quello è un blocco) della riduzione del debito. Partito democratico e 5 Stelle non mancheranno di farci giungere la loro diversa e convergente indignazione per sgravi fiscali troppo bassi e contributi effimeri o benefici omeopatici, ma saranno note inserite nello spartito della solita musica: ci vorrebbe più spesa pubblica. A parti invertite sarebbe – sicuramente – la stessa cosa e la destra non farebbe mancare la sua uguale e rovesciata indignazione; e cos’è, questa, se non convergenza? Il rissoso mondo politico italiano ritrova la pace nel chiedere al bilancio pubblico quel che al bilancio pubblico non andrebbe chiesto. Poi, certo, a chi tocca redigerlo tocca anche cadere in contraddizione. Sono inconvenienti del mestiere.

Così come mi è sfuggito lo sdegno per il carrello tricolore. Anzi, l’unità d’intenti e di stenti ha preso corpo in intere paginate di pubblicità pro governativa comperate da Coop, che il senso comune e la tradizione economica annettono alla sinistra. Mentre l’opposizione – capace di sostenere che a far scendere i prezzi non siano gli accordi di cartello e carrello per gli sconti mascherati da altruismo, bensì la concorrenza che propone la convenienza del disertare il falso scontatore – è lasciata a qualche residuato di scolarizzazione, presto sbeffeggiato per idolatria libbberista.

Non è un caso che menti fini si siano dedicate alla ricerca di cosa distingua la destra dalla sinistra, taluni riuscendo a tracciare le suggestioni che da una parte traslocano nell’altra. Ci vuole mestiere e impegno, giacché il nostro guaio nazionale è la difficoltà nel distinguerle.

La Ragione

L'articolo Famiglie e carrello proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



Paolo Ferrero* La vera novità di queste settimane è che gli Stati Uniti si stanno disimpegnando dalla guerra in Ucraina e stanno passando la patata bollent


  Laura Tussi   Vogliamo intervistare Antonio Mazzeo, Insegnante, peace-researcher e giornalista impegnato nei temi della pace, della militar


Quali priorità per la Nato dopo Vilnius? Il dibattito alla Farnesina


Il vertice di Vilnius si è concluso con l’annuncio di un considerevole incremento negli sforzi di deterrenza, difesa comune e cooperazione di sicurezza con i Paesi partner nell’Indo-Pacifico e nel Medio oriente. Allo stesso modo, le crescenti incognite ne

Il vertice di Vilnius si è concluso con l’annuncio di un considerevole incremento negli sforzi di deterrenza, difesa comune e cooperazione di sicurezza con i Paesi partner nell’Indo-Pacifico e nel Medio oriente. Allo stesso modo, le crescenti incognite nello scenario internazionale hanno comportato una profonda revisione strategica nella Nato, così come delle importanti riflessioni sul futuro dell’Alleanza. Questi i temi che verranno trattati dagli specialisti internazionali presenti alla conferenza “Nato 2023. Balancing priorities after the Vilnius Summit”, presso la sala delle Conferenze internazionali della Farnesina, venerdì 6 ottobre, dalle ore 14:50. Agli interventi di apertura prenderanno parte Alessandro Minuto-Rizzo, presidente Ndcf, Riccardo Guariglia, segretario generale del Maeci, Florence Gaub, direttrice della Divisione ricerca del Nato Defense college e Nicolò Russo-Perez, responsabile delle Relazioni internazionali per la Compagnia di San Paolo.

Il primo panel, moderato da Oana Lungescu, già portavoce della Nato, analizzerà nel dettaglio il tema cruciale della ripartizione delle responsabilità e dei costi tra gli alleati. In particolare, si tratterà la questione degli investimenti in emerging e disruptive technologies e il ruolo del Defence innovation accelerator for the North Atlantic (Diana) per accrescere il budget destinato al tema. Alla discussione si aggiungeranno gli approfondimenti di esponenti di rilievo dell’industria della Difesa quali Stefano Pontecorvo (presidente di Leonardo) e Giovanni Soccodato (managing director di MBDA Italia).

Il secondo panel sarà introdotto da Marco Peronaci, rappresentante permanente italiano presso la Nato, che condividerà una riflessione sulla funzione dell’Italia in seno all’Alleanza Atlantica. Il panel si concentrerà sulla rivitalizzazione della partnership con i Paesi Mena e dell’Indo-Pacifico, sulla cooperazione tra Nato e Gulf cooperation council e sul contrasto alle minacce esterne nella fascia tra Siria e Sahel, moderato dal direttore di Airpress e Formiche, Flavia Giacobbe.

La conferenza verrà poi conclusa dal presidente della commissione del Senato Politiche dell’Unione europea, l’ambasciatore e senatore Giulio Terzi di Sant’Agata.


formiche.net/2023/10/le-priori…



“AI addestrate con i dati personali ecco le responsabilità “


Sottrarre (o almeno provarci) i dati personali che si pubblicano online all’addestramento degli algoritmi è un obbligo o solo un diritto dell’editore, del gestire del sito o del social? Vale forse la pena di ragionarne | Qui il l’articolo completo agendadigitale.eu/mercati-digi…


guidoscorza.it/ai-addestrate-c…



“Automotive Campus “


È stato un piacere partecipare all’automotive campus e ragionare con centinaia di addetti ai lavori (costruttori e fornitori di servizi) di quanto i dati personali siano ormai protagonisti anche nel mercato automobilistico e di quanto occorra essere prudenti


guidoscorza.it/automotive-camp…



Realizzato da Leonardo, è ufficialmente operativo il primo centro paneuropeo per la gestione dinamica in tempo reale dei rischi cyber

Lo comunica in una nota Leonardo, che ha realizzato il progetto per la Direzione generale per le reti di comunicazione, i contenuti e le tecnologie della Commissione europea (DG Connect).

Di Alessandro Patella su Wired Italia

@Informatica (Italy e non Italy 😁)

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Cosa sappiamo del sottomarino nucleare cinese (forse) affondato


Un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Type 093 (denominazione Nato “Shang”) della Marina militare dell’Esercito popolare di liberazione cinese avrebbe subito un gravissimo incidente lo scorso agosto, portando alla morte 55 membri dell’equipaggio

Un sottomarino d’attacco a propulsione nucleare Type 093 (denominazione Nato “Shang”) della Marina militare dell’Esercito popolare di liberazione cinese avrebbe subito un gravissimo incidente lo scorso agosto, portando alla morte 55 membri dell’equipaggio. Lo scrive in esclusiva il quotidiano britannico Daily Mail, che cita un rapporto dell’intelligence britannica.

Secondo il rapporto, il sottomarino, impegnato in una missione imprecisata nelle acque del Mar Giallo, è rimasto impigliato il 21 agosto scorso in una trappola per sottomarini precedentemente posizionata proprio dalle forze cinesi contro eventuali intrusioni di sottomarini statunitensi e dei Paesi loro alleati. L’urto con l’ostacolo avrebbe “causato guasti ai sistemi che hanno richiesto sei ore per riparare e riportare in superficie il vascello”. In quel lasso di tempo, un “guasto catastrofico” del sistema di rigenerazione dell’aria avrebbe causato la morte per ipossia di 17 marinai e 22 ufficiali, incluso il comandante del sottomarino, Xue Yong-Peng.

Ufficialmente, la Cina nega che l’incidente sia mai avvenuto, e ha bollato come “completamente false” le indiscrezioni in proposito. Ufficiosamente, Pechino avrebbe respinto dopo l’incidente diverse offerte di assistenza internazionale. Quanto alla sorte del sottomarino, non è chiaro se l’unità sia stata recuperata o se sia andata definitivamente perduta a seguito dell’incidente.

“C’erano rumor” ad agosto, alimentati soprattutto dai media taiwanesi, “è plausibile”, risponde su X uno dei maggiori esperti di questi temi, H I Sutton.

There were rumors at the time, it’s plausible t.co/OVRhtP09na

— H I Sutton (@CovertShores) October 3, 2023

Lo storico Phil Weir ha fatto notare che non sembrano essere state registrate attività insolite da parte delle navi cinesi di supporto/salvataggio sottomarini.

I’d have thought a key marker would be some unusual activity from their submarine support/rescue ships. The North Sea Fleet has at least four, & PLAN has at least three DSRVs, including an LR-7 they bought from Britain.
I’ve not heard anything, but haven’t been closely watching🤷‍♂️

— Dr Phil Weir (@navalhistorian) October 3, 2023


formiche.net/2023/10/sottomari…



EU Committee: Home Affairs Commissioner Johansson needs to explain lobbying links


The pressure on Ylva Johansson is mounting: Following the reports of several European media on the close involvement of lobbyists in the preparation of the controversial Child … https://balkaninsight.com/2023/09/25/who-benefits-inside-the-eus-fight-over-

The pressure on Ylva Johansson is mounting: Following the reports of several European media on the close involvement of lobbyists in the preparation of the controversial Child Sexual Abuse Regulation, the European Parliament’s Civil Liberties Committee (LIBE) is now asking her for „clarifications and explanations concerning the allegations“. The Committee Chair’s letter sent yesterday points to a potential „conflicts of interest“ and „possible undue influence in the drafting of the proposal“ for a Child Sexual Abuse Regulation, including by tech stakeholders that have „economic interests“ in the legislation.

Research published this week by several European media outlets has revealed that an international campaign involved in the drafting and supporting of the EU’s proposed child sexual abuse regulation is being largely orchestrated and financed by a network of organisations with links to the tech industry and security services. Today it was revealed additionally that two Europol staff have started working for Thorn, a company lobbying for the proposal. The controversial “chat control” regulation would require providers to indiscriminately scan and potentially disclose all private electronic messages and photos using error-prone technology and „artificial intelligence“.

Member of the Civil Liberties Committee and co-negotiator on the proposed regulation Patrick Breyer (Pirate Party) calls for further steps:

„Johansson will reply to our letter with her usual propaganda on the alleged urgency of her proposal – an argument which we now know has been scripted by a PR agency paid with money of a foreign foundation with ties to US law enforcement. As independent fact-checkers have confirmed, her words cannot be trusted.

To be able to really hold her accountable for her foreign-interfered legislative proposal and lobbying in office, we need full access to all correspondence of DG Home with stakeholders.“


patrick-breyer.de/en/eu-commit…

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