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La stupidità al vertice dell'Europa genera mostri. E farebbe anche ridere, se non fosse drammatica... L'intervista di Andreas Ericson a Ylva Johansson su chatcontrol

[Andreas Ericson] Posso chiederti solo una cosa, Ylva. Se ciò accadesse, ai sensi di questo disegno di legge, tu ed io potremmo avere contatti in futuro, se, ad esempio, ritieni di voler denunciare la Commissione europea e contattare Svenska Dagbladet protetti dalle leggi sulla protezione delle fonti? E con questo disegno di legge potremmo anche avere contatti crittografati che le autorità non sono in grado di leggere?

[Ylva Johansson] Sì, è ovvio.

[Andreas Ericson] Ma se così fosse, i pedofili non utilizzerebbero tutti quanti gli stessi strumenti criptati? E quindi, cosa ci avremmo guadagnato?

[Ylva Johansson] No, ma il fatto è che... (pausa) l'unica cosa è che... (pausa) l'abuso sessuale sui bambini, le immagini del genere, sono sempre criminali

#chatcontrol #stopchatcontrol

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L'intervista è visibile su Twitter

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GAZA. Violenti attacchi aerei nelle ultime ore, nuovo stop a internet e telefoni


Compiuti oltre 100 bombardamenti in appena 30 minuti. Si concentrano nella zona di Gaza city ma è stata colpita anche Khan Yunis nel sud. L'articolo GAZA. Violenti attacchi aerei nelle ultime ore, nuovo stop a internet e telefoni proviene da Pagine Ester

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della redazione

Pagine Esteri, 5 novembre 2023 – Raid aerei molto violenti sono in corso questa sera sul centro-nord di Gaza. Lo riferiscono fonti giornalistiche locali. Si concentrerebbero su Jabaliya, Gaza city (nei quartieri di Al Nasr, Rimal Shujayeh, Tel Al Hawa e al Jalaa) ma anche più a sud a Khan Yunis.

Fonti israeliane scrivono su X (ex Twitter) che sono stati compiuti oltre 100 bombardamenti in appena 30 minuti.

Nel frattempo le comunicazioni telefoniche e la rete internet sono di nuovo ferme. come accaduto nei giorni passati in occasione prima di altri massicci attacchi aerei israeliani.

La Mezzaluna Rossa comunica di aver perduto ogni contatto con i suoi team medici e le ambulanze.

Da parte israeliana si segnalano lanci di razzi palestinesi verso i centri abitati adiacenti a Gaza. Colpita una abitazione a Yated.

Proseguono anche i combattimenti tra soldati israeliani e militanti di Hamas mentre i reparti corazzati dello Stato ebraico hanno o avrebbero completato l’accerchiamento di Gaza city. Il portavoce militare comunica che 33 soldati sono stati uccisi durante gli scontri a fuoco dall’inizio dell’offensiva di terra.

La tensione è in forte aumento anche al confine tra Israele e il Libano. I media libanesi riferiscono che un drone israeliano ha colpito un’auto civile nella zona di Bint Jbeil, uccidendo tre bambini. Il parlamentare di Hezbollah Hassan Fadallah ha affermato che l’attacco è uno “sviluppo pericoloso” che avrà ripercussioni e ha affermato che i bambini uccisi avevano tra gli otto e i 14 anni.

Poco fa l’esercito israeliano ha riferito che Hezbollah ha ucciso un civile israeliano con un razzo anticarro sparati lungo il confine. Pagine Esteri

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Preghiamo


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L’America Latina si schiera contro la guerra a Gaza


Nelle ultime ore si è aggiunto l'Honduras. La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva a Gaza “aggressiva e sproporzionata”. L'articolo L

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di Tiziano Ferri –

Pagine Esteri, 2 novembre 2023 – A fronte di un’Unione europea che lascia mano libera alle operazioni militari di Israele, il resto del mondo, ad eccezione di Washington e dei suoi stretti alleati, prende posizione contro il massacro di civili a Gaza. Nello specifico, dall’America latina arrivano le posizioni più nette per un immediato cessate il fuoco e per il rispetto del diritto internazionale. Al sud del Rio Grande solo Guatemala e Paraguay hanno votato contro, mentre Haiti, Panama e Uruguay si sono astenuti, per la risoluzione Onu “Protezione dei civili e rispetto degli obblighi legali e umanitari”, approvata il 27 ottobre con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astenuti.

La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva dello stato ebraico “aggressiva e sproporzionata”. Dal paese andino anche la richiesta di terminare il blocco di Gaza, che impedisce l’ingresso di acqua e alimenti. L’ex presidente Evo Morales chiede uno sforzo in più al suo governo: dichiarare Israele uno stato terrorista, denunciare Netanyahu dinanzi alla Corte penale internazionale, chiedere conto agli ambasciatori di Usa e Ue del motivo del loro appoggio politico, militare e diplomatico che permette i crimini dello stato sionista in Palestina. Cuba condanna i bombardamenti su Gaza e gli assassinii di persone innocenti, senza distinzione di etnia, nazionalità, origine o credo religioso. Il presidente Diaz-Canel condivide anche il dolore per la sofferenza delle vittime civili israeliane, ma non accetta un’ “indignazione selettiva” che disconosce la gravità dell’attuale genocidio a Gaza, presentando il lato israeliano come la vittima, e disconoscendo così 75 anni di occupazione. “La storia non perdonerà gli indifferenti, e noi non saremo tra di loro”, afferma il presidente cubano. Anche il Venezuela condanna ciò che il presidente Maduro definisce un genocidio contro il popolo palestinese, e richiama l’attenzione sulle grandi marce per la pace in tutto il mondo, compresa l’occupazione della stazione centrale di New York da parte di centinaia di attivisti della comunità ebraica. La rappresentante messicana all’Onu condanna gli attacchi alla popolazione civile, ai medici e al personale umanitario, mettendo in guardia Israele da quelli che possono essere considerati “crimini di guerra”. Il Messico, criticando la risposta sproporzionata in corso su Gaza, ricorda che le rappresaglie sono contro il diritto internazionale, ed esige che la “Potenza Occupante cessi l’occupazione e tutti gli atti che ledono l’integrità territoriale dello stato di Palestina”. Anche l’Argentina, ricordando di aver condannato a suo tempo gli attentati del 7 ottobre scorso, sottolinea che Israele sta passando i limiti del diritto internazionale, e deve fermare gli attacchi alle infrastrutture civili. Il vicino Brasile, membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu, propone una risoluzione per una pausa umanitaria che consenta l’accesso pieno e in sicurezza delle agenzie delle Nazioni unite, ma viene bloccata dal veto degli Stati Uniti. Il Cile, dopo aver inviato aiuti umanitari, accusa Netanyahu e il suo esercito di violare ripetutamente il diritto internazionale. Richiamando il dato fornito dall’Unicef sui più di 420 bambini feriti o assassinati ogni giorno a Gaza, e “di fronte alle inaccettabili violazioni del diritto internazionale umanitario promosse da Israele nella Striscia di Gaza”, il governo cileno decide di convocare a Santiago per consultazioni il proprio ambasciatore a Tel Aviv. Pur condannando “senza dubbi” gli attentati e i sequestri perpetrati da Hamas, il presidente Boric dichiara che “nulla giustifica questa barbarie a Gaza. Nulla”. Per quanto riguarda la Colombia, già da settimane la tensione è alta con Israele, a seguito del paragone fatto dal presidente Petro tra la situazione di Gaza e il campo di concentramento di Auschwitz. Dopo l’ultima strage di civili a Jabalia, Bogotà ha deciso di richiamare l’ambasciatrice da Tel Aviv: “Se Israele non ferma il massacro del popolo palestinese, non possiamo stare là”, le parole del presidente colombiano. Decisione presa anche dall’Honduras, nello stesso giorno in cui giunge la notizia di altri edifici e ambulanze oggetto dei bombardamenti israeliani. Il ministro degli esteri del paese centroamericano comunica che il governo di Xiomara Castro ha richiamato “immediatamente” l’ambasciatore a Tegucigalpa per consultazioni, vista la grave situazione umanitaria che soffre la popolazione civile palestinese nella Striscia di Gaza. Con questo atto l’Honduras torna a chiedere un immediato cessate il fuoco per fermare i gravi danni sofferti dai civili, e per consentire la consegna di aiuti umanitari alla popolazione.

Hamas ringrazia Cile e Colombia per aver ritirato gli ambasciatori, ed esorta gli stati arabi e islamici a seguire l’esempio boliviano, rompendo le relazioni diplomatiche con Israele. Dal canto suo, il governo Natanyahu condanna la presa di posizione del governo di La Paz, accusandolo di essere “sottomesso al regime iraniano” e di allinearsi all’ “organizzazione terrorista Hamas”. Parole più concilianti per Cile e Colombia, in quanto la speranza di Israele è che i due paesi “non si allineino a Venezuela e Iran nell’appoggio ad Hamas”, e che “sostengano il diritto di uno stato democratico a proteggere i propri cittadini”. La risposta di Petro non potrebbe essere più chiara: “Si chiama Genocidio, lo compiono per togliere il popolo palestinese da Gaza e appropriarsene. Il capo di stato che compie questo genocidio è un criminale contro l’umanità. I suoi alleati non possono parlare di democrazia”.

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IA, il caso dello scienziato cinese finanziato dal Pentagono


Il governo degli Stati Uniti ha erogato almeno 30 milioni di dollari in sussidi federali per le ricerche di Song-Chun Zhu, uno scienziato che ritiene l’Intelligenza Artificiale come la bomba atomica per la sua importanza militare e che oggi è in prima lin

Il governo degli Stati Uniti ha erogato almeno 30 milioni di dollari in sussidi federali per le ricerche di Song-Chun Zhu, uno scienziato che ritiene l’Intelligenza Artificiale come la bomba atomica per la sua importanza militare e che oggi è in prima linea nella corsa della Cina allo sviluppo di questa tecnologia. A rivelarlo è Newsweek.

Lo scienziato è stato direttore di un centro pionieristico sull’Intelligenza Artificiale dell’Università della California Los Angeles. Il Pentagono ha continuato a erogargli i finanziamenti pubblici anche quando aveva dato vita a un istituto parallelo vicino a Wuhan, ha occupato una posizione in un’università di Pechino il cui obiettivo principale è sostenere la ricerca militare cinese e si è unito a un “piano di talenti” del Partito comunista cinese i cui membri hanno il compito di trasferire conoscenze e tecnologie in Cina.

Il contesto accademico degli Stati Uniti, noto per la sua apertura alla collaborazione internazionale, ora si trova di fronte a una serie di complessità che trascendono i confini della pura ricerca scientifica. Un’indagine recente ha sollevato preoccupazioni sull’innovazione tecnologica in Cina e sulle sue possibili implicazioni militari, suscitando un dibattito significativo riguardo alla connessione tra lo sviluppo scientifico e le preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

Al centro di tale discussione si pone il ruolo di figure chiave come Zhu, il cui contributo nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale non solo solleva interrogativi sulla collaborazione tra nazioni rivali, ma evidenzia anche l’interesse strategico e militare legato a tali progressi tecnologici. Le sue affermazioni esplicite sull’importanza dell’IA possono essere paragonate alla “bomba atomica” nel campo dell’informatica, innescando una corsa all’innovazione in un settore con implicazioni cruciali sia in termini militari che economici.

Mentre gli esperti occidentali rimangono preoccupati per i rischi legati all’intelligenza artificiale generale, la Cina, guidata da Xi Jinping, sta perseguendo attivamente un ruolo di leadership in questo campo. Le connessioni di Zhu con istituti di rilievo nel settore dell’IA in Cina evidenziano il legame stretto tra lo sviluppo tecnologico e gli obiettivi militari e di governance del Paese asiatico.

Negli Stati Uniti, al fine di preservare il proprio vantaggio tecnologico e di sicurezza, sono state avviate misure restrittive nei confronti dei ricercatori cinesi. Queste azioni includono il divieto per studenti laureati con legami militari cinesi, restrizioni sul trasferimento di tecnologia e l’ultimo ordine esecutivo di Biden, finalizzato a garantire la leadership statunitense nella tecnologia, alzando parallelamente gli standard di sicurezza.

La Cina ha costantemente respinto le accuse di furto tecnologico, nonostante la rete di intelligence Five Eyes abbia espresso preoccupazioni sull’ampia estrazione di tecnologia da parte cinese. Questo solleva dubbi sulla leadership degli Stati Uniti e dell’Occidente nella scienza e nell’innovazione, evidenziando la necessità di affrontare le minacce di potenziali falle nel sistema di ricerca.

Ulteriori complicazioni emergono dai casi di ritorno in Cina di altri ricercatori di alto profilo, suscitando preoccupazioni riguardo alle loro affiliazioni non dichiarate e al possibile trasferimento non autorizzato di tecnologia. Questi casi sollevano interrogativi sulla trasparenza nelle fonti di finanziamento, nelle affiliazioni e nei brevetti stranieri all’interno della ricerca, generando dubbi sugli ingenti investimenti statunitensi e sulla potenziale perdita di tecnologia a favore di nazioni concorrenti.

La carriera di Zhu diventa un esempio del delicato equilibrio tra i vantaggi della collaborazione internazionale e i rischi per la sicurezza nazionale nell’ambito della ricerca.

In conclusione, il dibattito attuale sottolinea l’importanza di una rigorosa supervisione e di una stretta collaborazione con le forze dell’ordine per affrontare le minacce alla sicurezza derivanti dalle collaborazioni di ricerca. È evidente che il panorama della ricerca scientifica e tecnologica si trova in una fase cruciale, in cui la trasparenza, la sicurezza nazionale e la collaborazione internazionale devono trovare un equilibrio per preservare l’innovazione senza compromettere la sicurezza globale.


formiche.net/2023/11/scienziat…



LE TRE NEWS DI OGGI: Il garante per la privacy del Paese ha avviato un procedimento civile contro Australian Clinical Labs (ASX: ACL) per l’hacking di Medlab che ha comportato il furto delle cartelle cliniche e dei numeri di carta di credito di oltre 223.000 pazienti e personale alla fine dello scorso anno.Il Commissario australiano …


#laFLEalMassimo – Episodio 106: Nazionalismo Economico e Protezionismo Verde


Continuo a ribadire in apertura la necessità di prendere una posizione chiara in merito al l’ingiusta aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e auspicare che il conflitto in atto sulla striscia di Gaza possa essere in qualche modo contenuto limitan

Continuo a ribadire in apertura la necessità di prendere una posizione chiara in merito al l’ingiusta aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina e auspicare che il conflitto in atto sulla striscia di Gaza possa essere in qualche modo contenuto limitando il numero delle vittime innocenti.

Passando dall’ambito militare a quello economico, rimanendo in tema di minacce per la libertà individuale, vorrei introdurre l’argomento del nazionalismo economico e del protezionismo verde, che collaborano per costruire un futuro grigio.

Quello che la rivista the Economist ha denominato Homeland Economics, che io tradurrei con nazionalismo economico, costituisce una risposta ai rischi per la sicurezza nazionale derivanti da shock inattesi, come una pandemia o una crisi finanziaria globale e alla volontà di proteggersi riducendo la dipendenza dalle catene di approvvigionamento e distribuzione internazionale.

L’invasione dell’Ucraina ha aggiunto rischi politici e strettamente militari che hanno messo ulteriormente in discussione i vantaggi di un sistema basato sulla libera circolazione di cittadini e merci. Ultimo, ma non per importanza, il cambiamento climatico solleva questioni di coordinamento tra stati, aziende e liberi cittadini che non sembra gestibile con meccanismi puramente privatistici.

Il risultato di questi processi è quindi il protezionismo verde, testimoniato dall’ Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, che giustifica con argomenti legati alla sicurezza e al controllo il sussidio di imprese e iniziative domestiche rispetto al resto del mondo.

Questa rubrica si conferma dalla parte del libero mercato tanto quanto da quelle della libertà individuale, caratteristiche che spesso si presentano come due facce della stessa medaglia e neri prossimi proverà a illustrare in maggior dettaglio i limiti e le controindicazioni di questa ingerenza eccessiva dello stato nell’economia.

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In Ucraina, la Russia prepara i suoi nuovi ordigni per l’inverno


Anche se non vengono registrati significativi spostamenti del fronte, in Ucraina i combattimenti proseguono incessanti. E nonostante le riserve di equipaggiamento e munizioni di entrambe le parti coinvolte continuino a deteriorarsi, questo non impedisce a

Anche se non vengono registrati significativi spostamenti del fronte, in Ucraina i combattimenti proseguono incessanti. E nonostante le riserve di equipaggiamento e munizioni di entrambe le parti coinvolte continuino a deteriorarsi, questo non impedisce ai due eserciti di dispiegare nuovi e più letali equipaggiamenti. L’ultima novità, introdotta sul campo di battaglia dalle truppe di Mosca, è un ordigno molto particolare.

La Fab-1500 appartiene alla famiglia delle glide bombs, termine italianizzabile con “bombe plananti”: ordigni dolati di appositi alettoni che permettono loro di essere sganciati a lunga distanza (così da evitare l’intercettazione da parte della contraerea nemica) e di planare con una discreta precisione contro il bersaglio. Come suggerisce il nome stesso, la Fab-1500 contiene al suo interno una tonnellata e mezzo di esplosivo, e all’impatto è in grado di colpire bersagli in un raggio che si estende fin quasi a 500 metri. Essa può distruggere bunker fino a 20 metri di profondità e sfondare tre metri di cemento armato. Tra i modelli di aereo in forza all’aereonautica di Mosca, sia il Su-30 che il Su-34 e il Su-35 possono essere impiegati come piattaforma di lancio dell’ordigno, che poi viene guidato da un operatore direttamente sul bersaglio.

Segnali dell’utilizzo di questo tipo di bomba erano già stati registrati nella primavera di quest’anno, quando il Ministero della Difesa ucraino ha segnalato sia un uso estensivo delle Fab-500 (le “sorelle minori” contenti mezzo chilogrammo di esplosivo) lungo tutto il fronte, assieme a segnali di preparazione “per un uso estensivo delle Fab-1500”.

L’avvicinarsi dell’inverno rende queste bombe ancora più efficaci, poiché con molta probabilità esse saranno impiegate negli attacchi alle infrastrutture critiche ucraine, accanto ai missili da crociera e alle loitering munitions che Mosca sta già impiegando in questo senso, così da mettere sotto ulteriore pressione i sistemi di difesa aerea avversari.

Secondo Frederik Mertens, analista del Centro di studi strategici dell’Aia, la Russia potrebbe iniziare a usare queste armi per colpire le infrastrutture energetiche dell’Ucraina “non appena l’inverno inizierà a farsi sentire. Negli ultimi mesi Mosca ha usato con parsimonia i suoi missili e dovrebbe di nuovo averne accumulato una discreta scorta-ha dichiarato. Il suo obiettivo più logico sarebbe l’infrastruttura energetica di Kiev, proprio nel momento in cui ne ha più bisogno”, ha dichiarato l’analista a Newsweek.

Anche Kyiv utilizza ordigni non troppo diversi da quelli russi, ordigni ricevuti all’interno dei pacchetti d’aiuti militari statunitensi già dal dicembre dello scorso anno. Tra queste le Jdam (Joint Direct Attack Munitions) e le Jdam-Er, versione con raggio ancora più lungo: kit che permettono di trasformare semplici bombe in munizioni “intelligenti” lanciabili da una varietà di aerei, proprio come le bombe della famiglia Fab.


formiche.net/2023/11/ucraina-r…


in reply to Poliverso - notizie dal Fediverso ⁂

@FronteAmpio Natale Salvo ha saputo cogliere l'essenziale di Mastodon e le radicali differenze con altri social. È molto importante realizzare qualcosa di diverso da quello che non ci piace e questo è un ottimo esempio


Ho firmato e invito a firmare l'appello on line lanciato da Amnesty International Italia che certo non può essere accusata di essere organizzazione filo-Hamas.


  Di Antonello Patta* Finita la proliferazione delle bozze, figlia della corsa di tutti i partiti di maggioranza a piazzare le proprie bandierine in




Il disprezzo


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La “Dottrina Zaluzhnyi” segna il nuovo approccio di Kyiv al conflitto


Non solo una dottrina militare, ma anche un assessment della situazione al fronte, un manifesto politico e una dichiarazione programmatica. È un po’ di tutto questo “Modern Positional Warfare and How to Win It”, il documento diffuso dallo Stato Maggiore u

Non solo una dottrina militare, ma anche un assessment della situazione al fronte, un manifesto politico e una dichiarazione programmatica. È un po’ di tutto questo “Modern Positional Warfare and How to Win It”, il documento diffuso dallo Stato Maggiore ucraino e vergato proprio dal comandante in capo delle forze armate di Kyiv, Valerii Zaluzhnyi, il quale delinea come si sia arrivati a combattere una guerra di posizione, quali siano le dinamiche che la regolano e quali invece possano essere le soluzioni da adottare per superare questa impasse.

Nell’apertura del suo elaborato Zaluzhnyi prende una forte posizione politica. Egli accusa Mosca di aver causato, con la sua invasione su larga scala del territorio ucraino, “la più grande crisi di sicurezza globale dalla fine della seconda guerra mondiale”, poiché anziché un conflitto localizzato esso è “un confronto armato tra regimi politici democratici e autoritari” che potrebbe estendersi (ed in parte lo sta già facendo) ad “altre regioni del pianeta con modelli geopolitici simili”, dal Medio Oriente alla penisola di Corea, arrivando fino al Mar Cinese Meridionale. Il Comandante in Capo delle forze armate ucraine denuncia l’incapacità delle organizzazioni internazionali (chiamando in causa le Nazioni Unite e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) di tutelare l’integrità territoriale del suo paese, compito di cui invece si sono fatte carico le forze armate di Kyiv, vedendo nell’utilizzo della forza militare l’unico modo possibile per ripristinare la sovranità nazionale sui suoi territori.

Zaluzhnyi sottolinea come il popolo ucraino, dimostrando “la sua volontà di dare la propria anima e il proprio corpo per la libertà, non con le parole ma con i fatti”, sia stato capace “non solo di fermare l’avanzata” di un nemico “molto più potente, con moltissime armi a disposizione e una capacità di mobilitazione decisamente più alta”, ma anche di lanciare un efficace operazione controffensiva (il riferimento, esplicitato dallo stesso comandante ucraino, è a quanto avvenuto tra l’estate e l’autunno dello scorso anno) e di tenere a bada il nemico su molti fronti. Senza però esimersi dal rimarcare la fondamentale importanza del supporto militare dei partner occidentali, il quale in questo momento sta venendo messo in dubbio come mai prima d’ora.

Soffermandosi poi sul piano strettamente militare, dove vengono analizzate le cause del passaggio ad una guerra di posizione, il generale ucraino elenca cinque dimensioni fondamentali che più di tutte hanno contribuito a questa trasformazione del conflitto.

La prima è il parziale controllo dello spazio aereo: malgrado i numeri garantiscano alle forze armate russe un certo grado di air superiority, le difese contraeree ucraine (che dall’inizio del conflitto hanno inflitto perdite pesantissime alle forze aeree nemiche) limitano sia la libertà di movimento che l’efficacia dell’aviazione nemica. La quale però non è scomparsa dai cieli, e si è anzi adattata alla situazione, riuscendo comunque a rappresentare uno dei principali ostacoli all’avanzata delel forze ucraine.

La seconda è la presenza di enormi campi minati (che in alcuni punti si estendono lungo una profondità di 15-20 km) su entrambe le parti del fronte, assieme alla scarsità di equipaggiamento adatto al creare delle brecce al loro interno. I tentativi di creare varchi in questa tipologia di ostacolo sono spesso neutralizzati dall’artiglieria, sotto la cui copertura i genieri vanno poi a tappare le falle venutesi a creare. Artiglieria che rappresenta la terza dimensione fondamentale indicata da Zaluzhny, che si sofferma sulla specifica dinamica del “fuoco di controbatteria”, ovvero sull’impiego del fuoco d’artiglieria per eliminare i cannoni avversari: l’efficacia di questo tipo di approccio, prioritario nella tipologia di guerra d’attrito in corso, viene però inficiata da numerose tattiche, che vanno dalla dispersione delle bocche di fuoco all’impiego di strumentazione di guerra elettronica.

La quarta dimensione è quella della mobilitazione delle riserve, un fronte su cui entrambe le parti si trovano in difficoltà, anche se per motivi diversi. Mentre la Russia dispone di un ampio bacino di popolazione a cui attingere, ma ha problemi di natura politico-motivazionale (crescente insofferenza verso il conflitto con rischi per la stabilità del regime, soprattutto con l’avvicinarsi della tornata elettorale), l’Ucraina ha molte meno risorse umane a cui attingere, a cui si devono sommare problemi logistici (mancanza di spazi sicuri per l’addestramento) e morali (difficoltà al fronte e durata della guerra che scoraggiano eventuali volontari).

Infine, l’ultima dimensione è quella dell’electronic warfare, dove le forze armate russe godevano di una certa superiorità all’inizio del conflitto, superiorità che però con il tempo è stata erosa dalle forze ucraine (soprattutto grazie al sostegno estero). L’impiego estensivo di questa strumentazione limita trasversalmente la capacità di condurre operazioni complesse, favorendo quindi approccio più cauti e difensivi.

Quali sono dunque le soluzioni per evitare una “guerra di trincea come nel 1914-1918”?

Zaluzhny fornisce dei suggerimenti da applicare ai campi da lui evidenziati in precedenza: dall’uso concentrato di Unmanned Aerial Vehicle in singole operazioni d’attacco, assieme all’impiego apposito di droni per “cacciare” i droni nemici, per guadagnare la superiorità aerea; migliorare le capacità di deception per l’artiglieria, così come quelle di reconnaissance; ricorrere a soluzioni meno convenzionali per aprire delle brecce nei campi minati, come l’uso di cannoni ad acqua o lo scavare tunnel sotto i campi minati da riempire di esplosivo per creare un passaggio sicuro; migliorare l’attrattività delle forze armate ucraine e combattere la renitenza alla leva; espandere ulteriormente le capacità di electronic warfare.

In chiusura, il Comandante in capo ucraino introduce due dimensioni più generali, quella della logistica e quella del Command and Control. Mentre per la seconda sono sufficienti poche righe per evidenziarne l’importanza trasversale, la prima occupa uno spazio decisamente maggiore. Questo spazio viene dedicato ancora una volta a sottolineare l’importanza dell’aiuto occidentale (senza il quale l’Ucraina difficilmente potrebbe portare avanti la sua lotta) nella guerra d’attrito, ma anche la necessità di creare un sistema industriale-militare autonomo.

Pubblicando questo documento, il Comandante in Capo delle forze armate ucraine è stato un po’ un politico, un po’ un militare, un po’ un teorico. Ma quel che è certo è che è proprio grazie a documenti come questo che le forze armate ucraine (e non solo) riusciranno ad adattarsi alle necessità della guerra futura.


formiche.net/2023/11/dottrina-…



Più fondi e tecnologie, meno corruzione. Le riforme dell’Esercito promosse da Xi


Sin dai primi momenti della sua ascesa al potere come Segretario del Partito Comunista della Repubblica Popolare Cinese, una delle priorità perseguite da Xi Jinping è stata quella di riformare l’Esercito Popolare di Liberazione (acronimo internazionale Pl

Sin dai primi momenti della sua ascesa al potere come Segretario del Partito Comunista della Repubblica Popolare Cinese, una delle priorità perseguite da Xi Jinping è stata quella di riformare l’Esercito Popolare di Liberazione (acronimo internazionale Pla). Nella mente del leader, l’obiettivo era quello di trasformare un obsoleto apparato militare costruito sul modello sovietico in un moderno e tecnologico esercito pronto per affrontare le sfide del XXI secolo.

Per realizzare lo “Strong Army Dream”, componente fondamentale della national rejuvenation ricercata dal Segretario, dal 2015 in poi Xi ha sottoposto le forze armate della Repubblica Popolare a una profonda campagna anti-corruzione (volta sia ad eliminare le inefficienze dentro all’apparato militare che a mettere fuori gioco i nemici politici del segretario), ad una riforma del sistema di comando e ad un processo di aggiornamento tecnologico che ha attraversato, anche sé con intensità differenti, tutte le branche del Pla. L’allineamento dal governo del ministro Li Shangfu la scorsa settimana, e di altre componenti della leadership miliare nei mesi scorsi, è parte di queste campagne di revisione e rimodellamento.

Le sette “regioni militari” dell’Esercito sono state trasformate in cinque comandi di teatro che sovrintendono a diverse direzioni geografiche e sono stati messi in atto piani per ridurre il numero di truppe a 2 milioni di effettivi. Anche i quattro “regni militari” indipendenti del Pla – stato maggiore, politica generale, logistica generale e armamenti generali – sono stati aboliti e i loro poteri sono stati distribuiti in 15 unità più piccole che dipendono direttamente dalla Commissione militare centrale (Cmc) del Partito Comunista Cinese.

Il rapido sviluppo economico della Cina ha permesso al Pla di vedersi costantemente aumentato il budget annuale negli ultimi decenni. Quest’anno le forze armate hanno ricevuto un aumento del 7,2%, arrivando a circa 1,55 trilioni di yuan (224,3 miliardi di dollari), diventando così il secondo budget per la difesa al mondo dopo gli Stati Uniti.

I risultati di questi sforzi sono così evidenti e visibili che i vertici militari statunitensi hanno affermato pubblicamente che nel 2027 la Repubblica Popolare avrà una forza militare sufficiente per invadere Taiwan. Ma il divario che separa il Pla dalle forze armate statunitensi è ancora incolmabile. Le tecnologie di cui dispone Washington sono decisamente superiori, e la sua politica di export control è stata sviluppata anche per rallentare l’acquisizione di un simile expertise da parte di Pechino.

Inoltre, l’Esercito Popolare di Liberazione non si impegna in un conflitto reale sin dal 1979, anno dell’invasione del Vietnam. Questa mancanza di esperienza di combattimento rappresenta comunque un limite per l’efficacia militare delle forze armate di Pechino. E non solo per quel che riguarda l’esperienza dei soldati, ma anche perché le tattiche e le dottrine sviluppate non possono essere messe alla prova, se non in wargames con un grado di realismo difficilmente paragonabile a un vero campo di battaglia.

“È troppo presto per concludere se gli sforzi di modernizzazione del Pla stiano funzionando o meno”, ha detto Ni Lexiong, professore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Scienze Politiche e Giurisprudenza di Shanghai. Per Ni, “le realtà che si stanno verificando sul campo di battaglia ucraino hanno ribaltato molte dottrine militari e giudizi che abbiamo appreso da precedenti guerre convenzionali come la Guerra del Golfo. Una volta ci aspettavamo che i combattimenti tra carri armati su larga scala sarebbero diventati i protagonisti della guerra in Ucraina, e che la fanteria avrebbe svolto un ruolo inferiore per ripulire le conseguenze […] proprio come è successo durante la Guerra del Golfo, ma la realtà ha mostrato che i loro ruoli sono stati scambiati”.

Xi ha indicato alle forze armate tre grandi obiettivi da raggiungere entro un lasso di tempo molto preciso: meccanizzazione di base e grandi progressi nel campo dell’informatizzazione entro il 2020, modernizzazione della difesa nazionale entro il 2035 e costruzione di un esercito di livello mondiale a tutto tondo entro la metà del secolo. Non è difficile leggere tra le righe l’obiettivo trasversale di superare gli Stati Uniti nella dimensione bellica, diventando così la prima potenza militare globale.


formiche.net/2023/11/tecnologi…



Il 4 novembre è un atto di stima per le nostre Forze Armate. Scrive il gen. Arpino


L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a f

L’aver perso disastrosamente la guerra e visto l’Italia spaccata tra Nord e Sud, l’aver avuto in Parlamento e nel Paese il più forte partito comunista d’Europa, del quale alcuni rappresentanti di spicco (avevamo da poco aderito alla Nato) continuavano a fare la spola con Mosca, sono elementi che a suo tempo avevano disorientato i cittadini e messo in dubbio la nostra credibilità, all’interno e all’esterno.

L’aver persino ridicolizzato e tentato di distruggere, con abili manovre culturali, persino concetti “risorgimentali” fondanti come quelli di Patria, dovere, onore e famiglia, avevano prodotto sin dal primo dopoguerra una strisciante, ma pervasiva, disaffezione per le Forze Armate. Tuttavia, questa sembrava essere in buona parte svanita, se si considera il successo popolare dell’iniziativa del ripristino della sfilata militare nell’ambito del 2 giugno, voluta dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Era un uomo che durante la guerra aveva indossato le stellette, e non se lo era mai dimenticato. La festa del 4 novembre, che ha anch’essa subito alterne vicende, rientra in questo contesto.

È da allora che, con fatica, abbiamo cominciato a risalire la china. Anche grazie al coraggio del presidente Ciampi – lo posso dire a ragion veduta – da allora ad oggi l’atmosfera sembrava essere cambiata. E, pur senza rinnegare una briciola dei valori che li contraddistinguono, sono cambiati anche i militari. Una maggiore apertura verso il pubblico, la realtà positiva e il comune apprezzamento del loro operato nelle missioni internazionali, la sospensione della leva, l’arruolamento femminile ed un maggior senso di responsabilità collettiva sono tutti elementi che stanno riequilibrando una situazione non simpatica, che gli uomini in uniforme avvertivano e sopportavano con pazienza.

Resta comunque un equilibrio fragile, spesso aggredito da ideologie antiquate, ma persistenti. Il mondo politico in tutto questo non aiuta molto: si va dai sorrisi e gli applausi del due giugno alla richiesta di “provvedimenti esemplari” nei confronti del carabiniere che, aggredito, spara un colpo di pistola. Non si è capito, ad esempio, che una buffa tenuta con blue jeans, camicia bianca, colletto aperto e caritatevole copertura del tutto con una giacca di mimetica presa a prestito (forse nell’intento di dimostrarsi “democratici” ed alla mano verso gli impeccabili, ma perplessi militari schierati sull’attenti) è irrispettosa verso tutto il reparto, e che i soldati, dopo la rottura dei ranghi, ne rideranno a crepapelle. Così come lascia perplessi il fatto che per molto tempo, si sia voluto contrabbandare per “duale” ogni esigenza d’acquisto ed ogni oggetto da mettere in mano a un soldato. Ora, con le guerre che ci toccano da vicino, tutto ciò sembra esaurito, ma il pubblico, stupito e confuso, non capisce. O riceve un messaggio sbagliato.

Il “politicamente corretto”, così attraente ed accattivante nelle aule parlamentari e nei vertici internazionali, sul terreno, in cielo ed in mare non lo è affatto, e non funziona. Non mi dilungo sugli esempi, che sono molti e ricorrenti, dalla guerra del Golfo alla Libia, dal Kosovo all’Afghanistan. Eppure facciamo le cose bene, ma riusciamo a dare sempre l’impressione di quelli che lanciano il sasso e nascondono la mano. Anche questo lascia perplessi i nostri cittadini, e, più ancora, i nostri soldati. E non parlo solo dei famigerati caveat nazionali. Cose di questo tipo sono disdicevoli, perché, l’inevitabile percezione internazionale di questo nostro tormento erode credibilità, affidabilità e pone ingiuste ombre sul generale consenso che invece si conquistano sul campo i soldati. Il cittadino attento se ne accorge, e i suoi dubbi aumentano.

È con questi pensieri che oggi ci apprestiamo a celebrare il “nostro” 4 novembre. È per volere delle nostre Autorità (certo non intendiamo discutere, sappiamo che conoscono il contesto nazionale ed internazionale molto meglio di noi), che questa “nostra” celebrazione, almeno esteriormente, quest’anno trascorrerà in tono minore, senza enfasi e senza festeggiamenti, cercando quasi di passare sottotraccia. Certo, le massime Autorità saranno pur sempre all’Altare della Patria, le Frecce Tricolori passeranno con puntualità cronometrica e in una blindatissima Cagliari parlerà il ministro della Difesa alla Presenza del Capo dello Stato, a conclusione della Cerimonia ufficiale.

E noi, buoni cittadini? Non sentiamoci esclusi da un tono minore che certamente avrà le sue contingenti giustificazioni politiche. Senza dare fastidio a nessuno, senza attrarre odio, senza polemizzare, celebriamo comunque in perfetto silenzio questo “nostro” 4 novembre. A modo nostro. Dentro di noi. Nel profondo del cuore.


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Forze Armate, patrimonio di tutti. La riflessione di Margelletti


Il 4 novembre è prima di tutto la festa dell’Unità nazionale, e poi e anche la festa delle Forze armate, perché senza le Forze armate, senza il loro apporto e il loro sacrificio, non esisterebbe una unità nazionale. Non solo adesso, ma soprattutto nella S

Il 4 novembre è prima di tutto la festa dell’Unità nazionale, e poi e anche la festa delle Forze armate, perché senza le Forze armate, senza il loro apporto e il loro sacrificio, non esisterebbe una unità nazionale. Non solo adesso, ma soprattutto nella Storia, le Forze armate hanno rappresentato il divenire italiani, una tendenza che nella Prima guerra mondiale (che il 4 novembre ricorda, data dell’armistizio ndr) in Italia si realizza compiutamente per la prima volta. Questo è il significato della festa, ricordare che noi siamo l’eredità di quello che eravamo allora.

Il 4 novembre, allora, andrebbe ricordato tutti i giorni, perché l’apporto di uomini e donne in uniforme è quotidiano. Basti pensare ai terribili eventi che si stanno realizzando in queste ore in Toscana per il maltempo, e alla presenza delle Forze armate nell’aiutare la popolazione colpita dalla calamità. Pensiamo ai militari che quotidianamente supportano i processi democratici in tantissimi Paesi e rappresentano un elemento di terzietà rispetto a realtà che altrimenti sarebbero confliggenti tra loro. Pensiamo ai nostri Carabinieri, che sono ogni giorno sulle strade quali militari che si occupano della sicurezza pubblica. E infine, ricordiamo i tanti militari caduti durante la pandemia, e lo straordinario apporto che le Forze armate hanno dato per contenere in maniera determinate il Covid-19, attraverso una incredibile campagna vaccinale il cui merito va al ministero della Difesa, oltre che a quello della Ricerca.

Di fronte a tutto questo, provo allora profondo imbarazzo per quanti alimentano il dibattito sul 4 novembre, perché le Forze armate italiane sono un patrimonio della nazione tutta, non di un governo. La Difesa è al servizio del Paese, e chi pensa che sia “di una parte” piuttosto che di un’altra, evidentemente hanno perso il senso di una nazione e cosa significhi per l’Italia.

Le Forze armate italiane svolgono ogni giorno un’opera incredibile con risorse da sempre estremamente limitate. Peraltro, ricordiamo che i tanti viaggi che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha svolto nelle scorse settimane, anche per la crisi di Gaza, hanno dimostrato coma la diplomazia con le stellette sia un legame estremamente efficace. Non c’è dubbio, del resto, che viviamo in una situazione internazionale estremamente fragile. Al di là delle possibili discussioni su come affrontarla, la mia posizione a riguardo è netta: le Forze armate hanno bisogno di maggiori risorse, perché noi non sappiamo quale sarà il futuro, ma di certo appare sempre più critico. E questo è un dato oggettivo. Abbiamo due conflitti che rischiano di diventare ancora più grandi e di allargarsi fino alle porte di casa nostra. Coloro che dicono, quindi, che non è il momento di parlare di aumentare le spese della Difesa, a questo punto, non solo non si rendono conto, probabilmente, del momento in cui il mondo sta vivendo, ma stanno anche creando dei problemi alla sicurezza nazionale.


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GAZA. Guterres (Onu): “sono inorridito dagli attacchi aerei alle ambulanze”.


"Tutto questo deve finire", ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite. "La situazione umanitaria a Gaza è orribile. Subito il cessate il fuoco”. L'articolo GAZA. Guterres (Onu): “sono inorridito dagli attacchi aerei alle ambulanze”. proviene da

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della redazione

Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Il segretario generale delle Nazioni Unite è rimasto “inorridito” dall’attacco delle forze israeliane contro un convoglio di ambulanze a Gaza avvenuto ieri, ha detto in un comunicato, aggiungendo che il conflitto “deve finire”. La Mezzaluna Rossa Palestinese ha riferito che una delle sue ambulanze è stata colpita “da un missile lanciato dalle forze israeliane” a pochi passi dall’ingresso dell’ospedale Shifa di Gaza City, in un attacco che ha ucciso 15 persone e ne ha ferite più di 60.

“Sono inorridito dall’attacco riportato a Gaza contro un convoglio di ambulanze fuori dall’ospedale Al Shifa. Le immagini dei corpi sparsi sulla strada fuori dall’ospedale sono strazianti”, ha detto Antonio Guterres nella dichiarazione.

L’esercito israeliano ha dichiarato di aver lanciato un attacco aereo su “un’ambulanza identificata dalle forze armate come utilizzata da una cellula terroristica di Hamas in prossimità della loro posizione nella zona di battaglia”. Poi ha sostenuto che con le ambulanze Hamas avrebbe cercato di portare suoi uomini al valico di Rafah in modo da farli fuggire in Egitto. Accuse seccamente respinte dalla Mezzaluna rossa.

Ribadendo di “non dimenticare gli attacchi terroristici commessi in Israele da Hamas”, Guterres ha aggiunto che “per quasi un mese, i civili di Gaza, compresi bambini e donne, sono stati assediati, negati gli aiuti, uccisi e bombardati fuori dalle loro case”. le case. “Tutto questo deve finire”, ha continuato. La situazione umanitaria a Gaza è “orribile”, ha detto. Non ci sono “abbastanza” cibo, acqua e medicine, mentre il carburante per alimentare gli ospedali e gli impianti idrici sta finendo, ha avvertito. I rifugi delle Nazioni Unite a Gaza “sono quasi quattro volte la loro capacità totale e sono colpiti dai bombardamenti”, ha continuato Guterres. “Gli obitori sono stracolmi. I negozi sono vuoti. La situazione igienico-sanitaria è pessima. Stiamo assistendo ad un aumento delle malattie e delle malattie respiratorie, soprattutto tra i bambini. Un’intera popolazione è traumatizzata. Nessun posto è sicuro”, ha detto.

Guterres ha nuovamente chiesto un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi presi da Hamas durante il primo attacco del 7 ottobre. Il gruppo palestinese ha ucciso più di 1.400 persone in quell’attacco, principalmente civili, dicono funzionari israeliani. Tel Aviv ha reagito bombardando massicciamente la Striscia di Gaza, dove sono morte più di 9mila persone, soprattutto donne e bambini.

invitato nuovamente tutte le parti a rispettare il diritto internazionale umanitario e a proteggere i civili.

“Tutti coloro che hanno influenza devono esercitarlo per garantire il rispetto delle regole di guerra, porre fine alle sofferenze ed evitare una propagazione del conflitto che potrebbe travolgere l’intera regione”, ha affermato.

Resta drammatica la situazione dei civili palestinesi. Ieri, la Mezzaluna Rossa Palestinese (PRCS) ha ricevuto 47 camion di aiuti umanitari dalla Mezzaluna Rossa egiziana attraverso il valico di frontiera di Rafah, ha affermato la PRCS in un post sul suo account sulla piattaforma di social media X. Il post aggiunge che questi camion contenevano cibo, acqua, generi di prima necessità, farmaci e attrezzature mediche. “Finora sono stati ricevuti complessivamente 421 camion, ma fino ad ora non è stato consentito l’ingresso del carburante”,

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L’Onu dice basta ma il Blocco Economico di Cuba non cesserà


All'Assemblea generale 187 paesi hanno votato per l’eliminazione delle sanzioni che da molti decenni colpiscono duramente l'Avana. Solo due paesi hanno votato contro: gli Stati Uniti e Israele. Uno si è astenuto, l’Ucraina. L'articolo L’Onu dice basta ma

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di Davide Matrone

Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Il 2 novembre all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è tenuta la votazione della Risoluzione contro il Blocco Economico inflitto dagli Stati Uniti a Cuba. Il risultato anche quest’anno è stato schiacciante a favore del governo cubano. Ben 187 paesi membri dell’ONU hanno votato per l’eliminazione dell’anacronistico blocco economico, commerciale e finanziario che colpisce l’economia dell’Isola grande dei Caraibi. Solo due paesi hanno votato contro e sono gli Stati Uniti e lo stato d’Israele. Un solo astenuto, l’Ucraina.

Precedenti storici

La vittoria della Rivoluzione Cubana nel 1959 determinò il punto di rottura della geopolitica continentale e la questione cubana divenne il nodo principale della politica estera degli Stati Uniti. Fu immediata la reazione del paese nordamericano che cominciò ad armare una serie di piani per destabilizzare il primo governo rivoluzionario e socialista del continente. L’azione di forza contro Cuba era stata già progettata sin dai primi mesi della vittoria di Castro. A fomentarla fu l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Richard Nixon che aveva messo su “Il Progetto Cuba” coi fratelli Dulles, John Foster e Allan, rispettivamente Segretario di Stato e capo della C.I.A.

Il 17 marzo del 1960 il presidente statunitense Dwight Eisenhower approvò il piano che includeva una guerra psicologica e azioni politiche, economiche e paramilitari contro Cuba e la sua popolazione. Nel settembre del 1960 Fidel Castro pronunciò il suo primo discorso alla sede delle Nazioni Unite a New York ed era ben chiaro che il suo governo non avrebbe retrocesso di un millimetro di fronte ai piani e agli attacchi dell’imperialismo nordamericano che fu criticato duramente dallo stesso Castro per almeno 10 volte nel suo discorso. La risposta statunitense fu immediata: nell’ottobre del 1960 cominciò ad applicarsi il blocco economico contro Cuba dopo le espropriazioni delle compagnie e proprietà statunitensi ad opera del governo Rivoluzionario.

Il punto di massima rottura tra i due paesi si ebbe nell’anno 1962. Nel gennaio dello stesso anno, si organizzò l’Ottava Riunione di Consulta dei Ministri delle Relazioni Estere degli Stati Americani a Punta del Este in Uruguay. A quell’incontro il governo di Cuba si presentò con una folta delegazione presieduta dall’ex Presidente Oswaldo Dorticós. L’allora Governo Rivoluzionario denunciò che Washington pretendeva utilizzare l’evento per ricattare i paesi dell’America Latina e metterglieli contro. Alla fine della riunione Cuba fu esclusa dall’OEA. Come risposta a questa esclusione, nei primi giorni di febbraio si approvò la Seconda Dichiarazione di l’Avana in una gigantesca concentrazione popolare nella Piazza della Rivoluzione “José Martí”. Giorni successivi si stabilisce il blocco economico totale contro Cuba ad opera del governo Kennedy con la Risoluzione 3447. Da allora il blocco, commerciale e finanziario non è terminato, anzi ha registrato inasprimenti in vari momenti storici come quelli degli anni 90 con la promulgazione delle leggi Helms Burton, Torricelli, poi quelle dell’anno 2000 e le ultime nel governo di Donald Trump con un pacchetto di leggi ad hoc per inasprire la condizione materiale dei cubani.

Gli effetti del blocco economico a Cuba

Gli effetti di questa misura sono stati devastanti per la popolazione cubana e i suoi governi. Il blocco si applica nell’ambito economico, commerciale e finanziario colpendo tutti i settori dell’economia nazionale cubana. Secondo stime governative dal 1962 ad oggi si calcola una perdita per un totale di 160 miliardi di dollari. Nel solo anno 2022 / 2023 le perdite ammontarono a 5 miliardi di dollari. Eppure nonostante queste grandi perdite, Cuba ha resistito con dignità e finanche alle perdite causate dalle importazioni dall’ex URSS dopo la caduta del muro di Berlino. È riuscita anche a brevettare 5 vaccini grazie ai successi della biotecnologia nazionale durante la grande crisi del biennio 2019, 2020 dovuta alla propagazione del COVID 19.

31 Votazioni dell’ONU che condannano il blocco economico

Fu nell’anno 1991 che si presentò per la prima volta all’ONU, il Progetto di Risoluzione contro il Blocco Economico da parte del governo Cubano. A pochi giorni dalla votazione, la delegazione cubana ritirò il documento per le enormi pressioni da parte del governo statunitense. Dal 1992 si registrò la prima votazione che si ripete ogni mese di novembre all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel primo anno votarono a favore dell’eliminazione del blocco economico 95 paesi però dall’anno 2004 si passò a 179 paesi che condannarono la misura statunitense. La votazione con il numero più alto di paesi che dissero no al blocco si registrò nell’anno 2013 con 188 voti e da allora si oscilla tra i 184 e 187. Durante questi 3 decenni di votazioni, solo due paesi hanno mantenuto una posizione favorevole al blocco economico contro Cuba e cioè: Stati Uniti e Israele. Anche quest’anno sono stati gli unici due paesi a votare contro con un unico voto di astensione da parte dello stato di Ucraina.

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foto di Jorge Luis Baños/IPS

Il comportamento dell’Ucraina con la solidarietà Cubana

Nel 2018 L’Ucraina si assentò durante la votazione, poi seguirono quattro astensioni di seguito nelle votazioni del 2019, 2021, 2022 e 2023. Nel 2020 si registrò un’interruzione dei lavori dell’ONU per la situazione epidemiologica COVID-19 a livello globale.

L’Ucraina negli ultimi anni è chiaramente nell’orbita occidentale filostatunitense, oggi è aiutata e sostenuta economicamente, politicamente e militarmente dall’Europa e dagli Stati Uniti nel conflitto bellico contro la Russia ed è in processo la sua integrazione nella NATO. È quindi parte di quel pezzo di mondo che ostacola, critica e condanna Cuba in ogni occasione. Tuttavia non vota contro Cuba nelle votazioni annuali all’ONU. Perché?

Sarebbe il caso di ricordare quello che fece il governo cubano con la popolazione ucraina all’indomani del disastro nucleare di Cernobyl nel 1986. L’Ucraina allora era parte dell’impero sovietico e tra i primi paesi a solidarizzare con la popolazione ucraina fu proprio Cuba che attivò una serie di piani di solidarietà. Quando nell’anno 1990 il caso Cernobyl già non era più notizia, Cuba inviò sul suolo ucraino un gran numero di medici per riscontrare gli effetti delle radiazioni sulla popolazione. Dal 1990 al 2016 Cuba ha ricevuto sul suo territorio 26 mila ucraini di cui 22 mila bambini e bambine. Furono realizzate 70 mila consulte in 22 specialità mediche da parte dei medici cubani che usarono, oltretutto, farmaci prodotti dalla biotecnologia cubana. I primi 139 bambini e bambine che giunsero sull’isola cubana per ricevere trattamenti medici furono ricevuti personalmente dal Presidente Fidel Castro. Ancora oggi, moltissimi in Ucraina ricordano la solidarietà cubana. I bambini di allora, oggi adulti, raccontano quest’esperienza con affetto e rispetto come si evidenzia in un reportage realizzato dalla BBC inglese nel 2019. (bbc.com/mundo/noticias-america…)

Alcune reazioni dopo la votazione

Il Ministro degli esteri cubano ha dichiarato: “Durante 6 decenni, Cuba ha resistito a uno spietato blocco economico, commerciale e finanziario. Oltre l’80% della nostra popolazione attuale ha conosciuto solo la Cuba bloccata. La perversa decisione di rafforzare in modo inedito il blocco in questa congiuntura di crisi economica mondiale derivata dalla pandemia, per promuovere la destabilizzazione del paese, rivela con tutta chiarezza la profonda crudeltà e inumanità di questa politica”.

La ministra degli esteri del Gabón ha dichiarato: ”Il blocco economico, commerciale e finanziario ha un grande impatto per la vita quotidiana di tutti i cittadini di Cuba. Porre fine al blocco sarebbe un passo significativo per migliorare la qualità di vita del popolo cubano”

La ministra degli esteri cilena ha affermato: ”Cile non è d’accordo con le imposizioni delle sanzioni unilaterali di nessun tipo. Riaffermare la necessità di porre fine al blocco Economico a Cuba, cosi come la sua esclusione dalla lista dei paesi che patrocinano il terrorismo”

Per saperne di più ho contattato Yamila González Ferrer, Vicepresidente dell’Unione Nazionale dei Giuristi di Cuba che ha dichiarato: ”Questa votazione riflette l’opinione dell’immensa e schiacciante maggioranza di paesi del mondo contro una politica aggressiva e genocida degli USA contro il popolo cubano. Una volta ancora ha vinto la ragione, la giustizia e il reclamo di tutto il mondo che vuole porre fine a questo blocco economico, commerciale e finanziario. Credo che sia molto importante in questo momento riconoscere l’appoggio internazionale che permette di rendere più visibile la lotta di Cuba. Inoltre la giornalista cubana Diane Dewar raggiunta telefonicamente ha dichiarato: ”Il blocco economico statunitense contro Cuba è una delle più grandi ingiustizie commesse nel mondo. Per oltre sei decenni gli Stati Uniti hanno dato fastidio a un governo e allo stesso tempo al suo popolo che ha deciso di ricostruire la sua propria storia”. Pagine Esteri

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N. 200/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: Il garante per la privacy del Paese ha avviato un procedimento civile contro Australian Clinical Labs (ASX: ACL) per l’hacking di Medlab che ha comportato il furto delle cartelle cliniche e dei numeri di carta di credito di oltre 223.000 pazienti e personale alla fine dello scorso anno.Il...


Etiopia, la guerra genocida in Tigray e le conseguenze 3 anni dopo


La guerra genocida è iniziata in Tigray il 4 novembre 2020. I media italiani politicizzati non ne hanno dato degna visibilità, se non per mettere in luce qualche sporadica notizia sensazionalistica. Personalmente coinvolto emotivamente per amicizie di lun

La guerra genocida è iniziata in Tigray il 4 novembre 2020. I media italiani politicizzati non ne hanno dato degna visibilità, se non per mettere in luce qualche sporadica notizia sensazionalistica.

Personalmente coinvolto emotivamente per amicizie di lunga data e visto le premesse informative in Italia, ho cominciato a condividere aggiornamenti, per quel che potevo, per quel che riuscivo a sapere da varie fonti.

Il Tigray, stato regionale a nord dell’ Etiopia confinante con l’Eritrea, ha circa 7 milioni di abitanti.

Sono stati distrutti il 90% degli ospedali, lo stupro è stato usato come arma producendo una stima di 120.000 abusi su donne di ogni età, arresti di massa, deportazioni e detenzioni su base etnica contro il diritto umanitario internazionale su persone di ogni genere, di ogni età e ceto sociale (anche donne e umoni di chiesa) e persone solo per il sospetto che fossero sostenitori dei “ribelli”. Furono attaccati anche luoghi di culto. La guerra per strategia bellica fu combattuta in totale isolamento comunicativo e blackout elettrico: 2 anni in cui il popolo tigrino è stato tenuto in ostaggio. Le stime delle vittime parlano di 800.000 morti, tigrini civili uccisi direttamente da attacchi aerei, massacri, uccisioni extragiudiziali o per fame indota da volontà politiche del governo etiope. L’occupazione delle forze regionali amhara e milizie Fano nellla parte nord occidentale del Tigray hanno perpetrato attività di pulizia etnica, anche dopo l’inizio della tregua del novembre 2022, che ha decretato un formale cessate il fuoco con l’accordo di Pretoria tra il governo federale etiope e i membri del TPLF – Tigray People’s Liberation Front, partito del Tigray considerato gruppo terroristico dalla legge etiope dl maggio 2021. Questo ultimo anno di tregua formale comunque non ha fermato abusi e violenze sulla popolazione civile di etnia tigrina.


ARCHIVIO: Tigray : la Guerra Genocida Dimenticata dal Mondo – Archivio


Oggi la situazione si è normalizzata ma resta critica e grave.

Ci sono ancora più di 1 milione di sfollati interni, IDP, in Tigray in attesa oltre che di poter tornare a casa, anche di assistenza e supporto alimentare e per cure mediche.

Le persone continuano ancora a morire di fame dopo un anno dall afirma dell’ accordo di tregua.

Secondo uno studio congiunto condotto dal Tigray Health Bureau, dal Tigray Health Research Institute e dalla Mekelle University, almeno 1.329 persone sono morte di fame in soli 9 distretti nella regione per il periodo di 9 mesi che hanno portato ad agosto 2023.

La sospensione degli aiuti alimentari da parte di WFP e USAID per nove mesi consecutivi, ha aggravato le condizioni umanitarie di una regione già scosse da disastri come siccità, invasione di locuste nel deserto

La presenza degli sfollati crea disagi perché in varie zone occupano edifici scolastici per cui i ragazzi non possono tornare sui banchi di scuola.

Gli ospedali dopo 3 anni continuano ad essere in mancanza di risorse. Ci sono flebili segnali di ripresa e supporto nei più grandi centri, ma per le aree rurali e più decentralizzate, soprattutto quelle ancora occupate dalle forze amhara ed eritree, sussistono problematiche di accesso alle cure e al supporto umanitario alimentare.


Approfondimenti: Etiopia: le atrocità cessa l’anniversario del fuoco – Human Rights Watch


La commissione degli esperti sul diritto umanitario dell’ ONU – ICHREE, istituita per investigare in maniera indipendente sui crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati sul popolo tigrino, è stata bloccata nel suo operato. Il suo mandato non è stato rinnovato come sperato dalla diaspora e da tutta quella parte di società civile che chiede giustizia per le vittime. Il mandato non è stato rinnovato per due cause principali: la pressione da parte del governo etiope perché ha rivendicato, come strumento di distrazione di massa, di essere stato sovrano quindi che come da accrodo di Pretoria ha istituito un processo di giustizia di transizione come processo interno nazionale e dall’altra la volontà politica dell’ ONU che non ha rispettato il “mai più” voltandosi dall’altra parte il 4 ottobre durante la seduta della commissione per decidere le sorti del ICHREE. Il movente della comunità internazionale? Probabilmente tutelare le proprie risorse in gioco, vecchi e nuovi accordi economici mascherati da “crescita e sviluppo” in Etiopia.

In una dichiarazione rilasciata in occasione del primo anniversario dell’accordo di Pretoria, il TPLF afferma che il popolo del Tigrai continua a soffrire terribilmente a causa della sua mancata attuazione, affermando che:

“Milioni di persone nel Tigrai sono sparse ovunque in cerca di rifugio nei campi, e coloro che sono sotto le forze d’invasione sono costretti a cambiare la propria identità, mentre coloro che si trovano nei campi per sfollati stanno morendo di fame”


“Le forze d’invasione avrebbero dovuto ritirarsi dal Tigrai, ma non sono state ritirate.” ha osservato il TPLF. Il TPLF esorta il governo federale, l’UA, gli Stati Uniti, l’UE, l’IGAD e le organizzazioni internazionali dei media e dei diritti a mantenere i progressi raggiunti attraverso l’accordo di Pretoria e ad impegnarsi per assumersi i propri obblighi morali e legali per garantire la piena attuazione dell’accordo.”


Per l’Italia naturalmente si è tutto risolto con la firma dell’accordo di Pretoria, così i media italiani si sono sentiti legittimati di non scriverne più (non che prima di tale data avessero contribuito con l’informazione su tale contesto, anzi).

A fine ottobre 2023 funzionario USA rivela che la richiesta dell’Etiopia di idoneità AGOA è “ancora in sospeso”. “Queste decisioni sono ancora in sospeso”, ha detto la signora Hamilton ai giornalisti del continente, e che “probabilmente non ci sarà alcun annuncio al momento in cui arriveremo al Forum AGOA”. Il presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo nel novembre 2021 che rimuoveva l’Etiopia dall’AGOA a seguito dell’escalation della guerra, iniziata un anno prima nella regione del Tigrè, e ha assistito a “grosse violazioni dei diritti umani riconosciuti a livello internazionale. ”Il governo etiope ha condannato la decisione, descrivendola come “sbagliata e non riuscendo a considerare il benessere dei comuni cittadini.”


Approfondimento: L’accordo di pace di Pretoria: promesse infrante e l’appello urgente per l’emendamento e la rinegoziazione


La guerra genocida iniziata in Tigray il 4 novembre 2020 ha avuto fine formale il 3 novembre 2022 con l’accordo di cessazione ostilità, ma abusi e violenze continuano ancora oggi.

Come sempre a pagarne il caro prezzo, anche con la vita, sono i milioni di persone. Come prassi, l’informazione in Italia ha spento i riflettori su questa ennesima crisi umanitaria in atto per passare al prossimo scoop.

Una preghiera per tutte le vittime della guerra genocida in Tigray. Una pensiero di speranza per tutte le persone che ancora soffrono.


tommasin.org/blog/2023-11-04/e…



Macron punta sull’Asia Centrale, Mosca arretra


In tour in Asia Centrale, Macron consolida le relazioni economiche e politiche con Kazakistan e Uzbekistan e si assicura un aumento delle importazioni di uranio e petrolio. Mosca costretta alla difensiva L'articolo Macron punta sull’Asia Centrale, Mosca

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di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – Mercoledì Emmanuel Macron ha iniziato un viaggio in Asia Centrale che lo ha portato prima in Kazakistan e poi in Uzbekistan. Un anno fa erano stati i leader dei due paesi ad essere ricevuti all’Eliseo.
Nelle due repubbliche ex sovietiche l’influenza di Mosca si sta via via allentando e ad approfittarne sono stati soprattutto la Cina, la Turchia e, appunto, Parigi.
Il Kazakistan e l’Uzbekistan sono due paesi centrali per gli equilibri geopolitici dell’area, grazie alla loro posizione, al centro di un crocevia tra est e ovest e tra sud e nord che ha stimolato l’attivismo di numerose potenze, e alle ricchezze del sottosuolo.

Macron a caccia di uranio e petrolio
Il Kazakistan, ricco di petrolio, è diventato un produttore ancora più importante dopo la decisione dell’Unione Europea di trovare nuovi fornitori in sostituzione della Russia, punita dopo l’invasione dell’Ucraina.
Inoltre Astana è il maggiore esportatore di uranio al mondo. Dopo il golpe del 26 luglio in Niger, che ha messo in discussione la presa francese sull’ex colonia, Parigi è alla ricerca di nuove fonti del prezioso minerale per bilanciare il blocco delle importazioni dal paese africano, che finora copriva il 15% del fabbisogno di combustibile delle 18 centrali nucleari dell’Esagono.
Di qui la prioritaria necessità di aumentare gli approvvigionamenti provenienti dal Kazakistan, dove l’impresa francese Orano (il cui presidente accompagnava Macron) sfrutta già una miniera di uranio nel paese che da sola copre il 12% dell’intero fabbisogno di Parigi e gestisce una joint venture con l’azienda nucleare statale Kazatomprom. Inoltre il gigante energetico francese EDF potrebbe aggiudicarsi la realizzazione della prima centrale nucleare del Kazakistan realizzata dopo lo smantellamento di quelle costruite in epoca sovietica. Astana soddisfa già il 40% del fabbisogno francese di uranio (e il 25% di quello complessivo europeo) ma Parigi spera che le forniture possano aumentare notevolmente, come d’altronde quelle di greggio.
«Poiché l’energia nucleare rappresenta il 63% del settore energetico francese, esiste un enorme potenziale per un’ulteriore cooperazione. I nostri interessi convergono anche quando si tratta di raggiungere zero emissioni di carbonio in futuro» ha affermato il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, riferendosi anche ai progetti di cooperazione firmati con Parigi nel campo delle energie rinnovabili, oltre che nel comparto farmaceutico.

Inoltre Orano ha annunciato l’avvio delle prime attività di estrazione del minerale in Uzbekistan proprio in concomitanza con l’arrivo del presidente francese a Samarcanda. Se il Kazakistan è attualmente il primo produttore mondiale del combustibile nucleare, la seconda tappa del tour francese in Asia Centrale è il quinto. Pochi giorni fa Parigi ha già firmato un altro accordo con la Mongolia, che però è un produttore abbastanza marginale di uranio e deve fare i conti con un agguerrito movimento che contesta i metodi estremamente inquinanti di estrazione.

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Relazioni economiche privilegiate
Parigi ha da tempo elevato le relazioni economiche con Astana al livello del partenariato strategico che la visita di Macron mira a rafforzare e accelerare. Nel 2022 gli scambi commerciali tra Francia e Kazakistan hanno raggiunto i 5,3 miliardi di euro, principalmente nel campo degli idrocarburi. Parigi è già il quinto investitore nel paese centrasiatico davanti alla Cina, con 771 milioni di dollari di investimenti nel 2022, un incremento del 28% rispetto all’anno precedente. Il gigante energetico francese Total (al pari dell’italiana Eni) controlla il 17% del capitale del consorzio che sfrutta il giacimento petrolifero di Kashagan, nel Mar Caspio.

Ad Astana Macron e Tokayev hanno firmato una dichiarazione d’intenti per una partnership nello strategico settore delle terre e dei metalli rari (allo scopo di ridurre la dipendenza da Pechino) mentre Parigi importa già dal Kazakistan il 20% del titanio utilizzato dalla sua industria aerospaziale. Le francesi Alstom e Thales potrebbero ottenere un commessa, rispettivamente, per la produzione di treni elettrici e per la vendita di radar militari.

Con l’Uzbekistan gli scambi commerciali sono assai più ridotti ma in rapida crescita, avviati verso la simbolica soglia del miliardo di euro l’anno. Inoltre Macron si è impegnato con il presidente uzbeko Shavkat Mirziyoyev a facilitare il varo di un Trattato di Cooperazione tra Bruxelles e Tashkent e a intercedere per l’ingresso del paese nell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Uranio non olet
Né a Parigi né a Bruxelles sembra interessare che entrambi i paesi siano governati da regimi fortemente autoritari, che di fatto impediscono la libera espressione del dissenso e lo sviluppo di un’opposizione politica.
Il presidente francese ha anzi elogiato le “riforme” di Mirziyoyev – che nel 2017 ha aperto l’Uzbekistan al commercio internazionale – e la capacità di Tokayev di mantenere la stabilità nel suo paese. Poco importa che la suddetta “stabilità” sia stata imposta con una repressione – supportata dalle truppe inviate dai paesi del CSTO guidato da Mosca – che nel 2022 è costata la vita a centinaia di manifestanti.

Tanto la Francia quanto l’Unione Europea vogliono approfittare del fatto che l’Uzbekistan e soprattutto il Kazakistan, che hanno basato la propria crescita economica soprattutto sull’esportazione degli idrocarburi, del carbone e dell’uranio, intendono ora differenziare velocemente gli investimenti, ponendosi al centro di una fitta rete di relazioni commerciali in virtù della propria posizione geopolitica.

10152013
Riserve di uranio del Kazakistan

La Russia arretra
Per un certo numero di anni dopo lo scioglimento dell’URSS, Kazakistan e Uzbekistan sono rimaste nell’orbita politica, economica e militare russa, ma negli ultimi anni hanno accelerato un processo di allontanamento da Mosca iniziato da più di un decennio. La Federazione Russa rimane il partner principale delle due repubbliche, che però stanno sviluppando rapporti sempre più intensi con altre potenze, puntando a giocare su più tavoli.
Anche a costo di prendere esplicitamente le distanze da Mosca, come è avvenuto dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tanto Astana quanto Tashkent hanno aderito alle sanzioni varate da Ue e Nato contro la Federazione Russa, si sono rifiutate di riconoscere l’annessione delle regioni ucraine occupate e si sono offerte come sostituti di Mosca nella fornitura di gas e petrolio all’occidente, diventando un nodo nei collegamenti tra Europa e Cina che bypassa la Russia.

Una scelta ovviamente apprezzata da Macron che ha elogiato Tokayev e ha affermato di non sottovalutare «in alcun modo le difficoltà geopolitiche, le pressioni (…) che alcuni attori potrebbero esercitare su di voi».

A ottobre i ministri degli Esteri del Kazakistan e dell’Uzbekistan, insieme a quelli del Kirghizistan, del Tagikistan e del Turkmenistan, si sono riuniti per la prima volta con i loro omologhi dei 27 paesi dell’Unione Europea. A settembre era stato invece Joe Biden ad incontrare i leader dei paesi centrasiatici ai margini dell’Assemblea generale dell’ONU.

Di fronte al consolidamento del ruolo francese e genericamente occidentale nel suo cortile di casa, la Russia fa buon viso a cattivo gioco – Mosca rimane, almeno formalmente, il partner strategico di Astana e Tashkent – ma non è affatto contenta.
Mercoledì il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha affermato che il Kazakistan, in quanto stato sovrano, è libero di sviluppare legami con qualsiasi paese. Ma pochi giorni prima il ministro degli Esteri Sergei Lavrov aveva accusato l’occidente di tentare di allontanare da Mosca i «vicini, amici e alleati» della Russia.
«Gli Stati Uniti e i loro alleati stanno cercando di sostenere il sentimento nazionalista, diffondendo menzogne, manipolando l’opinione pubblica, anche attraverso Internet e i social network» aveva già chiarito a giugno Alexander Shevtsov, deputato del Consiglio di sicurezza russo.

Ma la Russia non deve preoccuparsi soltanto dell’invadenza francese ed europea. Negli ultimi anni la Cina ha stretto forti legami con il Kazakistan, investendo ingenti risorse nelle infrastrutture del paese, integrandolo nei corridoi previsti dalla “Nuova Via della Seta” e soppiantando in vari campi la primogenitura di Mosca.

E proprio a ridosso di Emmanuel Macron, a stringere accordi con le repubbliche dell’Asia Centrale sono arrivati giovedì e venerdì prima il premier ungherese Viktor Orban e poi il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. – Pagine Esteri

10152015* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.

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L’assurda polemica di Zerocalcare che diserta Lucca


Aveva pensato, Zerocalcare, che non andare a Lucca sarebbe stato come andarci due volte. Solo negandosi, infatti, poteva riuscire a superare sé stesso nel mercatone dove i fumetti si vendono e si comprano, prodotti industriali come le bottiglie del Vinita

Aveva pensato, Zerocalcare, che non andare a Lucca sarebbe stato come andarci due volte. Solo negandosi, infatti, poteva riuscire a superare sé stesso nel mercatone dove i fumetti si vendono e si comprano, prodotti industriali come le bottiglie del Vinitaly di Verona. La Mostra di Lucca è il supermercato del fumetto, come Eataly lo è del cibo. Ci sono i banconi di Paperopoli e dei Manga. C’è il porno misto per accogliere Salvini che è cresciuto con Lando lo sciupafemmine. E c’è anche la “gourmanderie” ideologica dove, fumante di collera, Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele, così si decora la coscienza e si sente come le pantere nere alle Olimpiadi del 1968.

Ma poiché esiste ormai una storia, una geografia, una retorica e un’aneddotica del negarsi per meglio offrirsi è cominciata la cerimonia delle smanie e si sono negati in tanti, Fumettibrutti, Giancane, Stefano Disegni, Davide Toffolo, e via con la lista dei minori che vogliono essere all’altezza, tutti, nel loro piccolo, abusando dei palestinesi come ne abusa Hamas, e tutti ben sapendo che la grandezza di un festival è fatta di contro-festival, di uno sprezzante controcanto che si nutre del canto e anche della sua putrefazione, come il Festival e Il Controfestival di Sanremo. A Milano c’è il Salone del mobile, ma forse il suo “contro”, il Fuori Salone di via Tortona, è ormai più importante.

È dunque normale che gli sciacalletti del marketing vadano a caccia di scandaletti. Negli anni scorsi sbucavano per le strade di Lucca quattro broccoloni vestiti da nazisti e subito il Comune, che qui è sempre in controtendenza rispetto alla Toscana laica e di sinistra, e dunque è cattolico e di destra, si dissociava, allontanava, tuonava: “noi non permetteremo”. Quest’anno, gli artisti “impegnati” hanno ignorato l’assessora Angela Mia Pisano che aveva nascosto i suoi vecchi post fascistissimi, e in silenzio hanno ingoiato anche il rifiuto di intitolare una strada a Sandro Pertini. Si sono invece buttati su Israele, fiutando l’aria di piazza, il conformismo, i centri sociali, il pubblico peggiore di Zerocalcare, il nocciolo duro del suo estremismo: «noi non siamo certo antisemiti, ma…», «io non ce l’ho con Israele, ce l’ho con il suo governo», e dunque con Netanyahu, di cui ovviamente non sanno nulla. E va bene che di Fiorello ce n’è uno solo e la sincerità non è purtroppo contagiosa, ma quella sua frase «io personalmente non ho nemmeno quel retaggio culturale per esprimermi su una cosa così grande» potrebbe e dovrebbe accompagnare anche la Mostra mercato di Lucca, non come fuga dall’impegno, ma come ricchezza e come rispetto dell’impegno e di tutte le sue mille matite.

Di sicuro qui accade il contrario di quel che avvenne quando, subito dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’università Bicocca minacciò di bloccare le lezioni su Dostoevskij di Paolo Nori e tutti giustamente si ribellarono. E così elogiare i russi, il pacifismo di Tolstoj, il tormento di Solženicyn e ovviamente Anna Achmàtova, rileggerli, o fingere di averli letti, divenne una moda, una postura di guerra o, meglio, un segno di distinzione, in senso letterale, tra il gran popolo russo e il piccolo macellaio Putin: «sì agli artisti russi perché non sono Putin». Ora invece è «no agli artisti israeliani», nonostante non somiglino al governo di Israele, come è ovvio in una democrazia. Hanno disegnato il manifesto della Mostra portandosi dietro il patrocino dell’ambasciata di Israele, che è il loro Paese, niente soldi, solo una nazionalità come naturale gioco di simboli; e invece si colpisce il fumetto per colpire “Bibi”, che con i fumetti ha in comune solo il buffo soprannome.

Finché, la sera della vigilia, per protesta contro la protesta, hanno deciso di non andarci neanche loro, i due artisti israeliani, i fratelli Asaf e Tomer Hanuka: «Non vogliamo passare da una guerra vera a una guerra mediatica, lasciamo che a Lucca parli solo l’arte». Avevano disegnato il logo ufficiale della manifestazione con il titolo Together che adesso suona come uno sberleffo, come un valore negato dal solito surrogato di politica estera che diventa il frullatore dei malumori e dove non c’è più il fumetto, non ci sono più i comics, ma solo la presunzione di prendere su di sé le sorti di Gaza, del popolo palestinese, di Israele e della Cisgiordania e, sbattendo il mappamondo, anche dei curdi, del Tibet, della Cina, del Dalai Lama e della libertà dei popoli… Già Vitaliano Brancati raccontava dei consigli comunali italiani che votavano mozioni su Cuba e il Vietnam: non atti politici ma happening dove «ogni cretino è pieno di idee». E così Lucca è diventata come il bar dei 4 amici di Gino Paoli che volevano cambiare il mondo e invece scappano via, uno dopo l’altro. E la povera Mostra del fumetto, che ieri è stata tristemente inaugurata, nientemeno, da Antonio Tajani, dopo l’oltraggio delle assenze subirà quello delle presenze di governo, con la guest star Salvini, atteso negli stand dedicati al “diavolo Geppo”.

E c’è pure lo stand del povero Tolkien che è gioco di ruolo, perché a Lucca ci sono anche i “games” e i “cosplayer”, adulti che si travestono da Godzilla e da Ufo robot. È un settore industriale, giochi, video-giochi e fumetti, con numeri in forte crescita, il 95 per cento in più tra 2021 e il 2022, e sempre più spazio nelle librerie generaliste. E bisogna ammettere che, tra quelli che contro Israele non vanno a Lucca, solo l’artista maledetta Fumettibrutti, che è il nome d’arte di Josephine Yole Signorelli, esprime con il botto del petardo il mistero di un odio verso Israele che ormai non necessita più di argomenti: «non farò compromessi perché non mi fa dormire la notte». Ecco, nel ricco linguaggio, le sue idee: «Dicono che in quanto transgender e persona queer LGBTQIA+ non dovrei parlare di Gaza o della causa palestinese…», ma «voglio comunque scrivere una parola di cui parlava sempre anche Murgia, che è “intersezionalità”. Significa preoccuparsi per tutte le lotte contro l’oppressione, dei corpi e dei popoli, non solo di quelle che ci fanno comodo».

Ecco: intersezionalità e Michela Murgia. In tempi normali basterebbe questa lunga spiegazione per liberarci con un sorriso dall’imbarazzante sospetto che possa trattarsi di una cosa seria. Ma, con il Medioriente in fiamme, le pietre di inciampo bruciate nelle strade di Roma, le stelle gialle disegnate a Parigi sui muri delle case, la caccia all’ebreo in aeroporto, il massacro del 7 ottobre e la testa decapitata della giovane Shani Louk, ostaggio israeliano-tedesca, oggi dobbiamo confessare che un po’ di colpa della stringente logica aristotelica di Fumettibrutti e di Zerocalcare ce l’abbiamo noi che abbiamo stretto con questo “pensiero” un legame di complicità, un legame intellettuale, fatto di ideologia e di politica, che adesso ci preme sulla coscienza come un peso misterioso. È un legame ambientale, di un tempo storico arredato di confusione, animato da generosità e dallo stesso gusto della vita di Zerocalcare, il fumettista delle periferie che Renzo Piano ci ha insegnato ad amare, il romanesco come ritorno al dialetto e dunque al campanile della piccola patria, ma con il cognome alloctono, Rech, proprio come quello di Bombolo era Lechner.

Siamo in parte responsabili della promozione a pensatori (di sinistra) di tanti tipi buffi d’Italia, come quelli raccontati da Gianni Celati in Parlamenti buffi (Feltrinelli 1989). In Italia il comico fa i comizi, il regista fa i girotondi, il cantante l’intervista logico-filosofica… E quest’anno tocca al fumettista impegnato il fuori misura sottoculturale che però, con il ritorno dell’antisemitismo, rattrista, anche se il fumettista non spaventa nessuno: «Com’è possibile — si chiede Zerocalcare parodiando l’intellettuale organico — che una manifestazione culturale di questa importanza non si interroghi sull’opportunità di collaborare con la rappresentanza di un governo che sta perpetrando crimini di guerra?». È una violenta seriosità che i veri maestri del fumetto (che non sono i vignettisti) non hanno mai avuto, né Altan né Staino e neppure i martiri come Wolinski. E così Sergio Bonelli, Luciano Secchi (Max Bunker), Roberto Raviola (Magnus), il Silver di Lupo Alberto, Giorgio Cavazzano, re di Topolino,?e andando indietro si arriva a Jacovitti e a Hugo Pratt. Sempre il fumettista è stato underground, anticonformista e pure strano, ma mai buffo e goffo, sempre ai margini, ma senza mai scappare e sottrarsi al confronto, soprattutto perché questa Mostra di Lucca non è come la Biennale o la Triennale, non è un’esposizione che è l’arte dell’esporre, del disporre e del sovraesporre sino al significato musicale della parola esposizione che è fuga, “via, via, vieni via di qui”; e non è neppure un convegno oxfordiano o la piazza dello scontro politico, ma è il grande mercato del fumetto, il più importante mercato d’Italia, come “Artissima”, che domani si apre a Torino, lo è per l’arte contemporanea, e come lo sono i vari “Saloni del libro” d’Europa. La “Lucca Comics” è il luogo della mescolanza, dell’insieme appunto, che avvicina e non contamina, il mercato che è sempre stato la “comfort zone” di tutte le minoranze del mondo. Ma non più degli ebrei, secondo Zerocalcare.

La Repubblica

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Ministero della Sanità palestinese: “Chiediamo alla Croce Rossa di portare unità di sangue a Gaza”


Le autorità palestinesi ritengono che Israele, bloccando qualsiasi strada di collegamento tra il nord e il sud della Striscia, impedisca deliberatamente ai feriti del nord di recarsi in Egitto L'articolo Ministero della Sanità palestinese: “Chiediamo all

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Pagine Esteri, 3 novembre 2023. Nella conferenza stampa di oggi, il portavoce del Ministero della Salute palestinese ha comunicato che nelle ultime ore sono stati commessi a Gaza 16 massacri, che hanno causato la morte di 196 palestinesi.

Il numero totale dei palestinesi uccisi a Gaza dal 7 ottobre è di 9.257, di cui 3.826 bambini e 2.405 donne, e 23.516mila feriti. Sono 2.100 le persone scomparse, tra cui 1.200 bambini, rimasti sotto le macerie.

Sono morti 136 operatori sanitari, colpite e distrutte 25 ambulanze, attaccate 102 istituzioni sanitarie. Sono attualmente fuori servizio, a causa dei bombardamenti e della mancanza di gasolio, medicine e attrezzature, 16 ospedali.

Il Ministero della Sanità ritiene che Israele impedisca deliberatamente ai feriti del nord della Striscia di recarsi in Egitto, bloccando qualsiasi strada di collegamento tra il nord e il sud.

Il funzionamento dei generatori secondari nel complesso ospedaliero di Al-Shifa e nell’ospedale indonesiano consente di continuare le attività solo in tre dei reparti, mentre la corrente è interrotta in tutti gli altri. L’interruzione dell’elettricità nei reparti ospedalieri influenza la capacità delle équipe mediche di monitorare i segni vitali dei pazienti ricoverati e di fornire loro interventi medici tempestivi, con gravi ripercussioni sulla vita dei feriti e dei malati.

“Facciamo appello a tutte le istituzioni internazionali affinché intervengano urgentemente per rifornire di carburante il complesso medico di Al-Shifa e l’ospedale indonesiano prima che si verifichi un disastro. Chiediamo al presidente della Repubblica turca, Recep Erdogan, al governo e al popolo turco di intervenire urgentemente per proteggere l’ospedale turco-palestinese, rifornirlo di carburante e salvare 10.000 malati di cancro. Facciamo appello a tutte le parti interessate affinché forniscano un passaggio sicuro al flusso urgente di aiuti medici, carburante e delegazioni mediche per salvare migliaia di feriti e malati. Sottolineiamo la necessità di coordinare tutti gli sforzi per far uscire centinaia di feriti gravi e centinaia di casi complessi il più presto possibile, per non perdere altre vite a causa della mancanza di cure negli ospedali della Striscia di Gaza. Facciamo appello alla nostra gente affinché si rechi immediatamente negli ospedali per donare il sangue. Facciamo appello al Comitato Internazionale della Croce Rossa affinché fornisca quantità e unità di sangue dall’esterno della Striscia di Gaza per salvare la vita dei feriti”.

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MALI. L’ONU fugge dal Paese, abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari


La missione delle Nazioni Unite avrebbe dovuto lasciare la base di Kidal a metà novembre ma i ribelli hanno preso possesso di uffici e materiale L'articolo MALI. L’ONU fugge dal Paese, abbandonando mezzi e attrezzature per milioni di dollari proviene da

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Pagine Esteri, 3 novembre 2023. La missione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) avrebbe dovuto lasciare la base di KIDAL, nel nord del Paese, a metà novembre.

A giugno la giunta militare al potere in Mali ha ordinato ai rappresentanti ONU di lasciare il prima possibile il Paese. In questi mesi i combattimenti e gli scontri tra i ribelli e le forze governative che si contendono il controllo si sono moltiplicati e sono diventati più violenti.

Alla notizia che le truppe ribelli si stavano avvicinando alla base di KIDAL, il personale ONU si è preparato a lasciare in fretta e furia il Paese, abbandonando tutta l’attrezzatura presente e distruggendo il materiale e gli oggetti “sensibili” che i ribelli avrebbero potuto utilizzare per propri fini. Secondo il portavoce della MINUSMA, nella fuga sono andati perduti milioni di dollari di materiale ONU, finiti nelle mani dei ribelli che hanno preso il controllo della base.

Convogli e personale ONU sono stati bersaglio, in questi mesi, di ripetuti attacchi e attentati.

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L’Inondazione di Piedimonte del 1857


Nel settembre del 1857, la città di Piedimonte (Caserta) fu teatro di una catastrofe naturale di proporzioni devastanti. Un’inondazione senza precedenti colpì la regione, lasciando dietro di sé una scia di distruzione e dolore cheContinue reading

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Oggi il discorso di Nasrallah: Hezbollah annuncerà la guerra con Israele?


Il segretario generale del movimento sciita parlerà alle 14 italiane. Si prevedono importanti dichiarazioni, che potrebbero allargare il conflitto alla regione. L'articolo Oggi il discorso di Nasrallah: Hezbollah annuncerà la guerra con Israele? proviene

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della redazione –

Pgine Esteri, 3 novembre 2023. È previsto per le 14.00 di oggi, ora italiana, il discorso del segretario generale del movimento sciita Hezbollah, Hassan Nasrallah. L’annuncio dell’appuntamento è stato accompagnato dalla diffusione di un video carico di suspance in cui il leader libanese sembra ordinare l’avvio di un’operazione militare gestita da una sala operativa vintage, piena di pulsanti, rotelle e comandi vari.

L’attesa è carica di preoccupazione. Negli ultimi giorni la situazione al confine tra Israele e il Libano si è fatta più seria. Israele ha attaccato con aerei e artiglieria le campagne del sud, Hezbollah e Hamas hanno colpito con i droni basi israeliane e la città di Kiryat Shimona, quasi completamente già evacuata giorni fa, causando alcuni feriti.

È possibile che Nasrallah, data la solennità di cui ha vestito questo discorso, comunicherà l’avvio della guerra tra Libano e Israele. Ieri si sono sistemati, lungo il confine, anche gli uomini della milizia iraniana “Imam Hossein”: se Hezbollah, sostenitore di Hamas, portasse il Libano in guerra, l’Iran non potrebbe certo rimaere solo a guardare. Anche se le portaerei statunitensi sono lì proprio per ricordare al leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei, quanto alta sia la posta in gioco.

Per garantire la sua credibilità, Hezbollah, che ha più volte minacciato gravi ritorsioni per la strage israeliana di Gaza, qualcosa dovrà fare. O dire. I discorsi di Nasrallah sono spesso infuocati e carichi del pathos tipico della tragedia ma non sempre l’utilizzo magistrale della retorica è accompagnato da azioni significative. Il Libano è un Paese che vive al momento enormi difficoltà economiche, è in default, soffre di una già grave carenza di medicinali, l’energia elettrica è garantita a fasce orarie o dai generatori privati. Israele non si risparmierebbe e non è forse un errore pensare che userebbe sulle città libanesi la stessa violenza di fuoco provata in queste settimane sulla Striscia di Gaza.

Certo è che il discorso di Nasrallah sarà seguito oggi da milioni di persone, nei Paesi arabi e nel mondo. E tutte saranno, in qualche modo, con il fiato sospeso.

SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI


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#NoiSiamoLeScuole questa settimana racconta la Scuola primaria “Giacomo Matteotti” di Castelnuovo di Porto (RM) che sarà una delle 212 nuove scuole costruite grazie al PNRR.

Qui tutti i dettagli ▶️ miur.gov.




In Cina e Asia – Cina e Usa si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare


In Cina e Asia – Cina e Usa si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare proliferazione
I titoli di oggi:

Cina e Stati Uniti si incontreranno per parlare di non proliferazione nucleare
Il Canada accusa la marina cinese di nuova intercettazione pericolosa
Hong Kong prima città asiatica a ospitare i Gay Games
Funzionari thailandesi in colloquio con Hamas per il rilascio degli ostaggi
Il Xinjiang prepara area di libero scambio
Bangladesh: 250 fabbriche chiuse, i lavoratori del tessile chiedono di triplicare il salario
Myanmar, l'esercito perde il controllo di una città chiave al confine con la Cina

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Dialoghi – Caffè corretto alla cinese


Dialoghi – Caffè corretto alla cinese caffè
La bizzarra collaborazione tra Moutai e Luckin Coffee sembra aver convinto i più giovani. Una nuova puntata di Dialoghi.

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L’Italia ospiterà a Roma una conferenza internazionale sull’IA che coinciderà con la presidenza del G7. Lo ha annunciato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a margine del primo vertice sulla sicurezza dell’IA tenutosi a Londra. Studiosi, manager ed esperti di...


N. 199/2023 LE TRE NEWS DI OGGI: I delegati di 28 nazioni, tra cui Stati Uniti e Cina, hanno stabilito mercoledì di lavorare insieme per contenere i rischi potenzialmente “catastrofici” posti dai progressi esponenziali dell’intelligenza artificiale. Il primo vertice internazionale sulla sicurezza dell’intelligenza artificiale, tenutosi in un’ex base di intelligence vicino a Londra, si è...

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L’America Latina si schiera contro la guerra a Gaza


La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva dello stato ebraico “aggressiva e sproporzionata”. L'articolo L’America Latina si schiera con

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di Tiziano Ferri –

Pagine Esteri, 2 novembre 2023. A fronte di un’Unione europea che lascia mano libera alle operazioni militari di Israele, il resto del mondo, ad eccezione di Washington e dei suoi stretti alleati, prende posizione contro il massacro di civili a Gaza. Nello specifico, dall’America latina arrivano le posizioni più nette per un immediato cessate il fuoco e per il rispetto del diritto internazionale. Al sud del Rio Grande solo Guatemala e Paraguay hanno votato contro, mentre Haiti, Panama e Uruguay si sono astenuti, per la risoluzione Onu “Protezione dei civili e rispetto degli obblighi legali e umanitari”, approvata il 27 ottobre con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astenuti.

La presa di posizione più netta arriva dalla Bolivia, dove il presidente Luis Arce ha interrotto le relazioni diplomatiche con Israele, considerando l’offensiva dello stato ebraico “aggressiva e sproporzionata”. Dal paese andino anche la richiesta di terminare il blocco di Gaza, che impedisce l’ingresso di acqua e alimenti. L’ex presidente Evo Morales chiede uno sforzo in più al suo governo: dichiarare Israele uno stato terrorista, denunciare Netanyahu dinanzi alla Corte penale internazionale, chiedere conto agli ambasciatori di Usa e Ue del motivo del loro appoggio politico, militare e diplomatico che permette i crimini dello stato sionista in Palestina. Cuba condanna i bombardamenti su Gaza e gli assassinii di persone innocenti, senza distinzione di etnia, nazionalità, origine o credo religioso. Il presidente Diaz-Canel condivide anche il dolore per la sofferenza delle vittime civili israeliane, ma non accetta un’ “indignazione selettiva” che disconosce la gravità dell’attuale genocidio a Gaza, presentando il lato israeliano come la vittima, e disconoscendo così 75 anni di occupazione. “La storia non perdonerà gli indifferenti, e noi non saremo tra di loro”, afferma il presidente cubano. Anche il Venezuela condanna ciò che il presidente Maduro definisce un genocidio contro il popolo palestinese, e richiama l’attenzione sulle grandi marce per la pace in tutto il mondo, compresa l’occupazione della stazione centrale di New York da parte di centinaia di attivisti della comunità ebraica. La rappresentante messicana all’Onu condanna gli attacchi alla popolazione civile, ai medici e al personale umanitario, mettendo in guardia Israele da quelli che possono essere considerati “crimini di guerra”. Il Messico, criticando la risposta sproporzionata in corso su Gaza, ricorda che le rappresaglie sono contro il diritto internazionale, ed esige che la “Potenza Occupante cessi l’occupazione e tutti gli atti che ledono l’integrità territoriale dello stato di Palestina”. Anche l’Argentina, ricordando di aver condannato a suo tempo gli attentati del 7 ottobre scorso, sottolinea che Israele sta passando i limiti del diritto internazionale, e deve fermare gli attacchi alle infrastrutture civili. Il vicino Brasile, membro non permanente del Consiglio di sicurezza Onu, propone una risoluzione per una pausa umanitaria che consenta l’accesso pieno e in sicurezza delle agenzie delle Nazioni unite, ma viene bloccata dal veto degli Stati Uniti. Il Cile, dopo aver inviato aiuti umanitari, accusa Netanyahu e il suo esercito di violare ripetutamente il diritto internazionale. Richiamando il dato fornito dall’Unicef sui più di 420 bambini feriti o assassinati ogni giorno a Gaza, e “a fronte alle inaccettabili violazioni del diritto internazionale umanitario promosse da Israele nella Striscia di Gaza”, il governo cileno decide di convocare a Santiago per consultazioni il proprio ambasciatore a Tel Aviv. Pur condannando “senza dubbi” gli attentati e i sequestri perpetrati da Hamas, il presidente Boric dichiara che “nulla giustifica questa barbarie a Gaza. Nulla”. Per quanto riguarda la Colombia, già da settimane la tensione è alta con Israele, a seguito del paragone fatto dal presidente Petro tra la situazione di Gaza e il campo di concentramento di Auschwitz. Dopo l’ultima strage di civili a Jabalia, Bogotà ha deciso di richiamare l’ambasciatrice da Tel Aviv: “Se Israele non ferma il massacro del popolo palestinese, non possiamo stare là”, le parole del presidente colombiano.

Hamas ringrazia Cile e Colombia per aver ritirato gli ambasciatori, ed esorta gli stati arabi e islamici a seguire l’esempio boliviano, rompendo le relazioni diplomatiche con Israele. Dal canto suo, il governo Natanyahu condanna la presa di posizione del governo di La Paz, accusandolo di essere “sottomesso al regime iraniano” e di allinearsi all’ “organizzazione terrorista Hamas”. Parole più concilianti per Cile e Colombia, in quanto la speranza di Israele è che i due paesi “non si allineino a Venezuela e Iran nell’appoggio ad Hamas”, e che “sostengano il diritto di uno stato democratico a proteggere i propri cittadini”. La risposta di Petro non potrebbe essere più chiara: “Si chiama Genocidio, lo compiono per togliere il popolo palestinese da Gaza e appropriarsene. Il capo di stato che compie questo genocidio è un criminale contro l’umanità. I suoi alleati non possono parlare di democrazia”.

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Azzerati


Vedere certificato che da sei mesi la nostra economia non cresce, dopo la più veloce uscita dagli effetti della pandemia, non fa un bell’effetto. Ma non è tanto questo a dovere preoccupare, tanto più che nel terzo trimestre l’Eurozona ha segnato un -0,1%,

Vedere certificato che da sei mesi la nostra economia non cresce, dopo la più veloce uscita dagli effetti della pandemia, non fa un bell’effetto. Ma non è tanto questo a dovere preoccupare, tanto più che nel terzo trimestre l’Eurozona ha segnato un -0,1%, condizionata dalla Germania in recessione. Il dato non rallegra, ma quel che conta è se si stia lavorando alle condizioni della ripartenza, se la politica del bilancio pubblico abbia fiutato l’aria che tira e – se la cosa non fosse divenuta stucchevolmente rituale – se il Pnrr stia diventando realizzazioni.

Lasciamo perdere il tira e molla sulle voci del bilancio, tanto più che le pressioni esercitate da taluni governanti sul governo si sono rivelate mezze cilecche. A forza di volere piantare bandierine si sono ritrovati con l’irrilevanza nel vessillo. E lasciamo perdere il pericoloso vanto circa il fatto che i parlamentari della maggioranza non presenteranno emendamenti. Pericoloso sul piano costituzionale – dato che al mandato parlamentare senza vincolo s’è accoppiato il vincolo partitico e governativo sui parlamentari – ma anche su quello tattico, visto che taluno di quei parlamentari potrebbe votare emendamenti dell’opposizione. La più alta probabilità è che la commedia si concluda secondo tradizione, ovvero con un maxi emendamento del governo che emendi sé stesso non avendo consentito ad altri di farlo. Lasciamo perdere. Quel che rileva è che i saldi previsti (e mantenuti) in quella legge di bilancio sono usciti dalla realtà: ben difficilmente cresceremo dell’1,2% nel 2024, il che sballa sia il deficit che il peso percentuale del debito sul Prodotto interno lordo, diminuendo il gettito fiscale nel mentre si rischia che il fermarsi del tasso di sconto praticato dalla Banca centrale europea non fermi la spesa per onorare e rifinanziare un debito che si troverebbe a crescere anziché scendere.

Non si presta mai sufficiente attenzione a un numero che ha qualche cosa di terribile: non soltanto siamo gli europei con il debito in assoluto più alto e, quindi, con la spesa per interessi più alta, ma abbiamo uno spread di quasi 60 punti rispetto alla Grecia, il cui debito in relazione al Pil è più alto del nostro. Fra gente assennata si parlerebbe di quello con ben più allarme rispetto allo spread che ci divide dalla Germania.

In altre condizioni questa situazione ci porterebbe in un’area a fortissimo rischio. Non accade o almeno non in modo evidente perché, con due guerre ai confini europei e un altro paio di focolai pericolosi, l’Unione europea farà da scudo: gli investitori lo sanno e, quindi, non scommettono sulla caduta italiana. Ma non dura all’infinito. Fortunatamente.

Questo spazio temporale si dovrebbe utilizzarlo per correggere le previsioni di bilancio ed evitare che squilibri interni creino la destabilizzazione che gli squilibri esterni contrastano. Il che ci porta all’inflazione: nel mese di ottobre la nostra è scesa all’1,8%, mentre anche quella dell’Eurozona è scesa, ma al 2,9%. A produrre la discesa sono stati i prezzi dei prodotti energetici, che segnano un vistoso -17,6%. Ma questo vale, più o meno, a seconda dei diversi mix delle fonti, anche per gli altri Paesi europei. Se la nostra inflazione è scesa di più è anche perché i consumi privati sono in più marcata frenata. Il che porta a guardare l’aumento dei prezzi nel campo dei beni essenziali: il carrello della spesa fa segnare un +6,3%. Vuol dire che non si è lavorato abbastanza – o affatto – sulla concorrenza nel mercato interno. Si pensi che venerdì prossimo potrebbe essere varata (speriamo di no) l’ennesima proroga della non apertura del mercato elettrico, laddove quanti sono passati al mercato aperto hanno risparmiato più soldi e il guasto – nel peggiore dei casi e per una minoranza di italiani – sarebbe il dover aggiornare il pagamento automatico in banca.

Inerzia e rinvio vanno azzerati, se non si vuole che l’azzeramento della crescita sia un destino anziché una circostanza.

La Ragione

L'articolo Azzerati proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



I Comuni e le Province impegnati nella costruzione di nuove scuole #PNRR, affinché sia garantita la continuità didattica nella fase dei lavori, potranno beneficiare di contributi per l’affitto di immobili o il noleggio di strutture provvisorie.
#pnrr


Sui generis di Michele Gerace


Il fatto è che ci siamo fatti prendere la mano e più di una volta abbiamo rimosso alcuni limiti che pure ci siamo dati. Quando ne abbiamo avuto la possibilità, abbiamo pensato di poterli togliere del tutto perché quei limiti riflettono una natura sui gene

Il fatto è che ci siamo fatti prendere la mano e più di una volta abbiamo rimosso alcuni limiti che pure ci siamo dati. Quando ne abbiamo avuto la possibilità, abbiamo pensato di poterli togliere del tutto perché quei limiti riflettono una natura sui generis che lo specchio-specchio-delle-mie-brame ci dice che può essere più che umana e tecnologica, onnipotente e forse immortale. Quello che abbiamo ascoltato dallo specchio è stato inebriante e terrificante. Alcuni si sono eccitati alla sola idea, altri spaventati a morte. Quelli che si sono spaventati hanno pensato che tanto vale distruggere la macchina. Gli altri hanno iniziato a fare della tecnologia la religione di post-umani di ultima generazione. Gli uni non si sono resi conto che è impossibile rinunciare alla tecnologia dal momento che siamo tecnologici per definizione. Gli altri non hanno considerato che ancora oggi la sfida più difficile è la conquista della nostra umanità. Agli opposti e di mezzo, il nostro bel problema. Questo libro è un invito a prenderlo di petto, a tenere la giusta postura per spingere lo sguardo oltre l’orizzonte e darci una direzione.

Rubbettino Editore

L'articolo Sui generis di Michele Gerace proviene da Fondazione Luigi Einaudi.



LIVE GIORNO 27. A Gaza gli ospedali stanno chiudendo. “Senza gasolio si trasformeranno in obitori”


Dopo la strage del campo profughi di Jabalia, bombardato tre volte in 24 ore, l'unico ospedale ancora operativo nella zona nord di Gaza lavora senza sosta e solo con i generatori ausiliari: entro oggi il gasolio potrebbe finire completamente. L'articolo

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della redazione –

Pagine Esteri, 2 novembre 2023. Dopo i 500 cittadini stranieri che ieri, per la prima volta dall’inizio della guerra, hanno potuto lasciare Gaza, insieme a un’ottantina di gravi feriti e ammalati palestinesi, oggi è stata consegnata una lista contenente 596 nomi di cittadini stranieri o palestinesi con doppia cittadinanza che hanno il permesso di attraversare il valico di Rafah e andare in Egitto. Da questa mattina una lunga fila di macchine si muove verso Rafah, nella speranza che il valico si apra e che sia possibile uscire. L’Egitto ha comunicato che aiuterà a far uscire da Gaza, attraverso il valico di Rafah, 7.000 tra internazionali e palestinesi con doppia cittadinanza.

I due violenti attacchi di ieri sul grande campo profughi di Jabalia (al quale se ne è aggiunto un terzo nella notte) hanno causato 195 morti e 120 dispersi oltre a un numero altissimo di feriti, circa 770, la maggior parte dei quali sono stati trasportati all’ospedale indonesiano, l’unico rimasto operativo nel nord di Gaza. La struttura lavora 50 volte sopra le proprie capacità e il Ministero della Salute ha fatto sapere che, a causa dell’embargo di carburante, il generatore principale non funziona più: l’elettricità e il funzionamento dei macchinari medici è garantito solo da piccoli generatori di emergenza. Il Ministero fa sapere anche che in qualsiasi momento, nelle prossime 24 ore, anche questi generatori potrebbero spegnersi, trasformando l’ospedale “in un obitorio”. I morti palestinesi a Gaza, al momento, sono 8.805. 132 le persone uccise in Cisgiordania.

Secondo Al Jazeera l’esercito israeliano ha isolato la parte nord-occidentale della Striscia di Gaza, intensificando le incursioni di terra e i combattimenti con i gruppi armati palestinesi, distruggendo case e bloccando le strade che conducono verso sud, bloccando di fatto gli abitanti. Un soldato israeliano è stato ucciso nelle prime ore di oggi a Gaza. Dal 7 ottobre i soldati israeliani uccisi sono stati 332.

Sul fronte libanese continuano le schermaglie tra Hezbollah e l’esercito israeliano. Il gruppo sciita ha colpito un drone israeliano e le IDF hanno risposto con colpi anticarro.

Sono 60 i palestinesi arrestati durante la notte in varie città della Cisgiordania occupata, compreso il rappresentante degli studenti dell’Università Birzeit. Il totale degli arresti dal 7 ottobre in Cisgiordania è salito a 1800. Due palestinesi sono stati uccisi e sei feriti a Qalqilya e Ramallah. Pagine Esteri

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