In Cina e Asia – Hong Kong: la polizia condanna la fuga in Canada dell’attivista Agnes Chow
I titoli di oggi: Hong Kong: la polizia condanna la fuga in Canada dell’attivista Agnes Chow Missili Usa di media gittata nell’Indo-Pacifico: è la prima volta dai tempi della Guerra Fredda Corea del Sud, rimpasto di governo in vista delle elezioni del 2024 Cina e Bielorussia rafforzano la cooperazione Il sito archeologico di Liangzhu e i 5 mila anni di ...
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L'arresto di un latitante italiano trafficante di cocaina in Colombia, grazie alla collaborazione con INTERPOL (Progetto I-CAN)
Avrebbe organizzato spedizioni di cocaina verso diversi porti europei con cartelli della droga in Colombia per conto dell'organizzazione mafiosa 'Ndrangheta. Massimo Gigliotti, 55 anni, è stato arrestato in Colombia dopo essere sfuggito alla cattura in diversi paesi dell'America Latina.
Uno sforzo congiunto da parte della Polizia Nazionale Colombiana (#PolicíaNacionaldeColombia) e dei Carabinieri italiani di Bologna, con il sostegno di #Europol e del Progetto di Cooperazione #INTERPOL contro la #'ndrangheta (#I-CAN), ha portato alla cattura del latitante. Dallo scorso settembre INTERPOL/I-CAN aveva segnalato le ricerche di Gigliotti alle autorità di Brasile, Colombia, Repubblica Dominicana, Panama e Venezuela.
L'arrestato ha legami con molti esponenti di alto rango della criminalità organizzata italiana e dei cartelli della droga latinoamericani, ed aveva trascorso diversi mesi in laboratori clandestini di droga. Gli investigatori sono stati in grado di stabilire come la 'ndrangheta avesse inviato l'individuo sino alle montagne della Colombia per lavorare direttamente con i produttori di droga nei loro impianti di produzione, con l'obiettivo di portare queste nuove competenze in Europa.
Infine pochi giorni fa, il latitante è stato fermato nei pressi della sua residenza temporanea, nonostante abbia cercato di identificarsi con un documento d'identità colombiano falso.
L'Europol aveva sviluppato informazioni affidabili sulle attività internazionali di traffico di droga di questo individuo - per il quale l'INTERPOL aveva emesso un red notice (avviso rosso) - ed ha quindi riunito tutti gli investigatori coinvolti per concordare una strategia comune per arrestare il sospetto. A tal fine, Europol ha anche istituito un posto di comando virtuale per coordinare le attività sul terreno. L'operazione è stata sostenuta dall' #EMPACT e dalla #reteON, finanziata dall'UE (Progetto Fondi Sicurezza Interna 'ISF4@ON') e guidata dalla Direzione Investigativa Antimafia italiana.
Il Direttore del supporto operativo e dell'analisi dell'INTERPOL, Cyril Gout, ha dichiarato: “Attraverso questo arresto, I-CAN continua a dimostrare la sua efficacia nel combattere una delle organizzazioni criminali più estese e potenti del mondo. Il modello I-CAN si basa sulla fornitura ai paesi di un modello di cooperazione che apporta valore aggiunto operativo, in particolare in un momento in cui è necessaria un’azione globale urgente e coordinata per contrastare la criminalità organizzata transnazionale”. Voluto dal Dipartimento italiano di Pubblica Sicurezza, I-CAN aumenta la consapevolezza e la comprensione globale sulla 'Ndrangheta e sul loro modus operandi, condividendo informazioni di polizia per smantellare le loro reti e operazioni e arrestare sospetti ricercati. Dal suo lancio nel 2020, I-CAN ha facilitato l’arresto di 93 fuggitivi in tutto il mondo.
Per saperne di più sul Progetto I-CAN 👉 interpol.int/en/Crimes/Organiz…
Qui un video che illustra il Progetto I-CAN 👉 inv.citw.lgbt/watch?v=6UR7lTQz…
INTERPOL Cooperation Against ‘Ndrangheta (I-CAN)
Disrupting ‘Ndrangheta global networkswww.interpol.int
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L’impatto delle forzature di bilancio tedesche sulle nuove regole Ue
Il governo tedesco sembrava aver assecondato il noto motto di Henry Kissinger: “Le cose illegali le facciamo subito, per quelle incostituzionali ci mettiamo un po’ di più”. Tuttavia, dopo che proprio la Corte di Karisruhe ha smontato l’utilizzo abusivo dei “fondi speciali” extra bilancio, Berlino deve cercare di quadrare i bilanci 2023 e 2024 entro poche settimane, con soluzioni che inevitabilmente avranno conseguenze anche sul contemporaneo negoziato sulle nuove regole fiscali europee.
La sentenza della Corte ha reso inutilizzabili 60 miliardi di fondi per spese già programmate, un ammontare che pone Berlino di fronte a un problema politico più che finanziario. Nel 2023, infatti, le spese verranno coperte in gran parte con l’aumento del fabbisogno federale. In tal modo però il disavanzo 2023 supererà i limiti del “freno al debito”, la norma costituzionale del 2009 con cui la Germania si è autoimposta un tetto dell’indebitamento federale pari allo 0,35% del Pil (più un fattore ciclico). Per poterlo fare, il cancelliere Scholz ha deciso di invocare “la clausola di emergenza” che sospenderebbe il “freno” anche quest’anno.
La Cdu, il maggior partito di opposizione, ha assicurato che non contesterà la legittimità di questa iniziativa. Diverso il caso in cui Scholz evocasse la clausola di emergenza per il 2024, una tentazione cullata alla cancelleria a fronte di un buco ancora più ampio, legato a un altro “fondo speciale”, e che è quasi impossibile calcolare. Il governo stima un buco di 17 miliardi ma c’è chi calcola sia almeno doppio. La Cdu però si opporrebbe di fronte alla Corte perché ritiene possibile tagliare spese federali per 125 miliardi senza conseguenze recessive se “solo” si riducesse la burocrazia che frena la spesa per investimenti già a bilancio. Una tentazione del governo è allora di ricorrere ai prestiti del programma Next Gen Eu che Berlino non ha richiesto finora, limitandosi ai trasferimenti “gratuiti”. Si tratterebbe di una mossa di rilevante significato per l’Europa, perché accentuerebbe l’importanza di fondi finanziati da debito comune anche per un Paese che può finanziarsi sul mercato a tassi inferiori a quelli dell’Ue.
Più complessa è la questione se la Germania riconoscerà l’evidenza dei problemi causati da una regola rigida, economicamente e giuridicamente, quale il “freno al debito”. Il governo ritiene che una revisione della norma sia augurabile, ma per attuarla è necessario il voto favorevole di due terzi del Parlamento e deve quindi ottenere il consenso dell’opposizione. L’opzione del governo è di escludere dal calcolo del disavanzo le spese per investimenti in settori come la transizione ambientale e quella digitale. Oppure di classificare tali settori come rilevanti ai fini costituzionali, consentendo la creazione di “fondi speciali” extra bilancio (come è già successo per la Difesa). Anche questa opzione avrebbe conseguenze nel confronto europeo perché legittimerebbe deroghe simili in altri Paesi, o addirittura potrebbe essere trasposta in fondi speciali comuni a carico del bilancio comunitario con vaste implicazioni politiche perché la responsabilità delle scelte farebbe poi capo alla Commissione Ue. Decisiva è la posizione della Cdu che si oppone ala revisione del “freno” a livello federale, sostenendo che esso sia già flessibile grazie al fattore ciclico che quest’anno, per esempio, autorizzerebbe un disavanzo ulteriore di circa 20 miliardi.
La Cdu è invece possibilista nel caso di una riforma del “freno”, ancora più rigido, applicato ai Länder, ai quali è richiesto un pareggio di bilancio senza attenuazioni cicliche. Fonti della Cdu si dicono infine contrarie a eccezioni per le spese per clima ed energia. Un compromesso nel corso del 2024, tuttavia, non è da escludere. La Cdu, infatti, riconosce ora il problema dei Länder perché è al governo in alcuni di essi. Potrebbe avvertire il problema anche a livello federale qualora, come previsione generale, vincesse le elezioni del 2025. In quel caso, inoltre, dovrebbe formare una coalizione di governo con un altro partito dell’attuale coalizione e negoziare un accordo offrirebbe il pretesto per “concedere” la riforma del “freno”.
L’opposizione è invece contraria alla creazione di nuovi “fondi speciali” a livello europeo. La questione si porrà a breve con il finanziamento dei fondi per l’Ucraina, di cui anche la Cdu riconosce l’irrinunciabilità. Secondo la Cdu, istituire un veicolo ad hoc (appunto un fondo speciale europeo) incorrerebbe in problemi di compatibilità giuridica di fronte alla
Corte tedesca. I fondi, quindi, dovrebbero provenire dal bilancio degli Stati, ma qui sorge un altro problema: informalmente Berlino sta trattando non solo per evitare un aumento, ma addirittura per ottenere la riduzione di un terzo del contributo tedesco alle casse comunitarie. Intanto il negoziato sulle regole europee si sta avvicinando a una conclusione. Tutti i governi sono convinti che il Consiglio Ue debba trovare l’accordo entro fine anno. Proprio la ristrettezza dei tempi renderà ancora più confuso un negoziato in cui si combinano interessi molto diversi: a fronte della richiesta tedesca di inserire nella proposta di riforma della Commissione due clausole di salvaguardia (la riduzione del rapporto debito-Pil di un punto percentuale ogni anno e un calo del disavanzo strutturale di mezzo punto, valide per tutti), si negozierà un approccio più flessibile nella valutazione delle condizioni eccezionali che giustifichino le deroghe, nonché una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi di Next Generation-Eu o di altre risorse.
La Repubblica
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La crescita dei budget premia l’Europa. Ecco i dati Sipri sulle spese militari
Nonostante l’aumento della richiesta dovuto alle rinnovate esigenze di difesa e deterrenza (e, anzi, in parte proprio a causa delle difficoltà nell’incontrare la crescita di domanda) il fatturato delle prime cento aziende della difesa su scala globale è diminuito. Sono i dati riportati dall’autorevole Stockholm international peace research institute (Sipri), che prende in considerazione le vendite nel settore difesa dei primi cento produttori al mondo. Secondo i dati dell’istituto svedese, rispetto all’anno scorso il fatturato è sceso del 3,5 punti percentuali su base annua, raggiungendo i 597 miliardi di dollari. Le vendite militari globali nel 2021, per fare un paragone, avevano registrato una crescita dell’1,9% rispetto al 2020, raggiungendo quota 592 miliardi di dollari. La novità è l’inversione di tendenza rispetto alla crescita degli anni precedenti. Il 2021, per esempio, è stato il settimo anno consecutivo a registrare un aumento.
Frenano gli Usa
L’interruzione di questo trend colpisce in particolare se lo si mette a paragone con il clima di crescente necessità globale di dotarsi di sistemi di difesa e deterrenza. Il cambio di paradigma globale iniziato il 24 febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina, infatti, ha aumentato in tutto il mondo la richiesta di strumenti militari, con un parallelo aumento dei budget allocati per la Difesa. A contrarre in particolare i numeri è stato – sorprendentemente – il dato degli Stati Uniti, dove si registra un calo del 7,9%. Negli States si concentrano 42 delle prime cento aziende della difesa prese in considerazione da Sipri, e gli Usa coprono comunque il 51% dell’intera quota di ricavi ottenuti dal settore.
Il peso della domanda globale
A causare la flessione nei ricavi statunitensi, dice l’istituto di Stoccolma, è stata una combinazione di carenza di manodopera e incremento dei costi di fronte alla necessità di soddisfare immediatamente la crescente domanda internazionale. Gli Usa, del resto, sono il principale fornitore di sistemi d’arma per la difesa ucraina, per fare solo un esempio, e si sono dovuti immediatamente addossare la responsabilità maggiore nel rifornire il Paese invaso degli strumenti indispensabili per la propria difesa. A questa crescita di richiesta da Kiev (concentrata in particolare nel settore delle munizioni d’artiglieria e dei sistemi di difesa aerea) non ha fatto però da contrappeso una diminuzione di richieste da altre regioni, anzi. Numerosi Paesi europei si sono dovuti rivolgere all’alleato Usa per potenziare le proprie difese nel breve termine (per citarne solo due, la Germania con gli F-35 e la Polonia con i carri Abrams).
Cresce l’Europa
L’aumento dei budget allocati dagli Stati e la possibilità di concentrarsi maggiormente sulle necessità domestiche sembrano invece aver favorito le realtà europee (26 delle Top100). Nel Vecchio continente è confluito il 20% circa degli investimenti globali, con un aumento delle vendite che ha premiato in particolare i consorzi transeuropei, quelle realtà, definite da Sipri, le cui strutture proprietarie e di controllo sono situate in più di un Paese europeo. Per loro la crescita è stata di quasi dieci punti percentuale (per fare un esempio, Airbus ha aumentato dell’17%). A beneficiare delle crescite sono state soprattutto le realtà di quei Paesi che hanno visto l’aumento più consistente dei propri budget per la Difesa, in particolare Germania e Polonia.
Il resto del mondo
Il principio generale di aumento dei ricavi dovuto a un aumento della richiesta di fronte al facilitarsi dello scenario di sicurezza si ripete anche in altre regioni del globo. I dati del rapporto Sipri, riferendosi all’anno passato, non hanno preso in considerazione l’acuirsi del conflitto tra Israele e Hamas, tuttavia le tensioni registrate nella regione anche prima del 7 ottobre, hanno portato a una crescita dei ricavi per le realtà mediorientali, che hanno visto l’aumento maggiore su scala globale, in particolare in Turchia (+22%) e Israele (+6,5%). Anche nell’Indo-Pacifico la situazione è simile, con tutti i principali attori della regione, Cina, India, Giappone e Taiwan, le cui aziende hanno beneficiato degli aumenti dei budget per la Difesa.
La situazione in Italia
Nonostante l’ottimo posizionamento delle realtà italiane, con Leonardo al 13esimo posto a livello globale (confermandosi la prima realtà dell’Unione europea e la seconda in Europa dopo BAE Systems) e di Fincantieri (salita di due posizioni al 46esimo posto), il fatturato complessivo delle realtà italiane è diminuito del 5,6%. Con un fatturato di 12 miliardi di dollari e mezzo, un calo del 7%, la società di Piazza Monte Grappa è stata penalizzata, secondo il Sipri, in particolare dall’inflazione. Infatti i ricavi complessivi delle vendite di sistemi militari sono cresciuti in termini nominale. Gli effetti dell’inflazione e della riduzione dei ricavi dovuta alla diminuzione delle consegne di Eurofighter al Kuwait, secondo l’istituto di Stoccolma, non sono stati compensati abbastanza dai buoni risultati in altri settori.
Gli Usa pianificano il nuovo ecosistema dell’industria della difesa. Come sarà
Nelle prossime settimane il governo degli Stati Uniti rilascerà per la prima volta un documento di recente concezione, la National Defense Industrial Strategy. Si tratta di una chiara tabella di marcia per la definizione delle priorità e dell’ammodernamento della base industriale militare degli Stati Uniti, così da rendere tutto adatto e adattabile a fronteggiare le sfide del nuovo millennio. “Una strategia che intende catalizzare un cambiamento generazionale che guiderà l’attenzione del dipartimento, lo sviluppo delle politiche, i programmi e gli investimenti nella base industriale per i prossimi tre-cinque anni” secondo Laura D. Taylor-Kale, assistente del segretario alla Difesa per la politica della base industriale (che a sua volta è, dal marzo di quest’anno, la prima ad occupare questa posizione di recente istituzione, a dimostrazione del rinnovato interesse del governo verso questo aspetto determinante per il raggiungimento degli obiettivi strategici).
In attesa della sua presentazione ufficiale da parte del sottosegretario alla Difesa per l’acquisizione e il sostentamento William LaPlante, il documento già circola tra gli addetti ai lavori sotto forma di bozza. I resoconti, tutt’altro che ottimistici, spiegano il perché Washington ha prioritarizzato il tema.
Secondo quanto riportato nell’elaborato infatti, la base industriale statunitense “non possiede la capacità, l’abilità, la reattività o la resilienza necessarie per soddisfare l’intera gamma di esigenze di produzione militare in velocità e su scala” e che “in modo altrettanto significativo, i tradizionali appaltatori della difesa si troverebbero a dover rispondere ai conflitti moderni con la velocità, la scala e la flessibilità necessarie per soddisfare i requisiti dinamici di un conflitto moderno di grande portata”.
Le conseguenze di tali momentanee deficienze industriali sono facili da intuire. “Questo disallineamento rappresenta un rischio strategico crescente, in quanto gli Stati Uniti si trovano ad affrontare l’imperativo di sostenere le operazioni di combattimento attive e allo stesso tempo di scoraggiare la minaccia più grande e tecnicamente più avanzata che incombe nell’Indo Pacifico” si legge nel documento, per sottolineare come nel suo attuale stato l’apparato militare-industriale nazionale non sia in grado di soddisfare i requisiti posti da un sistema internazionale in costante e relativamente rapida evoluzione.
Per questo Washington pianifica un ammodernamento profondo.
La fusione delle aziende nel periodo post-guerra fredda ha causato una contrazione dell’apparato della difesa, mentre nello stesso lasso di tempo la Repubblica Popolare Cinese è diventata un centro industriale globale, specialmente nella costruzione navale, nei minerali critici e nella microelettronica. L’industria cinese, dice il draft disponibile, “supera di gran lunga la capacità non solo degli Stati Uniti, ma anche la produzione combinata dei nostri principali alleati europei e asiatici”. Con la pandemia da Covid-19, l’invasione russa dell’Ucraina, e da ultimo l’attacco di Hamas che hanno fatto emergere le inefficienze e le criticità nel sistema logistico e nel sistema produttivo statunitense, che si è ritrovato a dover produrre una quantità di materiale estremamente superiore rispetto a quanto preventivato. Evitare la risposta emergenziale è parte della pianificazione.
All’interno di un intervento al Reagan National Defense Forum, LaPlante ha asserito che la strategia elaborata sarà eseguita a stretto contatto con l’industria: il Pentagono presenterà chiaramente le sue future esigenze di acquisto, permettendo alle aziende partner di modulare adeguatamente i propri investimenti in nuove fabbriche e in ricerca e sviluppo. La strategia prevede inoltre uno sviluppo “di catene di approvvigionamento più resistenti e innovative”, l’investimento nelle piccole imprese e un maggior focus sull’innovazione. Guardando anche fuori dai confini nazionali: “Dobbiamo sollecitare operatori di tutti i tipi, grandi e piccoli, nazionali e stranieri, e quelli che non hanno mai avuto a che fare con il Dipartimento della Difesa o con la produzione della difesa”.
Riciclaggio di veicoli. La risposta della polizia italiana e dell'INTERPOL. Dallo scambio di informazioni ai consigli per i proprietari delle auto.
Presso il Compartimento #PoliziaStradale per il Lazio e l’Umbria a Roma si è svolto recentemente il “Motor Vehicle Crime”, incontro cui hanno partecipano le Forze di Polizia Europee, durante il quale sono state pianificate nuove strategie rivolte al contrasto del riciclaggio internazionale di veicoli.
Anche in questo particolare settore la cooperazione tra le Forze di Polizia, il coordinamento e lo scambio delle informazioni sono elementi fondamentali per ostacolare la criminalità dedita al furto e al riciclaggio dei veicoli, che in Italia, come negli altri Paesi europei coinvolge articolati sodalizi criminali.
Nel corso dell'incontro si è sottolineata l’importanza del coinvolgimento di partners privati per una collaborazione più ampia ed efficace e si è discusso delle possibili iniziative congiunte per il rafforzamento della cooperazione.
Importante segnalare che l' #INTERPOL è in prima linea in quello che viene definito «crimine automobilistico», che – come abbiamo indicato sopra – ha di per sè una ampiezza transnazionale: si pensi al riciclaggio di auto rubate in un Paese e trafficate in nazioni diverse.
A tal proposito INTERPOL non manca di fornire consigli per i proprietari di auto, ivi compresi quelli riferiti alle «chiavi elettroniche» di apertura e messa in moto, ormai in dotazione alla maggior parte delle autovetture.
Ebbene, INTERPOL – nel rinviare ad un video di esempio della West Midlands Police inglese, che potete seguire qui 👉 inv.citw.lgbt/watch?v=8pffcngJ… nel quale si vedono dei ladri che «intercettano» il segnale della chiave elettronica di un'auto di lusso, cosa che gli consente di rubarla – suggerisce di:
Non lasciare la chiave accanto alla porta o alla finestra
Conservare le chiavi in una scatola RFID per interrompere l'emissione di un segnale
Parcheggiare il veicolo in un'area sicura per scoraggiare i criminali che prendono di mira il tuo veicolo
Fare attenzione alle persone sospette intorno a te mentre chiudi la macchina (un altro modo in cui i criminali sfruttano il portachiavi è durante il processo di chiusura del veicolo. Mentre chiudi l'auto, i criminali possono intercettare e bloccare il “segnale di blocco” inviato dal portachiavi al veicolo, lasciandolo sbloccato. Il criminale può quindi facilmente rubare il contenuto all'interno del veicolo o il veicolo stesso
Controllare che le porte siano bloccate prima di lasciare l'auto
Chiudere sempre il vostro veicolo e non lasciarlo incustodito con il motore acceso
Assicurarsi che i dispositivi antifurto dell'auto siano chiaramente visibili (volante e blocca freno, allarmi, ecc.)
Non contrassegnare mai le chiavi della macchina con nome e indirizzo (nel caso in cui si perdessero le chiavi).
Non conservare i documenti di immatricolazione nel veicolo; questo rende difficile per il ladro venderlo al mercato nero.
Non tenere oggetti di valore o un GPS in vista nell'auto.
INTERPOL ha due progetti sull'argomento furto e riciclaggio internazionale di veicoli:
Progetto INVEX: coinvolge attualmente 25 paesi e produttori selezionati che scambiano regolarmente dati con INTERPOL. Fin dalla sua nascita nel 2009 in Germania, INVEX ha contribuito al rilevamento di automobili e componenti rubati in più di 100 paesi, portando a migliaia di sequestri e relative indagini di follow-up.
Nuovi produttori stanno cercando di collaborare ad una terza fase di questo progetto, che dovrebbe iniziare entro la fine del 2023. In questa fase verranno implementate nuove caratteristiche tecniche.
Progetto FADA-RI: fornisce un accesso sicuro per i paesi membri dell’INTERPOL al sistema tedesco di identificazione dei veicoli noto come FADA. Questo è uno strumento prezioso per identificare i veicoli forgiati. Nello specifico il progetto si concentra sui produttori tedeschi Audi, BMW, Porsche e Volkswagen e sui loro marchi affiliati. Attualmente conta 132 utenti attivi, 25 Paesi membri e oltre 40.000 ricerche dal lancio nel 2021.
Milei, un punto nero in America Latina
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di Tiziano Ferri –
Pagine Esteri, 4 dicembre 2023. Il neoeletto presidente argentino Javier Milei non è solo un iperliberista, come in America Latina se ne sono visti in diverse ondate, dagli anni ‘90 in poi. L’ideologia anarcocapitalista che Milei fonda sulla “guerra alla casta” (con cui in passato ha collaborato come consulente governativo) si permea anche di autoritarismo rispetto al conflitto sociale, di revisionismo sulla repressione militare ai tempi del golpe civico-militare, e di fanatismo religioso. Con la vicepresidente eletta Victoria Villarruel, ultra-cattolica, figlia di un generale dei tempi di Videla, Milei è contrario all’aborto e mette in dubbio i 30.000 desaparecidos. Criticando l’argentino papa Francesco, sostiene che la giustizia sociale è il male della società, un furto, perché consiste nel “rubare il frutto del lavoro di una persona per darlo ad un’altra”. Nel caso in cui il mercato non risponda proprio a tutti i bisogni, Milei ha messo in chiaro la sera della vittoria che l’eventuale opposizione sociale dovrà rispettare un principio generale: “Dentro alla legge, tutto, fuori dalla legge, niente”.
In un subcontinente dove buona parte dei presidenti vengono da storie di opposizione ai regimi militari, esaltano la solidarietà e l’intervento statale come elemento cardine delle politiche sociali, seguono multilateralismo e difesa dei diritti umani in politica estera, l’elezione di chi vuole tagliare i ministeri sociali, punta alla dollarizzazione del peso, e sostiene l’intervento israeliano a Gaza, può creare qualche squilibrio. O un riequilibrio. Ciò che gli Stati uniti (e Israele) hanno perso con l’elezione di Gustavo Petro in Colombia, per decenni avamposto politico e militare dell’impero in America Latina, potrebbe essere bilanciato con il nuovo corso in Argentina. A partire dalla mancata adesione del paese ai Brics, programmata dal gennaio 2024, e già sconfessata dalla neo nominata ministro degli esteri Diana Mondino: “Non entreremo nei Brics”. E anche l’appartenenza al Mercosur (Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay), considerato una zona economica stagnante, vacilla. Milei sostiene che non sono gli stati a dover promuovere gli accordi economici, perché il mercato si regola da sé, e se i produttori dovessero rinunciare agli accordi con Brasile e Cina (90% dell’export di 5 province argentine), i prodotti si venderebbero a qualche altro paese.
I rapporti coi vicini di casa, però, partono col piede sbagliato. Quando il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador dichiarò il suo sostegno a Petro per le presidenziali colombiane del 2022, Milei lo considerò “patetico, pietoso, ripugnante”. Colse l’occasione per allargare il giudizio negativo a tutti i membri del “nefasto” Gruppo Puebla, un forum che riunisce personalità progressiste di alto livello del mondo iberoamericano. L’allora deputato argentino mise in guardia colombiani e altri popoli latinoamericani sul fatto che “la libertà, quando si perde per mano di questi assassini, è molto difficile da recuperare”. Di questo gruppo fanno parte gli attuali governanti di Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Guatemala, Honduras, Messico, Panama e Venezuela, oltreché lo spagnolo Sánchez. A fronte di un cospicuo numero di stati che cercano di limitare le disparità indotte dal neoliberismo, l’Argentina di Milei troverà sicuramente degli alleati nell’Ecuador e nel Paraguay dei multimilionari Daniel Noboa e Santiago Peña, nell’Uruguay del conservatore Luis Lacalle Pou, e nel Perù della golpista Dina Boluarte. Con l’aggancio del peso argentino al dollaro, inoltre, si stringeranno i rapporti con Washington, con cui il presidente liberal libertario, come si autodefinisce, vuole sviluppare una partnership strategica. Allontanandosi dagli accordi regionali e dal multilateralismo, quella che il nuovo presidente argentino cerca di far passare come una posizione di ritrovata autonomia, è in realtà una ricollocazione del paese a fianco di Usa e Israele. Non per caso, ha deciso di fare il primo viaggio da presidente eletto negli Stati uniti, sia per rapportarsi col Fondo monetario internazionale sulla gestione del debito argentino, sia per incontrare esponenti filosionisti della comunità ebraica newyorkese. Ciò è coerente con la dichiarata volontà di convertirsi al giudaismo, spostare l’ambasciata argentina da Tel Aviv a Gerusalemme, ed effettuare presto una visita in Israele per appoggiare l’operato di Netanyahu. Anche questo collide con la posizione di molti paesi latinoamericani critici con la politica israeliana, tanto da aver interrotto le relazioni o richiamato gli ambasciatori dallo stato ebraico.
Visti gli esigui numeri a disposizione nel congresso, il nuovo capo dello stato si è affrettato a stringere un’alleanza con la formazione del conservatore Mauricio Macri, già presidente dal 2015 al 2019. Sebbene Milei ne abbia duramente criticato la gestione, è innegabile il ruolo determinante di Macri, sia nel recente ballottaggio che per la vita del prossimo governo. Questo potrebbe in parte ridimensionare le posizioni più estreme di Milei, come l’eliminazione della banca centrale e la liberalizzazione della vendita di organi. Rientra in questo quadro il ritiro di due ministri già designati da Milei, e riassegnati al partito di Macri, a cui andranno gli importanti dicasteri della sicurezza e dell’economia. Quando il fumo della campagna elettorale, condotta da Milei brandendo una motosega con gli occhi spiritati, svanirà, probabilmente apparirà una riedizione della politica di Macri, maggiormente liberista, repressiva e allineata a Washington. Pagine Esteri
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Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Mario Trimarchi sul tema “La proprietà e le proprietà”
Undicesimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La undicesima lezione si svolgerà lunedì 4 dicembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Mario Trimarchi (Ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile presso l’Università di Messina), che relazionerà sul tema “La proprietà e le proprietà in Salvatore Pugliatti”.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Come sta cambiando la scuola – Gazzetta del Sud
L'articolo Come sta cambiando la scuola – Gazzetta del Sud proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Scuola di Liberalismo 2023 – Messina: lezione del prof. Francesco Pira sul tema “Etica dell’intelligenza artificiale”
Decimo appuntamento dell’edizione 2023 della Scuola di Liberalismo di Messina, promossa dalla Fondazione Luigi Einaudi ed organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina e la Fondazione Bonino-Pulejo. Il corso, giunto alla sua tredicesima edizione, si articolerà in 15 lezioni, che si svolgeranno sia in presenza che in modalità telematica, dedicate alle opere degli autori più rappresentativi del pensiero liberale.
La decima lezione si svolgerà giovedì 30 novembre, dalle ore 17 alle ore 18.30, presso l’Aula n. 6 del Dipartimento “COSPECS” (ex Magistero) dell’Università di Messina (sito in via Concezione n. 6, Messina); dell’incontro sarà altresì realizzata una diretta streaming sulla piattaforma ZOOM.
La lezione sarà tenuta dal prof. Francesco Pira (Associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Messina), che relazionerà sull’opera “Etica dell’intelligenza artificiale” di Luciano Floridi.
La partecipazione all’incontro è valida ai fini del riconoscimento di 0,25 CFU per gli studenti dell’Università di Messina.
Come da delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e della Commissione “Accreditamento per la formazione” di AIGA, è previsto il riconoscimento di n. 12 crediti formativi ordinari in favore degli avvocati iscritti all’Ordine degli Avvocati di Messina per la partecipazione all’intero corso.
Per ulteriori informazioni riguardanti la Scuola di Liberalismo di Messina, è possibile contattare lo staff organizzativo all’indirizzo mail SDLMESSINA@GMAIL.COM
Pippo Rao Direttore Generale della Scuola di Liberalismo di Messina
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Ben(e)detto del 2 dicembre 2023
noyb fa causa a CRIF e AZ Direct per trattamento illegale e segreto dei dati
@noyb.eu ha intentato una causa contro l'agenzia di riferimento del credito CRIF GmbH e il rivenditore di indirizzi AZ Direct. Le aziende scambiano segretamente i dati degli indirizzi di quasi tutti gli adulti in Austria.
In questo modo CRIF ottiene informazioni che sono state effettivamente raccolte a fini pubblicitari, al fine di calcolare la solvibilità. Come confermato in due decisioni dall’autorità austriaca per la protezione dei dati , ciò viola il #GDPR. noyb ora, tra le altre cose, sta facendo causa per provvedimenti ingiuntivi e danni.
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Kim Bo young, la scrittrice coreana regina del genere sci-fi: "La fantascienza è un genere globale. L’Italia? L’ho amata”
Creazionismo ed evoluzionismo, scienza e teologia, passato e presente. Nei racconti di L’origine delle specie, Kim Bo-Young, voce di spicco della letteratura sci-fi coreana, mostra al lettore il mondo da prospettive inconsuete e lo fa riflettere su quesiti di portata esistenziale. Dopo la recensione della sua ultima opera, China Files le ha fatto qualche domanda per provare a conoscerla meglio e comprendere il suo successo
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In Cina e Asia – Cop28, la Cina annuncerà nuovi obiettivi
Cop28, la Cina annuncerà nuovi obiettivi
L’Ucraina fa esplodere i collegamenti ferroviari tra Russia e Cina
Xi chiede alla guardia costiera di difendere la sovranità cinese, mentre le Filippine rafforzano al sorveglianza sul Mar cinese meridionale
Cina, consigliere di stato esorta al pagamento dei salari arretrati
Cina, report evidenzia i problemi finanziari per i troppi dipendenti pubblici
Cina, cresce il debito personale
Aukus, i ministri della Difesa si impegnano a sviluppare nuove tecnologie in ambito militare
Filippine: l'IS rivendica attentato a Marawi
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Extension of voluntary chat control is an admission of EU Commission’s failure!
Now that the EU plans for mass screening of private communications and undermining secure end-to-end encryption (chat control 2.0) have been put on ice due to a lack of majority among EU governments, the EU Commission is proposing an extension of the existing voluntary chat control regulation, which is currently set to expire on 3 August 2024, by two years. The planned fast-track procedure has not yet been communicated by the EU Commission. For Pirate Party lawmaker and most prominent opponent of chat control Patrick Breyer, who is also his group’s lead negotiator on the file, the proposal is an admission of failure:
“Proposing to continue working with the status quo is an admission of failure of the scandalous methods of Home Affairs Commissioner ‘Big Sister’ Ylva Johansson to implement authoritarian chat control in Europe.” Due to her unprecedented, radical attack on digital privacy and secure encryption, ‘big sister’ Johansson is directly responsible for the complete failure to achieve any better protection of our children from abuse. Johansson’s personal crusade for and ideological obsession with mass surveillance is blocking truly effective preventive measures, for example by requiring online services to be secure by design. Victims of child sexual abuse deserve politicians who are capable of protecting children in an effective, politically and legally feasible way – this is cross-party consensus in the EU Parliament.”
At the same time, Breyer criticises the instrument of voluntary chat control: “The Commission’s report on the supposed effectiveness of voluntary chat control has been overdue for months. No surprise: the voluntary mass surveillance of our private communications by US services such as Meta, Google or Microsoft makes no significant contribution to rescuing abuse victims or convicting producers of child sexual abuse material. It instead criminalises thousands of minors, overburdens law enforcement and opens the door to arbitrary private justice by internet companies.”
“The regulation on voluntary chat control is both unnecessary and violates fundamental rights: Social networks as hosting services do not need the regulation to screen public posts. And the error-prone NCMEC reports that result from the indiscriminate screening of private communications by Zuckerberg’s Meta will end as a result of the announced introduction of end-to-end encryption by the end of the year. The legal opinion of a former ECJ judge finds that voluntary chat control violates fundamental rights. A victim of child sexual abuse and I are taking legal action against this.”
The EU Commission intends to inform the justice and interior ministers on 4 December 2023.
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Palau diventa il 196esimo Paese membro dell'INTERPOL
Tra gli eventi della 91ma Assemblea Generale dell'INTERPOL di Vienna (dove 100 anni fa fu creato quello che viene definito "corpo di polizia mondiale"), l'accesso di Palau come 196esimo Paese membro dell'Organizzazione.
La posizione di Palau
Palau, ufficialmente Repubblica di Palau, è uno Stato insulare nell'oceano Pacifico, situato a circa 500 km a est delle Filippine. Ha ottenuto l'indipendenza dagli Stati Uniti d'America nel 1994.
La richiesta di Palau è stata approvata con una maggioranza di oltre due terzi dei voti.
Palau istituirà quindi il suo Ufficio centrale nazionale (BCN). Le BCN sono organismi nazionali preposti all'applicazione della legge e operano in conformità con la legislazione nazionale. Costituiscono l'unico punto di contatto di quel paese con la sede del Segretariato generale dell'INTERPOL a Lione, in Francia, nonché con le BCN di altri paesi.
La bandiera di PALAU
Cosa comporta l'adesione all'INTERPOL
L’adesione all’INTERPOL significa che le forze dell’ordine nazionali possono condividere e ricevere istantaneamente informazioni di polizia vitali da tutto il mondo in una serie di aree criminali tra cui la tratta di esseri umani, il traffico di droga, la criminalità informatica, la criminalità automobilistica e il terrorismo.
Palau beneficerà inoltre delle capacità di polizia fornite dal Segretariato generale, quali formazione, analisi, squadre di specialisti e supporto da parte del Centro di comando e coordinamento.
Attraverso I-24/7, la rete di comunicazione globale sicura della polizia dell'INTERPOL, i paesi possono inviare messaggi e anche accedere a più database globali, inclusi quelli su persone ricercate, veicoli a motore rubati, documenti di viaggio rubati e smarriti, impronte digitali, DNA e riconoscimento facciale.
Naturalmente l’INTERPOL rispetta la sovranità di ciascun paese membro. I paesi membri mantengono la piena proprietà dei dati che condividono con INTERPOL e decidono con quali altri paesi i loro dati vengono condivisi.
INTERVISTA: “L’attacco contro Gaza e i suoi civili va avanti perché lo vogliono Usa e Europa”
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di Michele Giorgio
(questa intervista è stata pubblicata in origine da forumalternativo.ch)
(foto Wafa)
Pagine Esteri, 4 novembre 2023 – La posizione dell’Occidente è stata e resta decisiva per il consenso alla guerra di Israele contro Gaza e il movimento islamico Hamas. Il governo guidato da Benyamin Netanyahu ha più volte fatto riferimento a questo appoggio per accreditare la legittimità dell’ offensiva militare che ha fatto oltre 15mila morti tra i palestinesi. Sull’atteggiamento di Stati Uniti ed Unione europea verso Gaza e sulla sua possibile evoluzione abbiamo intervistato l’analista Mouin Rabbani, tra gli esperti principali di affari palestinesi e in passato all’International Crisis Group.
Mouin Rabbani
Mouin Rabbani, lei è uno degli analisti internazionali più assidui nel commentare gli sviluppi della guerra di Gaza e le sue gravi conseguenze in termini di vite umane e distruzioni. Quando finirà, a suo avviso, l’offensiva di Israele?
Molto dipenderà dall’atteggiamento che avranno i governi occidentali al momento tutti schierati con Israele e l’avanzata delle sue forze armate contro Gaza. C’è una convinzione che esista un livello di morte, distruzione e sofferenza oltre il quale i governi occidentali cesseranno o ridurranno significativamente la loro partecipazione di fatto alla guerra di Israele. Tuttavia, questa supposizione riflette un malinteso fondamentale sul modo in cui tali governi formulano le loro politiche. Finora, Israele ha imposto un assedio globale alla Striscia di Gaza, privando milioni di persone di tutte le forniture essenziali tranne l’ossigeno; sta radendo al suolo intere città e quartieri; ha ucciso molte migliaia di civili, tra i quali tanti bambini. Lo ha fatto come parte di una campagna di bombardamenti il cui scopo trasparente è la vendetta, la distruzione fisica e la punizione di un’intera società. Né la campagna di bombardamenti ha ridotto in modo significativo le capacità militari di Hamas e delle organizzazioni palestinesi nella Striscia di Gaza. Se il volume delle morti, delle distruzioni e delle sofferenze palestinesi avesse un peso nei calcoli dei governi occidentali, ebbene lo avrebbe già fatto sentire. Non è così e, indipendentemente da altri sviluppi, non lo farà. Mentre le forze israeliane bombardano scuole, ospedali, colonne di rifugiati, strutture delle Nazioni unite, zone autoproclamate sicure e tutte le forme di infrastrutture civili, la maggior parte dei governi occidentali continua a schierarsi in piena solidarietà con il governo israeliano. Papa Francesco è praticamente l’unico leader occidentale a non aver compiuto il pellegrinaggio da Netanyahu. I governi Usa ed europei inquadrano loro politica attorno al “diritto di Israele a difendersi”. È un diritto che non hanno mai concesso al popolo palestinese in una sola occasione.
Sta dicendo che non dobbiamo aspettarci una conclusione in tempi brevi delle offensive militari israeliane?
Fare previsioni è un azzardo in queste circostanze. Allo stesso tempo sono convinto che potrà causare un cambiamento nella politica occidentale solo il fallimento militare israeliano. Per questo l’Amministrazione Biden prova a convincere Israele a formulare obiettivi più raggiungibili della cosiddetta distruzione di Hamas che gran parte degli osservatori ritiene un traguardo irrealistico. La storia ci corre in soccorso. Nel 2006, il Segretario di Stato Condoleeza Rice accolse con entusiasmo la guerra di Israele contro Hezbollah e il Libano come “i dolori del parto di un nuovo Medio Oriente”. Fiduciosi che Israele stesse polverizzando Hezbollah, gli Stati uniti respinsero per settimane gli sforzi volti a raggiungere la cessazione delle ostilità. Quando si accorsero che l’avanzata israeliana sta andando incontro al fallimento nel sud del Libano, cambiarono tono e fecero pressioni sul Consiglio di Sicurezza dell’Onu affinché adottasse una risoluzione di cessate il fuoco. In altre parole, finché gli Usa e altri governi occidentali rifiutano una tregua a Gaza e si concentrano su oscenità senza senso come le “pause umanitarie”, significa che credono ancora che Israele riuscirà o potrà avere un successo militare completo. Se invece cominceranno a pronunciare omelie sulla sofferenza dei civili palestinesi e ad allestire una vetrina di buoni sentimenti, vuol dire che hanno capito che Israele ha fallito.
Esiste uno scenario alternativo in cui Usa e Europa costringeranno il gabinetto di guerra israeliano a fermarsi?
Dovrebbero capire che la loro condotta e quella di Israele producono non solo sofferenze terribili a milioni di civili palestinesi ma anche una minaccia significativa ai loro interessi. Ciò potrebbe assumere la forma di una crescente instabilità nella regione e di minacce ai regimi arabi alleati oltre alla prospettiva di una guerra in tutta la regione che richiederebbe un intervento diretto che gli Stati uniti non vogliono.
Dopo l’attacco di Hamas al sud di Israele che ha ucciso circa 1200 civili e soldati e ha visto la presa in ostaggio di 200 israeliani e cittadini stranieri, il premier Netanyahu ha accusato il movimento islamico di essere come l’Isis e di voler massacrare tutti gli ebrei. Una lettura dell’accaduto largamente condivisa in Occidente.
La falsificazione storica e politica non è cominciata con questa guerra. E ancora una volta chiama in causa il doppio standard dei Paesi occidentali. Qualche mese fa il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha rilasciato una serie di dichiarazioni sugli ebrei d’Europa e sull’Olocausto che hanno suscitato una genuina indignazione europea. Naturalmente è giusto che la falsificazione storica venga condannata e sconfessata. Tuttavia, perché dovrei considerare le condanne europee di Abbas, quando l’affermazione fatta tempo fa da Netanyahu secondo cui l’Olocausto attuato dai nazisti e da Adolf Hitler sarebbe stato ispirato addirittura dal Mufti di Gerusalemme, Hajj Amin al-Husseini, è passata praticamente sotto silenzio? O quando il più alto funzionario dell’Unione europea, Ursula Von Der Leyen, raggiunge l’orgasmo nel suo messaggio per il 75esimo compleanno di Israele? Secondo Von Der Leyen, Israele è “una vivace democrazia nel cuore del Medio Oriente” che “ha letteralmente fatto fiorire il deserto”. Una terra senza popolo affinché un popolo senza terra continui a vivere. È forse storia vera questa?
L’Europa potrà mai svolgere un ruolo costruttivo nella questione palestinese?
Rispondo con due aneddoti. Negli anni ’90 ero amico di un diplomatico olandese distaccato a Bruxelles. Mi raccontava che i suoi sforzi per promuovere la corretta etichettatura, non con il “Made in Israel”, delle merci prodotte negli insediamenti coloniali israeliani nei Territori palestinesi occupati, sia nei Paesi Bassi che a Bruxelles, sono stati combattuti con le unghie e con i denti. Non da gruppi di pressione israeliani, ma dai suoi colleghi e superiori. È un dibattito che va avanti da decenni nonostante si tratti di una questione ampiamente chiarita e definita dal diritto internazionale dai regolamenti dell’Ue. Quindi perché dovremmo prendere sul serio l’Europa? Anni dopo ho partecipato a una cena presso l’ambasciata olandese ad Amman con deputati della commissione parlamentare dei Paesi Bassi per gli affari esteri. Il suo presidente disse che non avrebbero avuto contatti con Hamas fino a quando quest’ultimo rifiuterà l’esistenza di Israele. Quando gli chiesi se gli stessi criteri si applicassero anche all’estremista di destra Avigdor Lieberman, all’epoca astro nascente della politica israeliana, mi rispose che, a differenza di Hamas, Lieberman non faceva parte del governo israeliano. Eppure, quando Lieberman divenne ministro, è stato un partner per i governi europei pur proclamando la sua totale opposizione ai diritti dei palestinesi. Mi è capitato di trovarmi a Cipro quando il ministro degli esteri ha dato un caloroso benvenuto a Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza e tra i leader della destra israeliana più radicale e antipalestinese. Non ho dubbi che sia solo questione di tempo prima che anche Ben-Gvir venga normalizzato dalla democratica Europa. Perché i palestinesi dovrebbero prendere sul serio gli europei se si concentrano principalmente sui libri di testo palestinesi e sulla loro criminalizzazione con definizioni distorte di antisemitismo? Si è mai saputo di indagini svolte in Europa sui libri di testo israeliani che negano la storia e i diritti dei palestinesi nella loro terra?
Usa e Ue continuano a sostenere la soluzione a Due Stati, quindi la nascita di uno Stato palestinese, e manifestano sostegno a Mahmoud Abbas nel momento in cui Netanyahu lo proclama irrilevante ed esclude l’Anp da un possibile governo futuro di Gaza.
Non ho alcuna obiezione in linea di principio né alla soluzione a Due Stati né al suo appoggio da parte dell’Europa. Allo stesso tempo occorre andare oltre dichiarazioni scontate e ripetitive e guardare la realtà sul terreno. Chiedete a qualsiasi palestinese e ti dirà che l’Anp ormai serve solo gli interessi di Israele, di Usa e Europa. E più di tutto Usa e Ue dovrebbero domandarsi con obiettività se trent’anni di Accordi di Oslo (nel 1993, tra Israele e Olp, ndr) abbiano avvicinato o allontanato l’obiettivo della nascita dello Stato palestinese e la realizzazione del diritto internazionale in Medio Oriente. Data l’ovvia risposta a questa domanda, chiedo: non è forse giunto il momento di adottare un approccio diverso, in cui ci si concentri non sul dare ulteriore vita a un negoziato marcio, ma piuttosto ad avviare politiche per mettere fine al conflitto sulla base del diritto internazionale? Non credo che ciò possa avvenire nei prossimi anni. Perciò i palestinesi devono cambiare la natura del loro impegno soprattutto con l’Europa. Non devono considerare più l’Europa come un potenziale contrappeso agli Stati Uniti alleati di Israele, ma come un robusto pilastro nell’architettura dell’espropriazione palestinese. Pagine Esteri
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noyb cita in giudizio CRIF e AZ Direct per trattamento illegale e segreto dei dati noyb ha fatto causa per ottenere, tra le altre cose, provvedimenti ingiuntivi e danni.
La NATO dovrebbe prepararsi ad accogliere le “cattive notizie” dall'Ucraina, avverte Stoltenberg
@Politica interna, europea e internazionale
"Le guerre si sviluppano in fasi", ha detto Stoltenberg in un'intervista sabato all'emittente tedesca ARD. "Dobbiamo sostenere l'Ucraina sia nei momenti buoni che in quelli cattivi", ha detto.
"Dovremmo essere preparati anche alle cattive notizie", ha aggiunto Stoltenberg, senza essere più specifico.
politico.eu/article/nato-boss-…
NATO should be ready for ‘bad news’ from Ukraine, Stoltenberg warns
‘We have to support Ukraine in both good and bad times,’ NATO chief says in ARD interview.Bjarke Smith-Meyer (POLITICO)
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Uno sguardo fediverso all'ultima tornata di sovvenzioni di NLnet
NLNet ha annunciato 55 nuovi progetti a cui viene assegnata una sovvenzione NGI Zero. NGI Zero è il programma Next Generation Internet della Commissione Europea, che finanzia progetti che lavorano su quella che chiamano Internet di prossima generazione . Per maggiori informazioni su NLnet e NGI Zero, dai un'occhiata a questa intervista che ho fatto con NLnet quest'estate. L’ultima tornata di sovvenzioni prevede diversi progetti che si collegano in qualche modo al fediverso.
I finanziamenti riguardano i seguenti progetti:
- NodeBB
- fedidevs.com
- Bonfire
- GoToSocial
- Mobilizon
- PeerTube
- Commune, un progetto che però, a differenza dei precedenti, è basato su Matrix
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Speriamo che non ci siano prese di potere dovute al fatto che ci ha messo i soldi.
Preferirei che il modello cinese non si sviluppasse cosi tanto in occidente.
Abbiamo visto cosa si sono fidati di fare con il Chat Control, immagina quindi simili iniziative se non peggiori per i prossimi anni.
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Pechino ci vuole divisi, ma la nostra forza è nelle alleanze. Austin su Cina e Usa
È la terza volta che il generale quattro stelle dell’Esercito americano Lloyd Austin parla al Reagan National Defense Forum da capo del Pentagono. Ma stavolta il discorso (che ha tenuto sabato 2 dicembre) diventa un manifesto politico, l’eredità sua personale e in largo dell’amministrazione Biden sulla strategia militare americana. È così per il momento internazionale – le guerre in corso in Ucraina e Israele, le tensioni in altri hotspot in alte parti del mondo – e quello interno: tra un anno l’America sceglierà il suo prossimo presidente, e parte delle decisioni passeranno anche da come i candidati gestiranno certe sfide.
Seppur maggiormente orientati alle questioni nazionali, certe situazioni attirano le attenzioni dell’elettorato, e tra i dossier di politica internazionale ce n’è uno che più di tutti caratterizza l’attuale fase storica: il confronto con la Cina. È un tema bipartisan, su cui la linea competitiva è un rarissimo punto di contatto nelle polarizzazioni tra Democratici e Repubblicani. E assume tale valore anche perché gli elettori ne percepiscono gli effetti a ricaduta interna. Se Washington non manterrà il vantaggio su Pechino – sia esso economico, tecnologico, politico-valoriale, finanche militare – la prosperità americane potrebbe ridursi in futuro. Ed è a quello che le collettività statunitensi guardano.
Ragion per cui registrare quel che dice Austin nel discorso/manifesto dalla Reagan Presidential Library Simi Valley è utile anche per valutare le traiettorie future della politica e della strategia degli Usa. “La nostra Strategia di Difesa Nazionale descrive la Repubblica Popolare Cinese come ‘il più importante concorrente strategico dell’America e la sfida più importante per il Dipartimento della Difesa’. La Repubblica Popolare Cinese è il nostro unico rivale con l’intenzione e, sempre più spesso, la capacità di rimodellare l’ordine internazionale”, dice il segretario alla Difesa.
Austin spiega che Pechino “spera che gli Stati Uniti inciampino e diventino isolati all’estero e divisi in patria. Ma insieme possiamo evitare questo destino. Insieme ai nostri alleati e partner, abbiamo compiuto progressi straordinari nell’affrontare la sfida della Cina e nel forgiare un Indo Pacifico più sicuro”. E aggiunge: “In questo decennio decisivo, il 2023 sarà ricordato come un anno determinante per l’attuazione della strategia di difesa degli Stati Uniti in Asia”.
Gli Stati più Uniti che mai
Il Pentagono ha effettivamente compiuto evoluzioni nel rendere la posizione di forza statunitense nella regione “molto più distribuita, mobile e resiliente”, per usare la formula canonicamente utilizzata da Washington. Un lavoro che passa dalla presenza diretta all’aiuto ai partner a sviluppare le loro capacità di difesa (“Quest’anno ho fatto quattro viaggi nell’Indo Pacifico e ad ogni viaggio abbiamo fatto ancora più progressi”.
A febbraio, a Manila, gli Stati Uniti hanno annunciato l’espansione dell’accordo di cooperazione rafforzata in materia di difesa con le Filippine per consentire l’accesso degli Stati Uniti ad altre quattro strutture filippine. A maggio, il segretario era a a Tokyo per modernizzare ulteriormente l’alleanza con il Giappone, che ha raddoppiato il suo bilancio per la difesa. A luglio, Austin è stato il primo segretario alla Difesa a visitare la Papua Nuova Guinea, concordando un accordo di cooperazione in materia di difesa Chen a rafforzato la posizione americana tra le isole del Pacifico. Sempre quest’estate, a Nuova Delhi, è stata presentata una nuova tabella di marcia per la cooperazione industriale nel settore della difesa con l’India, strategia rafforzata anche nel recente “2+2” da cui esce una volontà congiunta di rafforzare la capacità militare – anche a livello produttivo – del Subcontinente. Sempre quest’estate, Usa, Corea del Sud e Giappone hanno stretto legami di sangue tramite i “Camp David Principles”. Infine, continua l’implementazione di quella che Austin definisce “la nostra storica partnership”, l’Aukus Australia e Regno Unito.
“Tutto questo si basa su una cruda realtà militare: alleati e partner ci aiutano a proiettare il potere e a condividere il peso della nostra sicurezza comune. Ma non prendetelo da me. Prendete esempio dal presidente Ronald Reagan, che ha detto che ‘la nostra sicurezza si basa in ultima analisi’ sulla ‘fiducia e la coesione’ del nostro sistema di alleanze”, ha aggiunto Austin. Un messaggio diretto a Pechino, che punterebbe a dividere e per quanto possibile isolare l’America, che invece con l’amministrazione Biden ha dimostrato di avere la capacità di ricreare il collante necessario per ricostruire con maggiore vigore alleanze e partnership che l’atteggiamento America First – più nazionalista, quasi isolazionista – di Donald Trump aveva messo in difficoltà. “Tuttavia, la nostra forza all’estero è radicata nella nostra forza in patria”, ricorda Austin – probabilmente pensando anche a Usa2024.
Ministero dell'Istruzione
Oggi, #3dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità, indetta nel 1992 dalle Nazioni Unite.Telegram
Uniamoci per affrontare questo momento. L’eredità di Austin sulla strategia Usa
Stiamo vivendo tempi difficili. Tra questi, i conflitti più importanti che stanno affrontando le nostre democrazie, Israele e Ucraina, le prepotenze e le coercizioni di una Cina sempre più assertiva e la battaglia mondiale tra democrazia e autocrazia.
Sono quindi tempi in cui sia i nostri amici che i nostri rivali guardano all’America. Sono tempi in cui il popolo americano conta che i suoi leader si uniscano. E questi sono i tempi in cui la sicurezza globale si basa sull’unità e sulla forza americana.
Il Presidente Biden lo definisce “un punto di svolta nella storia del mondo”. Con la sua leadership, abbiamo riunito i nostri alleati e partner per difendere l’ordine internazionale basato sulle regole.
Ora, so che questa frase non fa battere il cuore a tutti. Ma l’ordine internazionale basato sulle regole è fondamentale per la nostra sicurezza a lungo termine.
È la struttura delle istituzioni internazionali, delle alleanze, delle leggi e delle norme costruite con la leadership americana dopo le sconcertanti perdite della Seconda Guerra Mondiale. E queste regole aiutano a garantire che nulla di simile alla Seconda Guerra Mondiale possa mai più accadere.
Aiutano a sostenere la sovranità e a rispettare i confini.
Aiutano a garantire che i civili siano protetti e non presi di mira.
E contribuiscono a punire le aggressioni e a tenere sotto controllo i prepotenti.
Dal 1945, l’ordine internazionale basato sulle regole ha contribuito a dare al nostro Paese – e al mondo intero – un periodo di pace e prosperità senza precedenti.
Ma la pace non è auto-esecutiva. L’ordine non si conserva da solo. E la sicurezza non fiorisce da sola.
Il mondo costruito dalla leadership americana può essere mantenuto solo dalla leadership americana.
Come ha detto il Presidente Biden, “la leadership americana è ciò che tiene insieme il mondo”.
Dalla Russia alla Cina, da Hamas all’Iran, i nostri rivali e nemici vogliono dividere e indebolire gli Stati Uniti e separarci dai nostri alleati e partner. Pertanto, in questo momento storico, l’America non deve vacillare.
La leadership americana raduna i nostri alleati e partner per sostenere la nostra sicurezza comune. E ispira la gente comune di tutto il mondo a lavorare insieme per un futuro più luminoso.
Ma i problemi del nostro tempo non potranno che aggravarsi senza una leadership americana forte e costante che difenda l’ordine internazionale basato sulle regole che ci tiene al sicuro.
E se perdiamo la nostra posizione di responsabilità, i nostri rivali e i nostri nemici saranno lieti di riempire il vuoto.
In ogni generazione, alcuni americani preferiscono l’isolamento all’impegno e cercano di alzare il ponte levatoio. Tentano di smantellare la pietra angolare della leadership americana. E cercano di minare l’architettura di sicurezza che ha prodotto decenni di prosperità senza guerre tra grandi potenze.
E si sentirà qualcuno cercare di bollare un ritiro americano dalle responsabilità come una nuova e coraggiosa leadership.
Quando lo sentirete dire, non fatevi illusioni: non è audace. Non è nuova. E non è una leadership.
Come dice il vecchio detto, se pensate che l’istruzione sia costosa, provate con l’ignoranza. E se pensate che la leadership americana sia costosa, considerate il prezzo della ritirata americana.
Nel corso della lunga storia americana, il costo del coraggio è sempre stato inferiore a quello della codardia.
E il costo dell’abdicazione ha sempre superato di gran lunga il costo della leadership.
Il mondo diventerà sempre più pericoloso se i tiranni e i terroristi crederanno di poterla fare franca con aggressioni e massacri di massa.
E l’America diventerà meno sicura se i dittatori crederanno di poter cancellare una democrazia dalla carta geografica.
E gli Stati Uniti pagheranno un prezzo più alto se autocrati e fanatici crederanno di poter costringere persone libere a vivere nella paura.
Questa intuizione fondamentale è all’opera nel nostro approccio a tre sfide molto diverse: la crisi in Medio Oriente, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la sfida strategica della Repubblica Popolare Cinese. […]
L’Ucraina ricorda al mondo la forza morale di un popolo libero che lotta per difendere il proprio territorio sovrano, la propria democrazia e il proprio futuro.
E come americani, non dobbiamo fare di meno.
Uniamoci quindi per rendere la nostra unione più perfetta, il nostro Paese più sicuro e il nostro mondo più giusto.
Uniamoci per riunire le nazioni di buona volontà alla causa della libertà umana.
E uniamoci per affrontare questo momento.
Grazie e che Dio continui a benedire gli Stati Uniti d’America.
Qui il discorso integrale
INTERPOL. La dichiarazione di Vienna
A conclusione della 91ma Assemblea Generale dell' #INTERPOL di Vienna (dove 100 anni fa fu creato quello che viene definito "corpo di polizia mondiale"), il Presidente Ahmed Naser AL-RAISI ed il Segretrio Generale Jürgen STOCK hanno rilasciato la "Dichiarazione di Vienna", sull'impegno dell'Organizzazione nella lotta alla criminalità organizzata.
La Dichiarazione di Vienna definisce le cinque azioni prioritarie (traduzione non ufficiale, il testo ufficiale è scaricabile qui interpol.int/content/download/… ):
1. La lotta alla criminalità organizzata transnazionale deve diventare una priorità globale per la sicurezza nazionale.
I gruppi criminali organizzati, che operano oltre i confini, stanno minando le società, le comunità e le loro
economie. Le forze dell’ordine in molti paesi non riescono a far fronte al fatto che i criminali acquistano influenza politica,
lanciare attacchi informatici da diversi continenti o operare a livello transnazionale. Questo crimine transnazionale
epidemico deve essere trattato al più alto livello governativo come una priorità globale. Il mondo ha bisogno di
lavorare insieme per risolvere questa crisi di sicurezza.
2. Costruire una maggiore cooperazione per contrastare le attività criminali.
I paesi non possono più fare affidamento solo sugli scambi bilaterali o regionali. Condivisione delle informazioni attraverso
i confini sono fondamentali e devono essere la norma, non l’eccezione, se vogliamo sconfiggere il significativo
aumento della criminalità organizzata.
3. Maggiore condivisione delle informazioni.
I decisori responsabili della polizia, della giustizia e della sicurezza nazionale devono allineare gli sforzi nella costruzione
una risposta globale rimuovendo gli ostacoli ad una maggiore condivisione delle informazioni.
4. Potenziamento della polizia in prima linea.
Ogni agente di polizia è un anello della catena che protegge le proprie comunità così come la comunità
mondiale. Ogni agente di polizia, compresi quelli in prima linea e quelli che proteggono i nostri confini, devono farlo
avendo accesso alle informazioni di cui hanno bisogno dai database globali per interrompere l'attività criminale e
offrire un migliore supporto tecnologico, formazione e informazione sulla lotta alla criminalità globale.
5. Maggiori investimenti in innovazione e tecnologia.
Gli investimenti delle forze dell’ordine globali in tecnologia e innovazione vengono superati dai criminali.
La storia della cooperazione. Ultima parte. Fino ai giorni nostri.
A guerra conclusa, nel 1946, su iniziativa del Belgio, fu convocata l’anno dopo a Bruxelles la quindicesima Assemblea Generale per la ricostruzione dell’organizzazione. L’ICPC accettò l’offerta del governo francese di un quartier generale a Parigi insieme a uno staff del Segretariato Generale composto da funzionari di polizia francesi.
(Giuseppe Dosi)
Nello stesso anno fu scelto – su proposta di un funzionario di polizia italiano, Giuseppe Dosi (immagine precedente) – per l’indirizzo telegrafico il nome “INTERPOL”, che ancora contraddistingue l’Organizzazione.
Nel 1947 venne emesso il primo “Red Notice”, per le ricerche internazionali di un russo ricercato per l’omicidio di un poliziotto. Fu l’avvio del sistema di avvisi codificati a colori, ampliato nel corso degli anni per coprire altri avvisi, seppure l’“Avviso rosso” per le persone ricercate rimane uno strumento chiave e, per certi versi, un simbolo dell’Interpol ancora oggi.
Nel 1949 l’ICPC ottenne lo status consultivo dalle Nazioni Unite (che consentiva ad esso di tenere “accordi adeguati alla consultazione con organizzazioni non governative che si occupano di questioni di sua (dell’ONU, ndr) competenza”). Dal 1946 al 1955 i suoi membri crebbero da 19 Paesi a 55. Nel 1956 l’ICPC ratificò una nuova costituzione, sotto la quale fu ribattezzata Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale (OICP–Interpol).
Negli anni a seguire crebbe la connessione con altre Organizzazioni Internazionali: nel 1959 si tenne un primo incontro con la partecipazione del Direttore dell’Ufficio che si occupava di traffico di stupefacenti delle Nazioni Unite.
Il traguardo simbolico di cento Paesi membri fu raggiunto nel 1967. Nel 1972 lo status venne rafforzato da un accordo di sede con la Francia, Paese ospitante, che riconobbe INTERPOL come organizzazione internazionale. Quello stesso anno l’Assemblea Generale adottò le Regole sulla cooperazione internazionale di polizia e sul controllo degli archivi, un quadro giuridico necessario per il trattamento dei dati personali.
(attuale sede dell'Interpol)
Il 27 novembre 1989 il Presidente francese François Mitterrand inaugurò la nuova ed attuale sede, spostata a Lione (immagine precedente). Nel frattempo, gli Stati–membri erano saliti a 150.
L’Organizzazione ricercò nuove possibilità anche sotto l’aspetto prettamente operativo.
Negli anni ’70 la capacità di combattere l’imperversante terrorismo era ostacolata dall’articolo 3 della sua costituzione – che vietava “interventi o attività di carattere politico, militare, religioso o razziale” – e da una risoluzione del 1951 dell’Assemblea Generale che definiva un “reato come quello le cui circostanze e motivazioni sono politiche, anche se il fatto stesso è illegale ai sensi del diritto penale”.
Una fonte di questi ostacoli fu quindi rimossa nel 1984, quando l’Assemblea Generale rivide l’interpretazione dell’articolo 3, per consentire all’Interpol di intraprendere attività antiterroristiche in determinate circostanze ben definite.
Nel 1993 poi fu istituita l’Unità di intelligence criminale analitica, per studiare i collegamenti tra sospetti, crimini e luoghi, identificando così i modelli di criminalità e fornendo avvisi di minacce.
Nel 2001 l’Organizzazione è divenuta operativa 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, in seguito agli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti dell’11 settembre, quando il Segretario Generale promise che “le luci dell’INTERPOL non si spegneranno mai più”. Inoltre, venne istituita la carica di Direttore Esecutivo per i servizi di polizia, creata per sovrintendere su diverse Direzioni, comprese quelle per i Servizi di polizia regionali e nazionali, i Reati Specializzati e il Supporto operativo alla polizia.
Tale modernizzazione è stata implementata negli ultimi venti anni anche sotto l’aspetto tecnico, mediante l’AFIS, il sistema automatico di identificazione delle impronte digitali che ha velocizzato i tempi necessari per effettuare i controlli delle impronte digitali (una prova che ha sempre svolto un ruolo cruciale nella polizia, ma le impronte erano precedentemente su carta e venivano confrontate manualmente), ed il Sistema globale di comunicazione della polizia, che offre a tutti i Paesi membri una piattaforma sicura per accedere ai database e alle informazioni ed al database del DNA, per aiutare a collegare i crimini internazionali.
Attualmente più di 80 Paesi forniscono profili DNA di autori di reati e scene del crimine. Il database può essere utilizzato anche per persone scomparse e resti umani non identificati.
Nel 2004, INTERPOL ha aperto un ufficio di Rappresentanza Speciale presso le Nazioni Unite a New York. Seguirà uno presso l’Unione Europea a Bruxelles nel 2009.
Il resto è storia di oggi.
PER SAPERNE DI PIÙ:
L. SCHETTINI, La tratta delle bianche in Italia tra paure sociali e pratiche di polizia (XIX-XX secolo), in “Italia contemporanea”, dicembre 2018, n. 288.
M. DEFLEM, The Logic of Nazification: The Case of the International Criminal Police Commission (Interpol) in International Journal of Comparative Sociology 43(1):21–44, 2002.
M. DEFLEM, International Police Cooperation — History of, Pp. 795-798 in The Encyclopedia of Criminology, edited by Richard A. Wright e J. Mitchell Miller, Routledge, New York, 2005.
M. DEFLEM, Wild Beasts Without Nationality: The Uncertain Origins of Interpol, 1898–1910. Pp. 275–285 in The Handbook of Transnational Crime and Justice, edited by Philip Reichel, Thousand Oaks, CA: Sage Publications, 2005.
O. DI TONDO, Giuseppe Dosi, la polizia internazionale e la nascita dell'Interpol, in Giuseppe Dosi il poliziotto artista che inventò l’Interpol italiana, (a cura di) R. CAMPOSANO, Ufficio Storico della Polizia di Stato, Roma, 2014.
R. BACH JENSEN, The Battle against Anarchist Terrorism: An International History, 1878–1934. New York: Cambridge University Press, 2014.
T. BEUGNIET, La conférence anti–anarchiste de Rome (1898) et les débuts d’une coopération internationale contre le terrorisme de la fin du XIXe siècle à la Première Guerre mondiale, mémoire, (dir.) Stanislas Jeannesson, Nantes, Université de Nantes, 2016.
informapirata ⁂
in reply to Andrea Russo • • •dichiarazioni irresponsabili
@politica
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El Salvador
in reply to informapirata ⁂ • • •“The more we support Ukraine, the faster the war will end."
Sicuramente. 🤐☠️
informapirata ⁂
in reply to El Salvador • • •Irrersponsabili ("We should also be prepared for bad news”), fallaci (“The more we support the Ukraine, the faster the war will end.") e dannose (“We’re not able to work as closely together as we should”).
Questo ennesimo scarto del laburismo mercantilista europeo (è una via di mezzo tra Prodi e D'Alema) si dimostra un segretario generale NATO scadente (oltre che scaduto: ilpost.it/2023/07/05/jens-stol…)
Il mandato di Jens Stoltenberg come segretario generale della NATO è stato prorogato fino allottobre del 2024
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