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In Cina e Asia – Quasi ultimato primo porto a gestione cinese del Sud America
Quasi ultimato primo porto a gestione cinese del Sud America
Cina, Russia primo fornitore di petrolio greggio nel 2023
Giamaica, Wang Yi conclude il tour inaugurale
Cina, 13 morti nell'incendio di un istituto privato
Cina, un laboratorio di ricerca simula attacchi contro portaerei americane con l'ausilio di armi spaziali
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GUATEMALA. Sconfitta la tattica golpista, Arévalo si prepara a combattere la corruzione
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di Tiziano Ferri
Paine Esteri, 16 gennaio 2024. Alla fine ha giurato. Bernardo Arévalo, presidente eletto del Guatemala, evita, per il momento, il prolungato tentativo di golpe architettato contro di lui. E
contro la democrazia guatemalteca. Nel paese si sta consumando, come negli ultimi anni in altri stati latinoamericani, un episodio di lawfare, cioè l’utilizzo del potere giudiziario per sovvertire il risultato del voto. A volte succede quando il
governo è in carica, come in Brasile con Dilma Rousseff, altre volte a ridosso del giuramento presidenziale, come capitato in Honduras con Xiomara Castro.
Nel caso di Arévalo, i problemi iniziano da prima della sua elezione, quando il suo movimento Semilla (sinistra) è privato della personalità giuridica con l’accusa di firme false per la propria registrazione. L’accusa della procura arriva
all’indomani del primo turno delle presidenziali (25 giugno 2023), quando il candidato anti-corruzione, dato dai sondaggi all’ottavo posto, arriva inaspettatamente secondo. Seguono denunce, riconteggio dei voti, occupazione di uffici elettorali da parte della polizia, un processo che alla fine conferma il risultato del primo turno, e quindi il ballottaggio del 20 agosto per
Arévalo. Al secondo turno il candidato del movimento Semilla vince con il 61%, con la sconfitta Sandra Torres (già primera dama dal 2008 al 2011) che non riconosce il risultato. Il conflitto tra procura, tribunale supremo elettorale e corte costituzionale, per non riconoscere la legittimità del presidente e del suo
partito, continua per tutti i mesi che separano l’elezione di Arévalo dal giorno del giuramento, fissato per il 14 gennaio. Da un lato, dei parlamentari corrotti contrari a lasciare il potere, sostenuti da parte della magistratura, dall’altro gli
organi di controllo elettorale, la pressione internazionale e le manifestazioni di piazza (animate dai popoli nativi) per il rispetto della volontà popolare.
La tattica golpista, una volta riconosciuta dal tribunale supremo l’elezione di Arévalo, punta a far decadere i congressisti eletti nel movimento Semilla, così impossibilitati a ricevere il giuramento del nuovo presidente.
La convulsa giornata di ieri parte da qui. Il presidente eletto ha già denunciato il tentativo di golpe dal settembre scorso, perciò sa che il giorno
dell’insediamento non scorrerà via liscio. La cerimonia è prevista per il mattino, con presidenti di altri paesi latinoamericani invitati, consapevoli di ciò che sta succedendo. Mentre la piazza dinanzi al congresso si riempie di manifestanti accorsi per festeggiare, gli oppositori all’interno mettono le catene alle porte
per sequestrare gli eletti del movimento Semilla.
Arévalo fa sapere che il giuramento è rimandato alle 16, e chiede ai cittadini di mantenere la calma, cosciente che eventuali disordini di piazza possono favorire chi lavora per il caos istituzionale. Il tempo passa, la situazione non si sblocca, e la protesta cresce, davanti alla polizia in assetto antisommossa. Boric, Petro, Castro, e gli
altri mandatari invitati alla cerimonia chiedono che la democrazia e la volontà popolare espressa col voto siano rispettate, emettendo un comunicato firmato anche dal segretario dell’Organizzazione degli stati americani (Oea) e dall’alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell. Col sole già tramontato da
ore, in diretta dal teatro del centro culturale Miguel Ángel Asturias, appare sui maxischermi il giuramento di Bernardo Arévalo (e della vicepresidente Karin Herrera) nelle mani del nuovo presidente del congresso, l’esponente di Semilla Samuel Pérez. Migliaia di persone, in piazza a Città del Guatemala, possono
festeggiare con balli e fuochi d’artificio, al termine di una giornata impegnativa.
Il governo che Arévalo si appresta a presiedere includerà diverse tendenze politiche, poiché gli eletti di Semilla non hanno la maggioranza al congresso, necessaria per l’approvazione delle leggi. La compattezza della coalizione
governativa è solo uno dei problemi del nuovo corso: funzionari, politici e magistrati ostili si batteranno per mantenere privilegi e corruzione, come si è visto negli ultimi mesi. Ormai giunte le 5 del mattino, Arévalo è andato in piazza per ringraziare i capi ancestrali, protagonisti di una resistenza di 106 giorni in difesa della democrazia. Dovrà ricambiare con una politica di vero cambiamento, se vuole mantenerne l’appoggio, e provare a portare a termine
un mandato pieno di insidie.
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STATI UNITI-GAZA-RUSSIA. Seymour Hersh: I costi politici delle guerre di Biden
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di Seymour Hersh*
(traduzione di Federica Riccardi)
(foto di archivio dell’ambasciata Usa a Tel Aviv)
Pagine Esteri, 22 gennaio 2024 – Donald Trump ha vinto alla grande in Iowa questa settimana, come chiunque abbia un briciolo di buon senso sapeva che sarebbe accaduto, nonostante i giorni di disonesti e noiosi “wishful thinking” di CNN e MSNBC, e di alcuni organi di stampa, sulla possibilità di un’impennata di Haley in Iowa che si sarebbe potuta trasferire in New Hampshire. Ma non se ne parla.
Il candidato repubblicano sarà Donald Trump, a meno che non venga fermato dai tribunali, e a questo punto le probabilità sono che egli, se non imbrigliato, si aggiudicherà la vittoria a novembre e potrebbe portare con sé la Camera e il Senato. La risposta dei Democratici, con poche eccezioni, è stata quella di entrare in uno stato di negazione. Nel mio mondo di Washington, il disastro incombente viene messo da parte dai democratici fedeli che insistono sul fatto che Biden ha già battuto Trump una volta e può farlo di nuovo. Chi si lamenta, o nota con dovere, la mancanza di vitalità politica della vicepresidente Kamala Harris si sente dire che è razzista o misogino.
I risultati iniziali di Biden – leggi che hanno migliorato la vita quotidiana di milioni di americani in condizioni di disperato bisogno – sono stati cancellati da una serie di errori di politica estera che derivano dall’ignoranza e dalla viscerale russofobia che ha fatto sì che lui e i suoi assistenti di politica estera si rifiutassero di assicurare al Presidente russo Vladimir Putin, prima che premesse il grilletto, che gli Stati Uniti non avrebbero mai sostenuto l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Questo sarebbe stato sufficiente, con un’elaborazione più completa, per impedire al sovrano russo di lanciare una guerra tutt’altro che necessaria.
Lo scorso novembre, un’analisi condotta da Michael von der Schulenburg, funzionario delle Nazioni Unite in pensione, Hajo Funke, politologo, e dal generale Harald Kujat, il più alto ufficiale tedesco della Bundeswehr e della NATO prima del suo pensionamento, ha concluso che una soluzione della guerra era possibile nel marzo 2022, un mese dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Il documento, i cui risultati sono stati ampiamente riportati in Europa ma non negli Stati Uniti, ha affermato che i colloqui sono stati sabotati dalle obiezioni della NATO, dell’amministrazione Biden e del governo britannico, allora guidato dal primo ministro Boris Johnson.
Ciononostante, sono ancora in corso colloqui di pace segreti tra i principali generali di Russia e Ucraina, con un accordo sullo scambio di prigionieri in procinto di essere raggiunto. Il rilascio di prigionieri di guerra americani da parte del Vietnam del Nord è stato il fattore chiave per la fine della guerra. Non è chiaro quale sia la posizione dell’amministrazione Biden su questo accordo. Non si sa nemmeno se il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky sia in qualche modo coinvolto nei colloqui. A questo punto sembra improbabile.
Il sostegno di Biden a Israele e alla sua risposta selvaggiamente sproporzionata – i pesanti bombardamenti che continuano tuttora – agli orrori del raid di Hamas del 7 ottobre è ufficiale: “Vi copriamo le spalle”, ha detto al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, riferendosi alle bombe e alle altre armi che continuano ad affluire in Israele, recentemente senza l’approvazione del Congresso, come previsto dalla legge. Il Presidente parla di un cessate il fuoco, ma non ha fatto alcuna richiesta specifica a Tel Aviv. Milioni di persone in tutto il mondo, tra cui migliaia di persone in America, hanno protestato contro il sostegno dell’America alla guerra di Israele, ma il Presidente non si è fermato. La migliore difesa che riesce a trovare è sostenere di aver effettivamente sollevato la questione del cessate il fuoco con gli israeliani.
L’espressione più chiara della visione di Biden sulle responsabilità americane dopo il 7 ottobre si è avuta in un discorso televisivo pronunciato il 19 ottobre, dopo la sua seconda, brevissima visita a Tel Aviv, quando lui e il Segretario di Stato Antony Blinken hanno partecipato a una riunione sulla sicurezza nazionale israeliana. Era un momento in cui la ferocia dei bombardamenti israeliani sulle case e sugli edifici di Gaza City, con le loro migliaia di vittime civili, aveva appena iniziato a sollevare interrogativi. Israele stava chiaramente rispondendo all’attacco di Hamas prendendo di mira tutto ciò che si trovasse a Gaza.
“So che abbiamo delle divisioni in casa”, ha detto Biden. “Dobbiamo superarle. Non possiamo permettere che unaa politica meschina, partigiana e rabbiosa intralci le nostre responsabilità di grande nazione. Non possiamo e non vogliamo lasciare che terroristi come Hamas e tiranni come Putin vincano. Mi rifiuto di permettere che ciò accada”. Ha chiesto al Congresso uno stanziamento di 100 miliardi di dollari per gli aiuti all’estero, che includa finanziamenti sia per Israele che per l’Ucraina.
Nelle ultime due settimane Biden ha deciso di ordinare alla Marina statunitense di attaccare gli Houthi dello Yemen, che da settimane lanciano missili nel tentativo di costringere alcune delle maggiori compagnie di navigazione del mondo a evitare la scorciatoia di dieci giorni tra l’Occidente e l’Estremo Oriente, non rischiando più di navigare attraverso il Mar Rosso e il Canale di Suez. I missili non si fermeranno, dicono gli Houthi, fino a quando Israele non porrà fine ai suoi bombardamenti e non consentirà il flusso di cibo, acqua, medicinali e altri aiuti salvavita ai terrorizzati civili di Gaza. Al momento in cui scriviamo, ci sono state tre serie di attacchi, via mare e via aria, da parte di navi e aerei americani e britannici. Gli Houthi, sciiti rivoluzionari i cui lanciamissili sono mobili e possono essere facilmente nascosti, sono ancora in azione. Il New York Times ha riferito questa settimana che il proseguimento della campagna degli Houthi “ha reso evidente quanto possa essere difficile eliminare la minaccia per la navigazione nel Mar Rosso e nelle sue vicinanze”.
Gli strateghi del Pentagono avrebbero fatto bene a consultare i sauditi prima di bombardare lo Yemen. Come scrive Bernard Haykel, professore di studi sul Medio Oriente a Princeton, in un saggio del 2021, i sauditi consideravano “un po’ erroneamente” gli Houthi come una pura “proxi force” iraniana, simile a Hezbollah, la milizia sciita che oggi svolge un ruolo politico di primo piano in Libano e che è ancora vista da Israele come una minaccia importante. “Gli Houthi sono effettivamente stretti alleati dell’Iran, ma hanno un’ideologia decisamente più radicale di trasformazione della società. . . . In effetti, il programma rivoluzionario degli Houthi può essere paragonato a quello dei Vietcong”.
I Viet Cong? Haykel invoca i guerriglieri che hanno affrontato con successo gli Stati Uniti, con molti aiuti da parte del Vietnam del Nord, dopo oltre un decennio di brutali combattimenti che sono costati all’America 58.000 caduti e la morte di 1,6 milioni di soldati vietnamiti, 260.000 soldati cambogiani e 2 milioni di civili nella regione.
In una guerra iniziata nel 2015 dall’allora ministro della Difesa Mohammed bin Salman, oggi principe ereditario, e caratterizzata da incessanti bombardamenti sauditi su obiettivi Houthi, i sauditi hanno avuto bisogno di ben sette anni prima di rassegnarsi e cercare un accordo con gli Houthi. L’America è stata un alleato saudita fondamentale in quella guerra, fornendo intelligence, armi e rifornimento aereo per i jet da combattimento sauditi. Un fattore importante per l’accordo è stata la continua capacità degli Houthi, nonostante il costante bombardamento saudita, di lanciare missili che hanno colpito obiettivi chiave, molti dei quali legati alla produzione di petrolio, nell’Arabia Saudita orientale.
Gli strateghi americani di oggi dispongono di molti più strumenti e intelligence di quelli disponibili all’apice della guerra del Vietnam, ma i primi giorni di conflitto nel Mar Rosso hanno replicato l’esperienza dei sauditi. L’America e la Gran Bretagna attaccano gli obiettivi con missili e razzi calibrati con precisione, ma tutto ciò non serve a ridurre la capacità di attacco degli Houthi: il fenomeno Viet Cong.
Due punti sembrano chiari, anche in questa fase iniziale della nuova guerra di Biden: non ci sarà un’invasione di terra americana nello Yemen e nessuno alla Casa Bianca di Biden può essere sicuro di quali risultati otterrà l’attacco agli Houthi. Le principali compagnie di navigazione del mondo potrebbero decidere di evitare il rischio di un colpo diretto fatale, per quanto improbabile, e investire nei dieci giorni e nel carburante extra per evitare la scorciatoia del Mar Rosso. I costi, soprattutto in termini di prezzo a cascata sulla benzina qui in America, sono difficili da prevedere, ma qualsiasi balzo significativo di tale prezzo sarebbe un altro chiodo nella bara politica di Biden.
La settimana scorsa ho sollevato la questione delle possibilità politiche di Biden con un petroliere veterano, un vecchio amico che mi ha detto: “Non bisogna mai sottovalutare gli Houthi. Non temono la mancanza di rispetto”.
Quindi, cosa si può presumere con certezza che il Presidente sapesse della storia degli Houthi, immuni alle minacce e alle bombe, mentre approvava quella che potrebbe essere una guerra difficile e forse intrattabile con una setta religiosa fanatica? La risposta probabile è: non molto.
Il Presidente si rende conto che gli attacchi guidati dagli americani contro gli Houthi, anche se avranno successo, non cancelleranno il danno politico che sta subendo per il suo continuo sostegno a una guerra persa in Ucraina? Anche questo sembra improbabile. E ancora più significativa è la domanda se non si renda conto del costo, soprattutto in termini del voto dei giovani, della sua riluttanza a smettere di fornire armi a Israele e a chiedere un cessate il fuoco a Netanyahu, che ha proclamato che Israele continuerà la guerra finché tutti gli elementi di Hamas non saranno distrutti? Netanyahu è sostenuto in questa sua ostinata posizione dalla maggioranza della popolazione in Israele.
Biden può ritenere che la sua capacità di mantenere la rotta sia essenziale per vincere un secondo mandato, ma ci sono molte persone, molto coinvolte nella raccolta di fondi ad alto livello per i Democratici, che non sono d’accordo. Questi addetti ai lavori sanno che l’ex Presidente Barack Obama, che non ammetterà mai pubblicamente la portata della sua insoddisfazione, teme che le possibilità di vincere la corsa contro Trump stiano diminuendo a meno che non ci sia un cambiamento di strategia, a cominciare dal convincere Biden a rinunciare al controllo delle finanze della campagna. Questo è visto come un primo passo per prenderne il controllo – e forse convincere il presidente in carica a farsi da parte. Pagine Esteri
Link originale:
seymourhersh.substack.com/p/th…
*E’ un famoso giornalista investigativo americano, autore di 11 libri. Ha ottenuto il riconoscimento nel 1969 per aver denunciato il massacro di civili inermi a My Lai e il suo insabbiamento da parte degli Stati uniti durante la guerra del Vietnam. Per quella rivelazione ha ricevuto nel 1970 il Premio Pulitzer. Nel 2004, ha dettagliato torture e abusi compiuti dai militari Usa sui prigionieri ad Abu Ghraib in Iraq. Nel 2013 Hersh rivelò che le forze ribelli siriane, piuttosto che il governo, avevano attaccato i civili con gas sarin a Ghouta. Nel 2015 ha dato un resoconto alternativo del raid statunitense in Pakistan che uccise Osama bin Laden.
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L'Alleanza dei porti europei contro il traffico di cocaina
Di porti italiani e delle infiltrazioni della ciminalità avevamo parlato qui => noblogo.org/cooperazione-inter… .
Evidentemente non si tratta di un allarme solo nazionale, se - come racconta un articolo apparso sul sito Euractiv (in inglese, qui => euractiv.com/section/justice-h…) -, Il ministro dell'Interno belga Annelies Verlinden ha chiesto ai porti marittimi dell'UE di unirsi per combattere le tattiche innovative dei trafficanti di droga.
[Il Quartier generale del Porto di Anversa] 👇
L'Alleanza dei porti europei sarà lanciata il 24 gennaio, con l'inaugurazione che avrà luogo ad Anversa, la porta principale per il traffico di cocaina in Europa. Nonostante l’aumento dei controlli, i sequestri di cocaina ad Anversa ogni anno superano i record e la città è spesso colpita dalla violenza legata alle bande che combattono per il lucroso contrabbando. L’obiettivo dell’alleanza è quello di reprimere sia il contrabbando che l’infiltrazione nei porti da parte di reti criminali. È necessario il consenso del settore privato poiché le misure potrebbero avere un impatto sul commercio legale. La partnership mira ad armonizzare le misure di sicurezza, ridurre la capacità delle bande criminali di cercare porti con controlli più permissivi ed evitare che le società commerciali si trasferiscano verso porti con meno burocrazia e ritardi di sicurezza. L’alleanza mira inoltre a scansionare tutti i container provenienti da paesi a rischio, tra cui l’America Latina e l’Africa occidentale. Anche la comunicazione è fondamentale, poiché il Belgio ha avuto successo violando la rete di comunicazione crittografata Sky ECC nel 2021, conseguendo arresti e un processo per traffico di droga.
[Il ministro dell'interno italiano Piantedosi con l'omologa belga VerLinden]👇
Da rilevare che in Belgio la lotta contro il contrabbando (sopratutto di droga) nei porti, segnatamente quello di Anversa, è iniziata sin dallo scorso anno, quando e stato formato un corpo di sicurezza dedicato per combattere la criminalità organizzata nell'area portuale con 61 agenti di sicurezza.
Il nuovo Corpo di Sicurezza Portuale della Polizia Marittima fu lanciato nel maggio dello scorso anno, con un bando per 70 candidati agenti di sicurezza. Più di 400 candidati si erano candidati per le posizioni. Allo stesso tempo, altri 50 agenti di sicurezza della polizia federale sono stati temporaneamente messi a disposizione nel porto per garantire la presenza della polizia, che lavora a fianco delle unità cinofile della polizia federale. L'escalation di violenza aveva evidenziato l'urgente necessità di rafforzare le forze nel secondo porto più grande d'Europa (il più grande è Rotterdam).
[Immagine di reprtorio di un sequestro record di cocaina nel porto di Gioia Tauro]👇
Oltre alla creazione del Corpo di sicurezza portuale, la polizia marittima di Anversa è stata rafforzata in altri modi per un totale di 312 posizioni rispetto alle 100 che contava in precdenza l'Unità.
Un dipartimento investigativo criminale dedicato si occupa di ulteriori indagini per alleggerire la polizia giudiziaria federale di Anversa, mentre sarà istituita una cellula specializzata per la sicurezza marittima. Anche il numero di personale per le squadre di intervento, che operano sia a terra che in acqua – e per i controlli alle frontiere – è in corso di essere «significativamente aumentato nel tempo".
L’austerità fa un’altra vittima: attacco ai consultori l Coniare Rivolta
"Di fronte ad una macelleria sociale meticolosamente programmata per gli anni avvenire e scolpita nella pietra dal nuovo patto di stabilità europeo, un dettaglio rivela con chiarezza l’ipocrisia del mantra della scarsità delle risorse: le spese militari sono e saranno escluse nei prossimi anni dal computo dei limiti della spesa pubblica. Non la sanità, non l’ambiente, non i diritti delle donne, non l’istruzione, non il lavoro, ma le armi."
#laFLEalMassimo – Episodio 111: Innovazione e Concorrenza
In apertura ricordo sempre che una rubrica che parla di libertà non può ignorare come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia costituisca un’aggressione ai danni di un popolo sovrano e una minaccia per tutte le società aperte del mondo libero.
In questo episodio vorrei suggerire un collegamento tra gli interventi di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa San Paolo, intervenuto al Word Economic Forum di Davos e quello di Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia insediato da poco.
Entrambi si occupano dell’economia italiana e delle sfide che si trova a fronteggiare. Messina guarda della riduzione dei tassi di interesse che potrebbe tardare rispetto alle attese dei mercati, esprime fiducia della capacità del paese di resistere e indica come principale criticità la dimensione del debito pubblico, che andrebbe ridotto attraverso un piano di privatizzazioni (anche se questa parola tabù non viene pronunciata in modo esplicito. Panetta vede la crescita italiana sotto l’1% e suggerisce di rivedere il modello di sviluppo del paese anche attraverso il reshoring, cioè, riportando in Italia una parte delle produzioni attualmente localizzate all’estero e evidenziando anche le necessità di modernizzazione del paese.
Entrambi gli interventi denotano una visione dirigista e quasi presuppongono un ambiente chiuso e autoreferenziale, ignorando il convitato di pietra della concorrenza internazionale e degli incentivi alla libera circolazione delle persone e delle merci.
Non è la volontà di un funzionario o il dettato di una legge che può decidere dove andranno le imprese a produrre e quanto siano capaci gli individui di innovare. Questi risultatidipendono dalla combinazione di incentivi determinata dalle regole e dalle istituzioni del paese oltre che dalla concorrenza dei sistemi alternativi e degli operatori che vi risiedono.
L’Italia è oggi un sistema ostile al cambiamento e all’innovazione dal quale innovatori e risk taker espatriano e nel quale è sempre meno conveniente produrre, per modificare questo assetto è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale, posto che anche la classe dirigente comprende a fatica le trasformazioni in atto nel resto del mondo. Anche la riduzione del debito, sicuramente auspicabile, andrebbe realizzata trattando i risparmiatori italiani come interlocutori consapevoli e informati e non come il solito parco buoi al quale addossare i costi di un Gattoparto che cerca di cambiere tutto affinchè nulla cambi.
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RECENSIONE : MENGO T – CARTOLINE EP-TRULLETTO RECORDS
Capolavoro psichedelico di provincia, molti mondi in quattro canzoni, che si sentire e risentire, per tutti gli esploratori del mistero che non sono tornati per intero.
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RECENSIONE : ALESSANDRO ADELIO ROSSI – ÒPARE
Alessandro Adelio Rossi - Òpare: Un’esperienza sonica dove i sensi si perdono all’ interno di stanze vuote, messaggi provenienti da altre dimensioni ed altri universi
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RECENSIONE : JUNTA – JUNTA
RECENSIONE : JUNTA – JUNTA
Gli Junta sono un gruppo hc newyorchese molto solido e parecchio rumoroso, qui al debutto sulla lunga distanza con il disco omonimo che esce per la Sentient Ruin Laboratories.
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ContAbilità
Si faccia molta attenzione a giocare con i conti, altrimenti ci si ritrova come il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, a sostenere che il debito è una droga che rende schiavi, dopo che per anni il suo partito ha lasciato intendere che drogarsi di debito sia un atto di libertà. Ora non si lasci intendere che gli obbiettivi di crescita 2024, fissati nella legge di bilancio, sono difficilmente raggiungibili a causa delle guerre, perché non lo erano già quando sono stati scritti e far finta che non sia così porta male. L’abilità nel tenere i conti – in questo caso pubblici – consiste nella capacità di conciliare il possibile con il necessario. Se si usa l’abilità per lasciare intendere cose diverse dal reale poi si resta prigionieri del proprio stesso inganno, come capita con il debito.
La legge di bilancio è stata varata il 30 dicembre scorso. Nei venti giorni successivi, a parte l’anno, non è cambiato niente. Le guerre in corso sono le stesse, esattamente nella condizione che già descrivevamo. Basterà prendere i numeri de “La Ragione” e scoprire che già da novembre scrivevano dei terroristi yemeniti Houthi e dei loro attentati alla libera navigazione commerciale, eseguiti grazie a quattrini e armi forniti dall’Iran. La novità è la reazione occidentale, ma non è quella che cambia le carte dell’economia. Semmai, a proposito, è interessante vedere quanti – giustamente – si dolgono dei problemi a Bab el-Mandeb, ovvero le non casuali Porte del Lamento, ma molti di loro hanno passato anni a maledire la globalizzazione e l’arrivo di merci e semilavorati da Est. Avevano torto, si guardano dal dirlo – e passi – ma rinunciano anche a pensarci.
Quel 30 dicembre, inoltre, erano già conclamati la crisi tedesca e il loro bordeggiare la recessione. Crisi innescata dall’incepparsi di un modello energetico, ma anche da altre vulnerabilità. Eppure quanti oggi dicono che cresciamo meno perché la Germania tira di meno sono gli stessi che per anni hanno seminato veleno sui tedeschi e strillato che il loro governo non avrebbe dovuto aiutare le imprese. Forse la nostra convenienza era altra. Non è la prima volta che la Germania è il malato d’Europa e non sarà la prima volta che si riprenderà, ma sarebbe bello che non ci fosse una moltitudine pronta a dire una cosa e il suo contrario.
Infine, il 30 dicembre i tassi erano già saliti (pur rimanendo inferiori a quelli statunitensi o inglesi) e già si sapeva che il loro calo sarebbe stato possibile una volta assicuratisi che l’inflazione non uscisse fuori controllo, come era capitato. C’è da aggiungere che legare così direttamente il calo del debito e il quadrare dei conti al calo – futuro – dei tassi d’interesse è come dire di non avere alcun controllo dei propri conti, sperando che maree e correnti portino in qualche insenatura e non in mare aperto.
Sapevamo tutto, tanto che noi, sulla base dei dati che andavamo leggendo, potevamo qui scrivere: l’1,2% di crescita, nel 2024, non è realistico. Sicché i conti vanno aggiustati in modo che la conseguenza non sia una crescita – anziché la prevista diminuzione – del peso percentuale del debito sul Prodotto interno lordo.
Ora il ministro dell’Economia va a Davos e dice: «Se scoppia una guerra al mese sarà difficile» raggiungere quell’obiettivo. Nessuno può negargli l’abilità nel parlare politicamente dei conti, ma la contabilità sanno tenerla anche gli altri e se le acque continuano a essere calme è perché non c’è ragione di dubitare della copertura difensiva europea e perché Meloni e von der Leyen appaiono come coppia affiatata e dotata di futuro. Ma, ancora una volta: questo è l’opposto di quel che vuole una parte della maggioranza di governo, specie nel partito di Giorgetti.
Farebbero bene a trovare il tempo di occuparsene e risolvere, senza tirare in ballo le guerre. Anche per evitare che finisca come il ‘fine vita’, ove la pietà per la sofferenza non è riuscita a superare la voluttà d’usare il tema per colpire l’avversario interno. Al partito, naturalmente.
La Ragione
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Ministero dell'Istruzione
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Spesa e difesa
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VIDEO JENIN. Tra i detriti del campo profughi devastato dai raid israeliani
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Pagine Esteri, 20 gennaio 2024. Il campo profughi di Jenin è uno dei luoghi più emblematici del conflitto, della diaspora palestinese e dell’occupazione israeliana della Cisgiordania. I raid dell’esercito, già numerosi prima del 7 ottobre, sono diventati quotidiani dall’inizio della guerra di Gaza.
Quando i militari invadono il campo profughi con i mezzi corazzati e i cecchini, gli scontri a fuoco con i combattenti palestinesi arrivano a durare ore, o addirittura giorni. I cecchini israeliani si appostano sui tetti delle case e i bulldozer distruggono le strade, bucando l’asfalto fino a raggiungere la rete idrica, rendendola inservibile. Anche la rete elettrica viene danneggiata e le macerie vengono spostate dalle ruspe, fino a ostruire le strade e rendere impossibile il passaggio delle automobili e delle ambulanze.
Ma i raid e i razzi telecomandati non colpiscono solamente i combattenti palestinesi. Il 7 gennaio un drone ha ucciso 7 persone. Tra di esse 4 fratelli, Rami Darwish di 22 anni, Ahmed di 24, Hazza di 27, e Alaa di 29. Il servizio video da Jenin di Eliana Riva.
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🔴Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2024 l’Avviso di indagine conoscitiva in materia di webscraping.
👉Al via la possibilità di inviare osservazioni, commenti ed eventuali proposte operative
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Vi racconto il loschissimo Jet SR-71 Blackbird, incubo dei radar sovietici
Allacciate bene le cinture perché oggi si vola a più di tre volte la velocità del suono. Sì, avete capito bene, perché il Lockheed SR-71 “Blackbird” era in grado di viaggiare alla (folle) velocità di Mach 3.35 (circa di 3500 km/h) durante la missione! Sintesi di tutta la migliore tecnologia americana, l’SR-71 è stato l’incubo dei radaristi e delle batterie missilistiche sovietiche e non, che negli anni hanno sparato oltre 4000 missili senza mai abbatterlo, ed era così veloce che nessun aereo intercettore ebbe mai la possibilità di acciuffarlo. Ma andiamo con ordine e partiamo dalla storia di questo leggendario aereo.
LA GUERRA FREDDA
Come da tradizione, anche la storia del Blackbird è una storia di spie o, meglio, una storia per le spie perché SR-71 fu progettato e realizzato per operazioni di spionaggio aereo, ovvero ricognizioni aeree dei territori nemici, specialmente quelli dell’Unione Sovietica. Agli inizi della Guerra Fredda, infatti, la Cia era alla ricerca di un ricognitore strategico che fosse più veloce degli U-2 in servizio e che, inoltre, fosse “non individuabile” e “non abbattibile”.
IL PROGETTO ARCHANGEL
La Cia si rivolse quindi alla Lockheed che lanciò il Progetto Archangel guidato da Kelly Johnson, capo dell’unità Skunk Works, la divisione della Lockheed dedicata ai velivoli sperimentali. I vari prototipi degli aerei sviluppati vennero denominati con le sigle A-1, A-2, A-3 e così via fino al dodicesimo, l’A-12, che fu selezionato come definitivo e ne furono ordinati 12 modelli dando l’avvio al programma speciale per la produzione degli aerei-spia (Black Projects) denominato OXCART.
L’-A12
L’A-12 volò per la prima volta a Groom Lake, la celeberrima Area 51, il 25 aprile 1962 e divenne pienamente operativo nel novembre 1965. La prima operazione militare dell’A-12 fu la Black Shield svoltasi nel corso della guerra in Vietnam che consistette nel fotografare le postazioni missilistiche SAM nel Vietnam del Nord, da un’altezza di 24.000 m a Mach 3.1; in seguito, partecipò ad altre 21 operazioni militari, sempre nel corso del medesimo conflitto. Prestò servizio anche sui cieli della Corea del Nord in missioni destinate alla ricognizione delle forze armate del paese e fotografò anche la nave-spia USS Pueblo dopo la sua cattura da parte di navi nordcoreane, ma questa è un’altra storia.
SR – STRATEGIC RECONNAISSANCE
Gli ingegneri della Skunk Works avevano però ulteriormente sviluppato il progetto dell’A-12 ideando altre versioni: un ricognitore, un intercettore e un bombardiere. Le ultime due vennero scartate in fase di progettazione mentre la prima, la versione da ricognizione, venne messa in produzione con la sigla SR-71 dove SR stava per Strategic Reconnaissance.
IL LOSCHISSIMO SR-71 BLACKBIRD
Fu così che nacque l’SR-71 Blackbird, un aereo da ricognizione strategico ad altissima velocità, massima sintesi della tecnologia americana dell’epoca che volò per la prima volta il 22 dicembre 1964 a Palmdale, in California ed entrò in servizio nel gennaio 1966.
I PRIMORDI DELLA TECNOLOGIA STEALTH
Rispetto all’A-12, il Blackbird era più lungo di circa 180 cm e pesava 15.000 libbre in più a pieno carico ma soprattutto fu il primo ad essere progettato con criteri stealth: la forma dell’aereo fu infatti modificata per ridurre al minimo la riflessione radar, vennero studiati degli appositi materiali radar-assorbenti chiamati RAM e venne utilizzata per la prima volta una particolare vernice nera stealth, conosciuta come “Iron ball”, composta da microscopiche sferette rivestite di ferrite e carbonile di ferro, che assorbiva le onde radar.
UNA VIRATA PIU’ LARGA DELLO STATO DELL’OHIO
Spinto da due Pratt&Whitney J58-1, turboreattori convertibili in statoreattori, l’SR-71 era capace di superare Mach 3, cioè una velocità di 1.020 M/S: per intenderci a Mach 3.2, l’aereo era più veloce di un proiettile 30/06 sparato dal fucile M1 Garand della Seconda Guerra Mondiale, che aveva una velocità iniziale di 2.800 piedi al secondo, ed era talmente rapido che a quella velocità la sua virata in quota era più larga dello stato dell’Ohio.
IL TITANIO SOVIETICO
A oltre Mach 3 le superfici esterne dell’aereo raggiungevano temperature superiori ai 300°C e perciò gli ingegneri della Skunk decisero di utilizzare il titanio al posto dell’allumino per il rivestimento; ma c’era un problema: gli Stati Uniti non producevano il titanio e il primo produttore era niente po’ po’ di meno che l’Unione Sovietica! Entrò così di scena la CIA che creò una società di comodo in Europa per importarlo negli States…. ma anche questa, è un’altra storia.
RISCALDAVA ANCHE IL CIBO
Per resistere alle elevate temperature i finestrini del Blackbird furono realizzati con il quarzo perché il vetro comune a 300°C si sarebbe rotto; ma queste temperature così elevate furono, per certi versi, un beneficio per i piloti perché durante le missioni lunghe e faticose potevano riscaldare i loro pasti semplicemente appoggiando il cibo al finestrino!
… E PERDEVA ANCHE CARBURANTE!
Subito prima del decollo e dopo l’atterraggio del Blackbird si verificavano perdite di carburante, ma ciò era voluto: i serbatoi erano progettati per diventare stagni grazie alla dilatazione termica durante il volo ad alta velocità, evitando così la rottura dei serbatoi stessi. Per evitare che l’elevata temperatura dei pannelli esterni riscaldasse l’intero aereo, il carburante veniva pompato in intercapedini tra tali pannelli e la struttura dell’aereo, prima di essere mandato ai motori per essere bruciato, fungendo così da fluido refrigerante.
PNEUMATICI D’ARGENTO
Per resistere alla temperatura, la gomma degli pneumatici del carrello di atterraggio dell’SR-71 venne ricoperta con una vernice color argento composta da alluminio in polvere. L’aggiunta di alluminio allo pneumatico garantiva un punto di infiammabilità molto più elevato, aiutandolo a resistere all’elevato calore causato dall’attrito con il terreno durante l’atterraggio a velocità estreme. Ogni pneumatico costava $ 2.300 e durava per circa 15 atterraggi completi. Per rallentare ulteriormente l’atterraggio il Blackbird era dotato anche di un enorme paracadute di trascinamento.
LA POTENTISSIMA APPARECCHIATURA FOTOGRAFICA
Essendo un aereo da ricognizione con lo scopo di localizzare, identificare e fotografare bersagli come edifici militari, caserme, basi aeree, ecc. ecc, l’SR-71 fu dotato di un enorme set di telecamere, radar e altri sensori. Uno dei suoi straordinari sensori ottici era l’Optical Bar Camera (OBC), una fotocamera ad alta risoluzione, progettata per creare una mappatura continua di una striscia di terreno larga circa 120 km. Altro gioiellino installato sul Blackbird era la Technical Objective Camera (TEOC) un apparecchio fotografico ad altissima risoluzione, orientabile, in grado di scattare fotografie estremamente dettagliate del territorio sottostante.
HABU
Durante la sua carriera, la base operativa principale dell’SR-71 fu quella di Kadena, sull’isola di Okinawa in Giappone. Qui i cittadini nipponici, vedendo decollare e atterrare il Blackbird, iniziarono a chiamarlo “Habu”, perché il suo colore e le sue linee distintive ricordavano il velenosissimo serpente presente sull’isola.
I VOLI IN EUROPA
Le operazioni europee partivano invece dalla base della RAF di Mildenhall, Inghilterra e avevano due rotte: una era lungo la costa occidentale norvegese e lungo la penisola di Kola, dove erano situate diverse grandi basi navali della flotta settentrionale della Marina sovietica, l’altra sul Mar Baltico, che era conosciuta come “Baltic Express”, uno stretto tratto di spazio aereo internazionale vicino alla Svezia utile per raggiungere gli altri obiettivi in Unione Sovietica.
L’INCIDENTE SUL BALTICO
Il 29 giugno 1987 un SR-71, mentre era in missione, ebbe un’avaria proprio sulla Baltic Express. Il pilota, per evitare di essere intercettato dai sovietici, virò verso lo spazio aereo della Svezia dove venne raggiunto da due aerei JA 37 Viggen svedesi allertati dal loro controllo radar. I Viggen volarono accanto al Blackbird e osservarono che uno degli enormi motori a reazione dell’SR-71 era esploso durante il volo, inficiandone la sua capacità operativa. Arrivarono però anche dei Mig-25 sovietici con l’ordine di abbatterlo o di costringerlo all’atterraggio, ma i Viggen svedesi formarono una scorta per difendere l’SR-71 che atterrò sano e salvo nella Germania occidentale dove fu poi recuperato dall’aeronautica americana.
RECORD DEI RECORD
Nel corso della loro carriera operativa, i 32 esemplari costruiti entrarono più volte nel Guinness dei Primati, stabilendo un’ampia serie di record ancora oggi rimasti imbattuti: massima quota di tangenza in volo sostenuto (26.000 m) e massima velocità di volo raggiunta (3.529 km/h). A questi vanno aggiunti altri record di velocità su alcune tratte, fra cui quello stabilito dal Maggiore dell’aeronautica statunitense James V. Sullivan e il Maggiore Noel F. Widdifield: i due nel 1974 riuscirono a coprire in 1 ora 54 min 56 secondi la rotta fra New York e Londra, stabilendo il record per il volo più veloce sull’Atlantico. La velocità media lungo il percorso di 5.570,80 km fu di 2.908,02 km/h.
IL RITIRO
Troppo costoso da mantenere l’SR-71 fu ritirato dall’aeronautica militare dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Il 6 marzo 1990 un Blackbird, prima del suo trasferimento al National Air and Space Museum dello Smithsonian Institution nei pressi dell’Aeroporto Internazionale di Washington-Dulles, stabilì gli ultimi record: da West Coast ad East Coast – Distanza: 3.869 km, Tempo: 1h07’53,69″, Velocità media: 3.417 km/h (Mach 2,8); Da S. Louis a Cincinnati – Distanza: 500 km, Tempo: 8’31,97″, Velocità Media: 3.524 km/h (Mach 2,9); Da Kansas City a Washington D.C. – Distanza: 1.516 km, Tempo: 25’58,53″, Velocità Media: 3.501 km/h (Mach 2,93). Altri SR-71 dismessi sono custoditi all’interno di alcuni musei dell’aviazione negli Stati Uniti mentre un A-12 è esposto sull’USS Intrepid, oggi sede dell’Intrepid Sea-Air-Space Museum, ormeggiata a Manhattan.
L’SR-72 “IL FIGLIO DEL BLACKBIRD”
Nel 2013 la Lockheed Martin ha annunciato il successore dell’SR-71: il Blackbird SR-72, denominato “Son of Blackbird”, un UAV ipersonico progettato per l’intelligence, la sorveglianza e la ricognizione. Sebbene l’SR-72 sia ancora in fase di sviluppo, l’azienda ha dichiarato che un prototipo potrebbe volare già nel 2025 ed entrare in servizio nel 2030. Il velivolo potrà lanciare missili ipersonici e sarà dotato di un sistema di propulsione in grado di far decollare il jet da fermo a Mach 6; ciò renderebbe il “Figlio del Blackbird” circa due volte più veloce del precedente.
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CORRUZIONE: UN MALE GLOBALE. L’ASPETTO DELLA RIPARAZIONE DEI DANNI ALLE VITTIME
È innegabile che la corruzione abbia conseguenze negative per le persone. Sebbene la comunità internazionale nel suo insieme si concentri da tempo sul perseguimento e sulla confisca dei proventi di reato, la riparazione dei danni esiste come principio generale di diritto in tutti gli ordinamenti giuridici.
Sia negli ordinamenti di common law che di civil law, si riconosce la riparazione di un danno originato da una condotta illecita, al fine di ristabilire la situazione che sarebbe esistita se il danno non si fosse verificato. Mentre la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC) impone agli Stati parti di adottare misure per garantire la legittimazione ad agire a “entità o persone che hanno subito danni a causa di un atto di corruzione”, la riparazione dei danni alle vittime della corruzione viene spesso trascurata.
L’argomento è oggetto della pubblicazione “Victims of Corruption - Back for Payback”, rilasciata nel dicembre scorso, curata da Felipe Freitas Falconi, José Ugaz, Juanita Olaya Garcia e Yara Esquivel Soto, per la Banca Mondiale (International Bank for Reconstruction and Development / The World Bank) e UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), l’Agenzia delle Nazioni Unite per la lotta alla droga ed al crimine organizzato.
Trascurare la riparazione del danno dovuto a corruzione rappresenta una lacuna sostanziale nell’applicazione dei principi giuridici internazionali e, cosa ancora più importante, solleva la questione se la giustizia operi efficacemente. Per rispondere a questa domanda la pubblicazione ha analizzato le risposte ricevute da 56 giurisdizioni in riscontro a due questionari riguardanti la legislazione dei paesi e la loro attuazione.
L'indagine è stata condotta dall'UNODC e dal Comitato per il recupero dei beni dell'International Bar Association. L’analisi si è basata anche sulla ricerca esistente relativa al recupero dei danni per corruzione e sulla letteratura di diritto comparato su atti illeciti, responsabilità civile e procedure penali, nonché sui risultati delle revisioni nazionali dell’UNCAC condotte nell’ambito del suo meccanismo di revisione dell’implementazione.
Questa pubblicazione si concentra sulle questioni relative al risarcimento relative a casi di grande corruzione. Le ingenti somme coinvolte in tali casi, nonché la loro complessità, fanno sì che la possibilità di recupero in tali casi meriti un'attenzione particolare. Inoltre, questa pubblicazione si concentra sulle vie legali esistenti.
Può in sintesi affermarsi che la corruzione è un problema significativo che ha un impatto sulle comunità, sull’economia globale e sui diritti umani. Scoraggia le opportunità di business, ostacola gli aiuti e gli investimenti esteri ed esacerba la disuguaglianza. Vittimizza gli individui più vulnerabili ed emarginati della società, riducendo le loro possibilità di superare la povertà e l’esclusione. La corruzione costa vite nel settore edile e nel settore sanitario, e il disinvestimento di fondi pubblici porta a una diminuzione della spesa per i servizi pubblici. Quando commessi da gruppi criminali collegati ad attori influenti, gli eventi corruttivi aumentano il rischio di instabilità e violenza, costituendo una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha riconosciuto la relazione tra corruzione e diritti umani, ma il costo della corruzione è difficile da misurare e quantificare.
Il risarcimento dei danni da corruzione può essere fondato su due regimi concettuali distinti: il "regime anticorruzione" e la legge sui diritti umani. Entrambi i regimi si fondano sullo stato di diritto, garantendo che tutte le persone e le autorità all’interno dello Stato siano vincolate e abbiano diritto al beneficio delle leggi pubblicamente e potenzialmente promulgate.
Questa pubblicazione mira a fornire quindi una panoramica del quadro giuridico internazionale esistente e ad avviare il dibattito su questioni importanti, quali sono le vie di riparazione, chi sono le vittime, come definire la loro posizione legale e come stabilire i danni. In tal modo, la pubblicazione individua una serie di misure da esplorare per promuovere adeguatamente la riparazione delle vittime della corruzione.
La pubblicazione (in inglese) è scaricabile qui => star.worldbank.org/sites/defau…
Il giorno in cui la mia mente è diventata open source
Ripubblico qui su Friendica una vecchia traduzione dell'articolo "Il giorno in cui la mia mente è diventata open source" di Phil Shapiro
Qui il testo originale: opensource.com/life/12/4/day-m…, distribuito con licenza Creative Commons by-sa
Avevo letto l'articolo per la prima volta su Framablog nella traduzione francese di Alexis Kauffmann
Buona lettura 😀
Ricordo chiaramente il giorno esatto in cui la mia mente è diventata open source. Era una giornata fresca e soleggiata del novembre 1973. Dopo le lezioni alla scuola media, ho chiamato il mio migliore amico, Bruce Jordan e gli ho chiesto: “Posso venire a giocare adesso?” Bruce ha risposto: “Certo.” Sono saltato sulla mia bicicletta Schwinn, rossa e senza cambio e ho pedalato come un matto per tre chilometri fino alla casa di Bruce. Sono arrivato senza fiato, ma felice.
Era divertente giocare con Bruce, perché lui stava sempre inventando nuovi giochi da giocare sia all'interno che all'esterno. Non c'è mai stato un momento di noia a casa di Bruce. Così, quando quel giorno ci siamo seduti per giocare a Scarabeo, Bruce ha proposto spontaneamente: “Prendiamo ciascuno 10 lettere invece di 7, questo migliorerà molto il gioco». Ho protestato, "Ma le regole sulla scatola del gioco dicono che puoi prendere solo 7 lettere.”
Bruce subito ha risposto: “Quelle stampate sulla scatola non sono regole. Quelle sono regole suggerite. Tu ed io siamo liberi di migliorarle”. Ero un po’ stupito. Non avevo mai sentito prima un’ idea simile. “Ma le regole sulla scatola non sono scritte da adulti che sono molto più intelligenti di noi?” ho protestato.
Bruce mi ha spiegato con disinvoltura: “Le persone che hanno inventato questo gioco non sono più intelligente di me e di te, anche se sono adulti. Siamo in grado di creare per questo gioco regole migliori delle loro. Regole molto migliori”.
Ero ancora un po' scettico, fino a quando Bruce ha detto: “Senti, se questo gioco nei primi cinque minuti non è molto più divertente, torneremo a giocare il gioco con le regole della scatola.” Che mi sembrava un modo intelligente di procedere.
E in effetti, le regole di Bruce per Scarabeo hanno reso il gioco molto più divertente da giocare.
A metà, non ho potuto fare a meno di chiedergli: “Se le regole per Scarabeo possono essere migliorate, si possono migliorare anche le regole degli altri giochi?”
Bruce ha risposto: “Le regole di tutti i giochi possono essere migliorate. Non solo, tutto ciò che vedi nel mondo intorno a te, progettato dalla mente umana, tutto può essere migliorato. Tutto si può migliorare.”
Ascoltando queste parole, un fulmine mi ha attraversato la mente. In pochi secondi, la mia mente è diventata open source. In quel momento preciso ho saputo qual era lo scopo della mia vita e il mio destino: cercare intorno a me le cose che potevano essere migliorate, e quindi migliorarle.
Quando quella sera sono montato sulla mia bicicletta Schwinn per tornare a casa, la mia mente era intossicata da idee e possibilità. Avevo imparato più da Bruce Jordan in quel giorno di quanto avessi imparato in un intero anno di scuola. Venticinque anni prima che la frase “open source” venisse coniata, Bruce Jordan aveva reso open source la mia mente. Gli sarò sempre grato per questo.
Tornando a casa quella sera, ho deciso che nella mia vita avrei rivolto le mie energie ad ampliare le opportunità di apprendimento al di fuori della scuola, perché a volte l'apprendimento e le realizzazioni più significative avvengono al di fuori delle mura scolastiche. Oggi lavoro in una biblioteca pubblica nella zona di Washington DC e ogni giorno parlo con gli studenti delle scuole elementari e medie che si fermano per dire ciao. Ogni tanto incontro studenti la cui mente è ricettiva alle grandi idee. Quando succede, pianto dei piccoli semi nelle loro menti e li mando per la loro strada. Spetta a loro coltivare quei semi. Il mio ruolo è quello di piantare dei semi di idee nelle loro menti. Il loro ruolo è quello di osservare quei semi germogliare e scegliere se annaffiarli o no.
Ho imparato un'altra lezione importante da Bruce Jordan. Nello stesso anno, mi ha chiesto se volevo giocare a frisbee baseball. “Che cos'è il frisbee baseball?” ho chiesto incuriosito. Bruce mi ha risposto: “Non lo so, ma sembra un gran bel gioco. Creeremo le regole mentre andiamo verso il campo da baseball.”
In effetti, Bruce ha inventato le regole per il frisbee baseball mentre camminavamo lungo l'isolato che ci separava dal campo da baseball. E abbiamo giocato la partita con grande gioia fino a quando si riusciva a malapena a vedere il frisbee nel cielo serale. Quello che ho imparato da Bruce quel giorno è di non avere paura di andare avanti quando il tuo istinto ti dice che troverai delle cose buone che ti aspettano. Bruce era assolutamente sicuro che ci saremmo divertiti moltissimo a giocare a frisbee baseball. Ed è stato proprio così.
L'open source è un movimento per il software, ma è anche molto di più di questo. E’ un modo ottimista di guardare ad ogni oggetto e idea costruiti dall'uomo. Tutto può essere migliorato da cima a fondo. Tutto quello che serve è un po’ di creatività e la volontà di applicare la nostra mente al compito.
Vogliamo provarci? Le regole originali di ogni gioco sono stampate sulla scatola, ma queste regole sono solo dei suggerimenti. Sono migliorabili e devono essere migliorate per quanto possibile.
#OpenSource #giochi #apprendimento
@macfranc @Alexis Kauffmann @scuola@a.gup.pe
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Proposta di riforma per la privacy e la ricerca scientifica – Tavolo Salute di State of Privacy
Dal Tavolo Salute di “State of Privacy”, sono emerse le seguenti 3 sfide e 3 azioni correlate:
Proposta di riforma per la privacy e la ricerca scientifica - Tavolo Salute di State of Privacy
PROPOSTA DI MODIFICA LEGISLATIVA IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI RELATIVI ALLA SALUTE E RICERCA SCIENTIFICA OSSERVAZIONALE RETROSPETTIVA IN AMBITO MEDICO, BIOMEDICO ED EPIDEMIOLOGICO: EMENDAMENTO ALL'ART.Istituto Italiano Privacy
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Ministero dell'Istruzione
#NoiSiamoLeScuole questa settimana è dedicato al plesso scolastico “Giovanni Modugno” dell’I.C. “Rita Levi Montalcini” di Bitritto (BA) e al plesso “Giovanni XXIII” della Scuola secondaria di I grado “Cotugno-Carducci-Giovanni XXIII” di Ruvo di Pugli…Telegram
Come corre (finalmente) l’industria della difesa europea
“A marzo la Commissione presenterà una strategia per l’industria della difesa”. L’annuncio della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, da Stoccolma, si inserisce all’interno di un moto riformatore che, seppure in ritardo, ha preso avvio all’interno delle consapevolezze europee. La concomitanza di eventi esterni di un certo peso, come le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, può fungere da acceleratore di un’esigenza che è presente ormai da tempo e che non è più ulteriormente procrastinabile, anche in considerazione del fatto che l’elemento della pace si è andato assottigliando sempre di più, sia ai nostri confini meridionali che orientali dell’Ue.
Perché più difesa
Già la bozza dedicata alla sicurezza e alla difesa nelle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso dicembre aveva previsto un quadro normativo per il settore industriale della difesa europea. L’obiettivo è coordinare gli acquisti congiunti e aumentare l’interoperabilità e la capacità produttiva dell’industria europea della difesa.
Non solo Gaza o Kyiv, anche l’emergenza legata agli attacchi dei ribelli houthi influisce su tale esigenza. Lo ha sottolineato qualche giorno fa il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani al question time sul tema della libertà di navigazione sul Mar Rosso, a proposito di “una minaccia alle porte di casa che ci ricorda che per giocare un ruolo più decisivo dobbiamo dotarci in prospettiva di una autentica difesa comune europea”.
Tesi che si ritrova nelle parole che l’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, ha affidato pochi giorni fa al Ft quando ha spiegato che l’Unione Europea deve semplificare l’industria della difesa poiché attualmente “è ostacolata dalla concentrazione degli Stati membri sulle proprie industrie nazionali”. Secondo l’ex ministro la guerra in Ucraina “ha funzionato come un campanello d’allarme per l’industria europea”.
Pesco
La cooperazione strutturata permanente chiamata Pesco (Permanent Structured cooperation) è nata nel 2017 ed è stata basata su progetti di collaborazione con impegni vincolanti: prevede infatti squadre di risposta rapida, un sistema di sorveglianza marittima, un comando medico europeo, l’assistenza reciproca nella cyber-sicurezza e una scuola di intelligence europea. Il consiglio affari generali dello scorso autunno ha approvato le direttrici di marcia per affrontare i nuovi dossier alla voce difesa, comprese le minacce per la sicurezza marittima, tramite un’azione di interoperabilità Ue sommata ad una maggiore cooperazione con Nato.
Mossa che, dal punto di vista politico, ha inteso anche lanciare un forte messaggio all’esterno, ovvero a big players che operano nei suddetti teatri di guerra. Particolare attenzione verrà dedicata alla difesa navale tramite “lo sviluppo delle capacità civili e militari nel campo della sicurezza marittima, coinvolgendo l’industria, se del caso”.
Come acquistare
Il nodo, in secondo luogo, verte il modo con cui procedere agli acquisti. Una strada è stata indicata dal presidente francese, Emmanuel Macron, che due giorni fa si è detto favorevole a nuovo debito comune europeo per finanziare la difesa. In sostanza ha proposto la soluzione degli eurobond basati su priorità industriali, come appunto la difesa.
Lo scorso settembre inoltre il Parlamento europeo aveva approvato in via definitiva la legge sul rafforzamento dell’industria europea della difesa attraverso appalti comuni (Edirpa). Si tratta di un regolamento, già concordato con il Consiglio il 27 giugno 2023, che dà vita ad un braccio operativo europeo da 300 milioni che sostenga in concreto l’industria europea della difesa tramite appalti comuni. Vi sono alcuni parametri da rispettare: il costo dei componenti Ue o dai Paesi associati non deve essere inferiore al 65% del valore del prodotto finale. In secondo luogo appaltatori e subappaltatori non devono essere soggetti al controllo di un paese terzo o di un’entità non associata, ma devono essere in Ue o in un Paese associato.
Steadfast Defender è la più grande esercitazione Nato dalla Guerra Fredda. Ecco i dettagli
Nei prossimi mesi avrà luogo la più grande esercitazione mai realizzata dall’Alleanza Atlantica sin dalla fine della guerra fredda. I numeri parlano chiaro: nell’edizione 2024 di Steadfast Defender sarà ancora più grande di quanto preventivato nei mesi scorsi. Nelle fasi iniziali di pianificazione di quest’operazione simulata si parlava di circa 40.000 soldati; oggi il numero è più che raddoppiato, con il previsto coinvolgimento nelle manovre militari di oltre 90.000 uomini provenienti da tutti i Paesi membri dell’Alleanza, più la Svezia. Accanto a questi saranno coinvolte più di 50 navi, dalle portaerei ai cacciatorpedinieri, più di 80 jet da combattimento, elicotteri e droni, e almeno 1.100 veicoli da combattimento, tra cui 133 carri armati e 533 veicoli da combattimento di fanteria. L’ultima esercitazione di dimensioni simili è stata Reforger nel 1988, con 125.000 partecipanti.
Ad annunciare le nuove cifre è stato Cristopher Cavoli, il Supreme Allied Commander Europe (Saceur, il più alto grado militare del sistema di difesa integrato dell’Allenza Atlantica), durante una conferenza pubblica svoltasi pochi giorni fa in occasione dell’avvio dell’esercitazione, prevista per la prossima settimana. Con essa “la Nato dimostrerà la propria capacità di difesa dello spazio euro-atlantico in caso di minaccia militare, trasferendo truppe dagli Stati Uniti in direzione dell’Europa. Una chiara dimostrazione della nostra unità, della nostra forza e della nostra determinazione a proteggerci reciprocamente, a proteggere i nostri valori e l’ordine internazionale basato sul diritto” ha affermato il militare statunitense.
Cavoli ha anche annunciato che la Allied Reaction Force, la neo-istituita forza multinazionale e multidominio che fornisce ulteriori opzioni per rispondere rapidamente alle minacce e alle crisi in tutte le direzioni in tutto il territorio dell’Alleanza, si appoggerà al comando italiano del Nato Rapid Deployment Corps.
Gli alleati hanno approvato i piani regionali al vertice di Vilnius del 2023, ponendo fine a una lunga era in cui l’Alleanza non aveva percepito la necessità di piani di difesa su larga scala, poiché i Paesi occidentali erano impegnati in altri tipi di conflitti come quelli in Afghanistan e Iraq, e non vedevano la Russia post-sovietica non rappresentasse più una minaccia esistenziale.
Durante la seconda parte di Steadfast Defender, un’attenzione particolare sarà rivolta al dispiegamento della forza di reazione rapida della Nato sul fianco orientale dell’alleanza, e in particolare nei territori di Polonia e Stati Baltici, considerati più a rischio di un potenziale attacco russo. Altri territori su cui sarà posto il focus sono la Germania (come centro di smistamento dei rinforzi in arrivo) e i Paesi siti ai margini dell’alleanza, come Romania e Norvegia.
Norvegia che sarà invece, assieme a Finlandia e Svezia, uno dei teatri principali di Nordic Response, la seconda esercitazione Nato prevista per quest’anno. All’esercitazione, conosciuta come Cold Response fino allo scorso anno, parteciperanno più di 20.000 truppe della Nato provenienti da 14 diversi Paesi membri, accompagnate da 50 navi da guerra, sottomarini e altre imbarcazioni e più di 110 jet da combattimento, elicotteri e altri aerei. Nordic Response darà agli alleati l’opportunità di imparare a operare in questo ambiente vasto e complicato, di testare nuovi equipaggiamenti e tattiche e, infine, di prepararsi a lavorare e combattere senza problemi l’uno accanto all’altro.
Il nuovo reato di non-violenza
Nella sua foia legiferante e nella sua irresistibile produzione di nuovi reati (in termini sofisticati: panpenalismo), il governo Meloni ha raggiunto un altro primato. Tra le quindici inedite fattispecie penali introdotte o in via di introduzione c’è una norma che, secondo il giurista Paolo Borgna, non ha precedenti nei codici degli stati democratici. È quella prevista dall ’art. 18 del disegno di legge in materia di sicurezza, approvato dal Consiglio dei Ministri qualche settimana fa. Quell’articolo intende punire gli atti di «resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti», commessi da detenuti.
Si consideri quel «anche passiva». Ciò significa, a esempio, che un recluso sollecitato a consumare il pasto, se si rifiutasse di farlo, sarebbe sanzionato, e pesantemente. È una disposizione davvero inquietante: innanzitutto perché pretende di interferire con la sfera più intima dell’individuo. Quella, cioè, dove vengono assunte le decisioni più delicate, dove si esercita il libero arbitrio, dove si sceglie di obbedire o dissentire, di accettare o rifiutare, di conformarsi o astenersi. Ovvero qualcosa che appartiene ai fondamenti stessi della personalità umana.
C’è, poi, un’altra ragione che rende odiosa quella norma: nel faticosissimo e impervio processo di emancipazione dalla mentalità delinquenziale la «resistenza anche passiva» — ovvero la rinuncia alla violenza — rappresenta, per il detenuto, una tappa fondamentale della presa di coscienza e dell’integrazione in un sistema di relazioni sociali non criminali.
Di conseguenza, il recluso che si astiene dal cibo o che non si reca in cortile per l’ora d’aria può essere sanzionato penalmente e, così, ricacciato indietro, in una dimensione dove la sola risorsa per affermare i propri diritti apparirà il ricorso alla forza. Contro altri o contro sé stessi. Nel 2023 i suicidi sono stati 68, l’anno precedente 84. Nel corso dei primi diciotto giorni del 2024 già 7 detenuti si sono tolti la vita e un altro è deceduto a seguito di uno sciopero della fame.
La vicenda più tragica — semmai fosse possibile una gerarchia dell’orrore — è quella di Matteo Concetti, uccisosi mentre si trovava in una cella di isolamento del carcere di Ancona Montacuto: e appena poche ore dopo che i suoi familiari si erano rivolti a tutte le autorità e a tutte le istituzioni che un genitore può immaginare di sensibilizzare per salvare la vita di un figlio.
Concetti, 23 anni, aveva un disturbo bipolare e un sofferto passato di borderline, tra microcriminalità e dipendenze, tra ricoveri e comunità. Avrebbe dovuto scontare ancora otto mesi e, dopo un periodo in regime di detenzione domiciliare, era stato riportato in cella a causa del ritardo di un’ora nel ritorno alla propria abitazione.
Leggete l’intervista rilasciata dalla madre di Concetti, Roberta Faraglia, ad Alessandra Ziniti su queste pagine. È un eccezionale documento di amore genitoriale e, allo stesso tempo, di dignità umana e di intransigente coscienza civile. Vi si trova un dolore immenso e un rigoroso atto di accusa contro il sistema penitenziario e la sua natura patogena e letale. Un luogo insensato e mortifero.
Dice la madre di Concetti che, nell’incontro precedente di poche ore la sua morte, il giovane dichiarava di essere stato «picchiato da un agente mentre altri due lo tenevano fermo» e che «non gli davano le sue medicine». Tra sopraffazione e incuria «hanno lasciato che si suicidasse».
Nel novembre scorso, nel carcere di Sanremo, Alberto Scagni, paziente psichiatrico, subì violenze per ore a opera dei compagni di cella. Ancora incuria e gestione disastrosa della componente più vulnerabile della popolazione detenuta. Una quota di reclusi che costituisce quasi il 10 percento deltotale. E che risulta pressoché priva di adeguate terapie e di una sufficiente assistenza. Secondo l’associazione Antigone, nel complesso delle carceri italiane, le ore di sostegno psichiatrico sono circa dieci a settimana per ogni cento detenuti, e diciotto quelle per il supporto psicologico.
Il quadro generale dice questo: il 42,4 percento dei reclusi consuma psicofarmaci e in particolare sedativi e, secondo la rivista «Altreconomia», la spesa complessiva relativa a tali trattamenti supera i due milioni di euro per anno. Questo mentre la popolazione detenuta, dopo un breve periodo di contenimento, ha ripreso a crescere e ha superato ormai le 60.000 unità, a fronte di una capienza regolamentare di 51.249 posti e di una capienza effettiva poco superiore ai 47.000.
Sono numeri che certificano inequivocabilmente il collasso del sistema, ma nessuno sembra curarsene.
In altre parole il circuito penitenziario sembra non avere più scampo e la sua irreversibile rovina è tra i fattori più importanti della crisi dei nostri sistemi di sicurezza collettiva. Una cosa è certa: non saranno i nuovi reati di «incendio boschivo» e di «deturpamento e imbrattamento» di muri a salvarci.
L'articolo Il nuovo reato di non-violenza proviene da Fondazione Luigi Einaudi.
Nasce STEREO, l'istanza Funkwhale di Kenobit
Oggi lanciamo ufficialmente STEREO, un'istanza #funkwhale per l'underground italiano (e non solo).Ho preparato delle slide per comunicarlo su Instagram, ma le pubblico anche qui perché il messaggio è quello.
STEREO è nostro. È appena nato ma abbiamo una marea di dischi da caricare, proposti da amicǝ, alleatǝ e in generale gente che si è stufata di regalare bellezza a Spotify.
Provatelo!
STEREO.KENOBIT.IT
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@Ryoma123 se ci sono problemi con l'invio delle mail, prova a contattare direttamente @:fedora: filippodb :cc: :gnu:
@Aldo
Ministero dell'Istruzione
📣 #IscrizioniOnline: importante successo della Piattaforma #Unica. Le domande inserite sul portale, alle 8 di questa mattina, sono state oltre 231.000.Telegram
Export della difesa. Oltre l’ideologia, serve una riflessione politica. L’opinione del gen. Tricarico
Non stupisce che Vignarca e company, un sodalizio di associazioni pacifiste più rumoroso che folto, continui con il fuoco di sbarramento sulla legge 185/90 e sulle iniziative parlamentari volte ad avviare una serie di miglioramenti all’attuale disposto di legge. Fanno semplicemente il loro lavoro.
Quello che stupisce è che sull’argomento non ci sia dibattito pubblico, né tanto meno consapevolezza e quindi cultura, con il risultato che le tesi a volte esclusivamente ideologiche di Vignarca e seguaci divengano la narrativa dominante e acquisiscano proseliti a non finire a cominciare dal mondo politico, stranamente collocato per l’occasione in un campo largo.
Nello specifico, l’impegno del momento dei paladini della pace a prescindere e senza condizioni, è quello di aprire un robusto fuoco di sbarramento sulle attività parlamentari ergendosi ad istituzione dello Stato, a partito politico di opposizione, quasi che le piazze non siano più il loro unico e naturale ambiente. “Impugneremo il testo di legge, se questa formulazione verrà confermata fino alla fine” confida Vignarca ad Avvenire.it del 18 gennaio. Impugneremo?Dove, e con quale potestà?
I temi del dibattere riguardano in particolare la reintroduzione del Cisd (Comitato interministeriale per lo scambio di armamenti per la Difesa) nel processo decisionale sull’autorizzazione delle operazioni commerciali di esportazione ed il ruolo degli istituti bancari nel finanziamento di dette attività.
Nel primo caso chiunque, con un minimo di senso dello Stato o, in assenza di questo, con un minimo di raziocinio, plaudirebbe al fatto che le decisioni finali circa una attività di esportazione di materiali della Difesa siano allocate presso un consesso di Ministri di rango sotto la guida del vertice di governo, anziché nell’ufficio di un funzionario della Farnesina di medio livello cui le pressioni politiche, mediatiche o appunto del pacifismo, finiscono per inibire le capacità di discernimento e decisione.
E se non ci vuole molto a capire questo primo punto, ancora più agevole risulta la comprensione del secondo.
Agli inizi del 2000, tre istituti bancari decisero di sospendere le operazioni di finanziamento delle esportazioni di armamento.
A nulla valsero, in una apposita riunione convocata a Palazzo Chigi, cui parteciparono presidente e direttore generale di Abi di allora, Sella e Zadra, le argomentazioni volte a far recedere gli istituti bancari dalla decisione, che tra l’altro riguardava attività perfettamente allineate al disposto di una legge italiana, appunto la 185/90.
A nulla valse soprattutto l’avvertimento che così facendo le banche, ed il movimento pacifista dietro di loro, avrebbero realizzato una perfetta eterogenesi dei fini. Infatti, venendo a mancare le informazioni sui finanziamenti da parte di queste banche e non essendo gli istituti stranieri cui le società esportatrici si sarebbero rivolte tenute a relazionare il governo italiano, la Relazione annuale del governo al Parlamento sarebbe risultata monca di un allegato importante, quello delle operazioni bancarie degli istituti obiettori, e quindi l’intera attività avrebbe perduto un importante dato di controllo. E di trasparenza nella percezione pacifista.
Di fatto, non solo i tre istituti non recedettero dalla loro decisione, ma il fenomeno che poi prese il nome di “banche armate”, si estese considerevolmente fino ad oggi in cui Vignarca e company lamentano la possibile omissione dell’indicazione degli istituti bancari nella Relazione Annuale.
Chi è causa del suo mal pianga sé stesso verrebbe da dire.
In conclusione, sarebbe giunto il momento per il nostro Paese di avviare, dopo queste prime schermaglie, una revisione seria della 185/90, una revisione che tenga conto della vera rivoluzione occorsa dal 1990 ad oggi nelle relazioni internazionali e negli equilibri geopolitici, una revisione che possa contare su un riequilibrio delle parti in causa nei processi autorizzativi, in cui la politica si riappropri delle sue prerogative rioccupando gli spazi che per troppi anni ha lasciato al movimentismo, anche per questo divenuto un fattore serio di inibizione della volontà dello Stato e della tutela dei suoi interessi.
Il puzzle Africa nella "guerra mondiale a pezzetti" l L'Antidiplomatico
"Se ci si sforza di osservare con più attenzione provando a capire chi si muove dietro le quinte, ci si rende conto che in tutte le aree di grande crisi le grandi potenze giocano una partita senza esclusione di colpi e senza lesinare uomini e mezzi. L'Africa, dunque, come un campo di battaglia silenzioso (anche a causa dell'indifferenza dei nostri mass media) ma non per questo meno insanguinato e meno pericoloso di altri teatri bellici. Un continente ancora una volta piegato ai giochi di potere di altre capitali che sono pronte a sacrificare l'ancora fragile sviluppo di questa area del mondo."
sergiej
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