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Ecco finalmente il gruppo social per vendere, comprare e scambiare nel fediverso

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Prodotti da fumo, l’approccio liberale dell’Italia. In Senato presentato lo studio della Fondazione Luigi Einaudi


In merito ai prodotti da fumo l’Italia ha un approccio insolitamente liberale, che coincide con l’orientamento della maggioranza dei cittadini e consente di tutelare al meglio la salute pubblica. È quanto emerge dallo studio della Fondazione Luigi Einaudi

In merito ai prodotti da fumo l’Italia ha un approccio insolitamente liberale, che coincide con l’orientamento della maggioranza dei cittadini e consente di tutelare al meglio la salute pubblica. È quanto emerge dallo studio della Fondazione Luigi Einaudi, “Prodotti innovativi del tabacco e della nicotina: approcci normativi a confronto”, presentato questo pomeriggio in Senato. Un lavoro svolto in collaborazione con Euromedia Research, che ha condotto un’indagine demoscopica sul tema, realizzata con il contributo di Philip Morris Italia. Presentata da Alessandra Ghisleri, l’indagine rivela che la maggioranza dei rispondenti – fumatori e utilizzatori di prodotti senza combustione, quali tabacco riscaldato e sigarette elettroniche (e-cig) – condivide l’adozione, da parte delle istituzioni italiane, di misure che favoriscano l’abbandono delle sigarette tradizionali anche attraverso l’uso di prodotti innovativi. Orientamento questo confermato da oltre il 67% di coloro che utilizzano prodotti a tabacco riscaldato ed e-cig.

Il sondaggio pone inoltre l’accento sulla necessità, da parte dei cittadini, di ricevere un’informazione più consapevole, salvi i divieti sulla pubblicità: quasi il 75% degli intervistati ritiene che, a fronte di evidenze scientifiche che indicherebbero i prodotti senza combustione quale valida alternativa alle sigarette, in una logica di potenziale riduzione del rischio, i fumatori dovrebbero avere il diritto di ricevere informazioni accurate in merito. Il 56,9% degli intervistati, inoltre, è favorevole a una regolamentazione e una fiscalità differenziata tra prodotti da fumo tradizionali e prodotti innovativi.

Il paper della Fondazione Einaudi, presentato da Sergio Boccadutri, membro del Cda della Fondazione, effettua invece una ricognizione sulla regolamentazione dei prodotti innovativi del tabacco e della nicotina, messa in atto in diversi paesi, con particolare riferimento ai prodotti senza combustione. “La cultura liberale, di cui la Fondazione Luigi Einaudi è custode, guarda con scetticismo all’efficacia dei divieti”, ha affermato il

Segretario generale, Andrea Cangini, introducendo l’incontro. “Anche in materia di prodotti innovativi del tabacco e della nicotina, alla logica proibizionista preferiamo la logica, assai più efficace, della differenziazione tra prodotti e dello stimolo all’innovazione. Fa piacere constatare che sia questo l’approccio scelto dall’Italia. Un approccio insolitamente liberale”.

Dallo studio, infatti, emergono sostanzialmente due differenti tipologie di approccio in merito alla regolamentazione dei prodotti innovativi: quello dei paesi “proibizionisti”, come la Francia, che hanno adottato un quadro regolatorio che non riconosce le differenze esistenti tra i prodotti tradizionali da fumo e i prodotti innovativi non da fumo; e quello di paesi maggiormente pragmatici e aperti all’innovazione, basato sul riconoscimento delle differenze esistenti tra i prodotti da fumo e quelli privi di combustione e sulla conseguente differenziazione normativa e fiscale.

In tal senso, l’Italia, primo produttore di tabacco tra i paesi dell’Unione europea, nonché leader al mondo nella produzione su larga scala di prodotti del tabacco riscaldato, è pioniere nelle politiche di regolazione dei prodotti innovativi, avendo adottato da tempo un framework normativo all’avanguardia, fatto proprio – nel corso degli anni – da molti paesi in Europa e nel mondo. Un approccio che di fatto garantisce migliori risultati sul piano della salute pubblica e importanti dividendi economici. Grazie a questa normativa, infatti, l’Italia si è assicurata significativi investimenti di multinazionali come Philip Morris e ha creato una filiera del tabacco che complessivamente incide per dieci miliardi sulla sua economia.

Formiche.net

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#NotiziePerLaScuola

"Lie Detectors": eTwinning e INDIRE al Voices Festival di Firenze. Sul tema della disinformazione in classe l'evento il prossimo 15 marzo alla Stazione Leopolda di Firenze.

Info ▶️ indire.



Ieri sera la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato in sede referente un emendamento che ha tolto ai partiti europei riconosciuti il diritto

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Missione Aspides, l'Italia va alla guerra e conferma lo stop agli aiuti a Gaza. Sì anche da M5S l Kulturjam

"Con il voto a favore di un’altra azione di guerra, il centrosinistra ampio si è mostrato uguale a quello più ristretto: la fedeltà euroatlantica agli USA viene prima di tutto e unisce Schlein a Meloni, Conte a Renzi, a Tajani e a Salvini. Non si governa in Italia se non si bacia la pantofola americana. Che pena, ora almeno non vengano in piazza per la pace."

kulturjam.it/news/missione-asp…



«È tutto nostro». Primo avamposto della destra messianica a Gaza


Allontanati dopo ore dall’esercito, applauditi dalla folla che li aspettava fuori. Accadeva nelle stesse ore della strage del pane a Gaza City. E non è stato un atto simbolico L'articolo «È tutto nostro». Primo avamposto della destra messianica a Gaza pr

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di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 6 marzo 2024 – Giovedì scorso, mentre i palestinesi contavano i morti della strage in via Rashid e trasportavano i feriti in ospedali privi di tutto, a ridosso di ciò che resta del valico settentrionale di Erez, circa 200 coloni ed estremisti di destra israeliani allestivano un loro avamposto all’interno di Gaza. Una di loro, Mechi Fendel, ha spiegato in inglese con accento newyorkese che lei (giunta dagli Usa) ha il dovere religioso di (ri)portare sotto il controllo ebraico la Striscia di Gaza sulla quale, ha precisato, i palestinesi che pure ci vivono da secoli non hanno alcun diritto. Solo dopo alcune ore, i soldati rimasti sino a quel momento a guardare, sono intervenuti e hanno sgomberato i coloni. È passato un mese dalla mega «Conferenza per la vittoria di Israele» tenuta a Gerusalemme dal movimento dei coloni, con la presenza di 10 ministri e 27 deputati, per chiedere la colonizzazione di Gaza, e la destra messianica torna a segnalare la sua forza ed influenza oltre alla ferma intenzione di ricostruire gli insediamenti smantellati ed evacuati nel 2005 per ordine dello scomparso premier Ariel Sharon.

Quello del 29 febbraio è stato il tentativo più significativo dal 7 ottobre di ristabilire colonie ebraiche nella Striscia. E con ogni probabilità verrà ripetuto. Una parte dei coloni è entrata per centinaia di metri nel territorio di Gaza. Altri 20 sono penetrati nello spazio tra i due muri che ingabbiano la Striscia e hanno iniziato a erigere due strutture utilizzando i materiali che avevano portato con loro: assi e pali di legno e lamiere di ferro per i tetti. Avevano già pronto il nome della colonia, Nuovo Nisanit, dal nome di uno degli insediamenti evacuati nel 2005. Solo più tardi i militari hanno riportato indietro i giovani che sono stati accolti dagli applausi di tutti gli altri coloni ed attivisti di destra. Poi la folla ha cominciato a scandire «È tutto nostro», in riferimento a Gaza.

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L’avamposto dei coloni israeliani dentro Gaza

Presi dalle notizie drammatiche che arrivavano dal luogo della strage alla periferia di Gaza city, i media internazionali hanno minimizzato o ignorato l’accaduto ad Erez. Eppure, quanto si è visto dimostra che, forte dell’appoggio silenzioso del governo, l’idea di colonizzare Gaza non è affatto morta, anzi. «Il governo – ha detto Ariel Pozen, uno dei presenti – deve comprendere quello che la maggioranza degli ebrei (israeliani) ha già capito: siamo qui ed è tutto nostro. Non esiste ostacolo politico o internazionale. Non dobbiamo considerare nessun altro. È una questione interna. Dobbiamo andare a Gaza, distruggere tutto il terrore lì e costruire lì». Molti dei presenti appartenevano alle stesse organizzazioni che nelle ultime settimane hanno tentato – spesso con successo – di impedire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Ai loro occhi, esiste un legame tra lo stop degli aiuti ai palestinesi e il ripristino degli insediamenti a Gaza: entrambi sono visti come necessari per una «vittoria» decisiva.

Leggere l’accaduto come un «atto simbolico» sarebbe un errore. In Cisgiordania molte colonie sono state erette proprio dopo questi blitz di pochi «giovani delle colline». Ed è questo che accadrà a Gaza se il governo di destra religiosa al potere deciderà di lasciar fare, incurante delle pressioni internazionali. Non è un caso che l’anziano colono Baruch Marzel, giunto giovedì da Hebron, abbia detto che l’azione compiuta a Gaza gli ricorda il «primo insediamento a Sebastia». Cinquant’anni fa un gruppo di coloni del movimento Gush Emunim divenne celebre quando tentò di stabilire un insediamento ebraico: resistette agli ordini di sgombero del governo finché non l’ebbe vinta. Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

ilmanifesto.it/e-tutto-nostro-…

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In Cina e Asia – Il premier Li promuove un nuovo modello di diplomazia


In Cina e Asia – Il premier Li promuove un nuovo modello di diplomazia diplomazia
I titoli di oggi:

Due sessioni: il premier Li promuove un nuovo modello di diplomazia
L'UE convalida accordo provvisorio contro i prodotti legati al lavoro forzato
Corea del Sud sorpassata dalla Cina sullo sviluppo tech, il report di Seul
Tensione nel mar Cinese meridionale, le Filippine accusano Pechino
Le Maldive siglano accordo per la sicurezza con Pechino
Nepal, pronta la coalizione del nuovo governo

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Oggi, dalle ore 10, si svolgerà alla Camera la "Celebrazione del 15° anniversario della ratifica della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità".


VERSIONE ITALIANA CALIFORNIA, LA CPPA PUBBLICA IL DATA BROKER REGISTRYLa California Privacy Protection Agency ha chiesto che tutte le aziende che rientrano nella categoria di “data broker” si registrino annualmente presso di loro. Sono identificati come data broker le aziende che acquistano e vendono informazioni sui consumatori da altre aziende, senza avere un rapporto diretto …


Due sessioni: segnali sul futuro della Cina


Due sessioni: segnali sul futuro della Cina 13335850
Target di crescita del pil, stimoli ai consumi, autosufficienza tecnologica, budget militare e segnali su Taiwan: che cosa emerge dal rapporto annuale di lavoro del premier cinese Li Qiang

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Grazie all’intervento normativo voluto dal Ministro Giuseppe Valditara viene garantita una semplificazione nella gestione della liquidazione delle retribuzioni del personale scolastico amministrativo e tecnico dell’organico #PNRR e #AgendaSud, assunt…


Un miliardo per l’industria della Difesa europea. Ecco la strategia di Bruxelles


È racchiusa in due nuove sigle, Edis ed Edip, l’ambizione europea per aumentare la cooperazione in fatto di acquisizioni militari europee e per contrastare di conseguenza la frammentazione dell’industria della difesa del Vecchio continente. La prima sigla

È racchiusa in due nuove sigle, Edis ed Edip, l’ambizione europea per aumentare la cooperazione in fatto di acquisizioni militari europee e per contrastare di conseguenza la frammentazione dell’industria della difesa del Vecchio continente. La prima sigla sta per European defence industrial strategy, e stabilisce la visione che la Commissione europea vorrebbe implementare per l’industria europea della difesa. Gli obiettivi della strategia sono mettere in pratica l’attitudine dell’industria di reagire in tempo alle necessità di sicurezza dell’Unione in tutto lo spettro delle capacità militari. Per fare questo, l’Unione dovrà approvare la seconda sigla, l’European defence industrial programme, un insieme di strumenti, finanziari, legali e di cooperazione, che materialmente dovranno aiutare i Paesi membri a aumentare il proprio livello di cooperazione in materia di procurement militare. Il budget previsto per l’Edip è di un miliardo e mezzo di euro, meno di quanto ci si aspettava (con Breton che aveva addirittura parlato di cento miliardi), un elemento che sicuramente peserà sulla valutazione dell’efficacia di questi nuovi provvedimenti.

La necessità per questo tipo di strumenti arriva da diverse considerazioni, non solo di carattere geopolitico. Naturalmente l’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato una sveglia per i Ventisette sulla necessità di dotarsi di strumenti di maggiore coesione nel campo della difesa, ma che l’Europa dovesse dotarsi di una migliore coesione industriale militare è una posizione presente da tempo nel dibattito continentale. Come sottolineato dal commissario Thierry Breton, “con il ritorno di conflitti ad alta intensità nel nostro continente, l’Europa non può aspettare oltre per rafforzare la capacità della base tecnologica e industriale europea della difesa di produrre di più e più velocemente”. Quello che è stato sottolineato in particolare da Bruxelles è che la natura della minaccia (e della guerra) è cambiata. Si è passati da un conflitto cosiddetto “di magazzino”, nel quale si sono impiegate cioè le risorse già disponibili nei vari arsenali dei Paesi membri, a una guerra “di produzione”, nella quale cioè c’è bisogno di garantire una continuativa produzione di piattaforme e sistemi se si vuole sostenere lo scontro (attraverso le dotazioni garantite alle Forze armate di Kiev) nel lungo periodo.

A questo si affianca la consapevolezza delle inefficienze del sistema europeo, rappresentate plasticamente dalla differenza tra piattaforme europee e statunitensi. Come registrato dalla vice presidente della Commissione europea, Margrethe Vestager, “per ogni sistema d’arma ne produciamo in Europa tre, quattro, cinque modelli diversi”. Tutto questo crea “ridondanze e inefficienze, che non sfruttano le economia di scala”. Secondo Vestager, questo comporta soprattutto il fatto che i Paesi europei sono poi costretti ad acquistare fuori dall’Ue: “Nel 2023 i Paesi membri hanno speso per il procurement cento miliardi di euro, l’80% di questa spesa è andata all’estero. Questo non è più sostenibile”. L’obiettivo dell’Ue, dunque, deve essere passare da un sistema di gestione delle crisi a una di preparazione strutturale nella gestione della propria difesa.

Cosa prevedono allora nel dettaglio queste due misure? Per quanto riguarda l’Edis, l’obiettivo è aumentare la preparazione europea attraverso la facilitazione degli investimenti. Il motto in questo caso è fare di più, meglio e insieme. Tra le principali misure adottate ci sarà la creazione del Defence industrial readiness board, composto dalla Commissione e dai Paesi membri, e un Gruppo di europeo dell’industria della Difesa che dovranno servire da camere di coordinamento sulla programmazione coordinando i vari sforzi e aiutando nella navigazione dei vari strumenti messi a disposizione. A questi si aggiunge un nuovo framework legale, lo Structure for european armament programme (Seap), che intende facilitare la cooperazione tra Stati nel corso dell’intero ciclo di vita di una piattaforma, dalla concezione al phase-out. Importante sarà anche la mappatura delle capacità già disponibili dall’Ue e delle necessità condivise dalle diverse Forze armate, grazie all’European defence projects of common interest (Edpci).

Tra le principali iniziative di Edis si trova anche l’iniziativa tesa a ridurre i rischi di investimento per l’industria della difesa attraverso degli strumenti che facilitino la riqualificazione di stabilimenti di produzione civile per necessità militari (e viceversa). Un modo per garantire una continua capacità industriale anche in tempi di pace, evitando che una volta passata l’emergenza si ritorni al “tutto come prima”. In generale, il supporto all’industria si svolgerà anche attraverso azioni mirate a settori specifici, come i droni, e nel supporto a progetti di innovazione futuri, In questo senso l’Ucraina verrà coinvolta quasi come fosse un Paese membro, con l’apertura a Kiev di un Ufficio per l’innovazione della Difesa dell’Ue.

Fondamentale sarà poi l’accesso al credito, con la Commissione che chiede alla Banca europea degli investimenti di modificare la sua policy verso il settore della difesa. Attualmente, infatti, i finanziamenti per la difesa non sono previsti dal mandato della Bei, ma le condizioni geostrategiche attuali potrebbero portare a un ripensamento di questo principio, soprattutto dal momento che, anche nel settore finanziario, si sta imponendo la visione secondo cui non può esserci sviluppo e crescita senza la sicurezza, garantita quindi anche dalla difesa. La Commissione, in particolare, spera che un cambio di passo da parte della Bei possa rappresentare uno strumento di convincimento anche per altre banche e fondi di investimento privati, attirando verso il comparto difesa nuovi finanziamenti.

Per quanto riguarda invece l’Edip, la misura è la nuova iniziativa legislativa che passerà da misure di emergenza a breve termine, adottate nel 2023 e che termineranno nel 2025, a un approccio più strutturale e a lungo termine per raggiungere la prontezza industriale della difesa. Ciò garantirà la continuità del sostegno alla base tecnologica e industriale della difesa europea, per accompagnarne il rapido adattamento alla nuova realtà. L’Edip mobiliterà un miliardo e mezzo di euro del bilancio dell’Ue nel periodo 2025-2027, per estendere la logica già usata per l’Edirpa (trecento milioni messi a disposizione per rimborsare gli acquisti se effettuati in cooperazione da almeno tre Stati membri) e l’Asap (cinquecento milioni per il supporto all’incremento della capacità di produzione europea di munizioni, dai missili ai colpi d’artiglieria, destinati sia al sostegno militare all’Ucraina, sia per rinfoltire le scorte dei Paesi membri intaccate dall’invio degli aiuti a Kiev).

Una delle novità previste dall’Edip è il Meccanismo europeo di vendita militare, volto a incoraggiare la disponibilità e a facilitare l’acquisizione di attrezzature europee in termini di tempo e di volume. Si comincerà con un catalogo delle attrezzature europee già disponibili e con la definizione di un European defence readiness pools, che sarà gestito dagli Stati membri, nei quali verranno registrati i livelli di prontezza strategica per le forze militari degli Stati membri (come il livello delle proprie riserve militari o i contratti in corso sul mercato europeo o esportazione). In base a questa disposizione ci sarà anche una clausola di solidarietà nei contratti di appalto che permetterà ai Paesi di accedere in accordi nuovi, esistenti e passati già attivi per altri Stati membri.

Per quanto riguarda gli aspetti normativi, Edip metterà a disposizione un nuovo quadro giuridico, la Struttura per il programma di armamento europeo (Seap), che dovrà facilitare e aumentare la cooperazione degli Stati membri in materia di equipaggiamenti di difesa, in piena complementarità con il quadro Pesco. Il Programma prevede anche il potenziamento delle misure di sicurezza per le supply chain della difesa, in modo da assicurare un accesso costante a tutti i sistemi necessari per la difesa europea, con strumenti per reagire a eventuali crisi di approvvigionamento.


formiche.net/2024/03/industria…



Non solo Aspides, il Parlamento approva anche gli aiuti a Gaza via Levante


Approvata praticamente all’unanimità la deliberazione del Consiglio dei ministri che prevedeva la partecipazione dell’Italia a tre ulteriori missioni internazionali per l’anno 2024: la European union advisory mission (Euam) in Ucraina – l’unica delle tre

Approvata praticamente all’unanimità la deliberazione del Consiglio dei ministri che prevedeva la partecipazione dell’Italia a tre ulteriori missioni internazionali per l’anno 2024: la European union advisory mission (Euam) in Ucraina – l’unica delle tre con contenuti puramente civili – e due relative alla crisi di Gaza e alle sue conseguenze nel Mediterraneo allargato, Aspides e Levante. Durante il dibattito in aula, sono stati due gli argomenti che hanno dominato la discussione: l’abbattimento del drone Houthi da parte del cacciatorpediniere Caio Duilio e il carattere difensivo che le missioni devono conservare, elemento fortemente sottolineato dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, presentando il provvedimento. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha espresso la sua soddisfazione per la decisione da Ankara, dove si trova per una visita istituzionale, che ha ribadito come “le missioni militari devono fornire sicurezza ma soprattutto aprire una finestra di opportunità per la diplomazia e per la pace”.

Aspides

Particolarmente rilevante è stata l’approvazione della missione Aspides, l’iniziativa europea per proteggere il traffico navale nel mar Rosso dalla recente minaccia degli attacchi dei miliziani Houthi che affianca la missione anglo-americana di protezione del traffico navale nell’aerea del mar Rosso Prosperity guardian. È nel contesto di questa iniziativa che il Caio Duilio ha abbattuto un drone Houthi con i suoi cannoni a fuoco rapido calibro 76 prodotti dal consorzio Oto-Melara. Questa missione avrà un carattere puramente difensivo, perciò le unità navali non potranno compiere attacchi preventivi contro bersagli ostili. L’Italia ha ottenuto il comando operativo di questa missione cha sarà proprio sul cacciatorpediniere. “Con Aspides l’Italia e l’Unione europea hanno risposto in maniera coesa agli attacchi terroristici degli Houthi che stanno ostacolando la libertà di navigazione nello stretto di Bab el-Mandeb e nel mar Rosso” ha detto l’inquilino di palazzo Baracchini, aggiungendo come la missione, a carattere difensivo, “garantirà il libero transito delle navi lungo le rotte commerciali del mar Rosso, da cui dipende l’economia italiana ed europea”. Il comando tattico della missione, tra l’altro, sarà assegnato all’Italia, così come richiesto dall’Ue “e noi siamo già pronti ad assumere la responsabilità dell’importante compito assegnatoci”, ha confermato Crosetto.

Levante

L’altra missione approvata, Levante, riguarda, come spiegato da Crosetto, “l’impiego di un dispositivo militare per interventi umanitari a favore della popolazione palestinese della Striscia di Gaza”, effettuato attraverso la presenza di unità navali militari nel mediterraneo orientale. “L’Italia – ha ribadito il ministro – conferma la volontà di aiutare la popolazione palestinese, vittima delle azioni terroristiche condotte da Hamas”. La missione continuerebbe sulla scia della presenza di nave Vulcano, dotata di un ospedale di bordo con capacità diagnostiche e chirurgiche, che, negli scorsi mesi, aveva operato a largo della costa israeliana in supporto alla popolazione della striscia di Gaza. La missione si ricollega anche alle recenti iniziative, anche americane, di consegna di aiuti umanitari paracadutati direttamente sulla striscia di Gaza in supporto alla popolazione civile.

Supporto bipartisan

Tutti i partiti della coalizione di centrodestra hanno votato per l’approvazione delle missioni facendo leva, nelle loro dichiarazioni di voto, sull’importanza del traffico commerciale nel mar Rosso per il prodotto interno lordo italiano. I deputati della maggioranza hanno, infatti, evidenziato come l’azione di autodifesa del Caio Duilio contro il drone Houthi dimostri la pericolosità della minaccia e l’importanza della presenza italiana nel teatro del mar Rosso. Infine, riguardo l’operazione Levante, hanno commentato riguardo l’importanza di intervenire nel contesto della crisi di Gaza per porre fine al conflitto, per tutti conseguenza dell’attacco di Hamas, e arginare la colossale crisi umanitaria che si sta andando a creare. Anche i partiti d’opposizione hanno espresso il loro supporto per le tre missioni. Il Partito democratico ha anche lodato gli sforzi del ministro Tajani nei vari teatri di crisi, evidenziando in particolare come le linee di fragilità internazionali dimostrino l’importanza del procedere nello sviluppo di una difesa comune europea. Il Movimento cinque stelle, pur approvando le tre missioni, ha invece voluto sottolineare come non debba cambiare il carattere difensivo della missione Aspides, pur riconoscendo la centralità della difesa del traffico commerciale nel mar Rosso.


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VIDEO. A Gaza si muore di fame e 1500 camion di aiuti sono fermi a Rafah


Il racconto della cooperante Meri Calvelli, giunta al valico di Rafah assieme alla delegazione italiana per chiedere il cessate il fuoco e l'ingresso nella Striscia di aiuti umanitari senza limitazioni. L'articolo VIDEO. A Gaza si muore di fame e 1500 ca

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Pagine Esteri, 5 marzo 2024 – Almeno 1.500 camion carichi di aiuti umanitari per la popolazione di Gaza sono fermi in Egitto. Bloccati a Rafah, gli è impedito di entrare nella Striscia dove la fame ha raggiunto livelli gravissimi. Continua ad aumentare il numero dei bambini morti di stenti, così come gli anziani. A raccontarcelo è Meri Calvelli, cooperante della ong ACS, giunta al valico di Rafah assieme alla delegazione italiana che chiede il cessate il fuoco immediato e l’ingresso nella Striscia di aiuti umanitari senza alcuna limitazione.

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#NotiziePerLaScuola

Il MIM in collaborazione con il CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l'Informatica), promuove il progetto “Programma il Futuro”, che offre alle scuole strumenti semplici ed efficaci per una piena consapevolezza delle …



A Gaza l’esercito israeliano impiega anche cani robot


Il giornale Haaretz rivela che per evitare perdite di soldati e cani (veri), l’esercito sperimenta l'uso di robot e cani telecomandati L'articolo A Gaza l’esercito israeliano impiega anche cani robot proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/20

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 5 marzo 2024 – Israele nella sua offensiva a Gaza impiega anche cani robot. Il giornale Haaretz rivela che per evitare perdite di soldati e cani (veri), l’esercito sta sperimentando l’uso di robot e cani telecomandati, dotati anche di droni, che sostituiscono i cani in determinate situazioni. Il più usato è il Vision 60, realizzato da Ghost Robotics con sede a Filadelfia. Un altro è il Rooster. Sorvegliano edifici, spazi aperti e tunnel, possono camminare per10 chilometri a una velocità di tre metri al secondo e hanno una autonomia di tre ore. Il loro impiego a Gaza serve inoltre a migliorarne le prestazioni e a favorire le vendite in tutto il mondo. Sono usati anche bulldozer telecomandati, così da distruggere le case, le infrastrutture civili di Gaza, senza rischiare la vita del pilota.

Secondo un rapporto, i soldati israeliani a Gaza avrebbero ucciso palestinesi investendoli intenzionalmente con carri armati e veicoli blindati. Tra i casi citati dall’Osservatorio Euro-Med per i diritti umani quello di un palestinese di Zaytoun (Gaza City) travolto intenzionalmente il 29 febbraio da un mezzo corazzato. E quello di un carro armato passato il 23 febbraio su una roulotte a Khan Younis e che ha ucciso due membri della famiglia Ghannam.

Alcune delle organizzazioni umanitarie più importanti come Norwegian Refugee Council, CARE International, Oxfam, Save the Children hanno espresso profonda preoccupazione per la sospensione dei finanziamenti per l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa, in un momento in cui la carestia incombe e le epidemie stanno peggiorando. Si rivolgono all’Assemblea Generale dell’Onu affinché esorti gli Stati membri a riconoscere che nessun’altra agenzia umanitaria può sostituirsi all’Unrwa. L’appello è giunto mentre Israele rilancia le sue accuse sostenendo che all’agenzia sarebbero impiegati «450 terroristi di Hamas e Jihad».

La portavoce dell’Unrwa, Juliette Touma, ha risposto riferendo che Israele ha torturato alcuni membri del suo staff, costringendoli a fare false confessioni sui legami dell’agenzia con Hamas. «Le false confessioni ottenute sotto tortura vengono utilizzate per diffondere la disinformazione sull’Agenzia come parte dei tentativi di smantellare l’Unrwa», ha affermato Touma. Pagine Esteri

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✨ Pixelfed: rilasciata la nuova versione 0.11.13! Il progetto di miglioramento continuo di Pixelfed procede a un ritmo eccezionale

Lo staff di sviluppo di @dansup 🚀 ci ha davvero sorpreso per le energie e le risorse impiegate ma soprattutto per i risultati eccellenti apportati a #Pixelfed: quella che era poco più che la brutta copia di Instagram, è ormai la piattaforma del Fediverso più curata ed ergonomica dopo Mastodon!

@Che succede nel Fediverso?

Ecco i miglioramenti principali avvenuti con l'ultima release:

- Migrazione degli account
- Onboarding curato
- Supporto ufficiale a Docker
- Segnalazioni remote + miglioramenti della federazione
- Compatibilità migliorata con l'API di Mastodon


✨ New Version Release (0.11.13)

Some highlights:

- Account Migrations
- Curated Onboarding
- Official Docker Support
- Remote Reports + Federation improvements
- Improved MastoAPI compat (👋 @ivory & @Tusky )

github.com/pixelfed/pixelfed/r…

#pixelfed #accountMigrations #curatedOnboarding


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Il 6 marzo, alle ore 10, presso l'Aula dei Gruppi parlamentari della Camera, si svolgerà la "Celebrazione del 15° anniversario della ratifica della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità".


Carl Rhodes – Capitalismo Woke


L'articolo Carl Rhodes – Capitalismo Woke proviene da Fondazione Luigi Einaudi. https://www.fondazioneluigieinaudi.it/carl-rhodes-capitalismo-woke/ https://www.fondazioneluigieinaudi.it/feed


Albania: inaugurata la prima base Nato dei Balcani occidentali


Ieri la Nato ha inaugurato in Albania la sua prima base dei Balcani Occidentali. Centrale il ruolo dell'Italia L'articolo Albania: inaugurata la prima base Nato dei Balcani occidentali proviene da Pagine Esteri. https://pagineesteri.it/2024/03/05/mondo/

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di Redazione

Pagine Esteri, 5 marzo 2024 – Ieri mattina l’Alleanza Atlantica ha inaugurato una nuova base aerea in Albania. Si tratta della prima e unica infrastruttura di questo tipo esistente nei Balcani occidentali, tenuta a battesimo proprio nel 15esimo anniversario dell’ingresso dell’Albania nell’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti.

L’installazione di Kuçovë sorge a 85 chilometri a sud della capitale albanese Tirana. All’inaugurazione, oltre al premier albanese Edi Rama, hanno partecipato numerosi esponenti politici e militari dei paesi aderenti alla Nato, compreso il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto.

Il progetto concretizza la consistente collaborazione militare tra Italia e Albania. Da anni l’Italia pattuglia i cieli dell’Albania e garantisce la formazione e l’addestramento delle Forze armate di Tirana, e gli eserciti dei due paesi svolgono regolarmente esercitazioni militari congiunte.

Nel, progetto di riammodernamento e di estensione della vecchia base aerea di epoca sovietica, approvato nel 2018, l’Alleanza Atlantica ha investito 50 milioni di euro, ai quali occorre aggiungerne altri 5 milioni stanziati dal governo albanese.

Nelle ultime settimane Tirana ha accolto il segretario di Stato americano Anthony Blinken e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il premier Rama ha già proposto alla NATO di utilizzare anche due vecchie basi navali, nei pressi di Valona. Pagine Esteri

Leggi: https://pagineesteri.it/2022/07/12/mondo/lalbania-nato-avamposto-balcani/


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La missione Juno ha misurato la produzione di ossigeno sulla luna Europa l AstroSpace

"La luna gioviana Europa genera 1000 tonnellate di ossigeno ogni 24 ore, sufficienti a far respirare un milione di esseri umani per un giorno. Lo ha stimato il team di scienziati della missione Juno della NASA, ed è un numero sostanzialmente inferiore rispetto alla maggior parte delle stime avanzate in precedenza."

astrospace.it/2024/03/05/la-mi…



In Cina e Asia –


In Cina e Asia –
I titoli di oggi “Due sessioni” 2024: più tecnologia IA home-made e porte “sempre aperte al mondo” Summit ASEAN, la Malaysia accusa l’Occidente di “Cinofobia” Seul e Washington raddoppiano i soldati coinvolti in esercitazioni contro Corea del Nord Corea del Sud, hacker nordcoreani infiltrano produttore di microchip Nepal, cambia l’alleanza per formare il nuovo governo “Due sessioni” 2024: più tecnologia ...

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Qiu Miaojin e la lotta LGBT a Taiwan


Qiu Miaojin e la lotta LGBT a Taiwan 13305146
Psicologa, scrittrice e attivista, Qiu Miaojin è stata una figura fondamentale per la comunità queer taiwanese, tanto da aver coniato un termine tutt’ora molto utilizzato

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ECUADOR. Continua la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici della Furukawa


Tra un mese la multinazionale giapponese dovrà rendere la propria versione dei fatti sul caso di schiavitù moderna. Intervista ad Alejandro Morales, l’avvocato che sta assistendo i lavoratori. L'articolo ECUADOR. Continua la lotta dei lavoratori e delle

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di Davide Matrone

Pagine Esteri, 5 marzo 2024 – Ci sono voluti quasi 4 anni di dura ed estenuante lotta, ma i lavoratori cominciano ora a raccogliere i primi frutti. Dopo i riconoscimenti simbolici e le scuse pubbliche da parte del Ministero del Lavoro, si è passati ai risarcimenti economici per i lavoratori. Tuttavia manca la piena attuazione di questi riconoscimenti.

Negli ultimi giorni il caso Furukawa S.A. è tornato di estrema attualità dopo la convocazione della multinazionale giapponese FURUKAWA S.A., da parte della Corte Costituzionale dell’Ecuador, all’udienza fissata per il prossimo 9 aprile. L’impresa dovrà rendere la propria versione dei fatti sul caso di schiavitù moderna e sulle gravi accuse avanzate dai legali dei lavoratori e delle lavoratrici.

Inoltre, la stessa Corte è chiamata a visionare le sentenze fin qui emesse e stabilire l’azione di protezione e riparazione per i danneggiati. In questa fase di congiuntura, il Comitato di Solidarietà “Furukawa mai più!” ha strategicamente attivato una raccolta firme a livello nazionale per coinvolgere maggiormente la società civile e pressare la Corte Costituzionale. Grazie al lavoro permanente del Comitato e a quest’ultima campagna, c’è maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica ecuadoriana che si attiva perche si giunga alla soluzione di un caso vergognoso. Effettivamente, parlare di schiavitù e di servitù della gleba in pieno secolo ventuno, è imbarazzante.

I legali delle vittime sono dovuti ricorrere alla Corte Costituzionale “dopo aver esaurite le risorse ordinarie e straordinarie dentro dell’ambito legale” così come lo provede l’articolo 94 della Costituzione politica dell’Ecuador.

Per saperne di più, Pagine Esteri ha contattato e intervistato Alejandro Morales, l’avvocato ecuadoriano che sta assistendo legalmente i lavoratori.

Quali sono i punti chiave che dovrà verificare la Corte rispetto al caso Furukawa S.A.?

Stabilire se effettivamente ci sia stata o no una forma contemporanea di schiavitù e/o servitù della gleba considerando che, nell’azione di protezione e nella sentenza di primo grado, viene riconosciuta la servitù della gleba, la violazione del diritto alla libertà e la proibizione della schiavitù.

I giudici della Corte Provinciale di Giustizia di Santo Domingo hanno escluso questa violazione, quindi è ora la Corte Costituzionale a dare il suo giudizio finale così come lo prevede nell’articolo 316 della Costituzione dell’Ecuador in quanto rappresenta “la massima istanza d’interpretazione della Costituzione, in merito ai trattati internazionali dei diritti umani ratificati dallo stato Ecuadoriano, attraverso le sue sentenze. Le sue decisioni avranno un carattere vincolante”.

Inoltre, la Corte Costituzionale, oltre alla revisione delle sentenze di azione di protezione si sta preoccupando di unificare le sentenze che abbiamo già vinto contro l’impresa giapponese Furukawa e di riconoscere anche il processo vinto presso la Difensoria del Pueblo.

Nel processo si è già stabilito un risarcimento in denaro ed un altro in 5 ettari di terra da consegnare ai lavoratori e alle lavoratrici colpite, tuttavia, la Corte Provinciale di Santo Domingo si è espressa dichiarando che questo risarcimento si unifichi solo in forma di denaro senza la concessione di terreni.

Come procede il processo di risarcimento economico integrale per i lavoratori?

Nel processo di protezione, che sarà rivisto dalla Corte, si emetteranno varie misure di riparazione integrale tanto materiali quanto immateriali. Ci sono state riparazioni simboliche come le scuse pubbliche eseguite dal Ministro del Lavoro nell’anno 2020. Tuttavia, ricordiamo anche che il giudice in prima istanza ha ordinato come misura di riparazione integrale un calcolo in soldi basato: sugli anni di prestazione lavorativa in FURUKAWA per ogni lavorato e lavoratrice, le condizioni di lavoro e di vita all’interno delle piantagioni, il deterioramento fisico in termini di salute, la violazione del diritto allo studio e a una salute dignitosa. Tutti questi elementi devono essere valutati in base a perizie precise. Inoltre, a questi risarcimenti in denaro si è stabilito che a tutti i lavoratori vengano consegnate dei terreni con un’estensione totale pari a 5 ettari. Tuttavia, la Corte Provinciale di Santo Domingo, come già detto, ha considerato che non è possibile realizzare un risarcimento in due misure e quindi si deve unificare il risarcimento in soldi. Al momento la liquidazione è già stata stabilita ma non c’é ancora nessuna risorsa. Attendiamo che si realizzi il pagamento. Anche questo dovrà accertare e stabilire la Corte Costituzionale. C’é anche una campagna di raccolta firme per esigere che la Corte intervenga e riconosca il risarcimento economico ai lavoratori. Inoltre, per chiedere che si attuino le misure di risarcimento integrali che sono state modificate parzialmente dalla Corte Provinciale di Giustizia di Santo Domingo.

C’é anche una campagna di raccolta firme per esigire che la Corte intervenga e riconosca il risarcimento economico ai lavoratori. Chi l’ha promossa e come prosegue?

Questa campagna è partita grazie al Comitato di Solidarietá “Mai più Furukawa” nel quale partecipano varie organizzazioni senza fine di lucro che difendono Diritti Umani in Ecuador. Al momento si sono raccoltre 250 firme a livello nazionale.

Qual è la posizione del governo di fronte al caso Furukawa?

La posizione dei differenti Ministeri dello Stato come quello della Salute, dell’Inclusione Economica e Sociale e del Lavoro è quello di negare le loro responsabilità e di negare la violazione dei diritti contro i lavoratori e lavoratrici da parte dell’impresa Furukawa. Tutti i Ministeri prima menzionati dichiarano di aver compiuto con la loro parte. Per esempio, nel caso del MIES (Ministero dell’Inclusione Economica e Sociale) afferma di aver consegnato i boni di solidarietà umana ai lavoratori, tuttavia queste assegnazioni vengono realizzate con criterio abbastanza strano, a nostro avviso. Per esempio, una famiglia che vive in povertà e che riesce a comprare un televisore, automaticamente perde l’accesso al bono. Con questi meccanismi si evidenzia e si dimostra la mancanza di conoscenza di ciò che significa effettivamente essere poveri. Nel caso del Ministero della Salute si dichiara di aver somministrato alcuni vaccini a gruppi isolati di lavoratori e lavoratrici e che si sono realizzate delle visite mediche molto puntuali e di forma isolata però in questo modo si evidenzia che non esiste un vero accesso alla salute per tutti e tutte. Inoltre, da parte del Governo esiste un doppio e contradditorio discorso. Di fronte agli organismi internazionali, come la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, si dichiara che lo Stato e i suoi Dicasteri hanno compiuto con il proprio ruolo e dichiarano che tutte le vittime del caso Furukawa accedono ai loro diritti, però questo non è assolutamente vero. A questo si aggiunge la volontà di voler ridurre la platea di lavoratori e lavoratrici da risarcire. C’era un registro su cui c’erano 1200 persone che avevano vissuto e lavorato negli stabilimenti della multinazionale Furukawa S.A. eppure vengono considerati solo 223 lavoratori che richiedono il risarcimento ed altri 206 lavoratori che sono stati vittime di tratta di persone con fini di sfruttamento lavorativo. In tutti i modi, il giorno dell’udienza sono stati interpellati a partecipare tutti i lavoratori e le lavoratrici coinvolte nei casi di violazione di diritti lavorativi ed umani. Nonostante questo, siamo convinti che purtroppo il doppio e contradditorio discorso dello Stato non cambierà nelle aule processuali nel prossimo mese d’aprile. Pagine Esteri

La campagna realizzata dal Comitato Furukawa Mai Più!

Per sostenere la campagna

furukawanuncamas.org/accion-ur…

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VERSIONE ITALIANA COREA DEL SUD, LA PIPC HA AVVIATO UN’INDAGINE SU WORLDCOIN DOPO LE LAMENTELE SULLA RACCOLTA DEI DATI DI RICONOSCIMENTO FACCIALE E DELL’IRIDE In Corea del Sud la Commissione per la protezione delle informazioni personali ha annunciato di voler indagare su Worldcoin a seguito delle preoccupazioni sollevate riguardo la raccolta non autorizzata di informazioni …


L’Eritrea non ritira le truppe dal Tigray: “quei territori sono nostri”


Le truppe dell'Eritrea occupano ancora dei territori nel nord del Tigray e impediscono la coltivazione dei campi, aggravando la crisi umanitaria e alimentare L'articolo L’Eritrea non ritira le truppe dal Tigray: “quei territori sono nostri” proviene da P

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di Redazione

Pagine Esteri, 4 marzo 2024 – Oltre che a causa dell’accordo tra Etiopia e Somaliland per la concessione di uno sbocco al mare di Addis Abeba, nel Corno d’Africa la tensione cresce anche tra Etiopia ed Eritrea.

Il governo di quest’ultimo paese – resosi indipendente da Addis Abeba in seguito ad un lungo e cruento conflitto – sostiene infatti che le sue truppe ancora presenti in Etiopia stiano occupando dei “territori sovrani eritrei”. Il dittatore eritreo Afewerki torna così a rivendicare una porzione di territorio contesa con l’Etiopia, paese con il quale pure ha collaborato negli anni scorsi per domare la ribellione del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray contro il governo etiope. Il conflitto durò ben due anni e si concluse nel novembre del 2022, ma le truppe eritree intervenute a sostegno di quelle etiopi contro il nemico comune non si sono mai ritirate.

«Le truppe eritree si trovano all’interno dei territori sovrani eritrei senza alcuna presenza nella terra sovrana etiope» afferma una dichiarazione pubblicata il 28 febbraio dall’ambasciata eritrea nel Regno Unito ed in Irlanda.
Il quotidiano “The Reporter Etiopia” spiega che Asmara si riferisce in particolare alla città frontaliera di Badme e ad altri territori sulla punta più settentrionale dell’Etiopia, zone che il regime di Isaias Afwerki rivendica come propri.

I termini dell’accordo di pace di Pretoria, che ha messo fine al conflitto nel Tigray, prevedevano il ritiro dal nord etiope delle forze alleate con il governo federale del premier Abiy Ahmed, fra cui le milizie regionali amhara, note come Fano e le stesse truppe eritree, sebbene né le une né le altre fossero esplicitamente citate nel testo.
Ma l’Eritrea non ha mai partecipato alle trattative per l’accordo di pace, siglato a Pretoria il 2 novembre 2021, e il precario equilibrio esistente fra Etiopia ed Eritrea dopo l’accordo di riconciliazione del 2018 si è sgretolato, portando le truppe eritree a mantenere le loro posizioni al confine ed impedendo agli abitanti di rientrare nelle proprie case dopo la fine del conflitto.

Lo scorso 28 febbraio, nel suo intervento al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, il vicesegretario generale Onu per i diritti umani Ilze Brands Kehris ha dichiarato che il suo ufficio «ha informazioni credibili che la Forza di difesa eritrea rimane nel Tigraye continua a commettere (…) rapimenti, stupri, saccheggi di proprietà, arresti arbitrari e altre violazioni dell’integrità fisica». Secondo l’amministrazione tigrina, peraltro, ben il 52% delle terre della regione settentrionale etiope non può essere coltivata a causa della presenza delle forze eritree ed amhara, esponendo la zona ad un altissimo rischio di carestia. Su una previsione di raccolto di circa 15 milioni di quintali di grano a metà dell’anno fiscale in corso è stato possibile ottenerne solo 5 milioni aggravando una crisi alimentare già grave.

Durante una missione di cinque giorni in Etiopia, il vicedirettore generale del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), Ted Chaiban, ha esortato la comunità internazionale a incrementare immediatamente il sostegno alla popolazione del paese per evitare l’aggravamento dell’ennesima catastrofe umanitaria già in atto.
«La siccità causata da El Nino, che ha colpito l’Etiopia settentrionale, centrale e meridionale, sta avendo un impatto devastante su milioni di bambini. Per il 2024, si prevede che quasi un milione di bambini soffrirà di malnutrizione acuta e circa 350 mila donne in gravidanza e in allattamento saranno malnutrite» ha avvertito Chaiban in una nota.

Il responsabile dell’Unicef ha visitato una delle aree più colpite dalla siccità nel Tigrè, dove i tassi di malnutrizione hanno superato la soglia di emergenza.
A complicare ulteriormente la situazione, in tutta la nazione è in corso un’emergenza sanitaria con focolai di colera, morbillo, dengue e malaria.
L’Unicef sta lavorando per rispondere alle crisi, fornendo supporto nutrizionale, accesso all’acqua potabile, vaccinazioni di routine, istruzione e servizi di protezione dell’infanzia ma la situazione si sta comunque aggravando e l’organizzazione chiede nuove risorse. Pagine Esteri

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Nuovi droni per l’Air Force. General Atomics mette in aria il “Gregario Robot”


Anche General Atomics partecipa alla corsa per il “gregario robot”. Giovedì 28 febbraio, presso la General Atomics Gray Butte Flight Operations Facility vicino a Palmdale, in California, l’azienda ha realizzato con successo il volo sperimentale del protot

Anche General Atomics partecipa alla corsa per il “gregario robot”. Giovedì 28 febbraio, presso la General Atomics Gray Butte Flight Operations Facility vicino a Palmdale, in California, l’azienda ha realizzato con successo il volo sperimentale del prototipo del velivolo XQ-67A, un drone senza pilota sviluppato sulla base del progetto dei velivoli Gambit (realizzati sempre da General Atomics). Il prototipo rientra all’interno della categoria dei cosiddetti “collaborative combat aircraft” (Cca), ovvero quei droni comandati dall’Intelligenza Artificiale destinati a volare come “periferiche” dei più recenti e sofisticati sistemi di volo a guida umana.

Compiendo così un altro passo nel percorso di realizzazione in scala di quello che l’Air Force definisce il “primo di una seconda generazione” di velivoli unmanned, capaci di svolgere le funzioni di sensori, esche, jammers e sistemi di lancio in ausilio al “nucleo” del velivolo centrale. La nuova piattaforma fa parte del programma altamente classificato Off-Board Sensing Station (Obss) dell’Air Force Research Laboratory, che ha assegnato alla General Atomics il contratto di progettazione nel 2021, affidandogli due anni dopo anche il contratto per la costruzione effettiva del progetto. Ma General Atomics non è l’unico protagonista di questo processo: altre imprese del settore della difesa statunitense, da Boeing a Lockheed Martin, da Northrop Grumman ad Anduril, sono al momento impegnate in contratti simili con l’aviazione americana. All’inizio di questo mese, i dirigenti dell’Aeronautica Militare hanno dichiarato che la rosa dei fornitori si ridurrà a due o tre aziende nei prossimi mesi.

Partecipa alla competizione per lo sviluppo del nuovo Cca anche l’azienda Kratos, realizzatrice del drone XQ-58A “Valkyrie”, che ha realizzato il suo volo di prova la scorsa estate. Pur non essendo parte del programma Obss, anche Kratos ha realizzato il suo prototipo di gregario robot sotto l’egida del progetto Skyborg, promosso sempre dall’Air Force Research Laboratory. “Dopo il successo dell’XQ-58A Valkyrie, il primo veicolo aereo a basso costo senza equipaggio destinato a fornire ai combattenti una massa credibile e accessibile, l’XQ-67A dimostra l’approccio del telaio comune o ‘Genus’ alla progettazione, alla costruzione e al collaudo dei velivoli”, ha dichiarato un portavoce dell’ente.

Lo sviluppo di queste tecnologie è di primaria importanza per l’aviazione di Washington, che ha visto la necessità di potenziare la sua dimensione quantitativa così da essere in pronta nell’eventualità di un confronto militare con potenze ostili come la Repubblica Popolare Cinese, che a sua volta sta sia aumentando il numero di apparecchi attivi nella sua forza aerea, che rafforzando le sue capacità di difesa anti-aerea nel teatro del Pacifico. Nello stesso periodo in cui il Valkyrie svolgeva il suo battesimo dell’aria, il Mitchell Institute for Aerospace Studies realizzava una simulazione atta a valutare l’impatto dei Cca in uno scenario di scontro bellico con la People Liberation Army, ma anche a contribuire al processo di implementazione di questi sistemi nella struttura della Us Air Force.


formiche.net/2024/03/gregario-…



Il Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea esprime un giudizio positivo sul documento programmatico elaborato


Un finanziamento online per uscire dall’inferno di Gaza


Di fronte allo spettro di un'offensiva israeliana su Rafah, i gazawi stanno lanciando un numero crescente di campagne di raccolta fondi online per aiutarli a lasciare l'enclave. L'articolo Un finanziamento online per uscire dall’inferno di Gaza proviene

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di Gabriel Blondel e Clara Hage – L’Orient Lejour*

(traduzione di Federica Riccardi)

“Sono stata a lungo riluttante all’idea di farlo farlo, ma è l’unico modo per salvare le nostre vite”. Tra due interruzioni di Internet, Farah si dedica al suo servizio di messaggistica WhatsApp. Quando la rete le permette di comunicare, si prende il tempo per scrivere quello che sta passando dal 13 ottobre, quando lei e la sua famiglia hanno deciso di lasciare la loro casa a Tel al-Hawa, una zona residenziale di Gaza City. Quando l’esercito israeliano ha annunciato che tutto il nord di Gaza sarebbe diventato un campo di battaglia, mio padre si è precipitato a cercare un appartamento a Rafah”, spiega la studentessa ventenne. Pensavamo che sarebbe stato solo per poche settimane, come nelle ultime guerre. Ma dopo qualche giorno abbiamo capito che questa non sarebbe stata come le altre.

Dopo aver perso la casa di famiglia, l’attività commerciale del padre (unica fonte di reddito della famiglia) e l’Università di al-Azhar (dove Farah studiava per laurearsi in inglese), la giovane donna teme che la sopravvivenza stessa della sua famiglia sia a rischio. “Finora eravamo preoccupati soprattutto per la situazione dei nostri parenti nel nord. Una delle mie cugine è stata colpita alla testa ad appena 10 anni”, racconta. Ma siamo sempre più in apprensione. Qualche giorno fa, un edificio molto vicino al nostro è stato bombardato, tanto che le finestre del nostro appartamento sono esplose.

Come gli 1,4 milioni di gazawi che si sono rifugiati a Rafah, la giovane donna teme le conseguenze di una potenziale offensiva dell’esercito israeliano nel sud dell’enclave. Inizialmente annunciata per l’inizio del Ramadan, previsto dal 10 marzo all’8 aprile, l’offensiva potrebbe essere rinviata a favore di una tregua osservata durante il mese sacro islamico, ancora in fase di negoziazione. Un momento di tregua che molti gazawi sperano di sfruttare per utilizzare l’unica via d’uscita ancora a loro disposizione: il famoso valico sotto controllo egiziano, che si può aprire solo a una condizione. “Dobbiamo pagare 7.000 dollari a persona, cioè almeno 35.000 dollari per poter evacuare me, i miei genitori, mio fratello, la mia sorellina”, spiega Farah.

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“Non c’è altra scelta

Corredata da foto, la giovane donna descrive l’entità della disperazione che deve affrontare su Gofundme, la piattaforma di crowdfunding su cui sempre più gazawi hanno deciso di lanciare la loro raccolta fondi online. Il sito, che prende una commissione del 16% su ogni donazione, ne conta più di mille. Le storie sono tutte uguali, con la loro parte di atrocità. La nostra dignità ci vieta di chiedere soldi, ma non avevo altra scelta che creare questo fondo”, dice. Qui a Gaza tutto è diventato inaccessibile, anche i beni di prima necessità. Ora che abbiamo esaurito i nostri risparmi, questa era l’unica soluzione per mantenere viva la speranza della mia famiglia”.

Come molte persone, Farah si è rivolta a un familiare che vive all’estero per raccogliere le donazioni ricevute sulla piattaforma, che copre solo 19 Paesi, principalmente in Occidente. Sebbene i suoi genitori abbiano ancora accesso al loro conto presso la Bank of Palestine, le restrizioni bancarie e la quantità limitata di contanti che circolano nella Striscia rendono molto difficile ricevere denaro. Per questo motivo la studentessa ha dovuto rivolgersi al cugino Mohammad, che ha lasciato Gaza circa dieci anni fa per andare in Canada, per ospitare il fondo. Egli è responsabile del trasferimento del denaro raccolto in Egitto, dove vivono altri parenti, una volta raggiunto un numero sufficiente di fondi. Dall’Egitto, questi intermediari verseranno il denaro a un’agenzia di viaggi, la Hala Travel, che negli anni ha ottenuto il monopolio di questo mercato lucrativo.

Se si esaminano le campagne partecipative, le variazioni dei prezzi esposti mostrano la portata di questo business noto come “tansiq” (coordinamento). Si tratta di un sistema informale, ma ormai istituzionalizzato, in base al quale i gazawi con passaporto attraversano il confine con il coordinamento delle guardie di frontiera egiziane, in cambio di una commissione. Ogni mattina, intorno alle 7, l’operazione consiste nel caricare circa 250 passeggeri, i cui nomi vengono annunciati all’ultimo momento su un’applicazione chiamata “Qurubat”, su un convoglio che attraversa il valico in direzione della capitale egiziana.

Si tratta di un mercato vampirizzato da Hala Travel, una delle tante società del Gruppo Organi, un vasto impero commerciale che prende il nome dal suo architetto Ibrahim el-Organi. Fedele seguace del presidente Sissi, che ha sostenuto nel suo colpo di Stato del 2013 come capo della milizia armata della tribù Tarabin, l'”uomo più ricco del Sinai” si è recentemente aggiudicato la gestione di un nuovo importante progetto edilizio attraverso un’altra delle sue società, Abna’ Sinai. Come rivelato dall’ONG Sinai Foundation for Human Rights, sono in costruzione diversi edifici lungo il confine con la Striscia di Gaza, tra i terminal di Rafah e Kerem Shalom. Il complesso, che sarebbe circondato da mura di cemento alte sette metri, potrebbe essere utilizzato per ospitare diverse migliaia di rifugiati palestinesi nel caso in cui l’Egitto dovesse far fronte a un esodo di massa di gazawi nel prossimo futuro.

Ma questa lenta evacuazione della popolazione dell’enclave non è una novità del 7 ottobre. All’epoca, l’agenzia offriva già collegamenti di sola andata per il Cairo dal terminal di Rafah a tariffe che variavano a seconda della buona volontà della compagnia e delle guardie di frontiera. Prima della guerra, lasciare Gaza era già una prova difficile, ma non quanto lo è oggi”, dice Mohammad el-Masri, un giornalista di Gaza. Per le donne, la procedura era più semplice: dovevano solo registrarsi in una lista d’attesa e, dopo un certo periodo di tempo, potevano partire. Gli uomini, invece, dovevano sempre passare per il “tansiq”. Il prezzo variava ogni mese, come il cambio di una valuta. Poteva scendere a 300 dollari e poi risalire a 1.500 dollari. Oggi le regole sono completamente cambiate: per ogni passaporto il prezzo è stato fissato a 7.000 dollari. Ma da quello che mi ha detto un amico appena partito, negli ultimi giorni è salito a 10.000″, conclude.

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“Sono sicuro che mi aiuterai a uscire da qui”.

Questi prezzi, terribilmente gonfiati dall’esplosione della domanda (e dall’avidità delle guardie di frontiera) saranno imposti anche a Younes*, 28 anni. Bloccato alle porte dell’Egitto, come molti altri, guarda le donazioni cadere nel suo conto virtuale, sperando che alla fine raggiungano il suo obiettivo: 17.000 dollari. Il resto servirà a coprire i costi di installazione una volta arrivato al Cairo, mentre organizza il resto del suo viaggio. “Prima di tutto, mi scuso per il mio pessimo inglese, ma sono sicuro che tutti voi capirete la mia storia e mi aiuterete ad andarmene da qui”, inizia il suo annuncio pubblicato su Gofundme con l’aiuto di un amico che vive in Europa. Se Younes raggiungerà il suo obiettivo, il denaro raccolto sarà trasferito a “un conoscente” con sede in Egitto che si occuperà di versare la somma a Hala Travel. “Ci vorrà quasi una settimana prima che registrino i nostri nomi al valico di Rafah e ci chiamino per il viaggio”, prevede Younes.

Ma con il passare dei giorni dalla sua pubblicazione, il 19 febbraio, gli appelli di Younes sono diventati sempre più urgenti. L’imminente offensiva su Rafah, dove si è rifugiato, sta mostrando i primi segni, e il suo fondo non decolla. “Ci hanno bombardato due giorni fa a 50 metri da noi”, racconta l’uomo che sostiene di aver perso tutto. Era il direttore di un noto ristorante di Gaza, sua moglie Noura* lavorava in un’azienda farmaceutica, due strutture ora completamente distrutte. Prima della guerra, la coppia stava progettando di acquistare un appartamento, per cui tutti i loro risparmi dovevano essere investiti. Abbastanza per garantire il loro futuro e creare una famiglia. Noura era incinta quando è iniziata la guerra. Ma la fame, la mancanza di acqua potabile e le disastrose condizioni igienico-sanitarie hanno avuto ripercussioni sulla salute della giovane donna. Durante un’operazione di emergenza, ha perso il bambino.

Da ottobre, la vita della coppia è stata una serie infinita di spostamenti dal nord al sud dell’enclave. “Siamo alla quarta evacuazione: dalla nostra casa a Gaza a Deir el-Balah, poi a Khan Younis e infine a Rafah”. Di fronte al valico di frontiera, Younes si è rifugiato in una tenda per strada e confida. “Nessuno ha ancora ricevuto uno stipendio; viviamo grazie all’aiuto di varie organizzazioni o di altri membri della famiglia. Al mercato nero i prezzi sono alle stelle: 5 dollari per una tavoletta di cioccolato, 15 per un chilo di cipolle, 22 per 250 grammi di caffè.

Tuttavia, le rare storie di palestinesi che sono riusciti ad attraversare il terminal di Rafah riempiono di speranza Younes. Come quelle di Ahmad, 39 anni, che avrebbe dovuto far parte del convoglio di venerdì scorso dopo aver pagato i 10.000 dollari richiesti dalle guardie di frontiera. Ma mentre immaginava che suo fratello fosse arrivato in un luogo sicuro, Mohammad è rimasto spiacevolmente sorpreso nell’apprendere che l’ultimo membro della sua famiglia stretta ancora bloccato a Gaza doveva ancora aspettare fino a domenica mattina. “Mi ha detto che gli egiziani non l’hanno fatto entrare all’ultimo momento quando è arrivato al valico e l’hanno riportato all’interno di Gaza”, si rammarica il cugino di Farah, che tuttavia spera che Farah e la sua famiglia possano di seguire le orme di Ahmad, la cui evacuazione è ancora “possibile”, secondo lui.

Per questo si impegna ogni giorno per attirare l’attenzione sulle grida di dolore della cugina: “Cerco di dare al fondo un po’ di visibilità pagando le pubblicità sui social network, ma non basta per farlo decollare”, si lamenta. Sono così tanti che spesso a fare la differenza è il numero di follower. È soprattutto grazie alla sua recente fama digitale che Shayma, 25 anni e 13.000 follower sulla rete X (ex Twitter), è riuscita a raccogliere oltre 70.000 sterline nel giro di due mesi. In teoria, ciò è sufficiente a garantire a lei e ad altri otto membri della sua famiglia un buono di uscita, in attesa del via libera di Hala Travel. Ora dobbiamo solo aspettare che i nostri nomi compaiano sulla lista”, dice felice. Se Dio vuole, presto attraverseremo il confine”.

* L’articolo può essere consultato nella lingua originale al link seguente di Orient Le Jour lorientlejour.com/article/1370…

** I nomi sono stati modificati

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#NotiziePerLaScuola
È disponibile il nuovo numero della newsletter del Ministero dell’Istruzione e del Merito

🔶 Ok al ddl sicurezza, Valditara: "Altro passo avanti per ripristinare cultura del rispetto"
🔶 Scuola, via libera ANAC agli istituti per ac…



strategic-culture.su/news/2024…


strategic-culture.su/news/2024…


«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si fermasse ai mezz'uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.

E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre." (Il giorno della civetta).

Secondo voi a che categoria appartiene, questa sottospecie di essere, così come la maggior parte dei politici UE/Nato?

ilpost.it/2024/02/28/macron-tr…



INDONESIA – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°24


INDONESIA – GLI E-BOOK DI CHINA FILES N°24 13275444
Il futuro del Sud-Est asiatico passa da Giacarta. Quale paese eredita l'ex generale Prabowo Subianto, da poco eletto alla presidenza? Un nuovo dossier dedicato all'Indonesia tra sfide presenti e opportunità future

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In Cina e Asia – Cina, almeno 500 milioni i cittadini di "classe media”


In Cina e Asia – Cina, almeno 500 milioni i cittadini di
I titoli di oggi: Cina, aumenta la pena per i casi di corruzione Cina, almeno 500 milioni i cittadini di “classe media” “Due sessioni”: il premier cinese non terrà conferenza stampa per la prima volta dal ’93 Crisi immobiliare, imprenditrice arrestata dopo aver chiesto al governo di Shuicheng di saldare il suo debito La banca centrale cinese alza il tetto ...

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GAZA. Delegazione italiana in Egitto: “Immediato cessate il fuoco e corridoi umanitari”


Operatori umanitari, rappresentanti di associazioni, giornalisti e parlamentari sono giunti al Cairo e arriveranno al valico di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza per chiedere di fermare i bombardamenti e far entrare gli aiuti umanitari. Intervista

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Pagine Esteri, 4 marzo 2024. La delegazione organizzata da AOI (Associazione Ong Italiane), insieme ad Arci e Assopace Palestina, è arrivata in Egitto per chiedere l’immediato “cessate il fuoco” e l’apertura di corridoi umanitari che consentano di portare aiuti e far uscire le persone che necessitano di cure e supporto. La delegazione, che comprende operatrici e operatori umanitari, giornalisti e parlamentari, arriverà al Valico di Rafah, al confine con la Striscia. Dal Cairo, Meri Calvelli, cooperante italiana che da anni porta avanti progetti di sviluppo a Gaza. Pagine Esteri
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Multinazionali e super ricchi si arricchiscono impoverendo tutti gli altri (di Chiara Brusini)
ilfattoquotidiano.it/2024/03/0…