EU Health Data Space on the finishing line: Will our health data be shared across Europe without giving us a say?
The final negotiations (trilogue) on the European Health Data Space are taking place in Brussels this evening. One of the negotiators, Pirate Party MEP and privacy expert Patrick Breyer, points to a potentially momentous last-minute change:
“The right of patients to object to cross-border access to their patient file (Article 8F(2)) is in danger of being removed. Any nationally created electronic health record could thus automatically be made available to foreign practitioners, authorities and researchers, among others. This is contrary to the interests and wishes of patients, only a minority of whom, according to a public opinion poll commissioned by consumer organisation BEUC, agree to cross-border access to their patient records. It also does not even come close to doing justice to the sensitivity of the data, which includes records on addictions, mental disorders, abortions, sexually transmitted diseases and reproductive disorders.”
Breyer also points out other sticking points in the negotiations:
“Depending on the outcome of the negotiations, you could see your sexually transmitted diseases and sexual disorders, impotence and infertility, abortions, addictions and mental illnesses transferred to health ministries, universities and health insurance companies – without any patient control, without a guaranteed right to opt-out or any requirement for consent, even for the most intimate conditions. The patient data could be accessible under a pseudonym and remain identifiable. Ultimately, this could mean the end of medical confidentiality and deterring patients from seeking urgently needed treatments for fear of stigmatisation, possibly even resulting in suicides. Profit interests could be blatantly prioritised over the interests of patients.
Independent certification of the security of European health data systems may not be required. And the storage of our patient records threatens to be permitted even outside Europe, for example in the USA.
Overall, EU governments and the EU Commission want to accumulate, interconnect and pass on the most sensitive patient records without wanting to guarantee patients’ control over their data. , ‘Anything goes, no obligations’ is not an approach that patients can trust. Without trust, a European Health Data Space cannot exist. According to surveys, more than 80% of EU citizens want to decide for themselves about the transfer of their patient records to third parties.”
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Le badilate sui denti prese dal cancelliere tedesco Scholz a cura del primo ministro della Malesia Anwar Ibrahim hanno una rilevanza storica.
Erano uno accanto all'altro in conferenza stampa e dopo i classici discorsi ipocriti e pieni di doppi standard che ostacolano la pace non solo in Palestina ma in tutto il mondo da parte di Scholz (il cancelliere più imbecille della storia tedesca), Anwar Ibrahim gli ha risposto così:
"Non è possibile trovare una soluzione essendo così unilaterali, guardando solo a una questione particolare e cancellando 60 anni di atrocità. La soluzione non è solo liberare gli ostaggi. E gli insediamenti? Che dire del comportamento dei coloni adesso? Continua ogni giorno! E l'espropriazione? La loro terra, il loro diritto, la loro dignità, i loro uomini, le loro donne, i loro figli? Questi non sono preoccupanti? Dove abbiamo buttato via la nostra umanità? Perché questa ipocrisia?" (Fonte)
Game, set, match!
T.me/GiuseppeSalamone
GAZA. Attacco a un magazzino dell’Unrwa, cinque palestinesi uccisi tra cui un 15enne
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della redazione
Pagine Esteri, 14 marzo 2024 – Un dipendente dell’Unrwa è rimasto ucciso e diversi altri feriti nell’attacco aereo israeliano di ieri ad un centro di distribuzione alimentare a Rafah, sul confine con l’Egitto. Nel raid sono rimaste uccise altre quattro persone, tra cui un ragazzo di 15 anni e un dirigente di Hamas, Mohammed Abu Hasna, l’obiettivo dell’attacco secondo il portavoce militare israeliano.
Dura la protesta di Philippe Lazzarini, il commissario generale dell’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi, che ha parlato di un attacco “contro uno dei pochi centri di distribuzione dell’Unrwa ancora aperti a Gaza mentre le scorte di cibo per la popolazione civile stanno terminando”. Il personale dell’Unrwa che si trovava nel magazzino ha riferito che i presenti stavano confezionando aiuti da consegnare a famiglie bisognose durante il mese di Ramadan quando sono esplosi due missili.
L’Unrwa riferisce che 165 suoi dipendenti sono morti nei bombardamenti israeliani nei cinque mesi di guerra e più di 400 persone sono state uccise mentre cercavano rifugio sotto la bandiera delle Nazioni Unite. Per Israele invece quella di ieri è stata una operazione mirata, che ha portato all’eliminazione un membro importante delle unità di combattimento di Hamas.
Nelle ultime 24 ore sono stati uccisi 69 palestinesi, in totale dal 7 ottobre sono 31.341.
Nel frattempo, i rapporti tra l’agenzia dell’Onu e lo Stato ebraico restano molto tesi. Israele accusa l’Unrwa di sostenere Hamas e alla fine di gennaio ha denunciato che 12 dipendenti dell’agenzia che avrebbero preso parte il 7 ottobre all’attacco del movimento islamico che ha causato circa 1200 morti israeliani. Subito dopo gli Usa e una ventina di paesi hanno sospeso i finanziamenti all’agenzia dell’Onu e Washington potrebbe non riprenderli più.
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Il #MIM festeggia l’evento dedicato alla costante matematica più famosa, con l’obiettivo di testimoniare il quotidiano impegno della scuola per sensibilizzare e avvicinare gli studenti allo stud…
Ministero dell'Istruzione
Anche quest’anno il #14marzo è dedicato al #PiGrecoDay. Il #MIM festeggia l’evento dedicato alla costante matematica più famosa, con l’obiettivo di testimoniare il quotidiano impegno della scuola per sensibilizzare e avvicinare gli studenti allo stud…Telegram
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GAZA. Lanci aerei e rotte marittime non sono alternative alla consegna degli aiuti via terra
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della redazione
Pagine Esteri, 14 marzo 2024 – Le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani presenti sul campo nella Striscia di Gaza ribadiscono che l’unico modo per soddisfare i bisogni umanitari senza precedenti nell’enclave è garantire un cessate il fuoco immediato e permanente e l’accesso umanitario completo, sicuro e senza ostacoli attraverso tutti i valichi terrestri. Gli Stati non possono nascondersi dietro i lanci aerei e gli sforzi per aprire un corridoio marittimo per creare l’illusione di fare abbastanza per sostenere i bisogni della popolazione di Gaza: la loro responsabilità primaria è prevenire il verificarsi di crimini atroci e applicare un’efficace pressione politica per porre fine agli incessanti bombardamenti e alle restrizioni che impediscono la consegna sicura degli aiuti umanitari.
Da mesi, ogni persona nella Striscia di Gaza sopravvive in una condizione di crisi alimentare e di fame che hanno raggiunto la percentuale più alta mai registrata dall’Integrated Food Security and Nutrition Phase Classification (IPC). Le famiglie bevono acqua non potabile da mesi e trascorrono giorni senza mangiare. Il sistema sanitario è crollato completamente tra epidemie e gravi danni dovuti ai continui bombardamenti. Almeno 20 bambini e bambine sono recentemente morti a causa di grave malnutrizione, disidratazione e malattie correlate. Poiché ogni giorno si assiste a un’accelerazione del deterioramento della situazione alimentare, idrica e sanitaria, altre morti per fame e malattie seguiranno se l’accesso umanitario continua a essere impedito dalle autorità israeliane. L’ONU ha avvertito che la carestia è imminente.
Mentre gli Stati hanno recentemente intensificato i lanci aerei di aiuti su Gaza, gli operatori umanitari sottolineano che questo metodo di consegna degli aiuti da solo non è in alcun modo in grado di soddisfare gli enormi bisogni nell’enclave. 2,3 milioni di persone che vivono in uno stato di sopravvivenza catastrofico non possono essere nutrite e curate tramite il lancio di aiuti dal cielo.
I lanci aerei non sono in grado di fornire le quantità di beni di assistenza che possono essere trasportati via terra. Mentre un convoglio di cinque camion ha la capacità di trasportare circa 100 tonnellate di aiuti salvavita, i recenti lanci aerei hanno consegnato solo poche tonnellate di aiuti ciascuno. I lanci aerei possono anche essere estremamente pericolosi per la vita dei civili in cerca di aiuto: ci sono già state segnalazioni di almeno cinque persone uccise dalla caduta libera di pacchi di aiuti a Gaza. L’assistenza umanitaria non può essere improvvisata: deve essere fornita da professionisti esperti nell’organizzazione delle distribuzioni e nella fornitura diretta di servizi salvavita. Le consegne di aiuti devono avere un volto umano: non solo per garantire un’adeguata valutazione dei bisogni delle persone colpite, ma anche per restituire speranza e dignità a una popolazione già traumatizzata e disperata. Dopo aver sopportato cinque mesi di continui bombardamenti e condizioni disumanizzanti, i bambini, le bambine, le donne e gli uomini di Gaza hanno diritto a qualcosa di più di una misera carità caduta dal cielo. Sebbene qualsiasi aiuto umanitario arrivi a Gaza sia benvenuto, il trasporto aereo o via mare dovrebbe essere visto come complementare al trasporto terrestre e non come sostituto, poiché non può in nessun caso sostituire l’assistenza fornita su strada.
È importante notare che alcuni degli Stati che hanno recentemente effettuato lanci aerei stanno anche fornendo armi alle autorità israeliane, nello specifico Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Gli Stati non possono sfruttare gli aiuti per eludere le loro responsabilità e doveri internazionali ai sensi del diritto internazionale, inclusa la prevenzione di crimini atroci. Affinché questi Stati possano rispettare i loro obblighi di diritto internazionale, devono fermare tutti i trasferimenti di armi che rischiano di essere utilizzate per la commissione di crimini internazionali, nonché attuare misure significative per imporre un cessate il fuoco immediato, un accesso umanitario illimitato e per accertare le responsabilità dei responsabili di tali crimini.
Alcuni Stati terzi hanno recentemente annunciato sforzi per aprire un corridoio marittimo da Cipro, compresa la creazione di un porto galleggiante sulla costa di Gaza che non sarà pienamente operativo prima di diverse settimane. Le famiglie stanno morendo di fame e non hanno il tempo di attendere la costruzione di infrastrutture offshore e terrestri: per salvare le loro vite è necessario consentire immediatamente l’ingresso dei camion umanitari pieni di cibo e medicine il cui ingresso a Gaza è attualmente bloccato. Inoltre, le spedizioni da questo molo ai punti di distribuzione nella Striscia di Gaza soffriranno degli stessi ostacoli che i convogli umanitari provenienti da Rafah stanno attualmente affrontando: persistente insicurezza, alto tasso di rifiuto dell’accesso da parte delle forze israeliane e attese eccessive ai checkpoint israeliani. Pertanto, la sua istituzione non cambierà sostanzialmente la catastrofica situazione umanitaria, a meno che non sia combinata con un cessate il fuoco immediato e un accesso completo e senza ostacoli a tutte le aree della Striscia di Gaza. Ci sono anche preoccupazioni per la mancanza di trasparenza su quale entità sarà responsabile delle infrastrutture e della sicurezza della consegna degli aiuti una volta a terra: gli Stati devono garantire che il corridoio marittimo non legittimi una prolungata occupazione militare terrestre israeliana della Striscia strumentalizzando la necessità di consegnare gli aiuti.
Riconosciamo che ogni aiuto è necessario in questo contesto terribile, ma mettiamo in guardia sulle potenziali conseguenze devastanti derivanti dalla creazione di pericolosi precedenti, che porterebbero al deterioramento dell’accesso umanitario via terra e al prolungamento delle ostilità. La risposta umanitaria adeguata agli enormi bisogni di Gaza è l’accesso illimitato agli aiuti e al personale umanitario esperto che sono stati pre-posizionati da mesi sul lato egiziano del confine. Finora, la possibilità per 2,3 milioni di persone a Gaza di mangiare, essere curate e di avere un tetto sopra la testa è stata discrezione esclusiva delle autorità israeliane: questa situazione non può rimanere incontrastata. Le organizzazioni umanitarie hanno la capacità logistica per provvedere ai Palestinesi di Gaza: ciò che manca è la volontà politica da parte degli attori statali di imporre l’accesso.
Ciò che le organizzazioni umanitarie si aspettano dai Paesi terzi è che essi usino urgentemente la loro influenza per un cessate il fuoco immediato e per obbligare le autorità israeliane a interrompere il blocco deliberato degli aiuti salvavita in tutte le parti della Striscia di Gaza, anche attraverso la piena apertura e la revoca delle restrizioni sui valichi di Rafah, Kerem Shalom/Karam Abu Salem, Erez/Beit Hanoun e Karni. Ricordiamo che un cessate il fuoco immediato e permanente è l’unica condizione per consentire il colossale aumento del flusso di aiuti umanitari necessario per alleviare la sofferenza di 2,3 milioni di persone nella Striscia di Gaza.
Firmatari:
Action Aid International
American Friends Service Committee
Amnesty International
AOI – Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale
CCFD-Terre Solidaire
CISS – Cooperazione Internazionale Sud Sud
DanChurch Aid
Danish House in Palestine
Danish Refugee Council
HelpAge International
Humanity & Inclusion – Handicap International
IM Swedish Development Partner
International Federation for Human Rights
INTERSOS
Medical Aid for Palestinians
Mennonite Central Committee
Médecins du Monde International Network / Doctors of the World
Médecins Sans Frontières France / Doctors Without Borders France
Oxfam
Plan International
Première Urgence Internationale
Secours Islamique France
Terre des Hommes Italy
War Child Alliance
Welfare Association
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In Cina e in Asia – TikTok a rischio espulsione dagli Stati Uniti. Il sì della Camera
TikTok a rischio espulsione dagli Stati Uniti
Prevenire i suicidi con la lotta all'inquinamento
A Pechino si è tenuto l’ottavo dialogo Cina-Nato sulla politica di sicurezza
Cina, Iran e Russia impegnate in esercitazioni navali congiunte nel Golfo dell’Oman
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Weekly Chronicles #67
Questo è il numero #67 di Privacy Chronicles, la newsletter che ti spiega l’Era Digitale: sorveglianza di massa e privacy, sicurezza dei dati, nuove tecnologie e molto altro.
Cronache della settimana
- Le nuove automobili sono una miniera di dati (i tuoi)
- Dove vai di bello?
- Incognito Market ricatta i suoi utenti
Lettere Libertarie
- Le lezioni di Rand e Orwell
Rubrica OpSec
- Smalto per le unghie e OpSec
Le nuove automobili sono una miniera di dati (i tuoi)
Nel corso dello scorso anno hai frenato bruscamente 37 volte, per 15 volte hai parcheggiato per più di 4 ore in zone pericolose della tua città e in ben 192 episodi hai superato i limiti di velocità. Per questo, la tua assicurazione auto aumenterà del 30%.
Nessuno lo dice, ma ben presto sarà una realtà diffusa e normale. È quello che accade nel nuovo mercato digitale dei dati del settore automotive. Le auto moderne sono strumenti di estrazione dati con le ruote che raccolgono un quantitativo enorme d’informazioni su chi vi siede all’interno. Alcuni marchi sono peggio degli altri, ma tutti ormai sono ben lanciati.
Per ora gli effetti collaterali di questa sorveglianza di massa su ruote sono noti soltanto a coloro che hanno l’abitudine di condividere volontariamente dati con l’assicurazione per diminuire (o aumentare) il premio.
Dagli Stati Uniti, che come al solito guidano l’avanzata, ci sono già casi di persone che hanno ricevuto aumenti dell’assicurazione in base al loro stile di guida. Il fenomeno non è passato inosservato anche ai piani alti, tanto che il 27 febbraio il senatore Edward Markey ha scritto una lettera alla Federal Trade Commission per chiedere l’inizio di un’istruttoria in merito ai dati raccolti dai produttori d’auto (e poi venduti al miglior offerente).
Nella lettera, si legge: […] from the basic functioning of different vehicle features to realtime location information to biometric information, carmakers now have access to a wide variety of sensitive data on drivers and passengers. Auxiliary devices from smartphones to sensors for insurance purposes may also share data directly with vehicles.
La questione privacy e automobili non è solo legata al mercato: conosciamo almeno un esperimento italiano, quello di Move-In a Milano, in cui lo Stato ha obbligato decine di migliaia di persone a installare una scatola nera sulla propria auto per “limitare l’inquinamento”. E se gli stessi dati che oggi sono usati per aumentare il premio assicurativo, saranno poi sfruttati per vietarci di circolare, o per introdurre qualche tassa sullo stile di guida inquinante?
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Dove vai di bello?
E se le automobili sono una miniera di dati, così anche lo sono le strade che percorriamo ogni giorno. Quante telecamere incrociamo nel tragitto casa-lavoro? Sarebbe interessante iniziare a contarle. Probabilmente neanche gli impiegati comunali e i vigili urbani lo sanno.
In Svizzera, ad esempio, hanno perso il conto delle nuove telecamere per la ricerca automatizzata di veicoli e per il monitoraggio del traffico. Sembra però, secondo un recente articolo, che ce ne siano parecchie nelle zone di confine.
Gli intermediari di dati svedesi rivendicano la protezione legale dei giornalisti per eludere la normativa UE Grazie a una scappatoia nella legge nazionale, gli intermediari di dati possono esentare la loro attività dalla legge sulla privacy dell'UE. Ciò consente la vendita incontrollata dei dati personali di milioni di persone in Svezia
ANCHE L’ITALIA IN UNA ATTIVITÀ EUROPEA CONTRO GLI ABUSI SESSUALI VERSO MINORI
Sulla base di tecniche investigative condivise e acquisite in un seminario didattico sostenuto da #Europol, 57 uomini sospettati di possedere e condividere raffigurazioni di abusi sessuali su minori sono stati arrestati e diversi bambini sono stati protetti da abusi fisici o potenziali. La formazione e l'azione successiva, organizzata nell'ambito dell'EMPACT, si sono svolte nel settembre 2023, ed i dettagli sono stati rilasciati solo ora.
La Danimarca ha ospitato agenti delle forze dell'ordine di 27 paesi europei (Italia compresa) per un corso di formazione su come indagare sulle immagini di abusi sessuali su minori distribuite tramite reti di condivisione di file.
Gli agenti hanno imparato come condurre indagini mirate contro autori sospettati di aver abusato dei propri figli o almeno di possedere e distribuire materiale raffigurante abusi sessuali su minori. Nel corso dell'azione sono stati sequestrati oltre 100.000 fascicoli illegali. Poiché l’esame forense dei dispositivi digitali sequestrati è ancora in corso, gli investigatori stimano che un totale di oltre un milione di immagini e video verranno ritrovati e confiscati.
La formazione è stata tenuta da investigatori esperti e si è concentrata su come utilizzare varie reti di condivisione di file per cercare autori di reati che possiedono e distribuiscono materiale raffigurante abusi sessuali su minori.
Un altro scopo era quello di scoprire se gli autori del reato fossero in possesso di materiale testuale come manuali pedofili sull'adescamento o sull'abuso sessuale sui bambini.
Gli uomini arrestati in questa attività per aver scaricato e diffuso materiale pedopornografico hanno utilizzato la connessione #peer-to-peer. Le reti peer (P2P) individuate provengono da usuari di tutti i ceti sociali, di età compresa tra 23 e 72 anni. Quattro dei sospettati sono insegnanti di scuola e un sospettato lavora con bambini disabili, il che rende ancora più significativo questo sforzo di applicazione della legge.
Europol classifica gli autori di reati che possiedono o distribuiscono materiale raffigurante abusi sessuali su minori e contemporaneamente possiedono manuali su come commettere abusi sessuali, come obiettivi di alto valore. Ciò perché si presume che siano i più propensi ad abusare fisicamente dei bambini.
Le 57 indagini nazionali sui crimini commessi dalle persone arrestate costituiranno anche un punto di partenza per ulteriori azioni di contrasto, con ulteriori arresti e sequestri previsti in tutta Europa. Europol ha facilitato lo scambio di informazioni tra tutti i paesi coinvolti e ha ulteriormente migliorato il quadro operativo attraverso controllare i dati sequestrati e fornire pacchetti di intelligence per proseguire il lavoro investigativo.
Alcuni dei sospettati arrestati avevano accesso diretto ai bambini attraverso la loro professione, mentre dieci sospettati hanno figli propri. Almeno un bambino è stato salvato da abusi fisici in corso, gli altri bambini possono essere considerati salvaguardati da potenziali abusi.
Le forze dell’ordine europee, in collaborazione con i partner pertinenti tramite #EMPACT, si concentrano sulla lotta alla distribuzione e al possesso di materiale abusivo sulle reti di file sharing.
Attraverso l’iniziativa #Police2Peer, i file che appaiono come materiale pedopornografico vengono messi a disposizione di coloro che lo cercano, dissipando l’illusione della “sicurezza nei numeri” sulle reti peer-to-peer. Ciò significa che l'iniziativa Police2Peer sta facendo esattamente ciò che suggerisce il nome: la polizia sta mettendo a disposizione di coloro che lo cercano file che sembrano essere materiale pedopornografico e provenienti da un'altra persona con un interesse sessuale simile nei confronti dei bambini. Una volta che qualcuno inizia a scaricare quello che sembra essere un file di abuso o rende disponibili i propri file illegali sulla rete, saremo lì per condividere i nostri file con loro. Questi file non sono materiale pedopornografico, anche se sembra che lo siano: sono file senza alcun contenuto o file che raffigurano agenti di polizia di alcuni dei nostri paesi partner, che informano chi li scarica dei rischi che stanno correndo. Questi file, sebbene sembrino contenere contenuti illeciti, sono chiari avvertimenti o mostrano agenti di polizia di paesi partner, sottolineando che gli utenti che condividono materiale abusivo non sono né sicuri né irrintracciabili. Inoltre, la campagna di prevenzione #SayNo! di Europol, diffusa in oltre 30 paesi, educa genitori, bambini, e insegnanti sui rischi online e fornisce indicazioni sulle misure di segnalazione e prevenzione. Il link al filmato promozionale di Say No! sulla rete INVIDIOUS qui: inv.vern.cc/watch?v=f4PXcAjRgt…
Paesi partecipanti all’attività di formazione ed operativa: Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca (capofila del progetto), Estonia, Finlandia, Francia (co-leader dell'azione), Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia (co-leader dell'azione), Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Islanda, Macedonia del Nord, Norvegia, Svizzera, Ucraina
Don’t Forget: FediForum is Coming Soon!
The Fediverse’s favorite unconference, FediForum, is happening on March 18th and 19th. It’s a wonderful opportunity for community members, developers, designers, and builders to come together to share what they’ve been working on, and how to deal with various challenges in the space. Attendees are encouraged to break out into discussions, share their insights, and consider other perspectives.
Themes for FediForum March 2024
Judging from the list of proposed subjects, it’s easy to spot a few recurring themes:
- Trust & Safety – Tooling, Moderator Resources, Moderation and Governance, Regulatory Challenges
- Demos – NodeBB, Distributed.Press, PieFed, ActivityPods, Sora
- Standards – Interoperability, Protocol Extensions, Different flavors of ActivityPub like RDFpub
- Identity – DIDs, Ownership, Identity Re-use across services, identity attestation/verification
Live Coverage
We want to try to do something different for this FediForum: treat it like an Apple WWDC event. We’re going to attempt live coverage of the talks, demos, and events during the two-day unconference. The goal is to provide an insight into major developments happening across the Fediverse, with an emphasis on ideas and initiatives to help make the network better.
We’re currently experimenting with some tools to make it possible, but we think that there will be a lot of big presentations that need to be covered. Keep an eye on our site next week during the conference!
Tickets are Still Available!
You can still hop over to the FediForum site and order tickets to attend. The following pricing tiers are below:
- General Ticket – $40
- Almost Free Ticket – $199
- Contributor Ticket – $100
- Platform Employee Ticket – $250
If you have the funds to spare, we highly encourage going with the $100 Contributor Ticket. This helps offset the cost of $1.99 Almost Free Tickets for attendees that might not be able to attend otherwise.
We can’t wait to see what everyone has to share next week! Join us if you’re able, and check in on We Distribute next week for live coverage of event discussions.
The post Don’t Forget: FediForum is Coming Soon! appeared first on We Distribute.
Pirates on the European Media Freedom Act: Criticism must not be silenced
Today, the Members of the European Parliament adopted the Media Freedom Act. The rules drawn up are intended to better protect journalists from arbitrary content removal on platforms such as Facebook and Twitter and from spyware attacks such as those carried out using the Pegasus software. Pirate MEPs voted in favour of the law, but criticise the lack of a ban on spying on journalists.
Pirate Party MEP Patrick Breyer comments:
“The Media Freedom Act is a milestone in the protection of journalists in Europe. Countries like Hungary in particular, where there is hardly any critical press left, urgently need it. The fact that spying on journalists’ mobile phones with spyware remains explicitly possible is unworthy of a democracy in which freedom of the press is guaranteed. However, the EU lacks the competence to stop the hacking of journalists’ mobile phones under the guise of protecting national security.
The planned European body for media services is, worryingly, supposed to coordinate ‘measures against foreign media’. However, if we start cutting off our own citizens’ access to foreign sources of information and censoring foreign media, I believe this is not compatible with the principles of a free country and a responsible citizen. The EU Media Freedom Act also fails to protect legal media content from platform censorship. This means that the arbitrary terms and conditions of social media companies take precedence over the freedom of the press.
To summarise, this media freedom law means inadequate but significantly stronger protection of the free media as a pillar of our democracy.”
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FPF Statement on the adoption of the EU AI Act
“Today the European Union adopted the EU AI Act at the end of a long and intense legislative process. At the Future of Privacy Forum we believe that multistakeholder global approaches and advancing common understanding in the area of AI governance are key to ensuring a future with safe and trustworthy AI, one that protects fundamental rights while promoting innovation to benefit society.
The EU AI Act is a comprehensive, binding law, with broad extraterritorial effect and is therefore poised to play a crucial role in the global debate on AI regulation. We welcome the openness and foresight of the European Union’s lawmakers to adopt a definition of AI systems that is interoperable with that proposed by the OECD.
At the same time, we acknowledge the long and complicated road ahead to make the provisions of the EU AI Act effective in practice. With personal data playing a key role in the development and deployment of AI systems, we at the Future of Privacy Forum are paying particular attention to how privacy and data protection norms around the world interact with AI governance frameworks such as the EU AI Act. We will continue to explore this complicated question with research, convenings, and evidence-based tools related to AI governance.”
Jules Polonetsky, CEO of the Future of Privacy Forum
For a list of existing FPF Resources on the EU AI Act, see our new dedicated webpage.
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Pirates: AI Act fails to protect citizens’ rights
Today, MEPs shall approve the outcome of the trilogue negotiations on the Artificial Intelligence Act (AI Act), establishing new rules that shall regulate the use of artificial intelligence in the EU for the first time. Sadly, the European Parliament’s position aiming for a comprehensive ban on biometric mass surveillance technologies was completely changed during the intransparent trilogue negotiations. The new law will now effectively allow law enforcement the introduction of error-prone facial surveillance and facial recognition camera software in public spaces. Therefore, Pirate Party MEPs won’t be able to support the text and will vote agai
Patrick Breyer, Member of the European Parliament for the German Pirate Party, comments:
“The European Parliament set out to ban biometric mass surveillance in Europe, but is ending up legitimising it. Chilling monitoring of our behaviour and ubiquitous real-time face surveillance in public spaces, error-prone biometric identification used on CCTV recordings even for petty offences, racial classification of persons, unscientific AI ‚video lie detector‘ technology – none of these dystopian technologies will be off limits for EU governments, including illiberal governments such as Hungary’s. Rather than protecting us from these authoritarian instruments, the AI Act provides an instruction manual for governments to roll out biometric mass surveillance in Europe. As important as it is to regulate AI technology, defending our democracy against being turned into a high-tech surveillance state is not negotiable for us Pirates.”
Marcel Kolaja, Member and Quaestor of the European Parliament for the Czech Pirate Party and the opinion rapporteur of the AI Act in the Culture and Education Committee (CULT), comments:
“The AI Act is a disappointment to me. There is a clear need for rules on artificial intelligence. However, the current form that has emerged from the negotiations with national governments falls short of what it should have done. The national governments have inserted a section that de facto creates a legal framework for widespread snooping on people by biometric cameras. Such cameras, equipped with artificial intelligence, are able to recognise people’s faces and thus keep track of who has been where, when, and with whom. The AI Act should have banned such an Orwellian tool, but instead it explicitly legalises it. That’s an invasion of privacy that Pirates will never raise a hand for. It’s a shame, because the AI Act has also its positives. I’m for example glad that I was able to negotiate rules for so-called e-proctoring. Programs that are used to check on students when they take exams online. If the artificial intelligence is poorly trained, it can evaluate, for example, noise from the hallway in a dorm as cheating. Given the impact this can have on a young person’s life, it’s worth keeping an eye on and making sure the program works as it should. Unfortunately, in the end, when it comes to the AI Act, the negatives outweigh the positives.”
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LIBANO. Israele incrementa gli attacchi e si avvia all’escalation
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Pagine Esteri, 13 marzo 2024. Per due giorni consecutivi le forze armate israeliane hanno compiuto attacchi nella Valle di Bekaa, in Libano, molto lontano dal confine. Lunedì gli aerei da guerra si sono allontanati per centinaia di chilometri dalla frontiera israeliana, uccidendo un civile e ferendone almeno altri 8 a Baalbek.
In risposta all’attacco, Hezbollah ha lanciato più di 100 razzi Katyusha verso il nord di Israele, senza causare feriti.
Il giorno successivo, martedì, Israele è tornato a colpire il Libano orientale, a Baalbek, uccidendo due membri di Hezbollah e causando danni a strutture militari in diverse località, nella città di Sarin e quella di Nabi Sheet. Hezbollah ha risposto con diversi attacchi ai siti israeliani tra cui Birkat Risha e la caserma Zarit.
Questa mattina l’esercito israeliano ha guidato un drone fino alla zona del campo profughi palestinese di Rashdiyeh, a sud di Tiro, colpendo un’automobile privata che percorreva la strada che collega Tiro a Naqoura, nel sud del Libano. Secondo fonti libanesi tutti i passeggeri sono rimasti uccisi.
La Valle della Bekaa era già stata colpita da Israele il 26 febbraio. Mentre l’attacco di droni del 2 gennaio ha raggiunto la capitale libanese, Beirut, uccidendo in maniera mirata un leader di Hamas.
I continui attacchi israeliani, sempre più in profondità oltre la zona di confine, rappresentano una pericolosa escalation nella guerra con il Libano, che al momento ha ucciso in Libano più di 200 combattenti di Hezbollah e circa 50 civili, in Israele circa dodici soldati e sei civili.
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In Cina e Asia – Pinduoduo accusata di sorvegliare gli ex dipendenti
Pinduoduo accusata di sorvegliare gli ex dipendenti
Cina, mancati i target di decarbonizzazione per il 2023
Pechino contro il fondo Usa a supporto di Taiwan
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📌 Il #MIM in collaborazione con l'Associazione Internazionale dei Cavalieri del Turismo promuove, per l'edizione dell'anno scolastico 2023/2024, il bando di concorso "Immagina il tuo futuro!" per il XX° Premio annuale delle profe…
Ministero dell'Istruzione
#NotiziePerLaScuola 📌 Il #MIM in collaborazione con l'Associazione Internazionale dei Cavalieri del Turismo promuove, per l'edizione dell'anno scolastico 2023/2024, il bando di concorso "Immagina il tuo futuro!" per il XX° Premio annuale delle profe…Telegram
STORIA. Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (terza parte)
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(Foto: Gerusalemme, alcune delle oltre 200 delegate palestinesi del primo Congresso delle Donne Arabe (1929) che organizzano una spettacolare manifestazione a bordo di una serie di automobili per farsi portare in giro per la città a consegnare le loro risoluzioni sulla causa nazionale a vari consolati stranieri, ovvero per chiedere l’indipendenza della Palestina).
di Patrizia Zanelli* –
Pagine Esteri, 13 marzo 2024. Visto in prospettiva sia femminista che nazionalista, l’Ottocento sarà un secolo molto complesso: purtroppo la promettente rinascita culturale palestinese sarà man mano accompagnata dai fattori fondamentali che sfoceranno nella catastrofe del 1948.
La Palestina fu invasa dalle truppe di Napoleone Bonaparte, nel 1799, e dall’Egitto di Muhammad Ali Pascià, nel 1831; entrambe le occupazioni, la francese – la prima dopo le crociate –, durata circa un anno, e l’egiziana che, invece, durò fino al 1839, furono contrastate da rivolte popolari; un’altra, avvenuta nel 1825-1826, era contro gli ottomani. Sanbar spiega che i palestinesi non sopportavano di essere sfruttati da nessuna forza esterna, soprattutto l’implicata eccessiva tassazione dei terreni; e avevano capito sin dall’invasione napoleonica, la quale era stata traumatizzante, che rischiavano di subire una colonizzazione. Muhammad Ali, inoltre, per favorire il proprio espansionismo nell’Impero ottomano, permise agli Stati occidentali di stabilire consolati in Palestina, distinguendola così dal resto della Grande Siria, in arabo Bilād al-Shām (“la regione situata a Nord della Penisola Arabica”). Questa scelta serviva ad attirare l’attenzione delle potenze europee; i francesi, che avevano occupato l’Egitto dal 1798 al 1801, stavano progettando lo scavo di un canale attraverso l’Istmo di Suez, progetto che interessava ancor più agli inglesi per i loro collegamenti commerciali con le Indie orientali. La succitata combinazione di posizione geografica strategica e geografia sacra era sempre stata pericolosa per le sorti della Palestina e della gente del paese, affacciato sul Mediterraneo e sul Mar Rosso. L’occupazione egiziana, che aveva traumatizzato la società palestinese, infatti, fu uno dei primi fattori destinati a portare alla Nakba.
→ Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (seconda parte)
Masalha, Sanbar e altri storici, come Lorenzo Kamel [12], spiegano che, appunto negli anni 1830, per difendere gli interessi imperiali della Corona britannica, Henry John Temple Palmerson (1784-1865), ultraconservatore del partito Tory e allora segretario di Stato per gli affari esteri del Regno Unito, iniziò a progettare una sostituzione etnica in Palestina, dove “far tornare gli ebrei dopo un millenario esilio”. Questo enunciato millenaristico, riferito agli ashkenaziti, serviva a dare alle ambizioni coloniali della Gran Bretagna nel Vicino Oriente la parvenza di una missione messianica in Terra Santa. Palmerson era, però, stato ispirato da Anthony Ashley-Cooper Shaftesbury (1801-1885), fondatore del sionismo cristiano protestante in Inghilterra e inventore dello slogan: “Un paese senza una nazione per una nazione senza un paese” (che ispirerà un mito fondante sionista ebraico: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”). Londra agì su più fronti per presentare il nuovo progetto imperialista britannico come la premessa alla realizzazione della profezia del ritorno del Messia, contenuta nel Libro di Daniele. Per attuare il loro piano di sostituzione etnica in Palestina, Palmerson e Shaftesbury ottennero subito l’appoggio delle lobby protestanti inglesi. Nel 1838, l’Inghilterra stabilì il proprio consolato – il primo dell’Occidente – a Gerusalemme.
Contestualmente, spiega Sanbar, Londra iniziò a instillare nell’immaginario collettivo occidentale l’immagine di una Palestina spopolata e, dunque, a negare l’esistenza palestinese. Il paesaggio del paese, notoriamente da sempre agricolo e verdeggiante, fu rappresentato, in opere d’arte europee dai titoli richiamanti narrazioni bibliche, come un deserto, in certi casi, ravvivato da poche figure di nomadi beduini in sosta presso un rudere. Immagini del genere, incluse in opuscoli pubblicitari circolati in Occidente per giustificare la progettata colonizzazione britannica della Palestina, portavano i primi viaggiatori occidentali che la visitavano a rimanere delusi. Scoprivano il paese vero, bellissimo con le città e le campagne abitate dai palestinesi, però rifiutavano mentalmente di vedere la realtà che vedevano. Orientalisti, geografi, biblisti e archeologi europei, russi e nord americani, animati dall’evangelismo, soggiornavano in Palestina per compiere le loro ricerche; per loro, i palestinesi cristiani non erano veri cristiani, perché assomigliavano ai musulmani e agli ebrei, altrettanto autoctoni. Alcuni pubblicarono resoconti di viaggio in cui descrivono, per esempio, il paesaggio pieno di aranceti e uliveti lungo il tragitto dal porto di Acri o di Giaffa fino a Gerusalemme, e ricordano le emozioni che avevano provato scorgendo da lontano le mura della città, ravvivata dai cipressi e dalla Cupola della Roccia d’epoca omayyade; parlano solo delle tracce di un passato glorioso, e come se la gente del paese non esistesse o vivesse ancora ai tempi della Bibbia.
→ Il femminismo panarabo e l’identità palestinese (prima parte)
Nacque e si diffuse così, in Europa, Canada e Stati Uniti, un tipo di etnocentrismo bianco particolarmente aggressivo verso le donne e gli uomini palestinesi, la cui esistenza veniva negata o disumanizzata, perché la loro espulsione dalla Palestina accadesse nella totale indifferenza dell’Occidente, acciecato non tanto dall’islamofobia quanto dall’antiarabismo. In testi scritti in questo periodo da autori inglesi o americani – tra cui The Innocents Abroad (1867) di Mark Twain (1835-1910), un esempio di etnicismo velato da ironia [13] –, per descrivere la Terra Santa, infatti, l’Islam non è neppure menzionato; i palestinesi sì e sono indicati con il loro nome (the Palestinians) ma definiti “arabi” (Arabs) a scopo di diffamazione su base etnica.
Secondo il preconcetto orientalistico, la parola “arabo” rinvia allo stereotipo del beduino rozzo, sanguinario e allo stesso tempo ingenuo, nonché al suo luogo d’origine, la Penisola Arabica, l’ambiente naturale desertico in cui dovrebbe restare o tornare se vive in Occidente. In Palestina, nacque un fenomeno paradossale: la combinazione di etnicismo e xenofobia manifestata da viaggiatori e residenti stranieri occidentali verso la popolazione autoctona palestinese, che trattavano come un gruppo umano straniero nella sua patria, cioè il paese che ospitava loro. Dunque, l’antipalestinismo fu innescato quasi due secoli fa dall’Europa colonialista cristiana, Inghilterra in testa, mentre cercava di conquistare il Vicino Oriente, per ovvi interessi economici, operando una strumentalizzazione politica delle religioni, destinata a portare alla Nakba.
Intanto, sin dalla guerra di Crimea (1853-1856) la combinazione di povertà, sacralità e lotte di potere tra i notabili locali urbani – che, con le Tanẓīmāt, erano più ricchi ma meno autonomi rispetto al passato, poiché da signori feudali erano diventati governatori di distretti amministrativi in qualità di funzionari dello Stato ottomano – aveva reso la Palestina uno spazio-obiettivo per eccellenza, e la società palestinese un bersaglio preso di mira per la sua arabicità. La competizione nata subito tra le scuole missionarie occidentali, ognuna impegnata a migliorare la propria offerta didattica, secondo la ben nota legge della concorrenza, rifletteva di fatto le rivalità esistenti tra le potenze europee, tutte bramose di condurre una “crociata pacifica” in Terra Santa, da redimere dall’Islam e restituire alla cristianità, e pronte a tutelare tramite i loro rispettivi consoli “le minoranze non musulmane autoctone e straniere”.
I francesi e i russi si proclamarono rispettivamente protettori dei cattolici e dei greco-ortodossi. Gli inglesi, invece, non avendo una comunità protestante da proteggere, avevano anticipato i loro rivali – troppi da sconfiggere –, stabilendo appunto, nel 1838, il proprio consolato a Gerusalemme e, nel 1841, insieme alla Prussia la sede dell’episcopato anglo-prussiano, quale rappresentanza del protestantesimo. Il console britannico – nominato da Palmerson – pose sotto la propria protezione gli immigrati ebrei, giunti in Palestina dall’Europa orientale, per sfuggire ai pogrom zaristi a partire dal 1830. Influenzato dal sionismo cristiano, sottopose questi rifugiati ashkenaziti a una “restaurazione”, obbligandoli a convertirsi al cristianesimo. Questa scelta di Londra fu l’inaugurazione di una lunga stagione che porterà alla Dichiarazione Balfour. Gli inglesi non proteggevano infatti gli ebrei sefarditi autoctoni, cioè palestinesi; li ignoravano tutti gli occidentali.
In effetti, spiega Sanbar, dal 1830 in poi l’Europa orientale, area dei pogrom zaristi, aveva riversato – e continuerà a riversare – sue porzioni di rifugiati ashkenaziti in Palestina (obiettivo indiretto della guerra di Crimea). Quell’abominio antiebraico, scatenatosi in concomitanza con la crisi dell’Impero ottomano, era stato visto dai millenaristi come un segno dei tempi, che preannunciava il ritorno del Messia, credenza sfruttata appunto da Londra per il proprio progetto imperialista nel Vicino Oriente. Influenzato da Shaftesbury, Palmerson aveva perciò stabilito il consolato britannico a Gerusalemme, nel 1838, data che si può considerare come l’inizio ufficiale del lungo processo che porterà alla Nakba. In estrema sintesi: un intreccio davvero molto articolato di interessi politico-economici locali, regionali e internazionali, di “sogni cristiani occidentali” e di vari ultranazionalismi, sfocerà a distanza di oltre un secolo nella catastrofe abbattutasi sul popolo palestinese nel 1948.
Tornando alla seconda metà dell’Ottocento, Francia, Inghilterra e Russia, rivali e al contempo alleate, cercavano di colpire indirettamente l’Impero Ottomano, sperando di sfruttare le contraddizioni interne della Palestina, cause di malcontento tra la popolazione. Ma scoprivano puntualmente di avere nutrito vane speranze, perché non conoscevano la società palestinese che, oltre a essere sempre stata unita sul piano interconfessionale, si stava modernizzando e voleva liberarsi dalla dipendenza da forze esterne.
Modernizzazione dovuta anche al fatto che, nell’Ottocento, la Palestina non era tanto meta di pellegrinaggi quanto di altri tipi di viaggi; in molti casi si trattava di un turismo culturale legato all’orientalismo, tipico del Romanticismo. Turisti visitavano il paese, per ammirarne le bellezze, letterati, pittori, scultori e fotografi, per immortalarle. Ma alcuni di questi ultimi, nota Fleischmann, erano produttori della fotografia pornografica richiesta in Occidente; per scoprire l’Oriente misterioso, puntavano spesso lo sguardo lascivo e l’obiettivo della macchina fotografica sul seno di una contadina intenta ad allattare il proprio bambino, una scena normale nelle aree rurali, che di solito nessuno osava scrutare; l’immagine della maternità era avvolta da un alone di sacralità, e una madre considerata sacra. Era un fenomeno culturale diffuso nel mondo arabo e non solo, un segno di rispetto per la vita materna e dell’infanzia. Gli uomini e le donne occidentali, invece, il personale dei consolati e perfino delle missioni cristiane disumanizzavano le palestinesi, con cui non sapevano neppure comunicare; le giudicavano soltanto per com’erano vestite, esprimendo su loro giudizi intrisi di preconcetti orientalistici, di etnocentrismo bianco.
D’altro canto, il turismo di certo favoriva sia la Nahḍa che la crescita economica della Palestina. Nella società urbana palestinese stava infatti emergendo una nuova borghesia, formata da professionisti – perlopiù avvocati, docenti e medici – e da titolari di imprese artigianali, talune specializzate nella produzione di souvenir dei luoghi sacri del cristianismo e di altri prodotti turistici. Altri sviluppi economici stavano avvenendo anche in campo agricolo. Grazie alla presenza del porto moderno e all’aumento della tradizionale produzione agrumaria – specialmente delle arance Shamouti dalla buccia resistente e quindi facili da trasportare –, Giaffa era ormai uno dei principali centri commerciali del Mediterraneo e uno scalo importante per navi passeggeri provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti; era la città più progressista del paese e sarà sede di una delle associazioni più rappresentative della Nahḍa femminile palestinese.
La pianura costiera, fertile e bagnata dalle piogge, da sempre la parte economicamente più sviluppata della Palestina, attirava commercianti occidentali, favoriti dal sistema delle Capitolazioni ancora in vigore nell’Impero ottomano. Dunque, il Sultano continuava a concedere privilegi economici, giuridici e fiscali agli stranieri, e a suscitare il malcontento tra i propri sudditi, specialmente nei paesi arabi, dove i crescenti sentimenti anti-imperialisti stavano generando nazionalismi territoriali locali e si stava già teorizzando il panarabismo, teorizzato in primis da cristiani dell’area siro-libanese, culla della Nahḍa, ma reduce di una guerra civile interconfessionale, esplosa nel Monte Libano nel 1860. Appartenendo a una minoranza religiosa, erano ovviamente i più interessati a creare un’ideologia secolare in grado di unire gli arabi; assunsero l’arabofonia quale elemento principale dell’arabicità (‘urūba), reinterpretandola in senso moderno, per definire l’identità della “nazione araba”.
Le Tanẓīmāt, inoltre, erano state concepite per rafforzare e centralizzare il potere dello Stato ottomano tramite la modernizzazione istituzionale, con la conseguente necessità di nuove risorse finanziarie. Due leggi servivano in pratica a snellire il sistema di riscossione fiscale e aumentare la tassazione già pesante sulle proprietà fondiarie, la quale strangolava le economie locali dei territori situati al di fuori della Turchia (e avrà gravi conseguenze in Palestina). Inutili furono, perciò, le riforme di stampo liberale europeo, inclusa una costituzione promulgata nel 1876 e presto abrogata, adottate dal Sultano per ottenere il consenso popolare in tutto l’Impero e frenare gli indipendentismi che lo stavano sfaldando.
D’altro lato, in termini di modelli di modernità e libertà, la presenza occidentale in Palestina stava di certo cambiando la vita tradizionale delle palestinesi, riguardo alla quale Fleischmann riferisce che, in un’intervista pubblicata negli anni ‘60, l’avvocato e attivista gerosolimitano Musa al-Alami (1897-1984), uno dei teorici della palestinesità, ricorda che sua madre “si ammazzava di lavoro”, soprattutto nei giorni in cui doveva preparare lauti pasti per grandi comitive di ospiti, secondo la ben nota cultura dell’ospitalità araba. Vivendo quasi sempre secluse in casa, le donne sposate dell’alta borghesia e del ceto medio lavoravano dalla mattina alla sera e gestivano l’intero ménage domestico. Se una moglie era più ricca di suo marito, riceveva comunque da lui la dote matrimoniale che andava ad aggiungersi al suo patrimonio personale. L’unico caso di parità di genere previsto dal sistema giuridico islamico riguarda infatti il diritto alla proprietà privata, riconosciuto appunto alle persone di ambedue i sessi sin dalla nascita; in materia di eredità, invece, alle eredi femmine spetta molto meno che ai maschi.
In Palestina, i matrimoni venivano combinati dagli uomini delle famiglie degli sposi, spesso in base a reciproci interessi economici e/o di potere politico. Le madri, invece, sceglievano la sposa e lo sposo, di solito sia l’una che l’altro erano molto giovani. Un marito musulmano poteva facilmente ripudiare la moglie che, una volta divorziata, poi viveva con un parente, perlopiù il padre o un fratello. A differenza di altri paesi arabi, tra cui l’Egitto, la poligamia era poco praticata nelle città e nelle campagne della Palestina, una pratica preislamica che, per i riformatori musulmani egiziani, come il già citato Ahmad Amin, non è prevista dall’Islam.
Nelle famiglie contadine palestinesi, che erano molto unite, esisteva una notevole parità di genere, per ragioni economiche e lavorative: gli uomini si occupavano dell’aratura, della trebbiatura e della vagliatura; le donne si dedicavano alle faccende di casa, alla lavorazione del cibo, al lavoro nei campi e all’allevamento degli animali, ed erano assai stimate per il loro contributo alla gestione della fattoria. Vista questa situazione, di solito una moglie viveva in simbiosi con il marito.
Sono quasi assenti le informazioni sulle lavoratrici del proletariato rurale e urbano di questa fase storica, ma di certo uscivano di casa; le donne della Nahḍa femminile palestinese, come già detto, appartenevano all’alta borghesia e al ceto medio, perché sono loro che soffrivano di più per le discriminazioni di genere.
[12] Lorenzo Kamel, Terra contesa. Israele, Palestina e il peso della storia, Carocci, 2022.
[13] Prima edizione italiana: Mark Twain, Gli innocenti all’estero, tr. Piero Mirizzi, Lerici, 1960. L’autore, all’anagrafe Samuel Langhorne Clemens, visitò anche l’Italia e altri paesi europei durante lo stesso viaggio; l’ultima tappa fu la Palestina.
*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba(Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui i romanzi Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e Atyàf: Fantasmi dell’Egitto e della Palestina (Ilisso, 2008) della scrittrice egiziana Radwa Ashur, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).
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ESERCITAZIONE ORGANIZZATA DA EUROPOL PER SMANTELLARE I CONTENUTI TERRORISTICI ONLINE
Il 7 marzo 2024 #Europol, in collaborazione con la Commissione europea, ha organizzato una esercitazione simulata per testare il protocollo di crisi dell' #UE (EUCP).
L'esercitazione si è svolta nel quadro del Forum Internet dell'UE ed ha esaminato la collaborazione tra le autorità governative e l'industria tecnologica per contenere la diffusione virale di contenuti terroristici ed estremisti violenti online all'indomani di un evento terroristico.
Tra gli elementi testati c'era l'interazione del #ProtocollodicrisidellUE con il nuovo obbligo per i prestatori di servizi di hosting, introdotto dall'articolo 14.5 del Regolamento (UE) 2021/784 sulla lotta alla diffusione di contenuti terroristici online, di informare tempestivamente le autorità competenti quando vengono a conoscenza di contenuti terroristici che comportano una minaccia imminente alla vita.
L'esercitazione di quest'anno ha riunito rappresentanti delle forze dell'ordine coinvolti nell'applicazione del protocollo di crisi dell'UE e del regolamento, fornitori di servizi online, il Global Internet Forum to Counter Terrorism (#GIFCT), nonché i responsabili politici dei governi e degli organismi dell’UE.
Il protocollo di crisi dell’UE, adottato dai ministri della Giustizia e degli Affari interni nell’ottobre 2019, è un meccanismo volontario che consente agli Stati membri dell’UE e alle piattaforme online di rispondere rapidamente e in modo coordinato alla diffusione di contenuti terroristici online in caso di attacco terroristico, garantendo allo stesso tempo una forte protezione dei dati e la tutela dei diritti fondamentali.
Lo sviluppo del protocollo avvenne all’indomani dell’attacco terroristico a Christchurch, in Nuova Zelanda, nel 2019, in base al quale i leader dei governi, dell’industria tecnologica, della società civile e della Commissione europea hanno concordato il “Christchurch Call for Action”. Da allora, altri meccanismi di crisi sono stati sviluppati sia a livello nazionale che nel settore tecnologico.
L'attuazione pratica del protocollo viene testata annualmente attraverso esercitazioni pratiche. Dopo diversi esercizi pratici e l’attivazione del protocollo nel 2020, l’ #EUCP è stato rivisto nel 2023 per integrare gli insegnamenti appresi.
Le principali novità dell’aggiornamento includono il chiarimento del rapporto tra il Protocollo di crisi volontario dell’UE e il Regolamento, in particolare l’art. 14(5), criteri di attivazione perfezionati, maggiore attenzione all’interoperabilità con altri meccanismi di risposta alle crisi, maggiore protezione delle libertà fondamentali, tra l'altro attraverso processi di debriefing e indicazioni sulla risposta alle riprese degli astanti.
Europol ha assunto un ruolo centrale nell’attuazione del protocollo di crisi dell’UE gestendo il coordinamento dello scambio di informazioni e della comunicazione tra le parti interessate in modo rapido e sicuro. Gli atti di terrorismo in Francia (Arras, Parigi), Belgio (Bruxelles) e l'attacco terroristico del 7 ottobre da parte di Hamas contro Israele hanno ulteriormente dimostrato l'importanza di interrompere la diffusione della propaganda terroristica ed estremista violenta durante e in seguito agli attacchi terroristici, sostenendo allo stesso tempo le indagini.
GAZA. 68 orfani scortati dall’esercito israeliano a Betlemme, i coloni provano a bloccare gli autobus
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di Eliana Riva –
Pagine Esteri, 12 marzo 2024. 68 bambini palestinesi sono stati portati via da Gaza in un’operazione condotta con l’esercito israeliano che ha mandato su tutte le furie i coloni e i loro leader. Si tratta di orfani, e tutti hanno perso i genitori prima del 7 ottobre. Si tratta di bambini e bambine gazawi tra i 2 e i 14 anni che avevano trovato rifugio nell’SOS Children’s Villages- Palestine, una struttura dedicata che opera a sud della Striscia di Gaza, a Rafah, già da diversi anni e in Palestina, a Betlemme, dal 1966. I militari li hanno scortati attraverso Israele verso Betlemme, dove ora si trovano, all’interno di un albergo. La casa di accoglienza di Gaza è una delle centinaia di strutture gestite in tutto il mondo dalla SOS Children’s Villages International, una federazione di associazioni con sede legale in Austria. Insieme a loro anche 11 dipendenti dell’organizzazione e le loro famiglie.
SOS Children’s Villages in the Gaza Strip continues to shelter a number of approximately 80 unaccompanied children due to the war and other children who have lost family care. We are working daily to receive more children, as we expect to receive more than 50 new cases during the… pic.twitter.com/jNmvLXHDRs— SOS Children’s Villages- Palestine (@sos_villages) February 1, 2024
Secondo il rapporto trasmesso dal canale televisivo israeliano Channel 12, il centro per orfani di Rafah avrebbe improvvisamente interrotto le proprie attività, chiedendo aiuto e un intervento immediato. Tuttavia, nel comunicato rilasciato dall’organizzazione internazionale si specifica che le attività sono ancora in corso: solo pochi giorni fa, il 9 Marzo, nel suo ultimo post su X aveva lanciato una campagna di sostegno per i bambini che hanno perso le proprie famiglie. “Abbiamo lavorato attraverso canali diplomatici con tutte le autorità competenti – hanno dichiarato – per portare i bambini e gli adulti a Betlemme in Cisgiordania, dove sono arrivati sani e salvi l’11 marzo. I bambini di età compresa tra i due e i 14 anni, sono sotto la cura dei villaggi per bambini SOS, poiché avevano già perso le cure dei genitori prima della guerra. Stanno bene date le circostanze e continuano a ricevere cure e supporto psicologico dai loro curatori di fiducia”.
في رمضان يتواصل العطاء على أياديكم 🌙هذا العام، نستقبل رمضان وقلوبنا حزينة على استمرار الحرب في غزة ونستذكر أكثر من 19,000 طفل وطفلة فقدوا من يرعاهم خلال الحرب، والآلاف من العائلات التي تعيش في ظروف صعبة جدا وتكافح من أجل الحصول على الاحتياجات الأساسية.
نطلق اليوم حملة… pic.twitter.com/tNPNePMtaY
— SOS Children’s Villages- Palestine (@sos_villages) March 9, 2024
Lo spostamento dei minori è avvenuto, su pressione dell’ambasciata tedesca in Israele e ha richiesto un coordinamento tra l’esercito israeliano, il COGAT (l’organismo israeliano che si occupa delle attività governative e amministrative nei Territori palestinesi occupati) e l’Autorità Nazionale Palestinese. Nella dichiarazione ufficiale l’ambasciata ci ha tenuto a precisare che si tratta di una “misura temporanea per allontanare i bambini da un grave pericolo, non è un tentativo di ricollocarli in modo permanente”.
Il Gabinetto di sicurezza del governo non è stato avvisato preventivamente e l’operazione è avvenuta all’insaputa del Ministero della sicurezza nazionale. E proprio Itamar Ben Gvir, insieme al Ministro delle finanze Bezalel Smotrich ha riservato parole infuocate al governo, definendo la scelta un “deterioramento dei valori”: “Ogni misericordia verso i crudeli finisce per essere crudele verso i misericordiosi. Deterioramento dei valori. Chiedo al Primo Ministro chiarimenti su chi ha dato questo ordine immorale e con quale autorità mentre i nostri figli e i figli dei nostri figli sono tenuti prigionieri dal nemico”.
כל המרחם על אכזרים סופו שיתאכזר לרחמנים. ליקוי מאורות ערכי.
אני דורש מראש הממשלה הבהרות מי נתן את הפקודה הבלתי מוסרית הזאת ובאיזה סמכות בשעה שחטופינו וילדיהם בשבי האויב. pic.twitter.com/7W9WZNlpNx— בצלאל סמוטריץ’ (@bezalelsm) March 11, 2024
“In guerra, si deve schiacciare il nemico e non essere sempre moralisti“, ha detto Ben Gvir. “Non è così che opera un Paese che mira alla vittoria totale“.
Secondo The Times of Israel gli autobus con i bambini e un numero imprecisato di caregivers sono usciti da Gaza attraverso il valico di Rafah e hanno percorso la lunga via verso il sud, fino al valico di Taba, vicino Eilat. Da lì sono stati poi scortati, ieri, dall’esercito dentro Israele fino alla Cisgiordania occupata. All’altezza di Gush Etzion, un grande blocco che comprende diverse colonie israeliane d’insediamento nei Territori palestinesi, alcuni coloni hanno tentato di bloccare il passaggio per evitare che gli autobus arrivassero a Betlemme. Il tentativo di blocco è avvenuto in risposta all’appello di uno dei leader dei coloni, Shlomo Ne’eman, che ha dichiarato: “Forniamo sempre più gesti caritatevoli e ci assicuriamo che gli aiuti vengano trasferiti a un gruppo di assassini, quando cittadini innocenti tra cui donne, bambini, anziani e malati sono trattenuti da queste persone malvagie”.
I bambini e le bambine rimasti orfani a Gaza sono almeno 19.000 secondo i dati dell’UNICEF. Circa 12.900 sono stati uccisi. L’SOS Children’s Villages – Palestine aveva dichiarato, due mesi dopo l’inizio degli attacchi, il 21 novembre 2023, che diversi bambini, ragazzi e genitori legati al programma erano stati uccisi dai bombardamenti e che la preoccupazione per l’incolumità del proprio personale era molto alta, soprattutto dopo che due alloggi utilizzati dall’associazione internazionale erano stati completamente distrutti dalle bombe. Pagine Esteri
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HAITI. Il Primo Ministro si dimette, le bande criminali controllano il Paese
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Pagine Esteri, 12 marzo 2024. Il Primo Ministro haitiano Ariel Henry ha dichiarato questa mattina di voler rassegnare le proprie dimissioni in seguito alle azioni delle bande criminali che hanno sconvolto il Paese. Henry è premier di fatto, nonostante nel Paese non si tengano elezioni da 8 anni.
Il 2024 è cominciato con le proteste che chiedevano al governo, considerato da molti corrotto e impotente, di lasciare il potere, assunto senza il voto. Henry era andato in Kenya per firmare un accordo per l’invio di truppe militari ad Haiti quando le bande criminali, guidate dall’ex poliziotto Jimmy Cheriziér alias Barbecue, hanno assalito carceri e aeroporti, impedendo al premier di ritornare in patria. “Il governo che sto guidando si dimetterà immediatamente dopo l’installazione di un consiglio di transizione”, ha dichiarato Henry. “Sto chiedendo a tutti gli haitiani di rimanere calmi e di fare tutto ciò che va fatto perché la pace e la stabilità tornino il più velocemente possibile”.
Per saperne di più → HAITI. Le bande criminali creano il caos, il primo ministro fugge in esilio a Portorico
di Davide Matrone –
Pagine Esteri, 8 marzo 2024. [b]Precedenti storici. Haiti, il paese più povero dell’emisfero occidentale ripiomba nuovamente nel caos e nell’incertezza assoluta. Eppure questa nazione registra nella sua gloriosa storia avvenimenti di grande rilievo a livello internazionale. Haiti diede i natali al primo “Giacobino nero”, Toussaint de l’Overture denominato anche il Napoleone nero che a capo di un esercito di ribelli afrodiscendenti sconfisse l’esercito colonizzatore francese. Con la Rivoluzione Haitiana, ispirata ai principi della Rivoluzione Francese, si aprì una nuova fase per il Paese indipendente con la formazione di un Governo composto totalmente da uomini neri e liberi provenienti dalle fila degli insorti della prima sollevazione armata dell’anno 1791. “Oggi siamo liberi perché siamo i più forti” disse il generale Toussaint de l’Overture nel 1801, considerato ancora oggi il Padre della Patria. Tuttavia, dopo pochi decenni la libertà e l’indipendenza conquistata con la Francia vennero attentate dall’intervento degli Stati Uniti con l’applicazione della famosa Dottrina Monroe del 1823 e dall’invasione militare nel 1915. Di lì in avanti per l’ex Hispaniola non c’è stata più pace, fino a sprofondare agli ultimi posti delle classifiche internazionali, con indici di povertà, malnutrizione infantile, disoccupazione, tassi di omicidi e violenze sulle donne tra i più alti di tutto il continente americano.
Il Primo Ministro di fatto Ariel Henry fugge dal paese dopo le scorribande dei gruppi criminali nella capitale
In questi ultimi giorni nel paese c’è una grave e profonda instabilità politica e sociale. Il lider delle bande criminali, l’ex poliziotto Jimmy Cheriziér alias Barbecue oggi è un attore da non sottovalutare, il boss dell’alleanza della Federazione delle pandillas di Haiti “G9”. Nei giorni scorsi aveva dichiarato che avrebbe attaccato con le sue bande i due sistemi penitenziari più grandi della capitale Port au Prince, e l’ha fatto, liberando circa 3700 detenuti di diverso calibro. L’atto di guerra delle bande criminali era stato la risposta all’accordo siglato dal Primo Ministro Henry con il governo del Kenya per far arrivare sull’isola un contingente di militari kenioti per sedare le scorribande della criminalità organizzata del Paese. Il Primo Ministro, dopo le minacce dei criminali non è poi più potuto rientrare nel Paese. Ha cercato prima rifugio nella vicina Repubblica Domenicana, dove gli è stata rifiutata l’autorizzazione ad entrare. Quindi ha optato per il Portorico dove oggi si trova in esilio. Non può tornare ad Haiti: il lider delle bande criminali, Jimmy Cheriziér, ha dichiarato che se il presidente Henry non si dimette si compirà un genocidio e che se la Comunità Internazionale continuerà ad appoggiarlo, ci sarà una guerra civile. Jimmy Cheriziér nella giornata del 7 marzo ha dichiarato ai giornali di tutto il mondo accorsi sull’isola in una conferenza stampa improvvisata: “Ci sono zone strategiche che stiamo disputandoci affinché si convertano in nostri territori. A breve cominceremo la lotta contro il sistema vigente per avere il paese che vogliamo e cioè una Haiti con occupazione per tutti, con sicurezza ed educazione gratis per tutti. Un paese senza discriminazione sociale dove tutte le persone possono raggiungere la posizione sociale ed economica che si meritano”. Queste dichiarazioni sembrano un programma politico per una campagna elettorale che, viste le condizioni, comincerà presto. Dal 2016 non si svolgono regolari elezioni nel Paese e dalla morte dell’ex Presidente Moises, ucciso nel luglio del 2021, l’attuale Primo Ministro di fatto non ha mai organizzato indetto votazioni. La convocazione di nuove elezioni e l’arrivo di una missione di appoggio (l’ennesima) alle forze di sicurezza sembra essere la via d’uscita alla grave crisi. Non sappiamo ancora se Cheriziér si candiderà o se appoggerà qualche candidato ma certamente la criminalità nell’isola di Haiti – come in altri paesi del continente – sta diventando purtroppo un attore importante che influisce nella vita politica, economica e sociale di ogni nazione americana.
Per saperne di più, Pagine Esteri ha contattato Robby Glessiel attivista dei diritti umani haitiano che ci ha dato una testimonianza dal Paese.
pagineesteri.it/wp-content/upl…
Qual è la situazione ad Haiti?
Non c’è molta differenza tra quello che sta passando ora e tutto quello che è successo l’anno scorso. Gli obiettivi del governo di fatto erano di garantire un clima di sicurezza e di organizzare le elezioni. Niente di questo è stato fatto dal momento dell’assunzione del potere nel 2021.
Sono già 8 anni che non si convocano elezioni e oggi ci ritroviamo con un assoluto vuoto istituzionale. Il 2024 è cominciato con molte proteste che chiedevano al governo di lasciare il potere, assunto senza il voto. Il Primo Ministro di fatto è andato in Kenya per firmare un accordo per l’invio di truppe militari ad Haiti mentre il paese si trovava in una situazione caotica.
Le bande e i gruppi criminali oggi controllano l’80% della capitale e la settimana scorsa avevano annunciato una grande agitazione armata con lo scopo di liberare i detenuti delle due grandi carceri del paese. L’hanno detto e l’hanno fatto. La notte tra sabato 2 e la domenica 3 Marzo hanno svuotato la principale prigione di Port au Prince liberando migliaia di detenuti tra cui criminali di alto profilo che oggi si sono arruolati nelle bande delle due grandi città del paese. La situazione odierna ad Haiti è di totale incertezza, non c’è nessuna comunicazione reale da parte di questo governo, c’è un silenzio totale. Le uniche voci che si ascoltano sono le voci dei gruppi criminali e di alcuni membri delle opposizioni politiche.
Il Primo Ministro del paese ha provato a fuggire verso la Repubblica Domenicana ma non ha avuto l’autorizzazione. Ora dov’è?
Dopo aver firmato l’accordo con il governo del Kenya, il Primo Ministro doveva ritornare ad Haiti ma la situazione nel paese è degenerata e non gli è stato permesso il ritorno in patria: sapendo del suo arrivo, le bande hanno attaccato i due principali aeroporti internazionali di Haiti Quindi, in un primo momento il premier ha optato per l’esilio nella vicina Repubblica Domenicana ma il presidente domenicano non ha concesso l’autorizzazione perché non vuole impicciarsi in problemi che non gli riguardano. Secondo la stampa haitiana, da ieri notte il Primo Ministro si troverebbe nell’isola di Portorico. Ora non si sa se da Portorico intenderà viaggia per raggiungere Haiti. Quello che si dice oggi è che il Primo Ministro sta ricevendo molte pressioni da parte della comunità internazionale perché rinunci al suo ruolo. Ufficialmente non c’è nessun comunicato da parte del Governo per spiegare cosa farà il premier, dove si trova e quando e come ritornerà ad Haiti. Pagine Esteri
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L’Europa raddoppia l’import di armi. A guadagnarci sono gli USA
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di Redazione
Pagine Esteri, 12 marzo 2024 – L’Europa ha quasi raddoppiato le sue importazioni di armi negli ultimi dieci anni, la metà delle quali provenienti dagli Stati Uniti. A certificarlo è il rapporto diffuso ieri dal SIPRI (Stockholm international peace research institute), l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, sul periodo che va dal 2019 al 2023.
In generale ad aumentare, in particolare, sono state le esportazioni di sistemi d’arma in Asia e Oceania, e ovviamente verso l’Ucraina, paese in quarta posizione al mondo per acquisti di armamenti in una classifica guidata dall’India.
A guadagnare da una sempre più conclamata corsa agli armamenti sono stati soprattutto gli Stati Uniti che dal 34% delle vendite complessive di armi tra il 2014 e il 2018 sono passati nel quinquennio successivo al 42%, con un aumento del 17%. Gli Stati Uniti hanno venduto armi a ben 107 Stati, più di quanto abbiano fatto in qualsiasi altro quinquennio precedente e molto più di qualsiasi altro esportatore di armi.
La Russia, impegnata nell’invasione dell’Ucraina, ha invece dimezzato le proprie esportazioni scendendo al terzo posto, superata dalla Francia che invece ha visto impennare le vendite di armi del 47%.
Washington guadagna acquirenti, mentre Mosca ne perde: nel 2019 la Russia aveva venduto sistemi bellici a 31 Stati e nel 2023 solo a 12, mentre India e Cina insieme hanno generato più di metà del fatturato del comparto. La Cina compra sempre meno dall’estero (lo faceva soprattutto dalla Federazione Russa) ed ha anzi rafforzato le capacità produttive del proprio apparato industriale.
Per la prima volta negli ultimi 25 anni, Washington è diventata la principale esportatrice verso l’Asia, anche grazie al boom degli acquisti di armi da parte del Giappone (+155%) e alla crescita della Corea del Sud (+6,5%).
La scelta di foraggiare l’esercito ucraino contro le forze di Mosca ha spinto i paesi europei ad aumentare la spesa militare, con gli acquisti che nell’ultimo quinquennio sono aumentati del 94%. A beneficiare dell’impennata degli acquisti di armi da parte dell’Europa sono stati soprattutto gli Stati Uniti, dal quale provengono ormai il 55% delle importazioni (erano il 35% in precedenza).
L’Italiaha quasi raddoppiato il volume delle proprie esportazioni, con una crescita all’86% (il doppio rispetto al +47% di Parigi), arrivando ad occupare il 4,3% della quota globale del mercato (contro il 5,6% della Germania e il 5,8% della Cina). La Polonia è cresciuta del 1138%, ma rappresenta ancora solo lo 0,7% del mercato globale.
La maggior parte delle esportazioni italiane sono state dirette verso il Medio Oriente, in particolare verso Qatar, Israele, Bahrain, Egitto, Kuwait e Turchia (in questo caso Roma è subito dopo Berlino). L’Italia è il terzo contributore anche della Norvegia, del Brasile e della stessa Francia, che acquista da noi il 18% delle sue armi. Pagine Esteri
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📌 XX Edizione del Premio intitolato a Giacomo Matteotti. Il #bando è indirizzato ad autori in lingua italiana, anche stranieri, e premierà le opere realizzate all'insegna degli ideali di fratellanza tra i popoli, di libertà e giu…
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#NotiziePerLaScuola 📌 XX Edizione del Premio intitolato a Giacomo Matteotti. Il #bando è indirizzato ad autori in lingua italiana, anche stranieri, e premierà le opere realizzate all'insegna degli ideali di fratellanza tra i popoli, di libertà e giu…Telegram
China Briefing – Produrre nell’entroterra cinese: un’alternativa al reshoring
Come scongiurare il reshoring. Le province interne della Cina stanno rapidamente diventando il nuovo centro dell’industria manifatturiera del Paese, come dimostra la crescita delle esportazioni dalle province centrali e occidentali
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In Cina e Asia – Nazionalisti contro il gigante dell’acqua Nongfu Spring
Nazionalisti contro il gigante dell’acqua Nongfu Spring Gli Usa rafforzano le relazioni commerciali nell’Asia-Pacifico Xinjiang. Applicazione retroattiva della legge contro crimini religiosi Nazionalisti contro il gigante dell’acqua Nongfu Spring Lotta alla criminalità finanziaria: nel 2023 oltre 340 accuse di corruzione Cina, più personale e riforme per migliorare la risposta alle malattie infettive Corea del nord, visita eccezionale del viceministro degli ...
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Human Rights Watch: Israele non rispetta l’ordine della Corte internazionale di Giustizia
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di Human Rights Watch
(traduzione dall’inglese di Federica Riccardi, foto WAFA)
Il governo israeliano non ha rispettato almeno una delle misure previste dall’ordine giuridicamente vincolante della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nel caso di genocidio iniziato dal Sudafrica, ha denunciato Human Rights Watch. Citando gli avvertimenti sulle “condizioni catastrofiche” di Gaza, il 26 gennaio 2024 la Corte ha ordinato a Israele di “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di aiuti umanitari urgentemente necessari” e di riferire sul rispetto delle misure specifiche “entro un mese”.
Un mese dopo, tuttavia, Israele continua a ostacolare la fornitura di servizi di base e l’ingresso e la distribuzione a Gaza di carburante e aiuti salvavita, atti di punizione collettiva che costituiscono crimini di guerra e includono l’uso della fame dei civili come arma di guerra. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nelle settimane successive alla sentenza sono entrati a Gaza meno camion e sono state autorizzate meno missioni di aiuto nel nord di Gaza rispetto alle settimane precedenti.
“Il governo israeliano sta affamando i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza, mettendoli ancora più in pericolo rispetto a prima dell’ordine vincolante della Corte mondiale”, ha dichiarato Omar Shakir, direttore di Israele e Palestina di Human Rights Watch. “Il governo israeliano ha semplicemente ignorato la sentenza della Corte e per certi versi ha persino intensificato la repressione, bloccando ulteriormente gli aiuti salvavita”.
Secondo Human Rights Watch, gli altri Paesi dovrebbero usare tutte le forme di influenza, comprese le sanzioni e l’embargo, per spingere il governo israeliano a rispettare gli ordini vincolanti della Corte nel caso di genocidio.
Nel dicembre 2023 Human Rights Watch ha constatato che le autorità israeliane stanno usando la fame come arma di guerra. In base a una politica stabilita da funzionari israeliani e portata avanti dalle forze israeliane, le autorità israeliane stanno deliberatamente bloccando la consegna di acqua, cibo e carburante, impedendo intenzionalmente l’assistenza umanitaria, radendo al suolo aree agricole e privando la popolazione civile di oggetti indispensabili alla sua sopravvivenza.
Le autorità israeliane hanno continuato a bloccare la fornitura di energia elettrica a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre condotti da Hamas. Dopo aver inizialmente tagliato l’intera fornitura di acqua che Israele fornisce a Gaza attraverso tre condutture, Israele ha ripreso la distribuzione su due delle tre linee. Tuttavia, a causa della diffusa distruzione delle infrastrutture idriche provocate delle incessanti operazioni aeree e terrestri israeliane, solo una di queste linee è rimasta operativa con una capacità del 47% al 20 febbraio. Il 20 febbraio, funzionari dell’ente idrico delle municipalità costiere di Gaza hanno dichiarato a Human Rights Watch che le autorità israeliane hanno ostacolato i loro tentativi di riparare l’infrastruttura idrica.
Secondo i dati pubblicati da OCHA e dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA), il numero medio giornaliero di camion che entrano a Gaza con cibo, aiuti e medicine è diminuito di oltre un terzo nelle settimane successive alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia: 93 camion tra il 27 gennaio e il 21 febbraio 2024, rispetto ai 147 camion tra il 1° e il 26 gennaio e ai soli 57 tra il 9 e il 21 febbraio. Un’indagine sugli ostacoli all’ingresso degli aiuti affrontati da 24 organizzazioni umanitarie che hanno operato a Gaza tra il 26 gennaio e il 15 febbraio ha evidenziato la mancanza di trasparenza sulle modalità di ingresso dei camion di aiuti a Gaza, i ritardi e i dinieghi ai valichi e ai punti di ispezione israeliani e le questioni relative alla sicurezza dei camion stessi.
A titolo di paragone, prima dell’escalation delle ostilità di ottobre, ogni giorno entravano a Gaza in media 500 camion di cibo e merci. Si stimava che 1,2 milioni di persone a Gaza dovessero affrontare un’acuta insicurezza alimentare e che l’80% della popolazione di Gaza dipendesse dagli aiuti umanitari a causa della chiusura illegale imposta da Israele che dura da oltre 16 anni.
Funzionari israeliani di alto livello hanno articolato una politica per privare i civili di cibo, acqua e carburante, come documentato da Human Rights Watch. Il portavoce del governo israeliano ha dichiarato recentemente che non ci sono “limiti” all’ingresso degli aiuti a Gaza, al di fuori della sicurezza. Alcuni funzionari israeliani incolpano le Nazioni Unite per i ritardi nella distribuzione e accusano Hamas di aver deviato gli aiuti o la polizia di Gaza di non aver messo in sicurezza i convogli.
Secondo Human Rights Watch, il governo israeliano non può addossare le colpe ad altri per sfuggire alle proprie responsabilità. In quanto potenza occupante, Israele è obbligato a provvedere al benessere della popolazione occupata e a garantire che i bisogni umanitari della popolazione di Gaza siano soddisfatti. Il gruppo israeliano per i diritti umani Gisha ha contestato le affermazioni del governo israeliano secondo cui non sta ostacolando l’ingresso o la distribuzione degli aiuti e ha anche rilevato che non sta rispettando l’ordine della CIG.
Le autorità israeliane hanno anche ostacolato gli aiuti che entrano a Gaza dal raggiungere le aree del nord. L’indagine delle organizzazioni umanitarie ha rilevato che “quasi nessun aiuto viene distribuito oltre Rafah”, il governatorato più meridionale di Gaza. Il 20 febbraio, il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha sospeso le consegne di cibo salvavita al nord, citando la mancanza di sicurezza. Le forze israeliane hanno colpito un convoglio alimentare il 5 febbraio, secondo quanto dichiarato dalle Nazioni Unite e documentato dalla CNN.
Tra il 1° e il 15 febbraio, le autorità israeliane hanno permesso solo 2 delle 21 missioni pianificate per la consegna di carburante a nord dell’area di Wadi Gaza, nel centro di Gaza, e nessuna delle 16 missioni pianificate per la consegna di carburante o la valutazione dei danni alle stazioni di pompaggio dell’acqua e delle acque reflue nel nord. Secondo OCHA, tra il 1° gennaio e il 15 febbraio è stato possibile effettuare meno del 20% delle missioni pianificate per la consegna di carburante e per la verifica dei danni a nord di Wadi Gaza, rispetto all’86% delle missioni previste tra ottobre e dicembre.
“Le forze di terra israeliane sono in grado di raggiungere tutte le zone di Gaza, quindi le autorità israeliane hanno chiaramente la capacità di garantire che gli aiuti raggiungano tutta Gaza”, ha detto Shakir.
Dopo il pronunciamento della Corte internazionale di giustizia, le autorità israeliane avrebbero anche distrutto gli uffici di almeno due organizzazioni umanitarie a Gaza e preso provvedimenti per minare il lavoro dell’UNRWA, il principale fornitore di aiuti umanitari a Gaza, da cui dipendono più della metà delle altre organizzazioni umanitarie per svolgere le proprie attività. Il capo dell’UNWRA, Philippe Lazarini, ha dichiarato in una lettera del 22 febbraio al presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che l’agenzia ha raggiunto un “punto di rottura” a causa della campagna di Israele per far chiudere l’agenzia e delle molteplici sospensioni dei finanziamenti da parte dei governi.
Il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha dichiarato il 13 febbraio di aver bloccato una spedizione di farina a Gaza finanziata dagli Stati Uniti, perché destinata all’UNRWA. Israele ha affermato che almeno 12 dei 30.000 dipendenti dell’agenzia hanno partecipato agli attacchi del 7 ottobre, sui quali le Nazioni Unite stanno indagando.
A fine dicembre, l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), un’iniziativa multilaterale che pubblica regolarmente informazioni sull’entità e la gravità dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione a livello globale, ha concluso che oltre il 90% della popolazione di Gaza si trova a un livello di crisi di insicurezza alimentare acuta o ancora più grave. L’IPC ha affermato che praticamente tutti i palestinesi di Gaza saltano i pasti ogni giorno, mentre molti adulti soffrono la fame per far mangiare i bambini, e che la popolazione rischia la carestia se le condizioni attuali persistono. “Questa è la percentuale più alta di persone che affrontano alti livelli di insicurezza alimentare che l’iniziativa dell’IPC abbia mai classificato per una determinata area o paese”, ha dichiarato il gruppo.
Il 19 febbraio, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) ha rilevato che il 90% dei bambini al di sotto dei 2 anni e il 95% delle donne incinte e che allattano si trovano in condizioni di “grave povertà alimentare”. Il 22 febbraio, Save the Children ha dichiarato che le famiglie di Gaza “sono costrette a cercare resti di cibo lasciati dai topi e a mangiare foglie per la disperazione di sopravvivere”, osservando che “tutti gli 1,1 milioni di bambini di Gaza [rischiano] di morire di fame”.
In risposta alla richiesta del Sudafrica di ulteriori misure provvisorie in seguito all’ordine del Primo Ministro Benjamin Netanyahu alle autorità israeliane di esplorare un possibile piano di evacuazione di Rafah in vista di un’incursione via terra, la CGI ha affermato che la “situazione pericolosa richiede l’attuazione immediata ed efficace delle misure provvisorie” in tutta Gaza – ma non nuove misure – e ha sottolineato il dovere di Israele di garantire “la sicurezza e l’incolumità dei palestinesi nella Striscia di Gaza”.
Oltre a consentire la fornitura di servizi e aiuti di base, le misure contenute nell’ordine vincolante della CIG richiedono a Israele di prevenire il genocidio contro i palestinesi di Gaza e di prevenire e punire l’incitamento a commettere genocidio. La CIG ha emesso queste misure “per proteggere i diritti rivendicati dal Sudafrica che la Corte ha ritenuto plausibili”, tra cui “il diritto dei palestinesi di Gaza di essere protetti da atti di genocidio”. Sebbene il Sudafrica abbia chiesto alla Corte, durante le udienze di gennaio sulle misure provvisorie, di rendere pubblici i report ordinati a Israele, la Corte non ha indicato di averlo fatto.
Tra il 26 gennaio e il 23 febbraio, più di 3.400 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza compilati da OCHA.
La causa del Sudafrica contro Israele per genocidio è distinta dal procedimento sulle conseguenze legali dei 57 anni di occupazione israeliana, che ha avuto inizio presso la CIG il 19 febbraio.
“Il palese disprezzo di Israele per l’ordine della Corte Mondiale rappresenta una sfida diretta all’ordine internazionale basato sulle regole”, ha dichiarato Shakir. “Il mancato rispetto da parte di Israele mette a rischio la vita di milioni di palestinesi e minaccia di minare le istituzioni incaricate di garantire il rispetto del diritto internazionale e il sistema che assicura la protezione dei civili in tutto il mondo”.
LINK AL RAPPORTO IN LINGUA INGLESE
hrw.org/news/2024/02/26/israel…
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FPF Files COPPA Comments with the Federal Trade Commission
Today, the Future of Privacy Forum (FPF) filed comments with the Federal Trade Commission (Commission) in response to its request for comment on the Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) proposed rule.
As technology evolves, so must the regulations designed to protect children online, and FPF commends the Commission’s efforts to strengthen COPPA. In our comments, we outlined a number of recommendations and considerations that seek to further refine and update the proposed rule, from how it would interact with multiple provisions of a key student privacy law to the potential implications of a proposed secondary verifiable parental consent requirement.
To amplify the questions about how COPPA would interact with the Family Educational Rights and Privacy Act (FERPA), FPF was also one of 12 signatories to a multistakeholder letter addressed to the Commission and Department of Education urging the development of joint guidance.
Considerations Applicable to All Operators
Children today are increasingly reliant on online services to connect with peers, seek out entertainment, or engage in educational activities, and while there is a great benefit to this, there are also risks to privacy and personal data protection, and we applaud the Commission for its ongoing efforts to find a balance between these tradeoffs. Our comments and recommendations focused on areas where we believe there is further opportunity to strike that balance, including:
- Clarifying the separate verifiable parental consent (VPC) step for third-party disclosures, as COPPA already includes a prohibition on conditioning a child’s participation in an online activity, and operators face considerable challenges in implementing the current VPC requirement. Our comments were informed in part by our in-depth report and infographic on the effectiveness of COPPA’s verifiable parental consent (VPC) requirement, published in June 2023.
- Revising definitions in line with how technology has evolved since the last COPPA Rule update, including adding “mobile telephone number” to the definition of online contact information, and clarifying what role text messages can play in the consent process.
- Providing more specificity of what types of processes that encourage or prompt the use of a website are of greatest concern to the FTC, as language in the proposed rule may inadvertently limit positive use cases of prompts and notifications such as homework reminders, meditation apps, and notifications about language lessons.
- Aligning the proposed security program language with the stated goal in the Notice of Proposed Rulemaking (NPRM), which reads that operators need “a written comprehensive security program” (emphasis added) and not a “child-specific” program, which would place an additional burden on companies with no additional benefit to parents or children.
Unique Considerations for Schools and Educational Technology
FPF commends the Commission’s effort to provide better clarity regarding how the rule should be applied in a school context; however, there are several areas where the proposed rule does not fully align with the Family Educational Rights and Privacy Act (FERPA), the primary federal law that governs use and disclosure of educational information. Both laws are complex, and the potential impact of confusion and misalignment is significant for the more than 13,000 school districts across the country and for the edtech vendor community.
With that in mind, our comments related to the proposed rule’s implications for student privacy focused in large part on identifying areas where more alignment and clarity around the interaction between COPPA and FERPA would be particularly instructive for both schools and edtech companies. Our recommendations include:
- Working with the US Department of Education to create and maintain joint guidance, which would detail how operators and schools should interpret their obligations in light of the interaction between COPPA and FERPA. We also recommend that this guidance consider the perspective and expertise of Operators and School stakeholders.
- Aligning the school-authorized education purpose exception to prior parental consent to the requirements of FERPA. We highlight several key areas where the rule needs clearer alignment, including how the definition of school-authorized education purpose aligns with FERPA’s School Official exception, how the use of the term written agreement in the proposed rule differs from how the term is used in FERPA, and how both laws address redisclosures of student data.
To read FPF’s COPPA comments in full, click here.
To download the joint letter to the FTC and U.S. Department of Education signed by FPF and 11 others, click here.
❄️ freezr ❄️
in reply to Informa Pirata • • •Certo che poi alla fine il punto è sfruttare ulteriormente i lavoratori e i consumatori con le AI perché è nel DNA del capitalismo: profitto ad ogni costo.
È impossibile risolvere questi dilemmi nel turbocapitalismo di Fusariana definizione; quando una multinazionale fattura quanto il PIL di uno stato medio-grande e si sente in diritto di sedersi alla pari ai tavoli di mediazione internazionale è l'evidente segnale che la democrazia è fritta.
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