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Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi


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Sindona sopravvalutò se stesso, la sua rete relazionale, la sua abilità su un mercato instabile come quello degli anni ’70 e, preso da delirio di onnipotenza, pensò di poterla fare franca persino di fronte all’omicidio di Giorgio Ambrosoli. La sua tragica fine, accreditata come suicidio dai più <792, ne è la prova esemplare.
Al di là della variabile psicologica nella personalità di Michele Sindona, che ebbero certamente un peso nella sua vicenda, c’è un punto, segnalato anche dalla sentenza che lo ha condannato all’ergastolo, che vale qui sottolineare, cioè la radicata concezione del potere nella società italiana che aveva fatto propria. Una concezione: «secondo la quale il potere, meramente formale ed apparente, che si fonda sulle leggi e si esercita attraverso le istituzioni pubbliche è destinato fatalmente, in caso di conflitto, a soccombere di fronte a quello, effettivo e reale, che promana da certe condizioni di fatto, quali le amicizie influenti, le complicità, gli appoggi politici che contano, la disponibilità di danaro e le possibilità di ricatto, di corruzione e di intimidazione. Questa concezione essenzialmente mafiosa del potere – nella quale si rinvengono perfino connotazioni ideologiche antistatuali, come è confermato anche dalla evocazione e dalla mobilitazione dei vari poteri illegali ed occulti di Cosa Nostra, di mafia e di massoneria piduista compiute dal Sindona durante il suo finto rapimento – non era priva di un suo torvo realismo» <793.
Un realismo che Sindona probabilmente aveva fatto proprio sin dalla tesi di laurea su Il Principe di Machiavelli, se arrivò a sbandierare quel suo legame col potere mafioso tanto agli amici che ai nemici, pur negandolo sempre davanti all’opinione pubblica. La sua vicenda è paradigmatica di come contiguità culturali, territoriali e biografiche possano portare un soggetto assolutamente estraneo all’organizzazione ad acquisire quegli schemi cognitivi e comportamentali tipici dell’habitus mafioso. E nonostante questo riuscire a sviluppare un’affinità elettiva immediata con più di un esponente della borghesia milanese, che nel finanziere siciliano trovò un formidabile alleato per arricchirsi speculando ed evitando pure di pagare il dovuto all’erario.
Il suo riferimento accademico, Milton Friedman, nel 1970 scrisse che l’unica responsabilità sociale di un’impresa è aumentare i propri profitti, nel rispetto delle regole del gioco <794. Ed è questo il punto: Sindona iniziò la sua carriera aderendo perfettamente alle regole del sistema, che lo lasciò crescere e addirittura cercò di trasformarlo in un suo alfiere, come dimostrano i primi idilliaci rapporti d’affari con Cuccia, che una volta rotto col finanziere di Patti puntò sull’ingegnere di Paternò Salvatore Ligresti, che in quanto a spirito speculativo non era da meno. Sindona sarebbe potuto diventare il principe dei mediatori degli interessi tra quell’anima conservatrice-reazionaria della borghesia milanese e il potere mafioso, unite nella speculazione e l’arricchimento facile ai danni dello Stato e del sistema economico: il problema fu che voleva far saltare gli equilibri della finanza italiana, imponendo il suo capitalismo relazionale essenzialmente mafioso, che implicava la polverizzazione di quello imperniato su Mediobanca.
«La storia, in fondo, è tutta qui», scrisse una volta Marco Vitale, definendo la vicenda Sindona una storia semplice e banale: «è il dilagare del metodo mafioso a tutta la società, la penetrazione progressiva del modello del ricatto, della minaccia, dell’avvertimento» <795. Non qualcosa di così semplice e banale, pensando alla gloriosa storia imprenditoriale che esprimeva la città di Milano.
Il «cuore» della P2: Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano
La storia di Roberto Calvi è strettamente legata a quella di Michele Sindona, sebbene poi i destini dei due si separarono una volta caduto in disgrazia il finanziere di Patti, e soprattutto dopo il ricatto ai danni del banchiere milanese di cui abbiamo parlato. Una cosa è certa: il triumvirato Calvi-Sindona-Marcinkus, ufficializzato il 23 marzo 1971 con la fondazione della Cisalpine Overseas Bank, fu l’elemento decisivo per la penetrazione nell’economia milanese dei soldi di Cosa nostra, dando inizio a quel processo di ibridazione a livello di classe dirigente tra habitus milanese e habitus mafioso.
Calvi, milanese doc la cui famiglia era originaria di Como, presentò subito un’affinità di stile con quel modo di fare finanza tipico dei «siciliani di Milano» e sfruttò come il suo maestro Sindona il legame con il Vaticano, Licio Gelli e, per loro tramite, con il potere mafioso espresso da Cosa Nostra.
Il sistema di società estere dell’Ambrosiano ideato da Calvi era infatti una versione migliorata di quello ideato da Sindona fondato sui depositi fiduciari. Nel Sistema Calvi, il meccanismo centrale era rappresentato dalle cosiddette operazioni back to back, attraverso le quali il Presidente dell’Ambrosiano effettuava investimenti all’estero senza che ne risultasse chiara evidenza nelle registrazioni contabili, dato che figuravano come un deposito o un prestito a banche terze, estranee al gruppo, anziché un reale finanziamento a società controllate per fini non apertamente dichiarabili, a causa, ad esempio, di restrizioni valutarie o di particolari vincoli imposti dalla Banca d’Italia <796. Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi, né fu quest’ultimo a creare il primo nucleo delle partecipazioni estere dell’Ambrosiano, volte ad aggirare i (pochi) vincoli imposti dalla legislazione italiana al mercato finanziario.
Genesi di un banchiere cattolico
Roberto Calvi venne assunto al Banco Ambrosiano con decorrenza 1° gennaio 1948, quando aveva appena 27 anni. Nato a Milano il 13 aprile 1920, suo padre Giacomo era un funzionario della COMIT di Raffaele Mattioli e fu decisivo nel suo primo incarico presso la Banca Commerciale, dove venne assunto il 16 ottobre 1943 <797, dopo essersi arruolato al fronte da convinto fascista ed essere tornato dalla disastrosa campagna di Russia. Prima della guerra, fresco del diploma in ragioneria, si era iscritto alla Bocconi, non riprendendo tuttavia più gli studi.
Sempre il padre fu decisivo nell’assunzione all’Ambrosiano, anche se sul punto esistono due versioni: la prima vede un ruolo di primo piano di Francesco Bianchi, compagno di scuola del padre, nell’altra di Carlo Alessandro Canesi, di cui il giovanissimo Calvi divenne da subito il delfino, incaricato delle prime delicate e discrete operazioni del Banco con l’estero <798. Ad ogni avanzamento di carriera di Canesi, Calvi lo avrebbe seguito, fino alla nomina a direttore generale nel 1971 e a Presidente nel 1975.
Il 19 settembre 1956 la Allgemeines Treuunternehmen, rappresentata da Walter Keicher, costituì a Vaduz, in Liechtenstein, la Lovelok Establishment, con 20mila franchi svizzeri di capitale. Questa società fu la capostipite di tutte le società estere, ufficiali e occulte, del Banco Ambrosiano sorte tra il 1956 e il 1982. Ufficialmente, Canesi non informò il Consiglio d’amministrazione della sua costituzione, anche se informalmente tutti ne erano a conoscenza <799.
Le ragioni di questa costituzione furono essenzialmente due: poter operare in maniera occulta sul mercato azionario, senza far risalire ogni manovra direttamente al Banco, e acquisire partecipazione finanziarie in ogni parte del globo, come accadde nel 1963 in occasione della fondazione della Compendium in Lussemburgo e nel 1971 della Cisalpine a Nassau <800. Il primo passo fu la costituzione della Banca del Gottardo attraverso la Lovelok, che poi fu acquisita direttamente nel dicembre 1960 dal Banco Ambrosiano per esportare illegalmente un’ingente quantità di capitali all’estero, business che divenne un tratto distintivo della banca negli anni a venire.
Insomma, Calvi sfruttò il Banco Ambrosiano per aumentare il proprio potere, ma il primo architetto dell’intricato sistema di relazioni estere non fu lui, ma Canesi, il quale se lo portò dietro nei viaggi all’estero insieme a Italo Signora, incaricato dei “rapporti tradizionali” del settore estero, e lo rese ben presto partecipe di tutti i segreti del Banco <801.
È in quegli anni di apprendistato che Calvi maturò la sua concezione del potere e della finanza, tutta interna a quella che nel terzo capitolo abbiamo definito l’anima reazionaria-conservatrice della borghesia milanese. Carlo Alessandro Canesi aveva una concezione del potere fondata sull’accentramento di tutte le funzioni: quando divenne finalmente Presidente il 6 marzo 1965, inaugurò un nuovo criterio nella selezione del gruppo dirigente, quello della devozione al capo rispetto all’autonomia personale e di giudizio <802. Sotto questo punto di vista, Roberto Calvi fu un buon discepolo, tanto da arrivare a sommare su di sé non solo la carica di Presidente ma anche di amministratore delegato del Banco Ambrosiano, gestendo come fossero suoi i depositi dei clienti della banca per le spericolate operazioni finanziarie finalizzate ad ottenere maggior potere in seno alla classe dirigente.
Il disegno iniziale di Calvi, ad ogni modo, era in stretta continuità con i suoi predecessori, Canesi e Mozzana, che fino al 1975 presero parte e avallarono tutte le iniziative finanziarie dell’allora Direttore Generale.

[NOTE]792 Si veda al riguardo, Simoni, Turone, op. cit., p. 73 e ss.
793 Sentenza n. 20/86 contro Michele Sindona + 25, p. 25.
794 “Esiste una e una soltanto responsabilità sociale dell’impresa: usare le sue risorse e impegnarsi in attività pensate per aumentare i profitti in una aperta e libera competizione senza inganni o frodi”, cfr FRIEDMAN, M. (1970). The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times, 13 settembre.
795 VITALE, M. (1989). La lunga marcia verso il capitalismo democratico, Milano, il Sole 24 Ore Libri, p. 254
796 MAUGERI, V. (2004). Consulenza Tecnica Contabile nell’ambito del Procedimento penale n. 13034/95, Tribunale di Roma, p. 6.
797 Bellavite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano, p. 84.
798 Ivi, p. 85.
799 Ivi, p. 100.
800 Ivi, p. 101.
801 Ivi, p. 109.
802 Ivi, p. 143.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020

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Ci si ritrova nell’inviluppamento anche perché si ha la speranza-emozione che le cose prendano il giro buono adrianomaini.altervista.org/ci…



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Nè sottomarino, nè motoscafo


25109814Vallecrosia (IM): la casa di Achille Lamberti

Le prime voci di antifascismo a Vallecrosia si ebbero nel 1940/41 da parte di Achille Lamberti [“Andrea”], di Francesco Garini [“Cè”], di Pietro “Girò” [o “Gireu”] Gerolamo Marcenaro, di Aldo Lotti e di altri. Un antifascismo molto riservato, anche perché le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia “Viva la Francia” venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio… Venni dichiarato disertore e fui condannato a morte con sentenza del tribunale di Sanremo in data 28 febbraio 1944…
Nel frattempo Girò, Achille Lamberti ed altri avevano organizzato un principio di Resistenza. Attraverso mio padre, presi contatto con loro e assieme ci demmo alla macchia. Achille Lamberti, Cè Garini, Girò Marcenaro, Aldo Lotti, Nello Moro e io partimmo per il punto di raduno a Langan. Poco pratici, percorremmo il tragitto più lungo e impervio dove Girò dimostrò tutta la sua volontà: per una malformazione camminava con difficoltà e meno agevolmente di noi, ma non si arrese. In località San Martino di Soldano ci unimmo ad un gruppo di studenti di Sanremo che il CLN aveva indirizzato verso noi per raggiungere Langan.
Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino... Renato “Plancia” Dorgia in Giuseppe “Mac” Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)>, 2007

Renzo Biancheri, “Rensu u Longu”, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. ha ricordato che “… alla data convenuta, in pieno giorno trasferimmo “Leo” [n.d.r.: Stefano Carabalona, già comandante di Distaccamento della Divisione Garibaldi “Felice Cascione” – e in tale veste protagonista delle battaglie di Rocchetta Nervina e di Pigna – in Costa Azzurra in contatto con gli alleati dall’11 dicembre 1944 in qualità di ufficiale di collegamento della Brigata “Luigi Nuvoloni”, ferito ai primi di febbraio 1945 in Vallecrosia da agenti italiani incaricati della su aricercada graduati dei servizi segreti della marina da guerra tedesca] a Vallecrosia, facendolo sedere sulla canna della bicicletta di Renzo. In pieno giorno, perché approfittammo di un furioso bombardamento. Le strade erano deserte, solo granate che esplodevano da tutte le parti. Ricoverammo “Leo” in casa di Achille, aspettando la notte. Al momento opportuno ci trasferimmo sul lungomare; il soldato tedesco di guardia, come al solito, era stato addormentato da Achille con del sonnifero fornito dal dottor Salvatore Marchesi [n.d.r.: membro del CLN circondariale di Sanremo, fratello del più noto prof. Concetto Marchesi, famoso latinista, autorevole dirigente nazionale del partito comunista clandestino], laureato in chimica. I bersaglieri ci aiutarono a mettere in acqua la barca e a caricare “Leo” ferito. Cominciammo a remare… si dovevano recuperare anche alcuni prigionieri alleati; ma il motoscafo in mare aperto andò in panne e non ne volle sapere di riavviarsi. Eravamo in balia delle onde: Renzo Rossi, Pedretti e Cesar sotto un telo, al chiarore di una lampada, rabberciarono alla meglio il motore. Quasi albeggiava e la missione fu annullata perché ormai troppo tardi. Sulla spiaggia di Vallecrosia il Gruppo Sbarchi attese invano con i 5 piloti. I piloti vennero trasferiti in Francia nei giorni successivi da Girò e Achille. Io, Renzo Rossi, Achille Lamberti e Girò ritornammo in un’altra occasione dalla Francia con un carico di armi. Per sbarcare dovemmo attendere il segnale dalla riva, ma, come altre volte, non arrivò alcun segnale. Sbarcammo proprio davanti alla postazione dei bersaglieri, vicino al bunker. Pochi giorni dopo, senza Achille, che rimase a dirigere il Gruppo a Vallecrosia, effettuai con Girò un’altra traversata, accompagnando “Plancia” [Renato Dorgia] a prendere armi e materiale…”

Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.: “… papà nascose in un altro nascondiglio la radio. Venne la polizia, che rovistò dappertutto, ma fu facile dire che non sapevamo niente della radio e che non sapevamo dove Nino (nd.r.: il fratello Alberto “Nino” Guglielmi) fosse fuggito (forse con la radio stessa)… tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa. Compresi che quando era in previsione uno sbarco pernottavamo al mare a dispetto dei cannoneggiamenti da Monte Agel, e al mattino ritornavamo ripetendo la manfrina delle ceste dei garofani invenduti al mercato. Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse. Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille “Andrea” Lamberti, Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi. tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa.
Compresi che quando era in previsione uno sbarco pernottavamo al mare a dispetto dei cannoneggiamenti da Monte Agel, e al mattino ritornavamo ripetendo la manfrina delle ceste dei garofani invenduti al mercato. Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse.
Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille “Andrea” Lamberti, Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi… Io, mio padre con mio fratellino sulle spalle e un carretto con delle ceste di fiori all’interno delle quali forse era nascosta una radio ricetrasmittente o altre casse, procedemmo lungo la via provinciale per passare il posto di blocco. Ampeglio “Elio” Bregliano, Mimmo, Nino, il capitano Bentley e Mac, il marconista, lungo il versante della collina… incontrammo Achille Lamberti e Lotti, che avevano fatto da staffetta e portato un po’ di pane. Arrivò anche Eraldo Fullone con un carro e una mula per caricare le ceste di fiori. Con mio padre e Bruno mi fermai a casa a Vallecrosia Alta. Nino, Mimmo, Elio e gli inglesi procedettero fino a Soldano con Lotti, Achille e Eraldo che li precedevano di vedetta contro eventuali incontri di tedeschi

Nel febbraio del ’45 un agente telegrafista di una radio ricetrasmittente clandestina che operava nella nostra zona venne scoperto e catturato. Viste le mie qualifiche di “operatore radio”, il CLN dispose il mio trasferimento nella vicina Francia liberata per il necessario addestramento… il mio trasferimento sarebbe dovuto avvenire imbarcandomi a Vallecrosia su un piccolo natante per raggiungere il largo, essere trasbordato su di un sottomarino o sul motoscafo di Pedretti e quindi essere sbarcato in Francia. Con Achille [Achille “Andrea” Lamberti] e Gireu [Marcenaro] ci imbarcammo di notte su un canotto e ci dirigemmo pagaiando verso il largo. Nè sottomarino, nè motoscafo. Tornare indietro era pericoloso. Gireu decise di continuare pagaiando di buona lena… Inzuppati e fradici giungemmo al porto di Monaco… portato a Nizza dove mi abbigliarono con divisa americana. Angelo Athos Mariani, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

#1944 #1945 #alleati #fascisti #febbraio #Francia #GruppoSbarchi #partigiani #Resistenza #tedeschi #VallecrosiaIM_






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Nell’inverno 1975 il giudice Spagnuolo torna ad apparire nelle pagine dei giornali. All’ex procuratore generale di Roma risulta infatti molto legato il sostituto Romolo Pietroni, coinvolto nel caso delle infiltrazioni della mafia nella Regione Lazio. Nel febbraio 1975 il sostituto procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna spicca due mandati di cattura per Italo Jalongo e Natale Rimi, figlio di un noto boss, la cui assunzione presso la regione Lazio aveva destato scalpore nel 1971 per le modalità e la speditezza con cui era stata attuata <155. Contemporaneamente vengono inquisiti l’assessore regionale Dc Girolamo Mechelli, già presidente della giunta regionale, il suo collega di partito e capo di gabinetto, Michele Vitellaro, ed il magistrato Severino Santiapichi <156. Al di là degli aspetti penali il caso suscita un certo sdegno e rimane senza spiegazione la circostanza per cui esponenti politici si erano a suo tempo adoperati, con la mediazione di un consulente di un noto boss e di un magistrato, per assumere il «rampollo» della mafia nell’amministrazione comunale. <157 Un altro magistrato con cui Jalongo sembra avere familiarità è Romolo Pietroni, già consulente dell’antimafia, considerato un fedelissimo di Spagnuolo, e coinvolto con Jalongo in un’altra inchiesta su un traffico di abusi d’ufficio <158; sarà poi sottoposto ad arresto nel settembre del 1976 <159 e rimosso dalla magistratura nel 1983 <160.
In questo periodo le più interessanti inchieste della magistratura sulla criminalità mafiosa che coinvolgono, in qualche modo, personaggi della politica non sono i grandi processi incentrati sull’attività della criminalità organizzata, ma, piuttosto, una serie di procedimenti minori, soprattutto per diffamazione, attivati da esponenti della Democrazia cristiana che si sentono danneggiati dalle dichiarazioni di scrittori o politici che hanno denunciato i loro legami, veri o presunti, con la mafia.
Ad esempio quello originato dalla querela sporta da Vito Ciancimino e da Giovanni Gioia ai danni di Girolamo Li Causi, deputato comunista e vicepresidente dell’Antimafia che, all’indomani dell’uccisione del procuratore Scaglione, avvenuta 5 maggio del 1971 <161, aveva affermato che Ciancimino era «compartecipe degli interessi mafiosi» da cui era scaturito questo delitto. A gennaio del 1975 vi era stata l’assoluzione di Li Causi, che l’Unità aveva salutato con comprensibile entusiasmo e in un editoriale Pio La Torre aveva affermato che tale assoluzione era un «segno dei tempi […] la testimonianza di un cambiamento profondo che attraverso la lotta democratica, si è riuscito a determinare negli orientamenti, non solo delle grandi masse lavoratrici e popolari, ma anche di importanti settori dell’organizzazione dello Stato» <162. Ancor prima, a Torino era cominciato un processo che vedeva imputato lo scrittore Michele Pantaleone e l’editore Giulio Einaudi, querelati dal ministro siciliano Gioia per due libri pubblicati nel 1969 <163 e nel 1970 <164. Ma lo stesso Gioia si trovava nella posizione di parte offesa anche in altri processi: a Roma, dove aveva querelato il settimanale L’Espresso, e soprattutto a Genova, dove il ministro democristiano, in compagnia dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e degli eredi del procuratore Scaglione, aveva chiesto la condanna di alcuni giornalisti del quotidiano l’Ora del capoluogo siciliano, fra cui il pittore Bruno Caruso; il processo si era concluso nel giugno del 1974 con l’assoluzione degli imputati. Lo stesso PM, Marvulli, aveva dichiarato ai querelanti «Non potete dolervi di essere raffigurati nello stesso disegno accanto ai big della mafia se, in tutti questi anni, siete stati proprio voi a volerci stare assieme» e, anche, a proposito di Scaglione, che «certi posti di responsabilità non permettono connessioni col potere politico, rappresentato da persone di non chiara fama.» <165 La sentenza di Genova aveva spinto il ministro Gioia a rilasciate una dichiarazione al Popolo <166 in cui spiegava che l’assoluzione dei querelati non significava che fossero stati provati i legami mafiosi, ma semplicemente che non vi era la diffamazione.
Ma gli sviluppi più interessanti sono probabilmente quelli del processo di Torino a carico di Pantaleone già ricordato. Nel febbraio 1975 i difensori degli imputati chiedono l’acquisizione di documenti in possesso della commissione parlamentare antimafia; tali documenti, ritengono, aiuterebbero a provare l’innocenza degli accusati <167. Un’analoga istanza viene fatta al Parlamento dal Tribunale di Milano, dove il boss Coppola ed il suo commercialista Jalongo avevano querelato il giornalista del Corriere della Sera Silvano Villani. La commissione antimafia deve dunque decidere se inviare gli atti richiesti dai tribunali di Torino e Milano, divulgandone il contenuto. Il Psi, attraverso il proprio quotidiano, manifesta con convinzione ed energia l’opportunità di inviare i documenti ai tribunali che ne hanno fatto richiesta <168. In precedenza l’Avanti si era occupato del processo a Pantaleone e aveva duramente condannato l’intervento del procuratore generale Paulesu; questi aveva messo sotto inchiesta il PM titolare per aver chiesto l’assoluzione degli imputati, soluzione evidentemente non gradita dal querelante Gioia e da Paulesu <169. In un primo momento la commissione sembra intenzionata a rilasciare i dossier e il Psi dichiara che essa ha deliberato di inviare i documenti, almeno parzialmente; ma in seguito il presidente, il senatore Dc Carraro, rilascia un comunicato in cui afferma che «la commissione non ha deliberato e non poteva deliberare alcunché in ordine alla richiesta del tribunale di Torino…». I socialisti si dissociano ed attaccano duramente Carraro <170. La Dc, partito cui il ministro Gioia appartiene (essendo uno dei maggiori esponenti della corrente del segretario) fa il possibile per mantenere sotto silenzio la questione e si mostra indispettita per l’atteggiamento della stampa indipendente, che è decisamente favorevole all’invio dei documenti a Milano e Torino <171; Carraro parla di «disinformazione» a proposito delle accuse all’Antimafia di non voler produrre i dossier <172, salvo poi confermare che la commissione non accoglierà la richiesta.
L’atteggiamento dei comunisti sulla vicenda appare piuttosto moderato; l’Unità non dà eccessivo rilievo alla cosa e su Rinascita un articolo di fine gennaio 1975 spiega che, sebbene i comunisti si siano sempre adoperati per la divulgazione dei documenti, la discrezionalità della commissione è legittima <173.
In seguito al diniego della commissione Antimafia i tribunali di Milano e Torino sollevano il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale che si pronuncerà a ottobre confermando la potestà della commissione nel decidere se divulgare o meno i propri atti <174. Si tratta di uno dei momenti definitori circa l’equilibrio di potere tra partiti e magistratura. I tribunali di Torino e Milano richiedono gli atti dell’Antimafia per poter acquisire gli elementi necessari su casi minori di diffamazione; eppure la portata politica dei casi è grande in quanto la divulgazione dei documenti richiesti potrebbe essere di notevole impatto per esponenti di rilievo della Dc. La decisione della Corte costituzionale riconosce la prerogativa della commissione di mantenere segreti alcuni suoi atti e, a questo punto, in circostanze analoghe, i commissari si prenderanno la responsabilità politica di concedere o meno alla magistratura gli atti richiesti per questioni di giustizia; responsabilità politica che diviene effettiva nel momento in cui il sistema dell’informazione si incarichi di segnalare opportunamente il caso ai cittadini elettori, gli unici giudici per questo tipo di responsabilità.
Interessante in questa vicenda la differenza di atteggiamento tra il Psi, alleato di governo della Democrazia cristiana, ed il Pci, partito d’opposizione. Il primo preme con energia per la consegna dei documenti alla magistratura, il secondo si dimostra molto più cauto e anzi sottolinea la necessità di preservare le prerogative del Parlamento.

[NOTE]155 Della questione si occupa con impegno la commissione antimafia presieduta da Cattanei. Vedere N. Tranfaglia, Mafia, politica, affari (1943-2008). Cit. Pag. 81.
156 “Due arrestati per la mafia infiltrata alla regione Lazio”, Unità del 21 febbraio 1975 e “Incriminato l’ex presidente della regione Lazio”, La Stampa del 21 febbraio 1975.
157 “Si indaga su Rimi e Jalongo e sui rapporti mafia-politica”, La Stampa del 22 febbraio 1975
158 “Il duo Jalongo-Pietroni rimuoveva tutti gli ostacoli”, La Stampa del 16 marzo 1976
159 “Magistrato di Roma è arrestato per le licenze illecite alla Standa”, La Stampa del 26 settembre 1976
160 Il magistrato Giuseppe di Lello ricorda che una «pubblicazione vicina a Oscar Luigi Scalfaro», dimessosi dalla commissione antimafia precedente a quella di Cattanei, si era chiesto chi, tra «le migliaia di magistrati sicuramente indiscussi, avesse segnalato proprio uno in contatto con gli ambienti mafiosi» per fare da consulente alla commissione parlamentare. Di Lello ipotizza che si possa trattare del deputato messinese Dc Nino Gullotti oppure di Donato Pafundi, presidente dell’antimafia e ex alto magistrato. G. Di Lello, Giudici. Cit.
161 Sul significato del delitto vedere S. Lupo, Storia della mafia, Donzelli, Roma, 2004. Pag. 291.
162 P. Latorre, “Cosa ci si attende dall’antimafia”, Unità del 4 gennaio 1975. Il Popolo pubblica un articolo in cui afferma che la versione dell’Unità è sbagliata e che Li Causi è stato assolto solo perché avrebbe fatto quelle affermazioni esercitando le sue prerogative di parlamentare, Vedere “Gioia, Li Causi e le bugie”, il Popolo del 05 gennaio 1975.
163 M. Pantaleone, Antimafia: occasione mancata, Einaudi, Torino, 1969.
164 M. Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, Torino, 1970.
165 “La sentenza di Genova conferma i legami tra mafia e potere Dc”, L’Unità del 17 giugno 1974
166 “Una precisazione del ministro Gioia”, Il popolo del 20 giugno 1974
167 “I documenti dell’Antimafia punto cruciale del processo”, La Stampa del 31 gennaio 1975
168 “L’antimafia decide se consegnare il dossier” L’Avanti del 05 febbraio 1975
169 “Il PM denuncia la mafia, il PG denuncia il PM” L’Avanti del 21 gennaio 1975.
170 “Il sen. Carraro smentisce l’antimafia”, L’Avanti del 07 febbraio 1975.
171 Vedere, per esempio, “Mafia segreta”, La Stampa del 20 febbraio 1975; oppure “Antimafia, le schede a Palermo”. La Stampa del 02 marzo 1975 in cui si fa anche notare che tempo addietro la commissione aveva inviato gli stessi documenti richiesti dal tribunale di Torino alla magistratura palermitana per un altro processo; questa sembra essere la testimonianza di un membro dell’Antimafia, l’On. Cesare Terranova, della sinistra indipendente.
172 “Carraro respinge le accuse all’antimafia”, Il Popolo del 25 gennaio 1975
173 “I colpevoli sono già noti”, Rinascita N. 5 del 31 gennaio 1975.
174 Sempre che si tratti di atti «che la commissione abbia ritenuto di mantenere segreti ai fini dell’adempimento delle proprie funzioni, ma [la Corte Costituzionale] ha insieme statuito che essa ha l’obbligo di trasmettere tutti i documenti in suo possesso che, a norma di legge, non siano coperti all’origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all’autorità giudiziaria penale», M. Capurso, I giudici della Repubblica. Cit. Pag. 47.
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013

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Io è grande quanto la Luna. La sognai una notte, questa nozione, precisamente nella notte fra il 18 e il 19 dicembre 2023 (forse vedevo le due immagini confrontarsi, sovrapporsi), e il giorno dopo corsi a verificare. Diametro della Luna: km 3474,8. Diametro di Io: km 3643,2. Ci siamo. Ma adesso la domanda è: come facevo a saperlo?
La prima risposta che può venire alla mente è che io lo avevo letto, lo avevo sentito da qualche parte, e nel mio inconscio avevo stivato il dato. È interessante, comunque, il fatto che questa pagina di saggistica astronomica si è affacciata così, nella mia mente. La scienza procede con prove, esperimenti, esplorazioni – ma anche grazie a intuizioni, a visioni – e ai libri già scritti, raccogliendoli, leggendoli, pensandoci su.
Poi, certo, ci sono le finte scienze. Da quelle immaginarie – e qui si può consultare Forse Queneau di Paolo Albani e Paolo della Bella – a quelle create in buona o meno buona fede, e prima o poi falsificate, cose che vanno dagli abbagli individuali e collettivi, come i raggi N di René Blondlot, l’orgone di Wilhelm Reich, la poliacqua, la fusione nucleare fredda, alle teorie imaginifiche e stupefacenti, come i viaggi nel tempo o le reazioni piezonucleari di Alberto Carpinteri e Roberto Mignani, che oggi non sono certezze scientifiche ma domani chissà; dalle invenzioni folli come l’eugenica di Francis Galton, il raggio della morte di Nikola Tesla, le eliche sposta-nuvole di Pier Luigi Ighina, il cronovisore di Pellegrino Ernetti, alle vere e proprie frodi, studiate a tavolino o cavalcate per obiettivi ideologico-strumentali, come i reportage del “New York Sun” su flora e fauna selenite, l’uomo di Piltdown o il rapporto vaccinazione-autismo proclamato da Andrew Wakefield, sino alle medicine magiche e ai miracoli: il mesmerismo, l’omeopatia, la memoria dell’acqua, la cromoterapia. E per chi volesse saperne di più sulle pseudo scienze c’è allora il libro di Silvano Fuso intitolato, giustappunto, La falsa scienza.
Tutto questo ci porta anche a sospettare che quando nasce un falso sapere – per qualsiasi motivo esso nasca e venga proposto, magari semplicemente per una banale associazione di idee o eventi (così è per le superstizioni, per le sciocche credenze sulle persone e gli eventi che “portano male”, per i supposti fenomeni di telepatia e chiaroveggenza), per il piacere della chiacchiera, o come espediente turistico-commerciale (la Torino magica e diabolica) – ci saranno poi molti che contribuiranno, sempre in buona fede (le vie che portano all’inferno sono lastricate di buone intenzioni cementate con tanta buona fede) a sviluppare quella credenza, a cercarne spiegazioni, ad amplificarne la diffusione.
Io sono affacciato – come tutti – sull’universo. Per questo Natale, anziché la stella cometa, mi è apparso Io. Forse è un segnale: potrebbe essere di buon auspicio l’anno prossimo, anche se in mancanza di anniversari particolari – anzi, verrebbe da dire, a maggior ragione – il riprendere in mano i libri di Galileo Galilei. Che, fra l’altro, per Calvino era lo scrittore più importante della letteratura italiana.
Marco Innocenti, Io e la Luna, dicembre 2023

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Il Regesto, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di) Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco – per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; (a cura di) Alfredo Moreschi, Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, aprile 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter #3. 54 pezzi dispersi e dispersivi, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 – 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini

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Scorrendo le lettere è inoltre possibile seguire idealmente quasi tutta la produzione letteraria di Raimondi fino al 1965 adrianomaini.altervista.org/sc…





Le origini cremonesi e il ricordo della Lombardia non sono così presenti nell’opera di Corazzini adrianomaini.altervista.org/le…




Il romanzo di Lampedusa diventò il primo bestseller italiano


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Dopo il suo ingresso nel conflitto al fianco della Germania, il primo atto bellico dell’Italia di Mussolini è quello di attaccare i territori francesi lungo il confine. L’annuncio è dato in tono solenne il 10 giugno 1940. Il «Corriere della Sera» scrive a caratteri cubitali in prima pagina: “Folgorante annunzio del Duce. La guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Popolo italiano corri alle armi” ❤.
La risposta alleata è perentoria e Torino viene subito bombardata. Gli aerei britannici si alzano per la prima volta sopra i cieli torinesi nella notte tra l’11 e il 12 giugno e trovano la città perfettamente impreparata ed illuminata, con le sirene che avvertono la popolazione del pericolo ad attacco ormai iniziato.
L’incursione degli aerei inglesi si protrae dalle ore 1.30 alle 3.30 e causa 17 morti e 40 feriti <4.
Capire perché Torino, insieme a Genova, è la prima città colpita dagli Alleati è abbastanza semplice: è la più vicina, geograficamente parlando, al confine con la Francia e, soprattutto, ha una fiorente industria automobilistica, che può essere agevolmente convertita in industria bellica.
Tra il 1942 e 1943 Torino è colpita dai bombardamenti più tremendi. Solamente durante la notte del 18 novembre 1942 sono 91 le bombe che, sganciate da 77 aerei, provocano numerosi incendi ma soprattutto 42 morti e 72 feriti <5. Quarantotto ore dopo 250 bombardieri sganciano 100.000 spezzoni da 4 libbre, una bomba incendiaria da 30 libbre ogni secondo, una massa di bombe esplosive, tra cui alcune da 4000 libbre <6. Ciò causa la distruzione di molti stabilimenti torinesi e provoca 117 vittime e 120 feriti.
Una situazione drammatica che non cambia nel 1943. Anzi il 13 luglio si registra il bombardamento più devastante, che causa 792 morti e 914 feriti <7.
L’unica risposta che la popolazione riesce a trovare per difendersi dalla morte che “piove dal cielo” è l’esodo.
La prima migrazione dalla città è del 1940, quando le classi più agiate decidono di trasferirsi nelle proprie seconde case di Trana, Giaveno, Buttigliera Alta, Reano, Coazze. Si tratta di una scelta provvisoria, però. Già in inverno molti torinesi tornano in città, fiduciosi che la situazione possa migliorare. Una speranza che si rivela vana. L’esodo, questa volta a tempo indeterminato, si trasforma nell’unico modo che i cittadini hanno per mettersi in sicurezza, a partire dall’inverno tra il 1942 e il 1943. I dati al primo luglio 1943 della Commissione per lo sfollamento, istituita presso il Comitato provinciale di protezione antiaerea, indicano 318.000 torinesi sfollati, di cui 186.251 nella provincia e 130.000 nel resto della regione: il 46,50% dei residenti registrati all’anagrafe di Torino è composta da sfollati. Un mese più tardi, ad agosto, il numero sale a 465.000, pari al 75% degli abitanti della cittadina <8.
Molti torinesi decidono di migrare in val Sangone, con cui si indica il complesso di quattro valli: del Forno, in cui scorre il Sangone, dell’Indiritto in cui scorre il Sangonetto, della Maddalena in cui scorre il Tauneri e la valle di Provenonda in cui scorre il Romarolo. Ma perché questa scelta? Anzitutto il territorio della valle si presenta non saturo ed è molto vicino alla pianura, cosa che facilita l’approvvigionamento di beni alimentari. Inoltre l’ottima rete di comunicazione garantisce il contatto quotidiano con Torino e le sue aziende, permettendo un forte fenomeno di pendolarismo. Gli sfollati economicamente attivi sono legati alle industrie e alle ditte commerciali torinesi, che continuano la propria attività nonostante i bombardamenti. Molte di queste aziende hanno predisposto dei servizi automobilistici per facilitare i trasferimenti, senza contare che è attiva la tramvia Satti, che collega Torino con Orbassano, Piossasco, Giaveno, Trana.
Al primo luglio 1943 gli sfollati totali in val Sangone sono 8.809, con la popolazione che aumenta, rispetto a quella normalmente residente, del 55,61%. L’Unione provinciale dei commercianti ha calcolato, per approssimazione, che di questi sfollati 2.950 compiono il viaggio giornaliero in città per poter lavorare: altri, impossibili da quantificare, fanno invece viaggi saltuari <10.
Questo accentuato pendolarismo fa aumentare il movimento di passeggeri sulla tramvia Satti, che tocca quasi le 4.000 unità giornaliere, rendendo necessaria l’attivazione di nuove corse. La tramvia rappresenta la cerniera di due mondi diversi ma legati fra loro. Questa nuova situazione spaventa gli industriali valligiani, che temono di perdere la loro manodopera. Infatti l’economia della valle non è legata solo all’agricoltura, come si potrebbe immaginare. Lungo il corso del Sangone sono sorte fiorenti carterie e stabilimenti tessili. Accanto all’industria, la bassa valle presenta seminativi nella zona pianeggiante di Bruino e Sangano e frutteti nelle aree collinari tra Trana e Reano. Ma a rendere difficile lo sviluppo di un’agricoltura moderna e industriale è l’assenza di grandi proprietà private. I terreni sono infatti divisi in piccoli appezzamenti che non consentono la nascita di aziende agricole di dimensioni significative, ma solamente di attività capaci di garantire l’autosufficienza delle famiglie, con la possibilità di vendere l’eventuale modesto surplus alimentare. Anche il commercio non vede la nascita di grandi realtà, ma è costituito da piccoli negozi: botteghe, osterie, empori, dove non vi è specializzazione dell’offerta ma si vende un po’ di tutto.

[NOTE]3 S.A., “Folgorante annunzio del Duce. La guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Popolo italiano corri alle armi”, in Corriere della Sera, 11 giugno 1940, p. 1.
4 Giovanni De Luna, Torino in guerra, in N. Tranfaglia (a cura di) Storia di Torino. Dalla Grande Guerra alla liberazione (1915-1945), Torino, Einaudi, 1998, p. 715.
5 Pier Luigi Bassignana, Torino sotto le bombe, Torino, Edizioni del Capricorno, 2003, pp. 37-39.
6 Giovanni De Luna, Torino in guerra, in N. Tranfaglia (a cura di) Storia di Torino. Dalla Grande Guerra alla liberazione (1915-1945), Torino, Einaudi, 1998, p. 742.
7 P. Bassignana, Torino, cit., pp. 76-77.
8 Gianni Oliva, La Resistenza alle porte di Torino, Milano, Franco Angeli, 1989, p. 37.
9 Comune di Torino, Annuario statistico della città di Torino 1943, Torino, Accame, 1945, pp. XLV-XLVIII.
10 G. Oliva, La Resistenza, cit., p. 37.
Francesco Rende, Mario Greco e la Resistenza in val Sangone, Tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Anno accademico 2016-2017

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Una certa attenzione all’Aginter Presse fu data dal giudice Giovanni Tamburino


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Giannettini, la cui figura emerse durante le indagini relative alla strage di piazza Fontana, raccontò di aver conosciuto Guillou a Lisbona nel 1964 grazie alla mediazione del capitano dell’Organisation de l’Armée Secrète Jean-René Souetre, provando una volta di più i legami intercorsi tra i terroristi francesi e l’estrema destra italiana.
La vicenda dell’Aginter Presse terminò nel 1974, quando la «Rivoluzione dei garofani» dell’aprile mise fine al regime di Marcelo Caetano, costringendo i suoi dirigenti e i loro sottoposti e simpatizzanti a rifugiarsi nella più accogliente Spagna. Nel maggio, un gruppo di militanti favorevoli al nuovo governo portoghese, in seguito alla delazione di un ufficiale della PIDE, fece un’irruzione nei locali della sedicente agenzia, in Rua das Praças, trovando una vera e propria miniera di documenti. All’interno dei locali, venne inoltre scoperta una vera e propria fabbrica di atti contraffatti, insieme a una collezione di timbri e visti relativi alle frontiere di tutta Europa. Dall’esame della documentazione ritrovata, la Commissione di smantellamento della PIDE rivelava che “[…] l’AGINTER PRESS era stata, sino all’aprile 1974, un centro di eversione internazionale, finanziato non solo dal Governo portoghese ma anche da altri Governi europei, dietro cui si celava: – Un centro spionistico legato ai servizi segreti portoghesi e ad altri servizi segreti occidentali quali la C.I.A. e la rete tedesco-occidentale GEHLEN; – Un centro di reclutamento e di addestramento di mercenari e terroristi specializzati in attentati e sabotaggi soprattutto nei Paesi del Terzo Mondo; – Un’organizzazione fascista internazionale denominata «ORDRE ET TRADITION» e il suo braccio militare O.A.C.I. (ORGANISATION D’ACTION CONTRE LE COMMUNISME INTERNATIONAL)” <582.
Qualche mese dopo l’inquietante scoperta, un anonimo dissidente politico portoghese telefonò alla redazione de L’Europeo, a Milano, chiedendo del giornalista Corrado Incerti – conosciuto proprio in occasione della caduta del regime di Caetano – al quale riferì: “Vada al Barrio da Lapa, al numero 13 di Rua das Praças. I militari hanno appena sequestrato una valanga di documenti di un’agenzia terroristica chiamata Aginter Presse e li hanno nascosti nel palazzo della Pide. Non troverà niente, ma sono certo che questa notizia interesserà molto all’Italia” <583.
Insieme al collega Sandro Ottolenghi e al fotografo Piero Raffaelli, Incerti si diresse a Lisbona per visionare i documenti sequestrati. Riuscirono a leggerne solo una piccola parte, poiché furono presto allontanati con una scusa e gli fu impedito di vederne altri ma fu grazie a Raffaelli se, oggi, ci resta una prova fotografica di alcuni di essi. Nel novembre 1974 Incerti e Ottolenghi pubblicarono la loro inchiesta su L’Europeo, in un articolo intitolato “Giornalisti italiani al servizio dell’agenzia terroristica”, nel quale furono inoltre riprodotti alcuni brani del documento “Notre action politique”. “In sostanza, come risulta dalla fitta corrispondenza tra Leo Negrelli (un giornalista italiano residente a Madrid deceduto qualche mese fa, redattore della Voce dell’Occidente) e Guérin-Serac (direttore dell’Aginter Presse), l’agenzia portoghese operava «parallelamente e contemporaneamente» in due campi: informazione – propaganda (e si chiamava Aginter Presse) e azioni eversive pratiche (e allora prendeva il nome di OACI, «Organisatione Armée contre le Comunisme International»; dov’è evidente l’influenza dell’OAS e dove sono ben chiari gli scopi). Guérin-Serac definisce sempre l’OACI come «organizzazione».
In queste strutture operavano gli agenti veri e propri a tempo pieno (classificati in codice «S1» se speciali e «I1» se ufficiali) e i collaboratori diretti di ogni paese (classificati come «H1»). Gli «H1» italiani erano una trentina, e di essi molti erano giornalisti” <584.
Si diceva, per esempio, di Guido Giannettini: «Da prendersi con le pinze», «legato a Pino Rauti di Ordine Nuovo»; «ha preso contatto con la Legione Portoghese nel 1962-1963: in seguito a ciò ha inviato un rapporto a Gomes Lopes, funzionario del servizio Sicurezza della Legione». Su Giano Accame, invece, si segnalava un primo contatto il 17 dicembre 1966, mentre era definito «giornalista al Borghese, responsabile del movimento Nuova Repubblica e redattore capo della rivista omonima». Suoi intermediari sarebbero stati il terrorista dell’OAS “Jean Brune e Umberto Mazzotti; non è il tipo italiano classico, forte personalità, grande intelligenza politica; di origine fascista e sposato con la figlia di un gerarca fascista; forte tendenza nazionalsocialista: non manifesta i suoi sentimenti, anzi fa il contrario; Accame vuol possedere un movimento politico ristretto che sia indipendente e che prepari l’elaborazione di una nuova forma politica in Italia; pensa di poter essere interlocutore valido o perlomeno intermediario fra il regime e l’esercito se questo entra in crisi contro il primo; possiede numerosi contatti internazionali, soprattutto tedeschi; gioca la carta Strauss con cui è in rapporti epistolari; è corrispondente a Roma della «rete» di origine tedesca, cinghia di trasmissione dell’organizzazione Gehelen; mi ha fornito [all’agente dell’organizzazione autore del rapporto, NdA] numerosi contatti in Germania e altrove” <585.
L’articolo proseguì aggiungendo: “Altri giornalisti italiani schedati come «H 1» e dei quali, negli archivi, giace una fitta corrispondenza con Lisbona sono: Giorgio Torchia […], Pino Rauti, Armando Mortilla […], Ezio Ciccarella, Umberto Mazzotti, Michele Rallo del Secolo d’Italia. In una sua relazione del 25 novembre 1966, inoltre l’agente Joel parla di Piero Buscaroli del Borghese. Dice: «Costui è un amico di sempre. È un giornalista di cui mi aveva parlato Mazzotti e che ha importanti contatti nel Sud-Est asiatico e nell’Estremo Oriente. Mantiene rapporti amichevoli con il generale Ky. In più Buscaroli è in legame diretto con l’equipe dirigente dei conservatori americani»” <586.
L’articolo, come si può ben comprendere e alla luce della scomparsa dei documenti dell’Aginter Presse, fu una vera e propria miniera di informazioni sui rapporti tra il gruppo facente capo a Yves Guillou e l’estrema destra italiana, in un momento in cui, nella penisola, emergeva con sempre maggiore evidenza l’esistenza di una pista ordinovista dietro le stragi di Milano e Brescia.
Una certa attenzione all’Aginter Presse in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta fu data, nel dicembre 1974, dal giudice Giovanni Tamburino, nell’ambito dell’inchiesta sulla «Rosa dei Venti». Emilio Santillo, all’epoca responsabile della Direzione generale di pubblica sicurezza – Servizio informazioni generali e sicurezza interna (Dgps-Sigsi), accluse l’inchiesta di Incerti alle indagini condotte in merito evitando, però, di segnalare il nome di Mortilla, seppure presente tra i documenti rinvenuti nella sede dell’Aginter. Solamente in seguito al trasferimento del sedicente giornalista in Spagna il suo nome fu rivelato, ancora una volta, da Umberto Federico D’Amato, il quale aspettò, tuttavia, che non ci fossero altre scappatoie: era infatti facilmente intuibile dai documenti rinvenuti che il contatto romano di Guillou fosse Mortilla. È qui interessante notare come D’Amato, comunque, decise di evitare di rivelare che Mortilla fosse la fonte «Aristo», probabilmente, come suggerito da Aldo Giannuli, per nascondere la sua reale mansione – più o meno prevista – di «agente provocatore» <587.
Con la dovuta eccezione dell’indagine di Tamburino, l’eco dell’articolo di Incerti, però, fu piuttosto modesta, e la sua importanza fu riconosciuta solamente negli anni Novanta, con la già citata «Sentenza-ordinanza» del magistrato Guido Salvini.

[NOTE]582 Giudice istruttore di Milano, dottor Salvini, rg. 2/92 F, sentenza ordinanza del 3 febbraio 1998 contro Rognoni Giancarlo + 32, cit., p. 368.
583 A. SCERESINI, Internazionale nera, cit., p. 13.
584 C. INCERTI, S. OTTOLENGHI, P. RAFFAELLI, Giornalisti italiani al servizio dell’agenzia terroristica, «L’Europeo», 28.11.1974 (l’articolo è consultabile online all’indirizzo: ecn.org/ponte/doss12/novita/ag…).
585 Ibidem.
586 Ibidem.
587 A. GIANNULI, E. ROSATI, Storia di Ordine Nuovo, cit., p. 72.
Veronica Bortolussi, I rapporti tra l’estrema destra italiana e l’Organisation de l’Armée Secrète francese, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2016-2017

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Una scena realizzata ad Isolabona (IM) a fine luglio 2011, ispirata al romanzo "Islabonita" di Nico Orengo