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Sembra che Guignot fosse stato impegnato nella costituzione di un collegamento fra l’Organisation Gehlen e un servizio segreto francese


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Per quanto riguarda invece Guignot, il collaborazionista francese condannato a morte, la sua attività per l’ODEUM Roma si sarebbe configurata in maniera del tutto diversa da quella di von Fransecky. Tra il ’48 e il ’49 Guignot sarebbe diventato il membro del gruppo più vicino a Johannes dal punto di vista professionale, producendo una grande quantità di report riguardanti i più svariati argomenti e mettendosi continuamente a disposizione. Tuttavia è lecito interrogarsi sulle ragioni che avevano portato Guignot a collaborare con l’ODEUM Roma. Sulla base delle informazioni fornite dai documenti sul conto del latitante fascista francese è possibile ipotizzare che egli fosse principalmente interessato non tanto a prendere piede nel mondo dell’intelligence del dopoguerra sulla base di aspirazioni professionali, quanto piuttosto a garantirsi un’entrata regolare per motivi di sopravvivenza. Trovandosi a Roma subito dopo la fine della guerra a causa di una condanna a morte in patria, Guignot non doveva solo assicurarsi un modo per finanziare la propria esistenza in clandestinità, ma anche per sostenere il peso di ingenti spese mediche per le cure della moglie, affetta da una malattia grave non meglio specificata: tali spese sembrano aver assorbito maggior parte dello stipendio del criminale di guerra francese, riducendo così la coppia in una situazione economica «catastrofica» <287. Questa necessità di denaro, senza dubbio alla base dell’attività di Guignot nel campo dell’intelligence postbellica, lo avrebbe portato dapprima a prendere contatti con alcuni gruppi neofascisti italiani, dai quali avrebbe ricevuto l’incarico «di costruire una rete d’intelligence a tutti gli effetti», un progetto poi finito in un nulla di fatto per mancanza di fondi <288. Quando successivamente incontrò Johannes nel ’48, è probabile che Guignot avesse da subito intravisto la concreta possibilità di inserirsi finalmente in un contesto di lavoro più o meno stabile. E, come si è visto, sarebbe riuscito a guadagnare gradualmente la fiducia dell’ex fisico nucleare grazie alla propria ambizione e alla sua determinazione.
I primi due report di Guignot, redatti per l’ODEUM Roma nel febbraio del ’48, lasciano intravedere alcune delle principali attività svolte dal francese per l’Organisation Gehlen, riguardanti perlopiù gli ambienti vaticani ed ecclesiastici in generale. Così nel primo report, intitolato “Renseignements sur les frères Omez”, Guignot fornisce al suo futuro capo informazioni sul conto di tre frati dell’ordine dei Dominicani, attivi tra Italia, Francia e Spagna e descritti come «sospetti» <289. Il secondo report, invece, sembra concentrarsi su un’analisi del panorama ecclesiastico francese in vista della nomina del nuovo arcivescovo di Rouen <290. Qualche mese più tardi, nell’aprile del ’48, Guignot avrebbe raccolto informazioni sull’ordine dei Gesuiti dietro richiesta di Johannes, servendosi, a quanto pare, anche di conoscenze nella segreteria di Stato del Vaticano <291. Col passare del tempo e con il consolidarsi del rapporto di fiducia reciproco, il capo dell’ODEUM Roma avrebbe aperto a Guignot anche le porte di Via Condotti, assegnandogli compiti come la sorveglianza della figlia di Malfatti, sospettata, come già accennato, di attività spionistica per i servizi segreti comunisti <292. Inoltre, sullo sfondo degli accordi presi tra il governo militare francese in Germania e l’Ordine – la prima “sconfitta” di Johannes a via Condotti, di cui si è parlato prima – Guignot si sarebbe anche occupato della raccolta di notizie sul conto del generale de Marguerittes, artefice di tali accordi e da lui descritto come «militare mediocre», ma capace di tutto per difendere i propri interessi <293.
Tuttavia, l’attività più degna di nota del collaboratore francese non avrebbe riguardato le cerchia ecclesiastiche, quanto piuttosto quelli legati alla sua patria. Nel ’49, poco dopo lo “scandalo SMOM” e la partenza di Johannes da Roma, sembra infatti che Guignot fosse stato impegnato nella costituzione di un collegamento fra l’Organisation Gehlen e un servizio segreto francese, probabilmente il SDECE (Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage), l’organo d’intelligence per l’estero francese, nato nel ’45 <294. Dai documenti emerge chiaramente come Guignot sia stato tra gli artefici di questo avvicinamento tedesco-francese, che, nell’agosto del ’49, avrebbe portato ad un incontro tra Reinhard Gehlen, accompagnato da Johannes, e un membro del suddetto servizio segreto della Repubblica francese <295.
In un documento intitolato “Reisebericht” (“Resoconto di viaggio”) Johannes affermava infatti che Guignot «e i suoi amici desiderano un contatto più frequente» con Pullach, in quanto la parte francese sarebbe estremamente interessata «a tutto quello che riguardava i comunisti in tutti i paesi, ma soprattutto in Germania» e considererebbe l’Organisation Gehlen quale «fonte più adatta con le migliori possibilità, anche dal punto di vista geografico, per fornire simili informazioni »296. In cambio, secondo quanto riferito da Guignot a Johannes, il servizio segreto francese avrebbe assicurato il proprio sostegno all’Organisation Gehlen in vista della costituzione degli organi d’intelligence della neonata Repubblica Federale Tedesca: gli “amici di Guignot” avrebbero avuto molto a cuore «che 34 [Reinhard Gehlen] venisse nominato capo dell’intelligence federale» <297. Inoltre essi, affermava Johannes, sarebbero stati persino disposti a «mettere fuori gioco» eventuali antagonisti dell’Organisation Gehlen, «se 34 lo desiderava» <298. In tal senso, le suddette attività di Guignot rientravano nel più vasto ambito della nascente cooperazione spionistica tedesco-francese postbellica che si stava pian piano costituendo tra il ’47 e il ’50, anno in cui Reinhard Gehlen avrebbe poi incontrato per la prima volta Henri Ribière, direttore generale del SDECE <299.
Anche se, dunque, l’attività di Guignot non avrebbe riguardato solo la sfera italiana o “interna”, ma anche quella estera, è degno di nota, in particolar modo, lo sforzo da lui fatto per contrastare il PCI nel 1949. Da un documento dell’ottobre di quell’anno emerge infatti come egli sia riuscito a trovare un informatore disposto – dietro un pagamento di 15.000 lire – a riprodurre e poi consegnargli un numero significativo di documenti conservati presso la sede centrale del PCI e riguardanti le corrispondenze del partito con Mosca <300. A causa di una sostanziale mancanza di fonti, tuttavia, non è al momento possibile ricostruire se o meno tale operazione proposta da Guignot avesse avuto seguito.
Dalle suddette attività della spia francese emerge con chiarezza come Johannes si sia servito di un uomo in grado di “compensare”, in apparenza, quegli aspetti che invece mancavano nel curriculum dello stesso capo dell’ODEUM Roma: Guignot appariva quale uomo d’intelligence con notevole esperienza, ben collegato e abile nel muoversi nella Roma “capitale di spie” dell’epoca. Tuttavia a tal riguardo, come emerge da un report del BND risalente al ’69 – quindi all’anno del pensionamento di Johannes – c’è chi all’interno dello stesso servizio segreto federale non la pensava affatto così. Guignot, afferma lo scrivente, «è senza dubbio da definire come poco professionale dal punto di vista dell’attività d’intelligence», oltre ad essere «un uomo che, senza prestazione adeguata, ha goduto immeritatamente per anni una vita comoda», grazie al supporto di Johannes <301. Definendo Guignot come «probabile imbroglione» e «scroccone», è facile dedurre che chi aveva redatto il documento fosse convinto che il collaborazionista francese, più che rappresentare una valida e importante componente del gruppo d’intelligence romano, avesse invece sfruttato la mancante esperienza sul campo di Johannes a proprio favore, fornendogli notizie poco importanti e, a volte, addirittura false <302. Mentre più avanti si tornerà sul report in questione, esaminandolo più a fondo soprattutto in vista del giudizio generale circa il lavoro dell’ODEUM Roma, basta qui dire che Guignot rappresentò senz’altro la componente più sfuggente del gruppo romano, ma al tempo stesso quella più eminente. Egli, come emerge dalle carte esaminate, sembra aver svolto per anni un ruolo centrale nell’attività d’intelligence dell’Organisation Gehlen a Roma, spaziando dall’ambiente vaticano fino ai ministeri italiani e al PCI. E, come dimostra il report appena citato, valutare in retrospettiva l’attività di Guignot risulta un’impresa difficile, soprattutto in vista dell’eterogeneità delle fonti e dei giudizi contrastanti espressi in esse.

[NOTE]287 Italien-Allgemeines, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, senza data, BND-Archiv, 220815, doc. 408.
288 Bericht N°10, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, 13 febbraio 1948, BND-Archiv, 220815, doc. 121; Reisebericht Italien, 3031 [Otto Wagner], BND-Archiv, 220814_OT, doc. 138.
289 Renseignements sur les frères Omez, Guignot, senza data, allegato a Bericht N°10, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, 13 febbraio 1948, BND-Archiv, 220815, doc. 119.
290 Très important, Succession du Cardinal Petit de Julleville, Archevèque du Rouen, Guignot, senza data, allegato a Bericht N°10, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, 13 febbraio 1948, BND-Archiv, 220815, doc. 120.
291 Bericht N° 13, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, 3 aprile 1948, BND-Archiv, 220815, doc. 106.
292 Bericht N°19, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, 4 luglio 1948, BND-Archiv, 220815, doc. 079. Sarebbe stato sempre Guignot ad occuparsi della raccolta di prove sul tali presunte “attività illecite” e a consegnarle poi alle autorità, con lo scopo di far allontanare Malfatti dal SMOM, cfr. Italien-Allgemeines, senza data, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 00305.
293 Report, Jean Henry Guignot de Salbert, 23 settembre 1948, allegato a Bericht N° 22, Johannes Gehlen a Reinhard Gehlen, BND-Archiv, 220815, doc. 062.
294 È chiaro che si trattava di un servizio segreto ufficiale e statale, e non di una rete “ufficiosa” o di carattere “privato”, in quanto veniva proposto il consolato francese come canale di comunicazione fra le due parti. Ciò, insieme all’attività estera e l’interesse nei confronti delle vicende internazionali, giustificano l’ipotesi che si tratti del SDECE. Cfr. anche E. Schmidt-Eenboom, C. Franceschini, T. Wegener Friis, Spionage unter Freunden, cit., pp. 68-69. Inoltre, come ha dimostrato Wolfgang Krieger, inoltre, un’effettiva collaborazione tra l’Organisation Gehlen e il SDECE si stabilì proprio nel triennio ’47-’50. W. Krieger, Partnerdienste, cit., pp. 254-259; Reisebericht von S-1933, 24 agosto 1949, BND-Archiv, 220815, doc. 084.
295 Che Johannes abbia accompagnato il fratello durante tale viaggio è provato dal seguente documento, cfr. Auszug aus: Eindrücke einer Reise in Oberitalien und der Schweiz im August 1949, S-1933, senza data, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 000311.
296 Ibidem.
297 Ibidem.
298 Ibidem.
299 W. Krieger, Partnerdienste, cit., p. 259. Per un‘analisi approfondita dei rapporti spionistici tra l’Organisation Gehlen e i servizi segreti francesi a partire dal ’47 cfr. Ivi, pp. 249-322.
300 Italien-Allgemeines, senza data, BND-Archiv, 220814_OT, doc. 302.
301 Aus Akte Roma bei 106/II, senza data, BND-Archiv, 220816, doc. 607.
302 Ibidem.
Sarah Anna-Maria Lias Ceide, ODEUM Roma. L’Organisation Gehlen in Italia agli inizi della guerra fredda (1946-1956), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, 2022

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In questa prospettiva, le fratture delle colonne di Arnaldo Pomodoro denunciano una sconosciuta fragilità della materia adrianomaini.altervista.org/in…


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La formula adottata da Kienerk per la testata «La Riviera Ligure» è esemplare adrianomaini.altervista.org/la…


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Contro gli uomini che odiano le donne, contro il patriarcato


Ho amato le donne da sempre.
Del resto le donne da sempre mi hanno cresciuto, la mamma, sua madre, la nonna, sua sorella, mia sorella maggiore, hanno creato quel guscio morbido che mi proteggeva, impenetrabile dalle ruvidezze di papa’.
Così, ogni uomo che approcciavo usava mezzi cortesi per entrare nella mia mente, mio padre, il nonno Ugo, lo zio Luchin, lo zio Eugenio, il cugino Enzo, il cugino Gian Carlo, ognuno di loro a modo suo innamorato delle mie donne e quindi avviluppato nelle trame gentili della femminilità.
Ho conosciuto, di quel gineceo, ogni sfaccettatura, la calma sorridente di mamma, la confortevole accoglienza matronale di sua madre, la spigolosa ostinazione della nonna, l’alacrità tutta ligure di sua sorella, la spavalda irrequietezza della mia.
E quindi nel mio universo al femminile, ogni successivo avvicinamento alla mia futura condizione di maschio eterosessuale e’ arrivato per osmosi, senza iniziazioni ostentatamente virili,permettendomi di amare le donne come imprescindibili elementi della mia esistenza.
Se e’ capitato che alzassi di qualche ottava la voce con una compagna mai e’ avvenuto per prevaricare, semmai per riuscire a competere con la sua autorevolezza durante una discussione.
Non riesco neppure a immaginare di alzare la mano su una femmina o di desiderarne in qualche modo il male, quando e’ finito l’amore ho accettato che accadesse senza drammi, anche davanti a provocazioni palesi.
E’ che delle donne sono curioso, della loro bellezza, della loro mente e anche della loro inscalfibile spietatezza, irrimediabilmente e per sempre.
Paolo Kahnemann, Sanremo, 25 novembre 2024
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Il Piano Solo prende nome dall’ipotesi di utilizzare solo unità di carabinieri


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Le elezioni politiche del 28 aprile 1963 rivelano una leggera radicalizzazione delle preferenze politiche degli italiani. La DC scende per la prima volta sotto il 40 per cento, ottenendo il 38,3 per cento dei voti rispetto al 42,4 di cinque anni prima. I maggiori beneficiari della flessione democristiana sono i liberali, la cui coerente opposizione al Centro Sinistra permette di conseguire un aumento dal 3,5 al 7 per cento. A Destra i monarchici scompaiono (dal 4,9 all’1,7 per cento) ed il MSI sale pochissimo (dal 4,8 al 5,1 per cento). A sinistra il PSDI viene premiato dalla sua partecipazione al Governo Fanfani con un incremento dell’1,5 (dal 4,6 al 6,1 per cento), mentre il PSI cala impercettibilmente (dal 14,2 al 13,8 per cento). La sconfitta della Democrazia Cristiana indica un rifiuto alla politica di centrosinistra, unico elemento chiaro visibile dalle indicazioni elettorali, ma, dopo l’avventura di Tambronì, Moro e i dorotei sono decisi a continuare l’alleanza con socialisti, anche se in una forma più moderata. Le trasformazioni del paese già maturate negli anni precedenti spingono il partito cattolico a mantenere il timone a sinistra
per garantirsi il radicamento nei nuovi ceti sociali urbani emergenti, rispetto al vecchio mondo contadino in declino.
Nel mese di luglio, il Presidente americano John F. Kennedy giunge in Italia in visita ufficiale. Dopo una serie di incontri con tutti i segretari di partito e gli esponenti politici di maggior rilievo, la linea dell’apertura a sinistra viene pienamente confermata. L’appoggio statunitense alla svolta politica italiana si rivela ancora una volta contraddittoria. Kennedy, impegnato nel controllo della situazione interna che sta progressivamente sfuggendogli di mano, non può garantire un sostegno deciso al progetto. Accanto alle operazioni politiche dei collaboratori diretti della Casa Bianca, si sviluppano i piani di guerra non ortodossa in chiave anticomunista palese, che avrebbero avuto un peso notevole sul futuro dei Paese.
Nell’ottobre 1963, dopo il XXXV Congresso, il PSI è pronto a formare un nuovo Governo con i democristiani. Moro diviene Presidente Consiglio e Nenni vice Presidente. Il Dicastero del Bilancio è affidato ad Antonio Giolitti. Lombardi rifiuta la poltrona ministeriale. La partecipazione ad un Esecutivo moderato provoca una spaccatura all’interno del PSI, la corrente di estrema sinistra rifiuta di votare la fiducia e, sottoposta a provvedimenti disciplinari, di li a poco uscirà dal partito (31).
Il compromesso faticosamente raggiunto non possiede elementi duraturi. La destra è sempre più aggressiva verso i socialisti, mentre potentati economici, dall’industria all’edilizia, ed i baroni della finanza dei vecchi gruppi elettrici, scatenano un’offensiva non di poco conto. Le concessioni di Moro sul piano delle riforme – la riforma scolastica e la riforma urbanistica, meno radicale di quella di Sullo – preoccupano in modo considerevole gruppi conservatori ostili a qualsiasi forma di cambiamento. A giugno, dopo uno scontro parlamentare sulla riforma scolastica, Moro si dimette. Il Presidente della Repubblica Antonio Segni lo incarica di formare un nuovo governo, ma i negoziati sembrano prolungarsi all’infinito. Il 15 luglio viene convocato al Quirinale il Generale De Lorenzo, Comandante dell’Arma dei Carabinieri. L’evento, assolutamente anomalo, si verifica il giorno dopo la temporanea interruzione delle consultazioni tra i quattro partiti di centrosinistra e acquista quindi un significato polìtico tale da far parlare di un colpo di stato ‘virtuale’, nel senso di una vera e propria minaccia che viene fatta pesare sul capo dei dirigenti politici; una forzatura insomma delle decisioni da assumere. Il pericolo in cui versano le istituzioni repubblicane costringe Nenni a moderare la sua intransigenza, portandolo al reingresso nel nuovo esecutivo, senza nessun vantaggio rispetto al precedente governo. “Improvvisamente i partiti e il Parlamento hanno avvertito che potevano essere scavalcati. La sola alternativa […] è stata quella d’un Governo d’emergenza, affidato a personalità così dette eminenti, a tecnici, a servitori disinteressati dello Stato, che nella realtà del paese qual è, sarebbe stato il Governo delle Destre, con un contenuto fascistico-agrario-industriale, nei cui confronti il ricordo del luglio 1960 sarebbe impallidito” (32).
Una Commissione parlamentare d’inchiesta sintetizza così i fatti: “Nella primavera-estate del 1964 il generale De Lorenzo, quale comandante dell’Arma dei carabinieri, al di fuori di ordini o direttive o semplici sollecitazioni provenienti dall’autorità politica, e senza nemmeno darne notizia, ideò e promosse l’elaborazione di piani straordinari da parte delle tre divisioni dell’Arma operanti nel territorio nazionale. Tutto ciò nella previsione che l’impossibilità di costituire un governo di centrosinistra avrebbe portato a un brusco mutamento dell’indirizzo politico, tale da creare gravi tensioni fino a determinare una situazione d’emergenza” (33).
E’ il cosiddetto “Piano Solo”. Prende nome dall’ipotesi di utilizzare solo unità di carabinieri per affrontare possibili emergenze. Il piano prevede un insieme di iniziative tra cui l’occupazione della RAI-TV, il controllo delle centrali telefoniche e telegrafiche, il fermo di numerosi esponenti della vita nazionale. Bruno Trentin, ex Segretario Generale della CGIL, ricorda: “Che ci sia stato un clima di forte tensione e anche di allarme, non solo nei partiti della sinistra, ma anche nel movimento sindacale è indubbio. Come è vero che vi sono stati giorni in cui dirigentí sindacali erano, almeno nella CGIL, in situazione di preallarme e avevano provveduto in alcuni casi a trovare delle seconde abitazioni. Che siano state utilizzate, francamente non ne ho conoscenza, a parte qualche caso sporadico” (34).
Lo scandalo del ‘Piano Solo’ scoppierà un paio d’anni più tardi e si concluderà con la sostituzione di De Lorenzo nell’incarico di capo di stato maggiore dell’esercito, dopo che il generale avrà rifiutato la proposta del ministro della Difesa, Tremelloni, di dimettersi. La polemica tornerà a divampare in seguito a una querela per diffamazione aggravata contro il settimanale “L’Espresso”, diretto da Eugenio Scalfari, ‘reo’ di avere pubblicato un articolo di Lino Jannuzzi dal titolo “Finalmente la verità sul SIFAR. 14 luglio 1964: complotto al Quirinale. Segni e De Lorenzo preparano un colpo di Stato”. Racconta il giornalista: “Il governo e lo stesso presidente della Repubblica smentirono le nostre rivelazioni. Il generale De Lorenzo ci querelò e il tribunale, a cui il governo aveva rifiutato i documenti con la scusa del segreto militare, ci condannò. Ma intanto il Parlamento aveva deciso di fare su tutta la questione un’inchiesta parlamentare. Per la prima volta nella storia d’Italia il Parlamento poté mettere il naso nelle cose segrete del mondo militare. Questa commissione, sia pure sfumando e censurando alcune cose, accertò che i fatti erano veri” (35).
La Commissione Parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia nella proposta di relazione redatta dal Presidente Giovanni Pellegrino, spiega “che la valenza e la destinazione funzionale del Piano non può cogliersi astraendosi da un lato dalla considerazione che il piano non fu mai attuato, sicché si è in presenza – come già per Gladio – di una sostanziale potenzialità operativa; dall’altro dalla circostanza che ciò malgrado sembra difficile negare che la predisposizione del piano ebbe un’indubbia influenza sugli esiti della vicenda politica nell’estate del 1964. Sul punto, in altri termini appare improduttivo alla Commissione indugiare sulla “realtà” di un progetto golpista da parte del generale De Lorenzo (e cioè domandarsi se si tratta di una minaccia reale, poi non realizzata per motivi che resterebbero oscuri, dato che di essa si ebbe notizia solo alcuni anni dopo) – ovvero se non vi sia stato nulla di tutto ciò ma soltanto un improvvido attivismo del generale; un maldestro eccesso di zelo la cui importanza sarebbe stata a torto enfatizzata negli anni successivi. Più fondato appare alla Commissione riconoscere che a fondamento di una valutazione finale possano valere giudizi espressi sul punto da due protagonisti della vicenda politica e cioè da Nenni da un lato, Moro dall’altro, giudizi che, pure formulati a circa un quindicennio di distanza l’uno in condizioni diversissime, appaiono sostanzialmente coincidenti”.
Molti anni dopo, prigioniero delle Brigate Rosse, l’on. Moro avrebbe così descritto la vicenda: “Nel 1964 si era determinato uno stato di notevole tensione per la recente costituzione del centrosinistra […] per la nazionalizzazione dell’energia elettrica […], per la crisi economica che per ragioni cicliche e per concorrenti fatti politici si andava manifestando. Il presidente Segni, uomo di scrupolo, ma anche estremamente ansioso, tra l’altro, per la malattia che avrebbe dovuto colpirlo da lì a poco, era fortemente preoccupato. Era contrario alla politica di centrosinistra. Non aveva particolare fiducia nella mia persona che avrebbe volentieri cambiato alla direzione del Governo. Era terrorizzato da consiglieri economici che gli agitavano lo spettro di un milione di disoccupati di lì a quattro mesi. […] Fu allora che avvenne l’incontro con il generale De Lorenzo [….]. Per quanto io so il generale De Lorenzo evocò uno dei piani di contingenza, come poi fu appurato nell’apposita Commissione parlamentare di inchiesta, con l’intento soprattutto di rassicurare il Capo dello Stato e di pervenire alla soluzione della crisi” (36). E’ un giudizio che viene ulteriormente precisato, nel corso del memoriale, laddove può leggersi: “il tentativo di colpo di Stato nel ’64 ebbe certo le caratteristiche esterne di un intervento militare, secondo una determinata pianificazione propria dell’Arma dei Carabinieri, ma finì per utilizzare questa strumentazione militare essenzialmente per portare a termine una pesante interferenza politica rivolta a bloccare o almeno fortemente dimensionare la politica di centrosinistra, ai primi momenti del suo svolgimento” (37).
Queste valutazioni sostanzialmente coincidono con quelle espresse da Nenni nell’immediatezza dei fatti (vedi nota 32): unica alternativa ad una riedizione dei governo di centrosinistra era quella di un Governo di emergenza, affidato a tecnici, che nella realtà del Paese quale era, avrebbe avuto il sostegno delle destre ed avrebbe attivato una situazione di tensione. “Non sembra dubbio alla Commissione che il Piano Solo era destinato ad acquisire attualità operativa appunto in previsione di tale evenienza, con modalità che si ponevano al di fuori dell’ordinamento costituzionale. Così come è indubbio che la percezione in sede politica di tale possibile evenienza valse a determinare, come Moro esattamente noterà quindici anni più tardi, un forte ridimensionamento della politica di centrosinistra ai primi momenti del suo svolgimento. Né vi è dubbio che ciò corrispondesse agli interessi perseguiti da settori dell’amministrazione statunitense (o cioè il depotenziamento del centro sinistra, così esorcizzando le preoccupazioni nutrite da ampi strati del ceto dirigente e imprenditoriale italiano) e che si situava all’interno di un disegno strategico più ampio di ‘stabilizzazione’ del quadro politico italiano, rispetto al quale un’involuzione autoritaria costituiva esito estremo e non gradito” (38).

[NOTE](31) Nel gennaio 1964, trentotto deputati e senatori abbandonano il partito per creare il PSIUP. In un intervento in Parlamento Lelio Basso afferma: “Una sola cosa non si può fare ed è quella di sacrificare l’autonomia del movimento operaio, di subordinare scelte politiche al disegno organico della classe dominante. Ed è invece proprio questo disegno organico che noi vediamo nel Governo Moro”
(32) Riflessioni di P. Nenni sull’Avanti, 26 Luglio 1964.
(33) S. Zavoli, La notte della Repubblica, I libri dell’Unità, Roma 1994, pag.21
(34) ibidem pag.22
(35) ibidem pag.22
(36) F.M. Biscione, Il Memoriale di Aldo Moro, rinvenuto in via Montenevoso a Milano, Coletti, Roma 1993, pag.45
(37) ibidem, pag.46
38) G. Pellegrino, Proposta di Relazione, Il Terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico, pag.86,87, Roma 1994.
Lorenzo Pinto, Le “stragi impunite”. Nuovi materiali documentari per una ricerca sulla strategia della tensione, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno Accademico 1996-1997

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Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi


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Sindona sopravvalutò se stesso, la sua rete relazionale, la sua abilità su un mercato instabile come quello degli anni ’70 e, preso da delirio di onnipotenza, pensò di poterla fare franca persino di fronte all’omicidio di Giorgio Ambrosoli. La sua tragica fine, accreditata come suicidio dai più <792, ne è la prova esemplare.
Al di là della variabile psicologica nella personalità di Michele Sindona, che ebbero certamente un peso nella sua vicenda, c’è un punto, segnalato anche dalla sentenza che lo ha condannato all’ergastolo, che vale qui sottolineare, cioè la radicata concezione del potere nella società italiana che aveva fatto propria. Una concezione: «secondo la quale il potere, meramente formale ed apparente, che si fonda sulle leggi e si esercita attraverso le istituzioni pubbliche è destinato fatalmente, in caso di conflitto, a soccombere di fronte a quello, effettivo e reale, che promana da certe condizioni di fatto, quali le amicizie influenti, le complicità, gli appoggi politici che contano, la disponibilità di danaro e le possibilità di ricatto, di corruzione e di intimidazione. Questa concezione essenzialmente mafiosa del potere – nella quale si rinvengono perfino connotazioni ideologiche antistatuali, come è confermato anche dalla evocazione e dalla mobilitazione dei vari poteri illegali ed occulti di Cosa Nostra, di mafia e di massoneria piduista compiute dal Sindona durante il suo finto rapimento – non era priva di un suo torvo realismo» <793.
Un realismo che Sindona probabilmente aveva fatto proprio sin dalla tesi di laurea su Il Principe di Machiavelli, se arrivò a sbandierare quel suo legame col potere mafioso tanto agli amici che ai nemici, pur negandolo sempre davanti all’opinione pubblica. La sua vicenda è paradigmatica di come contiguità culturali, territoriali e biografiche possano portare un soggetto assolutamente estraneo all’organizzazione ad acquisire quegli schemi cognitivi e comportamentali tipici dell’habitus mafioso. E nonostante questo riuscire a sviluppare un’affinità elettiva immediata con più di un esponente della borghesia milanese, che nel finanziere siciliano trovò un formidabile alleato per arricchirsi speculando ed evitando pure di pagare il dovuto all’erario.
Il suo riferimento accademico, Milton Friedman, nel 1970 scrisse che l’unica responsabilità sociale di un’impresa è aumentare i propri profitti, nel rispetto delle regole del gioco <794. Ed è questo il punto: Sindona iniziò la sua carriera aderendo perfettamente alle regole del sistema, che lo lasciò crescere e addirittura cercò di trasformarlo in un suo alfiere, come dimostrano i primi idilliaci rapporti d’affari con Cuccia, che una volta rotto col finanziere di Patti puntò sull’ingegnere di Paternò Salvatore Ligresti, che in quanto a spirito speculativo non era da meno. Sindona sarebbe potuto diventare il principe dei mediatori degli interessi tra quell’anima conservatrice-reazionaria della borghesia milanese e il potere mafioso, unite nella speculazione e l’arricchimento facile ai danni dello Stato e del sistema economico: il problema fu che voleva far saltare gli equilibri della finanza italiana, imponendo il suo capitalismo relazionale essenzialmente mafioso, che implicava la polverizzazione di quello imperniato su Mediobanca.
«La storia, in fondo, è tutta qui», scrisse una volta Marco Vitale, definendo la vicenda Sindona una storia semplice e banale: «è il dilagare del metodo mafioso a tutta la società, la penetrazione progressiva del modello del ricatto, della minaccia, dell’avvertimento» <795. Non qualcosa di così semplice e banale, pensando alla gloriosa storia imprenditoriale che esprimeva la città di Milano.
Il «cuore» della P2: Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano
La storia di Roberto Calvi è strettamente legata a quella di Michele Sindona, sebbene poi i destini dei due si separarono una volta caduto in disgrazia il finanziere di Patti, e soprattutto dopo il ricatto ai danni del banchiere milanese di cui abbiamo parlato. Una cosa è certa: il triumvirato Calvi-Sindona-Marcinkus, ufficializzato il 23 marzo 1971 con la fondazione della Cisalpine Overseas Bank, fu l’elemento decisivo per la penetrazione nell’economia milanese dei soldi di Cosa nostra, dando inizio a quel processo di ibridazione a livello di classe dirigente tra habitus milanese e habitus mafioso.
Calvi, milanese doc la cui famiglia era originaria di Como, presentò subito un’affinità di stile con quel modo di fare finanza tipico dei «siciliani di Milano» e sfruttò come il suo maestro Sindona il legame con il Vaticano, Licio Gelli e, per loro tramite, con il potere mafioso espresso da Cosa Nostra.
Il sistema di società estere dell’Ambrosiano ideato da Calvi era infatti una versione migliorata di quello ideato da Sindona fondato sui depositi fiduciari. Nel Sistema Calvi, il meccanismo centrale era rappresentato dalle cosiddette operazioni back to back, attraverso le quali il Presidente dell’Ambrosiano effettuava investimenti all’estero senza che ne risultasse chiara evidenza nelle registrazioni contabili, dato che figuravano come un deposito o un prestito a banche terze, estranee al gruppo, anziché un reale finanziamento a società controllate per fini non apertamente dichiarabili, a causa, ad esempio, di restrizioni valutarie o di particolari vincoli imposti dalla Banca d’Italia <796. Sindona tuttavia non fu il primo maestro di Calvi, né fu quest’ultimo a creare il primo nucleo delle partecipazioni estere dell’Ambrosiano, volte ad aggirare i (pochi) vincoli imposti dalla legislazione italiana al mercato finanziario.
Genesi di un banchiere cattolico
Roberto Calvi venne assunto al Banco Ambrosiano con decorrenza 1° gennaio 1948, quando aveva appena 27 anni. Nato a Milano il 13 aprile 1920, suo padre Giacomo era un funzionario della COMIT di Raffaele Mattioli e fu decisivo nel suo primo incarico presso la Banca Commerciale, dove venne assunto il 16 ottobre 1943 <797, dopo essersi arruolato al fronte da convinto fascista ed essere tornato dalla disastrosa campagna di Russia. Prima della guerra, fresco del diploma in ragioneria, si era iscritto alla Bocconi, non riprendendo tuttavia più gli studi.
Sempre il padre fu decisivo nell’assunzione all’Ambrosiano, anche se sul punto esistono due versioni: la prima vede un ruolo di primo piano di Francesco Bianchi, compagno di scuola del padre, nell’altra di Carlo Alessandro Canesi, di cui il giovanissimo Calvi divenne da subito il delfino, incaricato delle prime delicate e discrete operazioni del Banco con l’estero <798. Ad ogni avanzamento di carriera di Canesi, Calvi lo avrebbe seguito, fino alla nomina a direttore generale nel 1971 e a Presidente nel 1975.
Il 19 settembre 1956 la Allgemeines Treuunternehmen, rappresentata da Walter Keicher, costituì a Vaduz, in Liechtenstein, la Lovelok Establishment, con 20mila franchi svizzeri di capitale. Questa società fu la capostipite di tutte le società estere, ufficiali e occulte, del Banco Ambrosiano sorte tra il 1956 e il 1982. Ufficialmente, Canesi non informò il Consiglio d’amministrazione della sua costituzione, anche se informalmente tutti ne erano a conoscenza <799.
Le ragioni di questa costituzione furono essenzialmente due: poter operare in maniera occulta sul mercato azionario, senza far risalire ogni manovra direttamente al Banco, e acquisire partecipazione finanziarie in ogni parte del globo, come accadde nel 1963 in occasione della fondazione della Compendium in Lussemburgo e nel 1971 della Cisalpine a Nassau <800. Il primo passo fu la costituzione della Banca del Gottardo attraverso la Lovelok, che poi fu acquisita direttamente nel dicembre 1960 dal Banco Ambrosiano per esportare illegalmente un’ingente quantità di capitali all’estero, business che divenne un tratto distintivo della banca negli anni a venire.
Insomma, Calvi sfruttò il Banco Ambrosiano per aumentare il proprio potere, ma il primo architetto dell’intricato sistema di relazioni estere non fu lui, ma Canesi, il quale se lo portò dietro nei viaggi all’estero insieme a Italo Signora, incaricato dei “rapporti tradizionali” del settore estero, e lo rese ben presto partecipe di tutti i segreti del Banco <801.
È in quegli anni di apprendistato che Calvi maturò la sua concezione del potere e della finanza, tutta interna a quella che nel terzo capitolo abbiamo definito l’anima reazionaria-conservatrice della borghesia milanese. Carlo Alessandro Canesi aveva una concezione del potere fondata sull’accentramento di tutte le funzioni: quando divenne finalmente Presidente il 6 marzo 1965, inaugurò un nuovo criterio nella selezione del gruppo dirigente, quello della devozione al capo rispetto all’autonomia personale e di giudizio <802. Sotto questo punto di vista, Roberto Calvi fu un buon discepolo, tanto da arrivare a sommare su di sé non solo la carica di Presidente ma anche di amministratore delegato del Banco Ambrosiano, gestendo come fossero suoi i depositi dei clienti della banca per le spericolate operazioni finanziarie finalizzate ad ottenere maggior potere in seno alla classe dirigente.
Il disegno iniziale di Calvi, ad ogni modo, era in stretta continuità con i suoi predecessori, Canesi e Mozzana, che fino al 1975 presero parte e avallarono tutte le iniziative finanziarie dell’allora Direttore Generale.

[NOTE]792 Si veda al riguardo, Simoni, Turone, op. cit., p. 73 e ss.
793 Sentenza n. 20/86 contro Michele Sindona + 25, p. 25.
794 “Esiste una e una soltanto responsabilità sociale dell’impresa: usare le sue risorse e impegnarsi in attività pensate per aumentare i profitti in una aperta e libera competizione senza inganni o frodi”, cfr FRIEDMAN, M. (1970). The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times, 13 settembre.
795 VITALE, M. (1989). La lunga marcia verso il capitalismo democratico, Milano, il Sole 24 Ore Libri, p. 254
796 MAUGERI, V. (2004). Consulenza Tecnica Contabile nell’ambito del Procedimento penale n. 13034/95, Tribunale di Roma, p. 6.
797 Bellavite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano, p. 84.
798 Ivi, p. 85.
799 Ivi, p. 100.
800 Ivi, p. 101.
801 Ivi, p. 109.
802 Ivi, p. 143.
Pierpaolo Farina, Le affinità elettive. Il rapporto tra mafia e capitalismo in Lombardia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2019-2020

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Ci si ritrova nell’inviluppamento anche perché si ha la speranza-emozione che le cose prendano il giro buono adrianomaini.altervista.org/ci…



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Nè sottomarino, nè motoscafo


25109814Vallecrosia (IM): la casa di Achille Lamberti

Le prime voci di antifascismo a Vallecrosia si ebbero nel 1940/41 da parte di Achille Lamberti [“Andrea”], di Francesco Garini [“Cè”], di Pietro “Girò” [o “Gireu”] Gerolamo Marcenaro, di Aldo Lotti e di altri. Un antifascismo molto riservato, anche perché le ritorsioni erano molto dure, come nel caso di Alipio Amalberti, zio materno di Girò, che per aver gridato in un bar di Vallecrosia “Viva la Francia” venne dapprima schedato e successivamente costantemente perseguitato, fino a essere fucilato per ritorsione dopo essere stato preso come ostaggio… Venni dichiarato disertore e fui condannato a morte con sentenza del tribunale di Sanremo in data 28 febbraio 1944…
Nel frattempo Girò, Achille Lamberti ed altri avevano organizzato un principio di Resistenza. Attraverso mio padre, presi contatto con loro e assieme ci demmo alla macchia. Achille Lamberti, Cè Garini, Girò Marcenaro, Aldo Lotti, Nello Moro e io partimmo per il punto di raduno a Langan. Poco pratici, percorremmo il tragitto più lungo e impervio dove Girò dimostrò tutta la sua volontà: per una malformazione camminava con difficoltà e meno agevolmente di noi, ma non si arrese. In località San Martino di Soldano ci unimmo ad un gruppo di studenti di Sanremo che il CLN aveva indirizzato verso noi per raggiungere Langan.
Tra quei giovani credo ci fosse anche Italo Calvino... Renato “Plancia” Dorgia in Giuseppe “Mac” Fiorucci, Gruppo Sbarchi Vallecrosia, ed. Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia < Comune di Vallecrosia (IM) – Provincia di Imperia – Associazione Culturale “Il Ponte” di Vallecrosia (IM)>, 2007

Renzo Biancheri, “Rensu u Longu”, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit. ha ricordato che “… alla data convenuta, in pieno giorno trasferimmo “Leo” [n.d.r.: Stefano Carabalona, già comandante di Distaccamento della Divisione Garibaldi “Felice Cascione” – e in tale veste protagonista delle battaglie di Rocchetta Nervina e di Pigna – in Costa Azzurra in contatto con gli alleati dall’11 dicembre 1944 in qualità di ufficiale di collegamento della Brigata “Luigi Nuvoloni”, ferito ai primi di febbraio 1945 in Vallecrosia da agenti italiani incaricati della su aricercada graduati dei servizi segreti della marina da guerra tedesca] a Vallecrosia, facendolo sedere sulla canna della bicicletta di Renzo. In pieno giorno, perché approfittammo di un furioso bombardamento. Le strade erano deserte, solo granate che esplodevano da tutte le parti. Ricoverammo “Leo” in casa di Achille, aspettando la notte. Al momento opportuno ci trasferimmo sul lungomare; il soldato tedesco di guardia, come al solito, era stato addormentato da Achille con del sonnifero fornito dal dottor Salvatore Marchesi [n.d.r.: membro del CLN circondariale di Sanremo, fratello del più noto prof. Concetto Marchesi, famoso latinista, autorevole dirigente nazionale del partito comunista clandestino], laureato in chimica. I bersaglieri ci aiutarono a mettere in acqua la barca e a caricare “Leo” ferito. Cominciammo a remare… si dovevano recuperare anche alcuni prigionieri alleati; ma il motoscafo in mare aperto andò in panne e non ne volle sapere di riavviarsi. Eravamo in balia delle onde: Renzo Rossi, Pedretti e Cesar sotto un telo, al chiarore di una lampada, rabberciarono alla meglio il motore. Quasi albeggiava e la missione fu annullata perché ormai troppo tardi. Sulla spiaggia di Vallecrosia il Gruppo Sbarchi attese invano con i 5 piloti. I piloti vennero trasferiti in Francia nei giorni successivi da Girò e Achille. Io, Renzo Rossi, Achille Lamberti e Girò ritornammo in un’altra occasione dalla Francia con un carico di armi. Per sbarcare dovemmo attendere il segnale dalla riva, ma, come altre volte, non arrivò alcun segnale. Sbarcammo proprio davanti alla postazione dei bersaglieri, vicino al bunker. Pochi giorni dopo, senza Achille, che rimase a dirigere il Gruppo a Vallecrosia, effettuai con Girò un’altra traversata, accompagnando “Plancia” [Renato Dorgia] a prendere armi e materiale…”

Emilia Guglielmi in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.: “… papà nascose in un altro nascondiglio la radio. Venne la polizia, che rovistò dappertutto, ma fu facile dire che non sapevamo niente della radio e che non sapevamo dove Nino (nd.r.: il fratello Alberto “Nino” Guglielmi) fosse fuggito (forse con la radio stessa)… tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa. Compresi che quando era in previsione uno sbarco pernottavamo al mare a dispetto dei cannoneggiamenti da Monte Agel, e al mattino ritornavamo ripetendo la manfrina delle ceste dei garofani invenduti al mercato. Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse. Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille “Andrea” Lamberti, Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi. tra i garofani mio padre nascondeva casse che nottetempo erano sbarcate sulla costa.
Compresi che quando era in previsione uno sbarco pernottavamo al mare a dispetto dei cannoneggiamenti da Monte Agel, e al mattino ritornavamo ripetendo la manfrina delle ceste dei garofani invenduti al mercato. Da quei giorni nella cantina della casa al mare furono custodite anche strane casse.
Sono certa che sbarcarono o si imbarcarono anche altri soldati alleati. In particolare ricordo che prima di Natale del 1944 una notte riapparve Nino accompagnato da un uomo alto, biondo come uno svedese e due baffoni. Erano appena sbarcati dalla barca, perché i pantaloni erano bagnati, e avevano anche diverse casse che nascosero in cantina e che vennero recuperate nei giorni successivi dagli amici di Nino: Achille “Andrea” Lamberti, Lotti e altri. Ancora a notte partirono per Negi… Io, mio padre con mio fratellino sulle spalle e un carretto con delle ceste di fiori all’interno delle quali forse era nascosta una radio ricetrasmittente o altre casse, procedemmo lungo la via provinciale per passare il posto di blocco. Ampeglio “Elio” Bregliano, Mimmo, Nino, il capitano Bentley e Mac, il marconista, lungo il versante della collina… incontrammo Achille Lamberti e Lotti, che avevano fatto da staffetta e portato un po’ di pane. Arrivò anche Eraldo Fullone con un carro e una mula per caricare le ceste di fiori. Con mio padre e Bruno mi fermai a casa a Vallecrosia Alta. Nino, Mimmo, Elio e gli inglesi procedettero fino a Soldano con Lotti, Achille e Eraldo che li precedevano di vedetta contro eventuali incontri di tedeschi

Nel febbraio del ’45 un agente telegrafista di una radio ricetrasmittente clandestina che operava nella nostra zona venne scoperto e catturato. Viste le mie qualifiche di “operatore radio”, il CLN dispose il mio trasferimento nella vicina Francia liberata per il necessario addestramento… il mio trasferimento sarebbe dovuto avvenire imbarcandomi a Vallecrosia su un piccolo natante per raggiungere il largo, essere trasbordato su di un sottomarino o sul motoscafo di Pedretti e quindi essere sbarcato in Francia. Con Achille [Achille “Andrea” Lamberti] e Gireu [Marcenaro] ci imbarcammo di notte su un canotto e ci dirigemmo pagaiando verso il largo. Nè sottomarino, nè motoscafo. Tornare indietro era pericoloso. Gireu decise di continuare pagaiando di buona lena… Inzuppati e fradici giungemmo al porto di Monaco… portato a Nizza dove mi abbigliarono con divisa americana. Angelo Athos Mariani, in Giuseppe Mac Fiorucci, Op. cit.

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24664023

Nell’inverno 1975 il giudice Spagnuolo torna ad apparire nelle pagine dei giornali. All’ex procuratore generale di Roma risulta infatti molto legato il sostituto Romolo Pietroni, coinvolto nel caso delle infiltrazioni della mafia nella Regione Lazio. Nel febbraio 1975 il sostituto procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna spicca due mandati di cattura per Italo Jalongo e Natale Rimi, figlio di un noto boss, la cui assunzione presso la regione Lazio aveva destato scalpore nel 1971 per le modalità e la speditezza con cui era stata attuata <155. Contemporaneamente vengono inquisiti l’assessore regionale Dc Girolamo Mechelli, già presidente della giunta regionale, il suo collega di partito e capo di gabinetto, Michele Vitellaro, ed il magistrato Severino Santiapichi <156. Al di là degli aspetti penali il caso suscita un certo sdegno e rimane senza spiegazione la circostanza per cui esponenti politici si erano a suo tempo adoperati, con la mediazione di un consulente di un noto boss e di un magistrato, per assumere il «rampollo» della mafia nell’amministrazione comunale. <157 Un altro magistrato con cui Jalongo sembra avere familiarità è Romolo Pietroni, già consulente dell’antimafia, considerato un fedelissimo di Spagnuolo, e coinvolto con Jalongo in un’altra inchiesta su un traffico di abusi d’ufficio <158; sarà poi sottoposto ad arresto nel settembre del 1976 <159 e rimosso dalla magistratura nel 1983 <160.
In questo periodo le più interessanti inchieste della magistratura sulla criminalità mafiosa che coinvolgono, in qualche modo, personaggi della politica non sono i grandi processi incentrati sull’attività della criminalità organizzata, ma, piuttosto, una serie di procedimenti minori, soprattutto per diffamazione, attivati da esponenti della Democrazia cristiana che si sentono danneggiati dalle dichiarazioni di scrittori o politici che hanno denunciato i loro legami, veri o presunti, con la mafia.
Ad esempio quello originato dalla querela sporta da Vito Ciancimino e da Giovanni Gioia ai danni di Girolamo Li Causi, deputato comunista e vicepresidente dell’Antimafia che, all’indomani dell’uccisione del procuratore Scaglione, avvenuta 5 maggio del 1971 <161, aveva affermato che Ciancimino era «compartecipe degli interessi mafiosi» da cui era scaturito questo delitto. A gennaio del 1975 vi era stata l’assoluzione di Li Causi, che l’Unità aveva salutato con comprensibile entusiasmo e in un editoriale Pio La Torre aveva affermato che tale assoluzione era un «segno dei tempi […] la testimonianza di un cambiamento profondo che attraverso la lotta democratica, si è riuscito a determinare negli orientamenti, non solo delle grandi masse lavoratrici e popolari, ma anche di importanti settori dell’organizzazione dello Stato» <162. Ancor prima, a Torino era cominciato un processo che vedeva imputato lo scrittore Michele Pantaleone e l’editore Giulio Einaudi, querelati dal ministro siciliano Gioia per due libri pubblicati nel 1969 <163 e nel 1970 <164. Ma lo stesso Gioia si trovava nella posizione di parte offesa anche in altri processi: a Roma, dove aveva querelato il settimanale L’Espresso, e soprattutto a Genova, dove il ministro democristiano, in compagnia dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e degli eredi del procuratore Scaglione, aveva chiesto la condanna di alcuni giornalisti del quotidiano l’Ora del capoluogo siciliano, fra cui il pittore Bruno Caruso; il processo si era concluso nel giugno del 1974 con l’assoluzione degli imputati. Lo stesso PM, Marvulli, aveva dichiarato ai querelanti «Non potete dolervi di essere raffigurati nello stesso disegno accanto ai big della mafia se, in tutti questi anni, siete stati proprio voi a volerci stare assieme» e, anche, a proposito di Scaglione, che «certi posti di responsabilità non permettono connessioni col potere politico, rappresentato da persone di non chiara fama.» <165 La sentenza di Genova aveva spinto il ministro Gioia a rilasciate una dichiarazione al Popolo <166 in cui spiegava che l’assoluzione dei querelati non significava che fossero stati provati i legami mafiosi, ma semplicemente che non vi era la diffamazione.
Ma gli sviluppi più interessanti sono probabilmente quelli del processo di Torino a carico di Pantaleone già ricordato. Nel febbraio 1975 i difensori degli imputati chiedono l’acquisizione di documenti in possesso della commissione parlamentare antimafia; tali documenti, ritengono, aiuterebbero a provare l’innocenza degli accusati <167. Un’analoga istanza viene fatta al Parlamento dal Tribunale di Milano, dove il boss Coppola ed il suo commercialista Jalongo avevano querelato il giornalista del Corriere della Sera Silvano Villani. La commissione antimafia deve dunque decidere se inviare gli atti richiesti dai tribunali di Torino e Milano, divulgandone il contenuto. Il Psi, attraverso il proprio quotidiano, manifesta con convinzione ed energia l’opportunità di inviare i documenti ai tribunali che ne hanno fatto richiesta <168. In precedenza l’Avanti si era occupato del processo a Pantaleone e aveva duramente condannato l’intervento del procuratore generale Paulesu; questi aveva messo sotto inchiesta il PM titolare per aver chiesto l’assoluzione degli imputati, soluzione evidentemente non gradita dal querelante Gioia e da Paulesu <169. In un primo momento la commissione sembra intenzionata a rilasciare i dossier e il Psi dichiara che essa ha deliberato di inviare i documenti, almeno parzialmente; ma in seguito il presidente, il senatore Dc Carraro, rilascia un comunicato in cui afferma che «la commissione non ha deliberato e non poteva deliberare alcunché in ordine alla richiesta del tribunale di Torino…». I socialisti si dissociano ed attaccano duramente Carraro <170. La Dc, partito cui il ministro Gioia appartiene (essendo uno dei maggiori esponenti della corrente del segretario) fa il possibile per mantenere sotto silenzio la questione e si mostra indispettita per l’atteggiamento della stampa indipendente, che è decisamente favorevole all’invio dei documenti a Milano e Torino <171; Carraro parla di «disinformazione» a proposito delle accuse all’Antimafia di non voler produrre i dossier <172, salvo poi confermare che la commissione non accoglierà la richiesta.
L’atteggiamento dei comunisti sulla vicenda appare piuttosto moderato; l’Unità non dà eccessivo rilievo alla cosa e su Rinascita un articolo di fine gennaio 1975 spiega che, sebbene i comunisti si siano sempre adoperati per la divulgazione dei documenti, la discrezionalità della commissione è legittima <173.
In seguito al diniego della commissione Antimafia i tribunali di Milano e Torino sollevano il conflitto di attribuzione presso la Corte Costituzionale che si pronuncerà a ottobre confermando la potestà della commissione nel decidere se divulgare o meno i propri atti <174. Si tratta di uno dei momenti definitori circa l’equilibrio di potere tra partiti e magistratura. I tribunali di Torino e Milano richiedono gli atti dell’Antimafia per poter acquisire gli elementi necessari su casi minori di diffamazione; eppure la portata politica dei casi è grande in quanto la divulgazione dei documenti richiesti potrebbe essere di notevole impatto per esponenti di rilievo della Dc. La decisione della Corte costituzionale riconosce la prerogativa della commissione di mantenere segreti alcuni suoi atti e, a questo punto, in circostanze analoghe, i commissari si prenderanno la responsabilità politica di concedere o meno alla magistratura gli atti richiesti per questioni di giustizia; responsabilità politica che diviene effettiva nel momento in cui il sistema dell’informazione si incarichi di segnalare opportunamente il caso ai cittadini elettori, gli unici giudici per questo tipo di responsabilità.
Interessante in questa vicenda la differenza di atteggiamento tra il Psi, alleato di governo della Democrazia cristiana, ed il Pci, partito d’opposizione. Il primo preme con energia per la consegna dei documenti alla magistratura, il secondo si dimostra molto più cauto e anzi sottolinea la necessità di preservare le prerogative del Parlamento.

[NOTE]155 Della questione si occupa con impegno la commissione antimafia presieduta da Cattanei. Vedere N. Tranfaglia, Mafia, politica, affari (1943-2008). Cit. Pag. 81.
156 “Due arrestati per la mafia infiltrata alla regione Lazio”, Unità del 21 febbraio 1975 e “Incriminato l’ex presidente della regione Lazio”, La Stampa del 21 febbraio 1975.
157 “Si indaga su Rimi e Jalongo e sui rapporti mafia-politica”, La Stampa del 22 febbraio 1975
158 “Il duo Jalongo-Pietroni rimuoveva tutti gli ostacoli”, La Stampa del 16 marzo 1976
159 “Magistrato di Roma è arrestato per le licenze illecite alla Standa”, La Stampa del 26 settembre 1976
160 Il magistrato Giuseppe di Lello ricorda che una «pubblicazione vicina a Oscar Luigi Scalfaro», dimessosi dalla commissione antimafia precedente a quella di Cattanei, si era chiesto chi, tra «le migliaia di magistrati sicuramente indiscussi, avesse segnalato proprio uno in contatto con gli ambienti mafiosi» per fare da consulente alla commissione parlamentare. Di Lello ipotizza che si possa trattare del deputato messinese Dc Nino Gullotti oppure di Donato Pafundi, presidente dell’antimafia e ex alto magistrato. G. Di Lello, Giudici. Cit.
161 Sul significato del delitto vedere S. Lupo, Storia della mafia, Donzelli, Roma, 2004. Pag. 291.
162 P. Latorre, “Cosa ci si attende dall’antimafia”, Unità del 4 gennaio 1975. Il Popolo pubblica un articolo in cui afferma che la versione dell’Unità è sbagliata e che Li Causi è stato assolto solo perché avrebbe fatto quelle affermazioni esercitando le sue prerogative di parlamentare, Vedere “Gioia, Li Causi e le bugie”, il Popolo del 05 gennaio 1975.
163 M. Pantaleone, Antimafia: occasione mancata, Einaudi, Torino, 1969.
164 M. Pantaleone, Mafia e politica, Einaudi, Torino, 1970.
165 “La sentenza di Genova conferma i legami tra mafia e potere Dc”, L’Unità del 17 giugno 1974
166 “Una precisazione del ministro Gioia”, Il popolo del 20 giugno 1974
167 “I documenti dell’Antimafia punto cruciale del processo”, La Stampa del 31 gennaio 1975
168 “L’antimafia decide se consegnare il dossier” L’Avanti del 05 febbraio 1975
169 “Il PM denuncia la mafia, il PG denuncia il PM” L’Avanti del 21 gennaio 1975.
170 “Il sen. Carraro smentisce l’antimafia”, L’Avanti del 07 febbraio 1975.
171 Vedere, per esempio, “Mafia segreta”, La Stampa del 20 febbraio 1975; oppure “Antimafia, le schede a Palermo”. La Stampa del 02 marzo 1975 in cui si fa anche notare che tempo addietro la commissione aveva inviato gli stessi documenti richiesti dal tribunale di Torino alla magistratura palermitana per un altro processo; questa sembra essere la testimonianza di un membro dell’Antimafia, l’On. Cesare Terranova, della sinistra indipendente.
172 “Carraro respinge le accuse all’antimafia”, Il Popolo del 25 gennaio 1975
173 “I colpevoli sono già noti”, Rinascita N. 5 del 31 gennaio 1975.
174 Sempre che si tratti di atti «che la commissione abbia ritenuto di mantenere segreti ai fini dell’adempimento delle proprie funzioni, ma [la Corte Costituzionale] ha insieme statuito che essa ha l’obbligo di trasmettere tutti i documenti in suo possesso che, a norma di legge, non siano coperti all’origine da segreto o siano coperti da segreto non opponibile all’autorità giudiziaria penale», M. Capurso, I giudici della Repubblica. Cit. Pag. 47.
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013

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24410963

Io è grande quanto la Luna. La sognai una notte, questa nozione, precisamente nella notte fra il 18 e il 19 dicembre 2023 (forse vedevo le due immagini confrontarsi, sovrapporsi), e il giorno dopo corsi a verificare. Diametro della Luna: km 3474,8. Diametro di Io: km 3643,2. Ci siamo. Ma adesso la domanda è: come facevo a saperlo?
La prima risposta che può venire alla mente è che io lo avevo letto, lo avevo sentito da qualche parte, e nel mio inconscio avevo stivato il dato. È interessante, comunque, il fatto che questa pagina di saggistica astronomica si è affacciata così, nella mia mente. La scienza procede con prove, esperimenti, esplorazioni – ma anche grazie a intuizioni, a visioni – e ai libri già scritti, raccogliendoli, leggendoli, pensandoci su.
Poi, certo, ci sono le finte scienze. Da quelle immaginarie – e qui si può consultare Forse Queneau di Paolo Albani e Paolo della Bella – a quelle create in buona o meno buona fede, e prima o poi falsificate, cose che vanno dagli abbagli individuali e collettivi, come i raggi N di René Blondlot, l’orgone di Wilhelm Reich, la poliacqua, la fusione nucleare fredda, alle teorie imaginifiche e stupefacenti, come i viaggi nel tempo o le reazioni piezonucleari di Alberto Carpinteri e Roberto Mignani, che oggi non sono certezze scientifiche ma domani chissà; dalle invenzioni folli come l’eugenica di Francis Galton, il raggio della morte di Nikola Tesla, le eliche sposta-nuvole di Pier Luigi Ighina, il cronovisore di Pellegrino Ernetti, alle vere e proprie frodi, studiate a tavolino o cavalcate per obiettivi ideologico-strumentali, come i reportage del “New York Sun” su flora e fauna selenite, l’uomo di Piltdown o il rapporto vaccinazione-autismo proclamato da Andrew Wakefield, sino alle medicine magiche e ai miracoli: il mesmerismo, l’omeopatia, la memoria dell’acqua, la cromoterapia. E per chi volesse saperne di più sulle pseudo scienze c’è allora il libro di Silvano Fuso intitolato, giustappunto, La falsa scienza.
Tutto questo ci porta anche a sospettare che quando nasce un falso sapere – per qualsiasi motivo esso nasca e venga proposto, magari semplicemente per una banale associazione di idee o eventi (così è per le superstizioni, per le sciocche credenze sulle persone e gli eventi che “portano male”, per i supposti fenomeni di telepatia e chiaroveggenza), per il piacere della chiacchiera, o come espediente turistico-commerciale (la Torino magica e diabolica) – ci saranno poi molti che contribuiranno, sempre in buona fede (le vie che portano all’inferno sono lastricate di buone intenzioni cementate con tanta buona fede) a sviluppare quella credenza, a cercarne spiegazioni, ad amplificarne la diffusione.
Io sono affacciato – come tutti – sull’universo. Per questo Natale, anziché la stella cometa, mi è apparso Io. Forse è un segnale: potrebbe essere di buon auspicio l’anno prossimo, anche se in mancanza di anniversari particolari – anzi, verrebbe da dire, a maggior ragione – il riprendere in mano i libri di Galileo Galilei. Che, fra l’altro, per Calvino era lo scrittore più importante della letteratura italiana.
Marco Innocenti, Io e la Luna, dicembre 2023

Altri lavori di Marco Innocenti: articoli in Il Regesto, Bollettino bibliografico dell’Accademia della Pigna – Piccola Biblioteca di Piazza del Capitolo, Sanremo (IM); articoli in Mellophonium; (a cura di) Marco Innocenti, Presenzio Astante, Tre fotografie, lepómene editore, 2024; Silvana Maccario, Margini (Introduzione di) Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, gennaio 2023; Lorem ipsum, lepómene editore, 2022; (a cura di) Marco Innocenti, Il magistero di Cesare Trucco – per il centenario della nascita 1922-2022, Lo Studiolo, Sanremo, 2022; Scritti danteschi. Due o tre parole su Dante Alighieri, Lo Studiolo, 2021; I signori professori, lepómene editore, 2021; (a cura di) Alfredo Moreschi, Marco Innocenti, Quaderno del circolo lepómene stampato a Sanremo, aprile 2021; Verdi prati erbosi, lepómene editore, 2021; Libro degli Haikai inadeguati, lepómene editore, 2020; Elogio del Sgt. Tibbs, Edizioni del Rondolino, 2020; Flugblätter #3. 54 pezzi dispersi e dispersivi, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2019; Sandro Bajini, Fumata bianca dopo penosi conciliaboli (con prefazione di Marco Innocenti), Lo Studiolo, 2018; articoli in Sanremo e l’Europa. L’immagine della città tra Otto e Novecento. Catalogo della mostra (Sanremo, 19 luglio-9 settembre 2018), Scalpendi, 2018; Flugblätter (#2. 39 pezzi più o meno d’occasione), Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2018; Sandro Bajini, Andare alla ventura (con prefazione di Marco Innocenti e con una nota di Maurizio Meschia), Lo Studiolo, Sanremo, 2017; La lotta di classe nei comic books, i quaderni del pesce luna, 2017; Sanguineti didatta e conversatore, Lo Studiolo, Sanremo (IM), 2016; Pubblicità, lepómene editore, 2015; Sandro Bajini, Libera Uscita epigrammi e altro (postfazione di Fabio Barricalla, con supervisione editoriale di Marco Innocenti e progetto grafico di Freddy Colt), Lo Studiolo, Sanremo, marzo 2015; Enzo Maiolino, Non sono un pittore che urla. Conversazioni con Marco Innocenti, philobiblon, Ventimiglia, 2014; articolo in I raccomandati/Los recomendados/Les récommendés/Highly recommended N. 10 – 11/2013; Sandro Bajini, Del modo di trascorrere le ore. Intervista a cura di Marco Innocenti, Ventimiglia, philobiblon, 2012; Sull’arte retorica di Silvio Berlusconi (con uno scritto di Sandro Bajini), Editore Casabianca, Sanremo (IM), 2010; Pensierini, Lepomene, Sanremo, 2010; Sgié me suvièn, Lepomene, Sanremo, 2010; Prosopografie, lepómene editore, 2009; C’è un libro su Marcel Duchamp, lepómene editore, Sanremo 2008; (a cura di) Alfredo Moreschi in collaborazione con Marco Innocenti e Loretta Marchi, Catalogo della mostra fotografica. 1905-2005: Centenario del Casinò Municipale di Sanremo. Una storia per immagini, De Ferrari, Genova, 2007; Flugblätter (#1. 49 pezzi facili), lepómene editore, 2007; con Loretta Marchi e Stefano Verdino, Marinaresca la mia favola. Renzo Laurano e Sanremo dagli anni Venti al Club Tenco. Saggi, documenti, immagini, De Ferrari, 2006
Adriano Maini

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