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“Un’occasione per riaffermare personalmente il nostro ‘sì’ al compito che la Chiesa ci sta indicando”: con queste parole, Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione (Cl), invita gli aderenti al movimento a partecipare al …



Tutela minori e adulti vulnerabili: Griffini (Cei), “ascolto, prossimità e responsabilità condivisa: la Chiesa rinnova il suo impegno nella tutela”


Tutela minori e adulti vulnerabili: mons. Baturi (Cei), “chiamati a fare la nostra parte, con piena consapevolezza e responsabilità”


Papa Leone XIV saluterà, domenica 1 giugno alle ore 15.30, i ciclisti del Giro d’Italia al passaggio nello Stato della Città del Vaticano. Anche nel ricordo di Papa Francesco che aveva accolto la proposta presentata dal card.


“Il Consiglio episcopale latinoamericano e caraibico è un segno di collegialità, in quanto organo di contatto, di collaborazione e di servizio alle Conferenze episcopali dell’America Latina nel compito dell’evangelizzazione e dell’attenzione pastoral…


Il 31 maggio, alle 21, il Papa guiderà la processione alla Grotta di Lourdes, all'interno dei Giardini Vaticani, per la conclusione del mese mariano. Lo rende noto la Sala Stampa della Santa Sede, inserendola nelle attività papali.


Una Tredicina, dedicata a Sant'Antonio da Padova, nella Basilica a lui dedicata, nella cittadina veneta, che si fa "cammino di speranza" in questo Anno giubilare segnato, nelle scorse settimane, dalla scomparsa di Papa Francesco e dalla nomina al sog…


Nel 2023 si è consolidata la prassi della segnalazione agli organi competenti nei casi di abuso. In almeno 22 delle situazioni analizzate, le diocesi hanno attivato una comunicazione con autorità civili o altri organismi esterni, confermando la volon…



Il 77% delle diocesi italiane ha già adottato un Codice etico o Codice di condotta per le attività pastorali con minori e persone vulnerabili. Altre 29 diocesi stanno procedendo alla redazione.


Nel 2023 i Centri di ascolto attivati dalle diocesi italiane hanno ricevuto 38 segnalazioni. Il 35,4% ha riguardato casi di presunti abusi, di cui il 23,1% su minori e il 12,3% su adulti vulnerabili.


Il 98,5% delle diocesi italiane dispone oggi di un Servizio per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. In oltre il 90% dei casi sono attivi anche Centri di ascolto, mentre il 67,5% delle diocesi ha adottato linee guida locali.


Nel 2023 sono stati realizzati 687 incontri formativi sui temi della tutela dei minori e delle persone vulnerabili, che hanno coinvolto circa 30.500 partecipanti.


Una rete più ampia, più preparata, più laica. Ma ancora molto chiusa nel proprio perimetro. È l’immagine che restituisce la terza rilevazione sulla rete ecclesiale per la tutela di minori e adulti vulnerabili, pubblicata nell’aprile 2025 dal Servizio…


Il Centro Laudato Si’ di Assisi, insieme ai partner del progetto Assisi Terra Laudato Si’ presenta il concept album dal titolo "8cento". Un viaggio, attraverso vari linguaggi musicali, per leggere il Cantico delle Creature con occhi e orecchie nuove.


Ieri, martedì 27 maggio, il card. Baldassarre Reina, nuovo gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, ha voluto fare un primo incontro con i professori dell’Istituto.


Leone XIV ha concluso l’udienza di oggi in piazza San Pietro, gremita di decine di migliaia di persone, con un doppio appello: fermare la guerra in Ucraina e nella striscia di Gaza, dove “si leva sempre più intenso al cielo il pianto delle mamme e de…


Finale a sorpresa per l'udienza generale di oggi. Dopo il baciamano con le persone presenti sul sagrato, Leone XIV è sceso a piedi lungo i gradini che separano la sua postazione alla prima fila delle transenne, per salutare ancora una volta i fedeli,…


“Dalla Striscia di Gaza si leva sempre più intenso al cielo il pianto delle mamme e dei papà che stringono a sé i corpi senza vita dei bambini e che sono continuamente costretti a spostarsi alla ricerca di un po’ di cibo e di un riparo più sicuro dai…


“In questi giorni il mio pensiero va spesso al popolo ucraino, colpito da nuovi gravi attacchi contro civili e infrastrutture”. Lo ha detto il Papa, al termine della catechesi dell’udienza di oggi, salutando i fedeli di lingua italiana.


“Oggi ricordiamo il beato cardinale Stefan Wyszyński, il vostro Primate del Millennio, che durante il periodo di persecuzione della Chiesa in Polonia, nonostante la detenzione, rimase un pastore fedele a Cristo.


Un uomo che “appartiene a un popolo disprezzato”, ma che “effettivamente è capace di fermarsi”. E’ l’identikit del samaritano, tracciato dal Papa nella catechesi dell’udienza di oggi in piazza San Pietro.


“Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani”. Ne è convinto il Papa, che commentando nella catechesi dell’udienza di oggi, in piazza San Pietro, la parabola del samaritano, ha affermato che “prima che una questione religiosa, la compassi…


“La mancanza di speranza, a volte, è dovuta al fatto che ci fissiamo su un certo modo rigido e chiuso di vedere le cose, e le parabole ci aiutano a guardarle da un altro punto di vista”.


Bagno di folla anche per la seconda udienza generale di Leone XIV in piazza San Pietro. Complice forse anche il sole che splende sulla Capitale, le file di fedeli erano lunghe da tutti i punti accesso alla piazza, con le persone in paziente attesa di…



“A Trieste abbiamo ascoltato molte parole, parole importanti, che ci hanno scaldato il cuore, parole che ci hanno anche fatto riflettere, ci hanno riportato alle radici del nostro essere comunità nazionale, comunità democratica”.



“Non è vero che l’umanità è condannata a non partecipare, a non dialogare, a non essere capace di pace. Non è vero perché tutte le scienze oggi ci dicono che l’uomo è capace di cooperazione, è capace di partecipazione, è capace di condivisione.


“Un’esperienza vivace e creativa delle Chiese in Italia”. Così il Consiglio episcopale permanente della Cei ha definito la Seconda Assemblea sinodale, tenutasi dal 30 marzo al 3 aprile, nella riunione odierna a Roma presieduta dal card. Zuppi.



Settimana sociale: card. Zuppi, “l’atomizzazione è rischiosa, rendere le piazze comunità”. “La democrazia ha bisogno della partecipazione personale, va sempre curata”


Oggi è morto un prete umile, un grande visionario. Un uomo buono che ha rivoluzionato la percezione e la realtà del mondo della disabilità in Italia e nella Chiesa italiana: don Franco Monterubbianesi, 94 anni, di Fermo, fondatore della storica Comun…


Movimenti: Mcl Roma, padre Alessandro Ricciardi è il nuovo Assistente Ecclesiastico

Padre Alessandro Ricciardi è il nuovo Assistente Ecclesiastico del Movimento Cristiano Lavoratori – Unione provinciale di Roma. La nomina è arrivata con un decreto firmato dal Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, il card.




Leone XIV, le parole-chiave che indicano il cammino del Pontificato



«Una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato». È questo il «primo grande desiderio» che papa Leone XIV ha affidato ai partecipanti alla Celebrazione Eucaristica per l’inizio del Ministero Petrino lo scorso 18 maggio, in Piazza San Pietro. Nel corso della sua omelia, papa Leone XIV è tornato a parlare della sua elezione, sottolineando due parole chiave: amore e unità. «Sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia. Amore e unità: queste sono le due dimensioni della missione affidata a Pietro da Gesù». In un tempo segnato da «troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri», ha detto Leone XIV, «noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità».

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Dalle prime omelie e dai suoi primi interventi, emerge con forza il cammino segnato dal nuovo Pontefice. In più di un’occasione, Leone XIV è tornato a parlare non solo delle sfide per la Chiesa, ma anche per l’intera umanità, a partire dai forti richiami al dialogo e alla pace, fino alla necessità di un nuovo discernimento sulla questione sociale, alle prese oggi con nuove e inedite sfide. Come ha ricordato lo scorso 17 maggio ai membri della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. «Già il Papa Leone XIII – vissuto in un periodo storico di epocali e dirompenti trasformazioni – aveva mirato a contribuire alla pace stimolando il dialogo sociale, tra il capitale e il lavoro, tra le tecnologie e l’intelligenza umana, tra le diverse culture politiche, tra le Nazioni – ha ricordato papa Leone XIV -. Papa Francesco ha usato il termine “policrisi” per evocare la drammaticità della congiuntura storica che stiamo vivendo, in cui convergono guerre, cambiamenti climatici, crescenti disuguaglianze, migrazioni forzate e contrastate, povertà stigmatizzata, innovazioni tecnologiche dirompenti, precarietà del lavoro e dei diritti. Su questioni di tanto rilievo la Dottrina Sociale della Chiesa è chiamata a fornire chiavi interpretative che pongano in dialogo scienza e coscienza, dando così un contributo fondamentale alla conoscenza, alla speranza e alla pace».

Papa Leone XIV ha poi ricordato come nel contesto della rivoluzione digitale in corso, «il mandato di educare al senso critico va riscoperto, esplicitato e coltivato, contrastando le tentazioni opposte, che possono attraversare anche il corpo ecclesiale – ha aggiunto -. C’è poco dialogo attorno a noi, e prevalgono le parole gridate, non di rado le fake news e le tesi irrazionali di pochi prepotenti. Fondamentali dunque sono l’approfondimento e lo studio, e ugualmente l’incontro e l’ascolto dei poveri, tesoro della Chiesa e dell’umanità, portatori di punti di vista scartati, ma indispensabili a vedere il mondo con gli occhi di Dio. Chi nasce e cresce lontano dai centri di potere non va semplicemente istruito nella Dottrina Sociale della Chiesa, ma riconosciuto come suo continuatore e attualizzatore: i testimoni di impegno sociale, i movimenti popolari e le diverse organizzazioni cattoliche dei lavoratori sono espressione delle periferie esistenziali in cui resiste e sempre germoglia la speranza. Vi raccomando di dare la parola ai poveri».

Nel corso dell’udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lo scorso 16 maggio, inoltre, papa Leone XIV ha sottolineato altre tre parole-chiave, che per il Pontefice «costituiscono i pilastri dell’azione missionaria della Chiesa e del lavoro della diplomazia della Santa Sede». La prima parola è pace. «Troppe volte la consideriamo una parola “negativa” – ha aggiunto il Papa -, ossia come mera assenza di guerra e di conflitto, poiché la contrapposizione è parte della natura umana e ci accompagna sempre, spingendoci troppo spesso a vivere in un costante “stato di conflitto”: in casa, al lavoro, nella società. La pace allora sembra una semplice tregua, un momento di riposo tra una contesa e l’altra, poiché, per quanto ci si sforzi, le tensioni sono sempre presenti, un po’ come la brace che cova sotto la cenere, pronta a riaccendersi in ogni momento».

La seconda parola è giustizia. «Perseguire la pace esige di praticare la giustizia – ha sottolineato Leone XIV -. Come ho già avuto modo di accennare, ho scelto il mio nome pensando anzitutto a Leone XIII, il Papa della prima grande enciclica sociale, la Rerum novarum. Nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, la Santa Sede non può esimersi dal far sentire la propria voce dinanzi ai numerosi squilibri e alle ingiustizie che conducono, tra l’altro, a condizioni indegne di lavoro e a società sempre più frammentate e conflittuali. Occorre peraltro adoperarsi per porre rimedio alle disparità globali, che vedono opulenza e indigenza tracciare solchi profondi tra continenti, Paesi e anche all’interno di singole società». Inoltre, ha aggiunto il Santo Padre, «nessuno può esimersi dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato».

La terza parola-chiave sottolineata da papa Leone XIV è verità. «Non si possono costruire relazioni veramente pacifiche, anche in seno alla Comunità internazionale, senza verità – ha aggiunto Leone XIV -. Laddove le parole assumono connotati ambigui e ambivalenti e il mondo virtuale, con la sua mutata percezione del reale, prende il sopravvento senza controllo, è arduo costruire rapporti autentici, poiché vengono meno le premesse oggettive e reali della comunicazione. Da parte sua, la Chiesa non può mai esimersi dal dire la verità sull’uomo e sul mondo, ricorrendo quando necessario anche ad un linguaggio schietto, che può suscitare qualche iniziale incomprensione. La verità però non è mai disgiunta dalla carità, che alla radice ha sempre la preoccupazione per la vita e il bene di ogni uomo e donna». Nella prospettiva cristiana, ha proseguito papa Leone XIV, «la verità non è l’affermazione di principi astratti e disincarnati, ma l’incontro con la persona stessa di Cristo, che vive nella comunità dei credenti. Così la verità non ci allontana, anzi ci consente di affrontare con miglior vigore le sfide del nostro tempo, come le migrazioni, l’uso etico dell’intelligenza artificiale e la salvaguardia della nostra amata Terra. Sono sfide che richiedono l’impegno e la collaborazione di tutti, poiché nessuno può pensare di affrontarle da solo».

Nel suo discorso ai rappresentati di altre Chiese e comunità ecclesiali del 19 maggio, papa Leone XIV è tornato poi a parlare di ponti, un’immagine già richiamata nel suo primo intervento da Pontefice subito dopo l’elezione. «Il nostro cammino comune può e deve essere inteso anche in un senso largo, che coinvolge tutti, nello spirito di fraternità umana a cui accennavo sopra. Oggi è tempo di dialogare e di costruire ponti – ha detto Leone XIV il 19 maggio -. E pertanto sono lieto e riconoscente per la presenza dei Rappresentanti di altre tradizioni religiose, che condividono la ricerca di Dio e della sua volontà, che è sempre e solo volontà d’amore e di vita per gli uomini e le donne e per tutte le creature».

Un ulteriore spunto programmatico arriva dal discorso del Santo Padre ai partecipanti del Giubileo delle Chiese Orientali, dove invita a «guardarsi negli occhi» per superare le divisioni e costruire una pace duratura.«La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita», ha sottolineato papa Leone XIV. «Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano; perché passerà alla storia chi seminerà pace, non chi mieterà vittime; perché gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani: non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare». E infine, da papa Leone XIV l’inesauribile appello alla pace, come già fatto durante l’incontro con i rappresentanti dei media e giornalisti nell’Aula Paolo VI il 12 maggio corso,: «La Chiesa non si stancherà di ripetere: tacciano le armi».

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in reply to Francesca Martini

@kina eppure a me non convince. Non riesco a delinearlo. Vedremo più avanti.


«L’uomo vuole lodarti»



Le Confessioni di sant’Agostino[sup]1[/sup] si aprono con un prologo (I 1-5), che potrebbe essere considerato una sorta di «principio e fondamento», per usare il linguaggio degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola[sup]2[/sup]. Cercheremo di rileggere questo testo agostiniano proprio alla luce del testo ignaziano, non per trovarvi corrispondenze forzate, ma per farne un commento spirituale, cioè nella prospettiva dell’esperienza di Dio proposta dall’itinerario degli Esercizi[sup]3[/sup].

Creato per la lode


Agostino inizia con alcune espressioni tratte dai Salmi, che inneggiano alla grandezza e alla sapienza di Dio: «Tu sei grande, Signore, e molto degno di lode (cfr Sal 47[48],2; 95[96],4; 144[145],3); grande è la tua potenza, e la tua sapienza non si può misurare (cfr Sal 146[147],5)». Mentre però il testo biblico usa la terza persona singolare («Grande è il Signore…»), Agostino pone la seconda, dove risuona il «tu» del dialogo e della preghiera. Siamo già introdotti in un clima orante, che sarà quello di tutte le Confessioni. Dio non è qui l’«essere immutabile» della speculazione astratta, ma il partner della lode dell’uomo, una lode che prende l’avvio dalla parola stessa di Dio.

L’uomo dunque sente in sé questa volontà di dare lode a Dio («l’uomo vuole lodarti»). Ma chi è l’uomo? «Una piccola parte della tua creazione, l’uomo, che porta con sé il suo destino di morte, che porta con sé la testimonianza del suo peccato e la testimonianza che tu ti opponi ai superbi (superbis resistis)» (I 1, 1). Agostino non si sofferma su una definizione filosofica dell’uomo, ma va diritto alla sua condizione esistenziale e teologale: davanti a se stesso, l’uomo non è che una piccolissima parte della creazione e un essere segnato dal proprio destino mortale; davanti a Dio, l’uomo è in una situazione di peccato, che consiste essenzialmente in una presuntuosa superbia, in quell’autoesaltazione che blocca la comunicazione della grazia divina (allusione a 1 Pt 5,5 e Gc 4,6: «Dio si oppone ai superbi [superbis resistit], ma dà la sua grazia agli umili»)[sup]4[/sup].

E tuttavia l’inclinazione sterile all’autoesaltazione non può cancellare il progetto originario di Dio, iscritto nell’essere stesso creaturale dell’uomo: un progetto che è essenzialmente apertura all’Altro, gioia di lodare l’Altro, di sapersi creato per l’Altro: «E tuttavia l’uomo, piccola parte della tua creazione, vuole lodarti. Tu lo risvegli (excitas)[sup]5[/sup], perché egli trovi la sua gioia nel lodarti. Sì, ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova quiete in te» (I 1, 1)[sup]6[/sup].

Il richiamo di Dio viene dunque dal più profondo dell’essere umano; non è un elemento aggiuntivo, quasi un optional, di cui l’uomo potrebbe anche fare a meno. In quel cor inquietum c’è tutto il tormento esistenziale di chi vorrebbe realizzarsi senza Dio, ma non ci riesce perché non ci potrà mai riuscire. Se l’uomo è stato fatto per Dio, vuol dire che non una creatura, non il mondo intero, ma soltanto Dio è l’oggetto proporzionato del suo desiderio di felicità. Agostino qui invita non a fare speculazioni, ma un’esperienza, quella del passaggio dall’«inquietudine» — che l’uomo prova quando si getta sulle creature considerate come fine[sup]7[/sup] — alla «quiete» del cuore che ha trovato Dio. È l’esperienza di un godimento (delectatio) interiore, superiore a qualsiasi godimento di beni creati[sup]8[/sup].

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«Ti invoca la mia fede»


Agostino si chiede poi se si possa iniziare subito con la lode a Dio o se ci sia bisogno prima d’invocarlo. L’invocazione però suppone la conoscenza: «Come potrebbe invocarti chi non ti conosce? O forse non si deve piuttosto invocarti per conoscerti?» (I 1, 1). Il discorso sembra perdersi in un circolo vizioso, all’interno di una soggettività che non riesce a trovare un adeguato punto di partenza, un principium su cui appoggiarsi.

Il circolo si spezza solamente accogliendo la parola della fede, suscitata dall’annuncio, secondo il testo di Rm 10,14: «Come potranno invocarlo senza prima aver creduto in lui? E come potranno credere […] senza uno che l’annunci?» (I 1, 1). Bisogna dunque partire dall’annuncio, cioè dalla parola di Dio. Tutte le altre operazioni — cercare Dio, invocarlo, lodarlo — non sono che conseguenze della fede, quella giunta a noi attraverso l’incarnazione del Figlio di Dio: «Ti cercherò, Signore, invocandoti e ti invocherò credendo in te: infatti ci è giunta la buona notizia di te. ti invoca, Signore, la mia fede, quella che tu mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante il mistero di colui che ti ha fatto conoscere» (I 1, 1).

Agostino non esita a ricorrere al principio oggettivo dell’annuncio, che ha la sua origine nel Figlio di Dio fatto uomo. Così dalla predicazione viene il dono della fede, che è fede orante, invocante (invocat te fides mea); l’invocazione è ricerca, e chi cerca il Signore lo trova, e chi lo trova lo loda. L’uomo, fatto per la lode di Dio, non può raggiungere questo «Tu» che dà riposo al suo cuore inquieto, se non nella fede in Cristo, rivelatore e annunciatore del Padre. Questo riferimento cristologico è estremamente importante, perché Agostino sa che non vi può rinunciare, neanche con il pretesto (o illusione) di rendere la via a Dio più universale.

Immanenza e trascendenza


Ma che senso ha invocare Dio? Letteralmente «in-vocare» significa «chiamare» qualcuno a «venire», colmando così una distanza e un’assenza. Ora questa immagine spaziale si rivela inadeguata se riferita a Dio: «C’è un posto in me, — si chiede Agostino — dove possa venire in me il mio Dio?» (I 2, 1). La preposizione «in» indica uno spazio delimitato da un contenente. Ma esiste forse un luogo dove Dio non sia già presente e che sia in grado di contenerlo? Non è lui che ha «fatto il cielo e la terra»? Dio dunque è già in me, perché è in tutte le cose, le quali non esisterebbero se non fossero in Dio. Anche negli «inferi», cioè nel luogo dei morti secondo la concezione antica — lo sheòl della Bibbia — Dio è presente[sup]9[/sup]. Ecco allora che l’in me si rovescia nell’in te: «Io non esisterei, Dio mio, non sarei nulla, se tu non fossi in me: O meglio, non esisterei, se non fossi in te, poiché tutto è da te, tutto per te, tutto in te» (I 2, 2)[sup]10[/sup].

La lontananza da Dio è allora un’illusione? «Da dove dunque ti invoco, se sono in te? O da dove tu verresti in me?» (I 2, 2). Agostino cerca di scrutare il mistero dell’immanenza e della trascendenza divina. Dio «riempie», «contiene» il cielo e la terra, cioè tutto ciò che esiste, ma non come una sostanza materiale, racchiusa in un contenitore e divisibile in parti. Infatti Dio è «tutto dappertutto» (ubique totus) [= immanenza], eppure «nessuna cosa ti può contenere tutto (te totum capit) [= trascendenza]» (I 3, 2)[sup]11[/sup]. Questo è il paradosso. Perciò non è Dio che ha bisogno del mondo per essere contenuto, ma è il mondo che ha bisogno di Dio per essere riempito. «Non sono i contenitori (vasa), pieni di te, a renderti stabile, perché anche se si rompono, tu non vai versato. E quando tu ti versi su di noi, non sei tu che ti abbassi, ma innalzi noi, non tu ti disperdi, ma noi raccogli» (I 3, 1). È chiara qui l’allusione al mistero salvifico, cioè a quel legame d’amore che Dio ha voluto porre con la sua creatura e che si è manifestato nell’«abbassamento» dell’incarnazione e nella croce di Cristo (il sangue «versato» per noi). In questo reale abbassamento, Dio non ha perso qualcosa, non è caduto in un’alienazione, ma è la creatura che è stata elevata e risanata.

«Che cos’è dunque il mio Dio?»


Il mistero della trascendenza e immanenza di Dio va dunque considerato, per Agostino, non semplicemente secondo un a priori astratto, e quindi estremamente riduttivo, ma va riempito con i contenuti ricavati dalla rivelazione biblica. Ne esce una specie di «inno teologico», da leggersi non in chiave puramente filosofica, ma tenendo conto del retroterra biblico:

Che cosa è dunque il mio Dio?

Che cos’è, mi chiedo, se non il Signore Dio?

Chi infatti è il Signore se non il Signore?

O chi è Dio se non il nostro Dio?[sup]12[/sup]

Sommo, ottimo,

potentissimo, onnipotentissimo,

misericordiosissimo e giustissimo[sup]13[/sup],

lontanissimo e presentissimo[sup]14[/sup],

bellissimo e fortissimo,

stabile e inafferrabile,

immutabile che tutto muti[sup]15[/sup],

mai nuovo, mai vecchio;

tutto rinnovi[sup]16[/sup] e fai invecchiare i superbi senza che lo sappiano;[sup]17[/sup]

sempre attivo, sempre in riposo;

raccogli, ma non hai bisogno di nulla;

porti, riempi e proteggi [tutto],

crei, nutri e porti a compimento [ogni cosa];

chiedi, mentre nulla ti manca;

ami senza bruciare di passione,

sei geloso[sup]18[/sup] ma resti tranquillo,

ti dispiaci[sup]19[/sup]ma non provi dolore,

ti adiri[sup]20[/sup] ma rimani calmo,

cambi le opere ma non il progetto[sup]21[/sup],

riprendi ciò che trovi e mai perdesti[sup]22[/sup];

mai indigente, sei contento di guadagnare,

mai avaro, esigi gli interessi[sup]23[/sup];

accetti che si spenda di più per te, per poter rifondere[sup]24[/sup],

ma chi possiede qualcosa che non sia tuo?[sup]25[/sup]

Paghi i debiti senza dover nulla a nessuno[sup]26[/sup],

condoni i debiti[sup]27[/sup] senza perdere niente» (I 4, 1-2)[sup]28[/sup].

I superlativi, ma più ancora la congiunzione degli opposti attributi, esprime l’inesprimibile mistero di Dio. Tutto quello che diciamo di lui, per quanto ci sforziamo di usare tutte le risposte del linguaggio, rimane sempre inadeguato. La Scrittura stessa, con le sue molteplici e contrapposte immagini, lo attesta: «Che cosa ho mai detto, Dio mio, vita mia, dolcezza mia santa? O che cosa dice uno, quando parla di te?» (I 4, 2). Non sarebbe allora il silenzio l’atteggiamento più adeguato? Agostino qui si pone appena la domanda e lascia intravedere la risposta. Sì, se il silenzio è suscitato e portato dalla parola; no, se è il silenzio muto, senza parola[sup]29[/sup]; «Guai a quelli che tacciono di te, se persino chi parla molto [di te] è come se fosse muto!» (I 4, 2)[sup]30[/sup].

L’incontro con Dio-Signore


Agostino ha considerato il mistero di Dio nella sua trascendenza e immanenza. Se Dio fosse solanto il trascendente, il totalmente altro, sarebbe assolutamente inaccessibile e non avrebbe senso invocarlo. Se, al contrario, egli fosse totalmente immanente, si confonderebbe con il mondo e con l’io, e il dialogo con lui sarebbe in realtà solo un parlare a se stessi[sup]31[/sup]. Perciò Agostino privilegia il «colloquio», dove non c’è fusione — o confusione —, ma spazio per un sempre nuovo incontro, fatto di rispetto e riverenza, ma insieme di familiarità: «Chi mi farà riposare in te? Chi farà sì che tu venga nel mio cuore a inebriarlo? Così dimenticherei i miei mali e abbraccerei te, il mio unico bene» (I 5, 1).

Già presente in tutte le cose come Creatore — e qui non c’è scelta, perché l’alternativa sarebbe il nulla —, Dio può essere ancora invocato e desiderato dall’uomo per un incontro di grazia, liberamente scelto e desiderato da entrambe le parti[sup]32[/sup]. In effetti, non soltanto l’uomo cerca Dio, ma, prima ancora, Dio cerca l’uomo: «Che cosa sei per me? […] E che cosa sono io per te? Tu esigi di essere amato da me, e se non lo faccio ti adiri con me e minacci gravi sventure, come se il non amarti non fosse già la sventura più grave di tutte!» (I 5, 1).

Dio ha già fatto la sua scelta, ora tocca all’uomo trovare in Dio «l’unico bene», pena il suo stesso fallimento, la sua stessa «perdizione». Agostino è consapevole che questo passo non può essere fatto senza la grazia (miseratio) di Dio stesso, senza che egli si riveli come «Salvatore», cioè come «salvezza» o, più letteralmente, «salute» di un’anima malata: «Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, che cosa sei per me. Di’ all’anima mia: sono io la tua salvezza (Sal 34,3). Dillo in modo che io senta! Ecco le orecchie del mio cuore sono davanti a te, Signore: àprile, e di’ all’anima mia: sono io la tua salvezza. Correrò dietro questa voce e ti raggiungerò. Non nascondermi il tuo volto[sup]33[/sup]: possa io morire per non morire, e così vederlo!» (I 5, 1)[sup]34[/sup].

Quando una persona umana, risvegliata dalla grazia, fa la scelta di Dio come fine e senso della propria esistenza, riscopre tutte le sue potenzialità naturali di amore, desiderio, unione. Riscopre se stessa, ma nello stesso tempo si accorge che questa «struttura» naturale — il suo cuore, la sua casa — è mal ridotta. La preghiera allora diventa un «consegnare le chiavi», un darsi nelle mani di colui che, avendo creato, può ri-creare e restaurare: «Stretta è la casa della mia anima perché tu possa entrarvi: dilatala. Cade in rovina: restaurala. Contiene alcune cose che offendono i tuoi occhi, lo confesso e lo so. Ma chi potrà purificarla? A chi altri griderò, se non a te?» (I 5, 2).

Invitare Dio nella propria casa — nel proprio cuore — significa accettare di fare la verità («Tu sei la Verità») e di non mentire più a se stessi. Il peccato infatti cerca sempre di giustificarsi con la menzogna (ne mentiatur iniquitas mea sibi), anche davanti a Dio: di questa pseudo-religione, Agostino non vuole più saperne, perché è ancora un camuffamento dell’io superbo. «Quindi non disputo con te in giudizio» (I 5, 2). Se Agostino prende la parola davanti a Dio non è più per giustificarsi, ma per accusare se stesso dei propri peccati. Fatta davanti alla misericordia divina, questa autoaccusa nella verità — ridicola agli occhi umani — conduce invece all’assoluzione: «E tu hai assolto l’empietà del mio cuore» (I 5, 2).

Podcast | INTELLIGENZE ARTIFICIALI E PERSONA UMANA


Con ogni probabilità, la nostra epoca sarà ricordata come quella della nascita delle intelligenze artificiali. Ma cosa sono le intelligenze artificiali? Qual è l’impatto sociale di queste nuove tecnologie e quali sono i rischi? Ascolta la serie completa di Ipertèsti, il podcast de «La Civiltà Cattolica».

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Conclusione


Il prologo delle Confessioni ci pone subito davanti al mistero di Dio e al mistero dell’uomo, come a due facce di un unico mistero: chi sei tu Signore? E chi sono io? L’uomo si riconosce creatura mortale, ma fatto per Dio; per cui nessuna creatura, ma solamente Dio è il fine che può appagare il desiderio infinito che c’è nell’essere umano. Come Creatore, certamente Dio è in tutte le cose e tutte le cose sono in Dio. L’uomo però ha la singolare vocazione e capacità di poter scegliere Dio come senso e fine della propria vita, come quel Bene al quale congiungersi inseparabilmente e così trovare la salvezza.

Ma che cosa diciamo quando parliamo di Dio? Agostino è come smarrito di fronte alla inadeguatezza del linguaggio umano — anche quello ispirato delle Scritture —, chiamato a esprimere qualcosa che non può «comprendere», perché lo trascende[sup]35[/sup]. L’uomo dunque dovrebbe doppiamente tacere davanti a Dio: primo perché è creatura, secondo perché è peccatore. E tuttavia, proprio il riconoscere l’una e l’altra realtà rivela il volto di Dio, che è misericordia[sup]36[/sup].

La parola perde così, almeno in parte, la sua inadeguatezza, perché è suscitata dalla fede: «Credo, e perciò anche parlo (cfr Sal 115[116],10; 2 Cor 4,13)» (I 5, 2). È una parola che è passata, mediante la fede, sotto il giogo di Cristo, la «via» attraverso cui Dio si è «abbassato», è venuto a noi e attraverso la quale anche noi, abbassando il nostro orgoglio, possiamo andare a lui. Sembra «stretta» questa via, ma è quella che sconvolge i pensieri dell’uomo su Dio, è quella che «salva» l’uomo, liberandolo dalla menzogna del peccato e liberando in lui il canto della lode.

Il clima orante nel quale Agostino immerge tutte queste riflessioni fa sì che le pagine introduttive delle Confessioni possano essere utilmente proposte, a nostro avviso, all’inizio di un cammino di «esercizi spirituali», come una sorta di «principio e fondamento», che si apre naturalmente sui grandi temi della «Prima settimana» (peccato e misericordia)[sup]37[/sup]. Il grande vescovo di Ippona ha il pregio, raro ai nostri tempi, di saper congiungere il rigore del pensiero con una intensa spiritualità affettiva[sup]38[/sup]. Non sono forse queste le qualità che ritroviamo negli Esercizi spirituali di Ignazio?

***

1 Cfr S. AGOSTINO, Le Confessioni, testo latino dell’edizione di M. SKUTELLA, riveduto da M. PELLEGRINO, traduzione e note di C. CARENA, Roma, Città Nuova, 19753. Qui seguiremo una nostra traduzione.

2 S. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali [23]: «Principio e fondamento. L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e per salvare, in questo modo, la propria anima; e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino al raggiungimento del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l’uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano a conseguire il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscono. Per questa ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito), in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga che quella breve, e così per tutto il resto, desiderando e scegliendo solo ciò che più ci porta al fine per cui siamo stati creati» (in M. GIOIA [ed.], Gli scritti di Ignazio di Loyola, Torino, UTET, 1977, 100 s). Per un commento a questo testo, con il suo implicito cristocentrismo, cfr S. RENDINA, «Principio e fondamento», in Appunti di spiritualità, n. 24, suppl. a Notizie dei Gesuiti d’Italia 22 (1989) 5-20.

3 Già altri si sono cimentati, con profondità ed erudizione, nel commento di Confessioni I 1-5. Cfr in particolare R. GUARDINI, L’inizio. Un commento ai primi cinque capitoli delle «Confessioni» di Agostino, Milano, Jaca Book, 19752; L. F. PIZZOLATO, Un primo libro delle «Confessiones» di Agostino: ai primordi della «confessio», in L. F. PIZZOLATO – G. CERIOTTI – F. DE CAPITANI, Commento ai libri I-II delle Confessioni di Agostino d’Ippona, Palermo, Augustinus, 1984, 9-30.

4 Agostino vedrà sempre in questa «superbia» il maggiore ostacolo alla conversione. Il richiamo a 1 Pt 5,5 = Gc 4,6 è frequente nelle Confessioni: cfr III 5, 9; IV 3, 5; 15, 26; VII 9, 13; X 36, 59.

5 Penso che si possa conservare qui al verbo excitare il significato di «risvegliare». Per Agostino l’uomo non toccato dalla grazia è tutto proiettato «fuori», all’esterno, così che «l’uomo interiore» è come addormentato. Soltanto la potenza della grazia può risvegliare i «sensi spirituali», come si legge nel famoso passo «sero te amavi» di Confessioni X 27, 38: «Tu chiamasti e gridasti, e rompesti la mia sordità», quella cioè dell’uomo interiore. Cfr E. CATTANEO, «“Tardi ti ho amato”. L’esperienza spirituale di s. Agostino in Confessioni 10, 27, 38», in M. GIOIA (ed.), Teologia spirituale. Temi e problemi, in dialogo con Ch. A. Bernard, Roma, AVE, 1991, 53-61, ripreso in E. CATTANEO, Evangelo, Chiesa e carità nei Padri, ivi, 1995, 99-107.

6 Si cerca di rendere in italiano il gioco di parole latino: inquietum est cor nostrum donec requiescat in te. Cfr G. CERIOTTI, Inquietum cor (Confessioni I 1, 1), in L. F. PIZZOLATO – G. CERIOTTI – F. DE CAPITANI, Commento…, cit., 78-88.

7E allora le creature, che pure sono in Dio, diventano un ostacolo, non per colpa loro (esse sono «belle»), ma per colpa dell’uomo, che le usa in modo sbagliato, cioè assolutizzandole. Cfr E. CATTANEO, Evangelo…, cit., 103 s.

8 Tuttavia nel tempo presente tale esperienza è solo incipiente e troverà la sua perfezione soltanto nel «riposo» dell’eternità immutabile (cfr Confessioni XIII 36, 51).

9 Agostino cita appunto Sal 138,8: «Anche se scendo negli inferi, là tu sei». Tutto questo Salmo (139, secondo la numerazione ebraica) potrebbe fare da contrappunto alla meditazione agostiniana, soprattutto con il v. 7: «Dove andare lontano dal tuo spirito, / dove fuggire dalla tua presenza?».

10 Cfr 1 Cor 8,6; Rm 11,36

11 Cfr Confessioni VI 3, 4: «Non sei formato di membra alcune più grandi e altre più piccole, ma sei tutto dappertutto (ubique totus) e nessun luogo Ti contiene».

12 Sal 17,32.

13 Questi due attributi (misericordia e giustizia) sono sempre stati considerati dai Padri come inseparabili. Cfr E. CATTANEO, «Dio Padre buono nella polemica antignostica del II secolo», in O. F. PIAZZA (ed.), Padre, liberaci dal male, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1999.

14 Cfr Confessioni VI 3, 4: «Tu, altissimo e vicinissimo, lontanissimo e presentissimo».

15 Cfr Nm 23,19; Mal 3,6; Dn 2,21.

16 Cfr Sap 7,27.

17 Cfr Gb 9,5 (LXX). Il testo greco dice: «Fai invecchiare i monti senza che lo sappiano». Evidentemente, nell’interpretazione allegorica, i «monti» sono il simbolo dei «superbi».

18 La «gelosia» di Dio è uno dei più forti antropomorfismi biblici (cfr Dt 4,24).

19 Cfr Gn 6,6; Gio 3,10.

20 Anche l’«ira» di Dio è un altro antropomorfismo biblico molto audace: cfr Nm 11,1; Rm 1,18.

21 Cfr Dn 2,21; Eb 6,17.

22 Allusione alle parabole della «misericordia» di Lc 15 (pecora smarrita, moneta perduta, figlio perduto e ritrovato). Cfr R. GUARDINI, L’inizio…, cit., 57.

23 Cfr Mt 25,21.27 (parabola dei talenti).

24 Cfr Lc 10,35 (parabola del buon samaritano).

25 Cfr 1 Cor 4,7.

26 Cfr Mt 20, 1-16.

27Cfr Mt 18,32.

28 Per un’analisi stilistico-tematica di questo «inno», cfr G. BOUISSOU, in «Bibliothèque Augustinienne», n. 13, Bar le Duc, DDB, 1962, 652-657.

29 Cfr T. J. VAN BAVEL, «God in between Affirmation and Negation According to Augustine», in J. T. LIENHARD – E. C. MULLER – R. J. TESKE (edd.), Augustine: Presbyter Factus Sum, New York, Lang, 1993, 73-97.

30 Et vae tacentibus de te, quoniam loquaces muti sunt. Queste ultime parole sono variamente interpretate: «poiché sono muti ciarlieri» (C. Carena); «dal momento che anche chi è muto ne parla» (L. F. Pizzolato); «puisque, bavards, ils sont muets» (Tréhorel-Bouissou); «perché nella loro loquacità sono muti» (Guardini).

31 Va però riconosciuto che una delle attività dello spirito è anche «parlare con se stessi», cioè ragionare tra sé e sé, e Agostino amava farlo, come attestano i Soliloqui, scritti alla vigilia del suo battesimo nel 387. Lì egli dialoga con la propria «ragione», la quale, essendo «a immagine e somiglianza di Dio», distingue bene Dio da se stessa, e invita anzitutto a rivolgersi a lui: da qui la preghiera di Soliloqui I 1, 2-6, «una delle più belle dell’antichità cristiana» (P. DE LABRIOLLE, in «Bibliothèque Augustinienne», n. 5, Bruges, DDB, 1948, 401).

32 L’opposizione lontano/vicino, dentro/fuori è spesso usata da Agostino per esprimere lontano da te. Tu eri in me più dentro della mia parte più intima (intimior intimo meo) e più alto della mia parte più alta (superior summo meo) (III 6, 11). «E io dov’ero, quando ti cercavo? Tu eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me (a me discesseram) e non trovavo me stesso. Tanto meno trovavo te!» (V 2, 2). «Io ti cercavo fuori di me (foris a me) e non ti trovavo, perché tu sei il Dio del mio cuore (Sal 72,26)» (VI 1, 1). Finalmente però la lontananza viene percepita: «Mi scoprii lontano da te, nella regione della dissomiglianza (dissimilitudinis)» (VII 10, 16). La scoperta amorosa di Dio coincide con il ritrovamento della propria identità-interiorità perduta, una vera rinascita: cfr X 27, 38 e più sopra, nota 5.

33 Le allusioni al Cantico dei cantici (Vulgata) sono abbastanza evidenti: «Correremo dietro a te (post te curremus) (Ct 1,3); «mostrami il tuo volto, risuoni la tua voce nelle mie orecchie (ostende mihi faciem tuam, sonet vox tua in auribus meis)» (Ct 2,14); «ti raggiungerò e ti porterò nella mia casa (adprehendam te, et ducam in domum)» (Ct 8,2). Notiamo inoltre che in questo prologo l’esperienza di Dio viene espressa in termini di «sensi spirituali», come cosa già abituale per Agostino: l’udito («le orecchie del mio cuore… àprile… correndo dietro a questa voce…»); la vista («non nascondermi il tuo volto… per vederti»); il tatto («abbraccerei te, unico mio bene»); il gusto («dolcezza mia santa»). Manca qui l’odorato, ma tale assenza indica che questo tipo di linguaggio è usato da Agostino in modo spontaneo, non artificioso.

34 Moriar, ne moriar, ut eam videam. L’interpretazione di A. Solignac («sia che muoia, sia che non muoia, purché lo veda») ci sembra banalizzare un po’ il testo (cfr «Bibliothèque Augustinienne», n. 13, 282-283). Il senso più accettabile ci pare quello ripreso da F. PIZZOLATO, Commento…, cit., 29: «C’è in quel primo moriar il senso della morte mystica (morire in Cristo al peccato), che vince la morte naturale e la morte del peccato».il cercarsi tra l’uomo e Dio: «Tu dov’eri, e quanto lontano da me? Ero io che vagavo

35 Tuttavia Agostino non è d’accordo con l’apofatismo estremo di Plotino, per il quale ogni affermazione su Dio risulta priva di senso, perché allora dietro il termine «Dio» uno ci potrebbe mettere qualsiasi cosa. Il linguaggio su Dio rimane sempre inadeguato, ma non vuoto di senso (cfr T. J. VAN BAVEL, «God in between…», cit., 84 s).

36 Cfr Sermo Denis II 5: «Non puoi comprendere il nome della mia essenza (nomen substantiae); comprendi il nome della mia misericordia (nomen misericordiae)» («Miscell. August.», I 16-17). Quindi «parlare» di Dio significa «confessare» Dio, nel duplice significato di confessio — anche se il termine non compare in questo prologo —: «l’esperienza del peccato (confessio peccatorum) si trasfigura in materia di lode (confessio laudis)» (L. F. PIZZOLATO, Commento…, cit., 29).

37 Cfr S. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, cit, [45]-[72].

38 L’originalità della spiritualità agostiniana è stata bene messa in rilievo da CH. A. BERNARD, Il Dio dei misteri. I: Le vie dell’interiorità, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1996, 189-222.

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Leone XIV ai giornalisti: «Respingere il paradigma della guerra»


Leone XIV incontra i rappresentanti dei media (Foto Picciarella/Alamy)
«Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni” (cfr Discorso 311). Noi siamo i tempi». Con queste parole, nella giornata di lunedì 12 maggio, papa Leone XIV si è rivolto ai giornalisti arrivati a Roma da tutto il mondo per raccontare l’ultimo saluto a papa Francesco e l’annuncio del nuovo Pontefice.

In un’aula Paolo VI gremita di giornalisti e operatori dei media, Leone XIV ha ricordato il «Discorso della montagna» in cui Gesù ha proclamato «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). «Si tratta di una Beatitudine che ci sfida tutti e che vi riguarda da vicino, chiamando ciascuno all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla – ha detto Leone XIV -. La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra».

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Il Papa, poi, ha rivolto un messaggio di solidarietà ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, chiedendone la liberazione. «La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere – ha aggiunto Leone XIV -. La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa».

Per il Pontefice, una delle sfide più importanti di oggi è quella di «promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi – ha aggiunto -. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto». Il Papa, poi, ha ricordato le potenzialità e i rischi delle nuove tecnologie. «Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti – ha detto papa Leone XIV -, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali».

Infine, papa Leone XIV ha ricordato l’invito fatto da Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. «Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività – ha chiesto papa Leone XIV ai giornalisti -. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana». Salutando i giornalisti e gli operatori, papa Leone XIV ha chiesto loro di scegliere una «comunicazione di pace». «Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore – ha concluso il Papa -. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace».

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Habemus Papam: l’elezione di papa Leone XIV


Papa Leone XIV (Foto: Alamy)

L’8 maggio 2025, alla fine del pomeriggio, il cardinale protodiacono Dominique Mamberti ha pronunciato le parole rituali che tutti aspettavamo: Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam. Il cardinale Robert Francis Prevost è stato eletto come Romano Pontefice e ha scelto di chiamarsi Leone XIV. Il nuovo Papa è poi apparso sul balcone centrale della basilica di S. Pietro per salutare e benedire la folla di fedeli accorsi per l’occasione. A loro e a tutta la Chiesa, papa Leone XIV ha rivolto questo saluto:

«La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!

Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediva Roma! Il Papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua. Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco!

Voglio ringraziare anche tutti i confratelli cardinali che hanno scelto me per essere Successore di Pietro e camminare insieme a voi, come Chiesa unita cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari. Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano, che ha detto: “con voi sono cristiano e per voi vescovo”. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato. Alla Chiesa di Roma un saluto speciale! Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore.

E se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo.

A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono. Oggi è il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei. Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore. Allora vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo e chiediamo questa grazia speciale a Maria, nostra Madre».

Nell’omelia della Messa pro eligendo Romano Pontefice, nella mattina del 7 maggio, il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio ha ricordato: «Ogni Papa continua a incarnare Pietro e la sua missione e così rappresenta Cristo in terra; egli è la roccia su cui è edificata la Chiesa (cfr. Mt 16,18)». Proseguendo, ha poi aggiunto, in modo non meno significativo: «L’elezione del nuovo Papa non è un semplice avvicendarsi di persone, ma è sempre l’Apostolo Pietro che ritorna».

In papa Leone XIV accogliamo, quindi, con profonda gioia «l’Apostolo Pietro che ritorna». Lo accogliamo con fiducia, sapendo che eredita il compito di guidarci nel percorso di Speranza che è quello del Giubileo 2025 e che sta al centro della vita cristiana. Si tratta di un percorso che si prolungherà necessariamente al di là dell’Anno Santo, in modo che ognuno di noi sia aiutato a percepire e a vivere i segni di Speranza di cui noi e il mondo intero abbiamo urgente bisogno.

All’inizio di un pontificato, sono inevitabili le comparazioni con quelli precedenti e, in particolare, con quello di papa Francesco che da poco ci ha lasciato. Non è da stupirsi se si cercano i segnali di continuità e quelli di innovazione. Noi crediamo che lo Spirito Santo non si ripeta e che, anche quando si tratta della guida della Chiesa, Egli abbia la capacità di farsi presente in una molteplicità di volti, di stili e di gesti, nei quali si esprime il desiderio di annunciare il Vangelo e di viverlo nella comunione e nell’unità.

Proprio in questa diversità di volti, «l’Apostolo Pietro che ritorna» rappresenta e indica Cristo che, tramite il Suo Spirito, ci guida alla consapevolezza di essere figli di Dio e perciò alla verità, alla pace e alla giustizia. Accogliamo perciò il nuovo Pontefice con fiducia e con gioia.

La Civiltà Cattolica, dall’inizio della sua storia lunga 175 anni, è al servizio dei Pontefici e sarà anche al servizio di papa Leone XIV nel modo che egli vorrà. A lui va la manifestazione della nostra devozione filiale, il nostro augurio e la nostra preghiera.

La Civiltà Cattolica

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